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UNA MEMORIA CANCELLATA.

IL CULTO ALLA «VIRGO SACERDOS»


E LA QUESTIONE DEL SACERDOZIO FEMMINILE

Appare oggi sempre più chiaro che uno dei nodi centrali della persistente
asimmetria tra i sessi nella Chiesa cattolica riguarda l’incapacità cultuale
delle donne, ovvero la questione posta in origine con la formula dell’«impe-
dimentum sexus».
Pur contraddetta dalla parità escatologica tra i sessi, attestata dal Vangelo
e affermata dalle origini della Chiesa, il divieto alle donne all’esercizio
del ministero sacro ha caratterizzato in modo specifico il cristianesimo
fino a diventare, in età contemporanea, uno dei segni di demarcazione tra
protestantesimo e cattolicesimo. Se è vero che «l’inferiorità delle donne è
assiomatica in tutte le grandi religioni»1, bisogna anche riconoscere che la
rivoluzione epistemologica del femminismo sta producendo importanti esiti
nelle diverse tradizioni religiose, ma che spesso, tuttavia, anche laddove si
producono rapidi mutamenti in termini di mentalità e linguaggi, non neces-
sariamente essi significano il superamento di tali assunti assiomatici, come
dimostra la battaglia teologico-ideologica intorno al tema del sacerdozio
femminile aperta da decenni nel cattolicesimo post-conciliare2.

1
  K. E. Børresen, Cristianesimo e diritti umani delle donne: l’«impedimentum sexus», in
Donne cristiane e sacerdozio. Dalle origini all’età contemporanea, a cura di D. Corsi, Roma
2004, p. 261.
2
  Per un’introduzione al dibattito con particolare attenzione al punto di vista femminile-
femminista si legga: Le sfide del femminismo alla teologia, a cura di M. Hunt e R. Gibellini,
Brescia 1980; Donne e ministero. Un dibattito ecumenico, a cura di C. Militello, Roma 1991;
J. Wijngaards, Né Eva, nemmeno Maria. L’ordinazione sacerdotale delle donne nella Chiesa
cattolica, Molfetta 2002. Per il punto di vista ufficiale della Chiesa cattolica si veda il volume
della Congregazione per la Dottrina della Fede, Dall’«Inter insigniores» all’«Ordinatio sacer-
dotalis». Documenti e commenti, Città del Vaticano 1996.
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Accogliendo le categorie proposte da K. Elisabeth Børresen potremmo


sintetizzare i modelli di rappresentazione del divino elaborati in rapporto
alle identità di genere in queste tre tipologie fondamentali, proprie dell’in-
culturazione del cristianesimo nel mondo occidentale: il monismo androcen-
trico, in cui la divinità è concepita come sostanzialmente andromorfa, per cui
fino al IV secolo «solo gli uomini sono considerati teomorfi nella creazione,
mentre le donne possono diventare maschi nella salvezza»3. È su questa base
antichissima che si fonda implicitamente ancora il diritto canonico quando
nell’incapacità cultuale femminile è giustificata la non ammissione delle
donne al sacerdozio. Quando poi si passa, grazie soprattutto all’influenza
della filosofia greca, ad una visione metasessuale della divinità e la stessa
anima razionale, creata ad immagine di Dio, è definita come asessuata, si
può parlare di dualismo androcentrico: un dualismo, cioè, in cui l’asimmetria
tra i sessi si fa ugualmente strada attraverso le dottrine per cui solo l’essere
umano di sesso maschile possiede pienamente tale tipo di anima. Un terzo
modello, certamente più vicino alla sensibilità moderna e che si è affermato
anche proprio in virtù del femminismo, è quello del monismo olistico, in cui
Dio è definito con caratteri sia maschili che femminili e le donne vengono
quindi concepite come teomorfe, ponendo le basi di un’uguaglianza sostan-
ziale tra uomo e donna anche sul piano religioso. Anticipato da alcune ela-
borazioni femminili tra XII e XV secolo, tale modello è il cuore dell’esegesi
femminista d’età contemporanea4. È un’idea ormai normalmente accettata
in ambito protestante e – dopo il Concilio Vaticano II – anche in ambito cat-
tolico, ma spesso il teomorfismo olistico si è semplicemente sovrapposto alle
concezioni precedenti rimaste a fondamento della dottrina, e quindi non ha
ancora prodotto esiti significativi sul piano normativo e teologico.
In particolare resta ancora validamente alla base del discorso cattolico
sul ruolo dei sessi nella Chiesa la simbologia tipologica che vuole Adamo
creato ad immagine di Dio e prefigurazione di Cristo salvatore, nuovo
Adamo e primizia della nuova umanità; mentre al contrario Eva, origina-
riamente non teomorfa, rimane prefigurazione della Vergine e della Chiesa
intese come strumento di salvezza, ma anche simbolo dell’umanità da Cristo
dipendente, in modo direttamente funzionale all’androcentrismo teologico

3
  Børresen, Cristianesimo e diritti umani delle donne, p. 262. Della stessa autrice sul tema
delle radici giudaico-cristiane dell’incapacità cultuale delle donne si veda anche A immagine
di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Roma 2001.
4
  Per una ricostruzione del metodo ermeneutico femminista, oltre ai saggi citati alla nota
2, si legga il volume ormai ‘classico’ di E. Schussler Fiorenza, In memoria di lei. Una ricostru-
zione femminista delle origini cristiane, Torino 1990.
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di cui si è detto. Nei secoli, cioè, all’interno del cattolicesimo è prevalsa una
lettura tipologica dei sessi per cui la femminilità esemplare è stata espressa
simbolicamente da Maria, quale nuova Eva, e la specificità mariotipica della
presenza femminile nella Chiesa è diventata uno strumento teologico per
l’esclusione delle donne dal sacerdozio5; e ciò pur in presenza di una linea di
riflessione dottrinale sulla figura e sul ruolo di Maria che portava a ricono-
scerle una dignità superiore a qualsiasi altra creatura e a vedere in lei precise
funzioni di mediazione sacerdotale6.

La devozione alla «Virgo Sacerdos» tra ‘800 e ‘900


Anche se a lungo, nel ‘900, si è tentato di oscurarne la memoria, va
riconosciuto che per secoli il tema del sacerdozio di Maria ha interessato
filosofi, teologi, religiosi e semplici credenti. Tra XIX e XX secolo esso è
diventato argomento di ricerca spirituale così sentito e profondo da dare ori-
gine a forme di devozione specifiche e addirittura da caratterizzare un’intera
congregazione religiosa femminile, che si appellava a Maria appunto come
sacerdote7; e lo stesso magistero papale è sembrato non alieno da inflessioni
positive su questo tema.
La devozione alla «Vierge Prêtre» si sviluppò in particolare nella congre-
gazione delle Figlie del Cuore di Gesù, fondata nel 1872 dalla beata8 Maria

5
 Anche la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, emanata il 22 maggio 1994 da
Giovanni Paolo II, sostiene che il fatto che la Vergine non abbia ricevuto il sacerdozio
ministeriale dimostra che l’esclusione delle donne da esso è l’osservanza di un disegno da
attribuire alla sapienza divina: cfr. A. Piola, Donna e sacerdozio. Indagine storico-teologica
degli aspetti antropologici dell’ordinazione delle donne, Torino 2006, p. 15.
6
  Emblematica degli equilibrismi prospettati in sede cattolica sul tema è la posizione espres-
sa da Settimio Cipriani, secondo il quale – riconosciuto il ‘tipico femminile in Maria’ – è neces-
sario «facilitare al massimo l’espletazione della “sacerdotalità femminile” perché, sull’esempio di
Maria, certo non apostola, ma “più che apostola”, le donne tornino […] ad arricchire con i loro
carismi e soprattutto con il dono della loro femminilità la Chiesa “sposa di Cristo”»: naturalmen-
te tale ‘sacerdotalità femminile’ svolta sul modello di Maria ‘più che apostola’ esclude a priori il
sacerdozio ministeriale: S. Cipriani, La Madonna, la donna, la Chiesa, Milano 1991, p. 131.
7
 Le religiose, Figlie del Cuore di Gesù, trovavano in Maria il modello dell’anima vitti-
male associata al sacrificio di Cristo , ma anche con ciò stesso – questa la nostra ipotesi – il
modello di un ruolo femminile più attivo nella Chiesa: in assenza di un’analisi ‘di genere’ di
tutta la vicenda, cui si pensa di dedicare l’ulteriore sviluppo della presente ricerca, si potrà
leggere quanto ricostruisce a proposito R. Laurentin, Marie, l’eglise, le sacerdoce. Essai sur le
développement d’une idée religieuse, Paris 1952, pp. 442-508.
8
 La Deluil-Martiny è stata beatificata il 22 ottobre 1989 da papa Giovanni Paolo II.
Nata nel 1841 a Marsiglia la religiosa fu uccisa nel 1884 a La Servianne da un anarchico, suo
ex giardiniere.
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Deluil-Martiny e approvata definitivamente nel 1902 da Leone XIII. La


Deluil-Martiny, nata a Marsiglia nel 1841, era stata educata dalle suore della
Visitazione, diventando presto attiva nella diffusione della «Guardia d’ono-
re» al Sacro Cuore e mostrando una religiosità intensa ed esigente; centrata
nell’abbandono a Dio e nella devozione alla Madonna, la sua spiritualità si
era precisata nella forma di un progetto per un nuovo ordine religioso nel
corso di un pellegrinaggio a La Salette, nel 1868. Inizialmente era stato padre
Sylvain Giraud (1830-1885), membro della congregazione dei missionari di
La Salette, appunto, a influenzare più direttamente la religiosità della fon-
datrice della nuova famiglia. Grande sostenitore dell’autenticità dell’appari-
zione mariana del 1846, formato alla spiritualità della scuola francese che
– come vedremo – al tema del sacerdozio mariano aveva dato ampio spazio
fin dall’età moderna, padre Giraud sostenne costantemente sia il ruolo cen-
trale di Maria nella redenzione quale «copia più fedele e perfetta di Gesù»,
sia l’ideale vittimale del cristiano ad imitazione e in unione all’immolazione
dell’Addolorata ai piedi del Figlio; in questa prospettiva la sua opera Prêtre
et Hostie, uscita a Parigi nel 1885, affrontava anche il tema del sacerdozio
mistico di Maria9. Successivamente fu Oswald Van den Berghe (1835-1894)
a svolgere un ruolo determinante nella nascita dell’istituto. Membro dell’Ac-
cademia di Religione cattolica di Roma e Protonotario apostolico, il Van
den Berghe acquisì notorietà per il suo Marie et le sacerdoce, uscito a Parigi
e Bruxelles nel 1872, in cui risultano centrali le tesi della Deluil-Martiny
sull’unione tra Gesù e la Madre nell’oblazione del sacrificio della nuova
legge e sul ruolo riparatorio di Maria per le offese all’Eucaristia10.
L’opera ricevette addirittura un aperto plauso da parte di Pio IX, che in
un Breve elogiativo dell’agosto 1873 (stampato in apertura della seconda edi-
zione del 1875) attestava a sua volta esplicitamente che i Padri della Chiesa
attribuirono alla Madonna il titolo di «Virgo sacerdos» . E se l’approvazione
definitiva delle costituzioni dell’ordine non fu senza difficoltà, nel 1906,
quando le religiose chiesero di poter usare l’appellativo di «Vierge Prêtre»

9
  Informazioni e alcune pagine composte da padre Giraud in Testi mariani del secondo
millennio. VI. Autori moderni dell’Occidente (secc. XVIII-XIX), a cura di S. De Fiores e L.
Gambero, Roma 2005, pp. 677-682.
10
  «Così la Vergine sacerdotale, rendendo per certo modo Gesù al Padre, e presentan-
dogli le opere teandriche del Cuore di Gesù, le quali si riversavano nel cuore di lei, offeriva
al Signore un sacrificio perfetto, di valore infinito»: O. Van den Berghe in Testi mariani del
secondo millennio. VI. Autori moderni dell’Occidente (secc. XVIII-XIX), p. 778. La prima
edizione italiana dell’opera, pubblicata a Torino dalla Libreria del S. Cuore nel 1904, è basata
sulla seconda edizione del testo, risalente al 1875.
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nei riti del proprio istituto, Pio X accolse la richiesta facendo stendere una
preghiera che, utilizzando esclusivamente espressioni dei Padri e dei dottori
della chiesa, risultò perfettamente ortodossa, fu arricchita di indulgenze
ed estesa alla Chiesa universale nel 190711; lo stesso papa concesse nel 1910
che nelle chiese dell’istituto si potesse aggiungere alle litanie mariane anche
l’invocazione «Virgo Sacerdos, ora pro nobis»12.
L’idea e la devozione al sacerdozio mariano si diffusero soprattutto grazie
ad una pubblicistica che era in gran parte debitrice alle opere di Giraud e
soprattutto di Van den Berghe, e ciò nonostante la madre Deluil-Martiny
e le sue religiose non approvassero la pubblicizzazione che alle loro tesi si
stava dando. In una spiritualità dalla forte curvatura mistica come quella
della Deluil-Martiny emergeva sia il tema della devozione riparatrice al S.
Cuore che quello dell’imitazione di Maria come sacerdote: la Vergine, infatti,
secondo la fondatrice, ai piedi della Croce offre il sacrificio perfetto al Padre
e immola se stessa con Cristo. Ciò consente di dire che al Calvario sono due
gli altari, quello del corpo del Figlio e quello del cuore di Maria; e che la
Vergine costituisce il modello del sacerdozio mistico, cioè di quel sacerdozio
che compete a tutto il popolo cristiano che realizzi le promesse battesimali.
Nulla di eterodosso, dunque: seguendo le indicazioni che il gesuita
Calage le impartisce in vista della fondazione delle sue «vierges victimes»,
la Deluil Martiny accoglie la distinzione – introdotta da Olier, come avremo
modo di vedere – tra il carattere sacerdotale, proprio di quanti hanno rice-
vuto l’ordine e con ciò il potere di sacrificare, e lo spirito sacerdotale, che
consiste nel rendersi vittime, anzi ostie immolate per la salvezza del mondo,
come le sue Figlie erano chiamate ad essere anche a riparazione degli errori

11
 La preghiera composta dai cardinali Vannutelli e Vivès y Tuto così recitava: «O Vierge
Immaculée, non seulement Vous nous avez donné le Christ, le Pain Céleste, pour la rémission
des péchés, mais Vous êtes Vous-même une Hostie très agréable, offerte à Dieu, et la gloire
du Sacerdoce. D’après le témoignage del Votre bien heureux serviteur saint Antonin, bien
que n’ayant pas reçu le sacrement de l’Ordre, Vous avez étée remplie de tout ce qu’il y a
en lui de dignité et de grace, d’où à juste titre, Vous êtes appelée la Vierge Prêtre, jetez un
regard sur nous et sur les prêtres de Votre Fils, sauvez-nous, purifiez-nous, sanctifiez-nous
afin que nous recevions saintement les ineffables trésors des sacrements et que nous méri-
tions d’obtenir le salut de nos âmes. Ainsi soit-il. Reine du Clergé, priez pour nous; Marie
Vierge Prêtre, priez pour nous»: cfr. M. P. Pourrat, Marie et le sacerdoce in Maria. Etudes sur
la Sainte Vierge, sous la direction D’Hubert Du Manoir, I, Paris 1966, p. 819.
12
 Si vedano poi temi e accenti analoghi – pur ovviamente nella chiara omissione di ogni
riferimento al tema della «Vierge Prêtre» – nello stesso insegnamento di Pio XII, come atte-
sta il volume Il magistero mariano di Pio XII, a cura di D. Bertetto, Roma 1956, in particolare
pp. 736-743.
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dello stesso clero13. L’attesa della beata madre Maria di Gesù (questo il nome
assunto dalla Deluil Martiny all’interno dell’ordine) era che si realizzasse il
tempo in cui i preti avrebbero adempiuto pienamente il loro ministero, nella
purezza e nella perfezione di vita che evidentemente vedeva mancare attorno
a sé, e in cui i fedeli sarebbero stati in grado di esercitare anch’essi il loro
sacerdozio spirituale in unione a Gesù, offrendo il sacrifico perfetto al Padre
come la «Vierge Prêtre».
Variamente riprese e rielaborate, queste tesi influenzarono la produzione
di autori quali padre E. Hugon de La Vierge Prêtre14, che ritrova nella Chiesa
greca l’idea del sacerdozio mariano; A. M. Lepicier, autore de L’Immaculée
Mère de Dieu corédemptrice15, testo che all’analisi del Sant’Uffizio nel 1914
non viene ritenuto eterodosso, purché fosse ‘purgato’ delle immagini incri-
minate della «Virgo Sacerdos» ; padre Max Schmid col suo manuale delle
anime vittime del S. Cuore di Gesù16 e padre Ignace Marie con La Vierge
sacerdotal17; senza contare una ricca pubblicistica minore, sulla cui stessa
produzione e circolazione – molto utile per la conoscenza dell’ampiezza de
fenomeno – la ricerca si può dire ancora agli inizi.
Temendo che, «mosse da una certa ambizioncella muliebre»18, volessero
prefigurare una sorta di sacerdotesse, il Sant’Uffizio impose una drastica
censura alle Figlie del Cuore di Gesù. Nel gennaio del 1913 si decise in
primo luogo di vietare totalmente le immagini collegate alla devozione,
immagini che la congregazione aveva utilizzato in qualche cappella o chiesa
interna all’istituto, sostenendo l’esistenza di una tradizione di rappresenta-
zione della Vergine come intercedente e offerente a Dio e ispirandosi per i
propri riti, in particolare, ad un affresco del IX secolo, presente nella basi-
lica di S. Clemente a Roma: esso raffigurava la Vergine che al di sopra del

13
  Fondamentale per la conoscenza della spiritualità della Deluil Martiny e del suo
ordine sono i volumi di L. Laplace, La Mère Marie de Jésus Deluil Martiny, Lyon 1906 (la
successiva edizione del 1916 risulta opportunamente ‘epurata’) e di E. Vendeur, La Sainte
Messe et les écrits de la servante de Dieu Marie de Jésus, Namur 1913.
14
  E. Hugon, La Vierge Prêtre, Paris 1912; si tratta della terza edizione francese. Anche
questo testo fu oggetto di analisi da parte del Sant’Officio; nel 1916, sulla base della distin-
zione tra culto – che implicava l’uso delle immagini- e titolo della Vergine sacerdote, l’opera
non viene censurata, mentre nel ’27 se ne vieterà la ristampa nonostante la piena e totale
disponibilità dell’autore a rivederla.
15
  Cfr. M. Lepicier, L’Immaculée Mère de Dieu corédemptrice, Turnhout 1906.
16
  Cfr. M. Schmid, Les âmes victimes, Toulouse 1927.
17
  Cfr. Ignace Marie, La Vierge sacerdotale, Strasbourg 1924
18
  P. Giovanni Lottini, I Compagno, Voto su Maria Santissima Virgo Sacerdos, S. Uffizio,
10 novembre 1912 in ACDF, Dev. V., 1913, 2 ,Virgo Sacerdos, vol. I, f. 1, p. 13.
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globo terrestre schiaccia il serpente con le braccia aperte verso il cielo, in


atto chiaramente di mediazione nei confronti del Padre, abbigliata di vesti
che ricordano quelle sacerdotali.
Il decreto del ‘13 fu ripreso e pubblicato poi nel marzo del 1916; nel 1927,
infine, in seguito ad un intervento di don Silvio Fasso sulla «vera devozione
alla vergine sacerdotale» nella «Palestra del Clero» di Rovigo, una lettera del
cardinal Merry del Val, segretario della Suprema, precisò che la devozione
stessa non era approvata e che non poteva quindi essere propagata in nes-
suna forma. In questa occasione padre Hugon, autore – come s’è ricordato
– di un noto saggio sulla «Virgo sacerdos» e per questo a sua volta oggetto
di indagine da parte del Sant’Officio, alla redazione della rivista che si era
vista censurare l’intervento del sacerdote locale precisava:
Le Saint Office veut qu’il ne soit plus question de la dévotion à la Vierge Prêtre.
Les explications données dans votre revue semblent bien suffisantes et vous n’avez
plus à revenir sur cette article…. C’est repondre aux intentions du Saint Office que
de laisser dormir entièrement cette question, que les âmes peu éclairées pouvaient
ne pas comprendre exactement19.
I tre interventi che tra il 1913 e il 1927 portarono al divieto esplicito
di questa devozione, nonostante non riguardassero la dottrina in sé della
partecipazione di Maria al sacerdozio, determinarono per decenni il blocco
del lavoro interpretativo in questa direzione20; nel contempo si può dire
essi abbiano quasi oscurato un’intera tradizione teologico-spirituale sul
tema del sacerdozio di Maria, che per secoli ha attraversato cristianesimo e
cattolicesimo occidentali. In questa prima fase della ricerca ci proponiamo
di indagare sinteticamente proprio i significati storicamente attribuiti nella
cristianità all’appellativo di sacerdote usato per la Vergine, per demandare
poi ad un secondo momento la ricostruzione dettagliata della vicenda che
ha visto coinvolta, in particolare, la congregazione delle Figlie del Cuore
di Gesù.

19
  S. Offizio. La devozione alla «vergine sacerdote», «Palestra del clero. Rivista settima-
nale», VI (22 dicembre 1927), 51. Anche nel ’27 comunque il divieto riguarda solo la devo-
zione: ciò significa che la censura non può estendersi alle tesi teologiche della partecipazione
di Maria al sacerdozio.
20
 Già Laurentin, Marie, l’eglise, le sacerdoce. Essai sur le développement d’une idée
religieuse, pp. 443-444, sottolineava il problema degli scritti della fondatrice delle Figlie del
Cuore di Gesù: 21 volumi di manoscritti (tra cui 3 volumi noti come «giornale dell’anima»,
3 come «documenti diversi» e ben 10 di corrispondenza) depositati presso la Congregazione
dei Riti in vista del processo di beatificazione, ma dal 1916 in poi tenuti segreti.
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Elementi di teologia del sacerdozio mariano: un percorso tra mondo antico e


medievale
Il tema del sacerdozio di Maria percorre un po’ tutta la storia della
cristianità21.
In quella che appare come una sorta di preistoria dell’idea del sacerdozio
mariano, il titolo di «sacerdos» alla Vergine è attestato più nell’ambito di una
tradizione omiletica che nella riflessione dei Padri della Chiesa; nel conte-
sto, cioè, di un genere letterario sviluppatosi nella cultura greca del VII-IX
secolo in cui si usano metafore e immagini che stabiliscono un rapporto tra
Maria e l’Eucaristia o che riconoscono un ruolo attivo della Madonna nel
donare il pane di vita alla Chiesa attraverso il suo ruolo materno, anche se
va sottolineato che gli omelisti usano a piene mani idee e suggestioni dalle
valenze molteplici, che solo forzatamente possono essere ricondotte a distin-
zioni di ordine concettuale.
Certo alla base di questa tradizione sta l’autorità di Epifanio di Salamina22,
che attribuisce a Maria il valore di tavola, di altare e di prete, quasi confon-
dendo il piano del simbolo materiale e quello del ruolo spirituale e che, nello
stesso tempo, sembra suggerire anche un rapporto tra Maria e il sacrificio di
Cristo: un tema ovviamente cruciale, se si considera che la Lettera agli Ebrei
(V, 1) definisce il sacerdozio proprio in termini di oblazione di sacrifici. Ci
si può dunque legittimamente chiedere se già in questo ambito ci sia l’idea
che Maria offre il Figlio in sacrificio come fanno i sacerdoti. È indubbio che
negli omelisti greci, se Cristo è presentato come sacerdote perché mediatore,
redentore e autore dell’intercessione al Padre, anche Maria è spesso consi-
derata mediatrice, come colei che prende parte in modo non secondario alla
redenzione e che esercita una efficace intercessione, ma senza attribuirle uno
specifico ruolo nel sacrificio del Figlio. In altri contesti Maria è presentata
come il legame vivente e simbolico tra il sacerdozio dell’Antico Testamento
e quello di Cristo: san Giovanni Damasceno, ad esempio, sostiene che Maria

21
  Per tutta la ricostruzione che segue mi sono avvalsa in particolare dell’ampio studio,
già citato, di Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce. Essai sur le développement d’une idée
religieuse e, dello stesso autore, di Marie, l’église et le sacerdoce. Etude théologique, Paris
1953; per l’età moderna e contemporanea risulta utile anche il saggio di M. P. Pourrat, Marie
et le sacerdoce in Maria. Etudes sur la Sainte Vierge, pp. 803-824.
22
  Epifanio di Salamina (ca. 315-403). Val la pena di sottolineare che in un’opera dedi-
cata alla confutazione di alcune forme ereticali l’autore in questione critica drasticamente le
sette montaniste che ammettevano le donne al ministero: per tutte queste informazioni rinvio
a Piola, Donna e sacerdozio. Indagine storico-teologica degli aspetti antropoligici dell’ordinazio-
ne delle donne, pp. 128-131.
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trasferisce il sacerdozio dei leviti alla nuova discendenza regale, dalla tribù
sacerdotale alla tribù di David.
In ogni caso in questo primo contesto teologico-spirituale si avverte
una discrasia tra la spinta che sembra portare in direzione di un sacerdozio
mariano e una sorta di autocensura o inibizione a usare il titolo di «sacerdos»
per la Vergine. Una censura che, d’altra parte, è perfettamente in linea con
tutte le testimonianze dei primi secoli secondo cui la Chiesa ha reagito dura-
mente contro l’attribuzione di ruoli sacrali alle donne. Si tratterebbe, quindi,
di una propensione a conferire attributi di tipo sacerdotale nell’ambito del
piano della salvezza, ma non un’idea di sacerdozio con le sue conseguenze
dottrinali: l’idea di oblazione mariana, che più direttamente suggerisce un
ruolo sacerdotale, sembra non essere ancora sorta.
È nel Medioevo che l’idea del sacerdozio della Vergine conosce un signi-
ficativo sviluppo sul piano teorico. Una delle vie filosofico-teologiche attra-
verso cui tra Alto e Basso Medioevo è stato possibile parlare di sacerdozio
mariano è quella consentita dalla diffusione delle idee dello Pseudo Dionigi.
Poiché nella prospettiva sincretistico-neoplatonica di questo autore e dei
molti suoi seguaci la relazione tra i diversi ordini di realtà si pone necessaria-
mente in chiave gerarchica, ciò induce inevitabilmente a collocare la Vergine
in una posizione di primato, senza dubbio nei confronti delle gerarchie della
Chiesa e non di rado anche delle gerarchie angeliche. Non pochi sono gli
autori medievali che lasciano intravedere la tesi secondo cui Maria occupa
un posto di preminenza nell’ambito delle gerarchie ecclesiastiche, sorta di
pontefice massimo della Chiesa. E sono soprattutto i francescani a spinge-
re in questa direzione, forti delle tesi scotiste sull’Incarnazione come fine
supremo dell’universo: in questo senso Maria è gerarca e grande sacerdote;
certo al di sopra del prete, svolge una funzione fondamentale di mediazio-
ne nell’ordine discendente grazie al ruolo avuto proprio nell’Incarnazione
di Cristo. San Bonaventura attribuisce alla Vergine l’attributo di somma
«bellezza della gerarchia celeste» e addirittura di «secondo gerarca» dopo
Cristo. Se Cristo è il sommo pontefice nell’offerta sacrificale, essa ha però
avuto origine in Maria dal punto di vista delle realtà spirituali, Maria che
viene quindi di necessità associata al ruolo di Cristo23.

23
  Questa tendenza a fare di Maria una sorta di ‘secondo sommo pontefice’ degli angeli
e degli uomini si ritrova in vari discepoli dello Pseudo Dionigi soprattutto francescani, tra
cui Ubertino da Casale, san Bernardino da Siena, ma anche Sant’Antonino da Firenze: cfr.
Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce. Essai sur le développement d’une idée religieuse, pp.
172-182; lo stesso autore attesta, tra l’altro, che nell’ondata di entusiasmo tra ‘800 e ‘900, in
cui si colloca la vicenda della Deluil Martiny e della sua congregazione, la scuola francescana
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L’autore che contribuisce in modo determinante in questa direzione,


lasciando un segno in tutta l’elaborazione connessa al tema fino agli inizi
dell’età moderna e oltre, è quello che oggi ci è noto sotto il titolo di Pseudo
Alberto Magno: autore di un commento al Vangelo di Luca (capitolo I, vv.
26 e ss.) che diviene un testo mariologico per eccellenza, noto come Mariale
super missus est24. Il volume, attribuito per secoli ad Alberto Magno come
fondatore del tomismo e della mariologia scientifica nel senso medievale
del termine (cioè ricondotta ad un principio unificatore), rivela tutta la sua
dipendenza da visioni neoplatonizzanti, dionisiane e quindi intrinsecamen-
te gerarchiche, in cui si inserisce anche una lettura del ruolo e del ‘posto’
di Maria nella salvezza che implica una sua precisa funzione di mediazione.
Qui la natura di sacerdote della Vergine è ammessa attraverso la nozione
di pienezza d’essere e di grazia, attribuitale proprio dal passo del Vangelo
lucano, pienezza che evidentemente contiene e supera quella di ogni altra
perfezione presente nell’ordine creaturale. Si tratta di un’idea non nuova
nel cristianesimo medievale: quello che è specifico dello Pseudo Alberto
Magno è che il concetto di pienezza di grazia della Vergine diviene il
principio, il cardine su cui fondare in modo sistematico tutta una serie di
conseguenze teologiche. Così Maria, se secondo l’ordine e la gerarchia della
natura risulta inferiore agli angeli, secondo l’ordine e la gerarchia della gra-
zia si sottrae a questa condizione di inferiorità; e dal momento che l’ordine
della grazia supera e include ogni altra perfezione degli ordini inferiori
di realtà, la Vergine finisce necessariamente per essere riconosciuta anche
come superiore alle gerarchie celesti e, a maggior ragione, alle stesse gerar-
chie ecclesiastiche. Seguendo alla lettera gli schemi di Dionigi l’Areopagita,
coloro che sono ai gradi superiori della scala – afferma il Mariale – deten-
gono tutte le caratteristiche di quelli che si trovano ai livelli inferiori e ad
un grado maggiore. E poiché Maria nella gerarchia ecclesiastica, in virtù di
quanto s’è detto, gode in assoluto della posizione più elevata, non si potrà
negare – se non a pena di gravissima contraddizione – che abbia in grado
eminente anche la dignità e le caratteristiche degli ordini inferiori, religiosi

fu apertamente a favore dell’idea del sacerdozio mariano: ivi, pp. 499-507. Si veda anche
il recente lavoro di un francescano dell’Immacolata, padre S. M. Lanzetta, Il sacerdozio di
Maria nella teologia del XX secolo, Roma 2006.
24
  Ritenuto fino agli anni ’50 del XX secolo come opera effettivamente attribuibile ad
Alberto Magno, il testo ha svolto un ruolo centrale nella tradizione cristiana e cattolica,
anche se oggi sembra trascurato dagli studiosi della teologia mariana (vedi ad esempio Testi
mariani del secondo millennio. IV. Autori medievali dell’Occidente sec. XIII-XV, a cura di L.
Gambero, Roma 1996, p. 343).
IL CULTO ALLA «VIRGO SACERDOS» E LA QUESTIONE DEL SACERDOZIO FEMMINILE 189

compresi. È il principio di onnicontinenza o onnicomprensività della gra-


zia ricevuta da Maria che le consente di comprendere e superare la grazia
ricevuta nei sacramenti. In un passo destinato ad avere grande fortuna lo
Pseudo Alberto Magno compara direttamente Maria al sommo pontefice
della Chiesa storica: «Habet convenientiam cum papa Beatissima Virgo
omnium ecclesiarum sollicitudinem, potestatis spiritualis plenitudinem,
privilegiatorum actuum universalitatem»25 e ancora «cum sacerdotibus
vero habuit Dominici corporis per seipsam formationem, tractationem et
communicationem [… ]»26.
Questa lettura sul piano dottrinale è tanto più significativa, se si considera
che essa viene formulata proprio mentre la Chiesa occidentale è impegnata
in una battaglia etica, teologica e ideologica che va nella direzione opposta, e
cioè verso l’affermazione, al contrario, della dignità e grandezza del sacerdo-
zio e quindi con non poche sollecitazioni a suggerire che il potere sacerdo-
tale superi quello della Vergine. Il Mariale, invece, in più punti sostiene che
la pienezza conferita nel sacramento dell’ordinazione sacerdotale appartiene
anche a Maria, anche se non la riceve con apposito sacramento, e lascia
chiaramente intendere che non esiste nessuna motivazione – neppure la sua
identità sessuata e quindi neppure l’inferiorità indiscussa del sesso femmi-
nile – per fondare la sua esclusione dal sacerdozio. Maria infatti è socia di
Cristo, non sua vicaria, come è invece il sacerdote, che infatti ha «servitium»,
«officium», «ministerium», mentre la Vergine detiene «dominandi potestas»
ed è «auxilium, adjutorium Christi», al punto tale che se non ha ricevuto il
sacerdozio è proprio perché esso implica una forma di servitù, che è essen-
ziale al ministero. Altra cosa è l’umiltà scelta liberamente e virtuosamente
dalla Vergine e altra il servizio, come forma materiale di inferiorità; Maria
risulta insomma associata al Figlio nell’opera di salvezza, non un semplice
sostituto. Si tratta – come si può notare – di un nucleo argomentativo che
virtualmente poteva anche rafforzare i dubbi sul sacerdozio mariano, dal
momento che – nonostante questa sua straordinaria dignità – non fu mai
data a Maria una funzione di direzione della Chiesa primitiva. Ma per il
Mariale, in virtù del principio di onnicontinenza, il sacerdozio deve essere
ammesso sulla base del fatto che «ogni superiore contiene la perfezione
degli inferiori»; in virtù della sua superiorità Maria non conosce la subordi-
nazione, la servitù all’uomo e le deficienze che hanno le altre donne, che le

25
  Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce. Essai sur le développement d’une idée religieu-
se, p. 104, nota 19.
26
  Ibidem, p. 123, nota 87.
190 Liviana Gazzetta

rendono inadatte al sacerdozio e che anche lo Pseudo Alberto non manca di


riassumere in indegnità, propensione al peccato, incapacità al governo27.
San Bonaventura da Bagnorea apporta un altro contributo fondamentale
in questo percorso, e ciò anche in ordine alle riprese del tema in età contem-
poranea, come vedremo. Autore di cinque sermoni sulla Purificazione, egli
offre certo la Vergine come modello ai sacerdoti, ma soprattutto sviluppa il
tema dell’offerta di Maria sia dal punto di vista discendente che ascendente.
Il tema dell’oblazione diviene via via sempre più importante nel Medioevo,
dal momento che sia l’Antico Testamento che la Lettera agli Ebrei definisco-
no il sacerdozio soprattutto come offerta di sacrificio; e i due testi scritturali
in cui in particolare emerge l’offerta di Maria sono quello della presentazio-
ne di Gesù al tempio (Luca, II, 22) e quello della morte di Cristo secondo
il racconto di san Giovanni (XIX, 25-27). Il lavoro interpretativo a partire
dal Basso Medioevo, la progressiva ‘scoperta’ fatta grazie all’analisi dei testi
porteranno verso la tesi del ruolo sacrificale della Vergine e quindi della
sua funzione di corredenzione, che di fatto significherà ulteriori apporti al
tema che qui ci interessa. Naturalmente la questione è molto articolata e
complessa, e va dalla definizione di quale sia la direzione dell’offerta, a quale
ne sia l’oggetto, o ancora quale sia la natura del ruolo di Maria; ebbene, la
teologia mariana del Basso Medioevo si concentra sul tema della funzione
di Maria nel mistero della salvezza, cooperatrice di Cristo nell’intero arco
della storia della salvezza; ciò incoraggia a ricorrere a Lei come mediatrice di
grazia usando anche immagini per cui viene detta arca della nuova alleanza,
tabernacolo, santuario o altare del Dio fatto uomo.
Nella prospettiva di san Bonaventura l’oblazione della Vergine è l’offerta
al tempio: la purificazione e l’oblazione delle colombe è «complementum»,
«perfectio» delle offerte dell’Antico Testamento, ma è anche «initiatio»,
«fondamentum» di quelle aperte dal Nuovo. Così la Vergine è figura della
gerarchia della Chiesa perché offre l’Agnello divino al tempio. In termini di
sacrificio il serafico dottore distingue una sorta di tetralogia tipologica di
esso: il sacrificio dell’Antico Testamento come figura; quello di Maria come
«veritas inchoata», il sacrificio di Cristo come «vera consummatio» e quello
dei preti come «sacramentum». Quando si parla di oblazione mariana si
intende sempre quindi, secondo san Bonaventura, il preludio del sacrificio
con la presentazione al tempio, e non l’offerta del sacrificio ai piedi della
Croce, ma qui la centralità di Maria nell’offerta è tale che Cristo sembra

27
  Cfr. Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce. Essai sur le développement d’une idée
religieuse, pp. 192-3.
IL CULTO ALLA «VIRGO SACERDOS» E LA QUESTIONE DEL SACERDOZIO FEMMINILE 191

ridotto ad un ruolo passivo, nel senso che, mentre Cristo volle essere offerto,
Maria invece volle offrire.

L’età moderna: dalla teologia alla spiritualità del sacerdozio mariano


In età moderna due sono i processi teologico-dottrinali che investono la
questione del sacerdozio mariano: da una parte l’articolazione dell’analisi
delle diverse accezioni del sacerdozio sulla base del confronto con le tesi
della Riforma; dall’altra il dibattito e il conflitto teologico sull’Immacolata
Concezione. Nei paesi cattolici il tema del sacerdozio mariano diventa un
modo per far passare le tesi a sostegno dell’Immacolata Concezione, tesi che
sono il vero centro d’interesse della teologia mariana tra XVII e XVIII seco-
lo. È così che un autore grande sostenitore del dogma come Ippolito Marracci
(1604-1675)28, considerato «il più fecondo mariologo di ogni tempo»29, alla
metà del XVII secolo ha potuto scrivere il suo Sacerdozio mistico mariano: un
testo di cui purtroppo esistono solo fonti indirette, la cui perdita è probabil-
mente legata alla vicenda biografica dell’autore, inquisito dal Sant’Uffizio e
costretto al domicilio coatto per un lungo periodo. Tutti i suoi lavori, anche
quello sul sacerdozio mistico di Maria, avevano come obiettivo quello di
dimostrare e quindi stabilire in modo inequivocabile il carattere dogmatico
dell’Immacolata Concezione, ma ciò proprio nel periodo in cui prevaleva la
formula di «concezione della Vergine immacolata»30. Di grande interesse dal
nostro punto di vista è che l’autore presenti il sacerdozio di Maria secondo
una declinazione mistica che avrà poi grande fortuna nel XIX secolo. Il
termine mistico, alla stregua di spirituale e interiore, era usato da tempo
per qualificare il sacerdozio dei fedeli, a differenza del sacerdozio legale
dei preti; Marracci, tuttavia, che non padroneggia la materia dal punto di
vista concettuale, pur attribuendo a Maria solo lo stesso tipo di mediazione
che spetta ad ogni fedele dal punto di vista spirituale, le riconosce anche la
dignità e il compito del ministero rappresentato dal sacramento dell’ordine.
Se la mediazione sacerdotale può essere di tipo ascendente (cioè il sacrificio
al Padre) o di tipo discendente (cioè il dono delle cose sacre), Marracci le

28
 Su questo autore si veda l’introduzione e la scelta antologica in Testi mariani del
secondo millennio. V, pp. 819-827 e il lavoro di F. Petrillo, Ippolito Marracci protagonista del
movimento mariano del secolo XVII, Roma 1992.
29
  Testi mariani del secondo millennio. V, p. 820: i curatori fanno proprio a proposito un
giudizio di G. M. Roschini.
30
 Sul complesso tema si vedano: Società, chiesa e vita religiosa nell’Ancien Régime, C.
Russo (ed.), Napoli 1976; G. Söll, Storia dei dogmi mariani, Roma 1981; La Vergine Maria
dal Rinascimento ad oggi, E. M. Toniolo (ed), Roma 1999.
192 Liviana Gazzetta

attribuisce solo la prima dimensione in quanto nella purificazione Maria


offre il Figlio a Dio; la sua unzione sacerdotale sarebbe però esclusivamente
di tipo interiore, soltanto secondo l’ordine delle realtà spirituali e non secon-
do la legge, e avverrebbe al momento dell’Annunciazione. Così connotato, il
sacerdozio della Vergine è in realtà coincidente con la sua maternità divina
e soprattutto viene confuso col sacerdozio dei fedeli, anche se articolato sul
modello del sacerdozio gerarchico31.

Ma oltre alla via dottrinale, cui si è fin qui fatto riferimento, nella storia
del cristianesimo occidentale si è profilata anche una via al sacerdozio della
Vergine di natura più propriamente devozionale e spirituale. Abbozzata in
autori medievali come san Pier Damiani, san Antonino da Firenze, presen-
te anche in sant’Ignazio di Loyola, essa si manifesta compiutamente nella
cosiddetta scuola francese di spiritualità, in particolare nell’Oratorio fonda-
to nel 161132.
Questa declinazione si manifesta, più che in una teologia e dottrina del
sacerdozio mariano, in un sentimento della presenza di Maria alla messa e
porta a creare un legame speciale, un ricorso particolare del sacerdote alla
mediazione della Vergine nelle funzioni sacramentali: quasi una somiglian-
za, e quindi un’imitazione, particolare di Maria ad opera del prete, come
la Vergine rappresentasse il modello ideale del sacerdote secondo la legge,
avviando la pratica delle messe offerte secondo le intenzioni di Maria e la
pratica della rinnovazione delle promesse sacerdotali in concomitanza con le
feste mariane. Qui le idee e le metafore che cominciano a circolare sul tema
veicolano progressivamente la tesi che, se Gesù Cristo è la fonte dello spirito

31
  Non essendo la nostra una ricostruzione analitica di tutte le voci che si sono espresse
a favore del sacerdozio mariano, ci limitiamo qui a ricordare un altro autore quasi contem-
poraneo di Marracci, che ha avuto un ruolo molto importante nel sostegno e diffusione di
questi temi, esercitando un ruolo paragonabile a quello dello Pseudo Alberto Magno nel
Basso Medioevo: il gesuita spagnolo Ferdinando Quirino de Salazar (1577-1646), che pose
ex professo la questione della partecipazione di Maria alla redenzione e del suo sacerdozio.
Anch’egli favorevole all’Immacolata concezione, Salazar presenta la tesi del sacerdozio della
Vergine nelle sue esposizioni del libro dei Proverbi (1618) e del Cantico dei Cantici del
1643: vi sostiene che Maria non ha solo accettato ma anche voluto il sacrificio del Figlio; con
Epifanio afferma quindi che può essere chiamata «in qualche modo sacerdote e insieme alta-
re», che l’unzione di Cristo la rende «santa, regina, sacerdote»: cfr. Testi mariani del secondo
millennio. V, pp. 629-634.
32
  Per un’introduzione ai temi della scuola si veda R. Deville, Scuola francese di spiritua-
lità, in Dizionario di spiritualità monfortana, S. De Fiores (ed.), Roma 2005, pp. 1575-1577;
Id., La scuola francese di spiritualità, Cinisello Balsamo 1990; L. Cognet, Spiritualità moderna.
La scuola francese 1500-1650, Bologna 1974.
IL CULTO ALLA «VIRGO SACERDOS» E LA QUESTIONE DEL SACERDOZIO FEMMINILE 193

sacerdotale, Maria ne è in qualche modo il bacino collettore che riceve tale


spirito in pienezza e superaffluenza; e ciò a differenza degli apostoli che,
secondo la metafora, rappresenterebbero soltanto i canali di diffusione dello
spirito «par parcelle», nella figura delle lingue di fuoco divise. Allo stesso
modo si sostiene che Maria come madre di Gesù ha una sovranità sugli
apostoli che non le deriva tanto da una precisa giurisdizione, sempre ritenuta
sconveniente al sesso femminile, ma dalla pienezza dello spirito e della gra-
zia in lei: ciò che la rende, dopo l’Ascensione, non il capo dotato di autorità
sulla Chiesa, ma il cuore del corpo mistico della comunità. Alcuni esponenti
della scuola33 si spingono ad affermare che se i preti hanno due forme di
potere, l’uno sul corpo naturale di Cristo, grazie alla consacrazione che lo
rende presente all’altare, l’altro sul corpo mistico, questi due poteri sono in
qualche modo definiti ad immagine di Maria: il primo ad immagine della
sua maternità, il secondo della sua sovrana pienezza spirituale. Naturalmente
tornano anche le analogie tra sacerdote celebrante nella messa e Maria offe-
rente Cristo al momento della presentazione al tempio, che era la prospettiva
offerta in particolare da san Bonaventura, al punto tale che alla presentazione
«Marie tient lieu des prêtres et Siméon le lieu des communicants»34.
In questo contesto si costruisce, anche grazie ad una stratificazione di
immagini, metafore e significati, la centralità della festa della Purificazione
e della Presentazione di Gesù come prefigurazione del sacrificio di Gesù sul
Calvario, in cui non a caso molti oratoriani amavano celebrare la rinnovazio-
ne delle proprie promesse sacerdotali. Poiché Maria porta Gesù al tempio
per offrirlo in sacrificio al Padre, essa può essere considerata «religionis
prima sacerdos»35. L’analogia che si stabilisce tra il sacerdozio di Maria e
quello del prete serve a stimolare il clero alla santità di vita: se, infatti, fu

33
  Pourrat, Marie et le sacerdoce in Maria. Etudes sur la Sainte Vierge, pp. 803-813; a p.
807 l’autore afferma per gli autori della scuola francese: «L’Incarnation, la présentation au
temple, l’immolation du Calvaire, la résurrection et l’ascension sont les parties constitutives
du sacrifice du Christ. Or dans toutes les parties de ce sacrifice, Marie a exercé son sacerdoce
ministériel».
34
  Nel 1638 la dichiarazione della dottrina dell’Oratorio redatta da padre Condren
recitava testualmente: «La Congrégation veut que tous les siens la servent… et qu’ils aient
recours à elle non seulement par l’obligation qui est commune à tous les enfants de Dieu,
mais par l’alliance spéciale que les prêtres contractent avec elle en la production du corps
de Jésus Christ qu’ils doivent apprendre d’elle à traiter saintement, e par la ressemblance
et liaison de la grace sacerdotale avec celle de la Mère de Dieu, en ce que l’une et l’autre
regardent le même corps de Jésus Christ»: Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce. Essai sur
le développement d’une idée religieuse, p. 346.
35
  Ibidem, p. 347.
194 Liviana Gazzetta

necessario che Maria stessa – per quanto concepita senza peccato – si recasse
per la purificazione al tempio prima di offrire il Figlio al Padre, tanto più lo
dovranno fare ed essere i preti. Come nel movimento di riforma gregoriana,
la scuola francese di spiritualità si serve dell’analogia con Maria per condur-
re la propria battaglia per la riforma del clero, avanzando progressivamente
la tesi che il sacerdote devoto alla Vergine deve a Lei riferire non solo la sua
pratica sacerdotale ma il suo stesso sacerdozio.
Conosciute anche fuori della congregazione, le idee oratoriane hanno
influenzato esponenti del giansenismo e personalità come Jean Duvergier de
Hauranne abate di San Cirano, che descrive la Vergine come «image de la
prêtrise». Val la pena di ricordare poi san Jean Eudes, che fonda una nuova
congregazione di sacerdoti proprio ad imitazione della vita di Gesù e della
Vergine e in cui la dignità del sacerdozio è presentata come conformità a
Maria, madre del sommo sacerdote che è Cristo. Un’alleanza e rassomiglian-
za tra il sacerdote e la Vergine al punto tale che «i sacerdoti sono chiamati
immagine della Vergine perché, per suo mezzo come per mezzo di essi, il
Cristo è formato, dato ai fedeli e immolato a Dio»36.
Anche Jean Olier (1608-1657)37 sottolinea l’unità tra Madre e Figlio,
utilizzando talora immagini e termini audaci per esprimere tale rapporto,
concetti come quello di inclusione o identificazione. La specificità della
devozione mariana dei preti secondo Olier sta nella celebrazione della
messa, in cui la Madre appare totalmente coinvolta nel sacrificio del Figlio,
pronta ad offrirsi lei stessa a Dio in Gesù come una stessa ostia per il bene
della Chiesa e dei credenti. Costretto a chiarire concettualmente quello che
gli si propone come un’intuizione e un sentimento spirituale, Olier ricorre
anche alle categorie classiche della filosofia platonica e neoplatonica tante
volte utilizzate dagli autori medievali: quelle di partecipazione e di comu-
nicazione, in primis, in una visione gerarchica della salvezza per cui dopo
il principio che è Cristo, al sommo della gerarchia è la Vergine: Maria, la
Chiesa e i sacerdoti possono essere considerati livelli via via discendenti
dell’essere e della grazia, e la Madre sarebbe la partecipazione più piena a
Cristo. Maria è quindi modello e mediatrice della Chiesa e dei preti in par-
ticolare, anzi «Regina cleri» secondo una confraternita nata all’interno del
seminario di Saint Sulpice.
Tuttavia lo stesso Olier sembra fermarsi davanti alle logiche conseguenze
dei suoi parallelismi spirituali e giunge a sintetizzare la propria posizione

36
  Ibidem, p. 359
37
  R. Deville, Olier Jean-Jacques in L. Borriello - E. Caruana - M.R. Del Genio - N. Suffi,
Dizionario di Mistica, Città del Vaticano 1998, pp. 928-929.
IL CULTO ALLA «VIRGO SACERDOS» E LA QUESTIONE DEL SACERDOZIO FEMMINILE 195

in una formula che ha poi avuto un notevole successo. Egli introduce la


distinzione tra spirito e carattere sacerdotale, che ripropone la questione
dell’«impedimentum sexus»: «Questa divina Madre, per quanto piena di
tutta la ricchezza dello spirito del sacerdozio, non ne aveva il carattere e di
conseguenza non ne poteva esercitare in prima persona le funzioni»38. Se lo
spirito sacerdotale consiste nell’offerta e nell’immolazione, certo la Vergine
non può che rappresentarlo in modo eminente, come attesta la sua presenza
nel Cenacolo alla discesa dello Spirito Santo, ma non le appartiene il carat-
tere, cioè l’esercizio delle funzioni dell’oblazione, così come non fu presente
all’ultima Cena. E ciò che fa impedimento alla corrispondenza tra la sua
pienezza sacerdotale sul piano spirituale e l’esercizio del sacerdozio è pro-
prio la sua appartenenza di genere, perché «Maria non esercita visibilmente
e sensibilmente le funzioni come il clero, ma lo fa in modo adeguato al suo
sesso, alla sua qualità e alle sue condizioni di madre»; e ancora «… solo il
sesso la priva dell’uso e della dignità di questo ministero che era riservato
agli uomini e al sesso di Gesù Cristo»39. Si giunge così, in Olier, ad una sorta
di compromesso tra l’offerta sacerdotale di Maria che viene riaffermata, ma
ricondotta tutta a livello spirituale, mentre quella visibile, secondo l’ordine
di Melchisedech, è riservata agli uomini, peraltro in contraddizione con le
affermazioni da cui discende un’ammissione di ruolo anche visibile nell’of-
ferta mariana al tempio, in cui la Vergine offre Cristo al Padre in modo pub-
blico e forma umana. Da una parte l’influenza dello Pseudo Dionigi, l’idea
della Madonna come modello del clero, la lettura oratoriana dell’episodio
della Purificazione portano al sacerdozio mariano; dall’altra sta l’«impedi-
mentum sexus» con tutto ciò che esso significa40.
Il titolo di «Virgo Sacerdos» entra apertamente nella liturgia cattolica
a partire dal 1709, quando presso Saint Sulpice si comincia ad utilizzare
regolarmente per la festa della Presentazione al tempio un inno dei Vespri
che lo contiene. Grazie soprattutto al ruolo e all’autorevolezza di Olier la
festa della Presentazione diventa la celebrazione per eccellenza della spiri-
tualità sacerdotale e della devozione a Maria, costituendo anche il momento

38
 Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce. Essai sur le développement d’une idée reli-
gieuse, p. 370.
39
  Ibidem, p. 372.
40
  Non a caso nei testi a stampa dello stesso Olier immagini e concetti usati per il ruolo
di Maria sono molto poco audaci: tra di essi quello noto di «portatrice di turibolo», colei
cioè che spande ovunque il buon odore di Cristo; oppure tenendo conto del suo ruolo nella
Redenzione Olier la paragona alla funzione del diacono e non a quella del sacerdote: cfr.
ibidem, p. 375.
196 Liviana Gazzetta

della rinnovazione pubblica della professione religiosa per i membri della


congregazione sulpiziana e festa del seminario. Da Olier in avanti la festa
della Presentazione è la festa del clero, così come andava facendo anche
san Jean Eudes. Se nel calendario liturgico cattolico esistono ben due feste
della Presentazione (la presentazione al tempio di Cristo, il 2 febbraio, e la
presentazione al tempio di Maria stessa, il 21 novembre), la scuola francese
tende a riunirle, in quanto entrambe feste del sacrificio e del sacerdozio: la
seconda come figura dell’offerta che il sacerdote fa di se stesso a Dio in ana-
logia alla Vergine che sale al tempio; la prima simbolo dell’offerta di Gesù
per la salvezza del mondo fatta da Maria, prefigurazione dell’offerta di sé
dopo la consacrazione.
L’autore dell’inno con cui l’espressione «Virgo Sacerdos» entra nella
liturgia è Urbain Robinet, venticinquenne sotto-diacono che giunge nel 1706
a Sain Sulpice per completare la sua formazione in vista dell’ordinazione. Si
tratta del suo primo componimento, a quanto se ne sa: sette strofe, di cui le
prime due descrivono l’ascesa di Maria al tempio, definendola altare della
divinità presentata come vittima, quindi si passa a mostrare Maria che vota
interamente il suo cuore a Dio e disprezza i beni della terra, divenendo in
ciò un modello ai sacerdoti, ‘guida’ al rinnovo dell’engagement nelle mani
del vescovo.
Qu’elle est belle, cette enfant royale
tandis qu’elle monte et se hate d’atteindre le seuil du temple.
Elle prélude à l’oblation
qu’elle fera bientot d’une hostie meilleure.
Du giron de sa Mère au sein de Dieu,
enfant, mais d’un pas ferme, elle vole!
La Vierge, autel de la divinité,
sur l’autel come victime est présentée
[…] Pourquoi les joies perfides nous retiennent-elles en leur lacets?
Pourquoi hesiter davantage à rompre ces liens?
Notre guide, c’est la Vierge Prêtre
Avec bonheur qu’on se hate de la suivre41.
In sostanza si può affermare che nell’inno il titolo non è connesso in
particolare ad una funzione di oblazione o di mediazione di Maria; anche
se nel componimento non mancano riferimenti alla spiritualità della scuola

41
  Il testo dell’inno Quam pulchre graditur è in Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce.
Essai sur le développement d’une idée religieuse, p. 380. Anche H. De Lubac, Meditazione
sulla Chiesa, Milano 1955, pp. 385-420, ricostruisce sinteticamente le posizioni di quanti
nella Chiesa cattolica hanno sottolineato il parallelismo tra il sacerdozio e Maria santissima.
IL CULTO ALLA «VIRGO SACERDOS» E LA QUESTIONE DEL SACERDOZIO FEMMINILE 197

francese e agli scritti di Olier che alludono a questo, esso è connesso al


suo esempio di distacco dai beni del mondo e indica un primato sul piano
ascetico. Costruito non su un terreno teologico ma prettamente religioso-
spirituale, funzionale ad una devozione in cui il clero secolare tende all’imi-
tazione della Vergine, l’inno rimase al centro delle pratiche devozionali della
scuola francese. La distinzione tra spirito e carattere sacerdotale, introdotta
da Olier, con ogni probabilità bastava a schermare le possibili difficoltà
dottrinali o le conseguenze sul piano teologico, anche se ciò due secoli dopo
non basterà più, in virtù della stessa analogia tra sacerdoti e Maria nel pre-
sentare Cristo al tempio.
La formula di sintesi «Virgo Sacerdos» o «Vierge Prêtre» che ebbe tanta
fortuna tra XIX e XX secolo prima dell’intervento censorio del Sant‘Officio
viene dunque ereditata dalla scuola francese del ‘700. Con la differenza che,
se nei secoli precedenti Maria era soprattutto stata al centro di una riflessione
teologica e filosofica, ora la via è tutta spirituale e in alcuni casi mistica; se
prima è il modello del prete concepito come culmine delle virtù religiose, nel
XIX secolo Maria è interpretata sempre più come modello della riparazione
contro le forme di degenerazione della vita del clero, così come si tende a fare
dell’immolazione la vera essenza del sacerdozio, puntando ovviamente sul
lavoro interpretativo dell’episodio giovanneo di Maria ai piedi della Croce.
Così sono i sermoni sulla Compassione ad avere sempre più spazio nello svi-
luppo del lavoro interpretativo ma anche nella sensibilità dei sacerdoti o dei
fedeli. Vari predicatori offrono spunti sul sacerdozio della Vergine al Calvario,
riprendendo talora alla lettera il titolo di «Virgo sacerdos» dall’inno Quam
pulchre graditur, estrapolandolo dal contesto ascetico del testo per indicare,
invece, l’attitudine di Maria Addolorata ai piedi della Croce. Tra questi anche
il notissimo monsignor Dupanloup, che afferma: «Abbattuta dalla violenza
del suo dolore, Maria soccombe, e tuttavia donna, Vergine, Madre di Dio,
cooperatrice della Redenzione del mondo, Ella resta in piedi, sempre in piedi,
immobile nell’attitudine sacerdotale, con il gladio del sacrificio in mano»42.

Prima della proscrizione. Un provvedimento inquisitoriale del primo ‘800


È nel contesto di una sensibilità analoga, ci pare di poter dire, che il tema
cade sotto l’attenzione del Sant’Officio prima degli interventi drastici del

42
 Laurentin, Marie, l’église et le sacerdoce. Essai sur le développement d’une idée religieu-
se, p. 414; su Dupanloup (1802-1878), guida dei cattolici moderati di Francia e autore anche
di testi di precettistica femminile, vedi la tesi di A. Siracusa, Il pensiero pedagogico di Mgr.
Dupanloup, Torino 1940-1941.
198 Liviana Gazzetta

1913, 1916 e 1927 riguardanti dapprima le immagini della «Virgo sacerdos»


e poi la devozione in quanto tale, come s’è visto. Tra il 1838 e il 1842, infatti,
la Suprema si occupa del sacerdozio di Maria e del titolo ormai famoso43
senza giungere ad una posizione precisa, lasciando in eredità un «dilata»
che si ritroverà nelle carte del procedimento del ‘900, quando al contrario si
riterrà di non poter ammettere più nessuna forma di confronto in materia.
È un periodo in cui tutta la riflessione teologica mariana, ci attesta oggi
la storia della teologia, può avvalersi di ben pochi contributi interpretativi
nuovi, mentre si affacciano segni precisi di un’attenzione spirituale femmini-
le alla tematica, anche se con declinazioni tutte vittimali, legate a ciò che si
percepisce come uno stato di ‘assedio’ e di difficoltà strutturale della Chiesa
a seguito della ‘rivoluzione’.
La vicenda si inizia nel 1838 tra Bologna e Roma, quando il vicario del
Sant’Officio di Bologna, il domenicano padre Filippo Bertolotti, viene
sollecitato da un revisore locale ad esprimersi sul titolo di sacerdote che si
vuole attribuire a Maria in una imminente pubblicazione bolognese – fatta
ad opera di un gruppo di non meglio precisati devoti della Confraternita del
Sacco: si tratta della ristampa di un testo classico del culto a Maria, l’Ufficio
di Maria Santissima Addolorata di san Bonaventura44. La proposta su cui
l’inquisitore viene interpellato è di far precedere la ristampa del testo del
serafico dall’iscrizione di una preghiera alla Vergine, in cui appunto le si
attribuisce il titolo di sacerdote:
Alla Regina de’ martiri
Maria Vergine
che immota fortissima
appiè della Croce
del morente Suo Figlio divino
alla Giustizia Eterna
la Gran Vittima offriva
Madre e sacerdote […]45.

43
 ACDF, Materiae Diversae, 1842, 29; in copertina al fascicolo il riferimento esplicito al
fascicolo Rerum Variarum, 1913, 7, successivamente denominata Dev. V. 1913, 2.
44
  Cfr. De Compassione Beatae Mariae Virginis Officium Sancti Bonaventurae, Imola
1858.
45
  La sottolineatura è nel testo. E continua: «cui Gabriello Arcangelo/chiedeva se quella
fosse,/che infra le Donne/salutò Beatissima,/questo sacro rito/a venerar virtute cotanta/il
serafico Bonaventura componeva/dedicavano divotissimi /gli editori
O Maria Addolorata
tal veneravati il VII Pio
e alla cattolica Chiesa
IL CULTO ALLA «VIRGO SACERDOS» E LA QUESTIONE DEL SACERDOZIO FEMMINILE 199

Il revisore bolognese che solleva la questione sa perfettamente che un


esame della questione s’impone, in quanto i titoli attribuiti alla Madonna
devono essere approvati esplicitamente dalla Chiesa o usati dai Padri.
Un’istanza di padre Bertolotti viene allora trasmessa a due consultori della
Sacra Congregazione, cioè al generale dei domenicani Tommaso Giacinto
Cipolletti e a tale padre Turco, di cui non è dato sapere di più. Il fascicolo,
in realtà, conserva solo il parere del primo dei due consultori, con ogni
probabilità – come lasciano intendere alcuni cenni contenuti nella docu-
mentazione d’archivio – a causa della morte improvvisa dello stesso padre
Turco. Il voto del Cipolletti, inviato all’assessore del Sant’Officio monsignor
Domenico Cattani, giunge dal convento di Santa Maria sopra Minerva in
Roma alla fine del mese di marzo del 1838, ed è nettamente negativo; anche
se successivamente, nell’aprile del ’42, lo stesso Bertolotti, nella sua nuova
funzione di vicario del Sant’Officio a Pesaro, nel rispondere ad un dispac-
cio del cardinale segretario sosterrà di aver ricevuto fin dal gennaio del ’38
istruzioni precise sul divieto alla stampa dell’opuscolo, e di essersi attenuto
ad una «religiosa esecuzione degli ordini»46. Non siamo in grado di capire se
per questa discrasia si tratti di un difetto di memoria o di una lacuna nella
documentazione archivistica.
In tutta la vicenda è degno di rilievo il fatto che l’attributo di sacerdote
sia riconosciuto a Maria Addolorata, cioè alla Vergine dolorosa nel momen-
to dell’oblazione massima del Cristo, e nella ristampa di un classico come
l’ufficio del dottore serafico, che peraltro non utilizzò mai esplicitamente
questo titolo per il ruolo di Maria al Calvario. Secondo san Bonaventura,
come s’è visto, la Vergine svolge una funzione di oblazione solo al tempio,
al momento della Presentazione del Figlio, mentre quando si compie la vera
e propria «consummatio» del sacrificio di Cristo Maria darebbe soltanto il
suo consenso all’offerta. Qui evidentemente sta l’aspetto più chiaramente
storico-culturale della vicenda, ad attestare che progressivamente, e via via
sempre più procedendo verso il XIX secolo, l’accento sul ruolo di correden-
trice di Maria, di mediatrice nella Salvezza si era concentrato sul momento
della compassione ai piedi della Croce. Sembrerebbe dunque, questa, un’at-
tribuzione lato sensu a san Bonaventura sulla base di una sensibilità religiosa

pace gloria trionfo impetrava».


La proposta si precisa come Ufficio di Maria SS. Addolorata ristampato «da alcuni devoti
della Confraternita d. del Sacco».
46
 ACDF, SO, Materiae Diversae, 1842, 29, p. Filippo Bertolotti, lettera del 12 aprile
1842; il vicario sostiene pure di non aver mai più avuto notizia del testo o di pubblicazione
altrove.
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a lui posteriore; oppure dovremmo ipotizzare trattarsi di una circolazione


dell’idea del sacerdozio mariano che cerca di attribuirsi una patente di legit-
timità ricorrendo ad un’auctoritas riconosciuta?
Sta di fatto che l’analisi della quaestio fatta dal Cipolletti, che è anche
l’unica in questa vicenda, usa la stessa autorità di san Bonaventura per con-
futare l’ipotesi di utilizzo del termine per Maria: basandosi esplicitamente
sul nodo dell’esclusione femminile dal sacerdozio, cioè sull’«impedimentum
sexus», afferma l’impossibilità di attribuzione del titolo se non in forma
specifica. Punto di partenza nell’argomentazione è la distinzione, introdotta
da san Tommaso di Villanova47 evidentemente suggerita dal confronto con
le dottrine protestanti, tra tre diversi tipi di sacerdozio secondo le Scritture:
legale, evangelico e spirituale. Il sacerdozio legale nasce con Aronne, si affer-
ma, con la tribù di Levi, anche se va detto che anche prima della Legge era
possibile un tale sacerdozio, come infatti si dice di Melchisedech. Ebbene,
dall’onore sacerdotale in questo senso le donne sono escluse, perché –
osserva Cipolletti – Dio volle che il sacerdozio fosse ricoperto dal «sesso
più dignitoso», come attesta lo stesso serafico. San Bonaventura, infatti,
non solo non dissente da tutta la tradizione della Chiesa sul tema, ma addi-
rittura analizza in modo articolato la superiorità maschile distinguendone
i diversi ordini di motivazioni: «secondo il retto ordine» sul piano della
dignità dell’origine, infatti, della capacità e dell’efficacia dell’azione e infine
nell’autorità del presiedere l’uomo è costituito alla donna così come lo è il
capo al corpo.
Ma anche in materia di sacerdozio evangelico, ovviamente, le analisi di
san Bonaventura possono essere utilizzate efficacemente. Le stesse preroga-
tive per cui nel retto ordine l’uomo è superiore alla donna sono alla base
anche del sacerdozio evangelico: Cristo, infatti, pontefice sommo, conferì
solo agli apostoli la facoltà di consacrare il pane e il vino e di rimettere i
peccati. Il santo di Bagnorea dichiara che le donne non possono essere ordi-
nate sacerdoti «quoniam ergo mulier non potest esse caput viri», perché le
donne non possono mai essere capo di un uomo e sono quindi incapaci di
svolgere la funzione di capo così come indicato realmente e rappresentato
simbolicamente da Cristo; la persona ordinata significa il Figlio mediatore
e poiché il mediatore della salvezza fu solo di sesso maschile, solo «per esso
può essere significato». Lo stesso Epifanio, continua Cipolletti, attesta che vi
fu in questo un errore dei montanisti e dei pepuziani, che appunto attribu-

47
  Per una prima introduzione al pensiero di San Tommaso da Villanova e alle sue
riflessioni in tema di teologia mariana si vedano le pagine a lui dedicate in Testi mariani del
secondo millennio. V, pp. 222-231.
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ivano il sacerdozio anche alle donne48; se ne trova conferma anche laddove


gli «antichi canoni» attestano la presenza di diaconesse e sacerdotesse, che
in realtà erano solo donne vedove e anziane che ricevevano la benedizione e
amministravano alle mense. Se ne trova, inoltre, conferma nel fatto che tra
gli articoli di Lutero condannati da Leone X vi sia anche la tesi che laddove
non ci sia sacerdote i sacramenti possano essere amministrati da qualsiasi
cristiano «etiamsi mulier esset».
Se invece si considera il sacerdozio dal punto di vista spirituale, che con-
siste nella facoltà di offrire se stessi come ostie viventi («spirituales hostias»),
è evidente che si tratta di una facoltà che possiedono indistintamente tutti
i cristiani. In questo caso l’auctoritas a supporto è quella di sant’Ambrogio,
che nell’esporre il capitolo sesto (v. 1-5) del Vangelo di Luca, confronta
l’episodio in questione, e cioè il racconto dei discepoli che di sabato man-
giano spighe di grano, con quello di Davide che per fame entra nel tempio
e mangia i pani riservati ai sacerdoti, offrendone ai suoi compagni. E spiega:
«quod omnes vitam sacerdotalem debemus imitari», ma anche «quia omnes
filii Ecclesiae sacerdotes sunt»49.
Ebbene, così articolata la natura della funzione sacerdotale, la posizione
di Maria risulta rapidamente chiarita, anche se drasticamente ristretta: pur
discendendo dalla tribù regale di David e per questo ramo pure congiunta
al ramo sacerdotale di Levi (da cui infatti veniva la cognata Elisabetta), non
ebbe né il sacerdozio legale né quello evangelico, entrambi esclusivamente
maschili. Se il sacerdozio fosse stato comandato anche alle donne – sostie-
ne Cipolletti sulla scia di Epifanio – a nessuna donna meglio che a Maria
avrebbe potuto, anzi dovuto competere; e invece non le fu data la potestà
di battezzare, né di benedire, né di predicare. Per quanto colma di grazia
non ebbe mai neppure ai piedi della Croce un vero sacerdozio: neppure al
Calvario ebbe l’ufficio e il carattere (ecco ritornare la distinzione di Olier) di
sacerdote, perché tutto vi fu compiuto da Cristo, ostia e sacerdote perfetto. E
se è pur vero che Epifanio – e altri – la dicono sacerdote, «virginem appellat
velut sacerdotem pariter et altare», ciò non è per attribuirle il sacerdozio

48
 Su questo aspetto rinvio alle indicazioni contenute nella nota 22.
49
  ACDF, SO, Materiae Diversae, 1842, 29, Voto di padre Cipoletti. Il che è confer-
mato, secondo l’estensore, dal principe degli apostoli nella prima lettera e dallo stesso san
Bonaventura per cui «quia unusquisque corpus suum offert hostiam viventem». Val la pena
di sottolineare qui, sia pure senza alcun approfondimento, che una devozione e opera delle
«Hosties sacerdotales» fu oggetto d’indagine da parte del Sant’Officio nel 1934 e che non a
caso in essa si trovano aperti riferimenti alla Deluil Martiny: cfr. ACDF, SO, DEV.V. 1934, 2,
Hosties Sacerdotales. Ringrazio Benedetto Fassanelli per la segnalazione.
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legale, né tanto meno quello evangelico, né accreditando che Maria fosse


«adiutrice» del Figlio nel sacrificio, in cui Cristo non ebbe bisogno di alcun
aiuto50.
È indubbio solo che Maria ha ricevuto il sacerdozio spirituale, e in
modo più eminente di ogni altra creatura, essendo un’ostia di continua e
perfettissima lode, mortificazione e santificazione. Si recupera così, in qual-
che modo, la superiorità creaturale di Maria che, infatti, mostra dignità e
fortezza superiore al suo sesso; si dice: unita alla volontà di Dio al Calvario
offre la stessa vittima divina con animo virile, compiacendosi che il Figlio
fosse immolato per la salvezza del mondo. Quasi omettendo il nodo della
pienezza di grazia della Vergine, è evidente che il voto porta senza difficoltà
alcuna verso l’ammissione del titolo di sacerdote a Maria se inteso in senso
solo spirituale; la proposta finale del Cipolletti, tuttavia, ne rifiuta totalmen-
te l’utilizzo, dal momento che – posto come assoluto – esso potrebbe essere
interpretato come attributo proprio della Vergine.
In realtà, nonostante questo autorevole intervento negativo, il 14 maggio
1842 la Congregazione Particolare decise semplicemente per una «dilazio-
ne», che – allo stato delle ricerche – risulta essere rimasta aperta fino al
1913, quando ormai sul tema del sacerdozio di Maria si può dire si fosse
acceso un fuoco. Il fuoco che derivava anche dalle prime manifestazioni di
un esplicito desiderio femminile del sacerdozio, che aveva già trovato voce,
in particolare, in Thérèse de Lisieux:
Etre ton épouse, o Jésus, être carmelite, être par mon union avec toi la mère des âmes
devrait me suffire, il n’est pas ainsi. […] Je sens en moi la vocation de prêtre, avec quel
amour o Jésus je te porterais dans mes mains lorsque, à ma voix, tu descendrai du Ciel.
Avec quel amour je te donnerais aux âmes51!

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50
  Il voto si conclude poi con l’esame di un altro passo dell’iscrizione sub judicio, in cui
si attribuisce all’arcangelo Gabriele una inchiesta nei confronti di Maria come non la rico-
noscesse ai piedi della Croce per quella stessa cui a Nazareth aveva annunciato la maternità
divina.
51
 Traggo la citazione da D. Corsi, “Forme” del ministero sacro femminile, in Donne cri-
stiane e sacerdozio, p. xviii.

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