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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI ALDO MORO

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANITICHITA’ E DEL TARDOANTICO


CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE DEI BENI CULTURALI

TESI DI LAUREA IN
STORIA DEL CRISTIANESIMO ANTICO

LA DONNA NEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO

Laureando:
Domenico RAIOLA
Docente guida:
Chiar.ma Prof.ssa Immacolata AULISA

Anno Accademico 2014/2015


UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI ALDO MORO
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANITICHITA’ E DEL TARDOANTICO
CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE DEI BENI CULTURALI

TESI DI LAUREA IN
STORIA DEL CRISTIANESIMO ANTICO

LA DONNA NEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO

Laureando:
Domenico RAIOLA
Docente guida:
Chiar.ma Prof.ssa Immacolata AULISA

Anno Accademico 2014/2015


INTRODUZIONE

Lo scopo di questo lavoro di tesi consiste nell’analizzare la figura della donna nei

primi secoli del cristianesimo. Questo lavoro nasce in seno agli Women’s studies,

che si sono moltiplicati a partire dagli anni Settanta del Novecento, soprattutto

nelle zone di influenza anglosassone. L’intento di tali studi era quello di rimuove

lo stereotipo femminile, che una storiografia scritta da uomini aveva trasmesso. La

riflessione sulla figura della donna nella storia ha avuto ripercussioni anche

nell’ambito degli studi della teologia, della biblistica e della patristica.

Tenendo sempre in considerazione l’ambiente e la cultura dove i primi testi

cristiani sono stati composti, questo lavoro intende mettere in luce alcuni aspetti

del cristianesimo primitivo riguardanti la donna, analizzare l’evoluzione del

pensiero sulla donna e sul suo ruolo. Partendo dall’analisi degli scritti sia canonici

che apocrifi si intende indagare come la donna, sia nella predicazione

rivoluzionaria del Cristo, sia nei suoi atti, sia stata rivalutata in tutti gli ambiti della

vita quotidiana.

Si procederà all’analisi del periodo sub-apostolico, per mettere in luce il ruolo delle

donne sia Atti degli apostoli, sia negli scritti di Paolo. Basando alcuni aspetti della

ricerca sul lavoro svolto da Clementina Mazzucco nel delineare la figura

femminile nei primi secoli del cristianesimo, si è esaminata la figura della donna

nella società del tempo, nel classico ruolo come moglie e madre, e della sua
funzione nelle prime comunità ecclesiastiche che si vanno costituendo.

Interessante da questo punto di vista è stata l’analisi della martire, vedere come la

società romana, che considerava le donne inferiori agli uomini, nel momento in cui

confessavano il loro credo cristiano, venissero considerate alla stregua degli

uomini se non peggio, visto che una delle pene a cui potevano essere condannate

era lo stupro o l’essere relegate in un postribolo, una delle sanzioni più infamanti.

Interessante è stato studiare come la donna, da un periodo di grande emancipazione

inquadrato fra il primo e il secondo secolo dopo Cristo, abbia visto questa sua

autonomia ridimensionata. Si procederà ad una analisi, senza la pretesa di essere

esaustiva e sistematica, che consideri il pensiero dei Padri della Chiesa sulle donne.

Dall’esame dai vari scritti patristici sulla donna è uscito un quadro di pensiero non

omogeneo e spesso contrastante. Sul ruolo della donna nella procreazione e nella

trasmissione del peccato originale, nonostante partissero da una base comune,

quella aristotelica, differenze di pensiero emergono nei padri occidentali e quelli

orientali. I primi tendono a sminuire il ruolo della donna nella procreazione

relegandola ad un ruolo passivo e a scaricare su di essa la colpa della perdita della

grazia divina, i secondi invece cercano di improntare il rapporto uomo-donna in

questo ambito ad una sostanziale parità e non mancheranno certi autori come

Metodio che attribuirà un ruolo preponderante alla donna. Divergenze di pensiero

non mancheranno all’interno di uno stesso autore, anche se in opere differenti,

come accade ad Ambrogio. Giunto a questo punto si rendeva necessario un

approfondimento sulla situazione delle donne dopo la “pace della Chiesa”, a questo

2
scopo due figure si sono rivelate stimolanti: Elena ed Egeria. La prima è la madre

del celebre Costantino, colui che consentì alla religione cristiana di essere licita,

questa donna che tanto la si è prodigata per diffondere il cristianesimo, la si può

considerare la prima pellegrina della storia. Attraverso Eusebio si è potuto vedere

in che modo questa donna abbia dato impulso alla diffusione delle religione

cristiana. Se Elena è stata la prima pellegrina dell’era cristiana, Egeria, con il suo

diario di viaggio, è la prima che ci lascia un manoscritto con le sue impressioni dei

luoghi santi visitati. Questo è uno scritto composto da una donna per le donne, si

può dire quasi un unicum nel suo genere.

Obiettivo di questo lavoro è analizzare l’evoluzione della figura della donna

all’interno delle prime comunità cristiane, da un sostenuto impegno sociale e

spirituale ad un progressivo ridursi del suo ruolo con la gerarchizzazione e

patriarcalizzazione delle comunità ecclesiastiche.

3
CAPITOLO I

GESÙ E LE DONNE

1.1 La situazione delle donne ai tempi di Gesù

La società ebraica era di tipo androcentrica: nel modo di porsi verso la donna, non

era molto differente da altre società del tempo come quella greca e romana. La

donna era completamente sottomessa all'uomo. Quando viveva nella casa del padre

era assoggettata a lui. Intorno ai 13 anni la bambina era già destinata al

matrimonio1, un concetto da non intendersi in senso moderno: la fanciulla non era

consultata, non aveva voce in questione, ma tutto era organizzato dai padri delle

due famiglie. Il padre dello sposo proponeva la cifra di denaro; la chiusura

dell'accordo era data dal trasferimento della donna nella casa dell’uomo. La

condizione della donna nel passaggio dalla casa paterna a quella coniugale non era

differente: passava infatti, dalla sottomissione paterna a quella coniugale.

Nonostante nell'Antico Testamento ci fossero state donne di grande rilievo come

Giuditta, Ruth, Deborah, quest'ultima addirittura raggiunse la carica di Shofetim,

1
J. Carmignac, J. Glibet, P. Grelot, R. Le Déaut, A. Paul Ch. Perrot, Agli inizi dell'era cristiana, in
Introduzione al Nuovo Testamento, Vol. I, Roma, 1993, p. 81.

4
cioè giudice e amministratore, le donne, al tempo di Gesù non potevano studiare

la Torah, anche se erano obbligate a seguirne i precetti2. Anche nella preghiera

pubblica le donne erano discriminate, come si evince da un particolare del tempio

di Gerusalemme: all’interno di questo edificio era riservata una parte esterna

chiamata “corte delle donne”, situata dietro la parte riservata agli uomini3 [Fig. 1].

Fig. 1. Pianta del secondo Tempio di Gerusalemme.

L'unica istruzione che ricevevano era di tipo domestico. Bisogna precisare che

questo tipo di vita era osservato solo dalle donne che appartenevano alle famiglie

notabili di Gerusalemme. Lo spazio vitale, ovvero il raggio di azione, delle donne

2
Carmignac, Glibet, Grelot, Le Déaut, Paul Ch. Perrot, Agli inizi dell'era cristiana, cit., p. 81.
3
Carmignac, Glibet, Grelot, Le Déaut, Paul Ch. Perrot, Agli inizi dell'era cristiana, cit., p. 81.

5
appartenenti alle classi meno abbienti era, infatti, più ampio. Questa poca severità

era indotta da motivi economici. La frase di Giuseppe Flavio, storico ebreo del I

secolo, descrive minuziosamente la condizione delle donne al tempo Gesù: La

donna, dice (la Legge), è inferiore all'uomo in ogni cosa4.

La donna appartenente a qualsiasi ceto sociale era tenuta ad a osservare ciò che

l'uomo le imponeva, senza nessun diritto di replica. In questa situazione sociale

visse e operò Gesù di Nazareth.

1.2 Il rapporto di Gesù con le donne nei vangeli canonici

Tradizionalmente si inquadra la figura di Gesù in un contesto maschile, ovvero

quello dei dodici apostoli. Ciò che non sempre emerge è la componente femminile

che risulta ben radicata al suo seguito; troviamo infatti donne come Maria Di

Magdala, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode Antipa, Susanna e

molte altre. Su di esse si è espresso l'evangelista Luca. Tale presenza pare

generasse scandalo fra i contemporanei. Più sconcertante fu la predicazione di

Gesù a favore della donna. Il suo insegnamento non mise in discussione solo le

concezioni culturali ebraiche del tempo5, ma anche quelle romane: i Romani,

4
Giuseppe Flavio, Contra Apionem, II, 24.
5
E. Corsini, La donna nel nuovo Testamento, in Sponsa, mater, virgo: la donna nel mondo biblico e
patristico, Genova, 1988, p. 24.

6
infatti, governavano la Palestina nel periodo in cui operava il Messia. La donna

ovunque era vista soltanto come strumento atto alla riproduzione e, quando Gesù

predicò la monogamia e l'indissolubilità del matrimonio, si scatenarono reazioni.

La sostanziale parità che predicava era inconcepibile per la società del tempo; un

uomo ebreo infatti poteva sposare più donne, ma una moglie non poteva avere più

mariti. Una conferma di questo atteggiamento liberale e progressista nei confronti

delle donne da parte di Gesù è fornita dall'episodio della prostituta difesa dal

linciaggio6; in questa occasione viene completamente ribaltata la prospettiva

androcentrica attraverso il perdono della donna. Uno degli episodi più interessanti

di come il Messia tratti le donne è descritto da Luca. Gesù si ferma nella casa di

Marta e Maria7, sorelle di Lazzaro, e comincia a discorrere con quest'ultima.

Quando Marta riprende Maria perché non l'aiuta nelle faccende domestiche la

risposta del Nazareno è molto chiara: Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per

molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte

migliore, che non le sarà tolta. Parlando con lei, Gesù eleva la donna alla stessa

dignità dell'uomo. La donna non è più un “oggetto” di cui l'uomo può disporre a

suo piacimento, ma diviene un soggetto attivo, pensante, capace di carpire i segreti

e i misteri della parola di Dio, capace di raggiungere le più alte facoltà

dell'intelletto e dello spirito. Anche nelle parabole Gesù conferisce dignità alla

6
Gv, 8, 7.
7
Lc, 10, 38-42.

7
donna, come mostra la parabola della donna che trova la dramma8. Qui Gesù

proietta Dio nell'immagine della donna. Luca racconta che il disprezzato esattore

fiscale e alcuni peccatori si erano raccolti attorno a Gesù e, di conseguenza, i farisei

e gli scribi si lamentavano. Gesù, dunque, racconta tre parabole, in cui è

rappresentato Dio profondamente preoccupato per ciò che è andato perduto. La

prima parabola è quella della pecora smarrita9, in cui il pastore ha lasciato le

novantanove pecore per ritrovare quella persa (Dio è il pastore). La seconda

parabola è quella della dramma perduta in cui una donna ha perso una moneta (la

donna è Dio). La terza è quella del figliol prodigo (il padre è Dio). Sembra che

Gesù abbia voluto includere l’immagine femminile volutamente, di fronte a tutti

gli scribi e i farisei, che più di tutti denigravano le donne. Non è casuale il rivelarsi

di Gesù per primo a una donna, la samaritana. Nell'episodio del pozzo questo

dialogo assume una posizione molto importante: La donna gli disse: ‘Io so che il

Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto ci annuncerà

ogni cosa ’. Gesù le disse: ‘Sono io, io che ti parlo! ’10; se ne comprende il valore

soprattutto se lo si paragona con un altro verso presente nel vangelo di Marco:

Pietro gli disse: ‘Tu sei il Cristo’. Allora egli ordinò rigorosamente loro di non

parlare di lui a nessuno11. Rare volte Gesù ammise di essere il Messia12, ma più

spesso, volutamente, non diceva di esserlo; ordinò, perfino, a chi sapeva di non

8
Lc, 15, 8.
9
Lc, 15, 1-7.
10
Gv, 4, 25-26.
11
Mc, 8, 29-30.
12
Mt, 16, 17.

8
parlarne. Altra questione importante è quella che riguarda Gesù che appare dopo

la resurrezione a una donna, Maria di Magdala, che si era recata presso il sepolcro

per piangere la morte del suo maestro13. Le donne sono le prime a credere che

Cristo sia resuscitato e le prime ad annunciarlo14.

1.3 Il rapporto di Gesù con le donne nei vangeli apocrifi

Dopo aver esaminato la figura della donna nei vangeli canonici, è necessario

ricordare che già in epoca antica circolavano altri testi che raccontavano la vita e

le opere di Gesù di Nazareth. Molti episodi, però, non coincidono con la versione

dei testi canonici. Nel 190, il vescovo Ireneo di Lione15 li bollò come “apocrifi”,

“occulti”, alludendo alla loro origine dubbia. In alcuni di questi testi emerge

prorompente la figura di una donna, Maria di Magdala, ma esistono altre figure di

donne come Salomè. Sulla figura di Maria di Magdala si è discusso molto,

specialmente negli ultimi anni a causa di interpretazioni singolari di alcune frasi

che non considerano il contesto in cui sono state scritte. Procediamo con

l’analizzare la figura di Maria, donna facente parte del seguito di Gesù ed

erroneamente considerata una prostituta; un errore dovuto a papa Gregorio Magno

nel Sermone 74, dove mal interpretò questo verso: Gesù, resuscitato al primo

13
Gv, 20.
14
Corsini, La donna nel nuovo Testamento, cit., p. 29.
15
A. Pinero, Maria Maddalena, la compagna di Cristo, in Storica, 64, 2014, p. 45.

9
mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla

quale aveva cacciato sette demoni16. I vangeli canonici, infatti, non dicono nulla

sull’attività della Maddalena. Luca afferma: Ed ecco una donna, una peccatrice di

quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto

d'olio profumato; e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a

bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva

di olio profumato”17; dopo l'evangelista cita altre donne al seguito di Gesù, fra cui

nomina anche la Maddalena. Gregorio in questa omelia non si limitò a compiere

questo errore, ma sovrappose alla figura di Maria di Magdala altre donne che

avevano assunto un comportamento simile alla donna descritta da Luca nel suo

passo18. Infatti, in Giovanni (8, 2-11) Gesù perdona un’adultera senza nome e,

sempre in Giovanni (11), è menzionata Maria, sorella di Lazzaro, che asciuga i

piedi al Messia. Marco (14, 3-9) parla di una donna anonima che cosparge il capo

di Gesù con olio. Gregorio Magno sovrappone tutte queste donne alla Maddalena,

e da qui nasce nell'immaginario comune cristiano la visione di Maria di Magdala

come prostituta19. Si è detto anche che Maria e Gesù fossero stati sposati, ma sia i

vangeli gnostici, sia quelli apocrifi non confermano nulla riguardo a tale unione.

Se nei vangeli canonici la figura della Maddalena è accomunata alle figure di altre

donne, in quelli apocrifi la sua figura si evolve. Questa diversità la si nota

16
Mc, 16, 9.
17
Lc, 7, 37-38.
18
Pinero, Maria Maddalena, cit., p. 49.
19
Pinero, Maria Maddalena, cit., p. 49.

10
soprattutto nei vangeli gnostici, testi molto diversi dai vangeli apocrifi veri e

propri, poiché in questi la salvezza si fonda su una rivelazione concessa a pochi e

condivisa attraverso il Cristo. Nel vangelo di Filippo e nel vangelo di Maria emerge

chiaramente l’idea secondo cui la donna sia stata in qualche modo sposa di Cristo.

Il vangelo di Filippo sembra quello che, più esplicitamente, parli del rapporto

coniugale fra i due. Molto si è giocato sull’interpretazione di questa frase: E la

compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri

discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca. Gli altri discepoli ne furono offesi

ed espressero disapprovazione. Gli dissero: "Perché la ami più di tutti noi?"20.

Molti hanno interpretato tali espressioni ambiguamente, come se fra i due

ricorresse una relazione carnale, interpretazione però smentita: il testo di Filippo è

scritto in lingua copta e deriva probabilmente da un originale in lingua greca andato

perduto. Il copto è una lingua che ha la caratteristica di poter adoperare qualunque

parola greca al proprio interno: il verbo usato in questo passo è aspazomai, che

significa salutare, accogliere qualcuno calorosamente e quindi può scivolare nel

significato di baciare; mentre per quanto riguarda il termine compagna viene usato

koinōnos, che non indica moglie, bensì un compagno con cui si condividono

svariate cose. Tornando al bacio, questo non deve essere inteso nel senso moderno

20
Filippo (NH II, 63, 30-64, 5). In realtà la frase è una ricostruzione perché nel manoscritto ci sono degli
spazi vuoti, evidenziati di seguito con delle parentesi: La compagna del () Maria Maddalena () più di ()
discepoli () baciarla () sulla ().

11
del significato, ma in una dimensione più spirituale. A questo proposito utile è la

spiegazione che Mauro Pesce dà nel suo libro Inchiesta su Gesù:

‹‹Si tratta di un bacio santo, uno degli atti pratici nelle riunioni liturgiche della Chiesa primitiva.
Ancora oggi, del resto, il bacio sulla bocca è tipico di molte culture, senza che abbia uno specifico
significato sessuale. Neanche il bacio di Gesù alla Maddalena ha un carattere erotico, avrebbe
potuto benissimo essere scambiato con i discepoli uomini. Rivela l’intenzione di dare al gesto una
particolare intensità religiosa avvicinabile all’atto descritto nel capitolo 20 del Vangelo di
Giovanni, quando Gesù alita sui discepoli per trasmettere loro lo Spirito Santo››21.

Una conferma che questo sia un “osculo”, o bacio santo, la si può trovare nella

seconda Apocalisse di Giacomo (56, 10-20), dove l’apostolo afferma: ‹‹Gesù mi

baciò sulla bocca e mi abbracciò dicendo: “Mio diletto, ecco che ti rivelerò ciò

che i cieli non hanno saputo”››22. Quindi si può chiaramente affermare che fra i

due ci fosse un rapporto particolare, da intendersi però, in senso spirituale. Lo si

può evincere da un altro passo del Vangelo di Maria, quando Pietro si rivolge alla

donna: Sorella nostra, noi sappiamo che il Salvatore ti amava più delle altre

donne23. Secondo tale interpretazione pare che fra il Messia e la donna in questione

vi sia una specie di relazione, ma nella lingua copta il verbo amare ha molte

sfumature di significato e non esprime necessariamente una relazione sessuale fra

le due parti. Per comprendere a pieno il senso della frase è necessario leggere il

resto del manoscritto: Pietro, infatti, chiede alla donna di parlargli delle visioni che

ha avuto da parte del Signore e, dopo averle comunicate, l’uomo reagisce così

21
M. Pesce - C. Augias, Inchiesta su Gesù, Milano, 2006, pp. 129-130.
22
Pinero, Maria Maddalena, cit., pp. 48-49.
23
Vangelo di Maria, 10, 1-5.

12
negativamente da provocare l’intervento di Levi: Tu sei sempre irruente, Pietro!

Ora io vedo che ti scagli contro la donna come fanno gli avversari. Se il Salvatore

l’ha resa degna, chi sei tu che la respingi? Non v’è dubbio, il Salvatore la conosce

bene. Per questo amava lei più di noi24. Ciò va letto in chiave spirituale: Gesù

avverte lo spirito di Maria di Magdala molto affine al suo ed è per questo che ella

è capace di comprendere meglio di chiunque altro le sue parole. Così fra i due

nasce una intesa molto intima sul piano spirituale. Si deduce, dunque, che fra i due

ci fosse una comunanza a livello spirituale e intellettivo, che una lettura poco

attenta e decontestualizzante dei brani ha trasposto su un piano fisico25. A

conferma di ciò ricordiamo un passo del Vangelo di Marco: Giunsero sua madre

e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta

la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti

cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?».

Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia

madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella

e madre26. La Maddalena è “compagna” di Gesù nello stesso modo in cui è

“madre” e “sorella”27.

Interessante, ai fini di questo studio è un frammento di papiro denominato “Il

vangelo della moglie di Gesù” [Fig.2]. È opportuno precisare che questo titolo,

24
Vangelo di Maria, 17, 15-18.
25
Pinero, Maria Maddalena, cit., p. 48
26
Mc, 3, 31-35.
27
Pinero, Maria Maddalena, cit., p. 48.

13
dato da Karen Leigh King, è puramente indicativo28. Questo frammento, scoperto

nel 1997, ma la cui esistenza è stata rivelata il 18 settembre 2012 a Roma, nel corso

del X Congresso Internazionale di Studi Copti, è databile alla prima metà dell’VIII

secolo. Il brandello di papiro riporta un testo scritto in copto, probabilmente copia

di un originale greco risalente al II secolo. Questo vangelo può essere accostato ai

vangeli apocrifi di Nag Hammadi29. Dal punto di vista di questo studio,

interessante è la frase che viene riportata al quarto rigo del frammento: Gesù disse

loro: Mia moglie30. La stessa King ha affermato che, nonostante sia riportata

questa frase, questo testo non costituisce una prova effettiva che Gesù fosse

sposato. Inoltre, considerata la derivazione gnostica di questo vangelo la frase

potrebbe essere una metafora; l’affermazione fatta da Gesù potrebbe essere

interpretata come “la mia discepola ideale”31. Gesù, inoltre, non era nuovo a usare

immagini di nozze e matrimoniali in senso spirituale e mistico32: lo fa, ad esempio,

quando espone la parabola delle dieci vergini33. Lui è lo sposo che l’anima attende.

28
Per maggiori informazioni consiglio di visitare il sito “gospelofjesuswife.hds.havard.edu” alla sezione
Q&A, domanda 5.
29
Pinero, Maria Maddalena, cit., p. 49.
30
Il frammento è molto piccolo e rimaneggiato. Qui ora riporterò l’intera traduzione:
Rigo 1: Mia madre mi ha dato la vita […].
Rigo 2: I discepoli dissero e Gesù […] negò.
Rigo 3: Maria è degna di questo […].
Rigo 4: Gesù disse loro: Mia moglie […].
Rigo 5: potrà essere mia discepola.
Rigo 6: Che i malvagi paghino.
Rigo 7: Per quanto mi riguarda, rimarrò con lei […] un’immagine […].
31
Pinero, Maria Maddalena, cit., p. 49.
32
Corsini, La donna nel nuovo Testamento, cit., p. 27
33
Mt, 25, 1-13.

14
Questo frammento, tuttavia, mette in risalto una questione molto particolare:

documenta l'esistenza di controversie nei primi secoli del cristianesimo sul

discepolato e sull'assegnazione di ruoli di guida a figure femminili34.

Fig. 2, Frammento del Vangelo della moglie di Gesù. Da gospelofjesuswife.hds.havard.edu

La Maddalena non è l’unica ad aver instaurato un rapporto singolare con Gesù.

Nel vangelo di Tommaso, scritto non in forma narrativa ma formato da una serie

di frasi che come incipit riportano le seguenti parole: “Gesù disse”, “egli disse”,

compare la figura di Salomè. Ai fini di questa ricerca sottolineo il passo 69: Disse

Salomè, "Chi sei tu e di chi sei [figlio]? Hai preso posto sul mio divano e hai

mangiato dalla mia tavola come se qualcuno ti avesse inviato”. Gesù le disse,

34
K. L. King, “Jesus said to them, ‘My wife...’”.A New Coptic Gospel Papyrus, con il contributo Anne
Marie Luijendijk, testo provvisoriamente accettato da Harvard Theological Review, 2013.

15
"Sono Colui che viene da Colui che è Unico. Ciò che mi è donato è donato a mio

Padre”. "Sono tua discepola”. "Per questa ragione io ti dico, chi è Uno verrà

inondato di luce, ma se è diviso, sarà avvolto dall’oscurità”. Potrebbe sembrare

che fra i due vi fosse una sorta di relazione coniugale; la frase “sei stato nel mio

letto” infatti può essere fraintesa se non si conosce la matrice da cui proviene il

vangelo di Tommaso. Questo è di derivazione gnostica e gli gnostici erano soliti

usare metafore erotiche per indicare l'unione spirituale. Anche la risposta di

Salomè chiarisce il tipo di relazione che incorreva fra i due; ella, dichiara di essere

una sua discepola a conferma dell'unione puramente spirituale tra i due35.

Dai testi considerati emerge che Gesù è uno dei primi, se non proprio il primo, a

considerare la donna in tutta la sua totalità. La mentalità del tempo, infatti, non la

riteneva degna di istruzione perché reputata un essere inferiore. Al contrario, Gesù,

attraverso le sue parole, ribalta completamente questi concetti privi di ogni

fondamento, ritenendo lo spirito delle donne molto affine al suo tanto da

permettere che esse siano al suo seguito. La predicazione di Gesù ha rappresentato

una nuova visone dei rapporti umani e sociali.

35
Pinero, Maria Maddalena, cit., p. 51.

16
CAPITOLO II

LA DONNA IN EPOCA APOSTOLICA

2.1 San Paolo (anti)femminista

San Paolo è stato accusato negli ultimi anni di aver diffuso il seme

dell’antifemminismo nelle prime comunità cristiane. Gli si rimprovera di aver

tradito il messaggio originario di Gesù, che, invece, aveva concesso ampie aperture

nei riguardi delle donne. Vagliando attentamente l’epistolografia di Paolo di Tarso

si nota, invece, come egli dia ampio risalto alla figura femminile. Le donne

nominate nelle sue lettere infatti, rivestono ruoli di una certa rilevanza nelle

comunità cristiane del tempo1. Una di questa è Febe: Vi raccomando Febe, nostra

sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencre, perché la riceviate nel Signore,

in modo degno dei santi, e le prestiate assistenza in qualunque cosa ella possa

aver bisogno di voi; poiché ella pure ha prestato assistenza a molti e anche a me2.

Si tratta di una donna di Cencre, una delle due località portuali presso Corinto,

situata nella parte orientale dell’istmo (sul lato occidentale c’era l’altro porto,

1
Corsini, La donna nel nuovo Testamento, cit., pp. 30-31.
2
Rm, 16, 1-2.
quello di Lecheo). In questa parte finale della lettera ai Romani, Paolo

“raccomanda” la donna e fa ricorso al termine greco διάκονος “servitore”,

sostantivo che rimane invariato sia al femminile che al maschile. Questo termine

non bisogna considerarlo nell’accezione che gli verrà data successivamente3, ma

neppure come generico servizio. Con il termine “diacono” Paolo designava sia se

stesso che i suoi collaboratori nell’esercizio del ministero apostolico. Detto questo,

bisogna tener conto che si era ancora nella fase in cui il cristianesimo muoveva i

suoi primi passi e quindi a capo delle prime comunità non vi erano strutture

gerarchiche, anzi i compiti e i ruoli ministero-gerarchici erano in piena evoluzione

e non si aveva ancora una piena coscienza della loro funzione4. La portata del

ministero svolto dalle persone in queste comunità protocristiane inoltre variava di

luogo in luogo. Ciò che si evince è che Febe sicuramente doveva essere una donna

che svolgeva il ruolo di diaconessa e leader a Cencre, altolocata socialmente e

benestante, poiché prestava assistenza ai suoi correligionari ed anche allo stesso

Paolo. Leggendo le altre lettere di Paolo, si nota senza alcun dubbio che nella sua

prassi apostolica egli includeva la collaborazione femminile. A fronte di una

quarantina di uomini menzionati come collaboratori dell’Apostolo delle genti, il

Nuovo Testamento menziona quattordici donne, un numero abbastanza elevato

3
Ad es. in Costitutiones Apostolicae 3.7; Epifanio nel Panarion (376) precisa che esse non esercitano un
ministero presbiterale, ma assistono nel battesimo delle donne. In epoca patristica le diaconesse erano
“semplici cooperatrici che si occupavano prevalentemente dell’istruzione delle giovani e delle opere di
carità”.
4
C. Marcheselli Casale, Le Lettere Pastorali. Le due Lettere a Timoteo e la Lettera a Tito, Bologna, 1995,
l’excursus: Un ufficio di diaconessa nel NT? (1Tm 3,11), pp. 251-254.

18
considerata la misoginia dell’epoca. Il discorso sul femminismo di Paolo diventa

molto più delicato se si analizza la lettera 1Corinzi (11, 4-16 e 14, 33b-36). Il primo

passo da prendere in considerazione è quello in cui egli tratta dell’acconciatura

delle donne nelle riunioni di preghiera, conosciuto anche come “il velo delle

donne”; il secondo è quello in cui ordina alle donne di tacere nell’assemblea. Il

primo testo viene messo sotto accusa a causa della frase al v. 10: διὰ τοῦτο ὀφείλει

ἡ γυνὴ ἐξουσίαν ἔχειν ἐπὶ τῆς κεφαλῆς διὰ τοὺς αγγέλους; letteralmente: per questo

la donna è tenuta ad avere un ἐξουσίαν (potere, autorità) sul capo a causa degli

angeli. Il termine ἐξουσίαν, infatti, non ha mai valore passivo (= potere da subire);

in tutta la lingua greca, ha, invece, sempre senso attivo (= potere da esercitare). La

frase al v. 10 può significare: Deve controllare la sua capigliatura (acconciandola

in modo proprio). Paolo intende affermare che quando una donna doveva

profetizzare o parlare in pubblico doveva avere un aspetto convincente e consono,

poiché l’ambiente di Corinto era piuttosto particolare: nella città greca, infatti,

dilagavano i facili costumi, l’omosessualità era molto diffusa, si registrava una

certa promiscuità fra i sessi. Sul piano della testimonianza e della predicazione,

quindi, potevano esserci problemi sull’affidabilità di chi predicava: da qui i precetti

di decoro che valessero sia per l’uomo che per la donna. Paolo, attraverso questa

lettera, cerca di contrastare, le differenziazioni sessuali – di cui la capigliatura era

manifestazione tra le più immediate e, attraverso la differenziazione dei sessi, non

intende sminuire il valore della donna, anzi ne esalta la diversità ed anche la

complementarità; nonostante inviti a portare il velo, infatti, non impedisce alla

19
donna di profetizzare in pubblico. Si ha una differenziazione dei sessi, ma questo

non ne intacca la funzione5.

Di più difficile interpretazione è il passo di 1Corinzi 14, 33-36. Siamo consapevoli

che isolare un testo dal suo contesto può risultare pericoloso a causa delle

interpretazioni fuorvianti che se ne ricavano, tanto più se lo si usa per identificare

il pensiero di una persona che poi nel resto delle sua produzione risulta alquanto

diversa. L’interpretazione di questi versi attualmente è molto dibattuta e ancora

non si è venuti a capo di una annosa questione. Gerhard Dautzenberg6 ritiene che

il passo di 1Cor 14, 33-36 sia frutto di una interpolazione posteriore. Sono dello

stesso avviso anche Bart Ehrman7 e R. Scroggs8. Sarebbe stata fatta tale

interpolazione per avvallare, con l’autorità di Paolo, il passo di Timoteo 2, 11-15

(«La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. Non permetto alla donna di

insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento modesto.

Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma chi

si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Essa potrà

essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità

5
G. Barbaglio, La prima Lettera ai Corinzi. Introduzione, versione e commento, Bologna, 1996, pp. 538 e
539: «[Paolo] intende difendere la diversità dei sessi minacciata dal comportamento delle carismatiche di
Corinto che si eguagliavano esternamente agli uomini»; «L’apostolo aborre dalla confusione dei sessi, in
particolare di fronte al tentativo di omologazione della femmina al maschio, allora in atto nella chiesa di
Corinto a proposito del fenomeno della profezia»; Cfr. R.F. Collins, First Corinthians, Collegeville, 1999,
p. 407: «Gli uomini devono mostrarsi uomini e donne le donne».
6
G. Doutzenberg, H. Merklein, K. Muller, Dei frau in Urchristentun, Friburgo, 1992, pp. 193 ss.
7
B. Ehrman, Did Jesus Exist?, 2013, p. 352..
8
R. Scroggs, Paul and the Eschatological Woman, in Journal of the American Academy of Religion, 1972,
p. 290.

20
e nella santificazione, con modestia»). Analizzando la produzione paolina si nota

come la frase che impone alle donne di tacere durante l’assemblea sia fuori luogo

per un uomo che, durante il suo ministero, si è sempre appoggiato alle donne e che

nelle sue lettere non smette di dargli importanza ponendole sullo stesso piano

dell’uomo. Ammettendo che Paolo abbia scritto quei versi, bisogna limitare tale

affermazione al contesto di Corinto e non bisogna renderla universale come,

invece, è successo nell’evoluzione maschilista della Chiesa. Questa frase risulta

ancora più controversa se la si mette in correlazione con Galati 3, 28 (‹‹Non c’è

qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né

femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù››), in cui Paolo afferma quel

principio di uguaglianza e di reciprocità tra l’uomo e la donna, principio che ricorre

anche in altre lettere9. Si può pertanto affermare che è inverosimile che Paolo

chieda alle donne di tacere nelle assemblee, né gli si può imputare l’accusa di

misogina o di discriminazione nei confronti della donna. Dalle sue lettere, anzi,

traspare il contrario: egli ha sempre lavorato in modo da conferire importanza alla

donna, contrastando anche il pensiero culturale misogino del tempo. Dunque Paolo

non va annoverato tra i conservatori, ma tra gli innovatori coraggiosi: si può

considerare Paolo il più grande portavoce della nuova legge di libertà costituita

dall’annuncio di Gesù, in cui è contemplato il pieno riconoscimento dei diritti della

donna, nella società e nella Chiesa. Si può affermare, concludendo, che il problema

9
1Cor, 12, 12-13; Col, 3, 11.

21
dell’antifemminismo attribuito a Paolo sia sorto per la cattiva interpretazione dei

suoi scritti.

2.2 La donna negli Atti degli Apostoli

Gli Atti degli Apostoli intendono dare continuità alla storia della salvezza che,

iniziata con il patto tra il popolo di Israele, rinnovata da Gesù con il suo sacrificio,

continua ad operare nel mondo attraverso gli apostoli grazie allo Spirito Santo. Il

dono dello Spirito era dato indistintamente a uomini e donne10. Gli Atti registrano

vari nomi di donne, alcuni dei quali accompagnati dall’indicazione dell’attività che

svolgevano. Risaltano due donne, una forse vedova e l’altra sposata: si tratta di

Lidia e Priscilla o Prisca. Lidia era una commerciante di porpora originaria di

Thyatira ma che abitava a Filippi. Nella città originaria di questa donna era

presente una comunità di ebrei, ed è probabile che lì si sia avvicinata alla religione

ebraica. Qui vi arrivò a predicare l’apostolo Paolo guidato dalla visione di dover

convertire un uomo macedone. Nell’uditorio intento ad ascoltare la predicazione

dell’apostolo vi è Lidia, che, dopo averlo ascoltato, decide di farsi battezzare,

insieme a lei compiono questo gesto altre donne presenti. L’uomo della visone di

Paolo in realtà è un gruppo di donne! Più significativo è che Lidia, una donna,

insieme ad altre, liberamente decide di farsi battezzare. Se si considera il contesto

10
At, 2, 14-17.

22
in cui questa conversione avviene non si può non notare la straordinarietà del gesto:

la donna al pari dell’uomo è inclusa nel piano della salvezza. Lidia aprendo la sua

casa, diviene il cuore pulsante, il centro, la leader, di quella nuova comunità

cristiana. Prisca, insieme a suo marito Aquila è una dei grandi promotori del

movimento missionario. Dal numero di volte in cui è nominata negli atti Prisca si

può dedurre che questa donna all’interno del primo movimento cristiano avesse un

forte personalità e una forte leadership11. Le donne nel periodo apostolico e

subapostolico svolsero un ruolo notevole nella diffusione, nello sviluppo e nel

mantenimento delle prime comunità cristiane, come appare in modo abbastanza

esplicito negli Atti. Soltanto in seguito, per ragioni patriarcali, la donna vedrà il

suo ruolo di leadership sempre più compromesso, fin quando non sarà esclusa da

tutte le istituzioni e relegata nuovamente in un ruolo subalterno.

11
Rm, 16, 3-5; At, 18, 2-3; 1Cor, 16, 19; 2Tm, 4, 19.

23
CAPITOLO III

IL RUOLO DELLA DONNA NELLE PRIME


COMUNITÀ CRISTIANE

Come si è potuto già desumere dalla produzione paolina, nelle comunità cristiane

dei primi secoli la presenza della donna era rilevante; era un motivo di vanto,

specialmente per gli apologisti1. Il messaggio cristiano attecchì nelle sue prime fasi

tra gli strati più umili della popolazione per poi propagarsi nelle classi più alte.

Troeltsch nella sua opera su Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani2

così scrive:

‹‹le costruzioni religiose veramente creatrici e capaci di far sorgere delle comunità sono opera
degli strati inferiori; ivi soltanto si trovano riunite la compattezza della fantasia, la semplicità della
vita affettiva, l’irriflessività del pensiero, l’elementarità della forza, l’impetuosità del bisogno, vale
a dire tutti gli elementi dai quali può scaturire l’illimitata credenza d’autorità nella rivelazione
divina, l’ingenuità della divozione, l’intransigenza della certezza...nel processo ulteriore il
contenuto vitale dapprima dato con spontanea ingenuità sì aggiunga e s’intrecci con tutte le elevate
potenze religiose della cultura di riflessione esistente lì a lato: altrimenti quest’ultima lo
disintegrerebbe nuovamente››.

Senza dubbio le donne di tutte le classi sociali ebbero un ruolo importante nella

diffusione di questo nuovo messaggio. Nelle prime comunità cristiane, già in 1Cor

1
C. Mazzucco, E fui fatta maschio, Firenze, 1989, p. 11; F. E. Schussler, In memoria di lei. Una
ricostruzione femminile delle origini della Chiesa, Torino, 1990, pp. XX, 245. Osserva che nel II e III sec.
il cristianesimo si trova a doversi difendere dall’accusa di essere una religione di donne e incolti.
2
P. Siniscalco, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, Roma-Bari, 2009, p. 111.
7, 21-22, risulta che ci sono schiavi e che tra questi vi sono anche delle donne.

Paolo nella Lettera ai Romani saluta la schiava Perside3 e nella stessa lettera sono

menzionate anche Trifena e Trifosa, le quali erano schiave o liberte. Non solo le

fonti cristiane ci parlano di queste donne di bassa estrazione sociale. Anche Plinio

infatti, quando era governatore dalla provincia del Ponto e della Bitinia, in una

epistola rivolta all’imperatore Traiano dà notizia di schiave (ancillae), le quali

svolgono la funzione di diaconesse (ministrae) nelle comunità cristiane dell’Asia

Minore4. Ben presto il cristianesimo si propagò fra donne appartenenti alla grande

aristocrazia romana, e si suppone che avesse aderito al cristianesimo Pomponia

Grecina5, moglie del console Aulo Plauzio, il vincitore dei Britanni, la quale nel

57 fu accusata di appartenere a una “superstizione straniera”6. Flavia Domitilla,

parente dell’imperatore Domiziano venne relegata su di un’isola a causa della sua

fede7. Il numero di nobildonne cristiane continua a crescere nel tempo tanto che

furono perseguitate anche dall’imperatore Valeriano, condannate all’esilio e alla

confisca dei beni8. Il numero delle donne cristiane appartenenti alle classi sociale

elevate aumentò così tanto che papa Callisto (218-222) emanò un decreto

giuridico, che legittimava, almeno nell’ambito della Chiesa, i matrimoni fra donne

nubili di condizione elevata e uomini appartenenti a classi sociali inferiori; la

3
Rm, 16, 12.
4
Epistola X, 96, 8.
5
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p.4.
6
Ann. XIII, 32, 3-5, Furneaux, pp. 195-196.
7
Cassio Dione, Storia Romana, 67, 14, 1-2; Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 18, 4.
8
Cipriano, Epistole, 80, 1, 2.

25
situazione nel corso del IV secolo peggiorò ulteriormente: queste donne infatti,

furono costrette a sposarsi con uomini pagani.

Quale era il ruolo di queste donne nelle prime comunità cristiane? Sia dalle lettere

paoline che dagli Atti degli Apostoli emerge un quadro abbastanza chiaro, in cui

la figura femminile aveva una posizione di un certo rilievo, questo almeno fino al

II secolo. Le donne più agiate e influenti economicamente davano un sostegno

finanziario non indifferente, come ad esempio Lidia9, che ebbe un ruolo di

protettrice/patrona nei confronti di Paolo e dei suoi collaboratori, o come Febe, che

oltre al patronato svolse anche il ruolo di diaconessa. Dire che si limitavano solo a

questo sarebbe molto riduttivo; molte partecipavano alla vita culturale, il che

rappresentava un autentico fattore di novità nel mondo greco-romano. Taziano

(170 circa) era fiero delle “nostre donne che filosofeggiano”, delle “nostre

sapienti”10; con molta probabilità questo autore cristiano si riferisce alla capacità

delle donne di conoscere e comprendere la Scrittura11; altre erano vicine ai grandi

maestri cristiani, o come allieve o come collaboratrici o come protettrici 12. A tal

proposito si può ricordare Carito, che probabilmente era una allieva dall’apologista

Giustino13. Un altro esempio è fornito da Giuliana di Cesarea in Cappadocia, che

aiutò Origene, dopo che era stato cacciato da Alessandria. Questa lo sostenne

9
Oltre ai commentari agli Atti. (Cf. J.A. Fitzmyer, Gli Atti degli Apostoli, Brescia 2003; cf. G. Rossé, Atti
degli Apostoli, Roma, 1998), cf. I. Richter Reimer, “Lydia and Her House”, in Woman in the Acts of the
Apostles. A Feminist Liberation Perspective, Minneapolis 1995 (orig. ted. 1992), pp. 71-132.
10
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 11.
11
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 11.
12
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 11.
13
Atti di Giustino, 4, 2.

26
economicamente, ella, infatti, aiutò il filosofo nei suoi studi biblici, e per di più

fornì all’uomo alcuni scritti esegetici di Simmaco. Ad Origene è associata un’altra

donna, Giulia Memea, madre dell’imperatore Alessandro Severo, alla quale

l’uomo impartì numerose lezioni di teologia14.

3.1 La donna: martire, vergine, vedova, moglie e madre,


profetessa, diaconessa

3.1.1 La martire

La donna nell’esperienza del martirio si guadagna incontestabilmente un posto di

rilievo nella società cristiana e questo la porta ad avere un’alta coscienza di sé

come persona15. Prendendo in analisi qualsiasi periodo in cui è avvenuta una

persecuzione si nota facilmente che, accanto ai martiri uomini, ci sono sempre

martiri donne. Per il II secolo troviamo ad esempio Biblide, di cui dà notizia

Eusebio16, che, dopo aver abiurato, sotto tortura confessa di essere cristiana.

Un’altra donna sempre risalente a questo secolo è Ariadne, schiava del pagano

Tertullo. Riconosciuta cristiana, viene denunciata, interrogata e sottoposta a

14
Eus., St. Eccl., VI, 21, 4.
15
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 95.
16
Eus., Lettera ai martiri di Lione e Vienne, in St. Eccl., V, 1, 25-26.

27
tortura17. Anche il III secolo è costellato di martiri donne: durante la persecuzione

di Decio (249-250) si possono ricordare Quinta18 e l’anziana Apollonia19; durante

la persecuzione di Valeriano si possono ricordare le martiri Tertulla e Antonia.

Elevato fu il numero di vittime durante la “grande” persecuzione di Diocleziano

(303-305), ovviamente fra queste vi erano molte donne: a tal proposito si possono

ricordare la vergine Teodosia20, o la nobile Vittoria21. È interessante notare che le

donne, nonostante nel mondo classico fossero poco considerate, quando venivano

arrestate, subivano lo stesso destino degli uomini, sottoposte alla prigionia,

all’interrogatorio, alla tortura e alla pena capitale. Spesso capitava anche che

queste fossero stuprate o mandate in un postribolo. La “virilità” che la donna

raggiungeva nel martirio non si limitava ad un livello fisico (resistenza alla tortura

o alla particolare pena a cui veniva sottoposta), ma si esplicava soprattutto sul

piano personale: nel momento in cui la donna veniva sottoposta al processo

esprimeva liberamente, senza nessuna costrizione, il proprio ideale di vita,

difendeva ciò in cui credeva22 di fronte a uomini che la consideravano un essere

inferiore. La nascente religione cristiana rappresentava per la donna un mezzo per

emanciparsi, indipendentemente dalla classe sociale dalla quale essa provenisse.

Questa autonomia si ripercuoteva anche nell’ambito familiare: i vecchi e rodati

17
Passione di Ariadne, Franchi, ST 8, pp. 5-8.
18
Eus., St. Eccl., VI, 41, 4.
19
Eus., St. Eccl., VI, 41, 7.
20
Eus., Martiri della Palestina, 7, 1-2.
21
Passione di Saturnino, 7.
22
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 105.

28
rapporti venivano scardinati per formarne dei nuovi, in Cristo23. È in questa ottica

che si deve guardare la donna martire che lascia il proprio figlio, il proprio marito,

la sua comunità senza alcun timore, ripensamento e che corre incontro alla morte

serena. Questo tipo di comportamento risultava stridente per la società pagana del

tempo, abituata a trattare con un altro tipo di donna. La martire, allo stesso modo

del martire, con questo atto estremo di denuncia, diventava un modello per la

comunità; la sua dignità gli faceva acquistare autorità. Concludendo, la martire

acquisiva, tramite il suo comportamento esemplare, una rispettabilità e un ruolo

che mai prima si erano visti nella società antica, ma, nonostante questo, da alcuni

ambiti, specialmente da quello della gerarchia ecclesiastica, continuerà ad essere

esclusa.

3.1.2 La vergine

Il cristianesimo apre agli uomini e alle donne nuove opportunità di vita, e per la

donna in un certo senso si può parlare di emancipazione, perché, scegliendo ella

stessa che tipo di vita condurre in seno alla dottrina cristiana, poteva disporre

liberamente della propria esistenza senza nessuna costrizione da parte dell’uomo24.

Era libera tra l’essere moglie e madre, o dedicare la propria vita all’ascesi. Grande

ammirazione suscitavano sia fra i pagani che fra i cristiani quegli uomini e quelle

23
C. Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 107.
24
C. Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 45.

29
donne che decidevano di rimanere casti per tutta la vita. L’essere vergine non era

una novità nel mondo classico: si possono, infatti, ricordare le vestali che

costituivano una novità rispetto al mondo giudaico. Le donne che scelgono questo

tipo di vita sono stimate da parte della comunità cristiana in quanto sono “la parte

più illustre del gregge di Cristo”25. Solitamente non si distinguevano dalle altre

correligionarie, eccetto per il velo che non erano obbligate a portare nelle

assemblee26, dovevano pregare per la Chiesa, digiunare, fare carità, prestare

assistenza nella loro comunità e alla fine del pasto serale comunitario dovevano

intonare i salmi. La testimonianza della verginità acquista progressivamente

importanza nella vita della Chiesa: nella scala dei valori, i Padri la pongono

immediatamente dopo la testimonianza del sangue offerta dal martire.

Attenuandosi il furore delle persecuzioni, la figura del martire diviene subalterna

e la vergine, diventa il tipo più rappresentativo della santità ecclesiale: con la sua

scelta di vita, la vergine, infatti, vince gli stimoli negativi e i pericoli del sesso,

supera l'attaccamento alla famiglia, ed è quindi in condizioni particolarmente

favorevoli per seguire Cristo (Lc 14, 26-27); sconfigge il paganesimo che la

circonda, perché, con la fede data a Cristo, supera le blandizie dell'idolatria e con

l'autenticità della vita denuncia la corruzione, l’immoralità del mondo pagano.

In un primo momento queste vergini vivevano nella propria famiglia di origine e

costituivano un particolare ordine l’Ordo virginum; tra il I e il II secolo vennero a

25
Cypr., De habitu virginum, 3.
26
Tertulliano, De virginibus velandis, 9,1.

30
formarsi comunità dove uomini e donne condividevano la vita ascetica, si univano

nel cosiddetto matrimonio spirituale. Queste collettività suscitarono non poche

polemiche da parte degli stessi cristiani, poiché guardavano con timore il possibile

cadere in atteggiamenti estranei alla nascente dottrina. Chi avversava questo tipo

di coabitazione temeva che si insinuassero, come elementi corruttori, la

presunzione e la superbia, donde le frequenti esortazioni dei Padri all'umiltà e alla

vigilanza27. Bisognerà aspettare il III secolo per avere forme di vita ascetica

prettamente femminili, ma non ancora paragonabili alla vita monastica.

3.1.3 La vedova

Anche le vedove erano tenute in grande considerazione nella comunità cristiane:

basti pensare che Tertulliano le considera superiori alle stesse vergini, poiché sono

consapevoli di ciò a cui rinunciano e quindi meritano un elogio particolare per la

strada che hanno intrapreso28. Che le vedove costituissero un gruppo a sé lo si nota

già dalla Lettera a Timoteo (5, 9-16), anche se non si può parlare di un ordine vero

e proprio; a queste donne la comunità prestava cura e assistenza29. Un ordine vero

e proprio di vedove si formerà fra il II e il III secolo ed è Tertulliano ad introdurre

per primo il termine Ordo30; le vedove rappresentavano un’aggregazione

27
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., pp. 64-65.
28
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 50.
29
Didascalia degli Apostoli, 2, 4, 1.
30
Tert., De virg. vel., IX, 2.

31
ufficialmente riconosciuta, chiamata viduatus. A esse spettava un posto riservato

nelle assemblee liturgiche. Tertulliano ci informa che esse stavano attorno al

vescovo quando celebrava l’eucaristia31; e che i catecumeni, ammessi alla

penitenza, si prostravano davanti a loro, così come facevano davanti ai presbiteri32.

Come si entrava a far parte di questo ordine? Nelle Costituzioni Apostoliche33 si

afferma che la vedova è consacrata a Dio, con l’uso del verbo ana-keimai, che,

appunto, significa “essere dedicato o consacrato”, anche se occorre precisare che

il termine consacrazione delle vedove è anacronistico, in quanto compare soltanto

nel V secolo per indicare l’ordinazione del vescovo34. Nella Tradizione Apostolica

si specifica che i membri del clero (vescovi, presbiteri e diaconi) sono deputati al

servizio liturgico, mentre la vedova no. Secondo questo documento l’ordinazione

della vedova non comporta un rito, ma una nominatio con una formula ufficiale,

senza imposizione delle mani e preghiera35. Tale prassi, attestata anche nelle

Costituzioni Apostoliche36 prevarrà nei secoli successivi. Per entrare a far parte e

per rimanere in questo particolare gruppo era necessario non risposarsi e non avere

più rapporti sessuali fino alla morte. Questo era l’elemento discriminante in base

al quale si attuava la distinzione tra vedove e vedove: quelle che erano

semplicemente tali e oggetto di attenzione da parte della comunità e quelle che,

31
Tert., De exhortatione castitatis, 11, 2.
32
Tert., De pudicitia, 13, 7.
33
Costituzioni Apostoliche 3, 3, 1.
34
V. Lopasso, L’ordo viduarum, in Vivarium, 20, 2012, p. 258.
35
R. Gryson, Il ministero della donna nella Chiesa antica: un problema attuale nelle sua radici storiche,
Roma, 1974, p. 84.
36
Cost. Apost. 8, 24, 25.

32
invece, erano riconosciute come tali nell’Ordine delle Vedove. Quale era il loro

ruolo in queste comunità? È possibile che nelle prime fasi esse avessero ampie

funzioni liturgiche e amministrative, come si può dedurre dalle numerose attività

che sono condannate nella Didascalia, tra cui: raccogliere fondi, compiere atti

liturgici ed esorcistici; tali attività, infatti, erano ad appannaggio del vescovo37, una

prerogativa maschile insomma. Altri dovevano essere i loro compiti, i Canoni

ecclesiastici degli Apostoli enumerano la preghiera e l’assistenza alle donne

provate nella malattia. Secondo Tertulliano le vedove, forti della loro esperienza

di spose e madri, dovevano educare e confortare le giovani donne: ‹‹Essendo

donne dall’aver fatto esperienza di ogni tipo di sentimento, saranno in grado di

aiutare facilmente le altre vuoi con i loro consigli vuoi con il loro conforto e

avranno per lo meno vissuto tutte quelle situazioni nelle quali una femmina può

dimostrarsi degna di lode38››. Il prestigio di cui godono le vedove a cominciare dal

III secolo comincia a calare a favore delle vergini, perché quest’ultime sono

ritenute superiori per la loro castità integra. Le donne facenti parte di quest’Ordine

si vedranno relegate a ruoli di minor prestigio e si dedicheranno ad una vita

ascetica39.

37
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 53.
38
Tert., De virg. vel, IX, 3
39
Gryson, Il ministero della donna nella Chiesa antica, cit., p. 101.

33
3.1.4 Moglie e madre

Gesù con il suo messaggio aveva attribuito un ruolo completamente nuovo al

matrimonio; non si trattava più infatti di un contratto dove la donna era considerata

solo per le faccende domestiche, dovendo sottostare completamente all’autorità

del marito, ma di un rapporto di parità fra i due coniugi, di un rapporto di piena

collaborazione uomo-donna. Questa linea fu seguita anche dai suoi continuatori,

soprattutto da Paolo, che nelle sue lettere mette sempre in risalto la monogamia e

l’indissolubilità del matrimonio40. Questo può sembrare scontato ai nostri occhi,

ma se si guarda al mondo antico determinati concetti risuonavano rivoluzionari,

visto che la consuetudine del tempo permetteva all’uomo di disporre a suo

piacimento della donna, mentre il contrario non era lontanamente immaginabile o

praticabile. L’adulterio era condannato sia per gli uomini che per le donne, ma di

solito nelle comunità antiche l’uomo, anche se vincolato dal matrimonio, poteva

avere relazioni extraconiugali, il contrario, invece, era severamente vietato. Nella

società ebraica era prevista la lapidazione per la donna adultera. Il cristianesimo

stabilisce una certa uguaglianza e il divieto di compiere adulterio vale per entrambi

i sessi. Essenziale era il ruolo della donna nell’educare i figli sul piano spirituale41.

Una testimonianza in questo senso è data da Basilio di Cesarea42, che in una delle

40
E. Cantarella, L’ambiguo malanno, Milano, 2010, pp. 230-231.
41
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 31.
42
Basilio di Cesarea, Epistola, 223, 3.

34
sue epistole ricorda con affetto e commozione le prime nozioni, che la madre ma

soprattutto la nonna gli avevano dato per quanto riguarda la conoscenza di Dio43.

Interessante è notare che nel momento in cui una donna cristiana si univa in

matrimonio con un uomo pagano, che si mostrava tollerante verso la religione della

moglie, i figli venivano educati secondo i precetti cristiani, e questo lo si può notare

nella passio di Perpetua, (203 circa), che aveva probabilmente la madre cristiana e

il padre pagano44. Il ruolo della moglie non si esauriva nell’ambito familiare.

Fondamentale era il suo aiuto ai correligionari: molte erano infatti le attività extra-

domestiche, tra cui il prendersi cura delle vedove, degli anziani, degli orfani, ed

assistere gli ospiti di passaggio45. Un esempio di tutte queste virtù cristiane ci è

fornito da Ancotia Irene. Si ha notizia di questa donna romana grazie a delle

iscrizioni funerarie, pervenute in un perfetto stato di conservazione, ritrovate tra il

secondo e il terzo miglio della via Appia nell’area denominata della “Piazzola”, un

cimitero misto utilizzato sia da cristiani che da pagani. In questo luogo si può

trovare una iscrizione46 in lingua greca dedicata a questa donna: ‹‹Gaio Ancotio

Epafrodito alla consorte Ancotia Irene; Gaio Ancotio Rufo e Gaio Ancotio Rufino

alla madre caritatevole, devota a dio e accogliente con le vedove e devota al marito,

amorevole con i figli. In memoria››. Interessanti sono gli epiteti con cui Irene viene

qualificata (agapetè, philòtheos, philòchera, phìlandros, philòteknos), tra i quali

43
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 32.
44
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 32.
45
Clemente Alessandrino, Pedagogo, III, 4, 30.
46
Inscriptiones Christanae Urbis Romae [Icur], V, 12.900.

35
assume carattere identitario soprattutto philòchera («accogliente con le vedove»)

- totalmente ignoto all’epigrafia pagana greca e latina - che rimanda senza alcun

dubbio alla prima lettera pastorale a Timoteo. In questa epigrafe funeraria oltre a

risaltare le virtù stereotipate di una buona donna pagana, definita con gli aggettivi

“buona”, “fedele”, “dolce”, “pudica”, “pia”, “casta”, compare una nuova

dimensione della donna quella cristiana. Irene è madre e moglie, ma è anche

seguace di Gesù, questo con tutte le responsabilità che derivano nei confronti dei

suoi correligionari. È significativo come in questa realtà precedente alla Grande

Chiesa, la donna, in questo caso Ancotia Irene, abbia un ruolo centrale come

educatrice e testimone della fede, non solo nell’ambito della propria famiglia ma

forse anche in quello della piccola comunità. L’epigrafe è una chiara testimonianza

di ciò47.

La donna nei primi due secoli del cristianesimo era equiparata all’uomo sia nelle

attività sociali che all’interno della vita familiare, tale concezione mutò tra la fine

del I secolo e l’inizio del II. Tertulliano nel trattato De cultu feminarum invita le

donna a sottomettersi al marito: ‹‹sottomettete il capo ai mariti e sarete abbastanza

adorne, tenete le mani occupate con la lana, tenete i piedi fissi in casa e piacerete

più che coperte d’oro48››. Addirittura nel IV secolo Lattanzio49 arriverà ad

affermare che la donna non deve essere educata alla studio delle scienze e delle

14
C. Carletti, Irene l’anticonvenzionale. Moglie, madre e seguace di Gesù, in L’Osservatore Romano, 3
giugno 2012.
48
Tert., De cultu feminarum, II, 13, 7.
49
Lattanzio, Divinae institutiones, III, 25, 12.

36
lettere, ma deve essere educata ad ruolo a lei più consono, ovvero quello

domestico.

3.1.5 La profetessa

Nelle comunità paoline vi sono donne profetesse, donne diacone, donne apostole,

anche se non è facile capire quali fossero le funzioni attribuite alle varie cariche.

Rimane sporadica, inoltre, la menzione di una donna “apostolo” (ma sono

numerose le figure femminili che “collaborano” in modo significativo alla

missione di apostoli, come chiaramente fa capire Paolo50). Paolo ammette che una

donna profetizzi durante le assemblee51 e Luca dà ulteriore conferma di ciò,

dicendo che il dono della profezia è stato indistintamente dato a uomini e a donne52.

Questo carisma dava alla donna un ruolo attivo nella società, poiché le sue parole

potevano edificare gli animi di chi ascoltava, far ravvedere i fedeli, avvicinare i

pagani alla nuova religione. Questo profetismo femminile non è limitato al periodo

apostolico, ma continua a propagarsi anche tra il II e il IV secolo. Giustino, ad

esempio, dopo aver citato Gioele 2, 28, parla di uomini e donne che hanno il dono

della profezia53 e lo stesso fa Ireneo54. Anche un autore come Tertulliano, noto

50
J. Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt und im Urchristentum, Berlino, 1962, pp. 109-110.
51
1Co, 11, 5.
52
At, 2, 16-18.
53
Giustino, Dialogo con Trifone, 88, 1.
54
Ireneo, Adversus haereses, 3, 1, 9.

37
antifemminista, considera il profetare di una donna come una cosa positiva55;

l’apologista, anzi, afferma che le donne hanno il diritto di profetare, svelare i

pensieri segreti, produrre salmi, visioni, preghiere in stato di estasi e interpretare

lingue56. Cipriano, nel III secolo, ha in grande considerazione le profetesse e le

loro profezie. Figure di donne profetesse sono attestate anche in movimenti

dissidenti dal cristianesimo ortodosso: un esempio è fornito da Massimilla e Prisca,

che compaiono e profetizzano accanto a Montano57; altre donne che profetizzano

in movimenti dissidenti sono Gazabele della Chiesa di Tiatira oppure Elchesai o

ancora Filumena, che, con le sue rivelazioni, aveva “sedotto” il marcionita

Apelle58, il quale trascrisse in un libro le rivelazioni ricevute da lei. Queste figure

di profetesse dissidenti non furono casi isolati, ma continuarono ad esercitare in

questi movimenti eterodossi fino alla loro scomparsa. In ambiente ortodosso,

invece, la figura della profetessa continuò ad esistere anche se in forme più

controllate e circoscritte.

55
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 75.
56
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., p. 74.
57
Schussler, In memoria di lei, cit., p. 55.
58
Mazzucco, E fui fatta maschio, cit., pp. 77-80.

38
3.1.6 La diaconessa

Il diaconato femminile è una istituzione del cristianesimo59. Come già accennato,

il termine diàkonos compare già nelle lettere di Paolo per designare Febe, donna

appartenente alla chiesa di Cencre. È importante specificare che questo tipo di

ministero femminile non si diffuse mai in occidente; esso, infatti, è attestato solo

per le chiese orientali. A fornire notizie di un diaconato femminile è la Didascalia

degli apostoli, uno scritto composto prima della metà del III secolo. Le diaconesse

erano ordinate con i diaconi dal vescovo, e aiutavano quest’ultimo nella cura

spirituale della comunità. I compiti specifici delle diaconesse consistevano nel

visitare le donne credenti che coabitavano con pagani, assistere le donne malate e

aiutarle a lavarsi nei bagni durante il periodo di convalescenza, assistere le

catecumene durante la cerimonia battesimale. Nonostante questo ministero fosse

molto apprezzato, non si può dire tuttavia che esse svolgessero una funzione

essenziale: la diaconessa infatti poteva essere sostituita da una donna qualunque

durante la funzione battesimale, e, nel caso lei fosse presente poteva ungere il capo

di chi si accingeva a prendere il sacramento; imporre le mani sul capo e invocare

la divinità spettava al vescovo, in sua assenza al diacono o al presbitero60. Nel IV

secolo l’ordine delle diaconesse viene inserito pienamente nel clero, in oriente,

mentre in occidente questo tipo di diaconato continua a essere pesantemente

59
Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt und im Urchristentum, cit., p. 83.
60
Didascalia, III, 12, 3.

39
condannato61. Chi entrava a far parte di questo ordine era sottoposto all’autorità di

diaconi presbiteri e vescovi e non poteva aspirare a tali funzioni62. Concludendo,

alcune donne in alcune chiese orientali ricevettero il titolo di diaconessa, anche se

esso non può essere equiparato alla controparte maschile63. Queste ministre, infatti,

erano limitate nel loro servizio all’ambito femminile.

61
Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt und im Urchristentum, cit., p. 83. La ragione è che le stesse
funzioni erano svolte dalle vedove.
62
Cost. Apost., VIII, 28, 6.
63
Gryson, Il ministero della donna nella Chiesa antica, cit., pp. 88-89.

40
CAPITOLO IV

LA CONSIDERAZIONE DELLA DONNA NELLA


LETTERATURA PATRISTICA

Che la condizione della donna nel mondo greco-romano e in quello giudaico non

fosse delle migliori è un dato di fatto. Questa infirmitas era evidente in qualsiasi

ambito della vita. Con la predicazione evangelica emerse una nuova concezione

della donna nell’ambito sia sociale che famigliare. Questa nuova visione provocò

una tensione fra la società del tempo e il messaggio cristiano che si andava

diffondendo. Gli scritti riflettono questa tensione sulla considerazione della donna:

da un lato, propugnano una sostanziale parità fra uomo e donna, almeno sul piano

spirituale, dall’altro, danno per scontata l’inferiorità della donna1. Un vero e

proprio paradosso! In ambito puramente religioso due erano le figure su cui si

riversava questa tensione: Eva e Maria. La prima era emblema dell’inferiorità della

donna, la porta attraverso in cui il male era entrato nel mondo, e che, quindi,

giustificava la sottomissione della donna rispetto all’uomo. La seconda

rappresentava, invece, la meta, a cui ogni donna doveva tendere2. L’esegesi da

1
P.F. Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne. Da Tertulliano a Gerolamo, in La donna
nello sguardo degli antichi autori cristiani, Trapani, 2013, p. 137.
2
A. Pastorino, La condizione femminile nei padri della chiesa, in Sponsa, mater, virgo: la donna nel mondo
biblico e patristico, Genova, 1988, p.109.
parte dei Padri della Chiesa dei testi sia veterotestamentari che neotestamentari

portò a considerare la donna inferiore all’uomo sul piano sociale, ma suo pari sul

piano escatologico.

4.1 La donna e il peccato originale

Per giustificare l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, i Padri della Chiesa non

esitarono a reinterpretare la storia del peccato originale in chiave androcentrica,

assegnando tutta la colpa alla donna. Ritenuta causa del peccato originale,

Tertulliano afferma che ‹‹ogni donna porta in sé Eva›› e per questo deve fare

penitenza3:

‹‹Se in terra vi fosse tanta fede quanto ne è il premio che si aspetta nei cieli, certo nessuna di voi,
o sorelle dilettissime, fin dal giorno in cui conosce il Dio vivo ed impara qual è la propria
condizione, cioè la condizione della donna, cercherebbe un abito più bello, per non dire più di
lusso. Vivrebbe piuttosto nel disdoro e nello squallore, sapendo di portare in se stessa Eva afflitta
e penitente e intendendo maggiormente espiare, con la trascuratezza dell'abito, ciò che Eva ci ha
tramandato: alludo cioè all'ignominia del primo delitto, all'invidia che ha perso il genere umano.
Partorirai tra i dolori e le ansietà, o donna, e sarai soggetta a tuo marito ed egli ti dominerà. E non
sai di essere precisamente Eva? La sentenza della condanna di Dio continua a vivere ancora ai
nostri giorni su questo sesso: perciò è necessario che continui a viverne anche il reato. Tu sei la
porta del diavolo, tu hai rotto i sigilli di quell'albero, tu per prima hai abbandonato la legge divina,
tu hai sedotto colui che il demonio non poté aggredire. Con tanta facilità hai abbattuto l'immagine
di Dio, l'uomo; e per quello che hai meritato, cioè la morte, anche il Figlio di Dio morì››4.

3
Pastorino, La condizione femminile nei padri della chiesa, cit., p.112.
4
Tert., De cultu fem., I, 1, 1.

42
L’attacco di Tertulliano è molto violento. A causa, infatti, del suo peccato, la donna

è costretta a sottostare all’uomo e al marito, al dolore e alle pene. Si merita ciò

perché ha rotto quel patto di alleanza fra l’uomo e Dio, cedendo alle lusinghe del

diavolo e aprendo la strada al peccato. È lei che ha fatto entrare il peccato nel

mondo, lei è la responsabile della morte di Gesù. Diversa invece è la posizione di

Ignazio5, il quale non nutre alcun rancore verso le donne. Egli, infatti, sostiene, che

la “caduta” è venuta attraverso una donna, Eva, ma anche la redenzione è venuta

attraverso un'altra donna, Maria. Sulla stessa scia si pone Cirillo di Gerusalemme.

Egli nella Catechesi6 afferma che Maria, partorendo verginalmente Gesù ha

riscattato il debito che la donna aveva verso l’uomo7. La donna che ha portato il

peccato nel mondo è diventata il tramite per la sua salvezza. Si evincono toni aspri

in Ambrogio:

‹‹Adamo fu ingannato per colpa di Eva, non Eva per colpa di Adamo. È giusto che la donna abbia
come guida colui che ella indusse alla colpa, per non cadere una seconda volta a causa della
leggerezza femminile››8.

E:

‹‹Prima di noi ci fu chi (si tratta di un filosofo ebreo, Filone di Alessandria) ricordò che l'uomo
prevaricò per la voluttà ed il senso, scorgendo nell'aspetto del serpente la figura del piacere e
attribuendo alla figura della donna il ruolo del senso dell'anima e della mente: quello che i greci
chiamano aisthesis. Asserì poi che fu a causa dell'inganno subito dal senso che la mente divenne,
come narra la storia, prevaricatrice: la mente che i greci chiamano nous. Esattamente dunque per

5
Ignazio, Lettera ai Tralliani, 10.
6
Cirillo, Catechesi, 12, 29.
7
Pastorino, La condizione femminile nei padri della chiesa, cit., p.112
8
Ambrogio, Hexaemeron, V, 18.

43
i greci nous assunse la figura dell'uomo e aisthesis della donna. Perciò alcuni anche interpretarono
Adamo come nous terreno››9

Scrivendo ciò, egli scarica la responsabilità del peccato originale sulla donna, e ne

asserisce anche l’inferiorità. Basandosi sul principio che l’elemento femminile (il

senso, aisthesis) ha corrotto l’uomo (mente, nous) e lo ha indotto al peccato,

conduce la dimensione del peccato in un contesto prettamente femminile, e per

questo gesto la donna deve essere sottomessa all’uomo10. Anche Girolamo accusa

le donne della perdita della grazia divina e afferma che l’unico modo per espiare

questa colpa è procreare figli11. Come si può notare, non tutte le voci dei Padri

della Chiesa erano univoche; riguardo alla condizione della donna emerge una

duplice interpretazione: positiva, quando essa viene vista come immagine della

Chiesa; negativa, quando, invece, viene considerata come la carne che deve seguire

lo spirito, come sinonimo di debolezza.

4.2 Un confronto tra Padri occidentali e orientali sulla


procreazione

Si può affermare che il pensiero aristotelico influì sul modo di pensare dei Padri

della Chiesa. I filosofi greci nella riproduzione umana attribuivano un ruolo

9
Ambr., De Paradiso, 11.
10
Pastorino, La condizione femminile nei padri della chiesa, cit., p.113.
11
Gerolamo, Adversus Jovinianum, 1, 27.

44
preponderante all’uomo, mentre la donna rivestiva un ruolo passivo. Aristotele

affermava che lo sperma fosse l’ultimo residuo utile dell’organismo, il prodotto

più raffinato; la donna, invece, assomigliava ad un ragazzo, ma sterile12. Questa

sterilità era dovuta al fatto che fosse più fredda e umida dell’uomo e per questo

non era adatta a produrre sperma. La donna costituiva il ricettacolo della forza

creativa dell’uomo, lei era solo materia. Questa riflessione androcentrica sulla

procreazione ebbe una risonanza importante dal punto di vista teologico,

soprattutto per quanto riguarda l’incarnazione di Cristo. Tertulliano in De Carne

Christi13, afferma che realtà del corpo di Cristo, in quanto il seme di un essere

divino che si era congiunto in Maria divenendo carne, era di natura superiore a

qualsiasi umano visto che colui che lo aveva generato era una entità spirituale.

Maria per lo scrittore africano è vista alla maniera aristotelica, ovvero come un

corpo passivo che ha ricevuto il seme divino, quindi l’atto creativo era tutto ad

appannaggio dell’entità spirituale, non c’era nessun intervento materiale. In questo

modo si spiegava la superiorità e la natura di Cristo rispetto agli uomini14. Questa

linea di pensiero della concezione della maternità passiva di Maria è evidente in

altri autori, tra cui Origene. Sul piano prettamente antropologico, invece, il coro

delle voci si diversifica, questo soprattutto per quanto riguarda l’animazione del

feto. Tertulliano15 asserisce che carne e anima si vengono a creare nello stesso

12
E. Prinzivalli, Donna e generazione nei padri della Chiesa, in La donna nel pensiero cristiano antico, U.
Mattioli (a cura di), Genova, 1992, p. 81.
13
Tert., De carne Christi, XVIII, 1-3.
14
Prinzivalli, Donna e generazione nei padri della Chiesa, cit., pp. 83-84.
15
Prinzivalli, Donna e generazione nei padri della Chiesa, cit., p. 85.

45
momento. Secondo l’autore cartaginese è l’uomo, attraverso l’immissione dello

sperma, che contiene tutte le parti che costituiscono l’anima, ad essere superiore

durante la procreazione. L’apporto femminile è rappresentato dalla materia. Di

questo avviso, però, non sono né Clemente Alessandrino né Metodio di Olimpo.

Per Clemente, infatti, nonostante l’uomo rivesta un ruolo di rilievo in quanto

immagine di Dio, durante la gravidanza, la donna coopera direttamente con Dio16,

e l’immissione dell’anima nel feto viene ad opera proprio di quest’ultimo17.

Metodio18 con le sue parole risulta più rivoluzionario: sottraendo allo sperma la

funzione riproduttrice e plasmatrice, attribuisce alla donna un ruolo primario e

attivo nella riproduzione, mentre l’uomo subisce il processo opposto diventando

un apportatore di materia passivo. Metodio, ribaltando completamente la

prospettiva androcentrica, rivaluta la donna19. Al contrario Agostino, quando parla

della procreazione, relega nuovamente la donna al ruolo passivo nell’atto,

riaffidando, invece, all’uomo la parte del protagonista, riprendendo in

considerazione la lezione tertullianea20. Concludendo si può notare come il

pensiero aristotelico abbia influenzato la letteratura cristiana, specialmente quella

degli autori occidentali, che screditando la funzione riproduttrice della donna ad

appannaggio di quella dell’uomo, favoriscono una “disuguaglianza”. Invece gli

16
Clem. Al., Pedagogo, II, 10, 93, 1.
17
Prinzivalli, Donna e generazione nei padri della Chiesa, cit., p. 87.
18
Metodio, Symposium, II, 45.
19
Prinzivalli, Donna e generazione nei padri della Chiesa, cit., p. 87.
20
Prinzivalli, Donna e generazione nei padri della Chiesa, cit., p. 88.

46
autori orientali, nonostante si ispirassero alle teorie dello Stagirita, cercano di

improntare la visione della donna ad una sostanziale parità.

4.3 Sulla bellezza femminile

I primi scrittori cristiani che si occuparono delle donne facevano convergere nelle

loro opere una serie di luoghi comuni. Nonostante ciò, però, si possono distinguere

sfumature di pensiero fra i diversi autori, che si discostano anche dalla mentalità

pagana del tempo. Se è vero che i primi autori cristiani si rifacevano a topoi ben

radicati nelle società di quel tempo, è altrettanto vero che sul piano

dell’interpretazione emergono delle novità. In Tertulliano, ad esempio, il ruolo

della donna è per lo più improntato a una visione tradizionale del suo ruolo.

Nell’eleganza delle donne l’autore cartaginese ripropone lo stereotipo della donna

silenziosa, soggetta al marito e relegata in case mentre svolge i tipici lavori

domestici21:

‹‹Mostratevi guarnite degli unguenti e degli ornamenti dei profeti e degli apostoli, traendo il vostro
candore dalla semplicità, il vostro rossore dalla pudicizia, gli occhi dipinti con la verecondia e la
bocca con il silenzio, inserendo nelle vostre orecchie la parola di Dio, appuntando sulla vostra
nuca il giogo di Cristo. Sottomettetevi ai vostri mariti e sarete ornate sufficientemente; occupate
le vostre mani nel filare la lana, state sempre a casa e piacerete più che in mezzo all’oro. Vestitevi

21
Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne, cit., p. 139.

47
della seta onesta, del bisso della santità, della porpora della pudicizia. Così decorate, avrete Dio
come amante.››22

Emergono in questo passo i temi tradizionali che riguardano la donna: la

sottomissione al marito, la filatura della lana e lo stare recluse in casa. Nuovo,

invece, è il tema legato al trucco della donna e al suo indossare monili d’oro.

Tertulliano considera questi valori pagani che ben poco si addicono ad una donna

cristiana, e per avvalorare la sua tesi non esita ad attribuire all’oro, all’argento e

alle pietre preziose meno valore del ferro, perché di minore utilità23. Un monito

sull’inutilità di questi materiali proviene dal mondo barbaro: i barbari, infatti,

erano soliti incatenare con collari d’oro i loro schiavi, quindi una donna che si

adorna con bracciali e collane di quella stessa materia si poneva a un livello

inferiore24. Feroci e ironici sono gli attacchi dell’autore africano alle donne che si

truccano; le donne che tingono e arricciano i capelli, che truccano gli occhi e le

guance guastano la loro natura25: esse, tuttavia, non risorgeranno con il

trucco26.Tertulliano, inoltre, condanna anche la donna che ha raggiunto l’età

adulta, che cambia pettinatura, interroga lo specchio su come agghindarsi, si lava

fino a consumarsi, deturpa il viso con i cosmetici, lascia il capo scoperto per

sembrare più giovane27. Questi accorgimenti secondo Tertulliano non sono

ammissibili all’interno di un matrimonio cristiano, poiché al marito cristiano non

22
Tert., De cultu feminarum, II, 13, 7.
23
Tert., De cultu fem., I, 5, 2.
24
Tert., De cultu fem., I, 5, 1.
25
Tert., De cultu fem., I, 5, 2.
26
Tert., De cultu fem., II, 7, 3.
27
Tert., De cultu fem., 12, 2.

48
interessa la bellezza della moglie, bensì la sua castità, e tutti quegli accorgimenti

che lei mette in atto per sedurlo sono soltanto valori pagani, che, nell’unione in

Cristo, sono ritenuti inutili28. Dello stesso avviso è Cipriano, che ne L’abito delle

vergini condanna l’uso degli ornamenta da parte delle donne, ritenuto immorale,

poiché, truccandosi in modo appariscente si rendono irriconoscibili agli occhi di

Dio:

‹‹Dimmi: non hai paura così conciata, di non essere riconosciuta nel giorno della resurrezione da
chi ti ha creata? Non temi di essere respinta e buttata fuori quando giungerai ai beni che ha
promesso? Non hai paura che ti rimproveri con la sua forza di censore e di giudice e ti dica:
“Quest’opera non è mia e neppure questa immagine mi somiglia?”. Hai deturpato la tua pelle con
il trucco, ha cambiato il colore dei capelli con la tinta, hai contraffatto la tua faccia, hai cambiato
i tuoi lineamenti; il volto sembra quello di un’altra››29.

Per Cipriano solo la verginità riesce a conservare l’immagine divina di Dio:

‹‹Vergini conservate, ve lo ripeto, conservate quello che siete. Conservate quello che sarete. Vi
attendono una grande ricompensa, un importante premio per la vostra virtù ed un grandissimo
dono per la vostra castità. Volete sapere saper i mali da cui la continenza è esente e i beni che la
possiede? Dio dice alla donna: “Moltiplicherò la tua tristezza e i tuoi gemiti; tu partorirai nel
dolore; sarai soggetta a tuo marito ed egli ti dominerà. Voi siete libere da questa sentenza […].
Non avete un marito che vi domini, perché il vostro signore e capo è Cristo. Lui fa in certo qual
modo le veci dell’uomo. Partecipate a al suo destino e al suo stato››30.

Clemente Alessandrino31, nonostante disprezzi i metalli preziosi, arriva ad asserire

che questi sono stati inseriti sotto terra da Dio perché materiali non necessari, e,

nonostante ritenga il truccarsi un atto negativo, non arriva a condannare questi

28
S. Isetta, Tematiche patristiche De Cultu Feminarum, in La donna nel pensiero cristiano antico, U.
Mattioli (a cura di), Genova, 1992, p. 251
29
Cypr., De hab. vir., 17.
30
Cypr., De hab. vir., 22.
31
Clem. Al., Ped., II, 10, 104, 1.

49
ornamenta. L’Alessandrino riconosce l’utilità di questi mezzi, specialmente se

servono a una donna per garantirsi la fedeltà del proprio coniuge. Tuttavia, egli

preferisce una donna che riesce a tenersi stretto il marito con la sua virtù e non con

le armi della seduzione32.

4.4 La donna in alcuni Padri della chiesa

Quanto più la gerarchia ecclesiastica si andava definendo verso l’episcopato

monarchico, che riprendeva il sistema patriarcale, ovvero l’uomo al comando della

comunità, tanto più le donne venivano relegate ai margini della società. Questa

nuova autorità che si stava costituendo divenne il centro della comunità33. Ma

come mai il comando era affidato ad un uomo quando la predicazione cristiana

prevedeva un sostanziale uguaglianza fra uomo e donna? Non bisogna dimenticare

che la comunità cristiana nascente si andava costituendo nel mondo greco-romano,

società che fondavano il loro ordinamento sul patriarcato, quindi fu inevitabile per

il cristianesimo adattarsi a questa cultura dominante. Gli autori patristici, attraverso

le loro opere, equipararono la leadership delle donne nella chiesa con l’eresia,

questo, ebbe come diretta conseguenza la diffamazione teologica delle donne

32
Isetta, Tematiche patristiche De Cultu Feminarum, cit., p. 251.
33
C. M. Rodríguez, Cambiamenti sociali ed evoluzione dell’immagine della donna, in La donna nello
sguardo degli antichi autori cristiani, Trapani, 2013, p. 176.

50
cristiane34. Grazie alle loro opere si ebbe una emarginazione testuale e storica delle

donne dalla struttura della Chiesa. Di certo questa patriarcalizzazione non fu

indolore e priva di contestazioni, e questo lo si può notare nei loro scritti, visto che

le donne nella prima epoca cristiana avevano avuto ruoli di comando di un certo

rilievo nelle comunità, ma alla lunga ebbe la meglio35.

4.4.1 Tertulliano

Fra gli autori cristiani ricordiamo Tertulliano, il quale, come già si è visto per

alcuni aspetti, si espresse duramente nei confronti delle donne. Nel Battesimo

vengono usati toni forti contro una donna della setta dei Cainiti che non

riconosceva il battesimo, e, nell’introduzione all’opera l’autore sottolinea come

risulti strano che una donna insegni, nel momento in cui non possiede questo

diritto. Il diritto di somministrare il sacramento, come si è già visto, spetta

unicamente al vescovo, e, se non è presente, ai presbiteri e ai diaconi, ovviamente

uomini36:

‹‹La sfrontatezza della donna, che già ha usurpato il diritto di insegnare, si spingerà fino a
pretendere quello di battezzare? No, a meno che non venga fuori un’altra sciocca simile alla prima!
Questa pretendeva di sopprimere il battesimo; un’altra comincia a dire che lo vuole amministrare
lei stessa. E se certune esibiscono gli Atti che a torto portano il nome di Paolo, per difendere il
diritto delle donne all’insegnamento e all’amministrazione del battesimo, sappiano costoro: è stato

34
Schussler, In memoria di lei, cit., p. 75.
35
Schussler, In memoria di lei, cit., pp. 73-78.
36
Gryson, Il ministero della donna nella Chiesa antica, cit., p. 47.

51
un presbitero dell’Asia a creare quell’opera, coprendo per così dire la propria autorità con quella
di Paolo. Convinto di falso, costui dichiarò di aver agito così per amore di Paolo e fu deposto.
Infatti, è forse verosimile che l’Apostolo dia alla donna il potere di insegnare e di battezzare, lui
che concede solo con restrizione alle donne sposate il permesso di istruirsi? “Tacciano, egli dice,
e interroghino il marito a casa”››37.

Come si evince dal testo, Tertulliano, nell’attaccare questa donna, che rigetta il

sacramento del battesimo, nega allo stesso tempo ad altre donne il diritto di

somministrarlo. A favore della sua tesi enuncia che gli Atti di Paolo e Tecla non

sono altro che un falso. Ma chi è questa Tecla che tanto inquieta l’autore

cartaginese? Tecla è una giovane di Iconio, convertita al cristianesimo da Paolo,

che rompe il fidanzamento con il suo consorte per seguire l’Apostolo. Dopo varie

peripezie, degne di un romanzo ellenistico, raggiunge Paolo, che, riconosciuta la

sua devozione, le affida il compito della predicazione. Si può ragionevolmente

affermare che le donne che cercavano di rivestire un ruolo nella comunità cristiana

si ispirassero a questo scritto, ed è per questo che Tertulliano lo taccia di falsità.

Inoltre, per avvalorare maggiormente le sue tesi, secondo cui le donne non possono

né insegnare né somministrare i sacramenti, non esita a riprendere le parole di

Paolo38, che devono essere valutate nell’ambiente in cui sono proferite, mentre lo

scrittore cartaginese ricorre ad esse per creare una legge universale. Anche quando

passa all’eresia montanista, che fra i suoi ranghi annoverava un certo numero di

donne che ricoprivano ruoli importanti, Tertulliano non smorza le sue critiche

37
Tert., De baptismo, 17, 4.
38
1Co, 14, 34-35.

52
verso le donne. Nel Velo delle Vergini attacca nuovamente le donne che

rivendicano un ministero sacerdotale:

‹‹Non è permesso alla donna di parlare in chiesa, e maggiormente di insegnare, di battezzare, di


offrire o di rivendicare per sé sia pure una parte di quelle funzioni che spettano all’uomo,
soprattutto del ministero sacerdotale››39.

Questa prescrizione valeva anche per le vergini, che erano altamente considerate

all’interno delle comunità cristiane. Nonostante Tertulliano abbia seguito più

correnti all’interno del cristianesimo, la sua critica verso le donne che vogliono

ricoprire una carica istituzionale e clericale all’interno della comunità non muta,

anzi i suoi toni si mantengono sempre abbastanza aspri. Anche verso quegli ordini

che erano riconosciuti dalla Chiesa, come quello delle Vergini e quello delle

Vedove, lui si prodiga affinché questi rimangano sottomessi all’autorità di un

vescovo40. Nonostante Tertulliano, con i suoi scritti, sbarri la strada alla donna per

una eventuale ascesa sociale, egli la inserisce nel piano di salvezza finale. Ne La

resurrezione della carne lo scrittore asserisce che la resurrezione avverrà in tutta

la sua fisicità, comprese le differenze sessuali. Questo perché corpo e anima sono

due realtà inscindibili e peculiari dell’essere umano; essendo la caro creata a

immagine di Dio, è logico che anche la donna sia compresa in questa salvezza41.

39
Tert., De virg. vel., 9, 1.
40
Gryson, Il ministero della donna nella Chiesa antica, cit., p. 51.
41
Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne, cit., p. 141.

53
4.4.2 Origene

Del tutto originale si presenta il pensiero di Origene sulla donna. Egli afferma, al

contrario di Tertulliano, che, quando avverrà la resurrezione, il corpo umano non

verrà resuscitato né con la sua componente sessuale né con gli altri suoi caratteri

tipici. Ciò che conta per l’esegeta alessandrino è l’anima, quindi la storia interiore

di ciascun uomo. Affermando ciò, egli scinde la corporeità dall’anima. Il

femminile, generalmente inteso come categoria deficitaria rispetto al maschile,

non è ad appannaggio di chi è sessualmente femmina, ma può esserlo di chi è

sessualmente maschio42. Nonostante questa equitas spirituale la donna per Origene

rimane inferiore all’uomo. Alle donne è assolutamente vietato profetizzare in

pubblico e di fronte agli uomini. Origene citava donne che nella Bibbia ebraica

erano profetesse, come Debora e Miryam sorella di Mosè; ma citava anche Anna

e le quattro figlie di Filippo. Queste donne avevano preso la parola mosse dallo

spirito profetico. Tuttavia, secondo Origene quelle profetesse potevano rivolgersi

solo ai singoli, anzi alle singole, donne ma mai agli uomini43. Il teologo greco, per

dare forza a questa affermazione si richiama anche alla seconda Epistola a Tito,

scritta da Paolo, per sostenere che le donne potevano insegnare solo ad altre donne.

42
E. Prinzivalli, La donna, il femminile e la Scrittura nella tradizione origeniana, in La donna nello sguardo
degli antichi autori cristiani, Trapani, 2013, p. 92.
43
Gryson, Il ministero della donna nella Chiesa antica, cit., p. 62.

54
Infatti, in questa lettera, l’Apostolo non permette alla donna di insegnare né di

dominare sull’uomo in quanto sconveniente44.

4.4.3 Ambrogio

In Ambrogio si ha una dicotomia di pensiero sulla donna. Negativa da un lato, in

quanto l’influenza di Filone per quanto riguarda il racconto genesiaco del peccato

originale, lo porta ad accusare Eva della perdita della grazia divina; con

conseguenze negative, quindi, sull’immagine della donna. Positiva dall’altra parte,

in quanto il cristianesimo tende a correggere molti aspetti negativi legati alle

donne45. Come già accennato in precedenza, Ambrogio commentando il passo di

Genesi 2, 8ss, attribuisce alla donna la responsabilità del peccato originale, per

questo motivo ella deve essere sottomessa all’uomo46. Eppure in questa stessa

opera si ha una valutazione positiva del genere femminile: Dio, nonostante sappia

che Eva commetterà peccato, soltanto dopo aver creato la donna si dichiara

compiaciuto della sua creazione. Inoltre nell’opera L’istituzione della Verginità

emerge che l’uomo è stato creato dal fango, mentre la donna dalla carne dell’uomo:

44
Gryson, Il ministero della donna nella Chiesa antica, cit., p. 62.
45
Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne, cit., p. 156.
46
Ambr., De Par., 11.

55
‹‹L’uomo è stato fatto di terra e di fango, la donna è stata tratta dall’uomo. Certamente anche la
carne era fango, ma quello era ancora informe, questo aveva una forma››47.

Nella stessa opera Ambrogio si placa quando parla del ruolo che la donna svolse

nel peccato originale: dando per scontata l’inferiorità della donna rispetto

all’uomo, sostiene che la colpa del peccato originale risieda più nell’uomo che si

è fatto ingannare da un essere inferiore che nella donna, la quale invece, è stata

ingannata da un essere superiore, il serpente:

‹‹Certamente non possiamo negare che la donna abbia peccato. Ma perché ti meravigli per la
caduta del sesso debole, dal momento che è caduto anche il sesso forte? La donna ha una scusa
quando pecca, l’uomo non l’ha. Quella, come dice la Scrittura, fu ingannata dal serpente che era
più astuto di tutti, tu, uomo, fosti ingannato da una donna: cioè quella fu tratta in inganno da una
donna, quella invece da un angelo, anche se cattivo. Se tu non hai potuto resistere ad una inferiore
di te, come avrebbe potuto resistere lei ad uno superiore? La tua colpa la assolve››48.

È riconosciuta una complementarità, in quanto dall’unione dell’uomo e della

donna nasceranno gli umani destinati alla salvezza, ma questa complementarità

non perfettamente simmetrica. Per lo scrittore la donna è stata creata per aiutare

l’uomo, necessita della sua difesa, quindi è inferior all’uomo e da qui la divisone

degli ambiti di azione: l’uomo è colui che si deve occupare delle cose pubbliche,

mentre la donna domina nelle faccende domestiche. Riprendendo la lettera paolina

1Tm 2, 11, afferma:

‹‹Perciò anche l’Apostolo quale interprete della Legge, dice: “Le donne tacciano in assemblea;
infatti non è permesso loro di parlare, ma devono stare sottomesse, come dice la legge. Se vogliono
imparare, interroghino a casa i loro mariti” e a Timoteo: “La donna impari in silenzio con ogni
sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare o di dettar legge all’uomo”››.

47
Ambr., Exhortatio Virginitatis, 3, 23.
48
Ambr., Exh. Virg., 4, 25.

56
Ambrogio ribadisce il concetto che la donna non ha autorità, né per quanto riguarda

la parola e la predicazione e né per l’insegnamento. Solo nella virtù della verginità,

per Ambrogio, si ha il pieno riscatto della donna49.

4.4.4 Girolamo

Una certa ambivalenza sulla figura della donna la si può ravvisare anche in

Girolamo. Le donne sono state sempre presenti nella vita del santo, prima come

compagne nel suo cammino spirituale e poi come oggetto di riflessione nelle sue

opere. Nonostante le reputi colpevoli della perdita della grazia divina a causa del

peccato originale, nei loro riguardi si mostra aperto, tanto da rivolgere

apprezzamenti. Gran valore aveva per lui la donna che voleva preservarsi casta

fino alla morte. La verginità è la perfezione ideale dell’essere umano. Essa è nella

linea dell’ascesi, del “dover essere”: il matrimonio non è uno stato definitivo, la

verginità sì50. E’ la virtù che sorregge tutto l’edificio spirituale, è da essa che

tutto riceve perfezione. Lo stato verginale permette di attingere i confini della vita

angelica, per questo deve abbracciare tutto quanto l’essere: ‹‹Ecco la

definizione di vergine: essere santa di corpo e di spirito, poiché a nulla gioverebbe

avere la carne vergine, se poi è sposata nello spirito››51. Apertamente misogino e

49
Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne, cit., pp. 156-161.
50
Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne, cit., p. 167.
51
Hier., Adversus Helvidium, 20.

57
misogamico è il suo pensiero nel trattato Contra Iovinianum, un monaco che aveva

negato la superiorità della vita ascetica e del celibato. Nel commento alla Lettera

di Paolo ai Corinzi, Girolamo interpreta in forma più rigida e severa l’invito di

Paolo a non toccare donna e propende per il celibato. A tale fine, elenca i pericoli

rappresentati dalla donna: rende schiavi, controlla, si lamenta, ha continue pretese.

Lo scrittore afferma che i bisogni per cui gli uomini si sposano (avere chi curi la

casa, fuggire dalla solitudine, essere consolato nei momenti tristi) possono essere

meglio soddisfatti da un servo fidato. Interessante da questo punto di vista può

essere il suo pensiero sul rapporto coniugale: nonostante la sua misoginia e la sua

misogamia, egli considera il rapporto matrimoniale non come sottomissione della

donna all’uomo, ma come una reciproca sottomissione52. Gerolamo, diversamente

da Tertulliano e da Ambrogio, i quali negavano che la donna dovesse essere

istruita, propende per una sua preparazione. Nell’Epistola 107 indirizzata a Leta,

lo Stridonense dà un programma di studio da seguire alla donna, senza tenere

troppo conto del suo sesso53.

52
Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne, cit., pp. 163-164.
53
Moretti, La Bibbia e il discorso dei Padri latini sulle donne, cit., p. 171.

58
4.4.5 Agostino

Agostino elabora un concetto molto originale riguardo alla cacciata di Adamo ed

Eva dall’Eden. Decostruendo il mito che uomini e donne sono stati creati in due

momenti diversi54 e, ritenendo invece, che l’umanità sia stata creata in un unico

atto, reinserisce la donna nel progetto divino, pur mantenendo sempre inalterata la

gerarchia di genere della superiorità dell’uomo sulla donna. Questa sua visone

comporta che nel peccato originale l’uomo sia responsabile della perdita della

grazia divina, in quanto essere razionale che ha ceduto al peccato a causa della sua

superbia55. Il ruolo di Eva diviene puramente strumentale. Questa strumentalità,

però, non le evita una dura condanna: in quanto creata per essere al servizio del

maschio, condivide la sua sorte con parti dolorosi e dominio da parte dei mariti.

Interessante è il ruolo che Maria assume nella redenzione dell’umanità: nonostante

sia vista soltanto come un mezzo, uno strumento passivo per la creazione, il

vescovo di Ippona ne enfatizza il ruolo:

‹‹Era necessario che la liberazione dell’umanità fosse manifesta in entrambi i sessi. Perciò, dal
momento che era conveniente che egli prendesse la natura umana come un uomo il più onorevole
dei due sessi, la liberazione del sesso femminile è conseguentemente dimostrata dal fatto che
questo uomo doveva nascere da una donna››56.

54
Gn, 1, 27; Gn, 2, 20-22
55
K. E. Borrensen, Modelli di genere in Agostino, in La donna nello sguardo degli antichi autori cristiani,
Trapani, 2013, p. 198.
56
Agostino, De diversis quaestionibus, 11.

59
Questa enfasi porta a inserire le donne nel progetto di salvezza, ma, come sostiene

lo stesso autore, esse rimangono soggetti inferiori, meno onorevoli. Interessante è

anche come Agostino si esprime sulle donne nel momento della resurrezione. Egli

riprende la lezione tertullianea, secondo la quale uomini e donne resusciteranno

sia in spirito che in corpo, e su questo basa la sua visione sessuofobica della donna

vista come mezzo di distrazione da Dio: le donne, anche se risorte nella loro

bellezza non rappresenteranno più una distrazione57. Anche se nell’ordine della

redenzione per Agostino, uomini e donne erano paritari, la gerarchizzazione

dovuta alla differenza sessuale si ripercuote sul ruolo e sulle funzioni che l’uomo

e la donna hanno nell’ambito della società. Nell’unione coniugale l’ordine naturale

pone il marito al di sopra della moglie, ma è evidente un limite: anche se lo

definisce dominus, egli non deve comportarsi come un capo arbitrario58.

Ovviamente questa subordinazione valeva anche per gli altri aspetti della vita

sociale. Di fatto per i Padri della Chiesa l’equivalenza di genere si avrà soltanto in

futuro.

57
Borrensen, Modelli di genere in Agostino, cit., p. 203.
58
Pastorino, La condizione femminile nei padri della chiesa, cit., p.114.

60
CAPITOLO V

IL IV SECOLO

Il IV secolo rappresentò una svolta per la religione cristiana. Due date

emblematiche mettono in evidenza questo: la prima è il 313, anno in cui Costantino

e Licinio emanavano il cosiddetto “Editto di Milano”, che concedeva libertà di

culto a tutte le religioni dell’impero Romano; la seconda è il 380, anno in cui

Teodosio il Grande, con l’Editto di Tessalonica, rendeva il cristianesimo religione

di Stato1.

Quest’ultimo evento portò la gente a convertirsi in massa. La Chiesa per

fronteggiare questa ondata di fedeli, dovette consolidare le proprie strutture, con

conseguente rafforzamento dell’autorità del vescovo. Conseguenza di tutto questo

fu la patriarcalizzazione delle strutture di potere della Chiesa e l’estromissione dei

laici dai vari ambiti2. Questo ebbe un risvolto negativo per la condizione delle

donne, in quanto questa mascolinizzazione della Chiesa fece fallire il processo di

emancipazione che si sviluppò nelle prime comunità cristiane3. La donna, inoltre,

non fu un oggetto di una vera e propria riflessione, in quanto la Chiesa dovette

affrontare, in quel periodo, problemi di una certa rilevanza, quale l’eresia ariana.

1
Rodríguez, Cambiamenti sociali ed evoluzione dell’immagine della donna, cit., p. 177.
2
Rodríguez, Cambiamenti sociali ed evoluzione dell’immagine della donna, cit., p. 178.
3
Rodríguez, Cambiamenti sociali ed evoluzione dell’immagine della donna, cit., p. 178.
Ma il IV secolo vide anche la nascita e l’esplosione del pellegrinaggio, il quale

indusse molti cristiani a intraprendere un viaggio in oriente, non irto di pericoli e

di fatiche, per visitare i Luoghi Santi4. Come già detto, l’emancipazione della

donna nel IV secolo aveva subito una battuta di arresto, ma trovava nel

pellegrinaggio e nella vita ascetica trova una forma di riscatto5. Fra le tante

pellegrine che visitarono la Terra Santa, due spiccano maggiormente: Elena, la

madre di Costantino ed Egeria.

5.1 Elena

Le notizie sulla madre di Costantino sono poche e non del tutto affidabili. Solo

dopo la sua morte, infatti, la sua fisionomia divenne più ricca e complessa rispetto

alle testimonianze riportate dai suoi contemporanei. Determinante per la sua fama,

fu l’attribuzione di una impresa che in realtà non compì mai: il ritrovamento della

croce di Gesù.

Il nome di Elena (Flavia Iulia Helena) riconduce immaginariamente ad origini

prestigiose, in quanto madre dell’Imperatore, ma la realtà è ben diversa. È

doveroso precisare, che il suo nome completo, è attestato solo dopo che le fu

4
N. Nartucci, Pellegrinaggio in Terra Santa: Itinerarium Egerie, Firenze, 1991, p. 15.
5
Nartucci, Pellegrinaggio in Terra Santa, cit., p. 7.

62
conferito il titolo di Augusta; un’iscrizione6 e ad alcune monete7 confermano ciò.

Questa operazione può essere stata fatta per occultare le sue origini poco chiare8.

Elena nacque nel 248 circa a Drepamim, in Bitinia, città che prenderà il nome di

Elenopoli per volontà di Costantino, in onore della madre. Secondo Ambrogio9 era

di umili origini, lavorò come stabularia. In questa città conobbe il romano

Costanzo Cloro, che in quel momento rivestiva la carica di tribuno militare, e

innamoratosi di lei per la sua bellezza, la volle accanto come “concubina. Il 27

febbraio 274 nella città di Naissus, in Serbia, nacque il figlio Costantino che Elena

crebbe con amore e dedizione. Nel 293 fu ripudiata perché Costanzo Cloro

intendeva prendere in moglie Teodora, figliastra di Massimiano. A causa di ciò,

Elena si allontanò dalla corte. Malgrado questo, suo figlio Costantino fu cresciuto

alla corte di Diocleziano. Costantino, diventato Augusto nel 306, riaccolse la

madre e le tributò grandi onori, arrivando a coniare monete con la sua effige e

dandole libero accesso al tesoro imperiale. Questa è la testimonianza di Eusebio:

‹‹L’imperatore dispose che le fossero concessi grandi onori, che non c’era nessuno nelle province,
nemmeno i militari, che non la salutassero con il titolo di imperatrice. La sua effige fu incisa su

6
CIL, VI 1134.
7
Le principali informazioni sulle rappresentazioni monetali di Elena si rinvengono in H. Cohen,
Description historique des monnaies, Vol. VII, Parigi-Londra 1888, pp. 93-97 (per il nome completo, si
rimanda a p. 95 nota 4, e p. 96 nota 8); J. Maurice, Numismatique constantinienne, Vol. I, Parigi, 1908, pp.
89-93. Ulteriori indicazioni in H.A. Pohlsander, Helena. Empress and saint, Chicago Ridge, 1995, pp. 180-
183.
8
Lo suggerisce M. Kajava, Some remarks on the name and origin of Helena Augusta, in Acta Philologica
Fennica, Vol. XIX, Helsinki, 1985, p. 42, che li ritiene desunti dal nome di Costanzo; l’ipotesi può valere
solo per Flavius, perché per Costanzo il gentilizio Iulius non è attestato.
9
Ambr., De obitu Theodosii, XLII.

63
monete d’oro. Godeva di libertà assoluta nel disporre degli introiti del denaro e ciò costituiva un
altro motivo di stima in tutto l’Impero››10.

La visibilità pubblica di Elena raggiunge l’apice con il conferimento del titolo di

Augusta, questo avvenne dopo che Costantino ebbe sconfitto Licinio a Crisopoli

(324 d.C.). Tuttavia, dovette condividere questo titolo con Fausta, moglie

dell’imperatore. Solo dopo la morte di quest’ultima, ella rimase l’unica donna

vicino a Costantino. Nonostante gli autori cristiani forniscano un ritratto positivo,

Elena non svolse un ruolo di primaria importanza nel momento in cui Costantino

riconobbe il cristianesimo come religio licita, non essendo ancora cristiana quando

nel 313 fu emanato il celebre Editto di Milano. Eusebio11 affermava che Elena

fosse stata convertita al cristianesimo dal figlio; visse in modo esemplare la sua

fede, nell’attuare le virtù cristiane e nel praticare le buone opere; partecipava con

raccoglimento e con devozione alle funzioni religiose e a volte, per confondersi

con i fedeli, indossava semplici abiti. Sovente invitava i poveri a pranzo nel suo

palazzo, servendoli con le proprie mani. Abbracciato il cristianesimo con

dedizione, profuse il suo impegno a diffonderlo fra le varie popolazioni

dell’impero, facendo edificare chiese, riscoprendo luoghi sacri12, insieme a

Costantino, dedica a San Pietro una croce d’oro massiccio di 150 libbre, collocata

sul corpo dell’Apostolo13. Ma l’avvenimento in cui si manifestò tutta la devozione

di Elena verso la fede cristiana fu la visita ai Luoghi Santi, avvenimento di cui ci

10
Eus., Vita di Costantino, III, 47.
11
Eus., V. C., III, 47.
12
Eus., V. C., III, 44.
13
Duchesne, Liber Pontificalis, p. 176, 7-9.

64
dà testimonianza diretta Eusebio di Cesarea. Quasi ottuagenaria, intraprese nel 326

un lungo viaggio in Oriente per percorrere i luoghi che avevano visto Cristo

protagonista. In questa occasione la tradizione le attribuisce la scoperta del Santo

Sepolcro e la costruzione di alcune chiese monumentali a Betlemme, sul Monte

degli Olivi, a Gerusalemme e in altre località. Per quanto riguarda i ritrovamenti

della croce, questi sono tramandati soltanto da una tarda tradizione cristiana;

Eusebio infatti, non riporta nulla sugli scavi effettuati sul Golgota da parte di

Elena14. Nel prosieguo del suo viaggio in Palestina, nei luoghi santi eradicò gli

ultimi resti del paganesimo e fece costruire magnifiche chiese. Eusebio mette in

risalto come l’azione di Elena serve a esaltare quella di Costantino: «pia madre di

un pio imperatore»15, infatti, il figlio renderà ancora più belli ed eleganti gli edifici

fatti costruire per il volere della madre. Vedere la visita dell’Augusta in Terra Santa

come un atto squisitamente religioso sarebbe riduttivo: si può cogliere, in tutto

questo, una certa cifra politica. Costantino mandando sua madre nelle province

Orientali, da un lato cercava di ingraziarsi la gerarchia ecclesiastica con la

costruzione di chiese e vari edifici di culto, d’altra parte le varie elargizioni, fatte

da sua madre, a favore dei soldati e delle varie popolazioni servivano ad attenuare

gli strascichi della guerra civile che pochi anni prima aveva visto coinvolto in

prima persona l’imperatore. Elena appare, perciò, l’esecutrice di un preciso

14
D. Tudor, Donne celebri nel mondo antico, Milano, 2008, pag. 368.
15
Eus., V. C., III, 43, 4.

65
programma politico, inteso a promuovere l’immagine del figlio16. Elena morì nel

329 circa, assistita dal figlio in un luogo non identificato; il suo corpo fu trasportato

a Roma e sepolto sulla via Labicana ai due lauri, oggi Torpignattara, in un

sarcofago di porfido, collocato in uno splendido mausoleo a forma circolare con

cupola. Fu da subito considerata una santa e, quando i pellegrini arrivavano a

Roma, non omettevano di visitare anche il suo sepolcro. Il culto si diffuse

largamente in Oriente e in Occidente.

5.2 Egeria

Chi era Egeria? L’autrice dell’Itinerarium fa emergere tutta la sua personalità nello

scritto: è una donna dalla personalità estremamente curiosa17, che le permette di

sopportare le fatiche che il viaggio comporta. Questo suo modo di essere la porta

a compiere il pellegrinaggio, con un misto di entusiasmo, di intraprendenza e di

impazienza18. Emerge chiaramente, dalle pagine dello scritto, una immagine di

donna con un grande spirito di iniziativa, che non arretra innanzi alle difficoltà,

estremamente socievole e che vive pienamente il suo presente19. Nonostante questa

ricchezza di particolari sulla personalità, Egeria non fornisce molte informazioni

16
S.A. Fortner, A. Rottloff, Auf den Spuren der Kaiserin Helena, Germania, 2000, pp. 86 segg.
17
Ut sum satis curiosa, 16, 3, 13-14. La pellegrina spesso chiede alle guide di vedere di più (3, 7, 50-51; 7,
2, 17; 10, 8-9, 51-57; 15, 2, 7-8) o intraprendere pellegrinaggi non previsti (13, 1, 3-8; 17, 1-2, 5-19; 22, 2,
7-9; 23, 10, 55-56).
18
P. Siniscalco, L. Scarampi, Pellegrinaggio in Terra Santa, Roma, 1985, p. 22.
19
Siniscalco, Scarampi, Pellegrinaggio in Terra Santa, cit., p. 23.

66
sulla sua patria e sul suo rango sociale. Sulla sua provenienza restano, infatti,

ancora due possibilità: la Gallia e la Galizia20, mentre per quanto riguarda la

provenienza sociale si può supporre che la donna appartenesse ad un classe

abbiente: in Itinerarium 7, 2 Egeria afferma che lungo i confini dell’Egitto, lei ed

i suoi compagni di viaggio vennero accompagnati dalla scorta imperiale. Questo

elemento è interpretato dagli studiosi che ritengono l’autrice di famiglia nobile o

quantomeno benestante21. Egeria annota nel tratto di cammino che vi erano diverse

collocazioni militari: si trattava, quindi, di un territorio pericoloso. Ulteriore

elemento a sostegno delle nobili origini di Egeria è il fatto che ogni volta che la

pellegrina visitava una nuova città, il vescovo della stessa città o i monaci della

zona la accoglievano sempre valde humane, “con grande benevolenza”. Tuttavia,

anche se fosse stata di nobili origini, non significa che non abbia preferito viaggiare

da umile pellegrina (come molte altre dame di cui abbiamo notizia) in compagnia

di altre persone. Si può ritenere che Egeria fosse una donna di nobili origini anche

per il fatto che è ella stessa a scrivere il diario. Molto si è dibattuto riguardo la

modalità in cui il diario è stato scritto: c’è chi afferma che questa donna avesse una

formazione culturale modesta, dovuta al solo studio della Bibbia, c’è chi ritiene,

invece, che la sua formazione derivi dalla cultura classica. Interessante può essere

la tesi avanzata da Elena Giannarelli: Egeria è una donna colta, che in certi

momenti sfrutta a fondo il proprio sapere, ma considera sempre questa lettera

20
Nartucci, Pellegrinaggio in Terra Santa, cit., p. 46.
21
Siciscalco, Scarampi, Pellegrinaggio in Terra Santa, cit., p. 19

67
soprattutto come uno strumento pratico: da qui la scelta di un linguaggio semplice,

quotidiano, non sgrammaticato, ma rispettoso delle regole della sintassi22.

Il Diario di Egeria può essere datato tra gli anni 381-38423. Per quanto riguarda

l’epoca di composizione dell’opera, si può affermare che essa ebbe luogo a

Costantinopoli poco dopo la fine del pellegrinaggio, quando i ricordi erano ancora

vivi. Il tono colloquiale del testo ed altri indizi hanno fatto supporre che in realtà,

si trattasse di un’epistola, o un insieme di epistole, inviate dalla pellegrina in patria.

I quarantanove capitoli conservati nel manoscritto aretino possono essere

sostanzialmente divisi in due sezioni:

Capitoli 1-23: Egeria descrive i pellegrinaggi ai luoghi santi dell’Egitto,

della Terra Santa e dell’Asia Minore;

Capitoli 24-49: è la parte più interessante per la ricostruzione della liturgia

gerosolimitana.

La descrizione dei pellegrinaggi può essere divisa in quattro sezioni:

1. Il viaggio al Sinai ed il ritorno a Gerusalemme, attraverso la terra di Gessen;

2. La visita al monte Nebo, ove spirò Mosé;

3. Il viaggio nell’Idumea, la terra di Giobbe;

22
E. Giannarelli, Diario di Viaggio, Roma, 1992, p. 58.
23
Giannarelli, Diario di Viaggio, cit., p. 14.

68
4. Il passaggio in Mesopotamia ed il ritorno a Costantinopoli, passando per

Tarso, Seleucia e Calcedonia.

La seconda parte del testo può essere considerata come una seconda lettera in cui

Egeria descrive solo i riti gerosolimitani che differiscono dalla liturgia annuale

occidentale. Da quanto emerge, le feste che più impressionano la pellegrina sono

l’Epifania (che nel IV secolo comprendeva anche la memoria del Natale), la

Settimana Santa e quindi la Pasqua, la Pentecoste ed infine la feste delle Encenie

(dies Enceniarum)24. È plausibile che il titolo Itinerarium sia stato attribuito per

analogia con altre opere di contenuto affine, come l’Itinerarium Burdigalense25 o

l’Itinerarium Antonini Placentini26. Ciò che rende lo scritto aretino un unicum sta

nel fatto che Egeria non si limita ad un semplice elenco delle mutationes o

mansiones, o dei numerosi luoghi santi, come l’Itinerarium Burdigalense: il suo

racconto è vivo, pieno di ricordi ed emozioni personali ma anche corali, giacché la

pellegrina non manca mai di descrivere la partecipazione e la commozione di tutto

il popolo dei pellegrini.

24
Il dies Enceniarum, ovvero il 13 settembre, era il giorno in cui si ricordava la dedicazione della basilica
voluta dall’imperatore Costantino, i cui lavori furono seguiti dalla madre dell’imperatore Elena. Alcuni
anni più tardi nel dies Enceniarum si festeggiava anche il ritrovamento della Vera Croce: alcune fonti
ricordano, tuttavia, il 13 settembre come feste delle Encoenie, mentre il 14 come festa del ritrovamento
delle Croce. Il termine enceniae è di origine greca e rimane anche oggi soprattutto in alcuni dialetti
dell’Italia meridionale, come il napoletano, in cui il verbo “incignare” significa “rinnovare”.
25
L’Itinerarium Burdigalense è il resoconto del pellegrinaggio intrapreso, nel 333, da un pellegrino di
Bordeaux fino a Gerusalemme, come è scritto nel titolo intero dell’opera (Itinerarium a Burdigala
Hierusalem usque et ab Heraclea per Aulonam et urbem Romam Mediolanum usque). Il racconto è una
successione di mansiones e mutationes e di luoghi santi che solo in pochi punti diventa narrazione
personale.
26
L’ Itinerarium Antonini Placentini è il racconto del pellegrinaggio in Terra Santa, intrapreso tra il 560 ed
il 570, da un anonimo cittadino di Piacenza.

69
CONCLUSIONE

Attraverso la nostra analisi abbiamo potuto mettere in evidenza come il ruolo e la

concezione della donna si siano evoluti nel cristianesimo primitivo.

La predicazione di Gesù, come si è notato, ha avuto un impatto non indifferente

sulla società ebraica e greco-romana. Il suo messaggio, infatti, prevedeva nei suoi

aspetti più rivoluzionari l’uguaglianza uomo-donna. Al sesso femminile veniva,

finalmente, riconosciuto un ruolo attivo e dominante nella società: la donna non

era più un oggetto di cui l’uomo poteva disporre come meglio credeva, ma diviene

un soggetto, capace di cogliere le più profonde verità che si celano nelle Scritture.

È stato messo in mostra come Paolo non sfavorisca la donna e la releghi ad un

ruolo subalterno, bensì come prosegua nel solco tracciato dalla predicazione del

Cristo. È stato fatto questo sia attraverso l’analisi delle lettere paoline che parlano

della diaconessa Febe, ma soprattutto reinterpretando quelle affermazione paoline

venate di misoginia, inserendole nel loro contesto e nella cultura del tempo. Anzi,

è stato interessante mettere in luce come l’Apostolo gradisca il loro operato, tanto

da veder di buon occhio che alcune di loro siano messe a capo di alcune comunità

cristiane (Febe, Lidia). All’interno di queste prime comunità grande era molto

stimata la funzione della donna nell’educare i figli, in quest’ambito aveva un ruolo

preponderante.

Si è potuto constatare, come, da in un primo momento in cui l’uomo e la donna

avevano pari diritti e opportunità in tutti gli aspetti e gli ambiti della vita, tra il III
e il IV l’emancipazione femminile subiva un arresto sul piano sociale, fino ad

arrivare ad un vera e propria involuzione, almeno sul piano sociale.

Per quanto concerne i secoli III e IV si è visto come la gerarchizzazione e

patriarcalizzazione della comunità cristiana abbiano portato ad un esclusione

sempre maggiore delle donne dai ministeri della Chiesa e abbiano messo sotto una

rigida forma di controllo quegli ordini femminili che si erano costituiti nei primi

secoli, come l’ordo delle vedove e delle vergini. I Padri della Chiesa, come si è

potuto notare, hanno giocato un ruolo fondamentale in tutto questo. Infatti, nei loro

testi, per quanto riguarda la donna, si può scorgere una profonda dicotomia: se da

una parte esaltano l’uguaglianza fra l’uomo e la donna sul piano spirituale e sul

piano escatologico, dall’altra, da un punto di vista antropologico non smettono di

considerare l’uomo superiore alla donna, con inevitabili ripercussioni sul piano

sociale. Questa mentalità della supremazia maschile non può che essere figlia della

cultura dominante del tempo in cui si trovarono ad operare.

Nonostante questa involuzione, almeno nell’ambito della gerarchia ecclesiastica,

la donna, come si è visto, è stata capace di ritagliarsi, ancora una volta, un ruolo di

una certa importanza. Elena, la madre di Costantino, ed Egeria, seppero

interpretare al meglio il loro nuovo ruolo. Entrambe intrapresero il pellegrinaggio

in Terra Santa per visitare i luoghi in cui visse e operò Cristo, anche se con finalità

diverse, in quanto Elena unì allo scopo religioso quello politico, attraverso le loro

opere, giocarono un ruolo fondamentale nel veicolare il messaggio cristiano tra i

loro correligionari.

71
Concludendo, il messaggio di Cristo, per quanto riguardo l’oggetto della mia

ricerca, negli autori del III-IV secolo ha assorbito le consolidate categorie

concettuali e sociologiche che vedevano la donna inferiore all’uomo e che

concentravano su di lei una serie di qualità negative, in opposizione all’uomo che

rappresenta il polo positivo.

72
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INDICE

INTRODUZIONE ................................................................................................... 1
CAPITOLO I ............................................................................................................. 4
GESÙ E LE DONNE ............................................................................................... 4
1.1 La situazione delle donne ai tempi di Gesù .................................................. 4
1.2 Il rapporto di Gesù con le donne nei vangeli canonici .................................. 6
1.3 Il rapporto di Gesù con le donne nei vangeli apocrifi ................................... 9
CAPITOLO II .................................................................................................. 17
LA DONNA IN EPOCA APOSTOLICA .................................................................. 17
2.1 San Paolo (anti)femminista ......................................................................... 17
2.2 La donna negli Atti degli Apostoli ............................................................... 22
CAPITOLO III ......................................................................................................... 24
IL RUOLO DELLA DONNA NELLE PRIME COMUNITÀ CRISTIANE ..................... 24
3.1 La donna: martire, vergine, vedova, moglie e madre, profetessa,
diaconessa ......................................................................................................... 27
3.1.2 La vergine ................................................................................................. 29
3.1.3 La vedova.................................................................................................. 31
3.1.4 Moglie e madre ........................................................................................ 34
3.1.5 La profetessa ............................................................................................ 37
3.1.6 La diaconessa ........................................................................................... 39
CAPITOLO IV......................................................................................................... 41
LA CONSIDERAZIONE DELLA DONNA NELLA LETTERATURA PATRISTICA ....... 41
4.1 La donna e il peccato originale ................................................................... 42
4.2 Un confronto tra Padri occidentali e orientali sulla procreazione ............. 44
4.3 Sulla bellezza femminile .............................................................................. 47
4.4 La donna in alcuni Padri della chiesa .......................................................... 50
4.4.1 Tertulliano ................................................................................................ 51
4.4.2 Origene ..................................................................................................... 54
4.4.4 Girolamo ................................................................................................... 57
4.4.5 Agostino ................................................................................................... 59
CAPITOLO V .......................................................................................................... 61
IL IV SECOLO ...................................................................................................... 61
5.1 Elena ............................................................................................................ 62
5.2 Egeria ........................................................................................................... 66
CONCLUSIONE ................................................................................................... 70
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................... 73

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