ragione religiosa Note a commento dello scritto di Jrgen Habermas sulla "Neue Zrcher Zeitung" del 10 febbraio 2007 di Vittorio Possenti Il dialogo tra pensiero secolare e pensiero religioso rimane in Occidente un crocevia permanente, coniugato secondo forme che vanno dallestremo della totale separazione ed estraneit a quello di unintima collaborazione. Da alcuni lustri sono in crescita i paradigmi di una qualche concordia che vedono le due ragioni chiamate a collaborare a scopo di intesa civile, nonch di freno contro un eccesso di autodestituzione della ragione. Unespressione significativa di tali opzioni si trova in un recente intervento di J. Habermas, pubblicato sulla "Neue Zrcher Zeitung" del 10 febbraio 2007 col titolo Contro il disfattismo della ragione moderna. Per un nuovo patto tra fede e ragione. Un intervento con non poche affermazioni notevoli, tra cui la difficolt di scindere lesistenza politica dei cittadini in una parte pubblica ed in una privata, e linvito che lo stato liberale dovrebbe rivolgere ai suoi cittadini secolari a non considerare pregiudizialmente nel dialogo civico le espressioni religiose come irrazionali. Nello scritto si ritrovano affinit col dialogo tra lo stesso Habermas e l'allora cardinale Joseph Ratzinger svoltosi a Monaco di Baviera nel 2004. Nel nuovo intervento di Habermas chiaro il tentativo di opporsi al "disfattismo" della ragione moderna e altrettanto chiaro lintento di rimanere attestati senza ripensamenti ad una ragione espressamente postmetafisica, considerata definitiva per il pensiero secolare. Ed in effetti esplicito linvito che la teologia impari a fare seriamente i conti con il pensiero postmetafisico e che il pensiero secolare prenda sul serio quellorigine comune di filosofia e religione che rinvia allepoca assiale, ossia a quella rivoluzione della immagine-del-mondo che accadde a met del primo millennio avanti Cristo. Ci sar utile alla stessa ragione secolare, che intender meglio se stessa quando capir la sorgente comune delle due figure complementari della ragione e della religione. In tal modo lautore prende le distanze da quellilluminismo mentalmente limitato e irriflessivo che nega ogni contenuto ragionevole alla religione, e che tuttora sembra una posizione diffusa, e riconosce almeno la forza motivante e di stimolo del religioso nei confronti della coscienza della societ postsecolare verso tutto ci che delle tradizioni religiose dellumanit non ancora stato soddisfatto. Allontanandosi da Hegel per il quale la religione una figura dello
spirito del tutto subordinata alla filosofia, Habermas mantiene la possibilit di
permanenza delle due figure della religione e filosofia, ritenendo che, agli occhi del sapere, la fede conservi sempre qualcosa di non trasparente, di opaco, che non pu essere da noi n rinnegato n semplicemente accettato. Fa da sfondo lesplicito intento di mobilitare la ragione moderna contro il disfattismo che le cova dentro, rintracciabile tanto nella postmoderna dialettica dellilluminismo quanto nello scientismo positivistico. Assunto centrale habermasiano che la ragione postmetafisica pu farcela da sola a confutare tale disfattismo se rimane sul piano teorico, mentre maggiori difficolt incontra la ragion pratica. Ora il pensiero postmetafisico non di rado cos procede anche Habermas - cerca un accostamento al pensiero religioso col ricostruire una genealogia della ragione in cui in un remoto passato filosofia e religione scaturivano da una sorgente comune, sulla scorta dellidea che tra loro, un tempo contigue, potrebbe oggi riprendere un dialogo. La prospettiva merita di essere valorizzata, ma ci che fa problema appunto lorizzonte postmetafisico che dovrebbe presiedere al nuovo dialogo, in quanto adotta il metodo genealogico e non sembra disposto a relativizzarlo e a sottoporlo a critica. Nella sua essenza la genealogia si allea con lo storicismo assoluto e con un universale evoluzionismo, n sembra in grado di elevarsi allo "Standpunkt" speculativo della semplice verit e di asserti stabili. La genealogia e/o la postmetafisica non sembrano capaci di tanto, e la seconda spesso si declina come un proceduralismo che tenta di giustificare fondamenti normativi, mantenendosi aderente al criterio kantiano dellautolegislazione e dellautonomia. Una tale ragione postmetafisica, riconoscendo affrettatamente il monopolio scientifico della produzione di sapere mondano, ossia riducendo lautorit della ragione naturale ai fallibili risultati delle scienze istituzionali, allontana come impossibile e forse inutile la conoscenza razionale dellessere: si manifesta cio largamente e spesso totalmente sprofondata nelloblio dellessere, e perci incapace di raggiungere lontosofia, il livello di una conoscenza speculativasapienziale dellesistenza. In senso fondamentale, oblio dellessere significa che non si ritiene pi possibile una scienza dellessere in quanto essere. Nessun argomento di merito avanzato da Habermas, ma solo il giudizio storicistico che la scienza moderna ha costretto una ragione filosofica diventata auto-critica a congedarsi per sempre dalle totalizzanti costruzioni della natura e della storia: che un chiaro modo, ultimamente positivistico, di sostenere che, sia pure in mezzo alle contingenze del fallibilismo, solo la scienza conosce. Su questi aspetti si gioca una partita decisiva, in specie per la ragione secolare: il dissenso tra "partito religioso" e "partito secolare" che tanti oggi leggono come frattura tra religione e secolo, in realt spesso un dissenso interno alla ragione filosofica stessa. Occorre certo indurre riflessivamente la coscienza religiosa a porre a confronto le proprie verit di fede sia con altre potenze di fede
concorrenti, sia con il monopolio scientifico della produzione del sapere
mondano, ma occorre ancor di pi indurre la ragione mondana a non autodestituirsi, a non capitolare con un eccesso di facilit dinanzi alla scepsi, a non autolimitarsi allambito di ci che verificabile nellesperimento. La discrasia che qui emerge appare soprattutto differenza tra una ragione metafisica e realista, e una ragione che non ha accesso allessere e alla realt se non in maniera molto indiretta. Ora, in questa discrasia fondamentale, il maggior disfattismo non sta nellambito della ragion pratica ma in quello teoretico-metafisico. Il vero problema che la ragione postmetafisica, essendo anchessa teoreticamente disfattista, non in grado di venire a capo dei due disfattismi evocati dallautore: quello della declinazione postmoderna della "dialettica dellilluminismo", e quello dello scientismo positivistico. Spesso allorigine di tale profondo "philosophical divide" stanno Kant, le sue tesi, il suo modo di concepire il funzionamento della mente nellopera della conoscenza. Un funzionamento del tutto singolare, e tale che neppure lintelletto di Kant operava come egli andava descrivendo nella "Critica della ragion pura". Se nellaldil vi sar una casa di salute o un ospedale per la ragione, non improbabile che vi si trover la ragion pura che pretende di funzionare come si descrive nella prima "Critica". Vi sono motivi per ritenere che il pensiero postmetafisico sia particolarmente disarmato dinanzi allevoluzionismo radicale che (contraddittoriamente) sostiene un divenire originario autofondato e senza scopo, e con esso linesistenza di ogni essenza o natura. In altre parole nella prospettiva della postmetafisica non possibile mettersi al riparo dallobiezione dellevoluzionismo radicale. La ragion teoretica appare in una situazione pi precaria di quella pratica, contrariamente a quanto ritiene il filosofo tedesco. Infatti in quella pratica il perno sta nel motivare cognitivamente; ma come motivare se ogni orizzonte di senso e di finalit viene spento da una ragione postmetafisica che cede allevoluzionismo e alla sua etica adattativa? Il nichilismo fondamentale nasce a livello teoretico e significa che non vi alcuna risposta alla domanda sul perch e sul fine. Con eccezionale intuito Nietzsche ha infatti definito il nichilismo cos: nichilismo: manca il fine, manca il perch. Non sono in gioco domande vertenti sulla morale, ma in prima e fondamentale istanza domande di senso, spento il quale la leva morale ben difficilmente si mantiene integra a lungo. Lassunto che sia possibile e anzi desiderabile unetica depurata da ogni ontologia e metafisica oggi molto diffuso, ma fragile. unillusione pericolosa. La svolta kantiana verso la sola ragion pratica, entro cui si colloca Habermas che vi aggiunge una sua riformulazione in senso procedurale, una barriera troppo
fragile in quanto, gravando totalmente sulletica e il diritto, abbandona non solo
lontologia, ma parimenti lantropologia. Letica senza ontologia pure unetica senza antropologia, circondata da un rimarchevole silenzio antropologico. Lorigine comune di filosofia e religione di cui dice Habermas potrebbe meglio essere ripresa e riconosciuta se la ragione secolare, invece di tagliare via da s come impura la ragione ontologica, la incontrasse nuovamente entro, certo, il quadro delle scienze, ma senza ridursi ad esse. Il compito prioritario concerne la ragione naturale, che deve ritrovare il proprio equilibrio, non rinchiudersi nellempirico e non autolimitarsi e infine autodestituirsi con le proprie mani. Entro tale tragitto Habermas incontra brevemente il problema della deellenizzazione, in rapporto al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, che ha dato una piega sorprendentemente antimoderna al vecchio dibattito circa ellenizzazione o de-ellenizzazione del cristianesimo. Con ci egli ha dato risposta negativa alla domanda se i teologi cristiani debbano sforzarsi di venire a capo delle sfide suscitate da una ragione moderna e dunque postmetafisica. In questa sede attrae la riflessione, pi che lermeneutica del discorso di Regensburg, la speranza riposta da Habermas nella ragione postmetafisica, che appare troppo alta, a meno che questa ragione ancor prima di avviare il dialogo con le religioni intraprenda il cammino di dialogare con se stessa senza escludere aprioristicamente il livello della ragione speculativa e metafisica. Tale esclusione costituisce un errore in s, storicamente foriero di crescenti disancoraggi della filosofia dalleredit greca (la de-ellenizzazione) e quindi dalla metafisica, col conseguente ingresso nelloblio dellessere. Al termine "deellenizazione" possono essere assegnati due significati affini ma non coincidenti. In un primo senso vi de-ellenizazione quando si intende dissolvere la sintesi tra pensiero greco e pensiero cristiano, sacrificando lintellettualismo di questo ultimo (intellettualismo del Logos divino), e declinando di conseguenza verso forme di volontarismo, moralismo, nominalismo nella teologia cristiana. In un secondo significato vi de-ellenizzazione quando allostilit al pensiero greco e alla sua ontologia si aggiunge lintento di purificare completamente il cristianesimo dallinflusso greco, ritenuto deviante e pericoloso per la fede biblica. Kant fu un de-ellenizzatore. Scrisse nella seconda edizione della "Critica della ragion pura": Io dunque ho dovuto sopprimere il sapere per sostituirvi la fede. Fu un de-ellenizzatore che riteneva finito il compito della ragione teoretica, tolto il quale non rimane alcun accesso al tutto, e la fede da sapienziale si fa morale. Forse il significato pi centrale di de-ellenizzazione si ha in rapporto alla rottura dellalleanza socratico-mosaica, ossia dellaccordo tra la fede e la ragione in quanto metafisica. Da numerosi anni una quota consistente del pensiero postmetafisico usa la locuzione di "pensiero debole", al quale si contrapporrebbe il "pensiero forte". Si tratta di metafore che colgono solo in parte la questione e che finiscono per disorientare piuttosto che aiutare a comprendere. Il termine di "pensiero
postmetafisico" dice con maggior chiarezza il carattere del debolismo, mentre al
posto del fortismo impiegherei la formula "pensiero aperto e umile", umile nel senso che non presume di conoscere tutto, ma si pone in ascolto della realt, non escludendo a priori che in essa parli una rivelazione divina. Difficile dire se il pensiero secolare sia definitivamente attestato sulla linea della postmetafisica. Checch ne sia, occorre sempre e nuovamente invitare la ragione a farsi radiografia e a stabilire senza troppi impacci i suoi poteri, mentre di fatto la postmetafisica sembra aver deciso di non sottoporsi ad esami radiologici e considera molto ridotte le sue forze, ricondotte allambito dellempirico delle scienze. Postmetafisica e pensiero postsecolare, che Habermas vorrebbe coniugare insieme, non detto che vadano daccordo. Vi pu certo essere una societ postsecolare in cui non valga il facile detto secondo cui "a pi modernit corrisponde meno religione", ma a rigore non vi pu essere una ragione postmetafisica. Anche il pi spietato positivismo una metafisica, che per trascura troppi nuclei di realt. In effetti la linea della postmetafisica, restringendo lesercizio della ragione allelemento delle scienze positive e alla filosofia positivista, pensa di aver salvaguardato una qualche universalit. Ma le scienze sarebbero lunica forma delluniversale a nostra disposizione? Il pensarlo impoverisce gravemente luomo: vi ununiversalit dellumano che transculturale e senza di cui il dialogo decolla a fatica e presto si spegne. In sostanza il nuovo patto tra fede e ragione, di cui si riconosce il bisogno, non potr avvenire in maniera soddisfacente ponendosi nel solco di una ulteriore deellenizzazione che conduca al disfattismo della ragione e ribadisca gli elementi centrali della prospettiva postmetafisica. Potr avvenire riconoscendo la capacit veritativa della "ragione naturale", anche oltre lambito pur fondamentale delle scienze. __________ L'originale in tedesco dell'articolo di Jrgen Habermas, sulla "Neue Zrcher Zeitung" del 10 febbraio 2007: > Ein Bewusstsein von dem, was fehlt Di questo articolo uscita in Italia una traduzione parziale, curata da Leonardo Ceppa, sul supplemento domenicale di "Il Sole 24 Ore" del 18 febbraio. Nel commento sopra pubblicato si fa riferimento al testo completo. __________ 8.3.2007