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LA NEOSCOLASTICA

Il primo novecento. Con l’Umanesimo e il Rinascimento, c’è stata una frattura tra la filosofia che veniva
insegnata nelle Università e quindi ancora molto sottoposto alle autorità ecclesiastiche e altre correnti di
pensiero al di fuori dell’università > infatti nella prima si studiava un aristotelismo cristianizzato tipico della
scolastica medievale (quindi Tommaso d’Aquino e Duns Scoto, principalmente), mentre al di fuori delle
università si studiavano Platone e Aristotele pagani + altre filosofie dell’antichità minori. Successivamente,
lo studio della natura portò ad una rivoluzione scientifica che demolì la fisica aristotelica e che esercitò un
enorme influsso sulla filosofia moderna > cominciarono ad aprirsi nuove Università non gestite dalle autorità
ecclesiastiche, quindi anche nuove correnti > a questo punto, le scuole superiori cattoliche si ritrovarono
isolate dalla cultura moderna e continuarono ad insegnare la scolastica eclettica che aveva il merito di non
ignorare completamente il pensiero moderno, ma che ormai non avevano un proprio vigore speculativo.
Alcuni docenti delle Facoltà ecclesiastiche sentirono l’esigenza di trovare o ritrovare una linea speculativa
propria > ad esempio alcuni docenti della facoltà di teologia a Tubinga cercarono di riflettere e discutere
sull’idealismo tedesco dell’800.

In Italia, nei primi decenni dell’800, abbiamo il canonico piacentino VINCENZO BUZZETTI (1777-1824)
che si riferisce ai testi di Tommaso e ne insegna la filosofia > con lui abbiamo dunque un ritorno al pensiero
medievale e i suoi insegnamenti cominciano ad influenzare il resto d’Italia, infatti nasce il neotomismo
napoletano. Questa risvegliata attenzione e adesione al pensiero scolastico e in particolare, al pensiero
tomistico, si trova in armonia con una tradizione rimasta sempre vive nell’Ordine domenicano. Infatti in
un’enciclica, papa Leone XIII impone alle scuole ecclesiastiche l’insegnamento della filosofia di Tommaso e
questo contribuì alla formazione di un movimento filosofico che vedesse con simpatia il medioevo (anche
suscitata dal romanticismo) che volesse contribuire a restaurare l’autorità, contro le tendenze liberali, ecc..

I problemi principali affrontati dai primi neotomisti sono 2: 1) il problema della conoscenza e 2) il problema
dell’uomo. A questo proposito, citiamo MATTEO LIBERATORE (1810-1892), il quale critica Cartesio, il
tradizionalismo, l’ontologismo di Malebranche, Gioberti e Rosmini. Parlando di Rosmini, Liberatore censura
anche il kantismo, anche se la sua conoscenza su Kant sembra piuttosto vaga. Comunque, per quanto
riguarda il problema della conoscenza, Liberatore afferma che la conoscenza è la presenza della cosa stessa
al soggetto ed espone la teoria dell’astrazione per spiegare l’universalità dei concetti e dei giudizi. Alla teoria
di Rosmini secondo la quale l’atto originario dell’intelletto è la sintesi fra l’idea innata dell’essere con i dati
della sensibilità, Liberatore oppone la teoria secondo la quale l’atto originario dell’intendere è un astrarre > a
questo punto, L distingue l’astrazione universalizzatrice dall’astrazione intesa come fanno gli empiristi, ossia
come semplice isolamento di un aspetto del dato (es il colore dalla forma).

Per quanto invece riguarda la concezione dell’anima umana, Liberatore la concepisce come la forma
sostanziale del corpo umano > è sicuramente una tesi scolastica, insostenibile, che però diventa la tessera di
riconoscimento dei neotomisti > infatti coloro che leggevano Tommaso, cercavano di discutere sui rapporti
anima-corpo che erano stati elaborati da Cartesio > questi studiosi continuavano a mettersi o dalla parte
dell’anima o dalla parte del corpo, senza capire che l’unico modo per davvero comprendere il rapporto è solo
il dualismo cartesiano e che comunque esso non si potrà mai comprendere fino alla fine se prima non si tiene
conto dell’unità sostanziale dell’uomo.

Anche TOMMASO ZIGLIARA (1833-1893) parla di conoscenza > cerca di dimostrare che la teoria di
Agostino e Bonaventura sulla luce intellettuale differisce dalla tesi dell’ontologismo e si accorda invece con
la teoria tomistca dell’astrazione dell’intelletto agente.

La neoscolastica di Loviano. Nella scuola di Loviano si affronta il problema sui rapporti fra scienza e
filosofia – e ciò inaugura una nuova fase della neoscolastica, la quale, per la prima volta, si apre
maggiormente alla filosofia moderna. La neoscolastica lovaniense nasce grazie ad una cattedra di “alta

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filosofia di Tommaso d’Aquino” fondata nel 1882 presso l’università di Loviano > essa è un’università che
comprende tante facoltà e gli studenti sono laici, quindi è ovvio che la cattedra sarà più aperta rispetto alle
cattedre romane. Il titolare della cattedra è DESIRE’ MERCIER (1851-1926) il quale cita spesso le frasi di
Tommaso in latino, ma conduce le proprie lezioni in francese, il che fa la differenza.

Come detto, Mercier comincia, con i suoi collaboratori, a discutere specialmente sui problemi che pongono
le scienze soprattutto le scienze biologiche, la psicologia sperimentale e le scienze fisiche. In stretto contatto
con la psicologia sperimentale dell’epoca, Mercier rivaluta la concezione tomistica dell’unità dell’uomo
contro il dualismo cartesiano e mostra come le concezioni materialistiche dell’uomo siano sorte come una
reazione allo spiritualismo (sempre cartesiano) > in fondo, è una ripresa della posizione di Liberatore, con la
differenza che Mercier si accosta meglio alla storia della filosofia moderna e alla correnti psicologiche
contemporanee. Egli abbandona poi le considerazioni sul valore della facoltà conoscitiva in generale e
importa la sua ricerca sugli atti conoscitivi – in particolare sui giudizi necessari e universali. A questo
proposito, confuta la teoria kantiana dei giudici sintetici a priori e afferma che le proposizioni matematiche
sono sempre dei giudizi analitici che non possono essere negati senza portare ad una contraddizione.

Una frase importante di Mercier è: “ l’esistenza di ciò che è contingente esige una causa” > poiché le nostre
sensazioni sono contingenti, ci dev’essere una causa di esse distinta da noi > la soluzione a questo quesito
presuppone una dualismo gnoseologico, cioè una concezione della coscienza chiusa e ammobiliata di idee,
che ne sono il contenuto (? Boh) > e questa era una concezione diffusa al tempo, condivisa anche dai
maggiori psicologici e filosofi dell’immanenza.

Joseph Maréchal (1878-1944). Egli parte dall’oggetto immanente e si propone di superare la filosofia
kantiana. Secondo Marechal, finché si è nel mondo dei concetti si è nell’ambito dell’oggetto immanente, ma
il giudizio/l’affermazione è un riconoscimento dell’essere > infatti, l’effetto proprio del giudizio è quello di
introdurre il dato in un rapporto di verità ontologica o di assumere il dato sotto l’idea trascendentale e
necessariamente oggettiva di essere: questo è. L’essere, che è il vero, è anche il fine della nostra intelligenza,
è ciò che le dà valore > ora, un fine non può esercitare una causalità se non è reale > nell’affermazione, il
soggetto intelligente ha dunque coscienza di essere determinato da una realtà che è insieme fine e valore. Ora
una tale realtà è la partecipazione dell’Essere che è Atto puro e supremo Valore. Marechal accetta dunque un
aspetto della Critica kantiana: la conoscenza oggettiva non è possibile senza l’apporto di un elemento che
non viene dal dato; ma per Marechal tale elemento non è la categoria: è l’affermazione dell’essere che
l’intelletto umano scopre come un riflesso o una partecipazione del supremo Essere.

Dopo di lui, c’è stato il suo discepolo L. NOEL (1878-1955) il quale si fece influenzare sia da Marechal che
da Husserl. Egli mise in rilievo il carattere della conoscenza come presenta immediata del reale. Infine
dobbiamo citare J DE TONQUEDEC (1868-1962), che si rifece molto alla tradizione aristotelica e scolastica
> egli come Noel, dice che la conoscenza è un dato che nessuna formula riesce a spiegare adeguatamente, ma
che ognuno trova comunque nella sua esperienza personale. Tuttavia, la descrizione più adeguata che può
definirla è quella secondo cui la conoscenza è un’apprensione dell’essere che è originariamente un vedere >
cioè il conoscere umano è un vedere in chiaro-scuro, dunque un vedere inadeguato ma che comunque c’è >
da qui la necessità del discorso, cioè del passaggio graduale e faticoso da nozioni estremamente generico e
confuse a conoscenze più specifiche, ma sempre perfettibili.

Gilson e Maritain. Sono due uomini che hanno contribuito in modo essenziale a far riconoscere la scolastica
come corrente di pensiero e non come una serie di dottrine imposte dall’autorità ecclesiastica.

ETIENNE GILSON (1884-1978) – storico della filosofia medievale, ha scritto monografie su Tommaso,
Bonaventura, Agostino e Duns Scoto > per quanto riguarda la sua filosofia teoretica, essa è strettamente
connessa alla scolastica medievale. Se la filosofia medievale si distingue da quella greca perché vede in Dio
non il foggiatore di una materia, ma il creatore, cioè la fonte di tutto l’essere > e Tommaso è l’unico ad avere

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il vero concetto di essere come esse/ come actus essendi e non semplicemente come aliquid, come essenza.
L’essenzalismo, cioè la concezione del reale come essenza, è il difetto in cui cadono più o meno tutte le
filosofie tranne quella di Tommaso. La riduzione dell’essere a essenza è l’errore di gran parte delle filosofie
moderne fino a Wolff. La metafisica dell’essere è secondo Gilson la metafisica dell’Esodo, poiché nel
capitolo III, 15 dell’Esodo, Dio si rivela a Mosè come Colui che è. L’ispirazione biblica della metafisica
medievale è sottolineata da Gilson, che ha sempre sostenuto il concetto di filosofia cristiana, cioè di una
filosofia alla quale i dogmi cristiani portano un contributo alle dottrine e non solo un atteggiamento di
spirito.

JACQUES MARITAIN (1882-1973) giunge alla filosofia tomista attraverso una conversione religiosa >
cerca di trovare nella filosofia tomista un significato che possa essere rivissuto anche oggi, nel mondo
contemporaneo. Egli elabora un’estetica e una filosofia politica ispirata a Tommaso > per quanto riguarda
quest’ultima, Maritain venne accusato di eterodossia, perché difendeva l’autonomia dello Stato e la libertà
religiosa, professando una decisiva avversione verso i regimi che si servono della religione come uno
strumento per regnare e il suo rispetto per ogni autentico valore umano, anche se si realizza fuori o contro la
Chiesa istituzionale. Per ciò che riguarda le sue idee più strettamente filosofiche, ricordiamo la sua
affermazione sul valore oggettivo della conoscenza umana, lo sforzo di inserire la scienza moderna (le varie
scienze) in un quadro del sapere che ne sottolinei insieme la distinzione e i rapporti con la filosofia, il
primato della metafisica sulla teoria della conoscenza. La prima verità a noi nota, e implicita in ogni atra, non
è il cogito, ma aliquid est, e l’essere che cogliamo non è il contenuto di un’idea, ma l’essere esistente.

La neoscolastica italiana. In Italia il primo neotomismo rimane chiuso nelle Università ecclesiastiche e nei
seminari, fino a quando non fu ripreso da un gruppo di intellettuali che Agostino Gemelli (1878-1959)
chiamò all’Università Cattolica del S. Cuore, fondata da lui a Milano nel 1921 > nel 1909 aveva già fondato
la “Rivista di filosofia neoscolastica” che si ispirava alla corrente lovaniense. Al tempo in Italia dominava
l’idealismo neohegeliano e la neoscolastica milanese propose di discutere e dialogare con quest’ultimo sul
terreno della storia della filosofia e nella filosofia teorica. Fra i vari nomi, ricordiamo:

EMILIO CHIOCCHETTI: aveva studiato in Germania, per cui conosceva apprezzava l’idealismo tedesco >
tuttavia, aveva il carattere giusto per saper accogliere anche le altre filosofie, come quelle di Croce e Gentile
+ egli, essendo un francescano, andava per Bonaventura, Duns Scoto, un po’ di Tommaso e Rosmini.

FRANCESCO OLGIATI: secondo lui la filosofia moderna era o idealistica o fenomenistica – ma in ogni
caso si opponeva alla metafisica classica, ovvero alla metafisica dell’essere (la quale era così inconciliabile).
Egli era poi convinto che ogni filosofia fosse rigorosamente deducibile da una tesi fondamentale, o anima,
come egli la chiamava e che, quando tale tesi non era accettabile, allora non era accettabile nemmeno tutta
quella filosofia. dunque da qui una cerca rigidezza nel valutare i filosofi.

ANTONIO MASNOVO: per lui la filosofia non era l’esercizio di un’abilità dialettica, ma lo sforzo di
risolvere il problema della vita, o meglio, il problema riguardante il significato della vita umana. Da questo
nasce in primo luogo il problema di dio > questo problema, in filosofia, non si pone a partire direttamente dal
concetti di dio, ma si parte dall’esistenza di un esistente per vedere se questo rimandi necessariamente ad un
Altro e se a quest’Altro si possa dare il nome di Dio. Inoltre, in filosofia, dio si trova per la prima volta come
un predicato e non come un soggetto > ma da quale esistente bisogna partire? Bisognava partire dal “mio hic
et nunc diveniente atto di pensiero” e a questo applicava anche il principio secondo cui ciò che diviene non
ha in sé la ragion sufficiente del suo divenire (quindi poi si concludeva con l’esistenza di un Indiveniente).
Egli seguiva poi Tommaso nel dedurre gli attributi divini da questo primo concetto di Dio .

Infine, per quanto riguarda la metafisica, egli diceva sempre che il suo problema era un problema di merito,
mentre il problema della gnoseologia era un problema di procedura > nella metafisica si parte da una verità
di fatto/da un giudizio di esistenza: c’è il mio hic et nunc diveniente atto di pensiero > da questa esperienza

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vengono astratte le nozioni di ente e di divenire > poi sulla nozione di ente di formulano i principi di non
contraddizione e causa efficiente, mentre dal principio di ragione sufficiente applicato all’ente diveniente, si
formula il principio di causalità. Dalla giustificazione delle verità di fatto (ordine reale) si passa alla
giustificazione delle verità necessarie (di ordine ideale) > Masnovo chiama questa procedura
“subordinazione realista” e in tutto ciò dice che si possono giustificare in concreto solo certe determinate
affermazioni, ma mai la verità della conoscenza in generale > se infatti volessimo giustificare la conoscenza
in generale, si potrebbe, al massimo, dimostrare la possibilità della conoscenza della verità (non sempre
infatti l’uomo è nella verità) e da tale possibilità non si potrebbe dedurre che una determinata conoscenza è
vera.

Per quanto riguarda i rapporti filosofia-religione, Masnovo si rifà molto alle Confessioni di Sant’Agostino, in
cui ci presenta una filosofia che va al cristianesimo, cioè una filosofia che assoda alcune verità fondamentali
ma che lascia l’uomo ancora disorientato sulla via da intraprendere finché una mano non lo aiuti a
aggiungere la meta per sentieri che non sono più quelli della speculazione razionale.

GIUSEPPE ZAMBRONI > insegnava Gnoseologia all’UCSC ed era un filosofo analitico > per analitico
intendiamo l’atteggiamento volto a ricercare i dati immediati che stanno alla base dei nostri concetti e
giudizi. Egli fu molto influenzato da Brentano > infatti ha in comune con lui:

- La convinzione che la filosofia sia un sapere scientifico e affine alle scienze particolari
- La tesi che i dati dai quali deve partire la filosofia sono i fatti di coscienza e che questi solo sono
immediatamente evidenti. È vero che certe qualità sono date come distinte dall’io > è vero, ad
esempio, che io posso dire “la tensione del muscolo che sto sentendo è mia” o “io sono rosso” o “io
suono”, ma tali qualità sono sempre e solo dati fenomenici, ma non mi sono dati come enti nel senso
forte

Per ente Zambroni intende un soggetto fornito di un proprio actus essendi > e quest’atto di essere è colto solo
nell’io (e più precisamente, nell’atto di volontà). quando poi il soggetto ha colto l’essere in sé, è in grado di
riconoscerlo anche nell’altro, in tutto ciò ce offre una resistenza all’atto di volontà.

GUSTAVO BONTADINI (appartiene alla seconda generazioni dei neoscolastici milanesi) > egli più che
neoscolastico, preferiva definirsi neoclassico perché, anche se voleva conservare il patrimonio della
scolastica tradizionale, si rifaceva idealmente alle fonti classiche di questo pensiero, ovvero alla filosofia
greca (in particolare a Parmenide). Bontadini parte da alcuni studi di Giovanni Gentile e di quest’ultimo
accetta il superamento del dualismo gnoseologico (predominante nella filosofia moderna da Cartesio a Kant),
secondo la quale l’essere è al di là del pensiero. Nella gnoseologia di Gentile, Bontadini vede riemergere la
tesi classica dell’identità fra pensiero ed essere nell’atto conoscitivo > però non accetta quell’idealismo
secondo cui c’è un’unità dell’esperienza che si identifica con la totalità del reale > secondo lui l’unità
dell’esperienza è l’esperienza nella sua attualità ed obiettività, cioè è la realtà presente > e la realtà presente
coincide con l’unità di pensiero ed essere. inoltre, l’unità dell’esperienza, essendo sempre diveniente,
rimanda necessariamente ad un Essere trascendente.

Il problema del trapasso dell’esperienza ha occupato la seconda fase del pensiero di Bontadini: tale trapasso
è compiuto tramite il concetto di essere e il principio che lo esprime > la neoscolastica (e la scolastica) non
avevano finora avuto l’esigenza di semantizzare il termine essere, a parte dichiarare che l’essere è
indefinibile perché è quello in cui si risolve ogni altro conetto > invece Bontadini ritiene necessaria la
semantizzazione del termine e afferma che il significato del termine essere emerge solo in correlazione al
significato del non > in altri termini: non vi è nessun contenuto intenzionale del termine essere, se non in
quanto esso esprime l’opposizione al negativo > negativo non inteso come il semplice non-essere di
qualcosa, ma inteso come nulla. Il principio fondamentale della metafisica, che Bontadini chiama principio
di Parmenide, è l’essere che non può essere limitato dal non essere > ora, nell’esperienza del divenire è

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implicita l’esperienza del nulla > la mente umana è folgorata dalla luce metafisica, quando riconosce che
l’insidenza del nulla, che affligge la realtà dell’esperienza tutta quanta, non può essere originaria. È
necessario dunque trascendere l’esperienza e affermare dell’esistenza di un Immutabile > e ciò si connette
poi alla dimostrazione dell’esistenza di dio

CORNELIO FABRO > egli unisce Tommaso ad una sua approfondita conoscenza della filosofia moderna e
contemporanea > in particolare, per quanto rigurda il concetto tomistico di essere, egli lo connette ad
Heidegger. Fabro è d’accordo con Heidegger nell’affermare che nella tradizione occidentale c’è un oblio
dell’essere, una dimenticanza della differenza ontologica (cioè la differenza fra ente ed essere), ma questo
oblio non lo ritroviamo in Tommaso > cioè secondo Fabro questo oblio della differenza ontologica (e dunque
oblio dell’essere) lo ritroviamo nella scolastica (ad esempio in Duns Scoto), nella filosofia moderna e
contemporanea, ma non lo troviamo in Tommaso. L’errore è stato quello individuato da Gilson:
l’essenzialismo > però a differenza di Gilson, Fabro distingue fra esse ed esistenza > a questo proposito,
Fabro pensa che la scolastica reputi l’esistenza come l’uscire dalla possibilità/il venire ad essere (che è un
concezione errata), mentre Tommado concepisce l’essere come l’atto di ciò che è > dunque il puro essere è
un puro atto/un’infinita energia di essere > invece l’essere finito è l’atto di un’essenza, partecipato all’Essere
sussistente. Dunque il concetto di esse è legato al concetto di partecipazione > la partecipazione dell’essere
agli enti è la creazione; questa è la differenza fondamentale fra la concezione tomistica della partecipazione e
le concezioni neoplatoniche di Plotino, Proclo dalle quali pure Tommaso ha tratto profitto.

Per finire, se vogliamo trovare dei tratti comuni che troviamo in tutti i filosofi della neoscolastica, allora essi
sono:

1) La fede religiosa, che è quella cattolica > tutti questi filosofi si domandano quanto tale fede sia
giustificabile razionalmente, ma non fanno della loro fede un premessa/un ingrediente del discorso
filosofico (a differenza delle correnti filosofiche cristiane).
2) La valorizzazione del mondo creato, della natura e del mondo corporeo > in questa concezione,
l’uomo è inserito nella natura corporea, anche se non è sommerso da essa > da qui l’importanza data
alle scienze particolari/della natura.
3) La concezione della filosofia come philosophia perennis, concezione che può essere intesa in diversi
modi: dall’affermazione che la verità filosofica è già stata tutta scoperta e che occorrerebbe allora
solo impararla alla persuasione che non si siano solo le filosofie, opere dei grandi pensatori, ma
anche la filosofia come opera dell’umanità, opera sempre abbozzata e mai finita > un’opera che
presuppone il lavoro dei predecessori, nella quale una vena resta identica anche sotto le revisioni e le
negazioni che la storia presenta.

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