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La filosofia nel sistema teologico di Tommaso d’Aquino

Mons. Antonio Livi

Articolo di Antonio Livi pubblicato dall’Osservatore Romano il 2 giugno


2010, lo stesso giorno nel quale il papa Benedetto XVI ha parlato di
Tommaso d’Aquino nella consueta catechesi del mercoledì.

 Già dagli ultimi decenni del Novecento e soprattutto in questo primo decennio del Duemila
il panorama filosofico mondiale non è più caratterizzato solo dal pensiero “post-metafisico”,
ma registra anche una vigorosa ripresa della metafisica. Ciò si deve soprattutto alla passione
teoretica e alla competenza storiografica di insigni studiosi europei e americani di ispirazione
tomista che sono stati capaci di dimostrare criticamente la possibilità e la necessità della
metafisica, in serrata polemica con i sostenitori del suo
“oltrepassamento” ( Überwindung) ma anche in dialogo
costruttivo con le istanze teoretiche presenti nelle più importanti
scuole filosofiche, da quella fenomenologica a quella
ermeneutica e a quella analitica. È stato grazie a questo dialogo
fecondo con il pensiero contemporaneo che la nuova fioritura di
studi tomistici è stata in grado di riportare alla luce i fondamenti
epistemologici della metafisica, dimostrandone criticamente
l’incontrovertibilità come scienza e la necessità come sapienza.
L’innegabile presenza del pensiero di Tommaso d’Aquino nel
dibattito filosofico contemporaneo si deve appunto allo specifico
contributo fornito dai pensatori cristiani alla soluzione dei
problemi che stanno al centro della ricerca epistemologica
moderna.

Tale contributo consiste nella soluzione data al problema della


metafisica (se sia possibile o addirittura imprescindibile), ma
presuppone i risultati cui è pervenuta la celebre querelle (iniziata nel 1931 alla Sorbona e alla
quale parteciparono Maurice Blondel, Émile Bréhier, Léon Brunschivicg, Étienne Gilson e
Jacques Maritain) sull’esistenza storica e sulla possibilità teorica di una filosofia cristiana.
La discussione è continuata fino ai nostri giorni e ha finito per coinvolgere tutti i pensatori
cristiani che ben comprendevano come essa implicasse la soluzione del problema se possa
esserci un terreno d’incontro tra ragione e fede. Ma finora la possibilità della metafisica e la
possibilità di una filosofia cristiana sono stati considerati come problemi separabili l’uno
dall’altro, e di fatto sono stati affrontati separatamente, mentre andrebbero compresi come
due aspetti della medesima questione  . Già Giovanni Paolo II li aveva opportunamente
collegati tra loro nell’enciclica  Fides et ratio (14 settembre 1998), la quale può considerarsi
un intervento del magistero ecclesiastico a favore della metafisica proprio come struttura
portante della filosofia cristiana, che Giovanni Paolo ii, riallacciandosi agli insegnamenti di
Leone xiii (cfr. l’enciclica  Aeterni Patris del 1879), considera indispensabile strumento
dell’interpretazione teologica della verità rivelata. Insomma, il richiamo alla necessità della
metafisica – e alla sua possibilità anche nell’epoca attuale – ha senso, in un’ottica teologica,
all’interno del riconoscimento della possibilità e della necessità di una filosofia cristiana.

Riassumendo anni di studi e di discussioni sul problema della filosofia cristiana, la  Fides et
ratio ne prospetta la soluzione alla luce della storia della Chiesa, mostrando cioè il fecondo
cammino della teologia dalle origini patristiche alle sintesi medioevali, per poi additare il
metodo di Tommaso come il modello, oggi più che mai valido, di una speculazione capace
di penetrare a fondo nel significato delle verità rivelate (accolte con assoluta certezza dalla
fede) facendo ricorso anche a quelle verità naturali (certificate dalla ragione nella sua
funzione critica) che risultano sostanzialmente connesse al contenuto razionale della
rivelazione divina. Ciò che in Tommaso può chiamarsi “filosofia cristiana” altro non è,
appunto, se non il necessario e congruo uso della filosofia in teologia:  uso che risponde
certamente a finalità primariamente teologiche ma anche al rilevamento critico (cioè
filosofico) degli elementi di razionalità che sono comuni alla conoscenza delle realtà create e
alla cono scenza dei misteri soprannaturali. In Tommaso d’Aquino l’autonomia formale e
l’unità intenzionale di filosofia e teologia costituiscono un “sistema aperto”, nel quale, come
ha saputo dimostrare Gilson, la filosofia è autenticamente razionale e capace di giustificare
dialetticamente i propri asserti, ma non può essere separata dal contesto teologico che le
fornisce un’impareggiabile motivazione esistenziale alla ricerca filosofica      .

Tornando al nesso tra il problema della filosofia cristiana e quello della metafisica, Giovanni
Paolo ii non manca di rilevare che l’affermazione del principio dell’armonia di ragione e
fede in teologia dipende in Tommaso d’Aquino da un fondamentale presupposto metafisico,
quello dell’unità dell’ordine naturale ( ordo creationis) e di quello soprannaturale ( ordo
gratiae) nella nozione cristiana di Dio Creatore e Redentore dell’uomo. A questo proposito
la  Fides et ratio riporta un celebre passo del  Liber de veritate catholicae fidei (i, 7) e lo
commenta osservando che Tommaso “argomentava a partire dal principio che la luce della
ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, e quindi non possono contraddirsi
tra loro” ( 43). Proprio in virtù di questo fondamento metafisico – un fondamento reale e non
arbitrario, incontrovertibile e non postulatorio – la filosofia cristiana è stata feconda di
risultati propriamente razionali e ha segnato un effettivo progresso nella storia della filosofia.
Già agli inizi del Novecento gli elementi più rilevanti di questo progresso erano stati
individuati e valorizzati da Gilson sul piano storico-critico. Nella sua opera su  L’Esprit de la
philosophie médiévale (1931) Gilson dimostrava che le nozioni metafisiche più
caratteristiche del pensiero medioevale sono tutte di derivazione teologica:  esse fanno
seguito alla rivelazione biblica e non ve n’è traccia nella filosofia pre-cristiana; inoltre, sono
nozioni dalle quali il pensiero moderno non ha potuto più prescindere, anche se talvolta si è
prefisso di contrapporsi al pensiero cristiano medioevale. Gilson poteva documentare questa
sua tesi storiografica sulla base dei suoi studi, criticamente ineccepibili, sulla derivazione
scolastica delle principali nozione metafisiche del sistema cartesiano. A distanza di oltre
mezzo secolo, questa rilevazione gilsoniana ha trovato conferma nel magistero di Giovanni
Paolo ii (cfr.  Fides et ratio, 76). Ma allora non si deve perdere di vista il nesso intrinseco
che esiste tra filosofia cristiana e metafisica. L’originalità e il valore propriamente filosofico
della filosofia cristiana altro non è se non l’originalità e il valore propriamente filosofico
della metafisica cristiana, che trova il suo culmine speculativo all’interno della teologia di
Tommaso. Occorre dunque ricordare che la metafisica di Tommaso, incentrata com’è noto
sulla nozione originalissima e feconda di  esse ut actus, dipende totalmente dalla rivelazione
biblica, grazie alla quale il rapporto tra mondo e Dio è inteso come rapporto tra creatura e
Creatore, e Dio è l’Essere assolutamente trascendente ( ipsum esse subsistens) che per amore
dona l’essere a ogni cosa che noi vediamo esistere e che così è  habens esse, un ente per
partecipazione. Per sottolineare la derivazione biblica della metafisica creazionistica Gilson
coniò l’espressione  métaphysique de l’Exode, da molti non correttamente compresa e
pertanto ingiustamente criticata. Tutta l’opera filosofica e teologica di Tommaso è in stretta
connessione con il principio metafisico della creazione/partecipazione, dal quale derivano i
criteri epistemologici fondamentali, come quello cui Tommaso si ispira nel formulare la sua
dottrina dei  praeambula fidei, ossia dei rapporti tra fede nella rivelazione e ragione
naturale:   Fides praesupponit rationem, sicut gratia naturam et perfectio perfectibile.

(©L’Osservatore Romano – 2 giugno 2010)

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