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Sono ancora utili oggi le categorie di Aristotele?

Enrico Berti
p. 57-72
https://doi.org/10.4000/estetica.2024

PIANO

1. Il catalogo degli oggetti


2. Le Categorie di Aristotele
3. La fortuna delle Categorie
4. Le dieci categorie
5. Le categorie di Aristotele oggi
6. Conclusione

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1. Il catalogo degli oggetti


1 Varzi 2001: 13.

2 Quine 1953: 3-19.

3 Varzi 2001: 14-25.

4 Varzi 2005: 3-4.

1Il titolo di questo contributo mi è venuto in mente leggendo il libro di Achille Varzi, Parole, oggetti,
eventi e altri argomenti di metafisica, che pone proprio all’inizio il problema di fare un catalogo
universale di ciò che esiste1. Avevo già avuto sentore che questo fosse uno dei primi problemi della
cosiddetta metafisica, o ontologia, “analitica”, quando lessi il famoso articolo di Quine,  On what there
is, che si apriva con la domanda “che cosa c’è?” e prendeva in considerazione, oltre agli oggetti più
comuni, quali le cose e le persone, anche oggetti come i numeri, gli universali, Pegaso 2. Varzi
proponeva di dividere gli oggetti in concreti, come persone e animali, ma anche molecole o galassie, e
astratti, come enunciati, numeri, figure geometriche, insiemi, relazioni; ma poi si trovava in difficoltà
dovendo fare i conti con le proprietà dei primi, quali forma, peso, massa, o con oggetti come l’ombra
del gatto, il profumo del ciclamino, il suono del flauto, i mari, i fiumi, i buchi, o di fronte a espressioni
come “dare un fiore”, “dare un bacio”, “dare uno schiaffo” 3. Più recentemente egli ha riformulato il
problema in termini come “che cosa esiste?” e ha precisato che ciò significa, in filosofia, “quali entità”
rientrino in questa sorta di inventario che si vuole fare, “o almeno quali tipi di entità”. Così egli ha
distinto entità concrete, localizzate nel tempo e nello spazio, come le persone e i loro corpi, i tavoli e
le particelle subatomiche che li costituiscono, ed entità astratte, come le proprietà e le proposizioni 4.

2Dopo queste letture ho provato più volte anch’io, quando faccio lezione, a chiedere ai miei studenti di
dire quali e, soprattutto, quanti oggetti esistono, ad esempio, nell’aula in cui ci troviamo. Le prime
cose che vengono in mente sono le persone, un certo numero di persone, che si possono contare; poi
le sedie e i banchi, ma poi, guardandoci in giro, vediamo lavagne, lampade, muri, finestre, e anche
questi sono oggetti elencabili, e si possono contare. Poi però notiamo che ci sono anche i suoni, per
esempio le nostre voci, che pure esistono, e quindi vanno messe nella lista, ma è già più difficile
contarle. Poi ci sono anche i pensieri, che ciascuno di noi ha nella propria testa, e i sentimenti, per
esempio la noia suscitata dalla mia lezione, o la speranza che finisca presto, o l’ammirazione per la
bella ragazza che siede vicino a noi. Devono essere inclusi nel catalogo anche questi? Sono oggetti?
1
Possono essere contati? Eppure esistono: i suoni si sentono, i pensieri si pensano, i sentimenti si
provano, dunque esistono, dunque vanno inclusi. Ma ciascuno di questi oggetti, persone, sedie, suoni,
pensieri, sentimenti, ha delle proprietà, cioè può essere grande o piccolo, lungo o corto, bello o brutto,
gradevole o sgradevole. Queste proprietà esistono, dunque devono essere incluse nel catalogo.

3A questo punto ci rendiamo conto che il gioco rischia di non finire più, cioè risulta impossibile
elencare, e ancora di più contare, tutti gli oggetti che ci sono nell’aula. Allora proviamo a fare
un’operazione diversa, cioè a vedere almeno quanti e quali tipi di oggetti si possono mettere nel
catalogo, cercando, per facilitare l’operazione, di raggrupparli in tipi il più possibile ampi, che cioè
comprendano molti, moltissimi oggetti, per esempio “corpi”, “qualità”, “quantità”, “relazioni”, “azioni”,
“passioni”. A questo punto a chi ha studiato un po’ di storia della filosofia vengono in mente le
“categorie”, cioè i gruppi, o classi, di enti i più grandi possibile, di cui hanno parlato vari filosofi:
Aristotele, Kant, Hegel. Solo che, come sa chi ha studiato un po’ di più, per Kant le categorie erano
concetti puri, cioè forme a priori, con cui si conoscono gli oggetti dati dalle percezioni, per Hegel erano
i concetti fondamentali della logica, che però per lui era anche l’ontologia, cioè la struttura, anzi il
processo, non solo del pensiero, ma anche dell’essere. Per Aristotele, più semplicemente, le categorie
erano le classi più generali, cioè i gruppi più ampi possibile, degli oggetti di cui abbiamo esperienza,
quindi la sua tavola delle categorie, più di quelle di Kant o di Hegel, sembra assomigliare al catalogo
che volevamo fare. Ecco allora il titolo di questo contributo.

2. Le Categorie di Aristotele
5 Aristote 2001.

4La “tavola” delle categorie di Aristotele è stata da lui esposta nell’opera intitolata,
appunto, Categorie. A dire il vero è stato messo in dubbio che questo fosse il vero titolo dell’opera, sia
perché esso non corrisponde a tutti gli argomenti in essa trattati, sia perché in alcuni commenti e
manoscritti antichi delle opere di Aristotele questa compare con un titolo diverso. Dei 14 capitoli che
costituiscono l’opera, infatti, solo i primi 9 trattano delle categorie, mentre gli ultimi 5 trattano di temi
come i contrari, l’anteriore e il posteriore, i tipi di mutamento, e perciò furono chiamati Post-
praedicamenta, che in latino vuol dire semplicemente “dopo le categorie”, e furono spesso considerati
inautentici. L’altro titolo con cui l’opera è stata trasmessa è Pro tôn topôn, o Pro tôn topikôn, che vuol
dire “prima dei luoghi”, o prima dei Topici, cioè dell’opera in cui si tratta dei “luoghi” delle
argomentazioni dialettiche, quindi un editore recente l’ha considerata un’introduzione alla dialettica 5.
Queste sottigliezze a noi non interessano, mentre ci interessano i primi 9 capitoli del trattato, quelli in
cui Aristotele parla delle categorie, perciò chiamiamo l’opera col titolo tradizionale di Categorie.

6 Aristotele 1989.

7 Aristote 2001: cx.

5Va detto però che le Categorie  sono un’opera un po’ strana. Anzitutto brevissima. In una recente
edizione italiana, quella curata da Marcello Zanatta per la BUR, le Categorie formano un volume di più
di 700 pagine, di cui però solo 40 contengono il testo di Aristotele, e meno di 30 contengono i primi 9
capitoli, mentre tutte le altre pagine sono di introduzione, traduzione e commento 6. Poi
le Categorie sono un’opera molto povera di contenuto filosofico, addirittura elementare, scritta in
modo sciatto, contenente dottrine che talora appaiono incompatibili con quelle di altre opere come ad
esempio la Metafisica, e perciò da molti ritenuta non di Aristotele. Di questo avviso è anche il curatore
della recente edizione critica francese, Richard Bodéüs 7. Ciò nonostante, le Categorie  hanno avuto una
fortuna immensa: esse sono sicuramente l’opera di Aristotele più ricopiata, più tradotta, più
commentata, e anche più sbeffeggiata. Pensate che sin dall’antichità sono state tradotte, oltre che in
arabo e in latino, come tutte le opere di Aristotele, anche in armeno, e che sono state la prima opera
di Aristotele tradotta in cinese, nel secolo XVI.

6Probabilmente questa fortuna dipende dal fatto che, in tutti i manoscritti in cui ci è stato trasmesso
il corpus aristotelicum, le Categorie  occupano il primo posto, cioè sono l’opera con cui si apre
l’intero corpus. Non è detto che ciò rispecchi l’intenzione di Aristotele. È noto, infatti, che
il corpus tramandato dai manoscritti contiene l’edizione delle opere di Aristotele che fu fatta a Roma
da Andronico di Rodi (capo della scuola peripatetica) nel I secolo a.C. (al tempo di Cicerone). Dunque
fu probabilmente Andronico che collocò le Categorie al primo posto, interpretandole come introduzione
generale alla logica di Aristotele, che per lui era lo strumento di cui dovevano servirsi tutte le altre
scienze (da cui il nome di Organon  alla raccolta delle opere di logica) e quindi doveva essere appresa
prima di queste. Poiché le opere logiche di Aristotele trattano prima dei singoli termini ( Categorie), poi
2
delle proposizioni (De interpretatione) e infine dei ragionamenti in generale (Analitici primi), di quelli
dimostrativi (Analitici secondi), di quelli dialettici (Topici) e di quelli confutatori (Elenchi sofistici),
Andronico decise che lo studio dei termini, che sono gli elementi più semplici del discorso, deve
precedere tutti gli altri e quindi mise le Categorie al primo posto.

8 Foucault 1966: 7.

7Dello stesso avviso, del resto, sono gli odierni filosofi analitici, da Quine a Varzi, i quali ritengono che
il primo problema da affrontarsi in filosofia sia quello del catalogo di tutti gli oggetti esistenti. Ma
le Categorie sono state anche, come ho detto, sbeffeggiate, per esempio da Piergiorgio Odifreddi, il
quale alcuni mesi fa nella Repubblica ha paragonato la classificazione delle categorie fatta da
Aristotele alla classificazione degli animali fatta dagli antichi mandarini cinesi, come viene raccontata
da Foucault, per cui gli animali si dividono in: a) appartenenti all’imperatore, b) imbalsamati, c)
addomesticati, d) maialini da latte, e) sirene, f) favolosi, g) cani in libertà, h) inclusi nella presente
classificazione, i) che si agitano follemente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di
peli di cammello, l) che fanno l’amore, m) che da lontano sembrano mosche, n) et caetera8.

3. La fortuna delle Categorie
8Di fronte a quest’ultima posizione non resta che segnalare, desolatamente, l’immensa fortuna del
trattato aristotelico, che bisognerebbe in qualche modo riuscire a spiegare. Questa fortuna ebbe inizio
con l’edizione di Andronico, prima della quale, cioè nell’epoca ellenistica compresa tra la morte di
Aristotele e la conquista della Grecia a opera dei Romani, nessuna traccia si trova delle  Categorie, così
come di quasi tutti i trattati di Aristotele da lui scritti per la sua scuola (circolavano, come è noto, solo
i suoi dialoghi, da lui scritti per il grande pubblico a imitazione dei dialoghi di Platone e poi andati
perduti a causa dell’imporsi dei trattati scolastici). Dopo la pubblicazione del corpus
aristotelicum le Categorie  furono oggetto di attenzione non solo da parte degli aristotelici, tra i quali
primeggia il grande Alessandro di Afrodisia, che le commentò tra il II e il III secolo d.C., ma anche e
direi soprattutto da parte dei neoplatonici, a cominciare da Plotino (III secolo d.C.).

9 Plotino 1992: 958-961 e 1016-1021.

10 Aristote: cxliii-clxxii.

9Plotino è l’unico dei neoplatonici che critica Aristotele, pur facendo i conti con lui: in particolare
alle Categorie  rimprovera di essere una classificazione delle cose sensibili, che non si applica alle
realtà intelligibili, cioè alle Idee, per le quali è valida invece la distinzione dei “sommi generi” fatta da
Platone nel Sofista (essere, identico, diverso, moto, quiete)9. Porfirio invece, allievo e biografo di
Plotino, inaugura la tendenza dei commentatori neoplatonici a conciliare Aristotele con Platone,
considerando la logica del discepolo come un’introduzione alla metafisica del maestro. Egli non solo
commenta le Categorie, ma scrive la famosa introduzione (Isagoge) a esse, in cui formula per la prima
volta quel problema degli universali che impegnerà l’intera scolastica latina medievale e, a quanto
pare, continua a interessare la contemporanea filosofia analitica. A quello di Porfirio seguono altri sei
commenti neoplatonici, compresi tra il IV e il VI secolo, cioè Dessippo, Ammonio, Simplicio,
Olimpiodoro, Filopono e David (lo pseudo-Elia)10.

11 Kant 2004: 206-208.

12 Hegel 1964: II, 378-385.

13 Hegel 1968.

10Contemporaneamente le Categorie vengono tradotte in armeno (V secolo), in latino da Boezio con


commento (V-VI secolo), tre volte in siriaco (V-VII secolo) e varie volte in arabo (IX secolo), poi di
nuovo in latino da Guglielmo di Moerbeke (XIII secolo) e finalmente vengono stampate da Aldo
Manuzio nel XV secolo. Le traduzioni nelle lingue moderne sono innumerevoli e le Categorie  restano in
tal modo alla base della filosofia moderna, specialmente della tradizione scolastica, con i grandi
commentatori spagnoli e portoghesi del secolo XVI e con i suoi sviluppi che partono dall’aristotelismo
padovano (Giacomo Zabarella) e si diffondono in tutta Europa, specialmente in Germania fino al
secolo XVIII. Ma più che le traduzioni e le riprese a opera dei filosofi scolastici, sono interessanti le

3
prese di posizione, a proposito delle Categorie, di alcuni tra i più grandi filosofi moderni non scolastici,
cioè Kant e Hegel. Kant, come è noto, accusa la tavola aristotelica delle categorie di essere stata
messa insieme “rapsodicamente”, cioè alla rinfusa, senza alcuna necessità, e le contrappone la sua
“deduzione metafisica” delle categorie dalla tavola dei giudizi, nonché la sua “deduzione
trascendentale” di esse11. Hegel è dello stesso avviso di Kant: Aristotele desume le sue categorie
dall’esperienza e si limita ad accostarle estrinsecamente, quindi la sua dottrina delle categorie ha lo
stesso difetto di tutta la filosofia aristotelica, quello per cui “i suoi momenti cadono l’uno fuori
dell’altro”12. Nella sua logica, al contrario, Hegel considera come categorie tutte le determinazioni
necessarie dell’Idea, deducibili l’una dall’altra, dal cominciamento dell’Essere sino al compimento
dell’Idea assoluta13.

14 Trendelenburg 1994.

15 Benveniste 1958.

16 Bonitz 1995.

17 Brentano 1995.

11Alla critica di Kant e di Hegel reagisce nell’Ottocento l’“aristotelico” Trendelenburg, che dedica alla
dottrina delle categorie di Aristotele l’intero primo volume della sua Geschichte der
Kategorienlehre (1846), sostenendo che un “filo conduttore (Leitfaden)” in essa c’è, ed è l’analisi delle
forme del linguaggio (sostantivo, aggettivo qualificativo, comparativo, avverbio, verbo attivo, verbo
passivo ecc.), dalla quale nasceranno più tardi, cioè in età ellenistica, le prime grammatiche 14.
Un’interpretazione di questo tipo è stata riproposta, come è noto, nel Novecento dal linguista
Benveniste15. Ma la “difesa” della dottrina aristotelica delle categorie fatta da Trendelenburg viene a
sua volta criticata da Hermann Bonitz (1853), il quale rivendica il carattere ontologico, cioè di generi
dell’essere, proprio delle categorie di Aristotele 16, e da Franz Brentano, il quale nella sua famosa
dissertazione Sui molteplici significati dell’essere secondo Aristotele  (1862), che tanta influenza
avrebbe esercitato su Heidegger, crede di trovare in Aristotele addirittura una “deduzione” delle
categorie, manifestando in tal modo la tendenza, ritrovabile anche in Heidegger, a una concezione
univocizzante dell’essere17.

18 Ryle 1971: 170-184.

19 De Rijk 2002.

12Nel Novecento le Categorie di Aristotele ispirano un famoso saggio di uno tra i fondatori della
filosofia analitica, Gilbert Ryle, intitolato appunto Categories  (1938), nel quale il filosofo inglese, alla
ricerca di una sintassi logica del linguaggio, indica tra le cause dei “crampi linguistici” denunciati
dall’ultimo Wittgenstein i famosi “errori categoriali (categorial mistakes)”, provocati dalla connessione
fra termini appartenenti a categorie tra loro non connettibili, come per esempio “Sabato è a letto”
(questa, in termini aristotelici, sarebbe una connessione tra “accidenti”, nessuno dei quali è in grado di
fungere da soggetto di una predicazione, cioè da sostanza) 18. È impossibile, e sarebbe poco
interessante, riferire gli innumerevoli studi e usi delle categorie di Aristotele fatti nella filosofia del
Novecento. Mi limito a segnalare un’opera poderosa, uscita all’inizio del nuovo secolo, a opera di un
grande studioso di logica antica e medievale, l’olandese L.M. de Rijk, Aristotle, Semantic and
Ontology, in cui si sostiene che la dottrina aristotelica delle categorie non riguarda la predicazione,
come si è per lo più ritenuto, ma l’“appellazione denotativa (naming)”19.

4. Le dieci categorie
13Aristotele fornisce l’elenco completo delle categorie, in numero di 10, solo due volte,
nelle Categorie e nei Topici, mentre in vari altri luoghi ne indica solo otto, o sei, o quattro: ciò dà
l’impressione che il numero preciso delle categorie per lui non conti. In effetti, come ben videro Kant e
Hegel, la sua tavola è alquanto “rapsodica”, ma resta da vedere se questo sia un difetto.
Nelle Categorie  egli presenta la seguente lista: «Delle cose che vengono dette secondo nessuna
connessione ciascuna significa o sostanza o quantità o qualità o relazione o dove o quando o giacere o
avere o agire o patire», e poi la illustra nel modo seguente:

4
20 Aristotele 1989: 305.

Sostanza (ousia) è, ad esempio, uomo, cavallo; quantità, ad esempio, di due cubiti, di tre cubiti; qualità, ad
esempio, bianco, grammatico; relazione, ad esempio, doppio, mezzo, maggiore; dove, ad esempio, nel
Liceo, in piazza; quando, ad esempio, ieri, l’anno scorso; giacere, ad esempio, è sdraiato, è seduto; avere,
ad esempio, ha i calzari, è armato; agire, ad esempio, tagliare, bruciare; patire, ad esempio, essere tagliato,
essere bruciato (Cat. 4, 1b 25-2a 10)20.

21 Aristotele 1974: 93.

14Nei Topici, invece, troviamo la precisazione che “i generi dei predicati” sono, quanto al numero,
dieci: «essere il ciò che qualcosa è [ti esti], essere di una certa quantità, di una certa qualità, in una
certa relazione, in qualche luogo, in qualche tempo, in una certa posizione, avere qualcosa, fare
qualcosa, subire qualcosa» (Top.  I 9, 103b 20-27)21. E gli esempi sono: di ciò che qualcosa è, uomo o
animale; di una certa qualità, bianco o colore; di una certa quantità, un cubito.

15L’impressione che si prova di fronte a una simile classificazione è che Aristotele avesse preso in
considerazione un uomo – o una statua o un ritratto di un uomo, per esempio di Socrate, presenti
nella sua scuola, come pensano certi interpreti – e avesse cercato di elencare tutte le risposte alle
domande che si potevano fare a proposito di esso: che cos’è?, quanto è alto?, di che colore è?, dov’è?,
quando era?, in quale posizione si trova?, che cos’ha?, che cosa fa?, che cosa subisce? Alcune
risposte, a dire il vero, non si adattano a questo esempio, quali “doppio” e “mezzo”, mentre altre sono
appropriate solo a un uomo, quali “grammatico”, che vuol dire capace di leggere e scrivere. In ogni
caso si tratta di una lista abbastanza casuale, sicuramente desunta dall’esperienza, qualcosa,
insomma, che somiglia molto al catalogo che si potrebbe fare degli oggetti compresi in una stanza,
senza alcuna pretesa di completezza e di sistematicità.

22 Aristotele 1989: 305-307.

16Ma vediamo qualche dettaglio di più a proposito di ciascuna categoria. La sostanza (ousia), detta
anche “il ciò che qualcosa è”, cioè la risposta alla domanda “che cos’è” ( ti esti), può essere – dice
Aristotele – “sostanza prima”, qualora non si dica di un soggetto (hupokeimenon), cioè non sia un
predicato di altro, e non sia in un soggetto, cioè non sia inerente ad altro, come ad esempio “un certo
uomo” o un “certo cavallo”; oppure può essere “sostanza seconda”, qualora si dica di una sostanza
prima come sua specie o suo genere, per esempio “uomo” o “animale” (Cat.  5, 2a 11-27)22. Come si
vede, la sostanza prima, così chiamata perché è condizione dell’esistenza delle sostanze seconde, è
sempre un soggetto individuale, il quale per Aristotele è la prima tra tutte le realtà, cioè la condizione
dell’esistenza di tutte le altre; invece le sostanze seconde sono i predicati universali, ma delle sostanze
prime, perciò hanno diritto anch’esse al titolo di sostanze, anche se la loro esistenza dipende da quella
delle sostanze prime. Se non ci fossero uomini individuali, non ci sarebbe la specie uomo e, se non ci
fossero animali individuali, non ci sarebbe il genere animale.

23 Aristotele 1989: 315-316.

17Le sostanze, aggiunge Aristotele, non hanno contrario, per esempio non c’è il contrario di un certo
uomo, né di uomo in generale, ma possono accogliere in sé, in momenti diversi, qualità contrarie, per
esempio ignorante e colto, o quantità contrarie, per esempio grasso e magro, o relazioni contrarie, per
esempio celibe e coniugato. Su questa base si fonda tutta la teoria aristotelica del divenire come
assunzione di proprietà diverse, da parte di uno stesso soggetto, o sostrato, in tempi diversi. Inoltre le
sostanze non ammettono “il più e il meno”, cioè non si può essere più o meno uomo, né più o meno
cavallo (Cat.  5, 3b 24-32)23. Quest’ultima precisazione è interessante, perché smentisce tutta una
serie di discriminazioni culturali e ideologiche che Aristotele, come ogni greco del suo tempo,
ammetteva, quali la discriminazione tra uomini e donne, tra liberi e schiavi, tra greci e barbari. Essa
permette ad Aristotele di attribuire a “tutti gli uomini” (anthropoi, cioè esseri umani) alcune proprietà,
quali il desiderio di conoscere (Metafisica  I 1) e l’essere animale politico (Politica  I 1): è il trionfo della
filosofia sulla cultura e sull’ideologia.

24 Aristotele 1989: 319-329.

25 Aristotele 1989: 329-343.

5
18Dopo la sostanza Aristotele tratta delle altre categorie, che la tradizione ha accomunato sotto il
nome di “accidenti” e che hanno tutte la caratteristica di esistere solo nelle sostanze, cioè di essere
inerenti a queste, di non poter stare senza di queste. Egli tratta anzitutto della quantità ( poson),
introducendo la distinzione tra quantità discrete, quali il numero e il discorso, e quantità continue,
quali la linea, la superficie, il corpo, il tempo e il luogo. Anche la quantità, come la sostanza, non ha
contrario e non ammette il più e il meno, ma può accogliere, in momenti diversi o sotto aspetti diversi,
i contrari, quali l’uguale e il disuguale (Cat.  6)24. Dopo la quantità, anziché passare alla qualità,
secondo l’ordine della lista, Aristotele tratta della relazione (pros ti), affermando che essa è sempre
detta di altro, per esempio “maggiore” o “doppio”, e portando una serie di esempi abbastanza diversi,
quali “abito”, “disposizione”, “sensazione”, “scienza”. L’abito, infatti, è sempre abito, cioè possesso, di
qualcosa; la disposizione è sempre disposizione a qualcosa; la sensazione è sempre sensazione di
qualcosa, il sensibile; e la scienza è scienza di qualcosa, lo scibile. La relazione, a differenza della
sostanza e della quantità, può avere un contrario e ammette il più e il meno. In alcuni casi le cose che
stanno in relazione tra loro esistono o non esistono “simultaneamente”, cioè si implicano
reciprocamente, come “doppio e mezzo”, e “padrone e schiavo”. In altri casi ciò non accade, per
esempio lo scibile può esistere anche senza la scienza e il sensibile anche senza la sensazione
(Cat. 7)25.

26 Aristotele 1989: 343-358.

27 Aristotele 1989: 359.

19Indi Aristotele tratta della qualità (poiotês), che nella lista precede la relazione, affermando che
essa si dice in molti sensi, cioè comprende specie diverse, quali gli abiti, le disposizioni, le scienze, le
virtù, le capacità, le incapacità, le affezioni, sia del corpo che dell’anima. Le qualità, come le relazioni,
possono avere contrari e ammettono il più e il meno (Cat. 8)26. Come si vede, alcuni tipi di qualità
coincidono con alcuni tipi di relazione, dunque queste due categorie in parte si sovrappongono. Ciò
non sembra preoccupare Aristotele, il che significa che egli non pretende di offrire una classificazione
perfetta, e riconosce che alcuni item possono cadere anche sotto categorie diverse. Infine egli tratta
rapidamente del fare (poiein) e del patire (paschein), limitandosi a dire che esse accolgono il contrario
e il più e il meno, come mostrano gli esempi del riscaldare e dell’essere riscaldato più o meno e del
provare dolore di più o di meno (Cat.  9)27. Nessuna parola invece è dedicata alle categorie del
“giacere” e dell’“avere”, a riprova del fatto che la lista è aperta, variabile nell’ordine, suscettibile di
integrazioni, di riduzioni, di sovrapposizioni.

28 Aristotele 1993: 213.

29 Aristotele 1993: 105.

30 Berti 2001 e 2002.

20Malgrado tutte queste oscillazioni e imprecisioni, esistono tuttavia due caratteristiche della tavola
aristotelica delle categorie, che Aristotele non espone nel trattato omonimo, ma che si desumono
dalla Metafisica e distinguono la sua posizione da tutte le altre. La prima caratteristica è che le
categorie, pur essendo in qualche caso riducibili l’una all’altra, sono tuttavia assolutamente irriducibili
a un genere, o a una categoria ultima, cioè sono veramente generi supremi, che non rientrano in
nessun genere superiore a esse. Ciò si desume dalla concezione aristotelica dell’essere. L’essere
infatti, per Aristotele, si dice in molti sensi, i quali corrispondono precisamente alle categorie, quindi le
categorie sono i significati fondamentali dell’essere, ovvero i generi supremi degli enti ( Metaph.  V 7)28.
Ma l’essere, per Aristotele, non è un genere, cioè non esprime soltanto ciò che vi è di comune fra tutti
gli enti, perché si predica anche delle sue differenze, cioè esprime anche ciò che vi è di diverso fra
tutti gli enti: anche le differenze, infatti, sono (Metaph. III 3, 998b 21-27)29. Ciò distingue la
concezione aristotelica dell’essere non solo da quella di Parmenide, di Platone e del neoplatonismo, ma
anche da quella della scolastica, sia cristiana che musulmana, la quale ammette un esse ipsum, cioè
un essere per essenza, e infine da quella di filosofi analitici come Frege, Russell, Quine, van Inwagen, i
quali ritengono che l’esistenza abbia un solo significato, uguale per qualsiasi cosa, cioè stia
semplicemente a indicare che una classe contiene almeno un esemplare. Solo alcuni filosofi analitici, a
questo proposito, hanno seguito Aristotele, ma tra i maggiori, quali Austin e Ryle 30.

31 Aristotele 1993: 131-133, 287-289.

32 Berti 2004: 651-672.


6
21La seconda caratteristica della dottrina aristotelica delle categorie è che, qualunque sia il loro
numero e l’ordine in cui vengono esposte, in tutte le liste delle categorie la sostanza precede le altre
categorie e gode nei confronti di esse di un primato che è sia ontologico che logico, cioè è condizione
sia dell’esistenza che dell’intelligibilità delle altre categorie. Si tratta della dottrina per cui i molteplici
sensi dell’essere sono tutti relativi a uno (pros hen), la sostanza, per cui questa non solo è la
condizione dell’esistenza di tutte le altre categorie, nel senso che queste sono e sono dette essere solo
in quanto stanno in relazione alla sostanza, ma è anche contenuta nella definizione, o nella nozione, di
tutte le altre (Metaph.  IV 2, 1003a 33-1003b 19)31. La sostanza è stata perciò chiamata dai filosofi
analitici che si sono occupati di questa dottrina nuclear meaning (Austin) o focal meaning (G.E.L.
Owen) dell’essere. Questa dottrina non ha a che fare con la cosiddetta analogia dell’essere, che per
Aristotele è l’identità di rapporto tra ciascuna categoria e il suo proprio essere (analogia detta dagli
scolastici di proporzionalità), né con la cosiddetta analogia di attribuzione, cioè con l’uso che gli
scolastici fanno della dottrina aristotelica della relazione a uno, collocando Dio al posto della sostanza.
Essa tuttavia permette di evitare la totale equivocità dell’essere e rende possibile una scienza
dell’essere, cioè una ricerca dei suoi princìpi, poiché i molti sensi dell’essere risultano avere un
principio, che è precisamente la sostanza 32.

5. Le categorie di Aristotele oggi


33 Benoist 2001.

22Per capire se le categorie di Aristotele sono ancora utili oggi è forse interessante vedere una
raccolta di saggi pubblicata recentemente in Francia, Quelle philosophie pour le  XXIe  siècle?, che ha
significativamente come sottotitolo L’Organon du nouveau siècle 33. Essa comprende dieci saggi, di
dieci autori diversi, dedicati ciascuno a una delle categorie di Aristotele. La maggior parte degli autori,
anche se non tutti, sono filosofi analitici, nessuno dei quali è specialista di Aristotele, ma tutti sono in
qualche modo noti per avere dato contributi significativi alla filosofia contemporanea. I saggi non sono
tutti di uguale valore, né tutti favorevoli a riconoscere una qualche attualità alle categorie di Aristotele,
tuttavia alcuni di essi presentano un certo interesse, per cui mi sembra opportuno darne un cenno.

34 Benoist 2001: 13.

35 Wiggins 1980.

36 Benoist 2001: 77.

23Il primo saggio, dedicato alla sostanza, è di Jules Vuillemin (1920-2001), professore onorario al
Collège de France, noto soprattutto come studioso di logica e di filosofia moderna. Questi mette a
confronto la concezione aristotelica della sostanza come realtà sensibile con quella platonica della
sostanza come realtà intelligibile, sollevando il problema del tipo di realtà posseduto dagli insiemi. A
proposito di Aristotele egli rileva che la sostanza è ciò che permane nel mutare delle qualità e quindi
permette l’identificazione e la reidentificazione degli oggetti 34, tesi sostenuta, come è noto, dal filosofo
analitico David Wiggins in Sameness and Substance35. Il secondo saggio, dedicato alla quantità, è di
Jacques Bouveresse (nato nel 1940), professore al Collège de France, noto filosofo analitico,
specialista di Wittgenstein. Egli illustra l’opposizione, stabilita da Aristotele nell’ambito della quantità,
tra discreto e continuo, e ricostruisce la storia dell’opposizione tra quantità e qualità, mostrando che
dopo il trionfo della quantità, determinato dalla scienza moderna, si è assistito più recentemente alla
rivincita della qualità soprattutto a opera del matematico René Thom, il quale ha riproposto la nozione
aristotelica di forma36.

37 Benoist 2001: 147.

38 Bozzi 1990.

39 Strawson 1959.

40 Benoist 2001: 181.

24Alla qualità dedica il terzo saggio Ian Hacking (nato nel 1936), filosofo della mente, già professore a
Toronto e ora al Collège de France. Questi osserva che le qualità descritte da Aristotele si applicano a
7
persone, delle quali indicano stati, disposizioni, capacità, affezioni, al punto che non si saprebbe dire
se la sua teoria rientri nella metafisica o non piuttosto nella psicologia 37. Il fatto è che Aristotele
descrive il mondo così come noi lo percepiamo, come ha giustamente osservato Paolo Bozzi nella sua
famosa Fisica ingenua38, ovvero come viene espresso dal nostro linguaggio, come ha osservato Peter
Strawson nella sua “metafisica descrittiva” 39, senza preoccuparsi delle odierne distinzioni tra discipline,
anche se queste in definitiva risalgono proprio a lui. Della categoria di relazione si occupa Vincent
Descombes (nato nel 1943), filosofo generale, il quale mette a confronto la dottrina aristotelica con la
logica delle relazioni di Bertrand Russell e conclude che Aristotele ha ragione di considerare le relazioni
come una categoria distinta dalle altre, perché la caratteristica delle relazioni è di sopraggiungere
allorché le altre categorie sono date, e di poter mutare senza che muti la cosa a cui appartengono 40.

41 Benoist 2001: 252.

25Il filosofo della scienza Gilles-Gaston Granger (nato nel 1920), professore onorario al Collège de
France, si occupa della categoria di luogo, rilevando l’importanza che la topologia ha nella matematica
e nella fisica di oggi, mentre della categoria di tempo si occupa niente meno che John Searle, il filosofo
analitico noto, oltre che per la sua teoria degli atti linguistici, anche per la sua ontologia degli oggetti
sociali. Questi tratta in generale della filosofia contemporanea, osservando che all’epoca del prevalere
dell’epistemologia è subentrata più recentemente la filosofia “post-epistemica”, rappresentata da
Austin, da Grice e da lui stesso, la quale è filosofia della mente, della società e della ragion pratica,
ambiti nei quali la categoria di tempo gioca un ruolo decisivo. Il fenomenologo Jocelyn Benoist (nato
nel 1968) si occupa della categoria di “posizione” o “postura” (termine con cui traduce
l’aristotelico keisthai, “giacere”), rilevando che essa indica in generale la situazione, la localizzazione,
la disposizione, e che non è affatto riducibile alla relazione. Pur approvando in generale la descrizione
aristotelica di questa categoria, egli rimprovera alla dottrina di Aristotele in generale il primato da lui
attribuito alla sostanza, rilevando che questa non può stare senza le altre categorie 41.

42 Benoist 2001: 300.

43 Benoist 2001: 323.

26Il filosofo politico Salvatore Veca, unico italiano presente nella raccolta, si occupa della categoria di
“possesso (la possession)”, termine con cui viene tradotto l’aristotelico “avere”. Veca tuttavia,
coerentemente alla sua specializzazione, intende questo avere come la proprietà in senso economico-
politico, quindi ne dà una trattazione di per sé interessante, incentrata sul concetto di giustizia, ma
che non ha molto a che fare con la categoria aristotelica. Uno dei saggi più interessanti è quello di
Donald Davidson (1917-2003), nome che non ha bisogno di presentazione, concernente la categoria
dell’“agire (l’action)”. L’autore, sovente contrapposto ad Aristotele come colui che ha concepito il
mondo in termini di “eventi” anziché di “oggetti”, loda invece Aristotele come l’unico filosofo che si sia
occupato dell’azione prima del XX secolo42, segnala come in questo secolo l’opera più importante
dedicata a questo tema sia Intention  di Elisabeth Anscombe (1957) – filosofa di ispirazione
wittgensteiniana e insieme aristotelica – e conclude elogiando di nuovo Aristotele per avere superato il
dualismo platonico a proposito del problema dei rapporti tra mente e corpo 43.

44 Aristotele 1992: 83-85.

45 Benoist 2001: 366-367.

46 Benoist 2001: 7-8.

27Infine Stanley Cavell (nato nel 1926), già professore di filosofia a Harvard, tratta della categoria del
“patire (la passion)”, scorgendo nella concezione che ne ha Aristotele una teoria generale delle
emozioni, ripresa nel XX secolo da Austin con la sua teoria degli enunciati performativi, che sono,
come dice Aristotele, né veri né falsi (De int. 4, 17 a 2-4)44. A essi Cavell propone di aggiungere gli
enunciati “appassionati”, fornendone una serie di esempi tratti dalla letteratura e dalla lirica ( Don
Giovanni, Tannhäuser, Carmen)45. In conclusione che cosa si deve pensare? Che rimane oggi delle
categorie di Aristotele? Si devono abbandonare? Si devono ripensare in modo nuovo? Come dicono i
curatori del volume (Daniel Soutif ed Éric Vigne), non vi è risposta possibile se non singolare,
mediante l’esame di ciascuna categoria, e plurale, mediante il rispetto della diversità delle grandi
tradizioni filosofiche che fanno eco le une alle altre 46.

47 Aristotele 1993: 207.


8
48 Aristotele 1995: 169-177.

49 Aristotele 1992: 79.

28Bisognerebbe allora rifare l’esperimento mentale a cui ho accennato all’inizio, cioè provare a
prendere in considerazione ogni sorta possibile di oggetti, o di eventi, e vedere se si riesce a collocarli
in qualcuna delle categorie di Aristotele. Per esempio il bacio, o lo schiaffo, di cui parla Varzi,
sarebbero facilmente collocabili sia nella categoria del fare (o agire) che in quella del patire, a seconda
dell’intenzione che anima colui (o colei) che li dà o che li prende. Ma anche sentimenti come la noia, la
tristezza, la speranza troverebbero posto, come stati d’animo o disposizioni, nella categoria del giacere
o dell’avere. I numeri e le figure geometriche, come tutti gli “insiemi”, troverebbero posto nella
categoria della quantità (così come la forma, il peso e la massa), dove potrebbero stare anche i fiumi
e i mari, che Aristotele considera quantità continue di acqua (Metaph. V 6)47, mentre il profumo del
ciclamino, l’ombra del gatto e il suono del flauto rientrerebbero forse nella categoria della qualità. I
buchi, poi, starebbero benissimo nella categoria del luogo, che Aristotele definisce praticamente come
un buco (Phys. IV 4)48. Qualche problema potrebbero crearlo gli enunciati, anche se non si può
dimenticare che proprio Aristotele dedicò a essi un intero trattato, il De interpretatione –
immediatamente successivo, nel corpus  delle sue opere, alle Categorie – dove li presentò come
“simboli” delle affezioni dell’anima (De int. 1, 16 a 3-4) 49. Il simbolo, in quanto “significa”, può trovare
posto nella categoria della relazione, dove – come abbiamo visto – ci sono già la sensazione e la
scienza.

6. Conclusione
50 Berti 1992: 260-267.

29In conclusione si può forse dire che le categorie di Aristotele a qualcosa ancora servono o comunque
non sono solo oggetto di battute umoristiche, come pensa Odifreddi. Quello che per Kant e Hegel era il
difetto della tavola aristotelica delle categorie, cioè la sua rapsodicità, è a mio giudizio invece il suo
pregio, perché la rende flessibile, adattabile, suscettibile di modifiche e di aggiunte. Questo, del resto,
è il pregio di tutta la filosofia di Aristotele, che da un lato vuole essere sistematica, cioè abbracciare
l’intera realtà, o mondo dell’esperienza, ma dall’altro – come ho spesso avuto occasione di scrivere – è
un sistema aperto, problematico, adattabile a epoche diverse e ad ambiti diversi 50. Non è un caso,
infatti, che essa ancora oggi possa essere utilizzata da correnti filosofiche diverse come il tomismo da
un lato, Heidegger e l’ermeneutica (soprattutto Gadamer) da un altro, e la filosofia analitica da un
altro ancora (Austin, Ryle, Strawson, Wiggins).

51 Berti 2003.

30Ma il valore della dottrina aristotelica delle categorie, a mio avviso, consiste nel fatto che, oltre a
essere una specie di catalogo universale, del tipo di quelli cercati dai filosofi analitici, essa è il primo
tentativo di cominciare a mettere anche un certo ordine tra gli oggetti che serve a classificare. Il
primato della sostanza sulle altre categorie è un passo non da poco in questa direzione e serve, come
abbiamo visto, a rendere possibile una scienza dell’essere, che può anche essere chiamata “ontologia”
(parola, come è noto, non aristotelica), a condizione che essa sia intesa come una ricerca delle cause
prime, cioè dei princìpi, di tutto ciò che esiste. Questo tentativo, invece, a mio sommesso avviso, è ciò
che spesso manca nei filosofi analitici (non in tutti, certamente, perché anch’essi non sono tutti uguali,
anche se a volte lo sembrano). Per esempio Quine sembra lasciare il compito di indicare le cause
prime, ovvero le spiegazioni ultime, della realtà alla scienza, in particolare alla fisica. Tradizionalmente
si crede che Aristotele abbia affidato questa spiegazione alla dottrina del primo motore immobile (che
effettivamente egli qualifica come “sostanza prima”, cioè primo genere di sostanze), per cui la
metafisica di Aristotele è stata presentata, a partire da Heidegger, come un’“onto-teologia”. Ma questo
non è vero, come più volte ho cercato di dimostrare, perché Aristotele cerca tutti i tipi di causa, o di
spiegazione, quella materiale (gli elementi), quella formale (le forme sostanziali), quella motrice (i
motori immobili) e quella finale (l’entelechia, cioè la perfezione di ciascun ente) 51.

52 Strawson 1959, Wiggins 1995 e Berti 1998.

31L’aspetto più contestato di questa “ontologia” è appunto il primato della sostanza, anzi il concetto
stesso di sostanza, di cui è nota la critica compiuta da Hume. Tuttavia anche a proposito della nozione
di sostanza, come a proposito della nozione di causa – ugualmente criticata da Hume e tuttavia
ritornata alla grande, nel senso di “spiegazione”, sulla scena della scienza contemporanea –, è ormai
9
ampiamente riconosciuto che la sostanza di cui parlava Aristotele non è né quella “cosa ( res)” che per
esistere non ha bisogno di nient’altro, di cui parlavano Descartes e Spinoza, né quel substratum
obscurum  che era stato ammesso da Locke e progressivamente dissolto da Berkeley e da Hume.
Come hanno mostrato Strawson e Wiggins, la sostanza, intesa nel senso aristotelico, è quell’individuo,
o “particolare di base”, dotato di un “sortale”, o forma, ugualmente individuale, senza cui non è
possibile né l’identificazione, né soprattutto la reidentificazione degli oggetti, e quindi non è possibile
dare un senso al nostro linguaggio quotidiano, problema di non piccolo momento per la filosofia
analitica, secondo la quale no entity without identity52.

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NOTE

1 Varzi 2001: 13.

2 Quine 1953: 3-19.

3 Varzi 2001: 14-25.

4 Varzi 2005: 3-4.

5 Aristote 2001.

6 Aristotele 1989.

7 Aristote 2001: cx.

8 Foucault 1966: 7.

9 Plotino 1992: 958-961 e 1016-1021.

10 Aristote: cxliii-clxxii.

11 Kant 2004: 206-208.

12 Hegel 1964: II, 378-385.

13 Hegel 1968.

14 Trendelenburg 1994.

15 Benveniste 1958.

16 Bonitz 1995.

17 Brentano 1995.

18 Ryle 1971: 170-184.

19 De Rijk 2002.

20 Aristotele 1989: 305.

12
21 Aristotele 1974: 93.

22 Aristotele 1989: 305-307.

23 Aristotele 1989: 315-316.

24 Aristotele 1989: 319-329.

25 Aristotele 1989: 329-343.

26 Aristotele 1989: 343-358.

27 Aristotele 1989: 359.

28 Aristotele 1993: 213.

29 Aristotele 1993: 105.

30 Berti 2001 e 2002.

31 Aristotele 1993: 131-133, 287-289.

32 Berti 2004: 651-672.

33 Benoist 2001.

34 Benoist 2001: 13.

35 Wiggins 1980.

36 Benoist 2001: 77.

37 Benoist 2001: 147.

38 Bozzi 1990.

39 Strawson 1959.

40 Benoist 2001: 181.

41 Benoist 2001: 252.

42 Benoist 2001: 300.

43 Benoist 2001: 323.

44 Aristotele 1992: 83-85.

13
45 Benoist 2001: 366-367.

46 Benoist 2001: 7-8.

47 Aristotele 1993: 207.

48 Aristotele 1995: 169-177.

49 Aristotele 1992: 79.

50 Berti 1992: 260-267.

51 Berti 2003.

52 Strawson 1959, Wiggins 1995 e Berti 1998.


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PER CITARE QUESTO ARTICOLO

Notizia bibliografica
Enrico Berti, «Sono ancora utili oggi le categorie di Aristotele?», Rivista di estetica, 39 | 2008, 57-72.

Notizia bibliografica digitale


Enrico Berti, «Sono ancora utili oggi le categorie di Aristotele?», Rivista di estetica [Online], 39 | 2008,
online dal 30 novembre 2015, consultato il 12 décembre 2021. URL:
http://journals.openedition.org/estetica/2024; DOI: https://doi.org/10.4000/estetica.2024

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