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tavia, quel sostrato sociologico, negativamente condizionato, dal quale emerge una presenza
individuale – intesa come centro di scelta e di decisione – continuamente sottoposta al rischio
dello smarrimento, e sulla cui labilità va ad innestarsi, pertanto, la funzione protettiva della
pratica destorificante. Sul tema più in generale si vedano gli spunti presenti in M. Massenzio-
C. Gallini (eds.), Ernesto de Martino nella cultura europea, Liguori, Napoli 1997.
19
V. Lanternari, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi, Feltri-
nelli, Milano 19742, p. 64. Cfr. anche M. Massenzio, Kurangara. Un’apocalisse australiana,
Bulzoni, Roma 1976; Id., Destino e volontà: mitopoiesi e dinamica storica, in C. Tullio-
Altan-M. Massenzio, Religioni, simboli, società. Sul fondamento umano dell’esperienza reli-
giosa, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 243-312.
20
Sulla visione demartiniana del cristianesimo in generale, cfr. M. Massenzio, La reli-
gione cristiana vista da Ernesto de Martino, in C. Gallini (ed.), Ernesto de Martino e la for-
mazione del suo pensiero. Note di metodo, Liguori, Napoli 2005, pp. 131-146. Non è nostra
intenzione, in questa sede, ridiscutere la visione generale di de Martino in merito al cristiane-
simo quale dispositivo mitico-rituale che, al pari delle altre religioni, esercita una funzione
protettiva nei riguardi della presenza umana, non ostante i tratti che, sempre secondo de Mar-
tino, lo distinguono dalle altre tradizioni religiose (cfr. ibi, pp. 136-137). Riteniamo valido
quanto affermato da Marcello Massenzio nei numerosi studi dedicati al tema (si veda infra).
Ciò non ostante crediamo che la definizione di un’essenza del fenomeno cristiano, che de
Martino individua nel superamento della concezione ciclica del tempo, a vantaggio del rico-
noscimento positivo della storia, considerata come valore autonomo, pur nella varietà di o-
rientamenti e di posizioni che de Martino non manca di sottolineare nella complessa vicenda
storica di sviluppo del cristianesimo (emergenti molto spesso proprio in quei meccanismi cul-
turali attivi in ambiti subalterni), inevitabilmente sacrifichi le non poche specificità emergenti
dal cristianesimo soprattutto antico, che, come è noto, racchiude al suo interno una varietà di
istanze e di posizioni difficilmente ingabbiabili in una prospettiva ideologica unitaria.
488 SAGGI / ESSAYS
punti, si potrebbe pensare che de Martino volesse partire dai testi più
noti, utili soprattutto a mettere in luce la concezione proto cristiana del
tempo finale in rapporto al tempo storico e all’evento Cristo. Ma se an-
che ciò fosse, il giungere alle apocalisse proto cristiane senza il tramite
delle apocalissi giudaiche del periodo del secondo Tempio è fattore che
inevitabilmente conduce ad una sopravvalutazione del novum cristiano
rispetto al giudaismo.
I testi apocalittici del Nuovo Testamento portano, quasi inevitabil-
mente, la riflessione demartiniana verso uno dei principali nodi che ebbe
un posto di rilievo nel dibattito scientifico in merito alle origini del cri-
stianesimo della teologia tedesca del primo cinquantennio del novecen-
to: il differimento della parusía e quella che de Martino definisce, in
maniera icastica, interpretazione del cristianesimo come grandioso
complesso funerario. Per de Martino il tempo cristiano, a differenza di
quello giudaico, pur oscillando tra due dimensioni fondamentali, quella
dell’attesa costante della fine (attesa della parusía di Cristo, che in alcu-
ni gruppi proto cristiani era ritenuta imminente e, quindi, come punto di
arrivo e di arresto della storia umana) e quella della riproposizione nel
culto della ciclicità tipica di alcune religioni del mediterraneo antico (la
liturgia come riproposizione continua di un passato ritenuto fondativo),
presenta una nuova ripartizione a partire dal centro della storia santa:
«Giudaismo e cristianesimo hanno una diversa prospettiva del tempo: entrambi
lo dividono nella tripartizione di tempo prima della creazione, tempo compreso
dalla creazione al Regno, e tempo del Regno. Ma il tempo mondano, quello tra
creazione e Regno, nel giudaismo è vissuto nella prospettiva di un evento cen-
trale futuro, la venuta del Messia; nel Cristianesimo, invece, il centro è retro-
cesso dal futuro al passato, onde dopo questo centro “il Regno già comincia”.
L’emergenza della storia per entro il simbolo cristiano si compie attraverso
questa retrocessione del termine (la parusía) al centro (il Cristo) dell’aión pre-
sente, mantenendo tuttavia il termine come compimento e come seconda paru-
sía: onde dalla prima alla seconda parusía il Regno, che nella concezione giu-
daica è soltanto una promessa del futuro, si inizia e cresce e si compie già qui
ed ora, nella celebrazione liturgica dell’agape, e nella espansione mondana di
questa stessa agape di cui si è fatta provvista nel rito eucaristico. La eucaristia
quindi acquista dunque il significato di ripresentare sempre il centro “passato”
della storia della salvezza, cioè la prima parusía, via via che il tempo presente
passa: e per questa ripresentazione del centro passato, che è origine della nuova
epoca, il presente viene di volta in volta riassorbito nel piano escatologico, en-
trando in partecipazione con i tempi estremi della seconda parusía»32.
«Occorre individuare la “crisi” della fine e il riscatto culturale operato dal Cri-
stianesimo mediante il ridischiudersi dell’orizzonte della storia operabile, del
__________
32
La fine del mondo, brano 174.1, pp. 310-311.
492 SAGGI / ESSAYS
Per il teologo alsaziano la prospettiva cristiana non può fare altro che
abbattere la dicotomia, tipica della cultura greca, tra tempo ed eternità.
Se, infatti, il mondo greco pone un’alterità qualitativa irriducibile tra
tempo ed eternità (intesa come assenza di tempo), per cui il tempo è ri-
dotto a simbolo dell’eternità, ovvero durata successiva delle cose, e il
tempo stesso si trova ad essere una sorta di limite, di ostacolo, all’azione
divina 36, per i cristiani tale dualismo non può più costituire problema;
essi non concepiscono l’eternità come una vittoria sul tempo e, quindi,
come una sua conseguente eliminazione37. Per capire l’insussistenza del
problema del tempo per i primi cristiani, secondo Cullmann, è necessa-
rio partire da due domande fondamentali: qual è la loro idea di tempo?
Non solo, spiega, non è concepito come ostacolo all’azione di Dio, ma
anzi è considerato come il mezzo attraverso il quale Dio giunge a salva-
re l’uomo; Dio è «il Signore del tempo» (Ap 1,4), cioè usa il tempo per
realizzare, attraverso di esso, il suo piano di salvezza 38. L’altra domanda
è la seguente: qual è la loro idea di eternità? Rientra, secondo il nostro
Autore, nella loro concezione dell’aion: questo ricopre sia le nozioni di
tempo limitato che illimitato (cioè l’eternità); per questo l’eternità è suc-
cessione temporale illimitata, quindi, come successione, è temporalità
per eccellenza, per cui non viene a crearsi nessuna dicotomia tra tempo
ed eternità, nessuna alterità qualitativa39. Non stupisce che tale visione
del Cullmann venisse giudicata insufficiente già nell’ambito di alcuni
studi teologici della sua epoca40: il porre alla base della visione del tem-
po proto cristiano la sola concezione biblica dell’aión, porta inevitabil-
mente il teologo alsaziano a sottovalutare il fatto che già nel giudaismo
del periodo ellenistico-romano esistessero idee diverse in merito ad una
differenza qualitativa tra tempo ed eternità. Lo stesso de Martino, dun-
que, partendo da una puntuale analisi dell’opera del Cullmann, spesso
nota in essa una certa mancanza di storicità.
«Ma questo simbolo cristiano a sua volta ha una storia interna di formazione:
poiché se Cristo per i cristiani è un evento passato, Gesù in vita non poteva ov-
viamente rivivere il Cristo crocefisso e risorto come un “passato”, ma in Lui
doveva porsi in primo piano l’accento sul termine ultimo, sulla fine del mondo
e sull’avvento del Regno: Gesù stava in prossimità dei tempi estremi, toccava il
margine di una storia giunta al suo termine. Per lo storico sta dunque in primo
piano il problema di questo continuo spostamento di accenti nella storia proto-
__________
no, in «Gradhiva» 28(2000), pp. 23-32; Il simbolismo cristiano visto da Ernesto de Martino,
in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 72(2006), pp. 125-136.
36
Cfr. Cullmann, Studi di teologia biblica, pp. 44.53.
37
Ibi, p. 43.
38
Ibi, p. 53.
39
Ibi, p. 54.
40
Ad esempio, cfr. P. Althaus, Die letzten Dinge, Mohn, Gütersloh 1956, p. 339.
494 SAGGI / ESSAYS
cristiana, per cui alla prospettiva estrema della predicazione di Gesù si venne so-
stituendo la prospettiva del Cristo morto e risorto come evento centrale passato
della storia della salvezza: la prospettiva di un Regno già cominciato con quella
morte e risurrezione, e tuttavia ancora da compiersi con la seconda parusía»41.
Ciò non ostante, nella ciclicità del culto cristiano si dischiude una
storia radicalmente nuova rispetto alle precedenti: si rende possibile il
rinvio continuo e sistematico degli eventi legati alla fine, garantendo un
orizzonte temporale all’azione missionaria.
Proprio in merito al rapporto tra tempo lineare della religione e tem-
po in fieri della storia (tempo etico) si consuma il dibattito teologico sul-
la cosiddetta «liberazione del cristianesimo» dal suo involucro «mitico»
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zioni generali sull’opera del teologo alsaziano appaiono, in tal senso, illuminanti: «È senza
dubbio una impostazione errata attribuire al ritardo della parusía la de-escatologizzazione del
cristianesimo primitivo, poiché il problema è di individuare una dinamica del Regno, una
qualità del modo di esperirlo, per cui già sin dall’inizio era al coperto dai rischi del rinvio,
così come fu poi al coperto dai rischi della morte violenta del maestro e ne riplasmò l’evento
nella cristologia» (La fine del mondo, brano 174.9, p. 324). Pur rimanendo nell’ambito della
terminologia cullmanniana, de Martino la riformula in una direzione che lo stato dei fram-
menti in nostro possesso non ci permette di valutare in tutta la sua reale portata (cfr. La fine
del mondo, brano 175, p. 324, commento all’articolo di O. Cullmann, Das wahre durch die
ausgebliebene Parusia gestellte neutestamentliche Problem, in «Theologische Zeitschrift»
3/3(1947), pp. 177-191).
48
Cfr. La fine del mondo, p. 283.
49
La fine del mondo, brano 123, pp. 241-242.
498 SAGGI / ESSAYS
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53
La fine del mondo, brano 177.1, p. 327.
54
Cfr. R. Bultmann, Offenbarung und Heilsgeschehen, in Kerygma und Mythos, Herbert
Reich Evangelischer Verlag, Hamburg 1954, pp. 15-48. A p. 23 Bultmann afferma: «[nel cri-
stianesimo delle origini] da un lato l’uomo è inteso come un’entità cosmica, dall’altro come un
io autonomo, che è salvato o dannato dalla sua decisione personale». La stessa idea era difesa da
R. Schnackenburg (cfr. Gottes Herrschaft und Reich. Eine biblisch-teologische Studie, Herder,
Freiburg-Basel-Wien 1956): Gesù non avrebbe fatto altro che elevare il concetto apocalittico
della sovranità di Dio a idea salvifica di contenuto «puramente religioso» (ibi, p. 62). La tesi di
Bultmann si opponeva con forza a quella di A. Schweitzer, tesi che oggi viene definita della «e-
scatologia conseguente» (su cui cfr. anche La fine del mondo, brani 174.4.7.264.274.278) e ri-
presa anche dallo storico della dogmatica Martin Werner (cfr. Die Entstehung des christlichen
Dogmas, P. Haupt, Bern 1941; 19532), secondo il quale alla base dell’escatologia apocalittica vi
era un vero e proprio universalismo, quello stesso universalismo ripreso dal cristianesimo delle
origini (cfr. ibi, p. 8). La tesi di Bultmann è stata anche al centro di un aspro dibattito tra il mae-
stro e uno dei suoi più celebri discepoli, Ernst Käsemann (cfr. Die Anfänge christlicher Theolo-
gie, in «Zeitschrift für Theologie und Kirche» 57 [1960], pp. 160-186). Per Käsemann il Nuovo
Testamento avrebbe avuto lo scopo di interpretare l’antica alleanza in chiave essenzialmente
apocalittica e con lo sguardo sempre rivolto alla parusía del Figlio dell’Uomo. Per Käsemann,
inoltre, sarebbe stata proprio l’apocalittica a rendere possibile la presenza di un pensiero storico
all’interno del Nuovo Testamento (cfr. ibi, p. 175; si veda, per un quadro generale delle tesi di
Käsemann, R. Penna, Apocalittica e origini cristiane: lineamenti storici del problema, in
«Ricerche storico-bibliche» 7/2, 1995, pp. 11-13).
500 SAGGI / ESSAYS
scontentare tutti, teisti e umanisti, i primi perché vi troveranno troppo poco mi-
57
to e i secondi perché ve ne troveranno ancora troppo» .
De Martino ritorna sulle tesi di Geschichte und Eschatologie, in oc-
casione della pubblicazione della traduzione italiana del volume di Bul-
tmann58, nel corso di un dibattito apparso sulla rivista De Homine nella
primavera del 196459. Qui lo storico delle religioni italiano rileva che la
tesi del teologo ha un sapore inevitabilmente storicistico, per cui va letta
come un’ulteriore prova della presenza di un lievito umanistico attivo
nel pensiero cristiano, come un esplicito riconoscimento della positività
della storia. Ma è una tesi che, al tempo stesso, più o meno espressa-
mente, taglia via dall’esperienza del credente simboli che non sono af-
fatto estranei alla fede religiosa cristiana e che contribuiscono alla fon-
damentale operazione di non lasciare il soggetto in balia di una crisi de-
strutturante60. Emerge, in tale contesto, la nozione di tempo etico, ovve-
ro un tempo che parte da un centro, da un evento-frattura capace di im-
primere una nuova direzione alla storia e di prospettare una nuova meta,
da raggiungere e superare61.
A differenza delle tesi del Cullmann, di cui de Martino rileva la so-
stanziale rigidità a-storica, ma di cui riprende, grossomodo, la formula-
zione generale, nel caso della critica a Bultmann ci troviamo di fronte ad
un rigetto totale dell’impostazione di fondo:
«Malgrado ogni apparenza egli si muove ancora nel solco tradizionale di un eu-
ropeismo dogmatico, che nella misura in cui è impegnato a verificare i titoli del
suo privilegiato rapporto col divino lascia senza lume il compito decisivo della
nostra epoca, cioè la lotta contro la dispersione delle genti e contro la moltepli-
cità irrelata delle loro storie corporative»62.
__________
57
La fine del mondo, brano 177.3, p. 331.
58
Cfr. R. Bultmann, Storia ed escatologia, cit.
59
Cfr. E. de Martino, A proposito del volume di Rudolph Bultmann Storia ed escatolo-
gia, cit.
60
Cfr. P. Angelini, Ernesto de Martino, cit., pp. 136-138.
61
Cfr. ibi, p. 138. Si veda anche quanto de Martino afferma ne I fondamenti di una teo-
ria del sacro (in E. de Martino, Storia e metastoria, cit., pp. 99-138): «La Pasqua è il vertice
di destorificazione dell’anno liturgico cattolico. La settimana di Pasqua è la settimana esem-
plare, la domenica di Pasqua il punto di riduzione di tutti i giorni dell’anno: così tutte la altre
settimane e tutte le altre domeniche ripetono quella settimana e quella domenica […]. La Pa-
squa è il giorno in cui l’uomo-dio è risorto vincendo la morte; la vigilia di Pasqua fu il model-
lo delle vigilie cimiteriali presso le tombe dei martiri, e le vigilie cimiteriali dettero luogo alle
feste dei martiri». Sebbene de Martino ammetta la profondità della costruzione cristiana del
tempo, evidenzia anche come, in quanto Religione, il cristianesimo non possa offrire ai cre-
denti la possibilità di vivere la fede in una storia, ma solo fuori di essa.
62
La fine del mondo, brano 177.4, p. 333.
502 SAGGI / ESSAYS
__________
63
Secondo alcuni apocalittici «an absolutely fixed future exists, which they perceived,
not as the inevitable outcome of present conduct, but rather as the violent revolution of the
present situation»: E.C. Porter, The Messages of the Apocalyptical Writers, Charles Scrib-
ner’s Sons, London-New York 1905, pp. 66ss.
64
In merito cfr. J. Chapa, La antropología teológica de Rudolf Bultmann, in «Scripta
Theologica» 36(2004), pp. 231-257.
LUCA ARCARI - L’APOCALITTICA GIUDAICA E PROTO CRISTIANA 503
guel86, M.J. Lagrange87, J. Bonsirven88, per l’area francese. Tutti gli stu-
diosi richiamati, non ostante alcune specificità e particolarità, rappresen-
tano, in sostanza, due tendenze: quella che potremmo definire
dell’allontanamento (o della svalutazione), per cui l’apocalittica è, in
realtà ciò da cui il cristianesimo delle origini si è distanziato, oppure
quella del perfezionamento, per cui è l’apocalittica ciò che ha permesso
lo sviluppo del cristianesimo delle origini89. In entrambi i casi, siamo di
__________
84
Cfr. Theologie des Alten Testaments, Kaiser, München 1960 (19654). Certamente
quella del von Rad è una delle prospettive che più ha pesato nella storia degli studi sul feno-
meno apocalittico. L’A. ha trattato il tema dell’apocalittica in maniera diversa a seconda delle
edizioni della sua Theologie: se nella prima (1960) l’accento viene messo sull’escatologia
delle apocalissi (descritta attraverso i concetti di dualismo, trascendentalismo ed esoterismo:
cfr. ibi, pp. 314 s.), nella quarta edizione (1965) viene soppressa la parte inerente
all’escatologia (si parla solo di «vivo interesse per gli eschata»: ibi, p. 319), e scompare la
trattazione sui rapporti tra apocalittica e messianismo, per meglio definire i rapporti tra apoca-
littica e sapienza. Per quanto concerne la visione apocalittica della storia, il von Rad la defini-
sce attraverso i concetti di «determinismo», «gnosi universale di aspetto del tutto ibrido»,
«macroscopica perdita di senso storico», «concezione gnosticizzante di un decorso calcolabi-
le», «pensiero a-storico», «abrogazione della contingenza». Per quanto concerne l’origine
dell’apocalittica, il von Rad vede nella sapienza il precedente più immediato dell’enciclo-
pedismo e della parenesi apocalittici; anche i brani più espressamente escatologici, per il von
Rad, vanno inquadrati in una discorso più ampio, di carattere sapienziale.
85
Cfr. Einleitung in das Alte Testament, unter Einschluss der Apokryphen und Pseude-
pigraphen, sowie der apokryphen- und pseudepigraphenartigen Qumranschriften, Mohr, Tü-
bingen 19642. Eissfeldt è uno dei primi studiosi a mettere a frutto le scoperte di Qumran per
una definizione dell’apocalittica. Per lui l’apocalittica è diretta discendente del profetismo
veterotestamentario (sebbene gli apocalittici, a differenza dei profeti, vadano considerati
scrittori e non oratori).
86
Cfr. Eschatologie et apocalyptique dans le christianisme primitif, in «Revue de
l’Histoire des Religions» 106(1932), pp. 381-434; 489-524. Lo studio si pone sulla scia di
certa teologia del primo cinquantennio del ’900. L’A. sviluppa la tesi del Gesù «non apocalit-
tico» e di una comunità primitiva «apocalittica». In una prima fase della sua predicazione Ge-
sù si sarebbe rifatto a Giovanni Battista, espressione di un gruppo apocalittico, ma per poi
discostarsene (cfr. ibi, p. 387). Gesù avrebbe accolto la teoria dei due eoni solo perché piutto-
sto diffusa; ma sarebbero del tutto assenti, nella sua predicazione, i tratti salienti e distintivi
del pensiero apocalittico: la fine del mondo, la venuta imprevedibile del Figlio dell’Uomo, la
disfatta definitiva ed ultima di Satana.
87
Cfr. Le judaisme avant Jésus-Christ, J. Gabalda, Paris 1931. L’A. si concentra sui
rapporti tra profezia ed apocalittica (ibi, pp. 70-81) e sulle idee tipiche dell’apocalittica (ibi,
pp. 81-90). Queste possono essere facilmente riassunte nell’idea della basileia tou Theou,
concetto definitivamente perfezionato dal cristianesimo delle origini.
88
Cfr. Le judaisme palestinien au temps de Jésus-Christ, I-II voll., Beauchesne, Paris
1935. Per l’A. quello apocalittico sarebbe un gruppo che odia la realtà, fattasi insopportabile,
e che si rifugia nell’attesa spasmodica di un futuro di rinnovamento. Non ostante tali premes-
se, però, per Bonsirven gli apocalittici «non hanno affatto preparato la strada a Cristo, anzi è
vero il contrario; esasperando essi l’idea di un Messia glorioso, potente in forza terrena, con-
tribuirono ad irretire viepiù Israele nel tragico errore, la cui conseguenza doveva essere il de-
litto del Golgota» (K. Koch, Difficoltà dell’apocalittica, p. 119).
89
Si veda anche quanto affermava W. Bousset, Die jüdische Apokalyptik, ihre religion-
sgeschichtliche Herkunft und ihre Bedeutung für das neue Testament, Reuter & Reichard,
LUCA ARCARI - L’APOCALITTICA GIUDAICA E PROTO CRISTIANA 509
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Berlin 1903, capostipite dell’indagine cosiddetta «storico-religiosa» in merito all’apocalittica:
cfr. L. Arcari, Apocalisse di Giovanni e apocalittica giudaica, cit.
90
Cfr. Die Anfänge, cit., pp. 184-186. Cfr. anche Penna, Apocalittica e origini cristiane,
cit., pp. 11-13.
510 SAGGI / ESSAYS
Che Collins intenda Content nel senso di una speciale visione del
mondo, e non come una specifica ideologia di uno specifico gruppo, si
evince dai numerosi studi che l’A. ha dedicato all’argomento: le osser-
vazioni riguardanti il contenuto apocalittico sono sempre formulate in
base ad osservazioni di tipo letterario e formale103. La stessa definizione
__________
100
Cfr. Introduction. Towards the Morphology of a Genre, in «Semeia» 14(1979), p. 28.
101
Pseudonymity, Historical Reviews and the Genre of the Revelation of John, cit., pp.
329-330.
102
Ibi, p. 330.
103
Cfr. Introduction. Towards the Morphology of a Genre, cit.; The Apocalyptic Imagi-
nation. An Introduction to Jewish Apocalyptic Literature, Eerdmans, Grand Rapids 1998²: «If
the word “apocalypticism” is taken to mean the ideology of a movement that shares the con-
ceptual structure of the apocalypses, then we must recognize that there may be different types
of apocalyptic movements, just as there are different types of apocalypses» (p. 13). «The
study of the apocalyptic genre rejects the genetic orientation of previous scholarship and
places its primary emphasis on the internal coherence of the apocalyptic texts themselves
[…]. It is generally agreed that apocalypse is not simply “a conceptual genre of the mind” but
is generated by social and historical circumstances. On the broadest level “the style of an ep-
och can be understood as a matrix insofar as it furnishes the codes or raw materials – the typi-
cal categories of communication – employed by a certain society” (cit. da R. Knierim, «Old
Testament Form Criticism Reconsidered», in Interpretation 27 [1973], p. 464) (pp. 21-22)».
Ma, al di là di questo, Collins specifica: «The more specific social and historical matrices of
apocalyptic literature will be discussed in relation to specific texts. Older scholarship in this
area has suffered from excessive hastiness because of the tendency to assume that the setting
of one or two well-known apocalypses is representative of the whole genre […]. We cannot
assume a priori that the Enoch literature attests the same phenomenon that anthropologists, on
LUCA ARCARI - L’APOCALITTICA GIUDAICA E PROTO CRISTIANA 513
__________
107
Ibi, p. 333: «Evidently the author of Revelation felt that a revelation of Jesus Christ
would be accepted by his audience without the added authority of such a pseudonymous vi-
sionary. The lack of pseudonymity, then, reflects the heightened eschatological fervor of the
early Christian community and its greater receptivity for apocalyptic revelations. In departing
from the use of pseudonymity, Revelation merely dropped one of the accrediting devices of
apocalyptic style which was found superfluous in the historical context. This omission is not
sufficient to indicate a new genre».
108
Ibi, p. 332: «The second factor involved in pseudonymity is that it created the possi-
bility of ex eventu prophecy. If Daniel, speaking in the time of the exile, is to prophecy the
future course of history he must fill in a few hundred years before he reaches the time of the
real author. The accuracy of the ex eventu prophecy confirms the reliability of the real predic-
tion and so augments its prestige».
109
Collins nota, però, come la rievocazione attuata da 4Ezra non sia presentata come una
profezia ex eventu, ma come un esplicita rievocazione storica.
110
Ibi, p. 335: «The review of history is designed to enable the reader to recognize his
place in the course of history by identifying the last “prediction” which has been fulfilled».
111
Ibi, p. 335.
LUCA ARCARI - L’APOCALITTICA GIUDAICA E PROTO CRISTIANA 515
__________
121
Cfr. Esiste una letteratura farisaica del secondo Tempio?, in «Ricerche storico-
bibliche» 11(1999), pp. 23-41. Sull’appartenenza di Daniele a quei circoli di ascendenza “sa-
docita” avversati dagli stessi enochici cfr. Roots of Rabbinic, cit., spec. pp. 172-176.
122
Per questo la critica che Collins faceva al “riduzionismo” degli studi del Sacchi non
sembra pienamente giustificata (cfr. J.J. Collins, Seers, cit., pp. 35-36); Sacchi non nega, al-
meno a livello di principio, l’esistenza di un “genere letterario apocalittico” (cfr. P. Sacchi,
L’apocalittica giudaica, cit., pp. 22-26.39-42), ma i suoi studi hanno, per così dire, un’altra
“mira”, capire se dietro i “testi” apocalittici possa esserci un gruppo o se questi siano il pro-
dotto di più gruppi sociali. Più recentemente, d’altronde, lo stesso Sacchi ha dichiarato che
oggi non intitolerebbe più il suo volume L’apocalittica giudaica e la sua storia (cfr. La teolo-
gia dell’enochismo antico e l’apocalittica, in «Materia giudaica» 7[2002], pp. 7-13; The Book
of the Watchers as an Apocalyptic and Apocryphal Book, in «Henoch» 30[2008], pp. 4ss.).
123
Cfr. G. Boccaccini, Roots of Rabbinic Judaism, cit., pp. 73-82 e, prima, P.P. Jenson,
Graded Holiness. A Key to the Priestly Conception of the World, Academic Press, Sheffield
1992. Il “sistema socio-religioso” dei gruppi di ascendenza sadocita si concentra attorno
all’ordine gerarchico che sta attorno al Tempio, ordine che riproduce quello cosmico di Dio.
Il racconto enochico della caduta degli angeli è specchio di un’esperienza di esclusione e di
disordine che ha interrotto un breve periodo di ordine (cfr. D.W. Suter, Fallen Angels, Fallen
Priest. The Problem of Family Purity in 1 Enoch 6-16, in «Hebrew Union College Annual»
50[1979], pp. 115-135; G. Boccaccini, Roots of Rabbinic Judaism, cit., p. 99).
520 SAGGI / ESSAYS
__________
124
A titolo esemplificativo, recentemente cfr. G.W.E. Nicklesburg, From Roots to
Branches. 1 Enoch in Its Jewish and Christian Contexts, in H. Lichtenberger-G.S. Oegema
(eds.), Jüdische Schriften in ihrem antik-jüdischen und urchristlichen Kontext, Mohn, Güter-
sloh 2002, pp. 335-346; M. Barker, The Great High Priest. The Temple Roots of Christian
Liturgy, T. & T. Clark, London-New York 2003; M. Del Verme, Didache and Judaism, cit.,
pp. 221-262; A. Yosiko Reed, Fallen Angels and the History of Judaism and Christianity.
The Reception of Enochic Literature, Cambridge University Press, Cambridge 2005.
125
Cfr. G.W.E. Nickelsburg, Enoch, Levi, and Peter. Recipients of Revelation in Upper
Galilee, in «Journal of Biblical Literature» 100(1981), pp. 575-600; D.W. Suter, Why Gali-
lee? Galilean Regionalism in the Interpretation of 1 Enoch 6-16, in «Henoch» 25(2003), pp.
167-212. Anche per quanto concerne il possibile “giudaismo” dell’Apocalisse neotestamenta-
ria, in seguito agli studi richiamati è apparso evidente che non è possibile addebitarlo ad una
fumosa apocalittica giudaica. Dalla disamina condotta quello che emerge è che è assoluta-
mente impossibile parlare di apocalittica come di un vero e proprio movimento del giudaismo
del secondo Tempio: la definizione di apocalittica giudaica è utilizzabile solo come classifi-
cazione esclusivamente formale e letteraria (genere letterario con cornice narrativa nel quale
viene mediata da un essere soprannaturale una rivelazione destinata ad un gruppo che si per-
cepisce in crisi. Naturalmente, come vedremo fra poco, il concetto di crisi può essere inteso
in modi piuttosto diversi, ma non necessariamente in chiave politica o di contrasto con
l’impero romano). Per i nuovi approcci sui rapporti tra apocalittica e Apocalisse, cfr. D. Fran-
kfurter, The Legacy of Jewish Apocalypses in Early Christianity. Regional Trajectories, in W.
Adler-J.C. Vanderkam (eds.), The Jewish Apocalyptic Heritage in Early Christianity, Van
Gorcum-Fortress Press, Assen-Minneapolis 1996, pp. 129-200; L.L. Thompson, Social Loca-
tion of Early Christian Apocalyptic, in H. Temporini-W. Haase (eds.), Aufstieg und Nieder-
gang der römischen Welt II.26.3, Walter de Gruyter, Berlin 1996, spec. pp. 2645-2646; S.E.
Goranson, Essene Polemic in the Apocalypse of John, in M. Bernestein-F.García Martínez-J.
Kampen (eds.), Legal Texts and Legal Issues. Proceedings of the Second Meeting of the In-
ternational Organization for Qumran Studies (Cambridge, 1995), Published in Honour of
Joseph M. Baumgarten, Brill, Leiden-New York-Köln 1997, pp. 453-460; D.E. Aune, Qum-
ran and the Book of Revelation, in P.W. Flint-J.C. VanderKam (eds.), The Dead Sea Scrolls
After Fifty Years: A Comprehensive Assessment, vol. II, Brill, Leiden-Boston-Köln 1999, pp.
622-648; Lupieri, L’Apocalisse, cit.; D.E. Aune, Apocalypticism, Prophecy, and Magic in
Early Christianity, Mohr, Tübingen 2006, pp. 1-65; 150-174; 280-319.
LUCA ARCARI - L’APOCALITTICA GIUDAICA E PROTO CRISTIANA 521
__________
grapha and Early Biblical Interpretation, Academic Press, Sheffield 1993, pp. 246-268; J.R.
Davila, The Hekhalot Literature and Shamanism, in SBL Seminar Papers 1994, pp. 767-789;
E.R. Wolfson, Visionary Ascent and Enthronement in the Hekhalot Literature, in Id. (ed.),
Through a Speculum That Shines, Princeton University Press, Princeton 1994, pp. 74-124; M.
Smith, Ascent to the Heavens and the Beginning of Christianity, in Id., Studies in the Cult of
Yahweh. II. New Testament, Early Christianity, and Magic, edited by S.J.D. Cohen, Brill,
Leiden 1996, pp. 47-67; J.M. Scott, Throne-Chariot Mysticism in Qumran and in Paul, in
C.A. Evans-P.W. Flint (eds.), Eschatology, Messianism, and the Dead Sea Scrolls, Eerdmans,
Grand Rapids, Michigan-Cambridge, U.K. 1997, pp. 101-119; J.A. Filho, The Apocalypse of
John as an Account of a Visionary Experience. Notes on the Book’s Structure, in «Journal for
the Study of New Testament» 25(2002), pp. 213-234; P.A. de S. Nogueira, Celestial Worship
and Ecstatic-Visionary Experience, in «Journal for the Study of New Testament» 25(2002),
pp. 165-184; V.D. Arbel, Beholders of Divine Secrets, State University of New York Press,
Albany 2003; C. Tretti, Enoch e la sapienza celeste. Alle origini della mistica ebraica, Giun-
tina, Firenze 2007; C. Fletcher-Louis, Religious Experience and the Apocalypses, in F.
Flannery-C. Shantz-R.A. Werline (eds.), Experientia, Volume I. Inquiry into Religious Ex-
perience in Early Judaism and Early Christianity, SBL Press, Atlanta 2008, pp. 125-144; A.
Destro-M. Pesce, Il viaggio celeste in Paolo. Tradizione di un genere letterario apocalittico o
prassi culturale in contesto ellenistico-romano?, in L. Padovese (ed.), Paolo di Tarso. Arche-
ologia, storia, ricezione, Effatà, Torino 2009, I vol., pp. 401-435.
130
Ad esempio cfr. Giuda 14-15; ma cfr. anche Orig., In Math. 27,11 (ed. Klostermann,
in GCS 38, 250); Clem. Alex., Strom. 3, 16 (ed. Stählin-Früchtel, in GCS 15, 242); Ier., In
Dan. 3,11,1 (ed. Glorie, in CCSL 75, 897). In merito cfr. anche L. Arcari, La titolatura
dell’Apocalisse di Giovanni: “apocalisse” o “profezia”? Appunti per una ri-definizione del
“genere apocalittico” sulla scorta di quello “profetico”, in «Henoch» 23(2001), pp. 243-
265. La questione della categorizzazione di Daniele è molto complessa; in merito, comunque,
cfr. M. Nobile, Il canone e il concetto di profezia nella questione della trasmissione-ricezione
di testi quali i Profeti anteriori e Daniele come opere profetiche, in «Ricerche storico-
bibliche» 11(1989), pp. 107-129.
524 SAGGI / ESSAYS
__________
sua classificazione abbiamo così rivelazioni con viaggio ultraterreno (tra cui quello celeste) o
senza di esso. La sua classificazione in sostanza non è nient’altro che un modello politetico,
in cui il viaggio celeste è uno degli elementi che possono ritrovarsi in fenomeni rivelativi, ma
possono anche non verificarsi, senza che il fenomeno rivelativo cessi di essere tale. Il viaggio
celeste è però un fenomeno in sé che non si riduce a quello di rivelazione, anche se può essere
esaminato dal punto di vista rivelativo. Esso può e deve essere classificato indipendentemente
dal concetto di rilevazione. b. A noi sembra, complessivamente, che il viaggio celeste sia una
forma religiosa molto densa e molto rielaborata in tutto il mondo antico medio-orientale, gre-
co e romano. Non stupisce perciò di trovarlo anche all’interno di diversi gruppi giudaici e
successivamente nei diversi tipi di tendenze e comunità protocristiane, tra cui anche in Paolo.
Questa forma di esperienza e pratica religiosa va posta accanto ad altre estremamente diffuse,
come la preghiera o il sacrificio, nessuna delle quali è caratteristica esclusiva di una sola reli-
gione o gruppo religioso. Questa pratica fa parte dell’insieme degli atti religiosi di cui uomini
e donne del mondo antico disponevano per raggiungere gli scopi religiosi che si proponevano.
In ogni cultura, in ogni religione e in ogni gruppo questa pratica ha assunto (come del resto è
capitato anche per la preghiera o il sacrificio) contenuti, forme, funzioni e scopi differenti».
135
Per una prospettiva sul problema, con ulteriori riferimenti bibliografici, cfr. J.M. At-
kinson, Shamanisms Today, in «Annual Review of Anthropology» 21(1992), pp. 307-330. Si
veda anche la recente messa a punto di S. Botta, Gli animali simbolici nella tradizione scia-
manica, in A.M.G. Capomacchia (ed.), Animali tra mito e simbolo, Carocci, Roma 2009, pp.
25-46; Id., La via storicista allo sciamanismo: prospettive archeologiche e storia delle reli-
gioni, in A. Saggioro (a cura di), Sciamani e sciamanesimi, Carocci, Roma 2010, pp. 59-86.
136
Per la definizione di Eliade, cfr. Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Ed.
Mediterranee, Roma 1974. In particolare, per le connessioni apocalittica/sciamanesimo, cfr.
F. Flannery-Dailey, Dream Incubation and Apocalypticism in Second Temple Judaism, Paper
presented at the 2000 Annual Meeting of the Society of Biblical Literature; Ead., Dreamers,
Scribes, and Priests, cit.; prima ancora, cfr. J. Teixidor, The Pagan God: Popular Religion in
the Greco-Roman Near East, University Press, Princeton 1977; più recentemente, cfr. anche
Davila, The Hekhalot Literature and Shamanism, cit.; A.F. Segal, The Afterlife as Mirror of
the Self, in F. Flannery-C. Shantz-R.A. Werline (eds.), Experientia, Volume I, cit., pp. 19-40;
T. Engberg-Pedersen, Paul’s Rapture: 2 Corinthians 12:2-4 and the Language of the Mystics,
ibi, pp. 147-157.
137
F. Bowie, The Anthropology of Religion: An Introduction, Blackwell, Oxford 2000,
pp. 190-191.
526 SAGGI / ESSAYS
__________
145
Tale atteggiamento polemico è stato ulteriormente indagato anche per quanto concerne
alcuni aspetti ideologici emergenti dal Libro dei Vigilanti e dalla successiva tradizione enochica,
aspetti che, non a caso, hanno avuto un’importante ricaduta anche in seno a numerose istanze
ideologiche espresse da alcuni gruppi del giudaismo ellenistico-romano in opposizione al Tem-
pio di Gerusalemme. In questa sede non possiamo che rimandare a una serie di studi che fanno il
punto sulla situazione: in merito ai rapporti tra tradizione enochica e giudaismo templare, si ve-
dano le analisi di D.W. Suter, Temples and Temple in the Early Enoch Tradition. Memory,
Vision, and Expectation e M. Himmelfarb, Temple and Priests in the Book of the Watchers, the
Animal Apocalypse, and the Apocalypse of Weeks, in G. Boccaccini-J.J. Collins (eds.), The E-
arly Enoch Tradition, Brill, Leiden 2007, rispettivamente alle pp. 195-218 e 219-236; per quanto
concerne il ruolo della tradizione enochica nella definizione dell’identità qumranica, sostanzial-
mente oppositiva rispetto all’ambiente del Tempio, si veda, a titolo esemplificativo, D.W. Suter,
Theodicy and the Problem of the ‘Intimate Enemy’, in G. Boccaccini (ed.), Enoch and Qumran
Origins, cit., pp. 329-335.
LUCA ARCARI - L’APOCALITTICA GIUDAICA E PROTO CRISTIANA 529
__________
146
Per lo studio della profezia giudaica antica secondo questa prospettiva, a titolo esem-
plificativo cfr. T.W. Overholt, Prophecy in Cross-Cultural Perspective. A Sourcebook for
Biblical Researchers, SBL Press, Atlanta 1986; Id., Channels of Prophecy. The Social Dy-
namics of Prophetic Activity, Fortress Press, Minneapolis 1989; J.J. Pilch, The Nose and Al-
tered States of Consciousness. Tascodrugites and Ezekiel, in «Hervormde Teologiese Stud-
ies» 58(2002), pp. 708-720; Id., Visions and Healing in Acts of the Apostles. How the Early
Believers Experienced God, The Liturgical Press, Collegeville 2004. Si vedano anche i rife-
rimenti e la trattazione presenti in D. Tripaldi, Lo spirito e la memoria: esperienza “profeti-
ca” e ricordo di Gesù nell’Apocalisse di Giovanni, Baiesi, Bologna 2007.
147
L’elemento della scrittura, in riferimento a quanto il visionario ha visto nella sua e-
sperienza di contatto con l’oltre-mondo, ritorna con una certa frequenza nei testi c.d. apocalit-
tici del giudaismo del secondo Tempio e del proto cristianesimo: cfr. 1Enoc 13,4-6, 14,1,
92,1, 93,1-3, 106,19-107,1, 108,1.10, Giubilei 1,26-28, 4,17-19, 2Baruc 78,1-2, 86,1-87,1,
4Ezra 12,37-39, 14,6.24-26.37-48, Apocalisse 1,3.11, 2,1.8.12.18, 3,1.7.14, 21,5, 22,7.9-
10.18-19, Ascensione di Isaia 6,17.
148
Sul tema, in generale, si veda C. Grottanelli, Profezia e scrittura nel Vicino Oriente,
in «La ricerca folklorica» 5(1982), pp. 57-62 (ora in Id., Kings and Prophets. Monarchic
Power, Inspired Leadership, and Sacred Text in Biblical Narrative, Oxford University Press,
Oxford-New York 1999, pp. 173-184).
530 SAGGI / ESSAYS
ABSTRACT