di GIOVANNI CASSIANO
5.a CONFERENZA
CONFERENZA DELL’ABATE SERAPIONE
Otto sono i vizi che fanno al genere umano la guerra più spietata:
il primo è la gastrimargia o golosità; il secondo è la lussuria; il terzo
si chiama avarizia o amor del denaro; il quarto ira; il quinto tristezza;
il sesto accidia, che significa inquietudine e disgusto del cuore; il
settimo è la cenodoscia, che vuol dire vanagloria; l’ottavo è
l’orgoglio 1).
III - Due sono i gruppi dei vizi e quattro i modi in cui esercitano il loro
potere
È vero che Paolo apostolo dichiara carnali tutti i vizi (Gal 5,19 ss.),
senza eccezione di sorta: egli annovera le inimicizie, le ire, le eresie,
tra altri vizi della carne. Ma noi, che desideriamo conoscere più a
fondo la natura e la cura dei vari vizi, conserviamo la nostra divisione
in vizi carnali e vizi spirituali.
I vizi spirituali vogliono essere curati con rimedi spirituali; gli altri
— lo abbiamo già detto — vogliono una doppia cura. Perciò giova
moltissimo, a coloro che cercano la purezza del cuore, allontanare da
sé, fin dagli inizi della vita spirituale, gli oggetti che potrebbero
risvegliare i vizi della carne; e giova altresì allontanarne il ricordo da
un’anima ancora ammalata. A doppio male, deve rispondere doppio
rimedio. Bisogna innanzi tutto sottrarre alla concupiscenza ogni
oggetto che sia capace di stimolarla, affinché la concupiscenza non si
precipiti là dove l’oggetto la chiama; bisogna poi portare all’anima
l’aiuto di una più attenta meditazione delle sacre Scritture, di una
vigilanza delicata, di un ritiro nella solitudine, per impedirle perfino
di concepire il pensiero del male. Negli altri vizi invece, la vita di
contatto col prossimo non nuoce, anzi giova moltissimo a coloro che
desiderano sinceramente emendarsi. Son vizi che nelle relazioni
sociali si scoprono meglio e, perché fanno capolino più spesso,
possono esser curati con una medicina ad effetto più rapido.
VIII - L ‘amore del denaro non è secondo natura: differenza fra questo
vizio e quelli naturali.
L’avarizia e l’ira non sono della stessa natura. La prima infatti è al
difuori della natura; la seconda, invece, sembra avere in noi il suo
germe originale. L’avarizia e l’ira — dicevamo — si somigliano
quanto al modo della loro origine: intendo dire che a metterle in moto
sono per lo più cause esteriori. I più deboli, quando soccombono a
questi vizi, si lamentano spesso di essere stati spinti o provocati da
altri e si scusano della loro caduta addossandone la responsabilità a
questo o a quel provocatore.
Che l’avarizia sia contro natura appare evidente dal fatto che essa
non ha in noi il suo principio originale, e l’oggetto al quale si rivolge
non ha nulla che possa giovare all’anima o al corpo, o alla nozione
fondamentale della vita. Le necessità della nostra natura non
chiedono di più che il pane e la bevanda di ogni giorno: questo è fuori
di ogni dubbio. Tutte le altre cose, qualunque sia l’ardore e la
passione che si mette in possederle, rimangono estranee alle
necessità dell’uomo, come testimonia l’esperienza della vita.
Quei vizi che sono al di fuori della natura — come l’avarizia
— possono assalire soltanto i monaci tiepidi e vacillanti nel loro
proposito; i vizi naturali, al contrario, non cessano di tentare neppure
i monaci più santi, fino nei più segreti recessi della loro solitudine.
X - Connessione tra i primi vizi e parentela degli ultimi due con i primi
Per questo conviene usare contro questi vizi una tattica unica, che
consiste nel cominciare dal vizio precedente la lotta contro il vizio
seguente.
Tre sono anche i generi dell’ira. Il primo è fuoco che arde dentro:
i greci la chiamano « thumòs ». Il secondo si manifesta violentemente
nelle parole e negli atti. I greci lo chiamano « orghé ». Di questi due
primi generi, così parla l’Apostolo: « Buttate via anche voi tutte
codeste cose: ira, animosità » (Col 3,8). Il terzo genere d’ira non è,
come i due primi, una fiamma di poca durata, è un fuoco che cova
per giorni e mesi. I greci lo chiamano « ménis ».
Tutti questi gradi del vizio debbono essere da noi condannati con
uguale orrore.
Ecco ora quale dovrà essere la tattica da adottare nella guerra che
intraprenderemo contro i vizi. Ognuno, dopo aver riconosciuto il suo
vizio, incomincia soprattutto con quello il suo combattimento, e
studia con la più grande attenzione possibile i suoi movimenti
offensivi. Contro quel vizio indirizza — a modo di frecce — i suoi
quotidiani digiuni; contro quello rivolge ogni momento le armi
dei suoi sospiri e dei suoi gemiti; contro quello impiega le fatiche, le
veglie, le meditazioni della mente; senza mai stancarsi rivolge a Dio
lacrime e preghiere per implorare da lui la fine di questi assalti del
vizio. È impossibile trionfare sopra una qualsiasi passione se prima
non si comprende che la nostra industria e la nostra fatica, senza
l’aiuto di Dio, non possono procurarci la vittoria. Con tutto questo
però l’opera della nostra purificazione chiede a noi impegno e
sollecitudine costante, sia di giorno che di notte.
XVI - Senso mistico delle sette nazioni sulle quali il popolo ebreo, entrato
nella terra promessa, riportò vittoria. Perché talvolta si dice che quelle
nazioni erano sette, altra volta si dice che erano molte?
Benché sia vero che il numero dei vizi supera di gran lunga quello
delle virtù, tuttavia, poiché tutti derivano dagli otto vizi capitali, vinti
che siano questi, tutti gli altri si afflosciano e scompaiono in una
stessa morte. Dalla gola nascono gli eccessi nel mangiare e le
ubriachezze; dalla lussuria nascono il turpiloquio, la scurrilità, i
doppi sensi osceni, lo spergiuro, il desiderio di guadagni illeciti, le
false testimonianze, le violenze, la crudeltà, la rapacità;
dall’ira nascono gli omicidi, il clamore, la disperazione; dall’accidia
nascono l’ozio, la sonnolenza, l’importunità, l’inquietudine, il
vagabondaggio, l’instabilità della mente e del corpo, la ciarla e la
curiosità; dalla vanagloria nascono le dispute, le divisioni, la
millanteria, l’amore delle novità; dalla superbia nascono: il disprezzo,
l’invidia, la disobbedienza, la bestemmia, la mormorazione, la
detrazione.
Questi vizi funesti non sono soltanto più numerosi delle virtù,
sono anche più forti, come sentiamo bene dagli assalti che ci muove
la nostra stessa natura. Nelle nostre membra è più forte il richiamo
delle passioni carnali che il gusto delle virtù. Queste si acquistano a
prezzo di una grande fatica dello spirito e del corpo.
XVII - Domanda sulle somiglianze tra le sette nazioni e gli otto vizi
Germano — Come mai sono otto i vizi capitali che ci fanno guerra,
mentre Mosè enumera soltanto sette nazioni che si sono opposte al
popolo d’Israele? E in qual senso è bene per noi possedere le terre
occupate dai vizi?
La figura delle sette nazioni vale perfettamente anche per noi, che
ci siamo liberati dai lacci della « gastrimargia », la quale è una specie
di pazzia dello stomaco e della gola. Ormai anche noi abbiamo da
combattere contro sette vizi: il primo, essendo già vinto, non conta
più.
Perché, nei riguardi del popolo tra il quale Israele è nato, l’ordine
di Dio non è di sterminarlo, ma soltanto di abbandonare il territorio?
Perché, invece, nei riguardi degli altri sette popoli il comando divino
è di sterminio completo? La ragione è questa: qualunque sia il fervore
di spirito col quale siamo entrati nel deserto delle virtù, non
possiamo fare a meno della vicinanza, del ministero e del
quotidiano incontro con la gastrimargia 2) Il desiderio di mangiare
è innato nell’uomo, è un bisogno naturale e rimarrà
sempre, nonostante ogni nostro sforzo per rintuzzarne gli appetiti e i
desideri superflui. Siccome quegli appetiti non si possono distruggere
completamente, li dovremo evitare con molta cura, per non essere da
loro dominati. È quanto c’insegna la Scrittura che dice: « Non abbiate
cura della carne così da destarne le concupiscenze » (Rm 13,14).
XXIII - È utile per noi entrare in possesso di quella zona del nostro essere
che era dominata dai vizi
Quanto al comando di possedere le terre già occupate da questi
popoli terribili, ecco come va inteso. Ogni vizio ha una particolare
regione nel nostro cuore: di lì cerca di sterminare Israele, vale a dire
la contemplazione delle cose celesti, e non si ritiene mai dal fargli
guerra. Vizi e virtù non possono stare insieme: « Che cosa ha a che
fare la giustizia con l’iniquità? Quale accordo può esservi tra Cristo e
Belial? Quale comunanza tra la luce e le tenebre? » (2 Cor 6,14).
Ma quando i vizi son vinti dal popolo d’Israele, cioè dalle virtù ad
essi opposte, allora la regione che nel nostro cuore era occupata dallo
spirito di concupiscenza e di fornicazione passa alla castità; la
pazienza occupa il territorio dell’ira; alla tristezza che produceva
morte, subentra una tristezza salutare e piena di gioia; dove l’accidia
produceva le sue devastazioni incomincia a costruire la virtù della
fortezza; l’umiltà innalza ciò che la superbia si metteva sotto i piedi.
XXVI - Dopo la vittoria sul vizio della gola, occorre applicare tutte le
forze all’acquisto delle altre virtù
Si dice che questi sette spiriti sono peggiori del primo, perché la
gola presa in sé sarebbe quasi innocua, se non si tirasse dietro altri
vizi più gravi, come la lussuria, l’avarizia, l’ira, la tristezza, la
superbia, che senza alcun dubbio sono mortalmente dannosi
all’anima. Perciò non speri di ottenere la purezza dei perfetti colui che
la chiede solo alla mortificazione o al digiuno corporale. Bisogna
guardare più lontano e proporsi di voler usare la mortificazione del
corpo come strumento per meglio assalire gli altri vizi, senza essere
— in questo combattimento — attardati dall’insolenza di un corpo
riempito fino alla saturazione.
Così regoleremo la nostra tattica tenendo conto dei vizi che sono
in noi più potenti e badando al modo in cui ci assalgono. Una tattica
intelligente ci otterrà vittoria e trionfo, e ci farà giungere alla purezza
del cuore e alla pienezza della perfezione.
Note:
http://ora-et-labora.net/cassianoconferenzecinque.html