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TEOLOGIA DOGMATICA VI - MARIOLOGIA

Professore don Daniele Cogoni

Programma:
1. Finalità
II corso si prefigge di offrire una riflessione sui tratti caratterizzanti la figura di Maria di Nazareth
nella sua particolare dignità di Theotokos, così come essa emerge dai dati della teologia biblica,
patristica, dogmatica ed ecumenica.
Una particolare attenzione verrà data al binomio Maria-Chiesa, nonché alle rilevanze offerte
sull'argomento dalla teologia ecumenica con una specifica attenzione ai contributi proposti dalla
teologia ortodossa e riformata.

2. Descrizione del corso


Maria Vergine e Madre, adombrata nei dati biblici veterotestamentari e pienamente rivelata nei
dati biblici neotestamentari Maria Tutta Santa nella tradizione patristica Maria Immacolata nei
pronunciamenti dogmatici Sviluppi della mariologia cattolica dal XII al XIX secolo
Elementi di mariologia ortodossa e suoi punti di convergenza con la mariologia cattolica Elementi
di mariologia evangelica e suoi punti di convergenza con la mariologia cattolica La svolta
mariologica conciliare Maria e la chiesa

3. Bibliografia di riferimento:
 Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium, capitolo VIII.
 C. I. Gonzalez, Mariologia. Maria Madre e discepola, Piemme, Casale Monferrato (Al) 1988.
o Riferimento alle figure di donne dell’AT. Pag 35-40
 Aa.Vv. Maria nel mistero del Verbo incarnato, in «Theotokos» 2 (1995).
 Nuovo Dizionario di Mariologia, a cura di S. de Fiores e S. Meo, San Paolo, Milano 1986.
 Sant'Efrem il Siro, Inni alla Vergine, qualsiasi edizione.
 Idelfonso di Toledo, La perpetua verginità di Maria, qualsiasi edizione.
 Tommaso da Kempis, Imitazione di Maria, qualsiasi edizione.
 L. M. Grignon da Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, qualsiasi edizione.
 M. Lutero, Commento al Magnificat, Servitium, Bergamo 1997.
 S. N. Bulgakov, Il roveto ardente. Aspetti della venerazione ortodossa della Madre di Dio,
San Paolo, Milano 1998.

- Manfred Haukè introduzione alla mariologia edizioni facoltà Lugano 2008


o Cap. 1 fondamenti biblici pag. 29-76
- Stefano de Fiores Maria madre di Gesù
o Parte introduttiva AT Pag.35 - 52
- Kafner Il mistero di Maria
o Pag 31-57

4. Modalità per l'esame


Non è prevista durante il corso una dispensa da parte del docente e tanto meno un testo di
riferimento obbligatorio per tutti; pertanto ai fini dell'esame finale varranno i contenuti
comunicati verbalmente in sede di lezione dal docente e, insieme ad essi, uno tra i testi indicati
scelto liberamente da ciascun studente il quale si procurerà di offrirne al docente in sede di esame
una sintesi organica (qualora la scelta dello studente riguardasse i contenuti del Nuovo Dizionario
di Mariologia sarà sufficiente la presentazione di un solo articolo tra i tanti contenuti nel testo).

Mariologia Pagina 1
Mariologia Pagina 2
22-02-2020

1. MARIA: In cammino con Lei per essere discepoli di Gesù, figli del Padre e tempio dello Spirito
Santo

 Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium, capitolo VIII.


Ci offre una base su quello che la chiesa ha riflettuto sulla dimensione mariana. Si danno le linee
fondamentali di una mariologia biblica, una mariologia impostato da un lato cristologico e
dall’altro trinitario e sotto un aspetto ecclesiologico.
Questo corso si sviluppa su rimandi biblici, soprattutto le profezie anticotestamentarie, tra cui:
- Genesi
- Isaia
- Michea
- Sofonia
Fino ad arrivare ad una mariologia in riferimento alla chiesa.

Teologia cattolica, in maniera particolare la teologia ortodossa, qualche accenno nel mondo
protestante, soprattutto nelle origini del protestantesimo, commento al Magnificat di Lutero.
Questa figura fondamentale emerge dalla pasqua di Gesù: At 1,12-14. 2,1-4

At 1,12-14
12 
Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme
quanto il cammino permesso in giorno di sabato.  13  Entrati in città, salirono nella stanza al piano
superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e
Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di
Giacomo. 14 Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e
a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.
- Viene richiamato il raduno del collegio apostolico, dove viene messa in evidenza la
dimensione autorevole e sacerdotale degli inizi della chiesa di Cristo.
- La figura di Maria viene identificata come figura specifica, la madre di Gesù, è colei che
rappresenta il centro della concordia e perseveranza nella preghiera.

At 2,1-4
1 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso
luogo. 2 Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e
riempì tutta la casa dove stavano.  3  Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si
posarono su ciascuno di loro, 4 e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in
altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi

La figura di Maria si pone su due poli:


- La comunità in preghiera
- Il compiersi della promessa di Gesù del dono della Pentecoste.
Al centro c’è una madre, che compatta le persone intorno ad una preghiera comunitaria, è
l’espressione più intensa della dimensione orante.
Dopo la passione e lo sconcerto della resurrezione, troviamo in questo terremoto che ha sconvolto
i credenti, dolore e sconcerto della resurrezione, c’è Maria che ricompone la comunità dei
credenti.

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La comunità dei credenti viene descritta in relazione al Figlio. Di conseguenza in rapporto al Padre.
Quando si parla di Maria si parla subito dei fratelli di Gesù, intendendo coloro che Gesù si è
conquistato con la crocifissione. Non si intendono fratelli di sangue ma come espressione della
prima comunità cristiana.
C’è una dimensione che si rapporta con Dio Padre, l’altra con Maria come Madre di Gesù, dove in
Lui siamo fratelli. Questa è l’impostazione degli Atti.

Masseoni: se Maria entra nella vita


Come a Cana Maria c’è e provoca il segno che genera la fede dei discepoli, come sotto la croce
Maria c’è e accoglie la nuova maternità in Giovanni, così nel cenacolo nella Pentecoste ricostruisce
la comunità distrutta lei c’è. Una figura incoraggia gli 11 a vivere la speranza, attraverso la
preghiera.

La figura di Maria abbraccia tutta la vita neotestamentaria, da Cana fino alla Pentecoste.
Se la comunità può iniziare un cammino nuovo, è soprattutto grazie a Maria. È Gesù che sotto la
croce dona Maria a Giovanni, quella consegna è la consegna di Maria come madre a tutta
l’umanità fatta Chiesa di cui Giovanni è simbolo-immagine. Siccome il dono di Dio è irrevocabile,
ogni cammino di incontro con il Risorto accompagnato dalla preghiera, occorre sempre la presenza
di Maria.
Maria insegna alla comunità a pregare, pregando, di seguire Gesù, seguendolo. Maria è immagine
pratica dell’esperienza di fede. Maria è la creatura perfetta voluta da Dio fin dall’origine.

Il cammino della mariologia si sviluppa secondo due linee fondamentali:


- Desiderio di amare Maria da veri figli come ci insegna Gesù nell’atto della croce. Il
testamento di Gesù sulla croce.
- Per conoscere Maria bisogna attingere da quello che la sacra scrittura ci dice di lei. Da qui si
rilegge la rivelazione sotto un taglio mariano.

Non possiamo avere una conoscenza di Maria da fonti diverse che non siano quelle scritturistiche,
o se vogliamo dei Padri e degli scrittori ecclesiastici che si riferiscono continuamente da quanto
emerge dalle Scritture. Potremo anche dire che forse dalla particolare importanza che c’è
nell’Islam, possiamo attingere anche dal Corano, ma essendo scritto nel VII secolo d.C, esso attinge
dalla Scrittura.

Maria icona della Chiesa, Balthasar


Di nessun altra donna in tutta la bibbia si parla in modo così dettagliato e vario, e non in modo
episodico come Giuditta o Ester, ma abbiamo in Maria una descrizione presente sia nell’AT sia nel
Nt. Se stiamo nel NT, ogni scena con Maria presente è in strettissima relazione con l’incarnazione
di Cristo, con la sua fanciullezza, vita pubblica, passione, vita nella chiesa. Le vicende di Maria
formano una rete di rapporti che si intrecciano, come in una sala degli specchi.

Balthasar, nel descrivere Maria nella scrittura, sempre quando si parla di Maria se ne parla in
relazione a Cristo, in riferimento agli eventi di Gesù Cristo. Balthasar ci dice che non si può fare
una mariologia separata, parlando di Maria a prescindere dalla relazione con il Figlio o con la
Chiesa, a prescindere dalla sua relazione con il popolo di Israele o con Giuseppe: Maria è per
eccellenza la persona in relazione. Infatti la scrittura ce la mostra sempre in relazione con la
rivelazione. Maria è una rete di rapporti. Non parleremo mai di Maria tirandolo fuori dal contesto,
ma collocandolo nel contesto dei rapporti che la fanno essere quella che è, la madre di Gesù e la
madre della Chiesa.

Mariologia Pagina 4
Questo intimamente associata non ha una concezione temporale ma eterno: tutto quello che di
Maria si compie nella storia della salvezza è destinato a rimanere per sempre.

CVII n 62
Funzione salvifica subordinata
Difatti anche dopo la sua assunzione in cielo non ha interrotto questa funzione salvifica, ma con la
sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna
[186]. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti
in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata.

La figura di Maria la possiamo leggere anche in una relazione protologica: è presenti nei testi
dell’AT come tipos-figura-profezia di quell’avvenimento dell’incarnazione del figlio di Dio nel seno
di una vergine, preannunciato dall’AT.
 Protologia
 Storia della salvezza
 Escatologia

De Lubac: meditazioni sulla Chiesa


Se la chiesa è il tempio di Dio, Maria è il santuario di questo tempio. Ma se la chiesa è il santuario,
Maria come l’arca vi è dentro. Ma se la chiesa stessa è paragonata all’arca, Maria allora è come il
propiziatorio che lo ricopriva, più prezioso di ogni altra cosa.
- De Lubac fa un discorso con centri concentrici. Più si va nel particolare per descrivere il
mistero della chiesa, man mano che il discorso si intensifica, al centro più profondo c’è
sempre Maria.

Il luogo dove la chiesa si trova riflessa in pienezza è Maria.

Quando il CVII ha impostato il cap VIII sulla figura di Maria, non ha voluto fare un trattato a parte,
ma il trattato su Maria è parte integrante del trattato della chiesa. Maria è l’immagine più bella
della Chiesa.

II. Funzione della beata Vergine nell'economia della salvezza


La madre del Messia nell'Antico Testamento
55. I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda tradizione mostrano in modo sempre più
chiaro la funzione della madre del Salvatore nella economia della salvezza e la propongono per
così dire alla nostra contemplazione. I libri del Vecchio Testamento descrivono la storia della
salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. Questi
documenti primitivi, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell'ulteriore e piena
rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre
del Redentore. Sotto questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta
ai progenitori caduti in peccato, circa la vittoria sul serpente (cfr. Gen 3,15). Parimenti, è lei, la
Vergine, che concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cfr. Is 7, 14; Mt 1,22-23).
Essa primeggia tra quegli umili e quei poveri del Signore che con fiducia attendono e ricevono da
lui la salvezza. E infine con lei, la figlia di Sion per eccellenza, dopo la lunga attesa della promessa,
si compiono i tempi e si instaura la nuova «economia», quando il Figlio di Dio assunse da lei la
natura umana per liberare l'uomo dal peccato con i misteri della sua carne.

Mariologia Pagina 5
Notiamo un intensificarsi anticotestamentari e neotestamentari a Maria. Questi rimandi ad una
donna, la madre del Redentori, rimandi profetici e tipologici delineano il tracciato che faremo. Il
concilio rispetto a quelli profetici:
- Gen 3,15
- Is 7, 14
- Mi 5,2-3
Sono quei rimandi che vengono ripresi dagli evangelisti Lc e Mt.
Poi ci sono rimandi tipologici (umili e poveri del Signore). Poi parla della figlia di Sion, figura
misteriosa dell’At collegata a Maria.

Iniziando l’approccio mariologico antico testamentario, dobbiamo chiarire due estremizzazioni da


evitare. Esse ci impediscono di cogliere in maniera adeguata la teologia biblica nei riguardi di
Maria:
- Quelli che dicono che tutte le scritture ebraiche o quasi parlano di Maria.
- La visione opposta: Maria nell’AT sarebbe quasi completamente assente, e che le citazioni
che vengono attribuite a Maria, sarebbero talmente implicite e indirette che non sarebbero
sufficiente per fondare un discorso mariologico.

2. MARIA: Il proto-evangelo di Genesi 3,15. La vittoria della Donna e della sua discendenza
Non si può parlare di Maria come figura isolata. Visto che tutte le scritture sono indirizzate a
Cristo, Maria può essere riconosciuta nelle scritture solo nell’ottica di Cristo. Maria è il cammino
dell’AT. Dal punto di visto creaturale Maria è l’elemento umano in cui nella storia della salvezza in
cui Dio chiede una componente umano che riceva la componente di Dio per la salvezza.
Solo nella componente cristologica e in quella soteriologica di Cristo, possiamo leggere Maria.

La chiesa vede nell’AT come una preparazione al vangelo, e scorgere la figura di Maria come
preparazione al Vangelo. Pone unità biblica tra AT e NT e lei salta fuori come figura legata
all’avvento del Messia.

Gen 3,15: proto vangelo in quanto c’è un annuncio della gioia futura.
Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e
tu le insidierai il calcagno".
- Sono le parole che Dio rivolge a Satana simboleggiato dal serpente che aveva sedotto Eva.
Si parla di lotta-contrapposizione, inimicizia. Da un lato abbiamo la donna, dall’altra il
serpente, oppure da un lato abbiamo la stirpe della donna dall’altro la stirpe del serpente.
Abbiamo anche una contrapposizione tra il calcagno della donna e la testa del serpente.
- C’è uno scontro diretto, anche se dobbiamo notare che la lotta-scontro è impari; perché se
pericoloso in questa lotta chi volge il calcagno verso il serpente perché può essere ferito, in
conto è l’essere schiacciato nella testa, portando alla morte. Questa posizione diversa la
possiamo notare nella postura: il serpente si trova a terra, in una condizione di inferiorità,
dove cerca di mordere il calcagno, la donna sta in posizione eretta, di superiorità.
- Nella lotta, la discendenza del serpente, sarà colpita alla testa, morendo, invece la
discendenza della donna, in caso, sarà ferita al calcagno, ferita ma non uccisa.
La vittoria appartiene per dono di Dio per coloro che ama e che dispone alla salvezza. La vittoria
operata dalla donna, che si evince da questa lotta impari, chi è questa donna che ci indica Gen
3,15? Si parla veramente di Maria? Si parla di qualcosa di diverso? Tre possibilità interpretative,
differenti e complementari.

Mariologia Pagina 6
- La tradizione più antica attribuisce la vittoria non alla donna ma alla discendenza della
donna, oppure a qualcuno che fa parte della discendenza della donna. È la discendenza
della donna che porta alla vittoria. La Bibbia dei LXX parla di lui-egli. Emerge una promessa
messianica, dove questo lui sarebbe il Messia, discendente della donna, il vittorioso nei
confronti di Satana. Secondo questa interpretazione questo discendente della donna, il
Messia, rappresenta anche l’umanità che diventa vittoriosa sul male. Traducendo con
autos, la LXX sottolinea la figura del Messia che vince il male, ma senza escludere la
comunità dei credenti, di cui il Messia è il rappresentante.
- Targum Palestinese, pseudo Gionata. Parafrasa Gen 3,15, facendo delle aggiunte libere
per interpretare questo passo, la visione della donna è esclusivamente legato alla
comunità dei credenti, coloro che osservano la Legge di Mosè. Costoro vivranno la
salvezza. In questa interpretazione c’è la messianicità collettiva. La lotta avviene attraverso
la azione della collettività. L’ultima parola in ogni caso spetterà al Messia, che avrà il
compito di riscattare la comunità dei credenti (i figli della donna che intraprende questa
lotta).
- Traduzione della Vulgata, Girolamo IV secolo. Traduce: lei-ella ti calpesterà la testa.
Questa traduzione indica che non si può separare la donna dalla discendenza, e quindi la
donna dal Messia e dalla comunità.

Questi tre elementi sono compresenti (donna-messia-comunità), Girolamo preferisce tradurre con
lei, in quanto questo trinomio, in quanto per noi cristiani Maria è madre del Messia e Madre dei
credenti.
Chi è questa donna di cui parla il brano? Dal senso letterale si parlerebbe di Eva, in quanto Dio
parla al serpente immediatamente dopo il peccato. Ma Eva è stata sconfitta dal serpente, e
saranno i Padri che parlano di Maria come Nuova Eva che sconfiggerà il male in quanto la prima
Eva è stata sconfitta dal male.
In senso tipologico si parla di una nuova Eva, che la tradizione cristiana indica in Maria, in quanto
madre di quel Messia indicato nella tradizione antica e del Targum.
Possiamo dedurre il senso mariologico del testo da:
- Esclusione di Eva, non identificazione del testo con Eva
- Particolare legame della donna con il messia
- Lettura mariologica del passo biblico in modo retrospettivo, in quanto Maria è la madre del
Cristo-messia.

Is 7, 14-16
Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che
chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a
scegliere il bene.  Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene,
sarà abbandonata la terra di cui temi i due re.
Il concilio a questo brano lega sia Mi 5,2-3 sia Mt 1,22-23. Forse è il testo più commentato dell’AT
e anche il più difficile da comprendere, anche con la storia del popolo di Israele.
Bisogna evitare due estremizzazioni:
- Di chi ritiene delle sorte immediata di una giovane donna della famiglia del re Acaz
- Possa essere compresa solo se ci si riferisce a Maria Vergine.
Le profezie possono essere lette su un piano immediato storico in cui essa viene pronunciato, ma
anche un significato messianico legato alla storia della salvezza. È sempre il tratto messianico che
ci permette di leggere in modo mariologico il passo, ma che ci permette di leggere anche sul piano
storico legato alla storia immediata di Israele.
Matteo applica il testo in senso profetico, come va anche il CVII.

Mariologia Pagina 7
Per quanto riguarda il significato immediato della storia di Israele: nel 734 il re Assiro raggiunge i
confini dell’Egitto, della Siria e della Palestina. Il re di Giuda era Acaz. Per difendersi dalla sua
minaccia, Palestina e Siria si coalizzano ma coalizzandosi contra l’Assiria, chiedono aiuto al regno di
Giuda di cui Acaz era il re. Esso si astiene da questa coalizione, molto probabilmente perché
vedendo la potenza Assira e rendendosi contro che la coalizione era debole, preferisce la
neutralità. Questa coalizione marcia su Gerusalemme per destituire Acaz e mettere al trono un re
che si sarebbe alleato con loro. Acaz chiede la protezione agli Assiri. Dio non è contento e tramite
il profeta Isaia Dio dice di fidarsi solo di Lui. Da qui nasce la profezia di Is 7,14-16.
Non si annuncia esplicitamente la nascita dell’Emmanuele da una vergine, ma da una giovane
donna o da una donna che aveva da poco raggiunto la pubertà. Ma se non si afferma la verginità
della donna, è anche vero che si usava questo termine anche come vergine, in quanto la donna
doveva arrivare vergine alle nozze.
Gen 24,23: associa la giovinezza di Rebecca alla sua verginità

02-03-2020

3. MARIA: Le profezie di Isaia 7,14 e Michea 5,1-3. La Vergine Madre


Il secondo testo biblico che il Concilio Vaticano II indica come esemplare al fine di mettere in luce la
figura di Maria già adombrata negli scritti antico-testamentari è Isaia 7,14. Ad esso vengono
collegati i passi di Michea 5,1-3 e Matteo 1,22-23 che implicitamente ed esplicitamente ne
richiamano il contenuto sostanziale.
Nel fare riferimento al testo di Isaia occorre dire da subito che è stato oggetto di interpretazioni
molto controverse. Si ritiene infatti che esso sia non solo il versetto più commentato di tutto
l’Antico Testamento, ma addirittura il più difficile da comprendere a causa delle innumerevoli
implicazioni che ha con il resto della Scrittura; è opportuno che nella sua analisi siano evitate due
estremizzazioni: da un lato la posizione di chi afferma che esso riguarderebbe solo ed
esclusivamente le sorti immediate di una “giovane donna” della famiglia del re Acaz; dall’altro
quella opposta di chi, invece, ritiene che possa essere compreso solo se lo si riferisce a “Maria
vergine”.
Per trovare, anche in questo caso, un punto di equilibrio tra le due posizioni, occorre rilevare che
essendo tutta la Scrittura dell’Antico Testamento orientata verso Gesù Cristo (sebbene in prima
istanza narri fatti concreti inerenti le vicende storico-salvifiche del popolo di Israele), il suo
contenuto va compreso su diversi piani, ossia coniugando il significato immediato 1 con il significato
profetico e messianico che si riferisce alle attese del futuro Salvatore d’Israele a cui alludono gli
avvenimenti narrati.
Nel caso di Is 7,14 occorre allora non contrapporre l’interpretazione letterale del testo originale
ebraico, riferito alle vicende del re Acaz2, con l’interpretazione che ne fa l’evangelista Matteo,
applicando in senso profetico il testo a Maria, così come viene evidenziato anche dallo stesso
Concilio proprio mentre introduce il suo discorso su Maria nell’Antico Testamento, facendo notare
come ogni profezia trova la sua pienezza in Cristo Gesù3.

1
Nel 734, il re assiro Tiglat-Pilèzer III, raggiunse i confini dell’Egitto, della Siria e della Palestina (in cui risiedeva il
regno di Giuda al cui capo vi era il re Acaz). Per difendersi dalla sua minaccia gli stati della Siria e della Palestina,
capeggiati dal re di Aram e dal re di Israele, si coalizzarono, chiedendo manforte anche al regno di Giuda che però
preferì astenersi. Poiché i regni coalizzati marciarono contro Giuda per destituire Acaz, egli pensò di chiedere
protezione proprio a Tiglat-Pilèzer III, cosà però di cui Dio non fu affatto contento, tanto che incaricò Isaia di
profetizzare ad Acaz di fidarsi solo di Lui e non degli Assiri
2
Soprattutto l’ebraico ‫( ָה ַע ְל מה ה רה֙ וָ ְיֹלֶֶ֣דֶ ת בן‬la giovane donna concepirà e partorirà un figlio).
3
L’interpretazione di Matteo esprime il sensus plenior di Is 7,14, ossia il senso più profondo voluto da Dio, anche se
tale significato non fu attinto chiaramente dall’autore umano.
Mariologia Pagina 8
CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO
Procediamo allora per ordine, riportando il testo biblico di Is 7,14:

Isaia 7,14 Il Signore vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà
chiamato Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a
scegliere il bene. Poiché prima che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene sarà
abbandonata la terra di cui temi i due re.

La presente citazione, così come appare nella traduzione della Bibbia CEI, nella parte iniziale
differisce leggermente dal testo ebraico originale che andrebbe tradotto esattamente così: Il
Signore vi darà un segno: Ecco, la giovane donna ( ‫ ַע ְל מה‬- ’almah) concepirà e partorirà un figlio che
sarà chiamato Emmanuele (‫ – ִע ּמָ ֥נּו אֵ ֽל‬Immanuel). Come si può notare, nel testo ebraico non si
annuncia esplicitamente la nascita verginale dell’Emmanuele; ’almah 4 significa infatti una “giovane
donna”, o una “ragazza che ha raggiunto la pubertà”. Ma se è vero che non si afferma la verginità
della donna (in tal caso dovremmo avere l’ebraico ‫ בָ ְתּו לה‬- bethulah), è però vero che usualmente si
riteneva che la ’almah fosse vergine (cf. Es 2,8) in quanto tenuta a raggiungere il matrimonio in tale
condizione. Per esempio, il suo utilizzo in Gen 24,43 (associato alla parola bethulah in Gen 24,16)
indica la giovinezza di Rebecca la cui verginità è attestata in maniera esplicita ed indiscutibile. Si
può dunque ritenere che la traduzione con “vergine” non sia una forzatura del testo originale ma
una sua corretta interpretazione e ciò lo si può affermare anche se si tiene conto che la tradizione
giudaica più antica non proponeva l’ideale della verginità perpetua né aveva mai attestato con
chiarezza l’ipotesi che il Messia nascesse da una Madre vergine. D’altra parte notiamo che nella
prima traduzione della bibbia ebraica in greco, la famosa Settanta, risalente al III-II secolo a.C.,
’almah viene tradotto con παρθένος - parthénos, che significa, questa volta in modo esplicito,
“vergine donna”5.
Rimanendo al testo ebraico non vi è comunque dubbio che Isaia intese riferire di un concepimento
e di un parto eccezionali che avrebbero dovuto costituire il segno straordinario della profezia 6.
Detto ciò possono essere stabiliti due piani interpretativi.

1. Il primo vede nell’Emmanuele il figlio di Acaz: il futuro re Ezechia. Egli dovrà garantire la
permanenza della dinastia di Davide, così come aveva profetizzato Natan in 2Sam 7. Se non
si potesse interpretare in questo modo, risulterebbe incomprensibile quanto si dice dopo
sul fatto che, prima che il bambino raggiunga l’età della discrezione (13 anni, l’età adulta del
popolo ebraico in cui il bambino sosteneva l’esame per diventare adulto), i paesi
dell’alleanza anti-giudea saranno devastati (cosà che accadrà effettivamente nel 732 a.C.).
Accade 8 anni dopo la profezia: Ezechia aveva 8-9 anni, non più, ma certamente prima
dell’età della discrezione. A carattere esegetico sembrerebbe che Ezechia fosse stato
concepito e partorito prima della profezia. Secondo alcuni studi, al momento della profezia,
Ezechia era già nato. Ci troviamo difronte un elemento molto problematico
dell’interpretazione profetica. Buber afferma che questo passo è il più complesso da
spiegare di tutta la scrittura, in quanto c’è una grande incongruenza.
2. Tuttavia la profezia va oltre la figura del figlio di Acaz, poiché dice che questi sarà chiamato,
appunto, Emmanuele (Dio con noi)7 e non Ezechia. L’espressione, che indica qualcun altro
rispetto ad Ezechia, evoca allora il fatto che tale passo se da un lato non contiene un
4
Termine molto raro, presente nella Scrittura solo sette volte.
5
ἡ παρθένος ἐν γαστρὶ ἕξει καὶ τέξεται υἱόν καὶ καλέσεις τὸ ὄνομα αὐτοῦ Εμμανουηλ (la vergine concepirà e
partorirà un figlio e gli porrà il nome di Emmanuele)
6
Lo stesso senso del nome Emmanuele carica la profezia di una forza veramente inaudita.
7
Va detto che l’espressione “Dio con noi”, ha un senso fortemente salvifico (cf. Rm 8,31). Inoltre, se s’intende tale
nome in senso forte, con esso emerge la dignità divina del nascituro
Mariologia Pagina 9
annuncio formale della maternità verginale della giovane donna, tuttavia rimanda ad un
futuro, rivelato con pienezza solo dal Nuovo Testamento, secondo l’interpretazione che ne
dà l’evangelista (cf. Mt 1,22-23). Quindi la profezia di Isaia, sebbene non escluda
un’interpretazione immediata, sembra tuttavia preparare una rivelazione ulteriore,
inaugurata dal legame che è possibile stabilire tra Is 7,14 e il testo di Mi 5,1-3, citato
anch’esso dal Concilio Vaticano II.
- Altra complessità: del figlio che nascerà viene detto il nome, Emmanuele, che
ovviamente non è Ezechia. È una profezia molto precisa. Se Ezechia fosse nato dopo la
profezia e Acaz pensava che fosse lui, doveva essere chiamato Emanuele. La profezia a
questo punto parla di un altro, non di Ezechia figlio di Acaz.
- Una donna che partorisce un figlio non è un elemento straordinario, è la cosa più
scontata che esista. Non c’è nulla di straordinario nel parto di un bambino per la storia
di salvezza di Israele. Dobbiamo considerare che nel momento drammatico di Giuda,
quel parto è elemento centrale, ma dobbiamo accentuare il fatto che è une vergine che
partorisce. Ma non si può trattare di Ezechia, in quanto nato dopo un normale atto
sessuale.

Michea 5,1-3 E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà
per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni
più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e
il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore,
con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri perché egli allora sarà grande fino
agli estremi confini della terra.

Si sta parlando di questo bambino che nascerà da colei che deve partorire. La profezia di Michea,
successiva ad Isaia, si parla di un parto. Michea sicuramente fa riferimento, fa memoria alla
profezia di Isaia. La donna partorirà qualcuno che c’è da sempre, dall’antichità. Non si parla di
reincarnazione. È una profezia misteriosa.
Michea annuncia che il liberatore “uscirà” ( ‫ י צא‬- yāṣā’)8 da Betlemme benché le sue origini siano
“dall’antichità, dai giorni più remoti”. Si tratta di qualcuno “che è già” e non “che sarà”. Dopo che
Dio “metterà in potere altrui” Israele, senza abbandonarlo, interverrà per liberarlo. Così si allude ai
tempi messianici, in cui il popolo d’Israele, che Dio salva da stragi e calamità, si riunificherà al
nascere dell’atteso delle genti: il Salvatore. Ciò avverrà solo quando “Colei che deve partorire
partorirà”. Emerge ancora il ruolo della madre, nobilitata dal mirabile evento che reca gioia e
salvezza.

4. MARIA: Le tipologie mariane. L’umile e povera figlia di Sion


Questa profezia di Michea, sulla partoriente e quindi il ruolo della madre su chi salverà Israele, non
vengono separati madre-figlio. Il bambino sarà il segno, ma anche il segno è la madre, colei che lo
concepirà, sia che sia vergine secondo Is, sia che sia concepito prima dei tempi, come in Mi.
Il legame tra le due profezia ci rimanda alle scritture dove si parla della figlia di Sion, la madre di
Sion.

I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda Tradizione mostrano in modo sempre più
chiaro la funzione della Madre del Salvatore nell’economia della salvezza e la propongono per così

8
L’ebraico yāṣā’ indica la nascita di un soggetto ben preciso e non di una nazione. Tuttavia nel contesto più ampio di
Mi 4-5 la ‫ יֹו ל ָ ֖דה‬- yôlēdh (partoriente) che‫ י ָ ֑ל ד ָה‬- yaladh (partorirà) non è più soltanto allusione e richiamo alla
partoriente di Is 7,14, ma anche alla Madre-Sion.
Mariologia Pagina 10
dire alla nostra contemplazione. I libri del Vecchio Testamento descrivono la storia della salvezza,
nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. Questi documenti
primitivi, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell’ulteriore e piena rivelazione,
mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto
questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai progenitori caduti in
peccato, circa la vittoria sul serpente (cfr. Gen 3,15). Parimenti, è lei, la Vergine, che concepirà e
partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cfr. Is 7,14; Mi 5,1-3; Mt 1,22-23). Essa primeggia tra
quegli umili e quei poveri del Signore che con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. E
infine con lei, la figlia di Sion per eccellenza, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i
tempi e si instaura la nuova “economia” quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana per
liberare l’uomo dal peccato coi misteri della sua carne9.

INTRODUZIONE
Evocando il noto testo profetico di Isaia 7,14, che ha attirato in maniera particolare l’attenzione dei
primi cristiani, il Concilio richiama parimenti il contesto dell’annuncio dell’angelo così come viene
riportato dall’evangelista Matteo, il quale attribuisce un significato cristologico e mariano alla
profezia, applicandola all’evento stesso dell’annunciazione:
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa
Dio con noi (1,22-23).
Abbiamo visto che sebbene tale profezia nel testo ebraico non annunci esplicitamente la nascita
verginale dell’Emmanuele (infatti il vocabolo usato, ’almah, significa semplicemente una “giovane
donna” e non necessariamente una “vergine”), per contro, nella sua traduzione greca dei Settanta
essa rimanda, col termine “parthénos”, alla figura di una “vergine madre”. In questo dobbiamo
riconoscere una misteriosa rilettura delle parole di Isaia che preparano la futura novità della
nascita straordinaria del Messia. La traduzione greca col termine “vergine” si può spiegare col fatto
che il testo di Isaia introduce con grande solennità l’annuncio di un concepimento che si presenta
come un segno divino (cf. Is 7,10-14), suscitando un’attesa straordinaria. Ciò è confermato dal fatto
che l’oracolo non accenna per nulla alla presenza di un padre, cosa assai insolita per la cultura
ebraica.
L’annuncio del segno dell’Emmanuele, “Dio-con-noi”, implica allora la promessa della Presenza
divina nella storia, come atto assolutamente gratuito di Dio, che troverà pienezza di significato
nel mistero dell’Incarnazione del Verbo.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Questa profezia richiamata da Mt, indicando l’evento straordinario, queste dimensioni ci
rimandano al compimento di quella profezia di Natan 2Sam.
Nell’annuncio della nascita prodigiosa dell’Emmanuele l’indicazione della donna che concepisce e
partorisce emerge all’interno di una certa intenzione di associare la madre alla sorte del figlio,
destinato a stabilire un regno ideale e fa intravedere un disegno divino che si realizza anche grazie
al ruolo della vergine madre. Il segno, infatti, non è soltanto il bambino, ma lo stesso concepimento
straordinario, come pure il parto stesso, eventi pieni di speranza nel contesto della storia della
salvezza, che sottolineano il ruolo centrale della madre e della tribù di Giuda a cui il bambino
apparterrà. L’oracolo dell’Emmanuele si colloca quindi in una prospettiva biblica molto più vasta,
evocata dalla promessa rivolta a suo tempo a Davide, re di Giuda, promessa espressa con molta
chiarezza in un famoso passo del secondo Libro di Samuele che possiamo leggere in parallelo a Is
7,14. Qui il profeta Natan promette al re il favore divino per il suo discendente:

9
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 55.
Mariologia Pagina 11
Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente
dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio
nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per
me figlio (2Sam 7,12-14).

Nei confronti della stirpe davidica Dio vuole assumere un ruolo paterno, che manifesterà il suo
pieno ed autentico significato nel Nuovo Testamento con l’incarnazione del suo Figlio. D’altronde il
profeta Isaia in un altro testo molto conosciuto ribadisce il carattere eccezionale di tale evento.
Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, gli vengono dati attributi unici:
- Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre
per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul
trono di Davide e sul suo regno che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la
giustizia ora e per sempre (Is 9,5-7).
Viene richiamato l’intervento di Dio nella storia di un popolo sofferente, provato, rappresentato
dagli umili, poveri di Jhavè-.
Nella serie di nomi dati al bambino sono espresse le qualità più che umane del suo compito regale:
sapienza, potenza, benevolenza paterna, azione pacificatrice e sebbene il profeta parli al presente
si riferisce ai tratti di colui che nascerà, implicando indirettamente nell’evento il ruolo della madre.
Ma poiché questa è collocata dalla Scrittura, in un modo più generale, in riferimento al favore
concesso da Dio agli umili e ai poveri, si comprende il perché il Concilio attribuendo a Maria tali
profezie la presenti anche come colei che «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con
fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza». I cosiddetti ‫ ָע ִנ֖י‬- ṣani, ossia i “poveri” di Jahvè sono
coloro che Lui si è scelto dall’umanità come “piccolo resto” fedele, che protegge con cura e da cui
nascerà il Messia10.
In questi passaggi, il CVII, afferma che la figura di Maria primeggia tra gli umili e poveri nella chiave
della salvezza.
Maria fa parte di questi poveri, così come appare dal suo Magnificat (cf. Lc 1, 48.52), ha guardato
l’umiltà della sua serva, fa parte di quella schiera di poveri ed umili che pongono la loro salvezza
solo nel Signore; i quali, ponendo ogni loro fiducia nel Signore, anticipano il significato profondo
dell’atteggiamento filiale e della disposizione della Vergine Madre ad attendere da Dio tutta la
fecondità della propria vita.
Elemento altrettanto importante è allora il riferimento inevitabile alla “figlia di Sion” (‫ בַת־ צּי֔ ֹון‬-
bath-ṣiyyon). Con tale espressione, e con quella parallela di “figlia di Gerusalemme”, si intende
designare anzitutto non una persona singola, una collettività, il popolo d’Israele nel suo insieme e
in particolare il suo “resto fedele”, quel resto da cui uscirà il Messia. Questo resto di Israele da cui
nascerà il Messia viene decantato moltissime volte nell’At. Gli annunci gioiosi che i profeti
rivolgono alla “figlia di Sion”11, sono numerosi e risuonano particolarmente nel saluto dell’angelo a
Maria (cf. Lc 1,28-33), ma anche nell’ingresso di Gesù a Gerusalemme (cf. Lc 19,28-46).
Altri passi:
 Zac 2, 14
 Sof 3, 12.13.19
 Is 62, 11
 Is 66, 6-10 Sion che patronise
 Ger 4, 31
 Mi 4, 10
 Sal 87
Il testi evangelici lasciano così intuire che è Maria la vera espressione della figlia di Sion, la vera

10
Cf. Sof 3,11-13, dove si identifica il “popolo messianico” con il “popolo dei poveri”.
11
Cf. anche Zac 2,14; Sof 3,12.13.19; Is 62,11 e 66,6-10, Ger 4,31, Mic 4,10 e il Sal 87.
Mariologia Pagina 12
dimora di Dio in mezzo al suo popolo, come lo è la Città santa di Gerusalemme, immagine della
Chiesa futura di cui Maria è ancora il simbolo e la piena realizzazione. Accostando così le profezie
dell’Antico Testamento agli eventi del Nuovo troviamo alcuni paralleli:
«Gioisci figlia di Sion […], «Rallegrati [Maria],
è il Signore in mezzo a te […]. il Signore è con te […].
Non temere Sion […], Non temere Maria […],
il Signore tuo Dio è nel tuo seno, Concepirai nel tuo seno,
come Salvatore potente, Gesù (che significa “Dio salva”) […].
Re di Israele» (Sof 3,14-17). Regnerà per sempre» (Lc 1,28-33).
L’angelo si rivolge a Maria applicando la profezia di Sofonia.

«Esulta grandemente, figlia di Sion, La folla, udito che Gesù veniva a Gerusalemme,
giubila, figlia di Gerusalemme! piena di gioia lodava: Benedetto colui che viene
Ecco a te viene il tuo re. nel nome del Signore, il re d’Israele!
Egli è giusto è vittorioso, Gesù salì su un puledro,
umile cavalca un asino, figlio d’asina (Gv 12,12-14; e paralleli).
un puledro figlio d’asina» (Zac 9,9).
Il vangelo di Gv riprende la profezia di Zac

Da parte sua il Concilio Vaticano II, presentando Maria come «eccelsa Figlia di Sion», afferma che
«con lei, dopo lunga attesa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia» che coinvolge
tutta l’umanità, poiché proprio in lei si concentrano e si intensificano tutti i desideri, le attese, le
speranze più autentiche degli uomini, emerse nella storia della salvezza così che all’interno di essa
è possibile individuare non solo delle profezie e delle tipologie collettive dai risvolti mariani, ma
anche delle figure, anzitutto femminili, che, in certa misura, anticipano la funzione peculiare di
Maria.

Tuttavia, abbiamo richiamato le tipologie-profezie shanì – figlia di Sion, ma ci sono anche


importante considerazioni rispetto a delle figure di donna (Ester – Giuditta – Rut) che sono una
preparazione morale a riguardo di quello che è la figura della donna nel popolo di Israele come
strumento di salvezza per il popolo di Dio, anticipando quello che è la figura di Maria. Maria non è
mediatrice né redentrice, tuttavia ha una finzione salvifica nei confronti dell’umanità, come quelle
donne lo sono state nei confronti del popolo di Israele.

5. MARIA: Tipologie mariane, Rut


Gen – Is- Mi, (P. HAFFNER, Il misero di Maria. Trattato di mariologia, Gracewing, Inghilterra 2008, p.
55), in tutti e tre i casi la figura della madre è presentata da sola con suo figlio. Non è menzionato il
padre. La relazione sponsale con Giuseppe è indispensabile per comprendere la mariologia. La
verginità di Maria va sempre letta nella relazione sponsale con Giuseppe. Maria viene sempre
presentata sola con il figlio: non viene mai menzionato un padre terreno del Salvatore. Se
guardiamo le 3 profezie dal punto di vista del loro adempimento, la madre è sempre vergine-
madre, l’elemento che bisogna tener conto nella tradizione ebraica, è sempre riferito al padre.
Questi casi sono anomali, in quanto viene a mancare la paternità esplicita. A livello culturale
questo fatto è inspiegabile.
Le profezie di Gn 3,15, Is 7,14 e Mi 5,1-3, sono state considerate dalla Tradizione come correlative.
Per questo i padri conciliari le hanno scelte come capisaldi per una riflessione sulla preparazione
profetica della venuta di Cristo e del ruolo esercitato dalla Vergine-Madre. In tutti e tre i casi: “la
figura della madre è presentata da sola con suo Figlio. Non vi è menzionato alcun padre terreno del
Mariologia Pagina 13
Messia-Salvatore […]. Se guardiamo a queste profezie dal punto di vista del loro adempimento, la
madre appare sempre come vergine madre. La verginità della madre è l’onnipresente, luminosa
tela per l’evento dell’Annunciazione e quello della nascita del Messia. Questa verginità è un segno
evidente che il Messia è davvero una nuova creazione, la nuova umanità, l’inizio […] della
redenzione12”.

Se il Concilio predilige queste profezie non significa che siano le uniche. La recente mariologia
attesta che la preparazione veterotestamentaria alla figura della Madre del Messia va ben oltre, in
quanto emerge come tema che attraversa numerosi testi profetici e sapienziali 13; ma non solo.
I teologi parlano di una ulteriore preparazione detta tipologica o prefigurativa, laddove eventi o
figure dell’Antico Testamento fungono da preludio ad eventi o figure del Nuovo. A riguardo, oltre le
già citate tipologie degli umili-poveri del Signore e della Figlia di Sion, vanno ricordate le
prefigurazioni antico testamentarie dell’Arca dell’alleanza, della Regina Madre ( ‫ ְּגבִי ָ ֖רה‬- ghebirâh)14,
della Sposa di JHWH, nonché quelle rinvenibili nelle donne sante le cui virtù, l’esperienza
esistenziale e l’identificazione con il popolo di Israele alludono, con diversi gradi, ai tratti
riscontrabili in Maria; tra tutte queste donne si possono ricordare Sara moglie di Abramo e madre
di Isacco, Anna moglie di Elkana e madre di Samuele[il cantico di Anna], Rut, Ester e Giuditta.
Sono tutte tipologie-prefigurazioni dove si vede nell’AT un riferimento importante della venuta del
Messia:
- Arca dell’alleanza
- La regina madre
- La sposa di Jhavè

Altri teologi parlano ancora di una preparazione morale, nella quale “Dio traccia una linea di fede
e di santità che porta fino alla madre del Messia. Il Magnificat accenna questo cerchio fedele,
quando parla dei poveri di Israele che aspettano tutto dall’intervento del Signore (Lc 1, 48.52) 15”.

Maria è dunque il frutto maturo del dono di Dio e del coinvolgimento umano alla sua volontà;
quale Madre del Messia si inserisce pienamente negli avvenimenti della storia, ponendosi in
continuità con le vocazioni che nel passato del popolo di Israele hanno contribuito al realizzarsi del
progetto di Dio a favore dell’umanità. Perciò lei è tutt’altro che una figura isolata 16; piuttosto
ricapitola in sé ed esprime al massimo grado le virtù e la santità dei credenti che l’hanno preceduta
e in particolare delle vocazioni femminili che si sono distinte per la loro adesione a Dio e al suo
progetto d’amore. I titoli che a lei si possono applicare lo attestano bene (umile, povera, vergine-
madre, figlia di Sion). Per comprendere meglio la vocazione di Maria è utile, prima di esaminare i
dati neotestamentari che parlano di lei, fermarci ancora su alcune figure di donne dell’Antico
Testamento che possiamo ritenere tipologiche e indicative di una preparazione morale che trova in
Maria il suo compimento. Non potendo analizzare tutti i casi presenti nella Scrittura ci limiteremo a
Rut, Ester e Giuditta, tre personalità molto diverse, ma anche con molteplici elementi comuni; a
tutte Dio chiede di partecipare al suo progetto costituendole “mediatrici” della sua grazia nel
presente, ma anche “preparazioni” alla futura missione di Maria. Per esse valgono le parole di S.

12
P. HAFFNER, Il misero di Maria. Trattato di mariologia, Gracewing, Inghilterra 2008, p. 55.
13
Cfr. Is 62,4-5; Ger 31,22; Ez 44,2; Sal 87, a cui si riferisce Haffner (cf. ibidem, pp. 55-57) e I. DE LA POTTERIE, Maria
nel mistero dell’alleanza, Marietti, Genova 20072, pp. 17-32
14
Sovrana con dignità e poteri speciali accanto al re (cf. Ger 13,18, Ct 3,11; Sal 44,10)
15
M. HAUKE, Introduzione alla mariologia, EUROPRESS FTL, Lugano 2008, p. 33.
16
L’AT evidenzia «l’azione determinante della donna per la salvezza d’Israele. In tal modo lo Spirito Santo […]
tratteggiava con sempre maggiore precisione le caratteristiche della missione di Maria nella storia della salvezza
dell’intera umanità» (GIOVANNI PAOLO II, Catechesi mariana n. 15 del 27 marzo 1996, in Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, XX/1 (1996) LEV, Città del Vaticano 1997, pp. 853-854)
Mariologia Pagina 14
Gregorio Magno, quando dice che la Scrittura, mentre espone il testo, “propone un mistero e riesce
con ciò stesso a dire i fatti del passato in modo tale da proclamare fatti a venire; […] con le stesse
parole sa descrivere ciò che è già compiuto e annunciare ciò che deve compiersi 17”.
Queste donne stanno all’origine della nascita del Messia: dal matrimonio di Booz e Rut nascerà
Obed, dal quale nascerà Iesse e poi Davide.

Le tipologie mariane: Rut


Al tempo dei giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo con la moglie e i suoi due figli emigrò
da Betlemme di Giuda nei campi di Moab. Quest’uomo si chiamava Elimèlec, sua moglie Noemi e i
suoi due figli Maclon e Chilion; erano Efratei, di Betlemme di Giuda […]. Poi Elimèlec, marito di
Noemi, morì ed essa rimase con i suoi due figli. Questi sposarono donne moabite: una si chiamava
Orpa e l’altra Rut […]. Poi morirono anche Maclon e Chilion, e la donna rimase senza i suoi due figli
e senza il marito. Allora intraprese il cammino di ritorno dai campi di Moab con le sue nuore,
perché nei campi di Moab aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli
pane. Partì dunque con le due nuore da quel luogo ove risiedeva e si misero in cammino per
tornare nel paese di Giuda. Noemi disse alle due nuore: “Andate, tornate ciascuna a casa di vostra
madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! Il
Signore conceda a ciascuna di voi di trovare tranquillità in casa di un marito”. E le baciò. Ma quelle
scoppiarono a piangere e le dissero: “No, torneremo con te al tuo popolo”. Noemi insistette:
Tornate indietro figlie mie, andate! […] Orpa si accomiatò con un bacio da sua suocera, Rut invece
non si staccò da lei. Noemi le disse: “Ecco, tua cognata è tornata dalla sua gente e dal suo dio;
torna indietro anche tu come tua cognata”. Ma Rut replicò: “Non insistere con me che ti abbandoni
e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò. Il
tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio” (Rut 1,1-12.14-16).

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Il libro di Rut racconta di una moabita che diviene madre nella linea davidica in seguito al crearsi di
circostanze provvidenziali. La sua vicenda si inserisce in quella di Elimelek e sua moglie Noemi,
israeliti di Betlemme i quali, a causa di una carestia, emigrarono a Moab con i loro due figli. Dopo
la morte del padre questi si sposarono con due donne moabite, Rut e Orpa, ma poi si ammalarono
e morirono. Esse, rimaste con Noemi, che scelse di tornare a Betlemme, furono da lei licenziate e
invitate a riunirsi al loro popolo. Rut scelse però di rimanere con la suocera, recandosi con lei a
Betlemme e condividendone la povertà a cui cercava di supplire racimolando le spighe rimaste nei
campi dopo la mietitura. In questa circostanza conobbe Booz, zio di suo marito defunto, il quale,
applicando la legge del levirato, si unì a lei per darle discendenza e riscattare il campo che era a suo
tempo di Elimelek perché tornasse ad essere proprietà della sua famiglia. Dal matrimonio tra Booz
e Rut nacque Obed, nonno di Davide.
Rut si distingue per la sua fedeltà, mitezza di carattere, e per la sua fede. Il modo come si inserisce
nella storia della salvezza può fungere da simbolo della futura missione di Maria. Ecco alcuni
aspetti essenziali: * nella Provvidenza divina, Rut emerge come colei che con la sua maternità
contribuisce a formare il popolo eletto. Lo stesso augurio rivolto dagli anziani a Booz dopo il
riscatto lo attesta: «Il Signore renda la donna che entra in casa tua come Rachele e Lia, le due
donne che edificarono la casa di Israele. Procurati ricchezza in Efrata, fatti un nome in Betlemme!
La tua casa sia come la casa di Peres, che Tamar partorì a Giuda, grazie alla posterità che il Signore
ti darà da questa giovane!» (Rut 4,11-12); * in tutta la vicenda Dio è comunque l’artefice principale
che tesse la trama degli eventi e li conduce al loro compimento positivo: «Così Booz prese in
moglie Rut. Egli si unì a lei e il Signore le accordò di concepire: ella partorì un figlio» (Rut 4,13); *
tali eventi non solo abbracciano positivamente le vite di Booz e Rut, ma producono effetti
17
GREGORIO MAGNO, Moralia XX, 1,1 (PL 76, 135 C-D).
Mariologia Pagina 15
importantissimi nelle persone che condividono la loro vita e ancor più nella storia della salvezza.
Ciò significa che è impossibile il darsi di una vocazione “privata”, volta a soddisfare le esigenze
soggettive dell’io. Ogni dono personale è pure per tutti, così l’altruismo ne conferma la bontà e
l’origine divina: «Le donne dicevano a Noemi: “Benedetto il Signore il quale oggi non ti ha fatto
mancare uno che esercitasse il diritto di riscatto. Il suo nome sarà ricordato in Israele! Egli sarà il
tuo consolatore e il sostegno della tua vecchiaia, perché lo ha partorito tua nuora, che ti ama e che
vale per te più di sette figli” […]. E lo chiamarono Obed» (Rut 4,14-15.17); * è significativo che il
libro di Rut termini con la genealogia che Matteo riprende nel suo Vangelo, quasi ad attestare che il
progetto di Dio ha voluto Booz e Rut insieme come antenati della dinastia davidica e
conseguentemente di Gesù: «Salmon generò Booz, Booz generò Obed, Obed generò Iesse e Iesse
generò Davide» (Rut 4, 21-22); * in tutto ciò si può vedere, in controluce, l’emergere di alcuni tratti
futuri caratterizzanti la missione di Maria, attenta ad accogliere i percorsi intessuti dalla
Provvidenza divina.
Il progetto di Dio in cui al centro c’è Rut, permette il nascere della dinastia Davidica, da cui nascerà
Gesù.

6. MARIA: Le tipologie mariane. Ester e Giuditta


Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso
all’infuori di te, perché un grande pericolo mi sovrasta. Io ho sentito fin dalla mia nascita in seno
alla mia famiglia, che tu, Signore, hai preso Israele tra tutte le nazioni e i nostri padri tra tutti i loro
antenati come tua eterna eredità, e hai fatto per loro tutto quello che avevi promesso. Ma ora
abbiamo peccato contro di te e ci hai consegnati nelle mani dei nostri nemici, perché abbiamo dato
gloria ai loro dei. Tu sei giusto Signore! […] Salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché
sono sola e non ho altri che te Signore. Tu hai conoscenza di tutto e sai che io odio la gloria degli
empi […]. La tua serva da quando ha cambiato condizione fino ad oggi, non ha gioito, se non in te
Signore Dio di Abramo. O Dio, che su tutti eserciti la forza, ascolta il grido dei disperati, liberaci
dalla mano dei malvagi e libera me dalla mia angoscia (Est 4,17l-17n.17t.-17u.17y-17z).
Giuditta disse: “Lodate Dio […], perché non ha allontanato la sua misericordia dalla casa d’Israele,
ma in questa notte per mano mia ha colpito i nostri nemici” […]. Viva dunque il Signore, che mi ha
protetto nella mia impresa, perché costui si è lasciato ingannare dal mio volto a sua rovina, ma non
ha commesso peccato con me, a mia contaminazione e vergogna” […]. Ozia a sua volta le disse:
“Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra, e
benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra (Gdt 13, 14.16.18).

INTRODUZIONE
Se il libro di Rut mette in evidenza il ruolo di una donna la cui vicenda contribuisce alla formazione
del futuro popolo di Israele, i libri di Ester e Giuditta presentano invece due figure femminili che si
prendono cura, in nome di Dio, di questo medesimo popolo.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Il libro di Ester ci presenta la liberazione del popolo di Israele grazie alla mediazione di una donna
all’epoca dell’editto di Ciro il Grande del 538 a.C. che permise ai giudei di ritornare a Gerusalemme
dopo il periodo di esilio e prigionia in Babilonia voluto da Nabucodonosor nel 597 a.C.
Si narra che il re Assuero, dopo aver deposto la moglie Vasti ribellatasi a lui, sceglie di prendere in
moglie la giovane giudea Ester che con il suo carattere buono e le sue virtù si era conquistata il
rispetto di tutti e l’amore del re: «Il re si innamorò di Ester: ella trovo grazia più di tutte le fanciulle
e perciò egli pose su di lei la corona regale» (Est 2,17).
In tale contesto, accadde che Mardocheo, giudeo che salvò il re Artaserse (predecessore di

Mariologia Pagina 16
Assuero) da una congiura, fu accusato da Aman, primo ministro del re, il quale, da parte sua, era
stato consenziente ad essa. L’accusa stava nel fatto che Mardocheo non si prostrava dinnanzi al re,
come invece facevano tutti gli altri suoi ministri e ciò fu inteso come una ribellione da ascriversi a
tutti i giudei che, per questo, dovevano essere sterminati. A tal fine Aman scrisse un decreto di
sterminio, poi firmato dal re, da attuarsi in un giorno preciso. Agì con inganno, tentando di
corrompere il re con una ingente somma di denaro. Appena Mardocheo lo venne a sapere avvertì
la regina. Entrambi pregarono Dio con due inni che indicano che sarà proprio Lui a salvare il popolo
e ciò grazie alla mediazione di Ester (che il re non sapeva fosse giudea). Belle le parole espresse da
lei a nome di tutto il popolo con il quale si identifica: «Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in
aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all’infuori di te» (Est 4,17l).
Proprio Ester si reca dal re, e rivelando la sua identità, intercede per il popolo: «Se ho trovato
grazia davanti al re, e se così piace al re, sia risparmiata la vita a me secondo la mia domanda e al
mio popolo secondo la mia richiesta. Infatti siamo stati venduti, io e il mio popolo siamo stati
venduti per essere distrutti, uccisi, e fatti schiavi […]; ma io finsi di non udire, perché quel
calunniatore non è degno del palazzo del re» (Est 7,3-4).
All’udire queste parole il re prese a cuore la causa di Ester e del suo popolo. Così questa regina
emerge come modello di umile e fiduciosa intercessione, illuminando quella futura di Maria a
favore della Chiesa. Anche Maria, infatti, condivide le sorti del Messia e del futuro popolo
messianico, guadagnandosi la grazia dell’Altissimo con la preghiera.

Continuando ad esaminare alcune figure tipologiche non possiamo non ricordare Giuditta, donna
vedova (espressione della sofferenza del popolo), casta (espressione della fedeltà al Signore) e
coraggiosa (immagine di come la debolezza, consegnata a Dio, diventi forza), che si espone
direttamente e ha l’ardire di scendere in battaglia a favore del popolo.
Il libro di Giuditta non costituisce un’opera storica; si tratta piuttosto di un testo allegorico che
presenta una narrazione elaborata con una finalità squisitamente teologica. Non a caso il nome
stesso della protagonista ha un senso allegorico: “Giuditta” è il femminile di “Giuda”; è pertanto
immagine personificata della nazione giudaica. Anche il nome della città in cui Giuditta opera ha un
senso allegorico: Betùlia; esso deriva dall’unione di due termini: “bethulah”, che significa vergine, e
“yah”, abbreviazione di Yahvé. Significa pertanto “vergine di Yahvé”; espressione che evoca la
“vergine, figlia di Sion”, personificazione di Israele e della città santa: Gerusalemme.
Il nemico diretto degli israeliti è poi un generale, Oloferne, che il libro di Giuditta considera a capo
dell’esercito di Nabucodonosor, re degli Assiri.
Si tratta di dati storicamente incongruenti. Infatti Oloferne è un nome persiano, mentre
Nabucodonosor è re dei babilonesi e non degli assiri. L’intenzione dello scrittore sacro è
indubbiamente quella di coniugare tre diversi ambiti nazionali, accomunando in tal modo tutti i
nemici storici di Israele. Si allude così anche alla situazione concreta in cui egli si trova quanto stila
il testo, finalizzato ad incoraggiare la lotta contro la dominazione greca durante il periodo dei
Maccabei (intorno al 175 a.C.), offrendo degli spunti di consolazione, di speranza e di annuncio
futuro di salvezza legato, appunto, alla debolezza che, per grazia di Dio, si può tramutare in forza.
La narrazione si articola su due piani principali: nel primo è presentata la situazione di sofferenza
nella quale si trova il popolo di Israele, ridotto allo stremo a causa dell’oppressione del nemico
invasore; nel secondo, la situazione si ribalta grazie al coraggio di una donna giudea che incarna i
valori che permettono al popolo di resistere al male nemico e anche di combatterlo. In tale
contesto Giuditta vive una precisa vocazione, poiché è il Dio di Israele che la chiama a portare a
termine i suoi disegni a favore del popolo. Anche lei, come Rut ed Ester, è figlia di Israele e “tipo”
d’Israele.
La sua identificazione con il popolo di Israele come anche “la liberazione corporativa attuata per
mezzo suo, è tutta la gloria di Giuditta. Ecco perché dopo la vittoria di Yahvé sopra i nemici di

Mariologia Pagina 17
Israele, Giuditta è proclamata con espressioni che la liturgia ha applicato a Maria per la sua
collaborazione alla liberazione dell’uomo18”.

Giuditta è descritta ripetutamente lungo il racconto come una donna bella (cf. Gdt 8,7; 10,
4.7.14.19.23; 11, 21.23, 12, 13.20; 16, 6.9), segno esteriore di un altro tipo di bellezza: la sua
fedeltà alla legge di Dio. Essa è anche una donna sapiente (cf. Gdt 8,28-29), che conosce e
soprattutto sa interpretare la storia del suo popolo individuando il significato che essa assumeva
nel presente (cf. Gdt 8,27). Giuditta è soprattutto una donna di fede, che confida nel Signore, con
un’attitudine
interiore che si esplicita mediante l’osservanza della legge (cf. Gdt 11,10) e la pratica della
preghiera. Insieme a tutto ciò Giuditta è anche una donna guerriera la cui forza non risiede nelle
sue capacità ma nell’attitudine a saper confidare in una forza soprannaturale che proviene da Dio.
In tal modo la sua figura evoca la verità biblica della debolezza che si trasforma in forza (cf. 2Cor
12,10), una forza che le permette, come accadde a Davide nei confronti di Golia, di esporsi
direttamente, non avendo timore di scendere in battaglia con chi, da un punto di vista
strettamente naturale, appare chiaramente più forte di lei.
Analogo discorso vale anche per Maria che osserva la legge del Signore, la medita nel suo cuore (Lc
2, 19.51) e si dichiara “sua serva” (Lc 1,38) sino a diventare nella perfetta sequela del Figlio e
nell’ascolto dello Spirito Santo, colei che con la sua obbedienza alla volontà del Padre ha
partecipato alla completa vittoria sul nemico, Satana, e sul male da lui scaturito: il peccato e la
morte. È Maria in fin dei conti la “nuova Giuditta”, affermazione che si può avallare ricordando
anche alcuni collegamenti di tipo testuale tra le due figure: “Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio
altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra, e benedetto il Signore che ha creato il cielo e
la terra” (Gdt 13,18); “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” (Lc 1, 42) 19.
Immacolata: nel mondo cattolico abbiamo il dogma dell’immacolata concezione. Maria non giunge
all’improvviso, maria non è altro che lo stratificarsi, il concentrarsi, il racchiudersi nell’umano di un
concetto di santità che si evolve: Maria rappresenta il culmine dell’essere la “tutta santa”.

7. MARIA: Maria nell'annunciazione


LG. 56. Il Padre delle misericordie ha voluto che l'accettazione da parte della predestinata madre
precedesse l'incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una
donna contribuisse a dare la vita. Ciò vale in modo straordinario della madre di Gesù, la quale ha
dato al mondo la vita stessa che tutto rinnova e da Dio è stata arricchita di doni consoni a tanto
ufficio. Nessuna meraviglia quindi se presso i santi Padri invalse l'uso di chiamare la madre di Dio
la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato, quasi plasmata dallo Spirito Santo e resa
nuova creatura[176].  Adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una
santità del tutto singolare, la Vergine di Nazaret è salutata dall'angelo dell'annunciazione, che
parla per ordine di Dio, quale «piena di grazia» (cfr. Lc 1,28) e al celeste messaggero essa risponde
«Ecco l'ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Così Maria, figlia di
Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù, e abbracciando con tutto
l'animo, senza che alcun peccato la trattenesse, la volontà divina di salvezza, consacrò totalmente
se stessa quale ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della
redenzione in dipendenza da lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente. Giustamente quindi i
santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che
cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice Sant'Ireneo, essa

18
C. I. GONZÁLES, Mariologia. Maria, Madre e Discepola, PIEMME, Casale Monferrato (AL), p. 38.
19
Cf. D. SCAIOLA, Giuditta e Maria figure simboliche nella spiritualità del Pallotti, in «Apostolato Universale», 23
(2010), pp. 31-37.
Mariologia Pagina 18
«con la sua obbedienza divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano» [177]. Per cui
non pochi antichi Padri nella loro predicazione volentieri affermano con Ireneo che «il nodo della
disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione coll'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva
legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede» [178] e, fatto il paragone con
Eva, chiamano Maria «madre dei viventi [179] e affermano spesso: « la morte per mezzo di Eva, la
vita per mezzo di Maria » [180].

Impostazione trinitaria. Tutta la mariologia del CVII è una mariologia trinitaria. Dentro questa
collocazione di Maria nel progetto trinitario di salvezza (si parla del Padre, del figlio, dello spirito, e
poi dallo spirito al figlio al padre – struttura pericoretico) emerge il parallelo teologico-patristico
Eva-Nuova Eva, Adamo-Nuovo Adamo. Questo parallelo nella logica patristica, Maria è colei che
riscatta la donna (intesa non solo come figura femminile ma l’umanità disobbediente racchiusa in
sé) e che attraverso il suo sì redime l’umanità disobbediente. Maria diventa la nuova creazione del
Dio trinitario. Lo possiamo cogliere nell’annunciazione, che è tipicamente un testo trinitario.
La conferma delle profezie. L’annunciazione
Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a
una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si
chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”. A queste
parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le
disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo
darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio
gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non
avrà fine”. Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le
rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua
ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua
parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che
era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga
per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei (Lc 1,26-38).

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò
Giacobbe, Giacobbe generò Giuda […]. Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe
generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo (Mt 1,1-2.15-16).

INTRODUZIONE
In continuità con le profezie antico testamentarie, di cui è il compimento, il brano
dell’annunciazione mette in evidenza aspetti fondamentali della fede cristiana, della cristologia e
della mariologia.
La tradizione della Chiesa è unanime nel riconoscere nell’annuncio dell’angelo a Maria, e nella sua
umile accoglienza, l’inizio della nuova ed eterna alleanza tra Dio e l’umanità. Nel contesto
dell’evento dell’annunciazione “il Verbo si fa carne”, Dio Trinità attraversa le soglie del tempo e
nella sua seconda Persona assume la natura umana e si fa storia. Non esiste un momento dalla
creazione all’annunciazione di così alto livello, questa è la massima espressione dell’amore di Dio.
Nella creazione Dio crea il tempo, con l’annunciazione Dio entra nello spazio-tempo che diventa
tempo, c’è il passaggio dal Kronos al Kairos.
Questo evento accade attraverso la modalità straordinaria di un concepimento verginale, opera
dello Spirito Santo, che pone in evidenza l’identità stessa del nascituro; pertanto, il fatto della
misteriosa verginità della Madre prima, durante e dopo il parto, non può essere considerato
marginale: “la verginità feconda di Maria […] non fu soltanto un fatto nuovo; fu e rimarrà sempre
in tutta la tradizione cristiana, un caso unico [...]. Questa dottrina costante della tradizione, talvolta

Mariologia Pagina 19
messa in discussione ai giorni nostri, è già chiaramente presente nei Vangeli 20”.
Verginità e maternità21, entrambe riferite all’Incarnazione, emergono sia dal racconto
dell’annunciazione come da alcuni indizi circa il modo con cui è avvenuta la nascita stessa di Gesù,
ma anche dalla genealogia riportata in Mt 1,1-17 e dallo stesso racconto dell’annuncio a Giuseppe.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Il testo dell’annunciazione ci dice che l’angelo viene mandato “a una vergine promessa sposa” e ciò
secondo il senso della parola greca “parthénos”. Ciò appare evidente anche da quanto Maria stessa
afferma al v. 34: “Non conosco uomo”, pertanto, il messaggio rivolto dall’angelo a Maria, tende a
congiungere due situazioni che umanamente sembrano paradossali, in quanto paiono escludersi
l’una con l’altra: verginità e maternità. Tra l’altro, la situazione di Maria, che è quella di essere
sposa, è avvicinata non alla parola donna, ma alla parola vergine, ripetuta due volte, con
intenzione di preparare la trasformazione cruciale del racconto in Lc 1,34 dove lo stesso contrasto
è esplicitato: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”; «questa parola “uomo”, che
indicava Giuseppe in 1,27, ritorna in 1,34 per precisare l’esclusione, che sboccerà in Dio come
unica causa di questa nascita nel versetto seguente»22, laddove essa sarà evidenziata come opera
dello Spirito Santo. La domanda di Maria: “come avverrà questo?” è seguita da una chiara
obiezione che andrebbe fondata non tanto su dati naturali, quanto su una intenzione di verginità
da parte sua: “non conosco uomo”. Una tale obiezione, sembra significare che aveva deciso di non
avere rapporti coniugali. La Tradizione cattolica ha dato a questa espressione “non conosco uomo”,
coniugata al tempo presente, un’ampiezza che abbraccia il passato, il presente e il futuro, come se
fosse in riferimento a tutti i tempi della coniugazione verbale. È come se Maria avesse detto: “Non
ho conosciuto, non conosco e non conoscerò uomo per tutta la vita”. Tale interpretazione è ancora
più plausibile se si considera che tutte le lingue usano la coniugazione di questo verbo al presente
con una intenzionalità estensiva verso il futuro. Secondo tale interpretazione, Maria esprime qui il
suo proposito di rimanere vergine23, ossia esprime l’orientamento più radicale della sua vita in
rapporto a Dio, mosso certamente ad una particolare vocazione già intuita, ma che si rende palese
nelle parole dell’angelo: “Ti saluto, κεχαριτωμένη – kecharitōménē”, ossia, piena di grazia, oppure:
“tu che sei stata e rimani colmata del favore divino”. Il verbo causativo χαριτόω - charitóō (graziare)
fa capire come Maria fosse preparata alla sua missione di vergine dalla grazia di Dio. Il verbo è
infatti usato qui in maniera eccezionale; indica l’effetto dell’azione di Dio su Maria e significa
“trasformare” qualcuno con la cháris, trasformazione operata in Maria […] come preparazione alla
funzione che avrebbe dovuto svolgere come Madre verginale del Messia [...]. Maria era già da
tempo orientata da Dio […] verso questa vita verginale. Solo così […] si comprende la sua reazione
[...] al messaggio24.

Quanto detto finora trova conferma in due passi di Lc 2,6-7, sulla nascita di Gesù: “Mentre essi si
trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo Figlio
primogenito”. Qui è da notare il mutamento del pronome personale: nel v. 6 abbiamo essi (αὐτοὺς
– autùs), ossia la terza persona plurale al maschile; al v. 7 invece abbiamo la terza persona
singolare femminile: essa (αὐτῆς - autễs). Nella mentalità orientale e in particolare in quella antica,
una simile mancanza di indicazione del padre può spiegarsi soltanto con una concezione verginale.

20
I. DE LA POTTERIE, La Vergine Maria, in «Parola, Spirito e vita» 12 (1985), pp. 95-96.
21
Nella Tradizione ecclesiale il termine “vergine” è diventato un titolo corrente per parlare di Maria e per evocare,
ancor più, l’identità divina di Gesù; ha dunque rilevanza cristologica.
22
R. LAURENTIN, Concepito da Spirito Santo, in «Parola, Spirito e Vita» 16 (1982), p. 79.
23
Oltre a Gregorio Nisseno, Agostino e all’unanimità tutta la teologia medioevale, a sostenere il proposito di verginità
di Maria è Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Mater (n. 39) e nelle lettere apostoliche Mulieris dignitatem
(n. 20) e Redemptoris custos (n. 18).
24
I. DE LA POTTERIE, La Vergine Maria, pp. 99-101.
Mariologia Pagina 20
Nel proseguo del racconto: “Diede alla luce, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”, si nota
inoltre l’attività di Maria la quale mostra che essa non ha chi l’aiuti e ciò costituisce perlomeno un
indizio di un parto straordinario.
Se a partire da ciò si può alludere al parto verginale, ciò presuppone una verginità prima del parto
e quindi non si fa altro che affermare indirettamente anche la concezione verginale, cosa che
appare anche dalla genealogia dell’evangelista Matteo (1,1-17), il quale evidenzia come il
concepimento di Gesù non avviene per intervento umano. La genealogia procede infatti secondo
un modello stereotipo a catena, che va da generatore a generato; ogni generato diviene a sua volta
generatore dell’anello successivo. A un certo punto, al 41° anello, quest’ordine imperturbabile si
spezza. Là dove ci si aspetterebbe che Giuseppe generò Gesù, invece Giuseppe non genera, così
che Gesù rimane riferito a Giuseppe solo nella rottura dell’anello genealogico patriarcale: chi
genera infatti Gesù è solo Maria. Tale rottura è chiaramente evidenziata nella frase: «Giuseppe,
sposo di Maria dalla quale (ἐξ ἧς – ex ễs) è stato generato Gesù che è chiamato Cristo» (Mt 1,16).
Se ci si fermasse qui, sembrerebbe che Gesù non fosse della discendenza di David, ossia quella
nella quale si sarebbero attuate le promesse messianiche. Per risolvere questa “rottura” con la
dinastia davidica, bisogna considerare il v. 18 (inizio del racconto dell’annuncio a Giuseppe del
concepimento verginale di Gesù ad opera dello Spirito Santo) che costituisce la seconda parte del
primo capitolo, intitolata come la prima parte: γενέσεως Ἰησοῦ Χριστοῦ - genéseōs Iesũ Christũ (vv.
1,1.18). Tale versetto risolve tutto evidenziando la missione di Giuseppe: “figlio di Davide, non
temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo
Spirito Santo” (1,20). Quindi la genealogia inizia con l’evidenziare una nuova creazione ed una
nuova umanità innestata nell’antica e legata ad essa tramite la paternità legale di Giuseppe,
discendente di Davide, non coinvolto però nel concepimento di Gesù che avviene solo per opera
dello Spirito Santo. D’altra parte, dal contesto, occorre ritenere (anche in forza di Nm 30) che lo
stesso Giuseppe abbia assunto pienamente il proposito di verginità di Maria 25.

8. MARIA: La conferma delle profezie e delle tipologie. La visitazione


In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il
bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce:
“Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del
mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha
sussultato di gioia nel mio grembo. È beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il
Signore le ha detto” (Lc 1,39-45).

INTRODUZIONE
Il racconto della visitazione è connesso a quello dell’annunciazione poiché ne costituisce lo
sviluppo e il progresso, ma è anche strettamente legato ad alcuni passaggi dell’Antico Testamento
in cui si evidenzia il trasferimento dell’Arca dell’Alleanza dal santuario di Kiriat Iearim alla città di
Gerusalemme. È come se Luca volesse mettere in parallelo il percorso dell’Arca con quello
compiuto da Maria evidenziando una particolare tipologia mariana; infatti sia l’Arca che Maria
attraversano il paese di Giuda.

Nel primo caso, c’è la gioia del popolo; nel secondo, c’è la gioia di Elisabetta. Nel primo, c’è
l’esultanza di Davide, nel secondo c’è l’esultanza del Battista. Davide esclama. “Come potrà venire
a me l’Arca del Signore? (2Sam 6,9). Elisabetta esclama: “A che debbo che la Madre del mio

25
Cf. R. GUARDINI, La Madre di Dio, Morcelliana, Brescia 19972, pp. 31-37.
Mariologia Pagina 21
Signore venga a me?” (Lc 1,43). L’Arca del Signore rimase tre mesi in casa di Obed-Edom (2Sam
6,11). Maria rimase tre mesi in casa di Elisabetta (Lc 1,56).

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Maria, nuova Arca dell’Alleanza, che porta il Signore nel suo seno, si alza di tutta fretta per
intraprendere un percorso suscitato dal desiderio di mettersi in relazione con coloro di cui l’angelo
gli aveva parlato.
Tutta la scena viene introdotta dalla sollecitudine di Maria espressa sia con il verbo alzatasi
(Αναστᾶσα - anastãsa), indicante l’iniziativa di chi si accinge ad intraprendere un’azione di
movimento verso un luogo, sia con l’espressione in fretta (σπουδῆς – spudễs, che compare in Luca
solo questa volta e indica il desiderio di essere solleciti verso la meta prefissata). Emerge così in
Maria una fede certa e una disposizione ad una corrispondenza pronta e generosa a quanto ha
appena appreso dall’angelo, non solo riguardo a sé e al suo Bambino, ma anche riguardo a
Elisabetta e a Giovanni. La partenza frettolosa di Maria non ha alcuna intenzione di sciogliere un
dubbio mediante la verifica diretta di quanto ha appreso, ma piuttosto è mossa dal fatto che lei
vuole andare là dove il progetto di Dio inizia a realizzarsi. Maria comprende che la nascita del figlio
di Elisabetta è strettamente legata alla nascita del suo Figlio per il fatto che entrambi sono il frutto
dell’azione di Dio a cui nulla è impossibile. Il muoversi fisico mostra la sensibilità interiore di Maria,
che non è chiusa a contemplare in modo privato ed intimistico il mistero della divina maternità che
si compie in lei, ma è proiettata sul sentiero della carità. Ella si muove per contemplare l’opera di
Dio nella vita altrui e in ciò portare un aiuto concreto, affinché essa si realizzi in pienezza e venga
colta nella sua bellezza. Maria corre, e va là dove la chiama l’urgenza di una necessità, di un
bisogno, dimostrando, cosi, una spiccata sensibilità e concreta disponibilità. Maria entra nella casa
di Zaccaria senza che fosse attesa. Si tratta dunque di una sorpresa, di un dono inaspettato. Lì
trova Elisabetta e la saluta. Luca non ci dice in che modo si espresse salutandola, in quanto ciò che
conta è l’effetto che ebbero su Elisabetta le parole di Maria. La presenza in lei del Verbo incarnato
è causa di grazia per Elisabetta che, ispirata, avverte i grandi misteri operanti nella giovane cugina:
la sua dignità di Madre di Dio, la sua fede nella parola divina e la santificazione del precursore che
esulta di gioia nel seno della madre. Siamo dentro un processo straordinario della comunicazione
e della diffusione della grazia; infatti dopo l’annunciazione, Maria è divenuta la mediatrice della
grazia stessa. Là dove arriva con il suo bambino, la grazia, attraverso di lei, si riversa nel mondo
[…]. A proposito di pochi avvenimenti si può verificare in modo così persuasivo come la grazia
trabocchi sempre e non si fermi mai presso un singolo individuo. Da Gesù passa a Maria, da Maria
ad Elisabetta, da Elisabetta a Giovanni per essere, una volta qui, prima ampiamente diffusa, e
ritornare alla fine, così accresciuta, alla sorgente divina cui si richiama Giovanni.
Emerge che la missione di ciascuno di loro è strettamente legata alle altre missioni a cui ognuno
adempie, poiché tutti e quattro sono racchiusi nella grazia del Padre e la risposta a questa grazia
risiede nell’ubbidienza di ciascuno ed in quella comune di loro quattro […]. L’angelo aveva
preparato Maria per la sua missione raccontandole di Elisabetta, così come successivamente la
missione del Figlio verrà preparata da Giovanni. Dio Padre si serve di Elisabetta per la rivelazione
della Madre, così come si servirà poi del Battista per la rivelazione del Figlio.
Vale la pena soffermarsi sul fatto che le parole che Elisabetta ode causano un “sussultare” (σκ τ
σεν-èskírtēsen) di Giovani nel suo grembo. Questo evento descritto da Luca, viene interpretato da
Elisabetta, che vi aggiunge due note: «Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi,
il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (1,44).
Ciò che emerge è la sottolineatura dei prodigi realizzati dalla voce di Maria. Si dice infatti che
Elisabetta: ήκουσεν-ékusen; ciò può significare sia udire che sentire-percepire. Si tratta di
un’acquisizione dei sensi unita ad una partecipazione attiva della persona di Elisabetta, che per
mezzo della voce di Maria sente la presenza del Figlio di Dio che è nel suo grembo. Il saluto è

Mariologia Pagina 22
percepito misteriosamente da Giovanni che diviene colmo dello Spirito. In ciò si realizza quanto è
stato detto a Zaccaria: «Sarà colmo di Spirito Santo sin dal seno materno» (1,15). Egli salta di gioia
all’udire la voce di Maria, ed Elisabetta, dal sussulto del figlio, capisce il significato dell’evento
perché anche a lei viene comunicato lo Spirito ed proprio tale Dono che la porta a chiedersi il
perché la madre del Signore venga a lei. In risposta a tale domanda Elisabetta coglie sempre nella
grazia dello Spirito l’altissima dignità della maternità di Maria, che non esita a definire beata:
«Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (1,45). Ciò che
Elisabetta esprime è certo la risposta più adeguata al saluto di Maria, risposta che precisa l’essenza
della beatitudine della Madre del Signore! Si tratta della beatitudine della fede, che fa risaltare la
cooperazione personale di Maria all’evento della salvezza che si attua per il dono della Parola. Tale
beatitudine ha un valore universale, si può applicare a chiunque crede nella Parola, sebbene sia
Maria colei che ha creduto in maniera assoluta. Lei infatti, come nessun altro, ha ascoltato Dio e
ha dato il suo personale contributo all’opera della salvezza, accogliendo totalmente la sua
missione. La vera grandezza di Maria sta proprio qui, poiché per lei aveva più valore obbedire alla
Parola, essere discepola della Parola, piuttosto che Madre di Cristo. D’altra parte il suo essere
Madre è una conseguenza della sua accoglienza della Parola sino al punto di non dubitare della
sua efficacia.
Qui emerge una bella differenza tra la sua fede e quella di Zaccaria. Questi ha creduto dopo il
compimento del segno (cf. 1,21). Maria ha creduto prima di vedere il segno nella casa di Zaccaria.
Per la sua fede Maria è la Madre di tutti i credenti in Cristo e la sua beatitudine è un invito al
lettore del Vangelo a continuare il cammino a cui essa ha dato inizio con la sua fede, il cammino
della diffusione della grazia.

9. MARIA: La più antica teologia mariana: il Magnificat


“L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre”
(Lc, 1,46-56).

INTRODUZIONE
Il cantico del Magnificat può essere ritenuto una vera e propria antologia di citazioni antico-
testamentarie riportate in maniera così fedele che nemmeno una frase, singolarmente presa, può
dirsi originale, ma il cui insieme offre un vero e proprio discorso su Dio. Ogni passaggio del testo si

Mariologia Pagina 23
colloca nella memoria storica di Israele facendo leva sull’utilizzo di un repertorio di testi biblici
profetico-messianici assai conosciuti e utilizzati nelle preghiere e nelle celebrazioni liturgiche del
popolo di Israele e ancor più nella Chiesa giudeo cristiana delle origini.
Il cantico non ha lo scopo diretto di definire Dio, ma di situarne il Mistero entro la storia della
salvezza. Maria magnifica Dio soprattutto come Salvatore, avendone sperimentato l’amore sia
soggettivamente nella sua vita personale, che oggettivamente in quanto donna appartenente
all’umanità, al popolo di Israele e alla Chiesa nascente che accoglierà la Rivelazione di Cristo quale
destinataria delle promesse e dei compimenti della storia salvifica. In tal senso il Magnificat
anticipa la comprensione teologica e soteriologica che si maturerà nella comunità post-pasquale,
la quale reinterpreterà gli eventi della salvezza attuata da Dio nell’Antico Testamento e in Cristo
Gesù anche alla luce dell’esperienza e della testimonianza di fede di Maria (oltre il fatto che
reinterpreterà l’esperienza e la testimonianza di fede di Maria alla luce degli eventi pasquali).

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Quanto detto deve portare a riflettere sul significato mariologico del Magnificat in duplice modo:
esso è da un lato, senza alcun dubbio, l’espressione più palese «di quei sentimenti personali e
profondi che Maria cantò a Dio non solo davanti ad Elisabetta, ma fin dall’annunciazione e per
tutta la sua vita» , sentimenti di cui la Chiesa è ereditaria; dall’altro esso è da considerarsi come la
più antica teologia Mariana, in esso infatti si palesa l’alta valutazione che il cristianesimo primitivo
aveva della Madre di Dio , visto che fa memoria delle sue parole inserendole nei suoi testi sacri.
Se anche non si potesse dimostrare esegeticamente che esso sia l’esatta trascrizione, alla lettera,
di quello che Maria disse nell’incontro con Elisabetta, non è da mettere in dubbio il fatto che ne sia
il riverbero più che plausibile e come tale sia stato custodito e valorizzato dalla prima comunità
cristiana (e dunque anche dalla stessa Maria) alla luce del Mistero Pasquale.
Pertanto, se anche non si volesse ammettere che il Magnificat sia la trascrizione di una preghiera
vocale pronunciata nel giorno della visitazione, in ogni caso va rilevato che il procedimento ebraico
(ben noto a Maria e alla Chiesa giudeo cristiana delle origini) di comporre inni e preghiere
mediante il riassunto e la composizione di passi biblici, nel testo del Magnificat emerge con una
evidenza schiacciante e con un’unitarietà teologica e tematica talmente coerente e armoniosa che
l’insieme acquista un’originalità evidente, nella quale si attesta la grandiosità della Madre di Dio,
che la Chiesa delle origini non ha esitato a riconoscere quale riferimento imprescindibile nel
contesto della storia della salvezza. Come dice B. Forte: È comunque indiscutibile che Luca ha
posto il cantico sulle labbra di Maria perché, unitamente ai dati originali pre-pasquali di cui poteva
disporre, vi vedeva espressi sentimenti del tutto corrispondenti alla visione che aveva di Lei,
fondata sul nucleo storico della prossimità di vita e di fede della Vergine al Figlio suo. In questa
luce, soppesati i vari elementi, si deve senz’altro affermare che il Magnificat è il cantico di Maria.

Considerato globalmente il Magnificat è un’analogia del cantico di Anna, madre di Samuele (1Sam
2,1-10), ma lo supera di gran lunga in gioia, intensità teologica e riferimenti biblici ulteriori. Tutto
ciò comporta che, da un lato, Maria emerga come la nuova Anna, felice per il dono della
maternità;
Dall’altro però comporta anche che essa sia consapevole della dismisura esistente tra il profeta
Samuele e il Messia e Salvatore di cui Lei è Madre.
Onde mettere maggiormente in luce l’originalità del Magnificat, lo si può suddividere in due parti,
evidenziando in esse da un lato la magnificenza che Maria rivolge in modo appropriato a Dio e
forse, si potrebbe ammettere, ad ogni persona della SS. Trinità; dall’altro la struttura dell’anamnesi
delle opere di Dio lungo la storia della salvezza, avvolte dalla sua misericordia.
Nell’insieme della prima parte emerge il grazie a Dio per una storia personale che si intreccia con
la storia di salvezza di tutto Israele e il fatto che la lode personale preceda la lode universale mette

Mariologia Pagina 24
in luce una legge basilare dell’economia della salvezza: Dio rivela la sua misericordia verso tutti
colmando di grazia una sola donna, in modo singolare e unico; pur partendo da una lode personale
Maria si considera una sola cosa con il popolo di Dio. La storia della sua elezione finisce nella storia
del suo popolo e la storia del suo popolo culmina nella sua propria storia. È dunque nel contesto
ampio di tutta la storia della salvezza che Maria si apre alla beatitudine della maternità, ciò in forza
dell’avverarsi delle promesse di Dio riguardanti la nascita in lei del Figlio di Dio fatto uomo, atteso
come Messia da tutto Israele.
Il vigore e la forza con cui si esprime il Magnificat nella sua seconda parte mette poi in risalto la
drammaticità della salvezza; Maria è la portatrice di questo dramma poiché la sua unione con Dio,
la sua conoscenza profonda dei dati biblici e la sua fede le hanno fatto capire perfettamente la
trama che sottende tutta questa storia drammatica con cui lei si identifica collocandosi sin
dall’inizio tra i poveri del Signore e tra gli umili che Egli esalta e salva.
È possibile distinguere tre livelli diversificati in cui si realizza il dramma della salvezza proclamato
nel Magnificat: il livello religioso (contrapposizione tra quelli che temono Dio e gli orgogliosi); il
livello socio-politico (deposizione dei ricchi e dei potenti a favore dei poveri e degli umili), e quello
etnico (perché si tratta del compimento della promessa ad Abramo e alla sua discendenza). Maria,
nella sua piccolezza, è stata scelta da Dio per assimilare a sé i livelli suddetti: a livello religioso, ella
è donna di fede, che si colloca tra i poveri che temono il Signore e non hanno altro che Lui come
fondamento della loro speranza; a livello socio-politico, appartiene ai piccoli che non hanno
eredità e fa parte anche lei di coloro la cui voce non viene ascoltata nei circoli dei potenti in cui si
impongono le decisioni umane; a livello etnico, appartiene alle figlie di Israele, sebbene Gesù, suo
Figlio, sia già segno di liberazione non solo per Israele ma per tutte le genti.

10. La gravidanza di Maria e lo sconcerto di Giuseppe


Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che
andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo,
poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli
disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il
bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo
chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Tutto questo è avvenuto perché
si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e
darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. Quando si
destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua
sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù (Mt 1,18-
25).

INTRODUZIONE
Nel brano dell’evangelista Matteo, che possiamo chiamare l’annuncio a Giuseppe, sono racchiusi i
tratti principali della figura di Giuseppe, evidenziata a partire dalla missione che Dio gli affida: la
sua paternità legale nei confronti di Gesù e la custodia di Lui e di sua Madre. Il brano ha una stretta
analogia con l’annunciazione a Maria presentata dall’evangelista Luca. Non a caso Matteo fa
notare come il messaggero divino introduce Giuseppe nel mistero della maternità di Maria. Colei
che secondo la legge è la sua sposa, rimanendo vergine è divenuta madre in virtù dello Spirito
Santo ed è proprio lei che Giuseppe è invitato ad accogliere in vista di una missione che ora, grazie
alle parole dell’angelo, gli si chiarifica al cospetto di Dio. Tale missione e vicinanza a Gesù e a Maria
non è stata esente da particolari prove.

Mariologia Pagina 25
CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO
Matteo presenta la perplessità di Giuseppe, la sua fatica a credere ciò che invece nella realtà è
evidente. Apprendendo lo stato di gravidanza di Maria egli inizia la sua “prova spirituale”,
esperienza dolorosissima, se si considera il rapporto di estrema comunione e fiducia stabilitosi con
Maria. Egli non poteva che rimanere sconcertato innanzi alla gravidanza inspiegabile da un punto
di vista esclusivamente umano, come anche non poteva non permanere in una condizione di
profondo dubbio sul da farsi: “Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise
di licenziarla in segreto”. La domanda di fondo che si rivolgono diversi studiosi è se Giuseppe
prima dell’annuncio dell’angelo conoscesse che la maternità della sua sposa proveniva dalla
potenza dello Spirito Santo. Nel rispondere a tale quesito gli esegeti si sono schierati
sostanzialmente su tre posizioni differenti.
a) Una parte sostiene che prima di ricevere in sogno l’annuncio angelico Giuseppe fosse a
conoscenza dell’origine divina della maternità di Maria; di conseguenza l’apparizione dell’angelo
non era ordinata a rivelargli l’origine prodigiosa di quella maternità, bensì a manifestargli la
funzione che egli doveva assumere nei confronti di Maria e del Bambino; ecco perché Giuseppe,
davanti al prodigioso intervento di Dio nella sua sposa, pensa di non poterla più prendere con sé,
in quanto appartenente radicalmente a Dio, decidendo di rinviarla in segreto. L’angelo del Signore
gli appare per dirgli di prendere con sé la sua sposa dando il nome al Bambino, inserendolo così
nella stirpe davidica. Solo alla luce di questa esplicita volontà di Dio, Giuseppe accetterebbe la sua
missione. b) Altri ritengono che soltanto per mezzo dell’annuncio dell’angelo Giuseppe viene a
conoscere l’origine divina della maternità prodigiosa della sua sposa e la nuova missione che egli
deve svolgere, per cui il suo sospetto di adulterio, irrisolvibile da un punto di vista dell’evidenza
della gravidanza, sarà risolto dalla comunicazione angelica. c) Ci sarebbe una terza ipotesi, che
rappresenterebbe una via di mezzo tra le due segnalate; secondo tale ipotesi Giuseppe, pur non
conoscendo l’origine divina della maternità della sposa, è tanto sicuro e ha tanta stima della virtù
di Maria da sospendere il giudizio sulla propria sposa e ciò nonostante l’evidenza dei fatti. È come
se Giuseppe rimanesse sospeso tra due evidenze inconciliabili, infatti, da un lato egli non può
assolutamente dubitare dell’integrità spirituale e morale di Maria che per lui è sempre stata
un’evidenza oggettiva, dall’altro lato però, l’evidenza della gravidanza della sua promessa sposa lo
portava a mettere in dubbio la certezza precedente, un dubbio che Giuseppe tuttavia non vuole
assolutamente assumere, ma di fronte al quale non sa anteporre nessuna risposta razionale
plausibile. Possiamo sintetizzare queste tre posizioni sui motivi dell’ansietà di Giuseppe nel
seguente modo:
1) si sente inadeguato di fronte al Mistero e non degno d’imporre il nome al nascituro, maturando
la scelta di allontanarsi da Maria e Gesù;
2) è angustiato dal sospetto di adulterio;
3) vive lo sconcerto di fronte a un fenomeno incomprensibile e umanamente inspiegabile.
La prima e l’ultima sembrano essere le più probabili e le più adatte a spiegare perché Giuseppe
non voglia ripudiare Maria pubblicamente. Fermiamoci ora solo sull’ultima soluzione per cercare
di comprenderla più dettagliatamente. Essa ci mostra che Giuseppe, grazie alla sua sensibilità di
uomo giusto, attento alle cose di Dio, intravedeva in Maria “qualcosa” che non sapeva spiegarsi ed
è proprio ciò, unito alla profonda stima e fiducia che egli aveva per Maria, a portarlo al doloroso
sconcerto di fronte all’evidenza, ma anche a fare scelte preoccupato più di Maria che di sé. Egli
probabilmente sentiva il dubbio pervadergli l’intelligenza, ma lo contrastava interiormente,
mantenendo ferma la sua stima in Maria. Tale lotta interiore è difficilmente comprensibile;
possiamo immaginare che fosse in un vortice di idee opposte, in una rete di riflessioni l’una più
complessa dell’altra. Certamente la ragione non gli dava via d’uscita. Dubbio e certezza, fiducia e
sfiducia, probabilmente si accavallavano senza sosta in lui. Era un uomo in apparenza tradito da
colei alla quale aveva donato tutto se stesso e con la quale condivideva un progetto radicato in

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Dio, che ora vedeva crollare. Se Giuseppe non fosse stato un vero santo avrebbe agito
istintivamente; ma poiché il suo cuore puro viveva attento alle cose di Dio, rimase forte e stabile,
nonostante la sofferenza. Il suo comportamento emerge come “atto di sapienza” che nasce
dall’intuito dell’amore; è per questo amore che egli opterà per salvare Maria e Gesù anche dalla
possibile cattiva stima altrui, scegliendo di distaccarsi da essi in segreto. È probabile, alla luce di
tutto ciò, che Giuseppe avesse intuito già qualcosa, che avesse colto che nella gravidanza
misteriosa di Maria c’era dello straordinario, c’era un mistero che non si sentiva capace di
decifrare, c’era una realtà indefinibile che, in qualche modo, lo rimandava a Dio. Matteo descrive
la figura di Giuseppe, in questo momento particolare del progetto di Dio su di lui, con un termine
significativo: giusto (δίκαιος – dίkaios). Questa sola parola, densa di significato, racchiude e
caratterizza la profonda spiritualità di Giuseppe. Essa indica colui che ascolta il Signore e gli
obbedisce mettendo in pratica amorevolmente la sua volontà: “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece
come gli aveva ordinato l’angelo”; indica la santità personale contraddistinta da un’osservanza
della legge intrisa di sapienza e di amore. In tale luce Giuseppe procede secondo un modo di
essere e di fare che lo conduce ad aderire alla volontà di Dio andando oltre una sua semplice
esecuzione esteriore per coglierne invece la realizzazione piena all’interno di un profondo rispetto
verso di Lui e verso la dignità altrui.

11. MARIA: Il silenzio di Maria e l'annuncio a Giuseppe


Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che
andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo,
poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli
disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il
bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo
chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Tutto questo è avvenuto perché
si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e
darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. Quando si
destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua
sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù (Mt 1,18-
25).

INTRODUZIONE
Sinora abbiamo riflettuto solo su una delle due interpretazioni più plausibili del brano di Mt 1,18-
25, ossia quella che ritiene che Giuseppe si sia trovato di fronte ad una sconcertante situazione
dovuta alla sua non iniziale conoscenza dell’origine divina della maternità di Maria, situazione che
egli cerca di gestire alla luce della stima che nutriva per la sua sposa: conoscendo la castità di
Maria e stupito di quanto era accaduto, nasconde col suo silenzio ciò di cui ignora il mistero.
Giuseppe, dunque, si sarebbe trovato di fronte a un dilemma: da una parte l’indiscussa innocenza
di Maria, dall’altra un fatto che parrebbe smentirla; e così Giuseppe escogita un comportamento
che cerca di rispettare ambedue le esigenze.

In questa situazione dolorosa di Giuseppe, Maria sembra essere assente. Non si dice nulla dei suoi
sentimenti, ma sicuramente avrà sofferto con lui, poiché l’amava e si addolorava nel vederlo
soffrire, non potendo sollevarlo dal suo sconcerto. Come avrebbe potuto infatti spiegargli che era
Madre? Con quali parole? In questa ipotesi sullo sconcerto di Giuseppe stiamo considerando che
Maria abbia scelto di non comunicare nulla, di non rivelare a nessuno, nemmeno a lui, il segreto
del concepimento verginale.

Mariologia Pagina 27
Probabilmente lei si rendeva conto dell’impossibilità di poter rendere ragione, da se stessa, del
suo segreto; questo era così grande, così incomprensibile anche alla santità di Giuseppe che solo
Dio avrebbe potuto rivelarglielo e così spiegarglielo. Sceglie pertanto di attendere. Come è stato
per lei, crede che così sarà per Giuseppe, quando giungerà l’ora per lui di conoscere ogni cosa. Ella
rimane nell’ombra e nel silenzio e lascia a Dio la difesa della sua verità. Lascia a Dio l’incarico di
istruire Giuseppe sulla sorte felice di padre putativo del Figlio di Dio e di sposo verginale.
È nel sogno, infatti, che Dio opera in Giuseppe, aprendogli il cuore al Mistero. In seguito a ciò egli,
prontamente, accelera tutti i preparativi per celebrare le nozze, rivelandosi ancora una volta come
il “giusto”. Infatti, prese subito con sé Maria, probabilmente prima che i segni fisici della
gestazione si rivelassero chiaramente ed inducessero la gente a dicerie insane. Salvaguarda così il
suo onore evitando che diventi oggetto di maldicenza.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Ora occorre riflettere brevemente sull’altra posizione degli esegeti, quella che considera che
Giuseppe conoscesse già, in un certo qual modo, il mistero operato in Maria dallo Spirito Santo e
che la comunicazione dell’angelo del Signore gli chiarificasse soltanto la missione che doveva
svolgere nei confronti di Maria e del Bambino.
Secondo questa diversa interpretazione, quanto lui si dispose a compiere, prima di tale
chiarificazione, era legato ad una consapevolezza di indegnità e di profondo rispetto sacro che poi
l’annuncio risolve, evidenziando come, in riferimento all’origine divina della nascita di Gesù e la
sua futura missione, Giuseppe debba assumere nuove dimensioni legate alla sua condizione di
sposo di Maria e ora di padre legale di Gesù. Su questa rivelazione che riguarda l’origine divina di
Gesù e la sua missione ruota l’intero racconto; per questo motivo l’evangelista sottolinea il dato
che Maria è incinta “per opera dello Spirito Santo” (v. 18) e che la sua maternità viene da Lui (v.
20).
Alla luce di questa posizione, tutto quanto emerge nel racconto manifesta allora la missione che
Giuseppe deve assolvere, (cioè di prendere con sé Maria, sua sposa, e di diventare padre di Gesù
di cui già conosce l’origine divina, per trasmettergli la discendenza davidica). Quindi, le espressioni
dell’angelo esprimono la conoscenza della maternità prodigiosa di Maria da parte di Giuseppe e
manifestano i tratti del problema che lo affligge, o in altri termini i dati su cui la sua sensibilità di
giusto ha ragionato. Da qui la formula con cui l’angelo elimina il suo scrupolo: “Non temere”.
Dopo aver osservato questa ulteriore ipotesi su cui la maggioranza degli studiosi si schiera,
possiamo fare ora ancora alcune osservazioni:
1. La situazione nella quale si trovava Giuseppe, dopo aver conosciuto prima dell’annuncio
dell’angelo lo stato di maternità della sua sposa, è indicata come situazione di dubbio; tale dubbio
va inteso certamente non nel senso che Giuseppe si domanda se Maria sia o non sia colpevole. Si
tratta piuttosto di un “dubbio” […] su ciò che lui stesso deve fare. Come deve agire, lui, lo sposo di
Maria, nella situazione eccezionale in cui si trova?

2. Il verbo ἀπολύω - apolúō (cfr. Mt 1,19), che quando è riferito ad un uomo sposato vuole
sempre significare l’atto di ripudiare o divorziare, sembra che qui, nei confronti di Maria e
Giuseppe, abbia un altro significato. Riguardo al senso del verbo è stato osservato che,
tecnicamente parlando, la parola apolúō non possa significare “divorziare”. In ogni caso non
significa questo nel nostro passo, perché il divorzio è un atto pubblico, davanti a dei testimoni, e
qui il verbo è accompagnato dall’avverbio “segretamente” (λάθρᾳ - làthra). Un atto pubblico non
si può fare “in segreto”. È più giusta la versione: “decise di licenziarla in segreto”.

3. In particolare sono state alcune espressioni del racconto ad essere interpretate in modo
contrastante da parte degli esegeti; esse vanno meglio precisate, anche perché è dalla loro

Mariologia Pagina 28
interpretazione che nascono i due schieramenti esposti. L’espressione “Maria si trovò incinta per
opera dello Spirito Santo”, da un gruppo di studiosi è infatti considerata una spiegazione con la
quale l’evangelista assicura i lettori che la maternità prodigiosa di Maria è opera dello Spirito
Santo. Da un altro gruppo, anche se più esiguo, le stesse parole sono ritenute come l’affermazione
del fatto che Giuseppe conosceva la maternità verginale della sposa, avvenuta per la potenza dello
Spirito di Dio, e che tale conoscenza aveva determinato in lui la decisione di non prendere con sé
Maria; egli, in verità, davanti a un fatto tanto prodigioso, comprende che Dio ha operato nella sua
sposa destinandola all’attuazione di un suo piano misterioso; di conseguenza Giuseppe, per timore
reverenziale davanti al concepimento prodigioso avvenuto in Maria per la potenza dello Spirito
Santo, decide di allontanarsi dalla sposa e di lasciarla libera perché possa attuare il piano
misterioso a cui è stata destinata dal Signore. Così Giuseppe è chiamato giusto, perché è “giusto
davanti Dio”; infatti l’uomo giusto è anche colui che si ritira rispettosamente davanti all’azione di
Dio per lasciare spazio ad essa; inoltre, pieno di timore religioso davanti al mistero che si è
compiuto in Maria sua sposa, Giuseppe non vede in questo momento nessun’altra soluzione,
rispettosa di Dio, del Bambino e di Maria che quella di ritirarsi discretamente con estrema umiltà.
Pieno di rispetto per Maria nella quale lo Spirito Santo aveva realizzato cose così grandi, Giuseppe
è pronto a cederla totalmente a Dio insieme al Figlio che lei porta in seno.

12. MARIA: La conferma delle profezie e delle tipologie. La nascita di Gesù


In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.
Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a
farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì
in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia
di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in
quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo
avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro, non c’era posto nell’alloggio. C’erano
in quella regione alcuni pastori […]. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore
li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi
annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un
Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce,
adagiato in una mangiatoia» […]. Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il
bambino, adagiato nella mangiatoia (Lc 2,1-9.16).

INTRODUZIONE
Sinora abbiamo avuto modo di riflettere sul concepimento verginale e sulla maternità divina di
Maria prendendo in esame tutta una serie di testi biblici sia antico che neo testamentari. Ora, il
percorso compiuto, con tutta l’intensità dei significati evidenziati trova una sua particolare
ricapitolazione nell’evento della nascita di Gesù che viene attestata dagli angeli con le seguenti
parole: Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città
di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un
bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia (Lc 2, 10-12).

La descrizione angelica dell’evento condensa in sé tutto il senso delle profezie, ma anche la varietà
dei titoli attribuiti a Gesù, che ne rivelano la misteriosa identità e la misteriosa missione.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Il racconto sottolinea come Giuseppe si rechi a Betlemme al fine di farsi “censire insieme a Maria,
sua sposa, che era incinta”. Il testo greco usa il verbo ἐμνηστευμένη - emnēsteuménē (che va

Mariologia Pagina 29
tradotto esattamente con promessa sposa) che si trova anche nell’annunciazione a Maria (cfr. Lc
1,27) come pure nell’annunciazione a Giuseppe (cfr. Mt 1,18). Ciò significa che Maria, dopo aver
concepito, si trova ancora nella condizione descritta nei racconti che annunciavano il
concepimento verginale di Gesù, ossia, viene richiamato espressamente il fatto che lei era e
permane come la “vergine promessa sposa” che però ora assume i tratti di una umilissima
partoriente, in una situazione assai gravosa per la sua condizione, così come viene rilevato
dall’evangelista: “per loro non c’era posto nell’alloggio”. In tale situazione Maria dà alla luce Gesù
e insieme a Giuseppe lo offre al mondo. La scena successiva evidenzia infatti un atto di ostensione
del Cristo Bambino, poiché i pastori, avvertiti dagli angeli di recarsi a Betlemme, «trovarono Maria
e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del
bambino era stato detto loro» (Lc 2,16-17). Una scena analoga si ripete anche con la visita dei
Magi: «Videro il bambino con Maria sua Madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). È come
se Maria emergesse, nei racconti della nascita e in quelli appena successivi, come colei che offre
già da ora il suo Figlio al mondo come Salvatore, facendo suo l’implicito desiderio del Padre e del
Figlio, quel desiderio che sta alla radice dell’Incarnazione, avvenuta per opera dello Spirito Santo.
In fondo, esprimendo il senso della sua maternità divina, ma anche della sua maternità spirituale
rivolta a tutta l’umanità, Maria già offre a tutti il Mistero del suo Figlio. Come rileva A. Von Speyr,
Maria sa bene che il Figlio Gesù è Colui che viene dal Padre e al Padre ritorna, e sa anche che lei: È
stata investita della sua maternità per dare al Padre un Figlio fatto uomo, ma ciò avviene lasciando
al Figlio la sua volontà di donarsi al mondo. In questo modo, nella notte di Natale, ella ne fa dono
contemporaneamente al Padre e al mondo. Lo dona al mondo creato da Dio perché possa essere
salvato, lo dona al Padre perché salvi il mondo. Con un solo atto adempie ad una doppia missione:
dona il Figlio a Dio e al mondo, al mondo che chiama, a Dio che desidera fortemente il suo ritorno.
Viene così a trovarsi nel punto cruciale del duplice desiderio di salvezza di Dio e del mondo. Con la
nascita del Figlio l’attesa, da occulta ricchezza che era, è diventata ora ricchezza ben visibile. La
profezia ha preso forma con l’apparizione di Dio fattosi uomo. La Madre che lo ha generato e
tenuto tra le braccia porta con sé certamente suo Figlio, ma anche il suo Dio cui crede, il Dio che
ha plasmato e le ha dato tutta la sua fede. Anch’ella sa quindi che in futuro dovrà dedicarsi più alla
fede che al bambino, più a Dio che al Figlio e che diventando madre dell’Uno, deve diventare
Madre di tutti. Il concepimento non lasciava presentire nulla: c’era solo la fede. Ora ha il bambino
in braccio e questo rappresenta già un enorme sviluppo del piccolo granello di senape della fede.
Tuttavia si andrà ben più avanti: dalla mangiatoia alla croce, dal bambino all’umanità. Questa
apertura rappresenta anche per Maria il vero mistero della Natività.

In questa situazione gioiosa e dolorosa insieme3, Maria sembra essere attivamente coinvolta nella
forza di una simbologia che essa stessa pone in atto in prima persona: “Diede alla luce il suo figlio
primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”.
Il racconto della nascita è estremamente sobrio. Giuseppe scompare dalla scena che è incentrata
su Maria e sul Bambino. “Insieme”, come sposi, Maria e Giuseppe erano saliti in Giudea; ancora
“insieme” viene sottolineata la loro presenza a Betlemme; “insieme” saranno i protagonisti dei
successivi racconti dell’infanzia di Gesù; ma ora, alla nascita, Maria sembra essere da sola durante
il parto e da sola ad accudire il Figlio. È lei il soggetto attivo di quanto accade. Non ha aiuti di
nessun tipo e mai si dice che Giuseppe abbia in qualche modo partecipato all’evento della nascita
di Gesù. Luca ripete per due volte il termine “partorire” (Lc 2,6b-7), descrivendo Maria nel
prestare le sue cure materne al neonato, serena e libera nei suoi movimenti. In ciò si potrebbe
cogliere l’allusione al suo parto verginale e alle eccezionali condizioni in cui è avvenuto. La
traduzione di “φάτνη - fátne” con “mangiatoia” si accorda in fondo con la tradizione risalente ai
tempi di san Giustino (II secolo), che vuole che Gesù sia nato in una grotta per animali alla periferia
di Betlemme (cosa confermata dalla frase conclusiva del v. 7). Le fasce rivelano comunque lo

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spirito previdente di Maria che intraprese il viaggio sapendo che avrebbe partorito a Betlemme,
come era profetizzato.
Il posto che il Verbo Incarnato aveva trovato sulla terra era soltanto un duplice grembo: quello di
Maria, la tutta pura, la piena di grazia; e quello del reciproco amore verginale di Maria e Giuseppe,
che accoglievano Gesù molto più di qualsiasi altra realtà; al di fuori di questi amori, eccetto i
pastori, nessun altro per accoglierlo, ora che è venuto alla luce (cf. Gv 1,9-11). Sarà proprio in
questo non spazio, in questa non accoglienza ricevuta dal mondo, in questo nulla, che si rivelerà,
nella totale umiltà, la grandezza di Dio. Gli sposi trovano solo un semplice rifugio adibito al
ricovero degli animali, vivono l’umiliazione dei poveri, dei viandanti, che non trovano alloggio,
l’umiliazione dei rifiutati, resa ancora più dolorosa dal sentire che con loro era rifiutato il Mistero
che custodivano. Nella simbologia dei gesti di Maria emerge tutto il futuro del Redentore. Il suo
avvolgerlo in fasce rimanda all’esperienza della morte di Gesù e del suo essere avvolto nei lini
sepolcrali (la famosa sindone, il sudario e le bende, come appare in Mt 27,59; Mc 15,46; Lc 23,53 e
Gv 20,40). Il suo deporlo nella mangiatoia rimanda alla deposizione nel sepolcro ma anche alla
mensa eucaristica in cui il Cristo si dona come cibo agli uomini. Ma in tutto ciò emerge più forte
che mai l’espressione: “lo diede alla luce”: nel cuore di quella santa notte, al centro di quella grotta
oscura, brilla il Mistero dell’Incarnazione del Verbo, sotto gli sguardi di Maria e Giuseppe.

13. La presentazione di Gesù al Tempio


Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come
era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo. Quando furono compiuti i
giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a
Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio
primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani
colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone,
uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui […]. Il
padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a
Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come
segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l’anima affinché siano svelati i pensieri
di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna […]. Sopraggiunta in quel momento, si mise
anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla
loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su
di lui (Lc 2,21-25.33-36. 38-40).

INTRODUZIONE
Dopo i racconti degli annunci a Maria e Giuseppe della nascita di Gesù, della visita dei pastori e dei
magi, i Vangeli dell’infanzia si concentrano sugli eventi accaduti a Gerusalemme. Tali eventi sono
riportati dall’evangelista Luca e comprendono: la presentazione al tempio di Gesù quaranta giorni
dopo la sua nascita; la testimonianza dei profeti Simeone e Anna; e infine, il ritrovamento di Gesù
dodicenne nel tempio. Nella struttura generale dell’opera lucana, questo riferimento a
Gerusalemme è importante visto che sarà a Gerusalemme che si concluderà il Vangelo e inoltre
sarà ancora a Gerusalemme che incomincerà il racconto degli Atti degli Apostoli.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


La salita a Gerusalemme da parte della S. Famiglia è motivata, in particolare, dalle prescrizioni
della legge mosaica, che prevedeva che il Figlio primogenito maschio fosse offerto al Signore. Il
contesto pare concentrarsi infatti sulla dimensione sacrificale della presentazione di Gesù al

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tempio e il ruolo avuto in essa anzitutto da Maria e Giuseppe. Come rileva T. Stramare: Il termine
“presentare” fa parte del vocabolario liturgico, che richiama l’elezione dei Leviti, separati dalle
altre tribù per “stare davanti al Signore” […]. Conosciamo l’importanza che in tutta la Scrittura
occupa il fatto della liberazione degli Ebrei dall’Egitto. A [cui] è legata la legge del primogenito che
deve ricordare agli israeliti che con mano potente il Signore li ha fatti uscire dall’Egitto.
«Consacrami ogni primogenito: ogni essere che apre la matrice tra i figli d’Israele, sia uomo, sia
animale, appartiene a me […]. Riscatterai ogni primogenito di uomo tra i tuoi figli» (Es 13, 2.15). La
particolare dipendenza da Dio contratta da Israele nella liberazione dall’Egitto, si rivela totale nei
primogeniti, risparmiati in quell’occasione; essi non possono essere adibiti a uso profano, se non
con la sostituzione con i Leviti o con il riscatto. L’offerta del primogenito è un rito di altissima
religiosità, perché esprime la “consacrazione”, ossia l’appartenenza della nazione al Signore; la
possibilità del riscatto ne attenuava forse l’assolutezza, ma non ne diminuiva il significato.
Considerando ora Gesù come l’adempitore di questa legge […], si comprende quanto fosse
importante e necessario per lui l’osservarla, in piena conformità con lo scopo della sua
Incarnazione, che è quello di fare l’offerta di sé al Padre.

Che le cose stiano in questo modo lo conferma l’intenzione stessa dell’evangelista che fa di tutto
per mostrare come Gesù e la sua Famiglia adempiano pienamente alla Legge evidenziando in tal
modo la loro totale disposizione alla volontà di Dio. Così la circoncisione è compiuta in obbedienza
a Lv 12,3; il riscatto del primogenito maschio in obbedienza alle prescrizioni di Es 13,1-2.11-12.14-
16 e Nm 18,16; la purificazione della donna mediante l’offerta di un agnello o di una coppia di
tortore o di giovani colombe, in obbedienza a Lv 12,2-4.6-8 e 5,7. Ma la presentazione di Gesù al
tempio non è solo un evento di obbedienza, ma anche di amorosa e dolorosa consegna a Dio, oltre
ogni logica di calcolo e di misura, da parte di tutta la S. Famiglia. Si intravede infatti l’ombra della
croce che viene allusa sia dai gesti dell’offerta come dalle profezie che gli accompagnano. Nel
tempio si avvicina infatti Simeone che ringrazia Dio con una solenne preghiera (cf. Lc 2,29-32),
proclamando alla fine una profezia che è insieme cristologica (“Egli è qui per la caduta e la
risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione”) e mariologica (“anche a te una
spada trafiggerà l’anima”).
L’immagine della spada significa che l’anima della Madre sarà trafitta da un profondo dolore.
Indirettamente si annuncia la futura sofferenza del Bambino. Tramite la compassione, la Madre si
trova associata al Salvatore, segno contraddetto dal suo popolo.
Maria, che porta insieme a Giuseppe il Figlio nel tempio per offrire la sua vita all’Altissimo, sembra
già realizzare in se stessa quell’atteggiamento futuro che avrà ai piedi della croce, laddove la
passione di Gesù avrà un impatto terribile sull’anima di Maria che da parte sua si disporrà ad
esercitare la sua maternità non solo verso il Figlio, ma anche verso tutti gli uomini. Già dalla
presentazione al tempio, Maria realizza ciò, acconsentendo che nello spazio della relazione tra lei
e il Figlio Gesù si inserisca l’intera umanità, cioè coloro per i quali egli dovrà soffrire, mentre lei per
la loro salvezza ha già ricevuto ora la spada del Figlio [che] attraverserà l’anima della Madre
“affinché vengano svelati i pensieri di molti cuori” […]. Ella soffre come un’umana creatura, ma
soffre nel Figlio. Non soffre del proprio dolore, ma esclusivamente del dolore […] del Figlio. In lei
risulta evidente che esiste realmente la possibilità cristiana di partecipare al salvifico dolore divino.
Maria, che insieme a Gesù e a Giuseppe, viene presentata come la perfetta osservante della
volontà di Dio, appare allora come colei che patisce in se stessa, insieme al Figlio, il non amore e il
rifiuto dell’intera umanità. Al Figlio Gesù, che dà Simeone viene riconosciuto Signore, datore di
salvezza, luce delle genti e gloria di Israele (cf. Lc 2,29-32), e da Anna viene additato come il Messia
che realizzerà la redenzione di Gerusalemme (cf. Lc 2,38), viene associata Maria nel compimento
della sua opera di salvezza. Non si deve però pensare che Giuseppe, in tutto ciò, sia rimasto in
secondo piano, come fosse ai margini del progetto di Dio. Era infatti lui che avrebbe dovuto

Mariologia Pagina 32
provvedere al riscatto di Gesù così come aveva già provveduto alla circoncisione e imposizione del
nome: «All’età di un mese effettuerai il riscatto, secondo la stima di cinque sicli d’argento» (Nm
18,16).
È dunque impensabile che Giuseppe non sia stato allo stesso modo protagonista di ogni
particolare concernente l’adempimento della Legge. A lui anzi concerneva il ruolo più importante
in quanto, dal punto di vista legale, padre a tutti gli effetti di Gesù, sebbene non sia stato partecipe
della sua generazione, avvenuta per opera dello Spirito Santo. È perciò Giuseppe che con le sue
mani (pienamente consapevole dell’evento, poiché già istruito dalle visioni angeliche, dalla
testimonianza dei pastori e dei Magi, oltre che dalla sapienza che sperimentava a partire dalla sua
comunione profonda con Dio e con Maria) presenta Gesù come offerta a Dio Padre, consacrandolo
a Lui sull’altare del Tempio di Gerusalemme. Il gesto di Giuseppe, compiuto in comunione con
Maria, emerge come un atto di fede e di obbedienza infinitamente superiore al semplice
pagamento del prezzo del riscatto che di fatto l’evangelista Luca omette di descrivere. Giuseppe
offre al Padre Colui che è l’autore stesso del riscatto dell’umanità, offre la vera Vittima santa e
immacolata, gradita a Dio per la salvezza dell’umanità che si sarebbe compiuta sull’altare della
Croce. Come non pensare che al pronunciamento delle parole di Simeone, rivolte a Maria, anche
Giuseppe abbia sentito trafiggersi l’animo; come non pensare che per la sua straordinaria
comunione con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo e con la sua sposa Maria egli avesse in sé
la capacità di sentire nel suo cuore quanto attraversava il C/cuore delle P/persone amate.

14. La visita dei Magi


Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a
Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua
stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta
Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo
in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per
mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di
Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Allora Erode,
chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la
stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando
l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed
ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo
dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa,
videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e
gli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Mt 2,1-12).

INTRODUZIONE
Dal Vangelo di Luca emerge che solo dopo aver compiuto la circoncisione e la presentazione di
Gesù al Tempio (otto e quaranta giorni dopo la sua nascita) la Santa Famiglia fece ritorno a
Nàzaret» (cf. Lc 2,39). Ciò significa, ipotizzando una partenza immediata, che tra preparativi e
viaggio essi vi giunsero quando Gesù aveva circa due mesi. Sul fatto poi che in seguito siano rimasti
a Nàzaret o siano ritornati a Betlemme, l’evangelista non ci offre nessuna informazione; non ci
offre informazioni nemmeno sulla fuga della Santa famiglia in Egitto, ma semplicemente si limita
ad aggiungere che dopo il ritorno a Nàzaret, la città di Maria, «il bambino cresceva e si fortificava,
pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2,40).
Occorre però rilevare che la partenza potrebbe anche non essere stata così immediata, per cui,
quel “fecero ritorno in Galilea”, potrebbe far riferimento ad alcuni mesi dopo (sembra infatti
inverosimile che essi avessero deciso di tornare a Nàzaret in pieno inverno con Gesù piccolissimo).
È quindi più ragionevole pensare che Maria e Giuseppe, da parte loro, abbiano maturato la scelta

Mariologia Pagina 33
di tornare a Nàzaret alla fine della primavera o all’inizio dell’estate, quando Gesù avrebbe avuto
all’incirca otto mesi. Ciò confermerebbe quanto riporta il Vangelo di Matteo il quale narra sia dei
Magi che vennero a Gerusalemme per cercare “il re dei Giudei che è nato”, avendo visto essi la sua
stella sorgere in Oriente (cf. Mt 2,1-2.7.16), sia che essi trovarono Gesù a Betlemme e non a
Nazaret; d’altra parte, il racconto inerente la visita dei Magi sembra confermare che ciò accadde
quando Gesù aveva circa otto mesi e non due. Il re Erode chiese infatti ai Magi, appena giunti a
Gerusalemme, notizie esatte circa la data della nascita del Bambino e nel momento in cui si
adoperò per ucciderlo (cosa che avvenne poco tempo dopo) diede ordine che fossero sterminati
tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio “dai due anni in giù” (cf. Mt 2,16). Tale indicazione
temporale non va intesa al modo di oggi, ossia non si trattava di bambini che avevano già
compiuto i due anni, bensì, tenendo conto che Matteo era abituato a contare al modo dei romani,
di bambini che avevano concluso il primo anno di vita; dunque l’espressione va compresa come
“dall’inizio del secondo anno in giù”, o meglio, “da un anno compiuto in giù”. Quindi, se si
considera che dal momento del sorgere della stella in oriente i Magi hanno dovuto organizzare e
intraprendere un viaggio di circa 2500 chilometri e che per questo sarebbero serviti almeno sei o
sette mesi; considerando inoltre che Erode avrà certamente indicato ai soldati di uccidere i
bambini entro un età nella quale era certamente compresa quella di Gesù; ne consegue che,
all’arrivo dei Magi, Gesù si trovava ancora a Betlemme e che egli poteva avere dagli otto mesi ad
un anno, ma certamente, visto l’operato di Erode, non di più, altrimenti quest’ultimo avrebbe
disposto di uccidere i bambini “dall’inizio del terzo anno in giù”, o meglio, “da due anni compiuti in
giù”, sempre secondo il modo di contare romano.
Così la Santa Famiglia stette a Betlemme per circa un anno, poi fuggì in Egitto e da lì dopo due anni
si recò a Nàzaret in seguito alla morte di Erode (cf. Mt 2,19), che si calcola avvenuta circa tre anni
dopo la nascita di Gesù.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


L’evangelista Matteo conclude il racconto dell’annuncio a Giuseppe con queste parole: «Quando si
destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua
sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,24-
25), e poi continua «Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi
vennero da oriente a Gerusalemme» (Mt 2,1). Con queste poche battute Matteo sintetizza i
precedenti eventi che in Luca trovano invece una più dettagliata descrizione (cf. Lc 2,1-38), inoltre,
dal suo racconto emerge che egli colloca la permanenza della Santa Famiglia a Betlemme non in
una stalla, ma in una casa (cf. Mt 2,11). Ciò fa pensare che subito dopo la nascita di Gesù,
Giuseppe abbia provveduto a trovare un luogo più adatto ad accogliere i primi mesi dello sviluppo
del Bambino.
Il fatto che non si faccia alcun accenno al censimento evidenzia come per Matteo siano importanti
non tanto i fatti contingenti ma lo spessore profetico che prepara la determinazione del luogo
della nascita: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta”.
L’episodio dei Magi, riportato con minuzia di dettagli, evidenzia poi come la salvezza portata da
Gesù, che è il Cristo, sia diretta a tutti gli uomini. In questo contesto regale (Mt 2,2), profetico (Mt
2,5) e messianico (Mt 2,6) emerge la figura di Maria che l’evangelista presenta come la Madre del
Re-Messia, secondo una logica del tutto intenzionale in Matteo:

Egli sta parlando degli inizi della salvezza e perciò parla solo di Dio, della Donna e del Figlio della
Donna. L’allusione alle tre grandi profezie messianiche: Gn 3,15; Is 7,14 e Mic 5,12 già citate è
evidente. È Maria la donna che presenta al mondo il frutto del suo grembo.

Mariologia Pagina 34
È lei che presenta ai Magi il suo Bambino perché lo “adorino”. Questa adorazione, che esprime il
massimo rispetto possibile evidenziato dalla prostrazione, ha carattere regale. Siamo di fronte ad
una rilettura pasquale, che confessa Gesù come Messia e Salvatore universale e colloca accanto a
lui sua madre con accenti, che riflettono la […] sua straordinaria vicinanza al Figlio. Il fondamento
pre-pasquale di questo dato non può essere che la prossimità di Maria alla missione di Colui che,
Figlio suo, sarà confessato Signore e Cristo, Figlio di Dio: nel “dove” della nascita si riflette la
messianicità del Figlio e l’eccezionale dignità della Madre.
Altrettanto importante è la descrizione dei tre doni offerti dai Magi che custodiscono profondi
significati; l’oro, simbolo di regalità; l’incenso, simbolo di divinità; la mirra, simbolo d’eternità, ma
anche di guarigione.

15. MARIA: La rilettura matteana delle profezie anticotestamentarie


In cammino con Lei per essere discepoli di Gesù, figli del Padre e tempio dello Spirito Santo

INTRODUZIONE
Da quanto abbiamo avuto modo di notare dai racconti dell’infanzia, i fatti concernenti la nascita di
Gesù e gli eventi immediatamente successivi sono connessi con numerosi testi biblici antico
testamentari in quanto ne sono il compimento sotto una particolare luce che è sia cristologica che
mariologica; in questo, gli evangelisti Luca e Matteo hanno dato prova di saper rileggere le
Scritture secondo un criterio ermeneutico mosso da un intento squisitamente teologico, che
potrebbe essere racchiuso nelle espressioni similari: “il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11),
“il bambino e sua madre” (Mt 2,13.14.20.21), “sua madre Maria” (Mt 1,18) oppure “Maria sua
madre” (Lc 2,34) e infine “sua madre” (Lc 2,48.51). Al di là delle varianti riportate, è indubbio che
per Matteo e Luca, il binomio “Gesù-Maria” costituisce il fulcro interpretativo “cristologico e
mariologico” delle profezie. Su questo vale la pena soffermarsi ancora, prendendo in esame in
particolare Matteo 1-2 che, da tale punto di vista, è certamente esemplare per la sua modalità
“esplicita” e alquanto “originale” di citare le Scritture, avendo ben chiaro l’evento storico
straordinario a cui esse si riferiscono.
CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO
Matteo articola il suoi racconti dell’infanzia evocando esplicitamente diversi testi profetici che
introduce con espressioni che ne evidenziano il loro compimento in Cristo. In particolare in Mt
1,22-23, 2,4-6 e 2,14-15 emerge il richiamo testuale a Isaia 7,14, Michea 5,1-3 e Osea 11,1; in Mt
2,17-18 vi è poi un richiamo non solo testuale ma anche nominale a Geremia 31,15; e infine,
nell’utilizzo in Mt 2,22-23 del termine Nazareno, emerge l’indicazione di un insieme di profeti (non
immediatamente identificabili dal punto di vista della loro evocazione testuale), a cui sarebbero
attribuiti significati chiaramente polivalenti, che attestano l’intento di Matteo di voler condensare
in una parola “chiave” gran parte delle espressioni profetiche inerenti il Messia e il popolo
messianico (nazir - consacrato; nēser - virgulto; nasur - resto) rinvenibili qua e là nel complesso
unitario dei testi della Scrittura ebraica (cf. Gdc 13, 5.7; Is 4,2, 11,1 e Ger 23,5; Is 42,6, 49,6).
Insieme a queste citazioni esplicite, i racconti di Matteo rimandano implicitamente anche ad
ulteriori passi profetici, soprattutto di Isaia, in cui è possibile evidenziare che quanto è accaduto,
per esempio durante la visita dei Magi, fa emergere, ancora una volta, che in Cristo la parola dei
profeti trova il suo pieno compimento: I re saranno i tuoi tutori, le loro principesse le tue nutrici.
Con la faccia a terra essi si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi. Allora tu
saprai che io sono il Signore e che non saranno delusi quanto sperano in me […]. Cammineranno le
genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro
si sono radunati, vengono a te […]. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madia e di Efa,

Mariologia Pagina 35
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore (Is 49,23 e 60,
3.6).

Tutte le citazioni, esplicite o implicite, sono accomunate non solo dal loro rimando al compimento,
ma anche da una ricchezza di sfumature teologiche ben recepibili dai cristiani del I secolo, che ben
conoscevano le Scritture e sapevano comprenderne i molteplici significati in riferimento alla storia
della salvezza (cosa questa tutt’altro che immediata per noi oggi che, a distanza di duemila anni,
rileggiamo in testi biblici inconsapevoli del contesto culturale ebraico in cui essi trovano la loro più
adeguata spiegazione) .Le citazioni sono inoltre offerte dall’evangelista secondo una successione
ben precisa che va dall’attestazione del concepimento e della maternità verginale della Madre
dell’ “Emmanuele - Dio con noi” (Is 7,14), alla ripresa degli elementi specifici di una messianicità
del Figlio che coinvolge, nel suo esplicarsi, l’intera città eletta, che si presenta, anch’essa, come
una partoriente (Mic 5,1-3), che dopo la sofferenza dell’esilio, ripercorso anche dal Cristo (Os 11,1)
potrà aprirsi, suo malgrado, alla consolazione (Ger 31,15) che le verrà dal suo “Nazareno” .
Emerge una geniale rilettura della Scrittura per fedeltà ai testi e per ricchezza ermeneutica.
Nell’insieme si vede come Matteo abbia ben unificato le vicende dei Regni del nord e del sud che,
morto Salomone, si erano divisi nel 931 a.C.

Così, nel «bambino e sua madre» ha compimento Rachele che come madre riottiene i suoi figli. La
morte non è l’ultima parola degli aguzzini del popolo, ma la vita promessa da Dio è tutta in
quell’unico Bambino «singolare» in tutti i sensi, che torna definitivamente dalla terra della fine,
l’Egitto, insieme con il popolo-madre che l’ha generato, simboleggiato – come è d’obbligo – da una
figura femminile. Quel «bambino con sua madre», che già aveva interpretato compiutamente gli
oracoli impliciti del Deutero-Isaia su Gerusalemme-madre di una moltitudine di figli, viene adesso
ad inglobare anche la tradizione teologica della liberazione e dell’alleanza con il popolo. Maria
«sua madre» diventa così il luogo di confluenza di «tutti» i dati che riguardano teologicamente la
«comunità credente»: prima Sion-Gerusalemme, poi Rachele-Israele/Gerusalemme. In lei si
uniscono «per sempre» le due linee teologiche del sud e del nord, ricomponendo quella
fratellanza tra Giuda e Israele, spezzata ai tempi della lontananza colpevole e pervicace dal Signore
(cf. Zc 11,14) […]. Tutte le linee teologiche giungono così a perfetto compimento nel «bambino e
sua madre», delineando una «cristologia» ricca e variegata ed una «ecclesiologia» ad essa
strettamente connessa, che apre ad una più adeguata valutazione, anche in Matteo, dello spessore
teologico della maternità di «Maria» e della sua «tipicità» per la ἐκκλησία, la «comunità dei
credenti». Queste posizioni di S. Manfredi combaciano con quanto da parte sua B. Forte sostiene
in rapporto ai capitoli 1-2 di Matteo, in cui lo Spirito Santo opera le meraviglie dell’incarnazione
del Figlio e del nuovo inizio del mondo, [e la] madre del Messia-re [emerge come] figura
dell’Israele dell’attesa, che trova nel Nazareno il suo compimento e il sorprendente nuovo
profilarsi della promessa. Il nucleo storico che in tutto questo traspare, è quello della vicenda
straordinaria di una donna povera di Galilea, che vive l’esperienza del tutto inaudita della
maternità verginale per opera dello Spirito Santo. Quali caratteri questa esperienza abbia avuto
per Maria, Matteo non lo dice, anche perché al centro del suo interesse sembra esserci piuttosto
l’aspetto davidico della nascita di Gesù e perciò il legame legale con la figura di Giuseppe,
protagonista principale dei suoi racconti.

16. La Santa Famiglia


I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe
dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre
riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne

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accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero
a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a
Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li
ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e
le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto
questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate?
Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che
aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre
custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e
agli uomini (Lc 2,41-52).

INTRODUZIONE
I Vangeli di Luca e di Matteo sono gli unici ad offrirci delle informazioni circa i primi anni della vita
di Gesù. Da quanto narrano, pur da punti di vista diversi, emerge comunque una visione concorde
circa la realtà della Famiglia a cui Lui appartiene e in cui Lui vive per circa trent’anni, una Famiglia
che si contraddistingue per la sua particolare adesione a Dio e per la sua testimonianza di armonia
e di unità, una Famiglia che ci riporta alla concretezza del mistero dell’Incarnazione e della storia
della salvezza. Ciò è di somma importanza, in quanto, come tutti sappiamo, il messaggio cristiano
non è un’ideologia ma un fatto, o meglio una persona: Gesù Cristo, “nato da donna, nato sotto la
Legge” (Gal 4,4) […]. Allora anche la famiglia in cui è cresciuto non può che essere un fatto, anche
se a volte sembra che il desco familiare di Nazareth abbia perso completamente la sua identità e la
sua rilevanza storica. Eppure, la maggior parte della vita di Gesù si sviluppa in una famiglia fondata
sull’amore concreto e reale di un uomo e di una donna, “Giuseppe e Maria” […]. Per afferrare
qualche aspetto della loro esperienza, se non si vuole lavorare troppo di fantasia, non c’è altra
possibilità se non quella di considerare Maria e Giuseppe dentro la storia della salvezza. Ma per
fare questo è necessario, prima di tutto, “riunire” in matrimonio questa coppia di sposi che per
secoli è vissuta “separata” nella teologia, nella spiritualità e nella liturgia.

A partire da questa scelta, a partire da questa visione nuova su Gesù, su Maria e su Giuseppe, che
li coglie “insieme”, emerge la bellezza di una Famiglia che vive secondo la volontà di Dio, che
santifica le feste, che educa alla fede; insomma una Famiglia che si costruisce nell’atto costante di
porre il Signore Uno e Trino al primo posto, seguendo le tradizioni religiose del tempo, ma anche
aprendosi alla novità di quella Rivelazione che in Cristo Gesù raggiunge la sua pienezza. Così, in
questa luce, la stessa mariologia acquista una dimensione nuova, perviene maggiormente
all’esperienza della vita umana di Maria, certamente più ricca e più aderente alla realtà, anche
perché, in questa vita familiare, Maria ha vissuto per ben trent’anni, prima che i Vangeli inizino a
descrivere la sua figura in rapporto ai tre anni del ministero pubblico di Gesù.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Presentandoci l’esperienza di Cristo che dal momento della nascita entra palesemente nel tessuto
esistenziale e relazionale di una Famiglia umana, gli evangelisti Matteo e Luca tracciano un quadro
realistico delle alterne vicende alle quali va soggetta la vita familiare. Come tutte le famiglie anche
quella di Nazaret passa attraverso momenti di gioia e dolore. Al tempo della nascita di Gesù e dei
suoi primi mesi di vita, segnati dal gaudio dei santi Sposi e degli angeli, ma anche dei pastori, di
Simeone, di Anna e dei Magi, segue il tempo della persecuzione e dell’esilio forzato in Egitto e con
esso la condizione di povertà in cui la Santa Famiglia riversa, associata all’esperienza della
separazione e della lontananza fisica dai propri cari e dal proprio popolo. Più in là negli anni sarà la
separazione fisica dei suoi membri a segnare il vissuto familiare, come pure l’esperienza della
morte: prima quella di Giuseppe, che scompare silenziosamente e poi quella drammatica di Gesù

Mariologia Pagina 37
sul Calvario, assistito dalla presenza materna di Maria. Nella Santa Famiglia, come in ogni famiglia,
l’ilarità e la pesantezza del cuore si alternano, e ciò dalla nascita di Gesù all’infanzia, da questa
all’età adulta; in essa maturano avvenimenti sia lieti che tristi per ciascuno dei suoi membri. Circa
il rapporto che i santi Sposi instaurano con Gesù, si può ritenere che ancor prima dell’evento della
Croce, il momento in cui la strada del Figlio inizia a “precisarsi” e “differenziarsi” in riferimento a
Maria e Giuseppe è quello della permanenza al Tempio tra i dottori della legge all’età di dodici
anni. Si tratta certamente di uno dei momenti più importanti e decisivi della storia della Santa
Famiglia. Riportando l’episodio l’evangelista Luca apre l’orizzonte ad una dimensione ulteriore
della vita di Nazaret, mettendo a fuoco il momento in cui Gesù, giunto alla maturità legale,
ribadisce apertamente a Maria e Giuseppe l’essenza della sua identità divina e fa presagire ciò che
sarà la sua missione futura. Va detto che qui ci troviamo di fronte alle uniche parole di Gesù che i
Vangeli ci riferiscano dei trent’anni di vita nascosta che precedettero i tre anni di vita pubblica,
come anche ci troviamo di fronte all’unica descrizione circa il modo di vivere di Gesù e i tratti della
sua crescita in seno alla Santa Famiglia. In questo episodio emerge inoltre, più che mai, come
Maria sia ben lontana dall’apparire come una figura separata o isolata dalle concrete relazioni
caratterizzanti il vissuto religioso, familiare e sociale del suo tempo. Piuttosto, Maria emerge dal
racconto (come del resto anche da tutti gli altri racconti evangelici in cui viene menzionata) come
donna di Israele, Madre e sposa, che condivide con il Figlio e con Giuseppe le sorti di un cammino
immerso in un Mistero che lei e il suo sposo accolgono totalmente con la fede, ma che anche si
palesa agl’occhi del loro intelletto in maniera progressiva e per niente scontata. In maniera
particolare, uniti nella missione di Madre e padre, essi stanno, ognuno secondo la condizione
propria della sua vocazione, accanto al Figlio Gesù, in profonda relazione con Lui; però, in nessun
caso si tratta di una relazione che possa essere ridotta al piano della intimità familiare (che non
interessa agli scrittori sacri, poiché tutto il mistero ci è stato rivelato non per soddisfare la nostra
curiosità storica, ma “per noi uomini e per la nostra salvezza”).
Proprio per questo anche la prospettiva del racconto del ritrovamento di Gesù al Tempio non è
biografia, bensì “narrazione storico – teologica”: Lo scopo di Luca 1-2 è di confessare che quel
Gesù, nato per opera dello Spirito dalla Vergine Maria, è in realtà il Figlio di Dio. Da questo punto
di vista il nostro brano viene a porre il suggello definitivo e più autorevole ai vari annunci
precedenti circa la vera identità del Bambino. La prima rivelazione cristologica avviene per bocca
dell’angelo (Lc 1,32-33.35), cui fa eco la parola ispirata di Elisabetta (cf. 1,43); segue la
proclamazione gioiosa dall’alto – ancora per opera di un angelo – al momento della nascita del
Salvatore (cf. 2,11) ribadita più tardi in coro dalle voci dei pastori (cf. 2,17-18.20); nel tempio di
Gerusalemme risuona la voce profetica di Simeone che saluta il Bambino come sōtērion, salvezza
di Dio, luce delle genti e gloria di Israele (vv. 30-31) e ne proclama il futuro destino (vv. 34-35); alle
parole del vegliardo si aggiunge la testimonianza di Anna, la profetessa che loda Dio e parla del
Bambino a quanti attendevano la redenzione di Gerusalemme (v. 38). Tutte queste voci,
indubbiamente autorevoli e ispirate, sono una preparazione alla rivelazione diretta che Gesù
adolescente […] proclama nel tempio di Gerusalemme, rivendicando di fronte ai suoi genitori
terreni la sua appartenenza al Padre celeste e la necessità prioritaria di stare presso di lui.

17. Il ritrovamento di Gesù al Tempio


I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe
dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre
riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne
accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero
a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a
Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li

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ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e
le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto
questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate?
Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che
aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre
custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e
agli uomini (Lc 2,41-52).

INTRODUZIONE
Se l’evangelista Luca ha scelto di riportare l’evento della rivelazione di Gesù dodicenne al Tempio
di Gerusalemme, ciò significa, come abbiamo già sottolineato, che in ciò egli rinveniva un dato
fondamentale al fine di evidenziare la sua identità di Messia, Figlio del Padre e Salvatore.
Il racconto è presentato in modo da richiamare l’infanzia di Samuele, i cui genitori, Elkanà ed Anna,
si recavano tutti gli anni al tempio di Silo; in uno di questi vi andarono con il fanciullo Samuele, che
poi vi rimase a servire il Signore alla presenza del sacerdote Eli (cf. 1Sam 1,19-28 e 2,11).
Già la figura della madre di Samuele era stata richiamata in una qualche relazione con quella di
Maria nel contesto della visita ad Elisabetta, in cui il canto del Magnificat pronunciato da Maria
ricalcava in gran parte l’inno di gratitudine che pronunciò Anna in occasione della nascita del figlio
(cf. 1Sam 2,1-10). Qui però il richiamo acquista una finalità non solo retrospettiva ma anche
prospettica, in quanto nel momento stesso in cui il rimando a Samuele collega la vicenda di Gesù a
tutta la precedente storia di Israele parimenti anticipa il grande viaggio di Gesù e dei discepoli al
Tempio di Gerusalemme (Lc 9,51-19,28), avvenuto proprio in occasione della Pasqua.
Evidentemente tutto ciò riveste un significato altissimo, che va ben al di là della narrazione
dell’evento della rivelazione di Gesù dodicenne, sebbene questa abbia già una portata messianica
e teologica notevole.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


La narrazione di Luca inizia con una descrizione che ambienta l’episodio nel contesto della vita
della Santa Famiglia che si presenta ben inserita nella prassi religiosa del popolo ebraico (vv. 41-
42), per poi proseguire ponendo l’attenzione su Gesù e sulla sua iniziativa di ragazzo oramai
responsabile che già partecipa alla vita degli adulti, assumendosi le iniziali responsabilità delle sue
scelte, manifestando una maturità religiosa, intellettiva e dialettica assai sviluppata nonostante la
giovane età, lasciando stupiti i dottori del Tempio per la pertinenza delle sue domande e delle sue
risposte mostrando di essere straordinariamente istruito nelle Sacre Scritture.
Il medesimo stupore attraversa anche Maria e Giuseppe che alla risposta di Gesù (“Perché mi
cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”) Si vedono ricondotti
a quella comune seppur diversificata vocazione di “madre e padre” (cf. Lc 3,48) a cui essi avevano
già aderito sin dalle annunciazioni angeliche rispettivamente vissute (cf. Lc 1,26-38 e Mt 1,18-25),
adesione che aveva trovato rafforzamento nei loro cuori in seguito alla visita di Maria ad Elisabetta
e agl’incontri avuti con i pastori (Lc 2,16-20), con Simeone (Lc 2,25-35), Anna (Lc 2,36-38), i magi
(Mt 2,9-11), ma anche in seguito alle ulteriori comunicazioni angeliche (Mt 2,13-15 e 19-23) di cui
Giuseppe fu diretto destinatario. Certamente Maria e Giuseppe non potevano aver dimenticato il
contenuto e il significato di questi eventi, anche se i dodici anni vissuti per la maggior parte a
Nazareth, nella armonia di una Presenza al cospetto della quale i loro cuori si erano abbandonati
totalmente nella letizia, aveva forse distolto in parte la loro attenzione da quel futuro di sofferenza
e di salvezza preannunciato loro nei riguardi del Figlio e della loro missione accanto a lui; forse fu
questo il motivo per cui “essi non compresero ciò che aveva detto loro”.
L’episodio del ritrovamento di Gesù al Tempio costituisce allora una svolta decisiva per la vita della
Santa Famiglia in quanto segna la ripresa estrema, da parte di ciascuno dei suoi membri, di quel

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contatto esplicito, palesemente riconosciuto e accolto, con il mistero della redenzione, nonché con
l’adesione personale di ciascuno ad esso (che già era stata all’origine del costituirsi della stessa
Santa Famiglia), mistero che ognuno aveva accettato e che ora, più che mai, veniva ripreso nella
sua estrema concretezza.
Da questo momento in poi certamente Giuseppe avrà avuto modo di immergersi ancora più
intensamente nello specifico della sua paternità e avrà continuato a far crescere quel “Fanciullo
Divino” che gli era stato affidato. Giuseppe, d’altra parte, era ben disposto a non ostacolare
l’orientamento del Figlio al Padre e sempre più cosciente di dover essere, da parte sua, un umile
riverbero dell’unica paternità divina (cf. Ef 3,14).
Che egli abbia agito in tal modo è attestato anche dal passo evangelico in cui si dice che Gesù,
dopo la vicenda del ritrovamento al Tempio, “scese con loro a Nàzaret e stava loro sottomesso,
crescendo in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”, crescita che evidentemente non
poteva escludere l’influenza diretta di Giuseppe in quanto padre e in quanto pedagogo privilegiato
in seno alla Santa Famiglia (così come era stabilito dalle consuetudini culturali ebraiche). È
evidente che ciò che riguarda l’esercizio della funzione paterna di Giuseppe non può che essersi
esplicato in perfetta armonia con la sua sposa e con la sua funzione materna, che l’evangelista
mette in evidenza secondo un tratto caratteristico: quello dell’accoglienza estrema nei confronti
della Parola Incarnata. In questo senso Maria appare nella veste di “uditrice e custode della
Parola”, dimensione che l’evangelista Luca non esita ad accentuare sia con delle considerazioni
sue personali inerenti il modo con cui Maria recepisce i fatti dell’infanzia di Gesù, come pure
riportando quanto lo stesso Gesù avrà a dire di sua Madre, in maniera allusiva, molti anni più tardi
(cfr. Lc 2,19 e 2,51, nonché Lc 8,21).

18. Tratti peculiari della personalità di Maria


Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto,
riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose
dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto,
com’era stato detto loro (Lc 2,16-20).
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte
queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc
2,51-52).
E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli
fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose loro:
«Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in
pratica» (Lc 8,19-21).
INTRODUZIONE
Maria è il modello di quell’accoglienza della Parola che è Gesù, che viene data non come una
pianta già formata, ma come un seme che necessita di un terreno buono per potersi sviluppare ed
espandere, per poter donare un Amore e una Grazia che sia anche ricevuta.
Non vi è dubbio che il «Padre, nello Spirito Santo, donò alla Vergine la sua Parola come seme
incarnato, che crebbe in lei, che la requisì tutta per sé e di fronte alla quale ella poté, anzi dovette,
sentirsi Madre». Questo “Seme Incarnato” (che in fondo non è altro che la Parola fatta Carne in via
di sviluppo), si deposita in Maria non come l’adulto Gesù Cristo, bensì come il Dio-Uomo appena
concepito, il Dio-Uomo allo stato di embrione, che cresce lentamente, divenendo il Dio-Uomo
nascituro e poi il Dio-Uomo bambino, che ancora progredisce in sapienza in età e in grazia davanti
al Padre e davanti agli uomini (cf. Lc 2,52), sino a raggiungere la piena maturità della sua natura
umana (cf. Ef 4,13), entro la quale si rivela la sua Persona Divina e si effonde per tutta l’umanità, la
totalità del suo Amore.

Mariologia Pagina 40
Man mano che nel grembo di Maria, e poi nella vita di Nazareth, il Verbo incarnato si sviluppa,
cresce in Lei anche la comprensione del Mistero che la inabita. Dono di Dio che cresce e
comprensione di amore che si intensifica, vanno di pari passo. In fondo anche Maria, da
giovanissima Madre-Vergine dell’Annunciazione, si ritroverà, passando attraverso la sequela di
Cristo, ai piedi della Croce, nella sua piena maturità di donna, ancora Vergine, ma compartecipe
della Passione e della Missione del Figlio, abilitata da Lui ad una Maternità universale che non ha
più confini. È cresciuto il suo Figlio-Parola, il Verbo nella sua umanità, ma è cresciuta anche la sua
maternità. La legge della crescita spirituale, proporzionale all’accoglienza della Parola, è uno dei
temi più belli di tutta la Rivelazione biblica, tema che trova, in rifermento a Maria, la sua maggiore
luminosità.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO


Se i Vangeli sono parchi in quantità nel parlarci di Maria tuttavia non lo sono in qualità e tanto
meno lo sono quando si tratta di parlarci della sua accoglienza della Parola. Tre brani del Vangelo
di Luca sono particolarmente significativi. Uno di essi ci riporta le parole stesse di Gesù a riguardo
di sua Madre. Gli altri due ci riportano le considerazioni di Luca circa le disposizioni interiori di
Maria in rapporto all’accoglienza della Parola. Il parallelo tra la versione greca, e le traduzioni
latina e italiana dei passi indicati, può aiutare a cogliere meglio lo spessore di tale ascolto:
Μαριὰμ πάντα συνετήρει τὰ ῥήματα ταῦτα συμβάλλουσα ἐν τῇ καρδιᾳ αὐτῆϛ - María autem
conservábat ómnia verba haec cónferens in corde suo - Maria da parte sua custodiva tutti questi
eventi meditandoli nel suo cuore (Lc 2,19).
Καὶ ἡ Μήτηρ αὐτοῦ διετήρει πάντα τὰ ῥήματα ἐν τῇ καρδιᾳ αὐτῆϛ - Et Mater eius conservábat
ómnia verba haec in corde suo - E sua Madre custodiva tutte questi eventi nel suo cuore (Lc 2,51).
Οἱ τὸν λόγον τοῦ Θεοῦ ἀκούοντες καὶ ποιοῦντες - Qui verbum Dei áudiunt et fáciunt – [Mia Madre
e i miei fratelli sono questi]: coloro che la parola di Dio la ascoltano e la applicano (Lc 8,21).

La sequenza dei tre brani mette in evidenza come Maria accoglie una Parola che non è un semplice
suono udibile dall’orecchio e coinvolgente i sensi e l’intelletto, bensì è insieme ῥῆμα (rhễma) e
λόγοϛ (lógos). In questi due termini la lingua greca trasporta il significato della Dābār dell’Antico
Testamento: Parola divina per eccellenza, parola tangibile ed efficace.
Rhễma è la Parola della promessa, che contiene in sé il suo compimento. Si tratta dell’annuncio
natalizio per eccellenza (cf. Lc 1,38 e 2,17), ossia Parola/accadimento che viene da Dio e alla quale
si presta l’obbedienza della fede, ma anche Parola della cui realizzazione si è testimoni (cf. Lc 2,
15.17.19). Proprio per questo la rhễma è un evento che si realizza davanti a dei testimoni oculari,
nel senso più intenso è lo stesso evento di Cristo, il suo darsi concreto nel tempo e nella storia.
Lógos è invece la Parola come discorso. È il contenuto delle parole dette da Gesù, la predicazione
stessa di Gesù; quella predicazione che spiega i fatti, li rende comprensibili, divenendo il
compimento di tutta la Parola antico-testamentaria. Il lógos è una Parola che non è solo un
insegnamento: è Gesù stesso, Parola che è «spirito e vita» (Gv 6,63), Parola nella quale
confluiscono, come in un compendio, la potenza del Paraclito e il pensiero del Dio vivente. È quella
Parola attraverso la quale Gesù, “dicendo”, “dice Se stesso”, e in Se stesso “dice tutta la Trinità”.
Dai dati evangelici emerge che se l’espressione della Parola come rhễma è presente e tangibile sin
dai primi istanti dell’Incarnazione, il suo darsi come lógos emerge dall’episodio del ritrovamento
nel Tempio in poi.
Maria, da parte sua, ascoltando, custodendo, meditando nel suo cuore la Parola (rhễma e lógos) si
incontra con l’unità inscindibile delle parole e delle azioni di Gesù; in un modo o nell’altro si
incontra con Lui stesso e vive ancora di Lui, per Lui.
Maria accoglie e comprende, ma attraverso un processo dinamico ininterrotto scandito da dei
passaggi che esprimono la vera e propria dinamica interiore della vita spirituale. Senza posa Lei

Mariologia Pagina 41
ascolta, custodisce, medita, applica. Tra gli estremi dell’ascolto e dell’applicazione emerge il
binomio custodire-meditare sul quale si condensa la dinamica propriamente cristiana della
ricezione della Parola, di cui Maria e vera maestra, poiché: da parte sua συνετήρει – conservàbat
(custodiva, comprendeva, capiva, coglieva, intendeva) πάντα – ómnia (tutto - completamente)
queste ρήματα – verba (parole, cose, fatti, avvenimenti) συμβάλλουσα – conferens (riflettendole,
meditandole, connettendole, coordinandole, incontrandole, custodendone il ricordo) nel suo
καρδία – corde (cuore, interiorità; mente, pensiero; volontà, desiderio, intenzione; coscienza,
profondità, sede delle espressioni vitali sia fisiche che spirituali). Maria διετήρει – conservàbat
(distingueva, separava) tutte queste cose nel suo cuore.
In tutto ciò vi è la dedizione d’amore della sua esistenza, che non si compie come un formale atto
esteriore, ma come un coinvolgimento di tutto l’essere. Lei ascolta, custodisce, medita e applica
prima nel cuore e poi nella vita. Il mettere in pratica di Maria è un atto globale che la coinvolge
tutta, nell’intimo e nelle azioni, ed è proprio questo il suo modo di vivere il continuo avvento del
Signore nella storia dell’umanità e nella sua vita.

19. Maria nella vita pubblica al servizio della redenzione


Volle il Padre delle misericordie che l’accettazione di colei che era predestinata a essere la madre
precedesse l’incarnazione, perché così, come la donna aveva contribuito a dare la morte, la donna
contribuisse a dare la vita […]. Così Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, è
diventata madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza essere ritardata da alcun
peccato, la volontà divina di salvezza, si è offerta totalmente come la serva del Signore alla
persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione sotto di lui e
con lui, con la grazia di Dio onnipotente. Giustamente quindi i santi Padri ritengono che Maria non
fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con
libera fede e obbedienza. Infatti, come dice S. Ireneo, ella “obbedendo divenne causa della salvezza
per sé e per tutto il genere umano”. Onde non pochi antichi Padri nella loro predicazione volentieri
affermano che “il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di
Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la vergine Maria l’ha sciolto con
la sua fede”, e fatto il paragone con Eva, chiamano Maria “la madre dei viventi”, e affermano
spesso: “la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria”.

INTRODUZIONE
Sinora abbiamo avuto modo di considerare la presenza di Maria nella storia della salvezza a partire
dall’evento dell’Incarnazione del Verbo e in riferimento alle vicende della vita della Santa Famiglia
che vanno dal concepimento alla giovinezza di Gesù, rilevando in tal modo anche l’imprescindibile
presenza di Giuseppe.
Nel contesto di tutte queste vicende, il Concilio Vaticano II dà particolare risalto all’annunciazione,
per poi soffermarsi, a partire da questa, anche sulla visita a Elisabetta, sulla nascita di Gesù, sulla
presentazione al Tempio e infine sul ritrovamento di Gesù tra i dottori del Tempio. Evidentemente
l’intenzione del Concilio è quella di sottolineare maggiormente, nella successione di questi eventi
(esclusivamente riferiti al testo lucano), la figura di Maria, attraverso la quale l’evangelista Luca
rilegge l’infanzia di Gesù (diversamente da quanto fa l’evangelista Matteo che rilegge i fatti
ponendo in risalto maggiormente la figura di Giuseppe e il compiersi delle profezie antico-
testamentarie a cui fa esplicito riferimento).
In ogni caso, non vi è dubbio che il riferimento al contenuto unitario dei racconti dell’infanzia
offertoci non solo da Luca, ma anche da Matteo, esprime molto meglio come sin dagli inizi della
vita terrena di Cristo, si palesi anticipatamente l’emergere di una nuova creazione in cui già si
attesta l’imminente redenzione dell’uomo ad opera della Stirpe di colei che implicitamente

Mariologia Pagina 42
emerge come la nuova Eva, chiamata appunto a cooperare con il suo Figlio all’opera della salvezza,
in quanto a lui profondamente unita.
Questa unità di Maria con Gesù emerge ulteriormente, e con sempre più intensità, nella vita
pubblica di Gesù e nella vita della Chiesa, segnata in maniera indelebile non solo dall’esperienza
della Pasqua, ma anche da quella della Pentecoste, nella quale la Vita si dona a noi ancora per
mezzo di Maria.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO.


Dai dati evangelici, come abbiamo già avuto modo di evidenziare brevemente all’inizio delle nostre
riflessioni, emerge infatti che Maria è stata presente anche negli altri due momenti cruciali del
mistero della Redenzione: la Pasqua, in cui appare ai piedi della croce (cf. Gv 19,25); e la
Pentecoste che avviene in un contesto ben preciso della prassi orante della prima comunità
cristiana che usava raccogliersi assiduamente e concordemente nella preghiera con Maria, la
Madre di Gesù (cf. At 1,14).
Queste tre presenze di Maria nei momenti-chiave della nostra salvezza non possono essere un
caso. Esse le assicurano un posto unico accanto a Gesù, nell’opera della redenzione. Maria è stata
la sola tra tutte le creature a essere testimone e partecipe di tutti e tre questi avvenimenti.
A ciò va aggiunto il fatto, non meno rilevante, che i Vangeli riportano anche ulteriori “presenze” di
Maria durante la vita pubblica di Gesù: anzitutto a Cana di Galilea durante una festa di nozze dove
Gesù dà inizio ai segni che accompagnano la sua predicazione (cf. Gv 2,1-12); poi a Cafarnao
insieme a parenti e discepoli che seguono Gesù dopo la festa di Cana (cf. Gv 2,12); e infine in
occasione della predicazione di Gesù in Galilea, dove Maria lo va a trovare insieme a dei parenti
(cf. Mc 3,31-35; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21).
Riguardo a Giuseppe, non vi sono riferimenti che attestino la sua presenza nella vita pubblica di
Gesù e Maria, i quali, non sono più associati a lui; ciò fa intendere che egli avesse già varcato le
soglie della vita terrena. Si riscontrano però, ancora nel periodo dei tre anni del ministero di Gesù,
alcune dichiarazioni pubbliche che parlano di Giuseppe e Maria considerandoli come suo padre e
sua madre, questo nel momento in cui si ha l’esigenza di indicare, in qualche modo, la sua identità
umana o la sua identità sociale.
A riguardo l’evangelista Matteo riporta, delle considerazioni dei nazaretani in occasione di una
visita di Gesù alla loro città; essi, pieni di stupore per il fatto che non si capacitavano di come da lui
potesse venire tanta sapienza, così si esprimono: «Da dove gli vengono questa sapienza e questi
prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre non si chiama Maria?» (Mt 13,54-55; cf.
Mc 6,2-3: Lc 4,22). È evidente che Maria era ben conosciuta dai cittadini di Nazaret come la Madre
di Gesù, e Giuseppe come suo padre. A Cafarnao invece, analogamente, mentre Gesù predicava,
alcuni dissero di lui: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre
e la madre? Come può dunque dire: “Sono disceso dal Cielo?”» (Gv 6,42). Così emerge che Maria
era conosciuta, pure a Cafarnao, come la Madre di Gesù e parimenti, anche Giuseppe, come suo
padre.
Vi sono inoltre, sempre nei Vangeli, riferimenti espliciti fatti da alcune persone (tra cui un
apostolo) al solo Giuseppe, oppure alla sola Maria.
Notiamo infatti che Filippo quando incontra Natanaele dà di Gesù questa testimonianza:
«Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosé, nella Legge, e i Profeti. Gesù, il figlio di
Giuseppe, di Nazaret» (Gv 1,45). In un’altra occasione, mentre Gesù predicava nei pressi di
Betania, «una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il
seno da cui hai preso il latte!”» (Lc 11,27), esprimendo una lode esplicita alla Madre di Gesù. Si
tratta di un testo di grande importanza, poiché sicuramente costituisce, insieme alle espressioni di
Elisabetta a Maria durante la visitazione, la lode più bella rivolta a Maria riportata nei Vangeli, lode
che implicitamente rimanda al concepimento, alla nascita e all’infanzia di Gesù.

Mariologia Pagina 43
Come si può vedere dall’insieme dei testi citati, non mancano nei Vangeli riferimenti
esplicitamente mariani, sui quali è possibile approfondire la funzione che Maria ha avuto nella vita
pubblica di Gesù, prima ancora di considerarne il suo ruolo nel contesto della Pasqua e della
Pentecoste.
Pure in questo momento delle nostre riflessioni, non possiamo non notare che se i Vangeli sono
parchi in quantità nel parlarci di Maria, e ciò anche nel contesto della vita pubblica di Gesù,
tuttavia non lo sono in qualità e tanto meno lo sono quando si tratta di parlarci del suo ruolo
nell’economia della Rivelazione pubblica. Tale ruolo viene messo straordinariamente in risalto
anzitutto dall’evangelista Giovanni mediate il racconto delle Nozze di Cana (Gv 2,1-12), il quale ha
un significato cristologico e mariologico.

20. Maria a Cana di Galilea


Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle
nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non
hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua
madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la
purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro:
«Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e
portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua
diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo
sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in
tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai
tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da
Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto scese a
Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni (Gv 2,1-
12).

Immergendo più attentamente la nostra attenzione sulla presenza di Maria nel ministero pubblico
di Gesù, non possiamo non richiamare quanto succintamente afferma il Concilio Vaticano II,
quando dice che «Nella vita pubblica di Gesù la madre sua appare distintamente fin da principio,
quando alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione, indusse con la sua intercessione Gesù
Messia a dar inizio ai miracoli». A prima vista questo episodio di Cana, narrato dall’evangelista
Giovanni, sembra molto semplice. Tuttavia, quando lo si legge più attentamente, si constata che
esso è intessuto di dettagli enigmatici che aprono orizzonti semantici inerenti la comprensione di
Gesù come lo Sposo delle nozze messianiche, che si auto-manifesta come tale ai suoi discepoli.
Abbiamo più volte avuto modo di ribadire come il mistero di Maria si comprende soltanto nel suo
stretto legame con il mistero di Cristo e, a partire da Lui, con il mistero di tutta la SS. Trinità; ciò è
evidente in maniera particolarmente rilevante nel contesto delle enigmatiche nozze di Cana.
Un primo dato enigmatico emerge dal fatto che trattandosi di una festa di nozze risulta assai
insolito che i personaggi principali non siano gli sposi; si parla infatti dello sposo solo in occasione
della sua valutazione circa il “buon vino” dato da Gesù, mentre della sposa non si fa cenno. Lo
stesso si può dire per quanto riguarda eventuali riferimenti agli invitati dei quali si menziona solo
Gesù, sua madre e alcuni discepoli; ciò fa emergere come gli unici veri protagonisti del racconto
siano Maria e Gesù. Questo dimostra che l’interesse di Giovanni si orienta in una direzione del
tutto diversa da quella delle circostanze formali ed esteriori di questa particolare festa di nozze.
Un altro dettaglio è che Gesù si rivolge a sua madre chiamandola “Donna”, cosa molto strana dal
momento che non si trova nessun esempio nel mondo semitico e greco-latino in cui un figlio o una

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figlia chiami così sua madre. Gesù dunque manifesta nelle nozze di Cana (Gv 2,4), e più tardi sulla
croce (cf. Gv 19,26), un linguaggio che veicola un significato misterioso.
Un altro aspetto enigmatico riguarda la risposta sconcertante che Gesù dà a sua madre: “Donna
che vuoi da me?”, come se volesse dire: “Non mi importunare!”. In ciò egli sembra palesare
l’intenzione di voler rifiutare il contenuto di quanto gli è stato espresso da Maria con le parole:
“Non hanno vino”; tuttavia sorprende come mai egli poi cambi l’acqua in vino con un’abbondanza
tale che lascia senza parole: seicento litri di vino eccellente e ciò dopo che gli invitati avevano già
abbondantemente bevuto!
Fa pensare, infine, il dettaglio inerente il modo di fare di Gesù con i servi, il quale non si fa per
niente scrupoli ad impartire ordini scavalcando completamente il padrone di casa, ordini che essi
minuziosamente eseguono obbedienti alle sue parole e alle parole di Maria.
A questa carrellata di dettagli enigmatici si può aggiungere inoltre l’emergere di un orizzonte
ulteriori che I. De La Potterie così riassume:

Oltre ai paradossi e ai problemi posti dalla composizione del racconto, bisogna ugualmente notare
nel testo un’abbondanza eccezionale di termini teologici che hanno una risonanza tipicamente
giovannea. Troviamo qui una serie di parole e di espressioni che evocano i grandi temi del quarto
vangelo: ora, fino ad ora, sposo, vino, inizio, segno, gloria, rivelare, credere, discepoli, ecc. Due di
essi sono di una notevole importanza per l’interpretazione della pericope di Cana: il tema delle
«nozze» e quello del «vino»; nella tradizione biblica entrambi hanno un valore eccezionale sul
piano simbolico e teologico […]. Così dobbiamo prestare molta attenzione a tutte le particolarità, a
tutti i «paradossi» apparenti nel racconto che, a prima vista, è così semplice e ovvio. Tali
indicazioni sono per noi dei segni: qui succede qualcosa che va al di là delle apparenze, qualcosa di
misterioso. Per questo parliamo del «mistero delle nozze».

Tutto ciò non può che condurci a rintracciare il più accuratamente possibile i tratti essenziali del
significato mariologico del racconto, che situa Maria in una posizione particolarmente rilevante
rispetto a Gesù.

21. L’ora di Cana e l’ora del Golgota


Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle
nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non
hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua
madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la
purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro:
«Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e
portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua
diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo
sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in
tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai
tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da
Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto scese a
Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni (Gv 2,1-
12).

INTRODUZIONE
Nel collocare l’episodio delle nozze di Cana di Galilea nel contesto della vita di Gesù, gli esegeti
offrono due posizioni differenti: vi è chi ritiene che il racconto non vada considerato appartenente
alla sua vita pubblica, ma piuttosto costituente il culmine dell’introduzione ad essa a cui tutto il

Mariologia Pagina 45
capitolo primo del quarto Vangelo è dedicato e a cui l’evento di Cana si collega; vi è però chi
ritiene, al contrario, che esso vada considerato come il primo episodio della vita pubblica che,
nell’intenzione di Giovanni, inizierebbe dal secondo capitolo in poi del suo Vangelo. A sostegno
della prima tesi si apportano gli evidenti elementi di continuità stilistica e letteraria che collegano il
racconto al primo capitolo; a sostegno della seconda tesi si apporta invece l’espressione stessa di
Giovanni che sottolinea come il miracolo di Cana di Galilea “fu l’inizio dei segni”, e dunque l’inizio
di quanto Gesù opererà in tutta la sua vita pubblica. La seconda posizione, assunta dallo stesso
Concilio, è certamente la più diffusa, sebbene non sia sostenibile senza tener conto anche della
prima; ponderare il necessario legame tra le due posizioni è di grande importanza.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO.


Non vi è dubbio sul fatto che l’episodio di Cana, con tutto il suo denso significato cristologico,
introduce, nel contesto del quarto Vangelo, alla conoscenza della Madre di Gesù, collocandola in
una posizione privilegiata che poi si ripresenterà nell’evento della Croce. Tale conoscenza è
presentata con riferimenti molto sobri se li si paragona a quanto abbiamo avuto modo di
evidenziare nei Vangeli di Matteo e Luca, tuttavia il contenuto che essi apportano alla mariologia e
di straordinaria intensità. Come rileva A. Valentini, l’evangelista Giovanni parla di Maria solo
all’inizio (a Cana, appunto), al termine del Vangelo (presso la croce) e indirettamente in Apocalisse
12. Ma, almeno per quanto concerne il Vangelo, è il caso di dire che la quantità è inversamente
proporzionale alla qualità: nei due episodi – di Cana e della Croce – si tocca il vertice della teologia
[…] sulla madre del Signore. Ella non è più soltanto la credente e la madre di Gesù ma – proprio in
quanto credente e madre – è posta all’inizio e al termine del Vangelo, al servizio della fede e della
vita dei discepoli. In tal modo ella è coinvolta direttamente in maniera unica con la persona e
l’opera del Figlio suo e con la fede dei discepoli.

Il banchetto di Cana e l’esito finale della passione sul Golgota, appaiono correlati sin dalle prime
battute con cui Giovanni introduce il racconto: “il terzo giorno”. In entrambe i casi si manifesta la
gloria di Cristo e in entrambe i casi Maria e presente per coadiuvarne la manifestazione.
Altrettanto si può dire dell’espressione: “ora”, che assume un tipico significato nel contesto della
rivelazione cristologica in quanto indica il tempo di Gesù ancora in riferimento alla manifestazione
della sua gloria e della gloria del Padre (cf. Gv 13,31 e 17,1). È proprio di quest’ora che Gesù, in un
contesto nuziale, parla a Maria, quasi ad evocare tra lui e lei la presenza di un accordo implicito
che si espliciterà in un futuro non molto lontano: “Non è ancora giunta la mia ora”. A partire da
questo primo “segno” a Cana, Gesù esplicita il contenuto di quest’ora; l’ora della sua Pasqua come
vertice della sua missione salvifica, come momento decisivo della sua obbedienza al Padre (cf. 13,1
e 17,1) a cui si assocerà, ancora una volta, l’obbedienza di sua Madre (cf. 19,25-27). Operando
questo “segno”, che Maria indusse con la sua intercessione, Gesù si manifesta come il Messia,
Salvatore e Sposo. Pertanto, venendo incontro agli sposi di Cana, in realtà Gesù rivela che è lui
stesso lo Sposo che comincia la sua opera inaugurando il banchetto di nozze che è immagine del
Regno di Dio, di cui Maria in primo luogo, e con lei i discepoli e i servi, sono i novelli testimoni e
destinatari, così che essi stessi emergono, insieme, come la “vera Sposa”, che tuttavia è capeggiata
da Maria. L’importanza della Madre di Gesù risalta molto bene a livello narrativo non solo per il
fatto che è nominata sia all’inizio che alla fine del racconto (con le espressioni: “la Madre di Gesù”
e “sua Madre”), ma anche diverse volte nel suo interno (con le espressioni: “la madre di Gesù”,
“donna” e “sua Madre”), dove emerge il suo intervento cruciale: “Non hanno vino”.
Con questa espressione Maria offre una metafora che richiama il banchetto messianico, ma anche
la Parola di Dio che al terzo giorno venne data sul monte Sinai come prima alleanza (cfr. Es 19,10-
11.16) e che ora viene invocata come dono nell’imminente compiersi della nuova alleanza.

Mariologia Pagina 46
Dopo la risposta misteriosamente rivelatrice di Gesù: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora
giunta la mia ora”, le iniziali parole di Maria si traducono con un invito esplicito, diretto ai servi:
“Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Si tratta di un’indicazione che Maria non avrebbe mai potuto
avanzare se non a partire da una sicura comprensione del mistero che le parole del Figlio
contenevano. A partire da esse Maria si pronuncia con una formula che riprende l’antica
professione di fedeltà all’alleanza (cfr. Es 24,7). Quelle parole legate ad una fondamentale
esperienza passata introducono ad un evento nuovo che a Cana sta per compiersi, a un «segno»
che rivela la gloria del Figlio di Dio.
Qui Maria assume un importante compito di mediazione tra Gesù e i servi, chiamati ad ascoltare la
sua Parola e a metterla in pratica; un ruolo simile a quello di Mosè ai piedi del Sinai ove egli si
trovava tra il Signore e l’assemblea dei suoi fratelli (cfr. Dt 5,5), servi del Signore. L’intervento della
Madre di Gesù, pertanto, ha lo scopo di preparare i servi delle nozze ad ascoltare la voce di Gesù, a
seguire tutto quello che egli dirà loro. Le parole della madre […] precedono e preparano l’entrata
in scena di Gesù, accentuandone la preminenza e la sovranità. Con tale intervento, in vista della
trasformazione dell’acqua in vino – dunque del passaggio dalla Legge al Vangelo - ella inaugura la
sua missione di «donna» accanto al Figlio, al servizio della sua gloria e della fede dei discepoli.

22. Cana di Galilea e il Mistero Pasquale


Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria
di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla
madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il
discepolo l’accolse con sé (Gv 19,25-27).

Così anche la Vergine Maria avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua
unione col figlio sino alla croce dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25),
soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al suo sacrificio,
amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo
stesso Gesù morente in croce, fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco il
tuo figlio (cfr. Gv 19,26-27) .

INTRODUZIONE
L’episodio delle nozze di Cana rappresenta l’inizio dei segni, ma non nel senso di primo di una serie
di segni successivi (come se nel Vangelo di Giovanni si succedessero poi il secondo, il terzo, il
quarto segno, e così via), bensì nel senso che con questo episodio Gesù e Maria pongono in atto
un “segno essenziale” che funge da chiave di lettura di tutto il messaggio della storia della
salvezza, segno che Giovanni assume come criterio guida per l’organizzazione di tutto il suo
Vangelo, dall’inizio alla fine.
È emblematico il fatto che dopo aver annunciato implicitamente il suo programma a Cana e dopo
aver formato il primo gruppo di discepoli con l’aiuto di Maria, Gesù si reca a Gerusalemme, dove
proclama apertamente, nel contesto della sua visita al Tempio, il contenuto del segno supremo
della sua “passione morte e risurrezione” (cf. Gv 2,13-22), proclamazione a cui seguiranno i
discorsi sulla rinascita dall’acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3,1-21 e 4,1-41) e a cui seguirà infine il
rientro a Cana: «Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino»
(Gv 4,46).
Se l’evangelista richiama Cana dopo i discorsi a Nicodemo e alla Samaritana, nonché il contenuto
essenziale del segno che lì si era realizzato, ciò è certamente rivelativo di un’intenzione ben
precisa: non far sfuggire al lettore il legame tra l’episodio di Cana, il Mistero pasquale e la
conseguente rinascita che ne deriva per coloro che nella fede ne accolgono i frutti, accettando di
rinascere da un nuovo grembo che è quello della Chiesa/sposa che in Cristo e nello Spirito celebra

Mariologia Pagina 47
il battesimo, come dono supremo dell’amore del Padre che costituisce i credenti nella nuova
dignità di figli.
Tutto il programma di Gesù è allora riferibile a questa intenzione di costituire la sua Chiesa/sposa
dal cui grembo nasceranno i figli di Dio. In tal senso è probabile che il nome “Cana”, che richiama il
verbo ebraico qanâh (che significa acquistare, creare), alluda al “nuovo popolo” costituito da Dio
quale partner della sua nuova alleanza. Maria, la Madre di Gesù, rappresenta allora a Cana l’intero
popolo di Israele che celebra le nozze, come sposa prescelta dal Signore, offrendo a Lui,
Messia/Sposo, tutta la sua dedizione.
In ciò si può comprendere il motivo per cui lo stesso Origene, nel suo commento al Vangelo di
Giovanni colleghi il nome Cana a Pr 8,22 laddove si dice: «Il Signore mi ha acquistato - creato come
inizio della sua attività».
Ciò per mettere in evidenza come a Cana di Galilea il Cristo, donando il vino buono del suo
Vangelo, acquisti o anche crei la sua sposa, ossia la Chiesa , che ha in Maria il suo prototipo
esemplare, in quanto è lei che, come abbiamo visto, prepara i credenti ad ascoltare la voce di Gesù
e a mettere in pratica tutto quello che lui dice; prepara dunque i credenti all’accoglienza reale del
contenuto supremo del Vangelo che consiste nel celebrare le nozze con il Signore il cui pieno
compimento è la Pasqua, a cui Cana rimanda più di qualunque altro passo evangelico.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO.


L’episodio di Cana introduce alla conoscenza della Madre di Gesù, (prototipo della Chiesa/sposa)
collocandola preliminarmente in una posizione privilegiata, che poi emergerà con totale evidenza
nell’evento della Croce, in cui la comunione sponsale con il Figlio sarà suprema, dando luogo,
proprio nel momento in cui si compie l’ora della glorificazione di Lui, ad una maternità
propriamente spirituale e propriamente universale. Tale collocazione non è però immediata;
infatti, a Cana l’inizio della frase di Gesù: “Donna, che vuoi da me?” (Che può essere tradotto
anche con “Che c’è fra me e te o donna?”) evidenzia una modalità di relazione tra lui e Maria
diversa da quella instauratasi nella vita di Nazaret. Lì Gesù era sottomesso e obbediente a Maria e
a Giuseppe (cf. Lc 2,51), ora tra lui e sua Madre, che comunque rimane tale, emerge una forma di
momentaneo distacco in cui lei è come invitata a trascendere l’esercizio della sua maternità verso
un altro tipo di legame già preannunciato da Gesù dodicenne al Tempio (cf. Lc 2,49). Una conferma
di ciò emerge anche dal contesto della vita pubblica di Gesù prima della Pasqua (cf. Lc 8,19-21), in
cui la presenza di Maria è da lui ricondotta tra i veri discepoli, sebbene Maria permanga tra questi
come il modello esemplare, così come attesta lo stesso Concilio Vaticano II Durante la
predicazione di lui raccolse le parole con le quali egli, mettendo il Regno al di sopra delle
considerazioni e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e
custodiscono la parola di Dio (Mc 3,35; Lc 11,27) come ella stessa fedelmente faceva (Lc 2, 19.51).

Il richiamo a tale distacco è pero momentaneo e acquista il suo più profondo significato in vista del
costituirsi di quella nuova unità d’amore evidenziata dal proseguo della frase di Gesù a Cana e
dalla sua accondiscendenza alla richiesta di Maria: «La madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”.
E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai
servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” […]. E Gesù disse loro…». Tutto quanto seguirà nel
contesto dell’episodio di Cana attesterà pertanto che l’ora del sacrificio della Croce doveva essere
l’ora di un solenne appuntamento, caratterizzato da un’ultima prova. Maria allora sarebbe
chiamata a condividere nel suo cuore la passione del figlio. Ma allo stesso tempo ella
comunicherebbe al desiderio che aveva spinto Gesù a fare la volontà del Padre sino alla suprema
immolazione (Gv 4,34; 14,31; 15,31). Da madre separata ella divenne madre pienamente
associata: madre non più solamente in virtù della concezione verginale, ma in ragione della sua
partecipazione, tutta spirituale e contemporaneamente tutta materna, alla vittoria del suo figlio.

Mariologia Pagina 48
Il percorso fatto sinora ci conduce allora ad evidenziare, ancora più intensamente, il già
sottolineato legame tra Cana e il Golgota. All’interno di questi due episodi si staglia tutta la vita e la
missione pubblica di Gesù:

Le nozze sono l’arché e il prototipo dei segni: la prima manifestazione della gloria e l’inizio della
fede dei discepoli; la croce il punto di arrivo e il segno per eccellenza, mediante il quale la gloria di
Gesù si manifesta con suprema evidenza e la fede dei discepoli – simboleggiata dal discepolo
amato – attinge la sua pienezza.

Si tratta ora di approfondire il mistero della presenza di Maria ai piedi della Croce, dove l’unione
con Cristo avviene nel rispetto della sua missione e dove la grazia dell’associazione di Maria alla
Redenzione deriva non dal fatto che lei sia la Madre del Cristo (cosa comunque sublime), bensì dal
fatto che ha saputo portare sino alle estreme conseguenze la sua fedeltà alla Parola, facendosi
anche in questo momento presenza che intercede per la salvezza.

23. La Madre di Gesù e il discepolo amato


Lo crocifissero [...]. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce […]: «Gesù il
Nazareno, il re dei Giudei»; […] era scritta in ebraico, in latino e in greco […].
I soldati poi […] presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica.
Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra
loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura […]: Si sono
divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte […].
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria
di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla
madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il
discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse:
«Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a
una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E,
chinato il capo, consegnò lo spirito […].
Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà
testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.
Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E […]:
Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,18-37).

INTRODUZIONE
L’episodio che riporta il momento in cui il Cristo crocifisso rivolge alla Madre e al discepolo amato
le sue estreme parole, è inserito all’interno di una sequenza di eventi di cui esso costituisce
l’evento centrale.
Sul Golgota, così come a Cana, le parole pregnanti, caratterizzanti l’ora del Signore, che intrecciano
insieme cristologia e mariologia giovannea, fungono da cerniera tra ciò che le precede e ciò che le
segue.
Gli esegeti e commentatori, sulla scia dell’analisi testuale proposta da R. E. Brown, propendono
per suddividere l’intera pericope che va dal v. 16 al v. 41 del capitolo 19 del quarto Vangelo, in
cinque parti tutte aventi un simbolismo teologico particolarmente spiccato, preceduto da
un’introduzione (vv. 16-18a) e da una conclusione (vv. 38-42). Ne emerge questa sequenza:
1) titolo sulla croce: «Gesù il Nazareno, il re dei giudei» (vv. 19-22);

Mariologia Pagina 49
2) i soldati lacerano le vesti ma non la tunica inconsutile (vv. 23-24);
3) la madre di Gesù e il discepolo amato sotto la croce (vv. 25-27);
4) compimento dell’opera affidata da Gesù dal Padre (vv. 28-30);
5) trafittura del costato ed emissione di sangue e acqua (vv. 31-37).
Non manca tuttavia chi accentua, come corpo unitario del racconto, quanto va dal v. 23 al v. 30,
distinguendo solo tre sequenze simbolicamente connesse di cui, quella riguardante la Madre di
Gesù e il discepolo amato, permane comunque come scena centrale, e ciò non solo per la
collocazione ai vv. 25-27 ma anche per il suo significato specifico. Vi è inoltre chi continua a
interpretare i versetti 25-27 come entità isolata, sebbene ciò non riesca a far emergere
adeguatamente la ricca portata simbolica e teologica dell’evento.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO.


Assumendo la posizione di R. E. Brown possiamo notare come all’innalzamento di Gesù sulla croce
corrisponde anzitutto l’attestazione della sua regalità, proclamata ufficialmente in tre lingue,
ebraica, greca e latina, in modo tale che tutti ne vengano a conoscenza. Tale regalità si evidenzia
sulla croce secondo criteri ben diversi da quelli umani (cf. Gv 18,36) e si afferma proprio nell’ora
cruciale della glorificazione del Cristo, che corrisponde con il dono totale della sua vita al Padre e
con la consegna al mondo dello Spirito Santo. Si tratta di una regalità divina, se si accetta che la
scritta ebraica nell’inscrizione posta sulla croce coincide con quanto riportato da Giovanni, ossia:
“Gesù il Nazareno il Re dei Giudei”, in ebraico ‫ ישוע הנצרי ומלך היהודים‬- Yeshua (Gesù) Hanozri
(Nazareno) W[u]Melech (Re) Hajehudim (Giudei). In tal caso le iniziali delle quattro parole
offrirebbero agli occhi dei lettori l’impronunciabile tetragramma biblico ‫( הוהי‬YHWH) con il quale
veniva indicato il Nome stesso dell’Altissimo di cui si proclamava l’unità e l’unicità. Ciò
motiverebbe ancor più le proteste degli ebrei, ma anche darebbe valore a quanto viene narrato
subito dopo circa la tunica indivisa.
In modo unanime la Tradizione dei Padri e la maggior parte degli esegeti affermano infatti che la
tunica di Cristo riflette l’immagine della Chiesa, fondata come “comunità” dall’amore di Cristo
espresso sul Golgota. Essa è dunque simbolo dell’unità della Chiesa nascente, ma anche del futuro
raduno escatologico dei salvati nell’unità della Trinità, una e indivisibile, unità di cui Maria e
Giovanni, ai piedi della Croce, sono espressione.
La madre di Gesù e il discepolo amato sono allora la realizzazione di quanto la tunica
simbolicamente attesta e in questa realizzazione vi è tutto il compimento dell’opera affidata da
Gesù dal Padre, che riguarda il costituirsi della sponsalità tra il Cristo e la Chiesa, così com’era stato
prefigurato a Cana, ma anche il realizzarsi dell’accoglienza del dono dello Spirito Santo che fluisce
dal costato di Cristo e si riversa sulla Chiesa nascente.
Mediante lo Spirito la Chiesa potrà celebrare nell’avvenire, in forma sacramentale, il perpetuarsi
dei frutti del mistero pasquale; in questo senso il colpo di lancia rappresenta la sintesi finale
dell’intero percorso che trova nella madre di Gesù e nel discepolo amato il suo centro, in quanto
rimanda alla nascita della Chiesa dal Cristo e dallo Spirito Santo, nonché ai doni sacramentali del
battesimo (acqua) e dell’eucaristia (sangue). Ciò emerge da tre piani di lettura progressivi:
l’analogia tra la nascita di Eva dal fianco di Adamo e della Chiesa dal costato trafitto di Cristo; il
legame tra il simbolismo dell’agnello pasquale il cui sangue aveva salvato Israele, e il Cristo
morente sulla croce che si offre come Agnello senza macchia; l’evocazione del battesimo e
dell’eucaristia di cui la Chiesa è ricevitrice, custode e dispensatrice nella potenza dello Spirito
Santo spirato dal Cristo.
Ne consegue che la scena della croce, ai cui piedi permangono la madre di Gesù e il discepolo
amato, è il segno di una triplice nuzialità che si estende dal passato al futuro implicando il
presente; infatti, in senso retrospettivo, l’evento recupera la nuzialità uomo-donna, in senso
implicativo, evoca la nuzialità Cristo-Chiesa nel suo attuale costituirsi, in senso prospettico, evoca

Mariologia Pagina 50
la futura nuzialità escatologica tra l’Agnello e la Sposa celeste così come appare nel libro
dell’Apocalisse (Ap 19,7-9), dove la riflessione mariologica giovannea evolve verso i cieli nuovi e la
terra nuova.
In questo polivalente quadro semantico si gioca il rapporto tra Maria e Giovanni, dove
quest’ultimo accoglie (ἔλαβεν- élaben) la nuova Madre con sé. Il testo greco riporta l’espressione
εἰς τὰ ἴδια - eis tà ídia (v. 27), che esprime un atteggiamento di fede con il quale il discepolo
accoglie Maria come Madre nella sua vita interiore, di fede, spirituale; l’accoglie come
appartenente a sé, come dono proprio del suo essere discepolo che non può prescindere da una
comunione di vita con Maria. La Madre di Gesù donata dal Cristo morente a Giovanni e da questi
accolta con sé, emerge ora nella veste nuova di una maternità esercitata verso tutti i discepoli del
Figlio suo.
Alla luce di tutto ciò va interpretato il senso del compimento di tutto, evidente nella relazione che
il Cristo istituisce tra la il discepolo e la Madre che è figura della Chiesa-Sposa, nella sua
dimensione terrena ed escatologica.

24. La “Donna” dell’Apocalisse: “Israele - Maria –Chiesa”


Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul
capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora
apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste
sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il
drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino […]. Essa
partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu
rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva
preparato un rifugio […]. Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano
contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto
per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che
seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli […]. Quando il
drago si vide precipitato sulla terra, si mise a perseguitare la donna che aveva partorito il figlio
maschio. Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, perché volasse nel deserto
verso il proprio rifugio […]. Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro
alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. Ma la terra venne in soccorso alla donna: aprì la
sua bocca e inghiottì il fiume […]. Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a fare
guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio
e sono in possesso della testimonianza di Gesù (Ap 12,1-9.13-17).

INTRODUZIONE
Nei racconti giovannei riferiti agli eventi del Golgota, preparati da quelli di Cana di Galilea, è
emerso come “Maria e la Chiesa” siano considerate come un’unica, seppur distinta, realtà. Come
afferma H. Rahner: La Donna sotto la Croce è la grande donna della promessa che vince Satana.
Sulla Croce si compie ciò che era stato annunciato sulle soglie del paradiso perduto: il seme della
donna schiaccerà la testa al serpente […]. Sotto la Croce vittoriosa del Dio morente sta la vincitrice
di tutte le battaglie di Dio, la santa Ecclesia, il compimento della madre Maria.

In questa visione non v’è opposizione tra l’amore che i fedeli offrono da un lato a Maria e dall’altro
alla Chiesa. La Madre (Maria-Chiesa) entra nella dimensione più profonda della vita di fede come
dato irrinunciabile. Se volessimo sondare il senso del rapporto che il Cristo, per volontà del Padre e
nello Spirito Santo, istituisce tra la Madre e il discepolo amato (avendo ben chiaro quanto espresso
a partire dalle profezie e tipologie veterotestamentarie, sino a giungere all’evento del Golgota, ma

Mariologia Pagina 51
anche a riguardo della forza simbolica che Madre e discepolo hanno), dovremmo considerare una
sintesi di almeno quattro binomi: 1) la relazione tra Israele, destinatario primo di tutte le promesse
di Dio, di cui Maria è figura, e la Chiesa di coloro che accolgono nella fede il dono della Nuova
Alleanza, tenendo conto che sin dalle origini essa riconosce in Israele l’antica Madre assunta nella
sua esperienza originaria; 2) da qui la relazione tra Maria e la Chiesa laddove la Madre di Gesù
entra a far parte della vita dei credenti quale Madre universale e spirituale di tutti; 3) questa
universale maternità raggiunge tutti e ognuno personalmente, da ciò l’importanza della relazione
tra Maria e il singolo credente; 4) infine, poiché Maria e figura non solo di Israele ma anche della
Chiesa/Sposa, emerge la relazione tra la Chiesa e ogni singolo credente .

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO.


Il Golgota è la fase più intensa del cammino di discepolato di Maria. Qui, durante la manifestazione
suprema dell’amore della Trinità, visibile nel Figlio Crocifisso a cui Maria si associa, sorge la Chiesa-
comunità messianica, recettiva del dono dello Spirito che, partecipe della glorificazione del Figlio,
costituisce il τετέλεσται - tetélestai - compimento del disegno del Padre: compimento di tutte le
attese; compimento della rivelazione di tutta la Trinità, in cui ogni Persona condivide l’unico
Nome: ‫ הוהי‬- YHWH - Io sono (cf. Gv 8,24.29); compimento dell’amore di Dio-Sposo verso la Chiesa-
Sposa; compimento del darsi di una Nuova Alleanza tra Dio e l’umanità, di cui l’Eucaristia è
perenne attestazione; compimento che rappresenta dunque lo stato definitivo della totalità
dell’amore di Dio che si interseca con la totalità della ricezione dell’uomo credente, del discepolo
amato, che accoglie la tipicità di Maria come paradigma della perfetta risposta all’Amore,
aprendosi così ad una pienezza che è già e non ancora, anticipazione storica della parusia
escatologica. Da qui si può capire perché lo sguardo rivolto verso la parusia orienti le ultime
riflessioni giovannee dell’Apocalisse, che presentano un σῃμεῖον μέγα – sēmeĩon méga - segno
grandioso: una Donna partoriente, nella quale si rievoca tutta la storia salvifica. In primis, i fatti del
Pentateuco: Anzitutto è richiamato il testo di Gn 3,15, che annuncia l’inimicizia perenne tra la
“donna” e il serpente, fra il seme di questi e il seme di lei, seme che schiaccerà il capo del serpente
esplicitamente identificato in Apocalisse 12,9 come «il serpente antico, colui che chiamiamo il
diavolo e satana e che seduce tutta la terra». Parimenti è evocato il contesto dell’esodo, col tema
del deserto (v. 6) e con il motivo delle ali di aquila date alla donna per volare verso di esso (cfr. v.
14 e Es 19,4: «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di
aquile e vi ho fatto venire fino a me»), oltre che con l’immagine della terra asciutta che assorbe il
fiume delle acque (cf. Vv. 15-16 e Ez 14,9 e 15,2: il Faraone è chiamato «il grande dragone» in Ez
29,3).

A ciò si affianca il richiamo di tutto il contenuto principale dei Profeti.

L’immagine del dragone e la guerra dell’angelo Michele richiamano Dn 7,7 e 10,3; la figura della
donna evoca la nuova Gerusalemme, madre del popolo messianico (cf. Is 66,7), e in generale
Israele (cf. Os 1-3; Is 26,17s e Ger 31, 4.15). Lo sfondo veterotestamentario converge nel dare alla
scena un denso valore messianico-escatologico e consente di riconoscere nella donna con l’Israele
dell’attesa il nuovo Israele del compimento, col popolo dell’antica alleanza quello dell’alleanza
nuova e definitiva.

Il testo sfocia infine negli eventi salvifici ultimi: la Donna, madre del Messia-re, partorisce nel
dolore, avversata dalla bestia, sebbene il suo Figlio acceda ad una immediata esaltazione. Ciò fa
pensare al mistero pasquale e anche al passaggio dei discepoli dalla tristezza alla gioia
nell’esperienza della morte-resurrezione di Cristo; in sintesi in Ap 12 la Chiesa, nuovo Israele,
conosce il tempo delle doglie ed è oggetto della persecuzione del drago; ma come il suo Signore è

Mariologia Pagina 52
stato vincitore della morte e dell’avversario antico con la sua Pasqua, così la comunità messianica
non soccomberà alla prova e sarà salvata dalla potenza di lui, che è presso il trono di Dio. Il trionfo
pasquale del Figlio e della donna è anticipo e promessa certa del trionfo escatologico della Chiesa
della nuova alleanza anche se essa vive al presente de doglie e il travaglio del parto, attraversando
il suo deserto, tempo di prova e di grazia analogo a quello dell’antico Israele.

Non v’è dubbio che nel contesto di tutta la rivelazione biblica, assunta nella sua totalità quale
norma normans di tutta la riflessione ecclesiale, il triplice livello entro il quale si staglia la figura
della Donna (Israele-Maria-Chiesa) trova nel segno grandioso dell’Apocalisse una direzione
mariologica sorprendente. Esso possiede una forza evocativa che esplicita, conferma e rafforza
quello che la comunità dei credenti, dentro una visione unitaria della rivelazione, ha già acquisito
dai precedenti testi biblici interpretati alla luce della Pasqua di Cristo. Se dunque la comunità
cristiana a partire dalla ricognizione dei precedenti contenuti rivelati, già conosce la funzione di
maternità messianica di Maria, la lettura del simbolo apocalittico aiuta a rievocarla e a gustarla. In
tale rievocazione la continuità di significati legati al termine Donna rafforzano l’attribuzione a
Maria dei fatti narrati e soprattutto degli elementi che costituiscono il sēmeĩon méga: “una Donna
vestita di sole”, ossia della fonte della luce; “con la luna sotto i suoi piedi” e dunque padrona
sull’avvicendarsi degli eventi del tempo ricondotti sotto la signoria del Cristo, di cui lei è Madre;
avente “sul capo, una corona di dodici stelle” simbolo delle dodici tribù di Israele e dei dodici
Apostoli di cui lei è regina; “Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto” ossia il
travaglio della nascita del suoi nuovi figli dal Crocifisso, a cui lei si associa .

25. Maria, donna orante nel cuore della Chiesa


Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto
il cammino permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore,
dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso,
Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti
questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre
di Gesù, e ai fratelli di lui (At 1,12-14).
Essendo piaciuto a Dio di non manifestare apertamente il mistero della salvezza umana prima di
effondere lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli apostolo prima del giorno di Pentecoste
«perseveranti d’un solo cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli»
(At 1,14); e vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che
all’Annunciazione l’aveva presa sotto la sua ombra.

INTRODUZIONE
Nel percorso sinora compiuto abbiamo conosciuto Maria così come la Parola di Dio ce la presenta,
tenendo conto che i vari studi esegetici e mariologici a cui ci siamo rivolti non costituiscono certo
l’ultima parola su Maria, in quanto nella Chiesa, la comprensione della Parola di Dio è un processo
continuo che cerca di svelare sempre più la ricchezza del contenuto dei Libri Sacri considerandoli
come un insieme unitario. Proprio per questo, abbiamo cercato di dischiudere la ricchezza di ogni
singolo passo biblico esaminato, armonizzandolo con l’intero complesso dei libri sacri dell’Antico e
del Nuovo Testamento, consapevoli che ogni affermazione biblica su Maria ha ben poco da dire se
la si estrapola dall’unitarietà della storia della salvezza entro cui Maria è inserita in maniera
imminente. Ogni affermazione mariologica che ne è emersa è certo suscettibile di ulteriori
approfondimenti, di vagli critici più accurati, di analisi esegetiche più precise, di orizzonti
ermeneutici più estesi come ad esempio quello offerto da un approccio interconfessionale; in ogni
caso abbiamo cercato di non discostarci mai da un costante riferimento al magistero conciliare e a

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quanto abbiamo ritenuto emergesse maggiormente dalla comparazione di diversi studi
mariologici.
Pur con tutti gli inevitabili limiti di questa ricerca crediamo però di essere giunti perlomeno ad un
approccio biblico adeguato all’argomento, constatando da parte nostra quanto sia vero ciò che
rileva M. Mazzeo considerando in un suo breve, semplice, ma prezioso libretto, l’emergere della
figura di Maria dal complesso unitario della Sacra Scrittura:

Frasi apparentemente scarne e asciutte a prima vista convogliano tradizioni plurime, perché esse
allungano le radici nell’Antico Testamento; passano attraverso l’area del giudaismo
intertestamentario, assumendo non di rado sensi parzialmente nuovi; e sfociano, infine, nel Nuovo
Testamento, secondo angolazioni proprie alla prospettiva teologica di ciascun autore. Si arriva così
per tale via a questa straordinaria constatazione: le pericopi mariane, con le rispettive unità che le
compongono, appaiono come le «tessere» di un mosaico ben più vasto.

Tale vastità del mosaico è emersa dai molteplici rimandi che ogni passo mariologico presupponeva
esplicitamente o implicitamente, rimandi che abbiamo preso in debita considerazione,
accorgendoci, anche noi, come.
Fin dall’AT la figura e la missione di Maria sono avvolte dalla penombra degli oracoli profetici e
delle istituzioni di Israele. Alle soglie del NT Maria sorge all’orizzonte della storia salvifica come
sintesi ideale dell’antico popolo di Dio […] e come Madre del Cristo Messia. E poi, a mano a mano
che Cristo […] avanza nella via dell’alleanza nuova, Maria ne segue la traiettoria come serva e
discepola sua, in un crescendo di fede. Al punto di maturazione, che è il mistero pasquale, Cristo fa
di sua madre «la madre» dei suoi discepoli di ogni tempo. Da quell’ora la Chiesa apprende che
Maria appartiene ai valori costitutivi del proprio Credo.

Sulla base di questo Credo si sviluppa la riflessione mariologica dei Padri della Chiesa i quali si
rapportano alla figura di Maria in un modo assai diverso da come accade dal XVI secolo in poi,
quando la riflessione teologica inizia a proporre i primi trattati su di lei. Per i Padri era
assolutamente fuori luogo considerare Maria specificatamente, potremmo dire in sé e per sé, e
dunque distintamente dalla cristologia e dall’ecclesiologia. Il motivo di ciò si può rinvenire nel fatto
che per loro, quanto emerge da At 1,12-14, circa il rapporto della comunità apostolica con Maria,
costituisce come una norma nel loro modo di teologare sulla Madre di Cristo e della Chiesa.

CONSIDERAZIONI IN RIFERIMENTO ALLA PAROLA DI DIO.


At 1,12-14 ci offre l’ultima citazione che si riferisce in maniera diretta alla vicenda terrena di Maria;
dopo di questa ella non verrà più menzionata se non in maniera allegorica, così come abbiamo
visto nel capitolo 12 dell’Apocalisse o, in maniera indiretta, nella riflessione cristologica paolina,
così come emerge in Gal 4,4-5.
Nel brano degli Atti Maria è descritta secondo un tratto fondamentale del suo orientamento a Dio:
la preghiera, ultimo aspetto ricordato di lei, così che lo potremmo definire come il termine proprio
della sua esistenza, la sintesi definitiva di ciò che lei ha detto e fatto, la migliore icona della sua
vita. La troviamo in preghiera nel contesto della comunità appena nata dalla Pasqua di Cristo, ma
non come protagonista; viene infatti menzionata dopo gli apostoli e insieme ad altri. Ciò significa
che l’ultimo atto della sua vita, desumibile in maniera diretta dai dati biblici, si colloca dentro
l’esperienza stessa della Chiesa, laddove lei continua il suo affidamento al Risorto nella solidarietà
con tutti i suoi fratelli, con tutti coloro che Egli si era acquistato sulla Croce e sui quali, insieme al
Padre, avrebbe effuso lo Spirito Santo.
Il brano si colloca inoltre all’inizio dell’esperienza del distacco dal Gesù terreno, il quale con
l’Ascensione inaugura un rapporto nuovo con i credenti che non è più quello di prima, quando egli

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poteva essere visto, udito, toccato nella sua umanità. D’ora in poi il rapporto con Lui procederà su
un livello sacramentale (inaugurato nell’ultima cena) che necessita non solo del dono dello Spirito
Santo ma anche dell’esercizio di un mandato che renderà operativa la nuova realtà ecclesiale
costituita come corpo di Cristo abitato dallo Spirito. Proprio per questo il Risorto raccomanda agli
Apostoli di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di aspettare «la forza dall’alto» (At 1,8).
La vicenda narrata dagli Atti si trova pertanto inserita tra due poli: la Chiesa che non ha più Gesù
così come lo aveva avuto sino ad allora e che dunque vive il distacco da un certo modo di stare con
Lui; l’attesa dello Spirito come presenza caratterizzante in maniera nuova l’essere e l’agire
ecclesiale. Emerge allora una fase di transizione che appare certamente come un momento
enigmatico della vita della Chiesa; questa, che dura dieci giorni è caratterizzata dall’obbedienza al
comando di Gesù: «aspettate!» e conduce la Chiesa a permanere nell’attesa della sua piena
identità da cui scaturirà la sua missione nel mondo. Si tratta di un’attesa in cui emerge la
perseveranza nella preghiera; il fatto che Maria viene collocata dentro questa “perseveranza” non
è scontata. Infatti gli eventi della Pasqua erano stati una prova impressionante per la tenuta del
gruppo degli Apostoli e dei discepoli. Davanti a fatti incomprensibili, inaspettati e drammatici, nei
quali molti aveva ceduto a tradimenti, rinnegamenti e fughe, stupisce come i credenti abbiano
potuto resistere come gruppo unito intorno agli Apostoli i quali stanno insieme a queste donne
che costituiscono per loro un riferimento imprescindibile: anzitutto perché avevano accompagnato
la vicenda di Gesù fin dall’inizio (cf. Lc 8,1-3), e poi perché sono le prime testimoni tanto della
crocefissione (episodio capitale da cui gli Apostoli furono quasi assenti) quanto della resurrezione.
Si potrebbe forse dire che gli Apostoli sono insieme perché si ritrovano con altre presenze, altre
figure, che furono come dei pilastri per la ricostruzione e la trasmissione della vicenda di Gesù di
Nazareth. Va notato che tra queste donne Maria, la madre di Gesù», è chiaramente distinta da
esse, che restano anonime, ed è distinta appunto per il ruolo di “madre” (non solo di Gesù, ma
anche dei fratelli di Lui).
Si direbbe allora che i Padri si collocano su questa linea e approfondiscono la figura di Maria cosi
come la trovano nel Cenacolo, senza staccarla cioè dall’atto della fede e dell’attesa del contesto
ecclesiale.

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