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TOMMASO D'AQUINO
Il futuro del pensiero cristiano
MONDAD ORI
Il nostro indirizzo Internet è
http:/www.mondadori.com/libri
ISBN 8 8-04-43423-6
TOMMASO D'AQUINO
Ringrazio il dottor Paolo Carlani, dell'università Lateranense, per
la attenta revisione delle bozze e ancora di più per i preziosi sugge
rimenti che mi ha fornito durante la redazione di questo libro.
Prologo
7
originale e coerente filosofia, per cui dovrebbe interessare gli
storici della filosofia e i filosofi di professione, se non altro
perché da Tommaso ha preso l'avvio una scuola filosofica -
il tomismo - che, con alterne vicende, non ha mai cessato di
esistere e che dunque vanta ben sette secoli di vita. I cattoli
ci, poi, non possono ignorare che da Leone XIII in poi la
Chiesa ha raccomandato lo studio della filosofia «secondo il
metodo e i principi di Tommaso » . Nonostante ciò - o forse
proprio per il carattere tradizionalista e " ufficiale" assunto
dal tomismo tra Ottocento e Novecento - pochi in Italia si
interessano della filosofia tommasiana, e pochissimi hanno
letto qualche pagina delle sue opere. Nella scuola italiana,
nell'elenco dei "classici" da leggere per integrare lo studio
storico della filosofia, Tommaso compare certamente, ma
non è quasi mai scelto dai docenti di storia e filosofia, che si
limitano a far leggere Platone (sempre) , Aristotele (qualche
volta) e magari anche Agostino, ma non Tommaso. È questo
il motivo per cui di Tommaso le persone colte, e anche nu
merosi filosofi di professione, ripetono stereotipi moltO\su
perficiali e spesso anche del tutto falsi, come quello per cui
Tommaso avrebbe "battezzato" Aristotele, costruendo così
una filosofia subordinata alla teologia ("philosophia ancilla
theologiae"), priva pertanto di autonomia scientifica e di in
teresse critico per l'uomo di oggi. Sono esattamente le mede
sime false nozioni storiografiche contro le quali combatteva
Gilson agli inizi del Novecento: la verità, evidentemente, tar
da a farsi strada.
Luoghi comuni, stereotipi, ignoranza dei testi e del conte
sto storico spiegano questa lacuna nella cultura filosofica del
Novecento italiano (dico " italiano" perché altrove alcuni in
tellettuali laici hanno studiato e fatto conoscere Tommaso
negli ambienti culturali più influenti: così in Francia lo stori
co della filosofia Étienne Gilson dell' Académie française e il
filosofo della politica Jacques Maritain, autore di Humani
sme intégral; così in Inghilterra lo scrittore Gilbert K. Che
sterton e il presidente della British Academy, Sir Anthony
Kelly; così in Germania il filosofo moralista Josef Pieper e ne
gli Stati Uniti il filosofo sociale Alasdair Maclntyre). Ma, sic
come è una lacuna che non giova al prestigio della cultura
italiana né favorisce lo sviluppo della ragione critica, è quan-
8
to mai necessario riscoprire la figura e il pensiero di Tomma
so, e per questo ritengo utile ora ricordare con la massima
oggettività gli elementi biografici e dottrinali che sostanziano
la proposta filosofica del grande pensatore medioevale, rin
tracciandone l'eredità nelle vicende del pensiero occidentale
dal Duecento ai nostri giorni.
Perché Tommaso è davvero, per gli storici della filosofia e
per i cultori della filosofia teoretica, una figura con cui occor
re assolutamente confrontarsi. Se Heidegger lo avesse cono
sciuto, se si fosse confrontato con lui, ben diverso sarebbe
stato il suo giudizio sulla storia del pensiero occidentale e ben
diverse sarebbero state le sue proposte teoretiche (come ve
dremo alla fine, pp. 1 92-95 ) . Se Emanuele Severino lo avesse
compreso (perché, conoscerlo, l'ha conosciuto bene alla
scuola di Gustavo Bontadini nei lunghi anni passati all'uni
versità Cattolica di Milano), non potrebbe essere così chiuso
nel suo monismo razionalistico che esclude il divenire, la
creazione, Dio.2 Se Edmund Husserl avesse seguito la strada
del collega Franz Brentano ( buon conoscitore di Tommaso) ,
l a scuola fenomenologica non avrebbe avuto l a sola eccezio
ne di Edith Stein nella via del recupero di un vero realismo
metafisica (si veda, più avanti, pp. 1 62-65). Se i fautori del
"pensiero debole" o "postmetafisico" si confrontassero con
la metafisica non razionalistica di Tommaso, non avrebbero
come unica alternativa il sistema idealistico con la sua inne
gabile vocazione alla violenza totalitaria.
9
grande per il modo e il motivo per cui l'ha detto. Additare
Tommaso come maestro significa essenzialmente additarne
lo spirito e il metodo, chiave del progresso autentico del sa
pere filosofico di oggi. Più importante di quanto ha scritto è
il suo atteggiamento spirituale, il "perché", l'intentio pro
fundior con la quale ha studiato la verità umana e rivelata.
La sua validità è dovuta principalmente alle disposizioni in
teriori che animano la sua ricerca. Come dice bene Luigi Bo
gliolo,
10
nessere sociale di cui godeva la sua famiglia. In tale disposi
zione rimarrà sempre, anche quando, ormai celebre, saprà
opporre un netto rifiuto alla proposta di diventare arcivesco
vo di Napoli.
D'altra parte, la quantità e la qualità dei suoi scritti testi
moniano una straordinaria forza di volontà, i cui segni alcuni
studiosi credono di poter scorgere persino nell'illeggibile gra
fia (tormento dei paleografi ) , nella violenta rapidità di una
scrittura che sfuma al massimo le sagome dei segni grafici,
quasi per lasciare libero sfogo all'impeto dell'ispirazione che
urge dentro. Il rigoroso controllo dell'espressione e la serena
compostezza dello stile, allo stesso tempo, rivelano l'ascetico
dominio della sua emotività, l'ansia di non ostacolare il gra
duale e paziente disvelamento della verità. Ma l'opera di
Tommaso non è solo un miracolo di volontà; è più ancora un
miracolo di carità. Forse pensava proprio a sé quando scrive
va: <<Come la lucerna non può splendere se non viene prima
accesa con il fuoco, così la l ucerna dello spirito non p uò
splendere se prima non arde e si infiamma del fuoco della ca
rità . E perciò l'ardore precede l'illuminazione, perché, me
diante il fuoco della carità, viene comunicata la conoscenza
della verità » .s
Ciò che più meraviglia, peraltro, è il fatto che una persona
lità tanto forte e dotata sia riuscita a mettersi in ombra deli
beratamente per servire meglio e sempre la verità. Tommaso
è grande perché ha saputo farsi piccolo; la grandezza del suo
insegnamento è proporzionale alla sua sincerità, alla sua coe
renza, alla sua umiltà nel servire il vero. Ha rinunziato a sé
per dedicare tutte le sue energie a fare di questo servizio alla
verità il più alto servizio di carità (richiamandosi a lui, nel
l'Ottocento, Antonio Rosmini additava come ideale cristiano
la «carità intellettuale>> ) . Questa ascesi cristiana nella ricerca
del vero ha fatto di lui un genio universale che abbraccia ogni
tempo e ogni luogo: non nel senso che abbia detto tutto, ma
nel senso che non esclude nulla di vero. La sua apertura al ve
ro è quella della mente umana che si identifica con lo spirito
universale del cristianesimo.
La verità, infatti, si rivela gradualmente nella storia, ma
trascende la storia; anche se dobbiamo cercarla nel mondo, è
superiore al mondo: supera i limiti dello spazio e del tempo;
11
non è solo occidentale, sebbene sia anche in Occidente, non è
solo medioevale sebbene sia anche nel Medioevo. La cattoli
cità di Tommaso è la sua vera grandezza : ha fatto suo il me
todo naturaliter cattolico della mente umana, nella ricerca
sincera, perseverante e disinteressata della verità. È impossi
bile mettere Tommaso in opposizione antagonistica con le al
tre forme di pensiero perché non si trova mai in opposizione
con alcuna. Le supera o le anticipa almeno virtualmente per
ché ne accoglie e ne include i valori con la sua disponibilità
che non esclude nemmeno quelli che la pensano diversamente
da lui.
12
de Chardin: poi il tempo gli diede abbondantemente ragione
in queste e in altre questioni ) .
Siccome i n Italia i l massimo esperto del pensiero kierke
gaardiano è stato proprio un tomista, Cornelio Fabro, e sic
come Fabro (come anche, dietro a lui, Giuseppe Mario Pizzu
ti) ha trovato sorprendenti coincidenze di pensiero tra
Kierkegaard e Tommaso d'Aquino, posso interpretare la coe
renza vitale di Tommaso con la concezione kierkegaardiana
del "reduplicare" : « Reduplicare è essere ciò che si dice. È in
finitamente più utile agli uomini chi fa quello che dice di chi
parla sempre con enfasi » .? Kierkegaard pensava a Socrate,
che fondò la filosofia in una unità profonda di pensiero e vi
ta. L'intellettuale alienato nella speculazione pura, così come
l'ideologo preso dai suoi giochetti verbali- mentre la realtà si
muove per proprio conto- guarderanno sempre a questa esi
genza come a una romantica ingenuità.
Non è in causa la validità del sapere scientifico, ossia l'og
gettività: è in causa l'arbitraria illazione del pensatore ogget
tivo, che non mette in discussione se stesso ma si colloca
idealmente in una posizione esterna e neutrale, e crede di pe
netrare in questo modo la realtà. Per poter « essere quel che si
dice>> occorre invece buttarsi nella mischia di un sapere esi
stenziale: «Zavorrare la riflessione con il peso del reale» e al
tempo stesso mantenerla in tensione
.. aperta verso la trascen-
denza.
Nel Novecento francese, Emmanuel Mounier legge queste
parole di Kierkegaard: «Il compito del pensatore soggettivo è
di comprendere se stesso nell'esistenza . . . e di trasformare se
stesso» . s E ne deduce che è inutile proporsi in astratto la que
stione dell'essere uomo se non si cercano, calandosi fino in
fondo nella propria situazione esistenziale, le vie concrete per
vivere da persona, uomo responsabile e libero.9 La « redupli
cazione» è possibile quando una verità, un v alore - senza
perdere la sua trascendenza - diventa «verità per me» : punto
di addensamento delle risorse individuali e di identificazione
di quell'io che si vuole essere, dunque forza propulsiva del
mto agtre.
Certo, quando si parla di «verità soggettiva » è facile scivo
lare nell'ambiguità. Mounier però risolve la questione con
molto equilibrio: la verità e i valori, radicati come sono nella
13
persona trascendente di Dio, « non sono soggettivi, in quanto
non dipendono dalle particolarità epidermiche di un dato
soggetto» e lo sono in quanto «non esistono che in relazione
ai soggetti» . lO Il valore oggettivo risulta edificante per la per
sona che fa filosofia in quanto è il riverbero della Persona
fondante: ed è per questa profonda relazione intersoggettiva
fra l'uomo e Dio che la verità e il valore possono risuonare
con forza nell'interiorità umana. Dunque,
14
non vivere la nostra vita con serietà (Kierkegaard) , di evadere
dall'angoscia rifugiandoci nel mondo del «si dice>> abitudina
rio e conformistico (Heidegger) oppure di adeguarci furba
mente al mondo dei «farabutti >> (Sartre) .l5
15
1
17
ciò che è specificatamente occidentale ha avuto la sua confi
gurazione definitiva proprio in questo secolo, e precisamente
attraverso lo stesso Tommaso d'Aquino » .1
Qualcuno ha pensato che il Duecento sia stata un'epoca di
equilibrio armonico, di ordine stabile e di solida affermazio
ne politica della cristianità. Ma almeno nel terreno culturale
questo pensiero non riflette la realtà dei fatti. Lo storico bel
ga della filosofia Fernand Van Steenberghen parla del Due
cento come di un secolo di «crisi dell'intelligenza cristiana » ;2
e in Gilson (che pure fu in disaccordo con Van Steenberghen
in quasi tutto) si legge: «<l mondo poteva scorgere che stava
per verificarsi una "crisi " >> .3 Ma, in concreto, in che cosa
consisteva questa crisi? In primo luogo, è necessario ricorda
re che il Sacro Romano Impero, sorto con il re franco-germa
nico Carlo Magno nel secolo IX, da allora in poi era stato in
cessantemente assediato dall'Islam e minacciato dalle orde
asiatiche (il 1241 è l'anno della provvidenziale disfatta dei
mongoli a Liegnitz) , e di conseguenza la cristianità del Due
cento è fortemente condizionata dal fatto di riconoscersi mi
noranza in mezzo a uno sconfinato mondo non cristiano.
L'Oriente pagano, ricco di cultura e di scienza, preme inces
santemente alle frontiere, e non soltanto quelle geografiche.
Nel cuore dell'Asia, nel Karakorum, verso il 1 253-54, alla
corte del gran khan si svolge un dibattito celebre tra due frati
francescani e alcuni religiosi maomettani e buddisti. Forse in
questo caso si può parlare, come è stato fatto, di un compito
missionario intrapreso quasi per sbaglio; ma, in ogni caso,
nel Duecento la cristianità si vede sfidata ben oltre le sue
frontiere geografiche. Già da quattro secoli il mondo islami
co, che aveva invaso l'Europa, si era imposto non soltanto
per il suo potere militare e politico, ma anche per la sua filo
sofia e la sua scienza che, per mezzo delle traduzioni dalla
lingua araba a quella latina, si erano installate in buona parte
nel cuore della cristianità, per esempio nell'università di Pari
gi, dove poi troveremo Tommaso d'Aquino. È anche vero che
questa filosofia e questa scienza non erano propriamente di
origine e di carattere islamici; trasmettevano piuttosto l'anti
ca sapienza greca, soprattutto quella di Aristotele, penetrata
nel mondo intellettuale dell'Europa cristiana attraverso vie
politico-militari; ma in ogni modo rappresentano per l'Occi-
18
dente cristiano soprattutto qualche cosa di strano, di nuovo,
di pericoloso, in quanto "pagano" . Nello stesso tempo la cri
stianità del Duecento subisce in politica un radicale perturba
mento, entrando definitivamente « in una età in cui cessa di
essere una unità teocratica>>;4 basti ricordare che nel 1 2 1 4
per la prima volta un re di quelle che saranno poi le nazioni
europee vince niente di meno che l'imperatore nella battaglia
di Bouvines. Nello stesso periodo iniziano le guerre di religio
ne dentro la stessa cristianità, e furono guerre combattute
con inimmaginabile crudeltà; con l'eresia degli albigesi (cata
ri e valdesi) per alcuni decenni il cattolicesimo romano sem
brò avere perduto definitivamente il Sud della Francia e il
Nord dell'Italia. L'antico monachesimo, considerato come
baluardo spirituale, sembrava aver perduto anch'esso gran
parte della sua forza come istituzione, considerato cioè nella
sua totalità, malgrado tutti gli eroici tentativi di riforma
( Ciuny, Citeaux ecc. ) . E per ciò che si riferisce ai vescovi, un
rispettabile priore domenicano belga ( forse condiscepolo di
Tommaso durante il tirocinio a Colonia presso Alberto Ma
gno) poté scrivere il seguente apologo: nel 1 248 a Parigi un
chierico doveva predicare davanti al sinodo dei vescovi, e
mentre stava cercando un argomento appropriato, gli appar
ve il demonio che gli disse: << D i ' loro solamente questo: i
prìncipi delle tenebre infernali salutano i prìncipi della Chie
sa . Li ringraziamo sentitamente per averci inviato tanti fedeli
che erano stati loro affidati; infatti, grazie alla loro negligen
za, quasi tutto il mondo è ora sotto il potere delle tenebre».
Impero e papato
19
no dell'intronizzazione dell'eletto { 8 luglio 10 48) . Le cose
cambiano con l'elezione di Innocenzo IV {il genovese Sinibal
do de' Fieschi, che fu eletto papa nel 1 243 ), il quale arrivò a
deporre solennemente il più grande degli imperatori, quel Fe
deriço II di Svevia che aveva trasferito la sua sede nella fasto
sa reggia arabo-normanna di Palermo; il fatto clamoroso del
la sua deposizione da p arte del papa avvenne durante i l
concilio di Lione i l 1 7 luglio 1 245, giusto due secoli dopo l a
deposizione dei tre papi da parte d i Enrico III: segno d i un ra
dicale mutamento negli equilibri di forza all'interno della cri
stianità. Il Duecento terminerà infatti con il pontificato di
Bonifacio VIII, il massimo teorico della supremazia del papa
sull'imperatore:s disegno teocratico irrealizzabile e che di fat
to non si realizzò, ma pur sempre risultato di un'evoluzione,
segnata da aspri conflitti, avvenuta proprio nel Duecento,
non senza l'apporto fondamentale di Tommaso {sua è infatti
la proposta di un'equilibrata terza via o via media tra guelfi e
ghibellini, proposta che sarà poi sviluppata dal domenicano
tomista Jean de Paris nel suo trattato De potestate regia et
papali, pubblicato agli inizi del Trecento per contrastare le
tendenze teocratiche di Bonifacio VIII).
20
alcuna eccezione frati mendicanti. Nulla viene considerato
" terminato", tutto è in ebollizione. Alberto di Colonia trac
cia sul futuro questo ardito panorama: << Scientiae demonstra
tivae non omnes factae sunt, sed plures restant adhuc inve
niendae», la maggior parte del sapere scientifico è ancora da
scoprire. 6 Anche negli ordini mendicanti nasce l'impulso di
penetrare efficacemente nel mondo d'oltrefrontiera. Mentre
Tommaso scrive la sua Somma contro i Gentili per il dialogo
con << mahumetistae et pagani)) ,l i suoi confratelli domenicani
fondano le prime scuole cristiane in lingua araba. Abbiamo
detto prima che sono frati mendicanti coloro che disputano
nel Karakorum con maomettani e buddisti. Ed è un france
scano che, verso la fine del secolo, traduce in lingua mongola
il Nuovo Testamento e i Salmi, facendo dono della relativa
traduzione al gran khan; ed è lo stesso frate (il napoletano
Giovanni di Monte Corvino) a edificare proprio a Pechino,
vicino al palazzo reale, una cattedrale, diventandone il primo
arcivescovo. L'esempio di Francesco d'Assisi e di Antonio da
Lisbona (che tentarono entrambi di evangelizzare le popola
zioni del Nordafrica ) era stato eloquente.s
Proprio per questi diversi fattori, nel considerare il Due
cento si può dire che la storia del pensiero vi si trova in tutta
la sua polifonia, e che in quel secolo si è conseguito per un
breve spazio di tempo un accordo e una " perfezione classica"
durati per tre o quattro decenni. Gilson parla di una specie di
<< straordinaria serenità)).9 E tale momento, anche se è passato
e in nessun modo può rivivere, nella coscienza storica della
cristianità occidentale può essere il paradigma e il modello
che, sotto mutate condizioni e pertanto in una nuova formu
lazione, dovrebbe ispirare la ricerca del bene comune attra
verso le arti, le scienze, la cultura, la tecnica. La Divina Com
media di Dante è il primo anello della "grande catena" che
tuttora ci lega al Duecento.
21
sioni barbariche, era sfociato nel feudalesimo. Essa aveva da
to l'anima a un'economia di potere fondiario in cui il mona
stero era la replica religiosa del castello del signore feudale e,
ancora di recente, il monastero di Cìteaux (da cui nasce il ra
mo cistercense dei benedettini), pur rinunciando ai benefici
feudali, aveva rinnovato questa alleanza con la terra . Essa
aveva sacramentalizzato il giuramento che fissava i legami di
tale società, ed esaltava insieme alla fedeltà (virtù tipica del
Medioevo feudale) anche le virtù evangeliche della giustizia e
della carità. Essa benediceva le armi del cavaliere peréhé fos
sero poste, sotto pena di spergiuro, «al servizio delle vedove,
degli orfani, di tutti i servi di Dio, contro la crudeltà dei bar
bari » . La cavalleria - geniale invenzione cristiana - diventava
così un'istituzione di pace: gli ordini religiosi cavallereschi (i
templari, i cavalieri del Santo Sepolcro), pur tra luci e ombre,
sono un episodio di eroismo ascetico; la Chanson de Roland
e il Cantar de mio Cid, senza voler presentare eroi cristiani
perfetti, manifestano la penetrazione del senso religioso fin
dentro la brutalità di quell'epoca piena di violenze ( come
pertanto ogni altra epoca anteriore o successiva).
Nel regime della fiscalità feudale la Chiesa aveva creato,
con i beni che le fornivano le decime, un servizio di sicurezza
sociale, cioè una concreta politica della misericordia che in
terveniva automaticamente nelle frequenti calamità e rime
diava quasi a livello giuridico al costante squilibrio sociale
della distribuzione dei beni. L'ospitalità, organizzando sotto
forma di costume il consiglio evangelico, estendeva alla vita
quotidiana degli scambi, dei viaggi e di ogni sorta di imprevi
sti i vantaggi di questo diritto sociale. Le scuole di studi giuri
dici e teologici, nate all'ombra dei monasteri e delle chiese,
alimentate dal punto di vista intellettuale e finanziario dai
chierici, vivevano spontaneamente sotto la giurisdizione ec
clesiastica che fissava i programmi e dirigeva l'economia. In
breve, la Chiesa era diventata il supporto e la garanzia di una
società di cui essa stessa era la prima beneficiaria: in fondo è
questa la nozione storica di «cristianità » . Un successo di due
secoli (ossia a partire dall'anno Mille) dava credibilità a que
sto impegno. In più le gerarchie ecclesiastiche si opponevano
alle aspirazioni che minacciavano l'ordine stabilito, e la soli
darietà che teneva uniti prelati e signori feudali con i legami
22
di una stessa tradizione e di una stessa agiatezza provocava,
per via di interessi economici, una certa resistenza passiva.
Soddisfatte della carità organizzata di cui tenevano salda
mente in mano le leve, poco si interessavano delle evoluzioni
in atto nello strato sociale degli artigiani e dei contadini. Ap
prezzando il valore della fedeltà e la natura religiosa del giu
ramento, non favorivano certo le <<carte di affrancamento)),
che non si poteva ottenere senza qualche violenza: ritenendo
la servitù una condizione umana rispettabile e permanente,
non riuscivano a vedere in queste promozioni collettive
un'applicazione adeguata dei valori spirituali che pur sapeva
no essere propri del Vangelo.
Sul piano politico i vescovi non sembrano cogliere in un
primo momento la portata democratica del movimento dei
comuni, anzi molti prelati la considerano come semplice con
seguenza di malsane turbolenze: <<La grande maggioranza
dell'episcopato è rimasta indifferente e ostile nei riguardi di
una tendenza ispirata dal desiderio di farla finita col dispoti
smo dei signori, nato dal più pagano egoismo >> . lo Come scri
ve Chenu,
23
delle arti e dei mestieri, sono evidentemente il centro di tale
presa di coscienza.
24
ventura da Bagnoregio e di Sigieri di Brabante) si colloca
dunque nel periodo denominato media Scolastica o apogeo
della Scolastica. Al periodo successivo (denominato ingiusta
mente decadenza della Scolastica) appartengono i due filoso
fi britannici Giovanni Duns Scoto e Guglielmo di Ockham e
il poeta-filosofo Dante Alighieri.
Il Duecento è il secolo in cui - come abbiamo visto - le
università europee nascono o si sviluppano pienamente. In
Italia esiste già dal 11 9 8 l'università di B ologna, che può
dunque vantare la maggiore antichità e si specializza negli
studi di giurisprudenza; in Francia, l'università di Parigi di
venta invece il centro degli studi di teologia, soprattutto per
le provvide decisioni del papa Innocenza III (la grande figura
del papato di questo periodo, che si contrappone alla restau
razione imperiale avviata da Federico II di Svevia) . Nell'uni
versità di Parigi - dove poi insegnerà Tommaso - confluisco
no i fermenti culturali già maturati in Francia nella scuola di
Chartres e in quella di San Vittore, che sviluppano la tradi
zione platonizzante della prima Scolastica e affinano gli stru
menti della logica, soprattutto a opera di Pietro Abelardo.
L'atto di nascita dell'università di Parigi ( 1 200) coincide con
il decreto del re di Francia, Filippo Augusto, con il quale i
maestri e gli studenti dello studium generale parisiense veni
vano sottratti alla giurisdizione civile ordinaria e posti sotto
la giurisdizione del vescovo di Partgi, il quale avrebbe gover
nato l'università attraverso un cancelliere; nel 1 2 1 5 l'univer
sità istituisce la facoltà delle arti accanto a quella di teologia,
con statuti redatti dal rappresentante del papa e con un siste
ma didattico che servì poi da modello per l'organizzazione
dell'università di Oxford in Inghilterra, fondata nel 1 2 1 4.
Tra la fine del XII e l'inizio del secolo XIII, inoltre, nella com
plessa vicenda storica della filosofia cristiana si registra un av
venimento di decisiva importanza: la scoperta di un "nuovo"
Aristotele, quello della Metafisica e dei tre trattati di etica (l'E
tica nicomachea, l'Etica eudemia e la Grande etica). Grazie al-
25
le versioni latine delle opere di Avicenna, Averroè e Maimoni
de (i filosofi arabi ed ebrei che avevano fatto largo uso di Ari
stotele) e poi grazie alle traduzioni in latino di alcune opere
importanti ma ancora quasi sconosciute dello stesso Aristote
le, il pensiero del grande metafisica greco comincia a penetra
re anche nel mondo latino e a guadagnarsi le simpatie di molti
filosofi cristiani, soprattutto a Oxford e a Parigi, i centri di ela
borazione filosofica più importanti dell'epoca. La riscoperta
di Aristotele segna una svolta decisiva nel pensiero filosofico e
teologico dei pensatori cristiani, che fino a quel momento nel
le loro speculazioni avevano attinto quasi esclusivamente alle
opere dei platonici e dei neoplatonici per la filosofia, e agli
scritti di Agostino e dello Pseudo-Dionigi per la teologia, co
sicché il loro pensiero restava ancorato a una problematica
marcatamente platonica e agostiniana. Con la migliore cono
scenza della filosofia di Aristotele le cose cambiano: il suo in
flusso si fa sentire nelle scienze, nella filosofia e nella teologia e
non risparmia nessuno, neppure coloro che nelle dottrine più
importanti di metafisica e di antropologia continueranno a
mantenersi fedeli allo spirito di Platone e di Agostino (come si
vedrà nel prossimo capitolo a proposito di Bonaventura da
Bagnoregio).
Il nuovo Aristotele costringe tutti i teologi scolastici a por
si il problema della filosofia- della sua natura, del suo valore
intrinseco, della sua autonomia formale - nell'intento di uti
lizzarla in un contesto teologico coerente. Questo intento de
terminerà gli sforzi divergenti delle grandi scuole teologiche
dell'età d'oro della Scolastica. Il Duecento, peraltro, è domi
nato da un conflitto: . non tra aristotelismo e agostinismo, ma
tra il paganesimo dello spirito filosofico e il cristianesimo
dello spirito teologico. Come scriveva Fernand Van Steenber
ghen, « il merito di Alberto Magno e di Tommaso d'Aquino è
stato di trovare una soluzione armonica a questo terribile
conflitto elaborando una filosofia nel contempo autonoma
nei suoi metodi e pienamente compatibile con la dottrina cri
stiana » .12
26
Platonismo e aristotelismo nel Duecento
27
andare: il mondo per l'uomo ha interesse unicamente in quan
to la struttura dell'uno spiega il destino dell'altro.14
La sorte degli individui non conta molto nel mondo del Primo
Motore Immobile. Il pensiero che pensa se stesso non può nulla
per loro. Un pensiero che, pensandosi, pensa noi stessi è il solo
che noi possiamo pregare. Tale è il senso limitato, ma preciso,
in cui si potrebbe parlare di una dualità radicale delle funzioni
attribuibili al platonismo e all'aristotelismo nella storia del
pensiero cristiano, l'uno più intimamente legato alla vita cri
stiana medesima, l'altro necessariamente richiesto per la costi
tuzione di un sapere oggettivo cristiano. Innumerevoli vite cri
stiane . . . non hanno sentito nessun bisogno di pensarsi, o
almeno di oggettivarsi esplicitamente in dottrina. Alcune dot
trine si sono costituite senza filosofia o anche talora contro di
essa: per esempio l'Imitazione di Cristo. L'antitesi tra vita e sa
pere, tra salvezza e vana curiosità si pone allora allo stato puro,
forma medioevale di un antagonismo endemico nella storia del
pensiero cristiano, che vediamo nuovamente affermarsi, dall'i
nizio del secolo XIX, tra il soggettivo e l'oggettivo, l'esistenza e
la filosofia . . . Ma si potrebbero trovare anche delle vite spiri
tuali preoccupate di risalire ai loro principi e di formularli; e si
vedrebbe forse allora èhe la tecnica naturale di queste spiritua
lità, almeno nella misura in cui si volevano speculative, si è ge
neralmente ispirata a quella di Platone . . . Da sant'Agostino a
Dionigi, e forse anche a Ruysbroeck, si vedono riapparire così
gli antichi temi platonici della storia dell'anima creata dal Ver
bo, da lui illuminata e a lui richiamata da questa stessa illumi
nazione.15
Aristotele a Parigi
28
celebre professore dell'università parigina, David de Dinant,
aveva fatto della Fisica e della Metafisica di Aristotele, soste
nendo che Dio e la "materia prima " sono la stessa cosa. Il de
creto era stato sollecitato dalla facoltà di teologia, nonostan
te le energiche proteste della facoltà delle artes, cioè di
filosofia. Da allora questa facoltà fu in continuo subbuglio,
tanto che nel 1 229 si giunse a proclamare uno sciopero gene
rale di tutti i docenti. Per ristabilire la pace intervenne il papa
Gregorio IX in persona, il quale promise che la condanna di
Aristotele sarebbe stata revocata appena fossero stati emen
dati i "libri natura/es" (così venivano chiamate tutte le opere
aristoteliche che non fossero di logica e di etica, ossia i tratta
ti Sull'anima, Sul cielo e sul mondo, Sulla generazione e cor
ruzione, e soprattutto la Fisica e la Metafisica). A tal fine il
papa nominò una commissione, di cui faceva parte anche
l'arcivescovo di Parigi Guillaume d'Auvergne, buon filosofo
e grande conoscitore di Aristotele. Accadde però (come spes
so accade anche oggi in queste cose) che la commissione non
riuscì mai a mettersi seriamente al lavoro. Così l'insegnamen
to di Aristotele continuava a essere ufficialmente limitato ai
testi di logica e di etica. Di fatto però molti professori com
mentavano tutto Aristotele liberamente.1 6
Nel 1 245 il francescano Ruggero Bacone (vedi più avanti,
pp. 42-44) introduce nei suoi corsi di filosofia il commento
alla Metafisica. Due anni più tardi fa a1trettanto il domenica
no Alberto di Colonia, cui va soprattutto il merito di avere
spalancato ad Aristotele la porta della filosofia cristiana. Al
berto, come vedremo più avanti (pp. 44-49), aveva un'ottima
preparazione scientifica oltre che filosofica e teologica e ave
va compreso che era ormai inutile, anzi dannoso, continuare
a respingere Aristotele come " pagano" . Sul terreno scientifi
co la fede non contava nulla, e la superiorità di Aristotele in
campo scientifico era indiscutibile. Qua e là c'erano indub
biamente gli errori filosofici, ma sarebbe stato più facile com
battere gli errori che fare a meno di quella ricchezza di osser
vazioni che in tanti punti della biologia, della botanica, della
zoologia, dell'astronomia toccava vette sconosciute al mondo
culturale latino. Alberto aveva per Aristotele una stima altis
sima, fino al punto di affermare che « la natura l'aveva posto
a regola della verità e in lui aveva dato mostra della più alta
29
perfezione dell'intelletto umano» . Così si impegnò in un gran
lavoro interpretativo del filosofo greco, per renderlo adatto
al mondo cristiano. Prima di assumere la direzione dello stu
dio domenicano di Colonia ( 1248 ) il dotto domenicano ini
ziò una parafrasi completa di tutte le opere di Aristotele.
Così stavano le cose a Parigi nel 1249, l'anno della scom
parsa di Guillaume d' Auvergne. Con la sua morte cadono de
finitivamente i divieti aristotelici e con essi cade il muro che
per mezzo secolo aveva impedito ad Aristotele di fare il suo
ingresso ufficiale nella facoltà delle arti e della teologia:
30
riti che fanno di Alberto di Colonia uno dei massimi teologi
di ogni tempo; tra essi va in primo luogo segnalato quello di
avere stabilito con grande esattezza la scientificità specifica
della teologia . Ma l'artefice principale dell'acquisizione di
Aristotele alla filosofia cristiana fu Tommaso d'Aquino. Que
sti, alla scuola di Alberto, prima a Parigi e poi a Colonia, sco
prì la bellezza e il valore delle dottrine filosofiche dello Stagi
rita e ne divenne il principale fautore, difendendolo da tutte
le accuse che gli venivano mosse sia dagli agostiniani (tenace
mente attaccati alla tradizione platonica) che dagli averroisti
(che con la loro interpretazione troppo chiusa e letterale di
Aristotele ne rendevano impossibile l'utilizzo in una filosofia
cristiana ) . L'intervento di Tommaso a favore di Aristotele fu
decisivo. Mediante un'esegesi più aperta e intelligente di tutte
le sue opere principali, egli poté dimostrare come il Filosofols
con i suoi principi metafisici fornisse alla teologia uno stru
mento ermeneutico preferibile a quello che era stato mutuato
da Platone, e allo stesso tempo per tanti problemi fondamen
tali dell'antropologia proponeva soluzioni più soddisfacenti
di quelle che erano state raggiunte con i principi platonici.
Ma, come si vedrà, l'opera filosofica di Tommaso non consi
stette in una mera ripresa di Aristotele ad usum christiano
rum; servendosi di Aristotele, egli elaborò un nuovo modulo
di filosofia cristiana, talmente originale da essere riconosciu
to nei secoli più solido e più coerente d! quello platonico e
neoplatonico creato da Agostino e riproposto da Bonaventu
ra negli stessi anni in cui insegnava Tommaso.
Sigieri di Brabante
31
belga Sigieri di Brabante ( 1 240-1 284 circa ), maestro alla fa
coltà delle arti dell'università di Parigi, ove dal 1 255 tutte le
opere di Aristotele allora conosciute erano incluse nei pro
grammi di studio. Nel suo insegnamento e nelle sue opere
(una serie di commenti ad Aristotele, fra cui le Quaestiones
in tertium librum Aristotelis de anima, e diversi opuscoli, fra
cui un De anima intellectiva), Sigieri professa un rigido ari
stotelismo, aderente all'interpretazione di Averroè e incuran
te delle divergenze che si possano verificare fra le ipotesi di
un filosofo e i dogmi accettati da un credente. All'origine di
tale posizione c'è un certo suo modo di intendere il metodo
filosofico, consistente essenzialmente nell'interpretazione dei
grandi filosofi del passato, soprattutto Aristotele: « Quando
procediamo filosoficamente» dice << noi ricerchiamo più l'in
tenzione dei filosofi che non la verità >> , volendo dire che nei
filosofi si trova ciò a cui può giungere la ragione umana con
le sue forze, mentre la verità più autentica e completa la si ha
solo tramite la fede. In particolare egli professa, come tesi fi
losofiche da ammettere necessariamente, l'eternità del mon
do e l'unicità dell'intelletto (sia possibile che agente), pur di
chiarandosi eventualmente disposto, per motivi di fede, a
non accettarle come vere. La proclamata antinomia tra ragio
ne e fede che risultava dalle posizioni di Sigieri ( anche se egli
non giunse a sostenere la teoria della doppia verità, come fu
detto) suscitò forti discussioni e reazioni. Bonaventura - co
me poi si vedrà - denunciò con vigore gli errori di Sigieri, e
ne prese spunto per condannare l'aristotelismo nella sua glo
balità, e Tommaso scrisse contro Sigieri il De unitate intellec
tus contra Averroistas Parisienses ( 1270), contestando la tesi
interpretativa di Averroè e dichiarando quest'ultimo più un
«corruttore >> che un «commentatore >> di Aristotele. Nel 1 270
inoltre, il vescovo di Parigi, Étienne Tempier, dichiarò incom
patibili con l'ortodossia tredici proposizioni averroiste, di cui
la prima dice: «L'intelletto di tutti gli uomini è uno solo e
identico di numero>> . Le discussioni che seguirono furono
violentissime, e sfociarono nella dichiarazione pronunciata
dallo stesso Tempier nel 1 277 (tre anni dopo la morte di Bo
naventura e dello stesso Tommaso) contro 2 1 9 proposizioni
riguardanti l'insegnamento di certi maestri della facoltà delle
arti, fra cui appunto Sigieri e poi anche Boezio di Dacia ( di
32
cui si ignorano le date di nascita e di morte), anch'egli rap
presentante della corrente averroista. Nell'elenco delle posi
zioni condannate, oltre alle tesi degli averroisti, figuravano
però anche diverse tesi dello stesso Tommaso. Il decreto si
gnificò quindi una reazione globale contro l'aristotelismo da
parte della corrente teologica tradizionale, di ispirazione ago
stiniana, che in esso vedeva un pericolo per la fede.
Sembra che Sigieri, in seguito alle critiche di Tommaso e
alla condanna ecclesiastica, abbia poi modificato le sue posi
zioni fino ad avvicinarsi notevolmente, per quanto riguarda il
problema dell'intelletto, alle posizioni tomiste. Sottoposto a
processo, sarà assolto dall'accusa di eresia e morirà a Orvieto
verso il 1284, pugnalato dal suo segretario, improvvisamente
impazzito. Dante lo porrà in Paradiso, accanto ad altri spiriti
illustri, quale rappresentante della grande filosofia aristoteli
ca: « Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, l è 'l lume d'u
no spirto che 'n pensieri l gravi a morir li parve venir tardo: l
essa è la luce etterna di Sigieri, l che leggendo nel Vico delli
strami [università di Parigi], l sillogizzò invidiosi veri " .2o La
teoria della doppia verità, attribuita a Sigieri, verrà poi effet
tivamente sostenuta nel Trecento da Marsilio di Padova e nel
Quattrocento da Pietro Pomponazzi.
33
professati da francescani e domenicani. Dopo lunghe lotte la
controversia fu risolta in favore dei religiosi, per l'energica
difesa oltre che di Bonaventura da Bagnoregio anche di un al
tro giovane frate italiano dell'ordine dei domenicani, Tom
maso d'Aquino (vedi più avanti, pp. 77-85 ) .
Bonaventura, fedelissimo allo spirito del fondatore France
sco d'Assisi, visse però una vita intellettuale ed ebbe cariche
ecclesiastiche che il Poverello non aveva -':llai voluto per sé. Fu
eletto generale del suo ordine e poi scelto da papa Gregorio
X come cardinale e vescovo di Ostia e Anzio ( 1 273); parte
cipò ai lavori del concilio di Lione e lì morì nel 1 274, lo stes
so anno in cui morì l'amico Tommaso d'Aquino, ma qualche
mese dopo di lui (che, proprio per l'improvvisa e misteriosa
morte, non era potuto giungere a Lione) . Tra le sue opere ri
cordiamo: i Commentarii in quattuor libros Sententiarum
Petri Lombardi, ove sviluppa il pensiero del suo maestro
Alessandro di Hales; il Breviloquium o piccola somma teolo
gica; il trattato De reductione artium ad theologiam (sulla
teologia come causa e fine ultimo dell'unità delle scienze), l'1-
tinerarium mentis in Deum e altre opere che sviluppano il
contenuto di quelle citate; il suo orientamento, sulla base di
una visione metafisica-teologica della realtà, è nel Duecento
l'espressione migliore dell 'agostinismo antiaristotelico (nel
l'ultima opera, le Collationes in Hexaemeron del 1 273, Bo
naventura critica direttamente le tesi di Aristotele sul mondo
e sull'uomo).
Metafisica e teologia
34
no perplesso di fronte all'aristotelismo, ma non può non ci
conoscerne il valore, così come riconosce valore a un platoni
smo vagamente conosciuto attraverso testi neoplatonici e
agostiniani. Tommaso crederà di potere e di dover assumere
elementi e strutture dal filosofare di Aristotele; invece Bona
ventura crede di potere e di dovere rimanere nell'universo di
discorso di Agostino, pur valorizzando nella propria teoresi
elementi e suggestioni del filosofare aristotelico o aristoteliz
zante. Giustamente osservava a questo proposito Giovanni
Di Napoli:
35
sua essenza è capace, secondo la triplice attività della stessa
luce divina insita nel creato, e cioè secondo l' actus essendi,
1'actus appetendi, 1'actus efficiendi.
36
loro che tale negazione è l ogicamente impossibile, una volta
ammessa la nozione di D io: << Come dice lo stesso Aristotele>>
argomenta il santo francescano,
L'anima
37
inestinguibile; essa è la luce della verità di Dio. Perché questa
verità diventi indubitabile possesso dell'intelletto è necessario,
per Bonaventura, tener presente un triplice criterio: 1 ) è verità
indubitabile quella che è impressa in tutte le menti; 2) è verità
indubitabile quella che deve essere ammessa da ogni persona;
3 ) è indubitabile ogni verità certissima ed evidentissima in se
stessa. Tale indubitabilità si deve appunto alla verità divina
presente a ogni retto giudizio umano; conoscere significa ap
punto divenire certi della presenza della luce divina nella pro
pria anima e nell'oggetto della conoscenza. Questa conoscen
za però riguarda solo il campo dello spirito, cioè l'anima e
Dio; e così per la conoscenza degli oggetti materiali Bonaven
tura ammette il processo conoscitivo aristotelico. La facoltà
intellettiva è una (non si tratta di due intelletti, uno possibile e
uno agente) , ed è passiva quando riceve le immagini degli og
getti sensibili, mentre è attiva quando vi reagisce, spogliando
dette immagini dalla materialità, e possedendole come nozioni
adeguate alla sua capacità comprensiva.
Bonaventura, insomma, non potendosi sottrarre nemmeno
lui al prestigio dell'Aristotele "riscoperto" , cerca di concilia
re l'illuminazione agostiniana con una psicologia di stampo
aristotelico, considerando questa come premessa e quella co
me sviluppo e sublimazione della conoscenza. Per Bonaven
tura dunque l'intelletto non può conoscere il mondo della
materia se non per mezzo dei sensi, essendo stato creato pri
vo delle idee del mondo sensibile: « lntellectus humanus
quando creatur est sicut tabula rasa» . Il dato dei .sensi, però,
non resta nel soggetto così come vi giunge; esso viene elabo
rato dalla potenza intellettiva che ne astrae l'universale, tra
sforma l'apparenza mutevole nell'immutabilità del vero, pu
rifica la realtà imperfetta coll'intuizione dell'essere scevro da
ogni imperfezione e applica al reale instabile e cangiante la
stabilità metafisica di una legge inderogabile. Tutto questo
ulteriore lavoro non deriva dai sensi, ma da un potere dell'a
nima, consustanziale all'anima (ratio creata) o partecipatole
da Dio nell'atto del conoscere (ratio motiva). Il dato dei sensi
è lo stimolo primo, ma la mente prende poi subito soprav
vento e, librandosi sovrana sulla base strumentale della sensi
bilità, risplende per virtù del raggio proiettato in lei dalla luce
divina.25
38
Ciò si deve alla diversità di natura che intercorre tra l'intel
letto e il mondo materiale; l'intelletto dai sensi riceve le im
pressioni, e da queste astrae le nozioni razionali per mezzo
della: sua funzione attiva. Ma la scienza delle cose sensibili
non è la sapienza; per Bonaventura da Bagnoregio la vera sa
pienza ha inizio con l'autoconoscenza, cioè con la compren
sione della propria anima (quale sostanza e natura spirituale)
e di Dio come causa eterna e infinita di essa; ciò si raggiunge
con la luce divina, di cui l'anima è sostanziata.
Per Bonaventura l'idea di Dio - come Essere necessario - è
presente al pensiero umano in ogni giudizio sulla realtà cono
sciuta; modernamente questa concezione della conoscenza
umana è stata riproposta da Antonio Rosmini (seconda metà
dell'Ottocento) e prende il nome di " ontologismo", ma non è
assolutamente il caso di considerare Bonaventura da Bagnore
gio un sostenitore della tesi (che nella sua radicalità sarebbe
eterodossa) della conoscenza immediata di Dio come tale.
Molti anni or sono, Luigi Stefanini chiariva così questo punto:
39
La vita pratica come itinerario della mente
verso Dio
40
a una legge, che può ma non deve trasgredire. Questa legge
che è in noi (ma anche sopra di noi, perché ci costringe a lot
tare contro di noi stessi) non si potrebbe spiegare se non si ri
conoscesse un supremo Legislatore dal quale essa fu impressa
nell'anima nostra. La volontà che delibera, decide e ama ci
porta al sommo Bene:
41
primo motore immobile di Aristotele non è un vero creatore
né pensa al mondo, che pur tende a Lui; il Dio aristotelico è
incompatibile con la nozione di Provvidenza che già gli stoici
avevano elaborato e che poi la filosofia cristiana aveva fatto
sua in modo irreversibile. Se si segue Aristotele, osserva giu
stamente Bonaventura, si è indotti a pensare erroneamente
che «tutto ciò che avviene è meramente casuale oppure del
tutto necessario; ora, siccome è impossibile che tutto sia ca
suale, gli Arabi si sono visti obbligati a introdurre nel mondo
una necessità fatale, dicendo che tutti gli avvenimenti terreni
dipendono dall'influsso degli astri» ;29 ma - conclude logica
mente Bonaventura - la filosofia cristiana deve mantenere il
principio della libertà che l'uomo ha per scegliere tra il bene e
il male, e pertanto quel determinismo del pensiero arabo-ari
stotelico è del tutto inaccettabile, come è inaccettabile la teo
ria averroista dell'intelletto po�sibile che sarebbe il medesimo
per tutti gli uomini. La dottrina bonaventuriana delle idee
esemplari è appunto un recupero di Platone, attraverso Ago
stino, per giustificare filosoficamente la Provvidenza di Dio e
.
la libertà dell'uomo.
42
Esaltazione del metodo sperimentale
43
ché pronto a fuggire ogni forma di ignoranza; sapere che de
ve servire di alimento all'umanità intera, perché l'universale
convivenza, fatta di sapienza, sostanziata e illuminata di divi
nità, cresca «usque ad finem mundi>> .
Vita e opere
44
1 256 si trovò in Anagni e lì, davanti al tribunale pontificio,
difese il diritto e la li bertà d'insegnamento degli ordini men
dicanti, osteggiati a Parigi (mentre vi si affermava Tommaso)
dai maestri secolari, come abbiamo già detto narrando la vita
di Bonaventura da Bagnoregio; in tale occasione la Chiesa si
pronunciò per la libertà degli ordini e per la condanna di
Guilla.ume de Saint-Amour, esponente principale della fazio
ne contraria ai "mendicanti " . Sempre ad Anagni, davanti alla
corte papale, pronunciò una dissertazione filosofica contro
l'averroismo; nel 1 260 venne consacrato vescovo di Ratisbo
na; fu predicatore delle province germaniche, arbitro nelle
controversie religiose e civili, teologo nel concilio di Lione
( 1 274) insieme a Bonaventura e infine strenuo difensore a
Parigi delle dottrine del suo discepolo Tommaso d'Aquino
( 1 277); morì a Colonia l'anno 1 2 8 0 . Alberto Magno lasciò
circa centoquaranta opere che trattano di tutto lo scibile, tra
le quali ricordiamo la Summa de creaturis, il De unitate intel
lectus contra Averroen (opera simile, anche nel titolo, a quel
la di Tommaso che poi analizzerò), la Summa theologiae, la
Philosophia rationalis, la Philosophia realis, la Philosophia
moralis, e i trattati scientifici De animalibus, De anima, De
vegetalibus, De mineralibus e De meteoris, per non citare che
i più noti.
..
Metafisica e teologia
45
tino il primato su quello islamico nell'interpretazione e nel
l' utilizzo teologico della filosofia aristotelica, ampliando e
approfondendo l'opera che Boezio aveva lasciato in eredità
all'Occidente romano.
Circa la questione degli universali, Alberto - come poi farà
Tommaso - sostiene un realismo moderato, secondo cui l'u
niversale esiste prima della cosa particolare (ante rem ); è nel
la cosa (in re); è fuori e dopo la cosa (post rem): ossia, esiste
prima del la cosa perché è nella mente divina; è nella cosa co
me potenza attuabile; esiste fuori e dopo l'individuo come
potenza attuata con l'astrazione dalla mente umana.
Contrariamente all'agostinismo mistico, Alberto rivendica
alla ragione la capacità di conoscere Dio, anche indipenden
temente dalla Rivelazione; sicché la ragione gode di una sua
autonomia, con la quale può giustificare e difendere tutte le
verità accessibili alla sua natura. Tra queste verità primeggia
appunto quella dell'esistenza di Dio, essere sommo, infinito e
perfettissimo; l ' uomo, dunque, può acquistare la coscienza
dell'esistenza di Dio non tanto per illuminazione divina,
quanto con argomenti induttivi con i quali, dalla constatazio
ne del molteplice e del particolare, raggiunge la comprensio
ne logica della causa unica, universale ed eterna.
In campo antropologico Alberto dimostra un particolare
acume critico, con cui si eleva al di sopra di molti pensatori,
sia classici sia cristiani. L'anima è creata da Dio; è sostanza
spirituale, tratta dal nulla; è individuale, semplice, forma del
corpo, sorgente di vita, sia fisica sia spirituale, unica nella
pluralità delle sue facoltà, fonte del conoscere e dell'agire;
per sua natura è immortale e tale immortalità non è solo una
certezza di fede ma anche una certezza del senso comune, che
poi può avvalersi della elaborazione razionale, come è avve
nuto attraverso il pensiero dei grandi filosofi: Platone, Ari
stotele e Agostino.
46
nel sapere filosofico perciò è necessario, come base, il sapere
scientifico ottenuto mediante l'indagine sperimentale, con la
quale l'intelletto entra in possesso delle leggi che regolano la
natura cosmica. Così si spiega l'opera intensa, originale e
nuova che Alberto svolge in astronomia, matematica, fisica,
biologia. La scienza della natura, dunque, è premessa neces
saria della conoscenza filosofica; questa infatti si attua attra
verso un processo induttivo di tipo aristotelico, che parte dai
sensi e chiama in causa l'intelletto possibile, illuminato e at
tuato da quello agente. Ne consegue la lotta che Alberto con
duce contro l'unità dell'intelletto possibile di Averroè e del
l 'averroismo latino (cfr. più indietro, pp. 3 1 -3 3 ) poiché
l'intelletto possibile è funzione distinta e autonoma di cia
scun individuo razionale, capace di conoscenza nella misura
e nel grado con cui Dio lo ha creato.
Sulle orme di Aristotele, Alberto delinea una scienza mora
le i cui principi sono la razionalità (le virtù dianoetiche di
Aristotele) e la prassi equilibrata che da essa deriva, ossia la
virtù dell'agire; questa però, è, prima di tutto, effetto della li
bertà. Si tratta di una libertà intesa come principio e facoltà
dell'anima, consistente nell'atto della volontà per cui essa
può abbracciare o respingere indifferentemente il bene del
l'oggetto che la ragione teoretica le offre.
47
la teologia può parlare di che cosa sia Dio in sé, proprio per
ché Egli stesso ci si è rivelato. In definitiva, secondo il teologo
tedesco, il metodo teologico si distingue da quello filosofico
proprio per il punto di partenza e il criterio della ricerca. Ri
chiamandosi ad Agostino, Alberto riconosce il grande valore
della razionalità filosofica (anche quella dei pagani come Ari
stotele), ma precisando che in filosofia vige la ratio inferior,
mentre la teologia si avvale della ratio superior, quella parte
superiore dell'anima che è illuminata dalla Rivelazione e dà
luogo alla sapientia, superiore alla mera scientia; tale supe
riorità, comunque, non è conflitto né esclusione, perché la ra
tio inferior ha un suo insostituibile ruolo nelle conoscenze
umane: « In caso di discordanza di opinioni » dice Alberto
«c'è da preferire quella di Agostino se si tratta di teologia,
mentre sono più autorevoli Galeno e lppocrate in materia di
medicina, e Aristotele nella filosofia della natura » .Jo Tomma
so, come dirò tra breve, fece un passo avanti, assumendo di
Aristotele il linguaggio e il metodo anche per la metafisica.
Come giustamente osservava Roberto Masi,
48
tradizionale platonico ed agostiniano, Alberto considerò l'ari
stotelismo non come un sistema da conoscere per combattere,
ma come un sapere da correggere per assimilare. Per questa
ragione egli intraprese un grande commentario di Aristotele a
modo di parafrasi, ove ebbe modo di raccogliere tutte le cono
scenze scientifiche di allora. Questa parafrasi fece una enorme
impressione sui contemporanei , che la lessero con avidità.
Però Alberto ha composto un'opera piuttosto di erudizione,
senza riuscire a costruire una sintesi filosofica completa; la
sintesi era riservata a Tommaso.3 1
49
2
Da Roccasecca a Montecassino
51
Tommaso: Aimone, Rainaldo, Marotta, Teodora (che poi fu
contessa della Marsica) , Maria e Adelasia.
Per la prima formazione intellettuale i genitori inviarono il
piccolo Tommaso alla vicina abbazia di Montecassino dove
era abate un suo zio; il desiderio espresso dalla famiglia era
quello di avviare il figlio cadetto alla vita monastica, ma in
realtà la famiglia nutriva la segreta speranza che Tommaso
potesse arrivare un giorno alla suprema carica di abate e ac
crescere così la potenza della casata (il territorio dell'abbazia
confinava con la proprietà dei conti di Aquino). Tommaso,
invece, dopo qualche anno tornò in famiglia e proseguì gli
studi all'università di Napoli, fondata proprio da Federico II,
e a Napoli ebbe la prima diretta iniziazione alla filosofia ari
stotelica sotto Martino di Dacia per la logica e Pietro d'Irlan
da per la filosofia della natura . 1 All'università di Napoli nac
que anche la sua vocazione domenicana per opera del
predicatore Giovanni di San Giuliano. Quando però Tomma
so manifestò la sua decisione ai familiari, incontrò un'ostina
ta resistenza soprattutto da parte del fratello Rainaldo, cele
bre poeta di corte,2 il quale giunse a rinchiuderlo in casa.
Tommaso a Napoli
52
nessun'altra università sarebbe stato possibile in un modo co
sì profondo; in quinto luogo, il confronto con il dinamismo
del "movimento di povertà" , ossia con le prime generazioni
degli ordini mendicanti, incontro che poteva aver luogo sol
tanto in una città. Dei punti citati, soprattutto degli ultimi tre
- le università, Aristotele, il movimento degli ordini mendi
canti , è necessario tener conto per capire le posizioni d'a
-
53
maso, il signor Rainaldo, uomo di non comune onestà, in
grande favore presso il sovrano (anche se un giorno sarebbe
stato da lui condannato a morte), si trovava precisamente alla
corte dell'Imperatore. Appena seppe del passaggio del suo
giovane fratello, il signor Rainaldo, all'insaputa di Federico
( almeno apparentemente) e con l'aiuto di Pier delle Vigne,
strappò suo fratello a fra' Giovanni; poi lo costrinse a monta
re a cavallo e lo spedì sotto buona scorta in Campania, in uno
dei castelli della famiglia, chiamato San Giovanni.4
54
sano parigino e quelli appartenenti agli ordini religiosi per il
possesso delle cattedre di filosofia e di teologia.
All'età di ventisette anni, dunque, Tommaso si trova a esse
re professore di teologia nell'università dove anni prima aveva
studiato, nonostante la vivace opposizione diretta non contro
la sua persona, ma contro l'influenza sempre crescente degli
ordini mendicanti nell'università. Tommaso è afflitto pesante
mente da queste dispute. Si renderà necessario l'intervento del
papa stesso per obbligare l'università a sospendere il boicot
taggio nei suoi confronti . Con quella pressione muta l'atteg
giamento, oltre che verso di lui, anche verso Bonaventura: en
trambi - Tommaso e Bonaventura - sono infatti nominati
nello scritto del papa. È notevole il fatto che Tommaso, negli
scritti di questo periodo, non tradisca nemmeno una volta il
suo turbamento. Chiunque legga quegli opuscoli, il De ente et
essentia per esempio, potrebbe benissimo pensare che li abbia
portati a termine nella tranquilla pace di una cella del conven
to. Questo comportamento aggiunge nuove luci alle caratteri
stiche umane di Tommaso, che riesce a trasformare la clausura
conventuale in clausura interiore. Edifica interiormente la cel
la riservata alla contemplazione, difendendola dalla irrequie
tezza della "vita activa" , ossia l'insegnamento e la discussione
dottrinale.
A difesa del diritto alla docenza universitaria l'Aquinate
scrisse l'opuscolo Contra impugnantes Dei cultum et religio
nem. Dopo la vittoria degli ordini religiosi, Tommaso fu no
minato magister regens dell'università parigina ( 1257).
Durante la sua permanenza a Parigi, Tommaso poté segui
re da vicino gli avvenimenti della facoltà delle arti e meditare
sul significato del decreto del 1 255 riguardo ad Aristotele. Su
invito del maestro generale dei domenicani, Umberto de Ro
manis, si recò a Valenza in Spagna per discutere insieme con
Alberto di Colonia, Pietro di Tarantasia (Pierre de Tarentai
se) e altri celebri maestri domenicani un programma di studi
per i frati. La parte più importante di questo programma,
ispirata e propugnata con fermezza da Alberto, fu quella che
indicava la necessità della cultura filosofica. Certamente nel
la discussione o magari privatamente Alberto e Tommaso
parlarono a lungo del problema della filosofia pagana; certa
mente ricordarono il lavoro di Alberto per realizzare la sua
55
grande parafrasi di Aristotele. E Tommaso fu d'accordo con
Alberto sul valore del pensiero pagano, che andava corretto
ma non respinto; meglio di ogni altro, Tommaso capì l'im
portanza che la filosofia ha in tutta la scienza umana, e nella
stessa teologia; così egli si decise a tentare l 'opera titanica di
costruire con il pensiero pagano, specialmente con Aristotele,
una filosofia cristiana completa, alla cui luce ripensare tutto
il sistema dogmatico e il metodo della scienza sacra.
La prima opera filosofica di Tommaso è con tutta probabi
lità lo Scriptum super libros Sententiarum, opera assai im
portante perché già in essa appare con forza e con chiarezza
il caposaldo della metafisica tomista, ossia la distinzione tra
essenza ed esse;6 tale dottrina è presente anche nell'opuscolo
De ente et essentia, scritto nel medesimo anno o l'anno suc
cessivo. L'influsso della filosofia di Avicenna è evidente, a co
minciare proprio dalle esplicite citazioni che Tommaso fa del
filosofo ara bo,? mentre non è così marcata la presenza dei
concetti aristotelici.
56
presso la sua corte di Orvieto, dove - proprio quando le ope
re di Aristotele erano ufficialmente vietate - un domenicano
fiammingo che ha appreso la lingua di Aristotele in Grecia si
dedica anima e corpo alla traduzione del filosofo proibito.
Lo stesso Tommaso incoraggia il suo confratello, che si chia
ma Wilhelm van Moerbeke, in questo lavoro. Ma il papa ha
bisogno della collaborazione di Tommaso per un compito di
valore universale. Si sta delineando la possibilità che l'Orien
te cristiano si possa riunire alla cristianità occidentale, ed è
proprio Tommaso l'intellettuale che viene incaricato di pre
parare il cammino teologico. Tre anni dopo riceve un nuovo
incarico dai domenicani : la direzione della scuola dell'ordine
nel convento Santa Sabina sull'Aventino, a Roma, dove rima
ne per due anni. Gli restano soltanto dieci anni di vita e non
ha scritto nemmeno uno dei dodici commentari agli scritti di
Aristotele che lo renderanno famoso, e nemmeno una riga
della Summa theologiae. In questi due anni romani darà però
inizio agli uni e all'altra. Inoltre è chiamato a corte dal nuovo
papa, Clemente IV, a Viterbo. Questo papa fu ritenuto re
sponsa bile della morte dell'ultimo Hohenstaufen, il giovane
Corradino di Svevia, il cui destino si concluse sul patibolo in
quegli anni a Tagliacozzo. Proprio allora Tommaso scrive,
fra le altre cose, il libro sul potere politico, che comprende
quel formidabile capitolo sulla ricompensa spettante al re
..
giusto.s
A Orvieto, come abbiamo detto, Tommaso aveva avuto la
fortuna di incontrare il confratello Wilhelm van Moerbeke,
eccellente grecista, al quale chiese di apprestare una nuova
traduzione latina delle opere di Aristotele, sulla quale egli
avrebbe poi steso i suoi famosi commentari, come di fatto av
venne per la Fisica, la Metafisica, il trattato Sull'anima, l' Eti
ca nicomachea, la Politica e quasi tutti gli altri libri dello Sta
girita. Allo stesso Moerbeke e ad altri confratelli Tommaso
chiese di realizzare la traduzione di alcune importanti opere
dei Padri greci che non erano ancora mai state tradotte in la
tino, arricchendo così notevolmente le fonti patristiche acces
sibili ai teologi latini, fonti di cui lo stesso Tommaso fece lar
go uso nella stesura della sua Summa theologiae.
57
Il secondo periodo parigino
Il ritorno a Napoli
58
San Domenico, e ricevette dai suoi superiori l' incarico di
riordinare l'insegnamento di teologia nell'università del re
gno di Sicilia e di tenervi egli stesso alcuni corsi, cosa che fece
fino al gennaio del 1 274. In questo periodo, come quando si
trovava a Viterbo, oltre che allo studio e all'insegnamento si
dedicò con zelo anche alla predicazione al popolo, il quale
andava ad ascoltarlo con grande entusiasmo, apprezzando la
semplicità della sua parola congiunta alla chiarezza e profon
dità del suo pensiero. Alcuni stenografi presero nota di questi
sermoni di Tommaso in napoletano ma, data l'importanza
dell'autore, essi furono subito tradotti in latino (costituisco
no i cosiddetti opuscoli di catechesi ) e così purtroppo l'origi
nale andò perduto. Un giorno del dicembre 1 273, dopo la ce
lebrazione della messa, Tommaso chiamò il suo fedelissimo
segretario fra Reginaldo da Piperno e gli comunicò la decisio
ne di non continuare a scrivere, perché quella mattina duran
te la messa aveva capito che quanto aveva scritto nei suoi li
bri era « tota palea » , un mucchio di paglia. Così rimasero
interrotte due delle sue opere più importanti: la Summa theo
logiae, che restò ferma alla questione 90 della terza parte, e il
Compendium theologiae, sospeso al capitolo 10 del secondo
libro . I D La decisione di interrompere la produzione delle ope
re filosofiche e teologiche mostra quanto fosse sincera la di
sposizione di Tommaso a servire Dio con la sua intelligenza,
senza secondi fini di ambizione personale ò di vanità.
La morte misteriosa
59
l'abbazia di Fossanova. Nel 1 325 le sue ossa furono traslate
a Tolosa per ordine del papa.
Nei suoi contemporanei Tommaso lasciò un ricordo inde
lebile, per la finezza e acutezza della sua intelligenza, per la
grandezza e originalità del suo genio, per la santità della sua
vita. I domenicani presero fin dall'inizio le sue difese contro
le critiche, talora violente, provenienti soprattutto dai france
scani (come il già citato . Guillaume de la Mare ) . Nel 1 279
l'ordine proibì a tutti i propri membri di criticarlo. Gugliel
mo di Tocco, il suo primo biografo, sottolinea la straordina
ria originalità di Tommaso in tutto ciò che faceva:
60
meo da Capua, perché a suo giudizio esso sarebbe un catalo
go ufficiale e pertanto le opere ivi contenute sarebbero auten
tiche, mentre le opere che non vi sono comprese sarebbero
apocrife. Ma più tardi Pelster e Grabmann 15 hanno mostrato
l'infondatezza di questa tesi, evidenziando che non esiste nes
sun catalogo ufficiale e dimostrando che alcune opere sicura
mente autentiche non sono incluse nel catalogo di Bartolo
meo da Capua. Si tratta comunque di una questione di
importanza tutto sommato relativa, in quanto tutte le opere
maggiori attribuite a Tommaso sono riconosciute come frut
to del suo ingegno e pertanto sicuramente autentiche.
61
contra genti/es) il De aeternitatae mundi, il De unitate intel
lectus, il De substantiis separatis, il De regimine principum e
il Compendium theologiae.
62
nerale, nella 11-11 tratta il valore morale nella sua concretezza
sia umana sia cristiana; nella terza parte si apre la visione
teologica del Cristo, quale centro della società umana, anello
di congiunzione tra l'uomo e Dio.
63
derazione della realtà creata per via di ragione era per lui uno
dei modi di scoprire Dio, poiché il disprezzo delle creature
implica la svalutazione di Dio e l'errore sulle creature ridon
da in ogni genere di errore su Dio. La ragione umana ha biso
gno della verità, perché l'uomo è nato per la verità. Tommaso
ebbe amore sincero per la verità, e per questo nutrì sempre
una grande passione per la filosofia. Le considerazioni filoso
fiche sono una costante del suo lavoro di teologo e di uomo
alla ricerca di Dio. Tre dei suoi opuscoli sono di argomento
filosofico e furono tutti e tre scritti con lo stesso proposito di
svolgere un servizio alla teologia. Il primo, De ente et essen
tia, fu scritto per i confratelli e compagni di studio; il secon
do, De unitate intellectus, per confutare con la ragione un
grave errore antropologico incompatibile con la fede cristia
na; il terzo, De spiritualibus creaturis, per chiarire con le ri
flessioni dell' umana ragione le verità che la fede cristiana
propone sugli angeli.
Tommaso ha fatto filosofia cristiana, ma per far ciò anzi
tutto ha fatto vera filosofia. Non soltanto ha accolto la gran
de tradizione filosofica pagana, soprattutto quella aristoteli
ca, ma si è mostrato aperto a ogni verità scoperta dagli
uomini. Questa sua capacità di assimilazione è stata coronata
dal successo, tanto che ne è risultata una filosofia originale,
oltretutto l'unica filosofia organica e integrale sorta dal pen
siero cristiano. In questi opuscoli, dunque, è contenuto il nu
cleo filosofico del sistema tommasiano.
Primo fra tutti (certamente per fama nella storia del tomi
smo, e forse anche nella cronologia) è il De ente et essentia,
che continua a essere edito, tradotto e studiato anche ai no
stri giorni; storicamente va ricordato, per l'influsso sullo svi
luppo della metafisica nella scuola tomistica, il commento del
celebre cardinale Tommaso di Via (detto il Gaetano) che ha
contribuito in modo decisivo alla celebrità dell'opuscolo stes
so fino ai nostri giorni. Comunque, per essere opera di un
giovane (i codici dicono che era << nondum magister» ) l'opu
scolo rivela un dominio sorprendente dei problemi metafisici,
64
un'ampia conoscenza non solo del testo di Aristotele ma an
che di Boezio, dei commentatori arabi (Avicenna, Averroè,
Avicebron), del misterioso Liber de causis per il quale Tom
maso distingue il testo delle proposizioni dal successivo com
mento. Sorprende invece l'assenza di Agostino e dello Pseu
do-Dionigi, due specialisti nell'analisi dell'anima e delle sue
operazioni, che l'Aquinate collocava in primo piano fin dal
principio della sua attività.
L'opuscolo va considerato come una specie di compendio di
metafisica, destinato ai giovani confratelli come guida nelle
questioni fondamentali circa la struttura della realtà. Ciò che
subito colpisce, oltre alla chiarezza del testo e alla profondità
del dettato, è la padronanza dell'argomento, che fa di questo
breve testo un gioiello della letteratura filosofica . Il titolo De
ente et essentia non è presente in tutti i codici, ma sembra che
risalga allo stesso Tommaso. La trattazione poi non riguarda
tanto la problematica dell'ente, appena nominato nel capitolo
primo all'inizio, quanto quella dell'essenza, come l'autore stes
so riconosce nella conclusione, in completa fedeltà alla linea
aristotelica. «<l De ente et essentia >> scrive Chenu,
65
come diceva Aristotele. Sembra accertato che Tommaso ab
bia scritto questo trattato di sintesi filosofica all'inizio del
suo insegnamento nell'università di Parigi. Tolomeo di Lucca
dice che Tommaso lo compose <<ad ratres et socios nondum
existens magister>> , per i confratelli e i compagni di scuola,
prima di essere maestro. Bernardo Guido colloca l'opuscolo
tra quelli che Tommaso scriveva «ad instantiam diversarum
personarum» , come risposta alle richieste che gli giungevano
da diverse persone. Tutto ciò sta a indicare che non fu scritto
come lavoro di scuola, come lezione universitaria, ma come
servizio agli universitari per lo studio personale.
Lo scopo più immediato di Tommaso è presentare una sin
tesi della discussione sull'ente e l'essenza. Questi sono i primi
elementi del pensiero umano, quelli che sorreggono tutti gli
altri. L'opuscolo cerca una fondazione metafisica e una visio
ne globale della realtà, visione che sembra necessaria a Tom
maso come preparazione per una più profonda comprensio
ne delle verità proposte dalla rivelazione cristiana. Il testo
riflette anche le scelte filosofiche che Tommaso ha operato al
l'inizio del suo ufficio di teologo: chi deve parlare di Dio ha
bisogno di parlare anche dell'ente e dell'essenza.
Il trattato costituisce una novità non soltanto perché è una
delle prime opere di Tommaso, ma anche perché è una delle
prime sintesi di filosofia cristiana. Le circostanze storiche
hanno favorito la nascita del trattato. La data di composizio
ne ci risulta ancora imprecisa. Avendo avviato l'insegnamen
to di filosofia come maestro sentenziario nel 1 252 presso la
cattedra retta dal domenicano Elia Brunet de Bergerac, Tom
maso tiene le sue lezioni sul testo di Pietro Lombardo e ne
scrive il commento: Scriptum super Sententiis. Dal 1 252 al
1 256 svolge questo ruolo di commentatore con totale dedi
zione. Alla fine di questo periodo è nominato, dopo grandi
lotte di potere all'interno dell'università, reggente della catte
dra di teologi a . Il trattato è scritto prima di questa data,
conformemente alla testimonianza esplicita di Tolomeo da
Lucca.
Tommaso fa un discorso filosofico sul fondamento del no
stro sapere, ossia sui principi dai quali la ragione umana deve
procedere. I principi sono decisivi nel processo verso la verità
per la quale è data all'uomo l'intelligenza. La conoscenza del-
66
la verità sull 'ente è il necessario punto di partenza della filo
sofia . Tutto il sapere umano dipende da ciò che si sa intorno
all'ente. Di ogni ente conosciuto la mente individua l'essenza,
significata nel linguaggio con i concetti. Nell'ente finito (cioè,
limitato) i modi di essere sono due, la sostanza e l'accidente.
La maggior parte del trattato studia l'essenza dell'ente visto
nella sua d imensione sostanziale. Pa rtendo dalle sostanze
composte di materia e forma, quelle a noi più note, Tommaso
giunge alle sostanze semplici, quali sono l'anima umana, gli
angeli o sostanze separate, e Dio. L'ascesa intellettuale verso
la realtà trascendente di Dio partendo dai dati dell'esperienza
costituisce il nucleo del trattato. Da questo vertice raggiunto
con la sola ragione Tommaso discende attraverso i vari gradi
dell'essere, fondando la molteplicità degli enti sostanziali. Il
concetto di ente si risolve nel concetto di atto. Soltanto l'esse
re assoluto (Dio) è atto puro, mentre gli enti partecipano del
l'atto e hanno una certa composizione con la potenza, e alcu
ni anche con la m ateria, che è una specie determinata di
potenza . L' uomo viene visto da Tommaso come l'ente che sta
al centro di questo grande orizzonte dell'essere, tra il vertice
dell'essere puro che è Dio, e la base della materia prima, che
è pura potenza. L'uomo partecipa dello spirito per l 'anima, e
della materia per il corpo.
Tommaso cita i testi della tradizione filosofica, comincian
do da Platone e da Aristotele, ma interviene anche con le sue
intuizioni metafisiche. Il pensiero di Aristotele è come la base
della tradizione, ma il discorso si snoda in un riferimento co
stante ai filosofi arabi, tra i q uali soprattutto Avicenna e Aver
roè. Le fonti neoplatoniche sono rappresentate dal Liber de
causis, come vedremo meglio più avanti (pp. 1 35-37).
L'opuscolo giovanile prende già posizione nelle questioni
radicali della filosofia. Nel corso della sua vita Tommaso svi
lupperà in modo più preciso queste prime intuizioni, restan
do però fedele ai punti di partenza: composizione di materia
e forma nell'ente cosmico e quindi nell'uomo, unicità della
forma sostanziale nel composto, composizione di atto e po
tenza in tutte le creature, semplicità entitativa in Dio come
Essere assoluto e puro atto, partecipazione graduale di que
sto principio nella scala ordinata degli enti, analogia dell'en
te, linguaggio umano come segno dell'ente nella misura in cui
67
lo si conosce. E mentre presenta questo sviluppo della verità,
Tommaso si preoccupa di denunciare gli errori che la defor
mano: la concezione averroista dell'intelletto separato e uni
co e l'ilemorfismoi9 universale insegnato da Avicebron.
68
de Tarentaise, successore di Tommaso fino al 1 264, ed Étien
ne Tempier, vescovo di Parigi dal 1 26 8 , che diventerà celebre
per le condanne dottrinali del 1 270 e del 1 277. La prima è
pronunciata quando Tommaso si trova a Parigi. Al suo arri
vo lo sviluppo della facoltà delle arti attira l'attenzione di tut
ti. La crisi è arrivata alle soglie della facoltà di teologia, per
ché si diffondono dottrine che a volte sono in contrasto con
la fede. Questo avviene in modo palese intorno ai temi di an
tropologia. I giovani professori seguono i filosofi, anzitutto
Aristotele e il suo commentatore Averroè. La documentazio
ne storica in proposito è ancora scarsa, e il documento di
maggior rilievo è proprio l 'opuscolo di Tommaso, che fra
l'altro è il primo a parlare degli aristotelici parigini designan
doli come averroisti. Nel prologo egli accenna a questa situa
zione critica degli studi a Parigi e afferma che da un certo
tempo si sono moltiplicati coloro che accettano l'interpreta
zione di Averroè sulla dottrina di Aristotele riguardo all'intel
letto umano. Fra i maestri della facoltà delle arti non c'era
ancora l'abitudine di pubblicare le lezioni, ma si usavano le
reportationes, ossia le note prese dagli studenti. Nelle mani
di Tommaso è capitato uno di questi scritti provenienti dai
professori. Forse non si tratta di lezioni, ma di incontri in cir
coli più ristretti. Questo è deducibile da ciò che Tommaso di
ce alla fine dell'opuscolo, quando fa l'analisi critica di alcuni
pensieri dello scritto e muove '"a ll'autore l 'accusa di parlare
« in angulis et coram pueris» , ossia quasi in segreto, negli an
goli, davanti agli inesperti.
La questione presentava due versanti: quello della fede e
quello della ragione. Sostenere che esiste un solo intelletto
come unico soggetto spirituale di tutta l'umanità implicava
negare la spiritualità (e quindi la libertà e l'immortalità) del
l'anima dei soggetti singoli, per i quali tutto finirebbe con la
morte del corpo, il che comporta l'abolizione dell'intero ordi
ne morale, come osserva espressamente l'Aquinate nel proe
mio richiamandosi ai suoi scritti precedenti sullo stesso argo
mento. Si tratta di un errore << davvero indecente» contro il
quale intende riprendere in mano la penna per tacitarne una
buona volta i sostenitori, mostrando che essi oltretutto devia
no apertamente dalla posizione di Aristotele che pur preten
dono d'interpretare: si sbagliano perché leggono i testi del Fi-
69
losofo con gli occhiali di Averroè, e Averroè « non fu un vero
aristotelico ma piuttosto un corruttore della filosofia di Ari
stotele» . 20
Una seconda tesi averroistica, connessa alla precedente
(anzi posta a suo fondamento per scansare le censure eccle
siastiche), era la teoria della doppia verità, ossia che qualche
cosa può esser vero in filosofia e condannato invece dalla fe
de e dalla teologia: una teoria che dilagò nella cristianità me
dioevale (Marsilio da Padova), giunse fino al Rinascimento
(Pietro Pomponazzi) e fu espressamente condannata dal con
cilio ecumenico Lateranense V sotto Leone X, nel 1 5 1 3 .
Tommaso nei primi tre capitoli contesta l'interpretazione
soprattutto dei libri secondo e terzo del trattato aristotelico
Sultanima. Il primo passo è l'integrazione della prima defini
zione dell'anima ( << atto primo del corpo organico » ) con la se
conda ( <<principio con il quale vegetiamo, sentiamo, intendia
mo e ci muoviamo localmente » ) , per poi concludere che
anche l'intendere (e il volere, di conseguenza) è per Aristotele
operazione dell'unica identica anima dell'uomo. Ma, a diffe
renza dei sensi, che operano mediante l'organo, l'intelletto
come si legge all'inizio del terzo libro - non ha organo: Ari
stotele lo dice «separato >> (ossia indipendente) dalla materia e
non sostanza al di fuori del corpo, come pretendevano gli
averroisti. E questo vale tanto per l'intelletto agente quanto
per quello possibile; anzi per questo a maggior ragione per
ché la sua operazione (l'intendere) appartiene propriamente
alla natura dell'uomo. Di conseguenza, pur essendo forma
sostanziale del corpo, l'anima intellettiva non proviene dal
corpo ma << dal di fuori >> , ossia è creata. Sul piano strettamen
te filosofico dei testi e dei contesti si può certamente conveni
re con questa esegesi di Aristotele da parte di Tommaso (sal
vo la conclusione creazionistica, che non è di Aristotele ma
della filosofia cristiana).
Ma la dimostrazione sul piano metafisica ed esistenziale si
trova nel terzo capitolo, dedicato all'intelletto possibile, che
Averroè vede protagonista solitario dell'intendere e che fun
zionerebbe mediante i dati sensibili propri di ciascuno. Ma a
questo modo il soggetto del pensare svanisce, ed evidente
mente un soggetto impersonale è una contraddizione, è la ne
gazione della stessa coscienza umana, e l'Aquinate ha buon
70
gioco ricordando ad Averroè e ai suoi seguaci che è il singolo
- per usare il termine kierkegaardiano - che pensa. L'istanza
è sviluppata sul principio che la forma sostanziale, essendo
principio dell'essere, lo è anche dell'agire, e così l'anima deve
essere principio anche dell'intendere, che è l'operazione pro
pria dell'uomo. Avviandosi alla conclusione, l'Aquinate ag
giunge che la posizione averroistica coinvolge l'intero ordine
morale poiché all'intelletto unico separato seguirebbe anche
una volontà unica separata sicché l'uomo singolo non sareb
be più responsabile dei propri atti e svanirebbe ogni distin
zione fra il bene e il male. Il q uarto capitolo ritorna, ap
profondendole, sulle implicazioni personalistiche e morali
dell'esperienza indubitabile (il senso comune) per la quale
siamo certi che chi pensa è il singolo uomo, e conclude che la
posizione averroistica è in << in contrasto con i fatti osservabi
li, distrugge tutta la coscienza morale e quanto appartiene al
consorzio civile, che per gli uomini è naturale, come dice Ari
stotele» .21 È lo sfacelo più completo della vira umana, priva
ta e pubblica.
Tommaso è chiaramente mosso dalla passione per la verità
che deve orientare l'agire. La questione tocca direttamente il
modo di intendere la personalità umana e la sua vita intelletti
va. Il rapporto dell'individuo con l'intelletto è dunque il nu
cleo di questa polemica. Aristotele aveva iniziato la ricerca di
questo rapporto, ma tra i suoi seg �aci erano sorte interpreta
zioni contrastanti. La più radicale di tutte era appunto quella
proposta da Averroè, le cui dottrine circolavano a Parigi dal
1 220. Tommaso si è trovato fra le mani uno di questi scritti
degli averroisti, scritti forse anonimi, di scarso valore dottri
nale ma di grande significato nel momento storico. Ha letto
questo scritto, segno di una confusa situazione dottrinale. La
dottrina ivi sostenuta lo ha turbato, poiché compromette la
causa per la quale, insieme al suo grande maestro Alberto, egli
lotta dall'inizio del suo insegnamento a Parigi: l'appropriazio
ne cristiana dell'aristotelismo.22 L'interpretazione averroistica
dell'intelletto, chiaramente incompatibile con la fede cattoli
ca, è una grave minaccia contro le posizioni di un teologo che
ha scelto anche la via aristotelica. La reazione di Tommaso è
adeguata alla profondità delle sue scelte dottrinali.
Tre caratteristiche distinguono q uesto trattato: l'esegesi
71
della dottrina aristotelica sull'intelletto, il ricorso all'argo
mento d'autorità in filosofia, l'atteggiamento personale. L'e
segesi che qui Tommaso fa di Aristotele, nella ricerca del rap
p orto fra anima e intelletto, è così accurata, esauriente e
penetrante che non se ne trovano di uguali in tutti gli altri
suoi scritti. Non è meno singolare e significativo il ricorso al
la tradizione filosofica, ossia all'argomento di autorità in fi
losofia, soprattutto per conoscere lo sviluppo storico di un
punto dottrinale. Tommaso scopre nei filosofi greci e arabi il
peso della tradizione aristotelica e le diverse manifestazioni
di una verità sull'uomo. Fra l'altro, è di grande interesse sto
rico trovare nell'opera di Tommaso, di solito .così parco nel
parlare di se stesso, le espressioni del suo carattere, il corag
gio e persino qualche eccesso (la vis polemica di Tommaso at
tinge in questo trattato la cima più alta) . Si tratta della con
clusione finale, nella quale l'Aquinate, dopo aver insistito
sulle conseguenze eterodosse dell'averroismo, lancia all'av
versario - episodio assai raro nei suoi scritti - la sfida diretta
di ribattere contro questo suo scritto se ne ha il coraggio (si
audet), smettendo di insegnare di nascosto (in angulis) o da
vanti agli incompetenti (coram pueris). Questa uscita in pri
ma persona rivela l'importanza eccezionale che il nostro at
tribuiva alla questione, sapendo che non si trattava di una
esercitazione puramente accademica ma d'importanza vitale
sia per l'uomo comune sia per il credente.
72
si espongono i punti in cui convengono (cap. 3 ) e quelli in cui
differiscono (cap. 4), ma il protagonista dell'opuscolo è il fi
losofo arabo-ebreo Avicebron, caposcuola dei fautori dell'ile
morfismo universale nell'opera Fons vitae, allora largamente
diffusa nell'ambiente dei teologi di Parigi (capp. 5-8), seguito
da Avicenna (cap. 1 0), dai platonici (cap. 1 1 ) e da Origene
(cap. 1 2 ) . La seconda parte tratta anzitutto della creazione
divina tanto nelle sostanze materiali quanto in quelle spiri
tuali (cap. 1 8 ), della loro natura, cioè assoluta spiritualità
(cap. 1 9) ; segue la loro distinzione in << buoni e cattivi» secon
do la Sacra Scrittura (cap. 20); qui Tommaso confuta l'opi
nione di quei platonici come Apuleio (citata da Agostino), se
guito anche da alcuni Padri (come lo stesso Agostino e lo
Pseudo-Dionigi), che inclinano ad attribuire loro un corpo e
di conseguenza anche passioni sensibili: ma tutti concordano
nell'attribuirne la caduta alla malizia. Purtroppo l'opuscolo
finisce qui e la questione rimane sospesa.
Il discorso s'interrompe proprio all'inizio della trattazione
teologica, che l'Aquinate del resto sviluppa altrove. La sua
importanza è invece eccezionale per la filosofia, specialmente
su due punti di originale profondità : la struttura dell'ente fi
nito e la fondazione della spiritualità assoluta delle intelligen
ze create. Nel primo egli mette a confronto i due massimi
rappresentanti del pensiero antico: Platone e Aristotele. Nelle
scuole medioevali la loro opposizione era una tesi pacifica da
cui partivano le rispettive differenze fra platonici e aristoteli
ci. E così aveva fatto in precedenza lo stesso Tommaso, op
tando per Aristotele contro Platone e riprendendo fedelmente
nelle prime opere l'aspra critica del Filosofo alla teoria plato
nica delle idee. Ma un po' alla volta la critica si attenua : sot
to l'influsso di Alessandro di Afrodisia (sec. I) e soprattutto
di Simplicio (sec. VI), che egli poté conoscere grazie alla tra
duzione del confratello Wilhelm van Moerbeke, Tommaso
distingue nelle critiche aristoteliche la «forma letterale » e la
«sostanza » delle critiche stesse. Aristotele critica in Platone le
«formule>> poco felici, ma accetta la dialettica platonica della
partecipazione, pur integrandola con le nozioni aristoteliche
di atto e di potenza. Già i neoplatonici greci e arabi avevano
parlato di un accordo (symphonia) di Platone e Aristotele, ed
è ciò che espressamente fa anche l'Aquinate nella prima parte
73
del trattato, lì dove troviamo il sorprendente titolo: De con
venientia positionum Aristotelis et Platonis, mai prima ap
parso nelle sue opere. E si tratta di punti capitali. I due massi
mi pensatori dell'antichità vanno anzitutto d'accordo là dove
si tratta « del modo di esistere » delle sostanze spirituali, in
quanto tutte, essendo enti per partecipazione, derivano dal
primo Ente per essenza, o «altissimo Iddio>> secondo Platone,
come anche afferma Aristotele nella Metafisica. Convengono
anche nella «condizione propria della loro natura >> , cioè di
spiriti puri i quali però sono composti come enti di atto e po
tenza. Infine ambedue ammettono la Provvidenza divina uni
versale, poiché non solo Platone ma anche Aristotele pone il
«Bene sommo come il solo Signore e sovrano>> . Si può osser
·vare subito che in questa tesi è Platone a dominare, mentre
Aristotele viene citato dopo con un etiam. Nel capitolo 4 in
vece sono elencati i punti di divergenza, ma si tratta di aspet
ti secondari dei due sistemi: una conclusione questa che Tom
maso giustifica come il risultato di varie letture; per Fabro si
tratta di « un'evoluzione che è forse un evento unico nella sto
riografia medioevale, al quale finora poco si è badato » .23
Nei capitoli seguenti l'Aquinate rivendica il secondo capo
saldo della sua metafisica, ossia la « spiritualità assoluta >> de
gli enti spirituali, con una polemica serrata agli argomenti del
Fons vitae di Avicebron, già indicato come il vero responsabi
le dell'ilemorfismo universale, teoria che i suoi fautori vole
vano attribuire ad Agostino, cosa che l'Aquinate nega risolu
tamente.
In tempi recenti gli studiosi di Tommaso rivolgono la loro
attenzione con preferenza a questo trattato che non è più ope
ra di un principiante in filosofia che ha bisogno di citare altri,
o si limita a una sola questione, benché fondamentale, ma ap
partiene al pensatore maturo, in pieno possesso del metodo e
del proprio pensiero. Oggi il trattato suscita interesse come
uno dei documenti di maggior valore, non soltanto per la solu
zione del problema che propone, ma anche per la visione d'in
sieme del pensiero filosofico e per l'ermeneutica storica fatta
da Tommaso. In realtà, come sostiene Abelardo Lobato, «è
uno dei capolavori del pensiero dell'Aquinate » .24
A giudicare dal titolo potrebbe sembrare che si affrontino
soltanto questioni teologiche di scarso interesse filosofico. In
74
realtà, le sostanze separate sono di grande importanza per la
conoscenza del nostro universo. A coloro che dicevano che
l'uomo, essendo mortale, non deve avere cura se non delle
cose dei mortali, Aristotele rispondeva che dobbiamo trovare
il tempo di occuparci di ciò che di divino e immortale, per
quanto piccolo e nascosto, è presente in noi per il fatto di es
sere uomini e di avere intelletto, poiché sapere un poco delle
cose profonde e superiori vale più che sapere molto delle cose
banali. Per Tommaso è valido questo stesso criterio di verità.
La verità si identifica con l'essere. Perciò la conoscenza delle
sostanze separate, per quanto limitata, può risultare vera
mente utile per l'uomo. Sostanza separata è anche Dio e la
conoscenza di Dio è decisiva per l'umana esistenza .
In questo terzo opuscol o filosofico, dunque, Tommaso
parla anche di Dio, ma il suo oggetto non è espressamente
Dio. La ricerca è incentrata sugli enti spirituali che sono tra
l'uomo e Dio. In nessun'altra opera come in questo trattato
della maturità Tommaso ha fatto un discorso filosofico di ca
rattere storico, con l'analisi delle fonti.
Il giudizio degli studiosi sul testo è altamente positivo. Pos
siamo raccoglierne alcune testimonianze. Étienne Gilson - il
più grande storico della filosofia medioevale - lo ritiene
•• un'opera di ricchezza storica incomparabile » , 2s sia per l'ar
gomento sia per l'uso delle fonti della tradizione. Per Esch
mann •• è uno dei più importanti �critti di metafisica dell'A
quinate » . 26 Henle, lo studioso del pensiero neoplatonico
nell'opera di Tommaso, pensa che il trattato è •< la più bella
sintesi della dottrina platonica che si trovi in tutto il corpus
tomistico >> Y Cornelio Fabro mette in risalto l'importanza
della partecipazione e della causalità nelle formulazioni pre
cise e dense del testo. Per Dondaine, Tommaso va molto al di
là delle circostanze che hanno dato origine storica al volume.
Infine Lescoe, che ne ha fatto un'edizione critica, una versio
ne in inglese e alcuni studi di rilievo, afferma che tra le opere
minori di Tommaso << questo trattato è una delle più impor
tanti » .
Il trattato, come dicevo prima, corrisponde dal punto d i vi
sta storico agli ultimi anni vissuti da Tommaso nell'ambiente
universitario di Parigi. Tuttavia egli non lo ha scritto per la
scuola, né come lezione del suo corso né come disputa scola-
75
stica . Le parole confidenziali del proemio e la dedica a fra
Reginaldo sono indizi sufficienti per poter affermare che il
trattato risponde anzitutto a motivazioni interne del pensiero
di Tommaso. È un frutto maturo della riflessione personale
dell'Aquinate intorno a un problema che ha richiamato forte
mente la sua attenzione e sul quale egli in precedenza aveva
già scritto molto. Col trattato, Tommaso porta a termine lo
sviluppo del suo pensiero sull'argomento, stimolato dagli ul
timi libri di filosofia tradotti in latino, e risponde alle que
stioni della vita universitaria, scossa dalla condanna dottri
nale del 1 0 dicem bre 1 270. Motivi personali e circostanze
dottrinali gli offrono dunque un'occasione propizia per un
approfondimento storico-critico.
76
3
77
pevolmente, dall'opera di Tommaso, e sviluppati soggettiva
mente secondo le esigenze storiche e psicologiche dei pensa
tori che le espressero. Ciò fu possibile perché Tommaso non
intese costruire un sistema chiuso, un complesso di dottrine e
di principi condizionati a determinati schemi o legati a parti
colari esigenze storiche. È per questo che la sua opera non
può essere considerata l'ingenua e forzata «cristianizzazione»
di Aristotele, sulla scia del suo maestro Alberto di Colonia,
come spesso si afferma. Tommaso non intende affatto cristia
nizzare Aristotele, né tanto meno provare le verità della Rive
lazione con l'autorità delle dottrine aristoteliche; un genio
delle distinzioni come lui non poteva non rilevare che in tal
caso l'effetto sarebbe sproporzionato alla causa, o meglio che
il mezzo non sarebbe atto al fine, in quanto il soprannaturale
non può essere ricavato dalla natura. Ma allora perché Tom
maso tributa il culto massimo allo Stagirita, esaltandolo co
me l'autorità più grande nel campo del pensiero ? Inoltre, per
ché si serve tanto spesso degli argomenti aristotelici per
difendere le verità della dottrina cattolica ? Rispondere con la
maggior esattezza possibile a questi interrogativi significa av
vicinarsi allo spirito del grande pensatore, nella sua chiarezza
e semplicità. Tommaso infatti è nemico di ogni confusione,
superficialità, unilateralismo, soggettivismo e sentimentali
smo: le sue caratteristiche sono il rigore logico, l'obiettività
critico-costruttiva, la chiarezza argomentativa e l'evidenza
delle conclusioni in cui la mente riposa, per ricondurre tutto
alla verità suprema di Dio.
Per l'Aquinate, infatti, «il fine ultimo di tutta la ricerca fi
losofica rientra nel fine della scienza teologica e ad esso è or
dinato >> ; ! il che si comprende pienamente se si considera, con
lo stesso Tommaso (ma è ciò che pensavano anche Platone,
Aristotele e Platino), che « quasi tutta la ricerca filosofica si
orienta alla conoscenza di Dio » . 2 Su questa base teocentrica
della filosofia nella sua dinamica sapienziale si spiega la
grande apertura mentale di Tommaso nei confronti della filo
sofia di tutti i tempi: da quella dei pagani a quella degli ebrei,
dei musulmani e degli stessi cristiani di altre scuole. Come
scriveva Toccafondi, Tommaso ha sempre presente che, es
sendo la conoscenza intellettiva umana essenzialmente di
scorsiva,
78
sarebbe ingenuo pretendere l'uniformità di pensare filosofica
mente con un unico sistema e seguendo un'unica via. Ma sem
pre respinge l'eclettismo, mira decisamente alla sintesi del sa
pere, sempre raggiungibile tesoreggiando la verità, che nei
suoi molteplici aspetti non manca di rilucere negli innumere
voli e a volte anche più disparati modi umani di concepire. Il
che richiede appunto la necessità di passare al vaglio con criti
ca costruttiva le varie asserzioni. E questo vaglio è dato dai
primi principi della ragione, ai quali l'uomo tanto istinriva
mente (spinto dalla natura), quanto filosoficamenre (convinto
dalla loro perspicua ed irresisti bile evidenza ) , immobiliter
adhaeret. E in tal modo l'Aquinate invariabilmenre si compor
ta in tutte le questioni che tratta, dove non si contenra di ne
gare semplicemente ciò che altri affermano o viceversa, ma dà
sempre le ragioni più profonde così delle proprie come delle
altrui affermazioni o negazioni, e quando è in tema di vere
opinioni, discutendole e rilevandone il pro e il contro con in
vidiabile liberalità e rara equanimità .3
79
La creatività di Tommaso
80
cristiani di Occidente dovevano conoscere il Filosofo. Il suo
programma mirò a introdurre Aristotele nelle scuole: << Facere
Aristotelem intelligibilem latinis» . La scuola di Alberto svi
luppò quanto Tommaso aveva appreso da Martino e Pietro
d'Irlanda a Napoli. Abbiamo già detto, infatti, che era stato
avviato allo studio di Aristotele mentre era giovane universita
rio a Napoli, dove seguiva i corsi di logica, filosofia ed etica.
Lo studio della filosofia non cristiana era dunque abituale
per Tommaso, che oltre a l le opere di Aristotel e leggeva i
commenti dei filosofi arabi Avicenna e Algazel. L'esempio di
Alberto influì in lui nel portare avanti il grande piano cultu
rale di assimilazione cristiana del pensiero greco. Il maestro
dell'ordine domenicano, Umberto de Romans, verso la metà
degli anni quaranta del Duecento, si domanda in modo espli
cito se il domenicano possa studiare filosofia ( << Utrum possi
mus studere in philosophicis>> ) ; la risposta è affermativa: non
solo può, ma deve studiare la filosofia, poiché con l'ausilio
della filosofia combatte gli errori, difende la fede, comunica
la verità . Il maestro aggiunge che questo studio ridonda in
onore dell'ordine. Al posto dei divieti degli anni precedenti,
vengono i consigli che indirizzano i domenicani a non igno
rare la filosofia e i suoi problemi. L'ordine, infatti, era stato
costituito fin dall'inizio per la predicazione e lo studio. Nel
l'anno 1 259, nel capitolo generale celebrato a Valenciennes
in Francia, si prescrisse che ogni studio provinciale doveva
provvedere all'insegnamento della filosofia ai frati. A questo
capitolo parteciparono, insieme ad Alberto di Colonia, anche
Tommaso d'Aquino e Pietro da Tarantasia. L'opuscolo De
ente et essentia, come abbiamo visto, fu scritto proprio allo
scopo di aiutare i frati nello studio della filosofia.
Occorre anche tener conto dell 'urgente necessità, profon
damente sentita da Tommaso e dai suoi confratelli e colleghi,
di rinnovare la teologia con l'assimilazione del sapere umano
del loro tempo per metterlo a servizio della fede, cercando
una più adeguata soluzione al problema del rapporto tra ra
gione e fede, tra sapere rivelato e verità di ragione, tra teolo
gia e scienze umane. I divieti degli anni precedenti lasciano il
posto al programma di assimilazione delle dottrine che non
sono di per sé in opposizione con la dottrina cristiana . Ago
stino aveva espresso tale naturale desiderio dell'anima cri-
81
stiana in formule precise. Per Tommaso, questo assimilare
ogni verità per poi conciliarla con la fede è uno dei grandi
scopi della sua vita, e infatti lo dice espressamente all'inizio
del Liber de veritate catholicae (idei, denominato poi Summa
contra genti/es.
Mentre si interessa della tradizione filosofica di origine sia
aristotelica sia neoplatonica, Tommaso mira al suo supera
mento, sapendo che solo così si apre al pensiero cristiano una
possibilità di arricchimento e di risposta attuale ai problemi.
La filosofia si pone al servizio della teologia e della fede, co
me sapere inferiore, ma allo stesso tempo come autentico sa
pere metafisica.
82
nisce lo statuto epistemologico della teologia, che diventa ne
cessariamente un habitus acquisitus, poiché si tratta di sa
pientia umana, sia pure massima tra le sapienze umane. Però
si tratta di un habitus nuovo, non previsto dalla classificazio
ne aristotelica delle «virtù dianoetiche » , che includeva solo la
fisica, la matematica e la metafisica . Tommaso mostra che la
teologia ha elementi in comune sia con la scienza sia con la
sapienza: con la scienza in quanto è discorsiva (argumentati
va) , e con la sapienza perché ha come oggetto la causa ulti
ma, Dio: in quanto scienza discorsiva essa ha il carattere di
scientia subalterna perché è da Dio, mediante la fede, che es
sa riceva i suoi principi primi, ossia le verità rivelate.
L'idea di scienze "subalternanti " e "subalterne " risale ad
Aristotele,4 ma Tommaso è il primo ad applicarla alla teolo
gia. Insegnando che la teologia è scienza subalterna alla « co
noscenza che ha Dio stesso, e che i beati hanno con lui » ,
Tommaso riesce a salvaguardare allo stesso tempo i l primato
assoluto della fede e l'appartenenza effettiva, intrinseca, non
accidentale di tale scienza alla ragione. La dottrina della su
balternazione comporta due cose: anzitutto, la dipendenza
essenziale della scienza inferiore (in questo caso della teolo
gia ) rispetto alla scienza superiore; in secondo luogo, la par
tecipazione alla scienza superiore da parte della scienza infe
riore (la teologia) . Questa teoria non rappresenta quindi una
svalutazione della ragione, ma l'innal � amento della ragione
mediante la fede, la quale fa sì che l'uomo possa condividere
la conoscenza che Dio ha di se stesso e di ogni altra cosa . Se
condo Tommaso nel lavoro teologico l'interiorizzare della ra
gione non comporta una sua strumentalizzazione da parte
della fede ma una partecipazione alla scienza divina con
l'aiuto della fede. Infatti, il soggetto che pensa alla verità ri
velata è il soggetto umano il quale ha come capacità di pen
sare l'intelletto, che si chiama ratio quando pensa argomen
tando, ragionando. Senonché l'intelligenza umana non può
giungere di per sé a cogliere le verità soprannaturali. Tale po
tere le viene conferito dalla fede, dono dello Spirito Santo.
Con l'aiuto della fede, lungi dall'essere squalificata per quan
to attiene il suo esercizio, la ragione viene messa in condizio
ni di penetrare nel mondo ineffabile delle verità divine; ma lo
fa << discurrendo, non intuendo » , argomentando e non con-
83
templando: la contemplazione non appartiene a questa vita
bensì alla vita eterna. Il gradino più vicino alla contemplazio
ne nella vita presente è la teologia speculativa .
Come scienza subalterna che affonda le sue radici nella sa
pienza divina, la teologia opera sulle verità che le vengono
proposte ed esposte dalla luce della fede in modo tale da rica
varne tutta la ricchezza, tutta la bellezza. Per fare questo essa
mette a frutto la sua strumentazione logica e soprattutto la
tecnica dell'argomentazione, che quando assume la forma sil
logistica è composta di due premesse e una conclusione. Nel
l'argomentazione teologica la premessa maggiore è un asser
to di fede (cioè una verità rivelata) , mentre la premessa
minore è una evidenza di ragione. La seconda premessa è
quindi il momento in cui la ragione fa uso delle proprie cono
scenze per riuscire a comprendere meglio la verità rivelata.
Lo statuto epistemologico che Tommaso conferisce alla teo
logia non sminuisce il carattere sapienziale di questa scienza,
anzi è il modo migliore di avvicinarla alla sapienza. La teolo
gia deve divenire scienza superiore, ma lo diviene nella misura
in cui fa meglio comprendere la fede, e ciò si ottiene raggiun
gendo nuove conclusioni nell'ordine di quelle verità che in sta
tu viae rimangono oscure e inesauribili. Lo schema della strut
tura della scienza teologica, osserva Chenu,
84
ed è senz'altro, afferma Tommaso, sapienza in senso eminen
te: «maxime sapientia inter omnes sapientias humanas» .
85
ricerca del vero e del bene naturale, raggiunsero fecondissimi
risultati. Tommaso non si serve dunque dell'aristotelismo per
"provare" il dogma rivelato, ma invoca l'autorità di Aristote
le per dimostrare che la Rivelazione non si oppone alla ragio
ne, non contrasta cioè le esigenze critiche del pensiero .. Un
procedimento analogo è seguito da Dante: Virgilio infatti è la
pietra di paragone, la condizione necessaria perché il poeta
possa dirigersi verso Beatrice e ricevere da lei la luce della mi
stica visione. Senza la ragione è impossibile l'accesso ai mi
steri soprannaturali. Virgilio per Dante impersona la natura
razionale, così come per Tommaso l'opera aristotelica rap
presenta il frutto migliore della ragione umana. Non per pro
vare il valore della Rivelazione Tommaso utilizza Aristotele,
ma per rendere comprensibile logicamente e mostrare la pos
sibilità razionale della libera accettazione di una verità so
prannaturale che, per quanto indimostrabile razionalmente,
non contrasta con le leggi della ragione, anzi ne è conferma e
potenziamento, come la stessa storia della filosofia dimostra
con gli sviluppi speculativi determinati dalla Rivelazione.6
Per comprendere i motivi intrinsecamente razionali della
adozione di Aristotele da parte di Tommaso è utile riportare
qui il brano centrale di un celebre saggio di Étienne Gilson, il
quale ha saputo mettere in evidenza come l'aristotelismo di
Tommaso d'Aquino sia una necessità teoretica, derivante dal
l'intuizione metafisica dell'intelligibilità intrinseca del reale,
non sufficientemente garantita dal platonismo; Tommaso
non esita per questo ad allontanarsi da Agostino; egli aveva
ben visto - scrive Gilson - che ci sono solo due opzioni meta
fisiche fondamentali:
86
ogni verità. Dalla parte opposta c'è Aristotele che respinge lo
scetticismo implicito nell'opzione platonica e porta alle estre
me conseguenze questo rifiuto, pensando che ci sia un elemen
to di stabilità negli enti sensibili e che i sensi non si ingannano
quando giudicano in condizioni normali del loro proprio og
getto; di conseguenza, le cose sono necessariamente intelligibi
li in sé stesse . . . Optare a favore della dottrina di Aristotele
contro quella di Platone significava per Tommaso ricostruire
la filosofia cristiana su basi diverse da quelle di Agostino.?
Il realismo empirico-metafisica
87
metafisica) ossia le sostanze separate e tutto quanto è comune
a tutti gli enti. Dal che risulta che l'indagine metafisica è mas
simamente speculativa (intellectualis ).B
88
ne, la divisione, la distinzione, la separazione, l'analogia, il
paragone, la metafora e l'argomento di convenienza. In effet
ti di tali procedimenti Tommaso si serve con grande abilità.
89
listica della metafisica, dove questa si accontenta di prendere
in considerazione un più elevato grado di essenze, quelle che
sono separate o separabili dalla materia. Invece Tommaso,
collocandosi nella prospettiva dell'essere, non può più consi
derare la metafisica come studio di un determinato genere di
essenze o di forme: la sua ricerca punta direttamente all'esse
re degli enti, il suo è un accostamento esistenziale alle cose. E
tale accostamento avviene non mediante l'idea astratta ma
mediante il giudizio: è nel giudizio infatti che l'intelletto si
pronuncia sull'essere delle cose; non si tratta più di astrazio
ne, ma di separazione; si separa l'essere dal non essere, ma si
separa anche l'essere infinito, perfetto, impartecipato, assolu
to, dall'eme finito, imperfetto, contingente, caduco; ed è la
seconda separazione ciò che specifica la metafisica di Tom
maso.
Sulla scia di Aristotele, Tommaso caratterizza la metafisica
come sapienza, come filosofia prima e come teologia. Nel lin
guaggio aristotelico (ma anche p latonico) sapienza designa
un modo di sapere superiore a quello della scienza. Infatti,
«scientia est conclusionis ex causis inferioribus. Sapientia ve
ro considerat causas primas>> , l l Ora, la metafisica tratta pre
cisamente delle cause prime dell'ente.1 2 Essa merita pertanto
il titolo di sapienza. Ma la metafisica merita anche il nome di
filosofia prima . Per intendere il significato di questo titolo
occorre tenere presente che per i Greci e per i medioevali la
filosofia abbracciava soprattutto le scienze naturali ossia la
fisica. Ora - nota Aristotele e con lui Tommaso - se tutto lo
studio della realtà fosse esaurito dalla fisica, allora la fisica
sarebbe coestensiva alla filosofia e non ci sarebbe più posto
per una scienza ulteriore, la metafisica. Senonché la fisica
studia solo il mondo materiale, non le sostanze separate, im
materiali. A quella parte della filosofia che si occupa dell'im
materiale spetta quindi giustamente il titolo di filosofia pri
ma. Poiché la metafisica comprende fra le cause ultime del
suo oggetto - l'ente - l'esse ipsum, essa merita anche l'appel
lativo di scienza divina o teologia. Come è stato osservato, la
metafisica non tratta di Dio immediatamente, come oggetto
proprio, poiché il suo oggetto è l'esse commune. Ma Dio fa
parte della metafisica perché lo studio esaustivo dell'essere
dell'ente porta necessariamente a Dio.
90
La metafisica in rapporto all'etica
91
co aveva affrontato la questione dei rapporti tra ragion prati
ca e ragion speculativa a più riprese e la soluzione che aveva
proposto era sempre la stessa: relativa autonomia della disci
plina morale, la quale dispone di un oggetto e di principi pro
pri, e, allo stesso tempo, sostanziale subordinazione del pen
siero morale al sapere speculativo. Questa è anche la tesi che
Tommaso fa sua, arricchendola di ulteriori considerazioni,
nel suo splendido commento.
La questione dei rapporti tra le diverse forme di sapere si
presenta subito nel primo capitolo, dove Aristotele afferma
che tutto l'agire umano è ordinato a qualche fine e che tra i
vari fini esiste un certo ordine a seconda della loro importan
za. Lo stesso ordine si rispecchia anche nelle operazioni e nel
le scienze, perché «i fini delle scienze architettoniche sono più
importanti dei fini di quelle subordinate. Infatti solo in fun
zione di quelli si seguono anche questi» . Commentando que
sto capitolo Tommaso dice che compito della ragione è «co
noscere l ' ordine delle cose » . E qui egli distingue subito
quattro tipi di ordine e quindi quattro modi di rapportarsi
della ragione all'ordine. I quattro ordini sono l'antologico, il
logico, il morale e l'artistico. Rispetto all'ordine antologico,
« la ragione si limita a constatare, poiché [la realtà] non è
frutto della sua opera >> . 13 Rispetto all'ordine logico, la ragio
ne «lo realizza nell'atto suo proprio: per esempio quando or
dina tra loro i suoi concetti e i segni dei concetti, perché si
tratta di voci significative >> . 14 Anche nell'ordine morale è pro
tagonista la ragione; è infatti <d'ordine che la ragione, riflet
tendo, effettua nelle azioni volontarie>> _ 1 5 Della stessa padro
nanza gode la ragione rispetto all'ordine artistico: è infatti
<d'ordine che la ragione realizza negli esseri esterni di cui essa
è la causa >> . 1 6
Subito dopo Tommaso precisa che a ciascun ordine corri
sponde un genere di sapere e di scienza; infatti, « le diverse
scienze derivano dai diversi ordini che sono oggetto di una
specifica considerazione della ragione >> . 1 7 La filosofia natu
rale «ha come oggetto proprio l'ordine degli esseri su cui la
ragione umana riflette senza esserne la causa, e nell'ambito
della filosofia naturale facciamo rientrare anche la metafisi
ca » . 18 La logica o filosofia razionale realizza l'ordine della
ragione stessa, «considerando l'ordine delle parti del discor-
92
so tra di loro, e l'ordine dei principi tra di loro e in relazione
alle conclusioni » . 1 9 La filosofia morale « riflette sull'ordine
delle azioni della volontà » . 2o Nelle arti meccaniche « la ra
gione concretizza l'ordine delle cose esteriori come elabora
zione del pensiero umano» . 2 1
I tre ordini - logico, etico e artistico - nei quali la ragione è
protagonista sono subordinati all'ordine antologico, di cui la
ragione è solo umile testimone. Infatti la logica ordina la ra
gione speculativa alla conoscenza dell'essere e del vero. La
morale ordina la ragione pratica alla conoscenza e alla realiz
zazione del bene. L'arte ordina la ragione alla conoscenza e
all'attuazione del bello e dell'utile. Ma l'essere, il vero, il be
ne, e il bello cadono tutti sotto la considerazione della meta
fisica, la quale quindi svolge un ruolo architettonico rispetto
a tutte le altre scienze e modi del sapere. Così, dalla riparti
zione dei vari ordini a cui si trova relazionata la ragione
umana già si evince la subordinazione della morale alla meta
fisica . Ma su questo punto il pensiero di Tommaso è molto
più preciso e articolato e ne parla diffusamente soprattutto
nei libri sesto e decimo del Commento all'Etica nicomachea.
Gli argomenti principali con cui egli giustifica la subordina
zione della morale alla metafisica sono tre: il primo si basa
sulla subordinazione della prudenza (regina delle virtù mora
li) alla sapienza; il secondo sulla subordinazione del bene al
l'essere; il terzo sul primato della C(')ntemplazione della divi
nità nel conseguimento della felicità.
Nella concezione tommasiana la subordinazione del bene
all'essere e quindi della morale alla metafisica è ancora più
accentuata che in Platone, in Aristotele e nei neoplatonici. E
non si tratta semplicemente di una subordinazione logica ma
anche antologica, reale. C'è anzitutto una subordinazione lo
gica in quanto il concetto di esse nella sua vastità estensiva e
nella sua ricchezza intensiva abbraccia ogni altro concetto. 22
Ma c'è anche una rigorosa e profonda subordinazione onta
logica, perché il bene che presiede all'ordine dell'agire umano
non è altro che una facciata dell'essere, è l'essere stesso visto
in quanto appetibile. Per precisare in che modo il bene ag
giunge qualche cosa all'essere Tommaso distingue tre generi
di aggiunte: a) l 'aggiunta dell'accidente riguardo alla sostan
za di qualche cosa che non appartiene alla sua essenza o defi-
93
nizione; b) l'aggiunta di una specie al genere, contraendolo e
determinandolo in tal modo che il genere diviene parte della
sua definizione; c) l 'aggiunta che si ottiene mediante la priva
zione, la quale aumenta la nostra conoscenza di una cosa
senza tuttavia aggiungere un nonché di reale alla cosa stessa.
Per esempio, quando aggiungiamo il termine "cieco" al ter
mine " uomo" noi richiamiamo la nostra attenzione a una
mancanza e non a una aggiunta nell'ordine reale: l'aggiunta
avviene soltanto sul piano concettuale e non sul piano del
l'essere. In base a questa divisione, ci si aspetterebbe che
Tommaso collocasse l 'aggiunta del bene all'essere nel secon
do tipo, e invece egli non lo fa, anzi lo esclude esplicitamente;
infatti, come il bene non è un accidente così non è neppure
una specie particolare di essere. Il genere di aggiunta a cui
appartiene il bene riguarda l'ordine concettuale, logico, non
quello reale:
È necessario che il bene, per il fatto che non contrae l'ente, ag
giunga all'ente qualche cosa che sia soltanto di ragione. Ora,
ciò che è soltanto di ragione non può essere che duplice, cioè
o una negazione o qualche relazione. Infatti, ogni positività
assoluta significa qualcosa di esistente nella realtà. Così dun
que all'ente, che è la prima nozione dell'intelletto, l'uno ag
giunge soltanto di ragione una negazione: si dice infatti uno
nel senso di ente indiviso; invece il vero e il bene si dicono po
sitivamente, per cui non possono aggiungere se non una rela
zione di ragione . . È necessario dunque che il vero e il bene
.
94
guida per l'agire umano nella contingenza storica. Per orien
tare l'uomo nella sua condotta morale non basta infatti una
metafisica delle realtà separate (Dio e gli angeli) ma occorre
una metafisica dell'uomo stesso, una metafisica della persona
umana. In effetti si possono fissare solide basi per l 'agire
umano soltanto se si chiarisce il mistero della persona: ossia
se si fa vedere che l'uomo non è una realtà esclusivamente
materiale, bensì una realtà primariamente spirituale, vale a
dire un ente sussistente nell'ordine dello spirito, una persona.
Non si può prescrivere all'uomo - come pretende il formali
smo kantiano - di obbedire all'imperativo categorico; non si
può imporre alcun precetto alla coscienza se non c'è consape
volezza critica, in colui che sottostà a tali precetti, sulle ragio
ni per cui è tenuto a osservarli. La questione antologica pre
cede necessariamente la questione etica. La metafisica della
persona precede l'etica della persona. Ciò manca - come or
dine logico - alla nuova filosofia morale del Novecento, e in
particolare all'etica antintellettualistica e antimetafisica della
filosofia ebraica (Martin Buber, Vladimir Jankélévitch, Em
manuel Lévinas), che pure è ricchissima di intuizioni valide.
Compito della metafisica è assicurare un solido fondamen
to alle realtà finite e pertanto contingenti riconducendole ai
loro supremi principi. La metafisica dell'essere radica e salva
gli enti collegandoli all'esse ipsum subsistens. La metafisica
dell'uomo fonda e salva il suo essere saldandolo strettamente
alla dimensione dello spirito (dimostrando la spiritualità del
l'anima e dotandola di un proprio actus essendi) ed elevan
dolo in tal modo al grado di persona, che è sempre un sussi
stente nell'ordine dello spirito: è un subsistens rationale vel
intellectuale, secondo la definizione di Tommaso. La metafi
sica fonda la morale proprio perché chiarisce che lo spirito
dell'uomo è uno spirito incompiuto e imperfetto, il quale è
chiamato alla piena realizzazione di se stesso facendo il bene
ed evitando il male.
L'agire morale, insomma, presuppone - sia pure al livello
inespresso del senso comune - precise certezze metafisiche.
La prima certezza è che l'uomo sia una persona e non una co
sa. La seconda è che il mondo umano in quanto mondo dello
spirito sia un mondo sensato: che sia un regno dei fini e non
della necessità o del caso; un regno dove si afferma l 'essere
95
piuttosto che il non essere, il significato piuttosto che la per
dita di senso. La terza è che l'uomo sia un essere incompiuto,
un progetto anziché un'opera finita, e che proprio mediante
l'agire morale - agire per il bene e secondo il bene - egli pos
sa autodeterminarsi verso il proprio compimento. In breve: la
metafisica chiarisce all'uomo che nel profondo del suo essere
egli appartiene all'ordine dello spirito; la morale è la ragione
che guida l'uomo nell'ardua fatica della piena realizzazione
di sé come spirito finito proteso verso l'infinito.
Infatti
96
l'essere è più nobile di qualsiasi altro elemento che l'accompa
gni. Perciò, in sede assoluta l'essere è più nobile anche del co
noscere, supposto che si possa pensare di conoscere facendo
astrazione dall' essere.27
97
cevere. 2 s Da quanto siamo andati dicendo risulta evidente
l'originalità di Tommaso rispetto a Boezio. Non si può certo
attribuire a Boezio il merito di aver creato la metafisica del
l'essere. Del resto, la modestia della sua statura filosofica e
teologica è universalmente ammessa. La sua grandissima im
portanza storica va ricercata nel suo ruolo di traduttore e
commentatore di Platone, di Aristotele, di Porfirio e di Tolo
meo, come già gli riconosceva l'amico Cassiodoro: «Nelle tue
versioni gli italiani possono leggere ora la musica di Pitagora,
l'astronomia di Tolomeo, l'aritmetica di Nicomaco, la geo
metria di Euclide; possono discutere in latino la teologia di
Platone e la logica di Aristotele; con tutte le tue traduzioni
hai restituito Archimede ai siciliani >> . Quanto a Tommaso, la
sua costruzione metafisica presenta novità notevoli rispetto
ad Aristotele, il quale non ha concepito l'essere intensiva
mente, come una realtà a sé stante, bensì come un atto che
accompagna una realtà determinata e in particolar modo la
sostanza. L'essere (ente), per Aristotele, ha come analogato
principale la sostanza e non l'actus essendi sic et simpliciter o
l'esse ipsum subsistens. Ma Tommaso è originale anche ri
spetto a Platone e ai platonici: infatti, pur facendo proprio il
concetto di partecipazione e l'iter speculativo dell'exodus e
del reditus, egli non li applica all'Uno, alla Verità, alla Bontà
e alla Bellezza come avevano fatto i neoplatonici, bensì all'es
sere (esse).
Come Battista Mondin ha mostrato a più riprese, anche
sulla scorta degli studi storico-critici di Cornelio Fabro e di
Étienne Gilson, la sintesi metafisica di Tommaso è una sintesi
geniale: è una nuova grande e possente cattedrale - come le
meravigliose cattedrali gotiche del Medioevo - in cui si trova
molto materiale platonico e aristotelico, dove persino il dise
gno è in parte mutuato dai neoplatonici. Ma ciò che funge da
cemento e che tiene saldamente insieme l'intero edificio è
frutto della genialità di Tommaso: è il concetto intensivo del
l'esse come actualitas omnium actuum e perfectio omnium
perfectionum, principio primo e fondamento ultimo di ogni
cosa.
La metafisica tommasiana dell'essere, insomma, si può di
re sia platonica sia aristotelica, e comunque è soprattutto
tommasiana; "sostanzialmente" è tommasiana, e "formai-
98
mente" è sia platonica sia aristotelica. Il tomismo non è né
una specie di aristotelismo né una specie di platonismo, ma è
un nuovo, coerente sistema che può essere detto di impianto
aristotelico-platonico oppure platonico-aristotelico.
99
l'essenza (astratta ) di un ente e la sua concreta esistenza; in
fatti non tutti gli enti, per il fatto che si apprendono come
possibili in base a un'essenza astratta conosciuta, hanno di
fatto l'esistenza, in quanto questa è una determinazione at
tuale percepita dalla coscienza an tologica tramite i sensi;
quindi è un aspetto particolare dell'ente che connette l'ogget
to al soggetto che l'ha appreso come ente, cioè come essenza
che si dà nella realtà, in base alla nozione di essere, nozione
universalissima e trascendente che sostanzia la coscienza sog
gettiva. L'esistere, dunque, non è l'essere, ma ne è una deter
minazione, una particolare attuazione che la ragione coglie e
giudica attraverso i sensi che lo avvertono.
Come abbiamo visto, l'essenza per Tommaso è quello che
era per Aristotele, ossia "ciò che una cosa è " , mentre l'esi
stenza è attività di ciò che è, atto di essere; così la sostanza si
può dire sinonimo di ente, in quanto è considerata "ente in sé
esistente " , mentre l'accidente è ciò che non ha in sé la ragio
ne di essere. La causa è l'origine dell'ente mentre l'effetto ne è
il prodotto; il fine è il motivo fondamentale di tutti gli atteg
giamenti esistenziali dell'essere, nelle sue determinazioni sia
generiche sia specifiche; tali determinazioni, per Tommaso,
sono appunto le categorie.
L'essere delle cose è dunque la prima notitia metafisica del
la realtà, sia soggettiva che oggettiva, intesa come nozione
originaria della mente che crea la coscienza antologica. Non
si tratta di una concezione dell'essere statica, alla maniera di
Parmenide, ma di una visione metafisica realistica, con fon
damento logico nella prima evidenza del senso comune, quel
la del mondo come insieme di enti diversi; la nozione tomma
siana dell' essere non esclude insomma la molteplicità del
reale. L'essere infatti è l'atto fondamentale e originario che
cogliamo come elemento comune di un insieme innumerevole
di enti, tra i quali ci siamo noi stessi e le cose che apprendia
mo per mezzo della sensazione. In tal modo torn ano a ri
splendere di nuova luce il concetto socratico, l'idea di Plato
ne, l'essenza aristotelica e la verità agostiniana, in una sintesi
metafisica che costituisce l'apporto essenziale con cui Tom
maso contribuisce alla storia del pensiero.
Sicché il mondo della nostra esperienza è costituito da una
molteplicità di enti; ciascuno di essi risulta composto di ma-
1 00
teria e di forma: di materia, intesa come capacità o potenzia
lità a divenire; di forma, come attuazione di detta capacità o
possibilità.
101
scendente e personale, la cui natura contiene in sé in modo
eminente, infinito ed eterno, tutto il valore antologico e per
fettivo che la ragione riscontra nell'insieme degli enti dell'e
sperienza. Siamo giunti così al culmine del problema, alla ri
cerca cioè dell'Essere-causa , dell'Uno-principio, donde ha
origine il molteplice degli enti e anche il fine del loro dinami
smo. Tale indagine ci trasferisce dal problema metafisica a
quello teologico, rimanendo, s'intende, sempre nel campo
della ragione naturale.
Dio è l'Essere come Soggetto e Persona,Jo colui che libera
mente crea e governa l'universo: è causa assoluta a cui cia
scuna creatura deve la sua esistenza e tutte le sue perfezioni,
sia attuali sia possibili. La sua natura è infinita e onnipotente,
la sua essenza è perfezione in atto, perciò nel suo essere non
si può dare alcuna distinzione tra essenza ed esistenza. Tale
distinzione, infatti, è necessaria per spiegare la costituzione
antologica degli enti molteplici e finiti, nei quali l'essenza in
dica la potenza e l'esistenza esprime l'attuazione di tale po
tenza; ma in Dio non può aver luogo alcuna potenza, in
quanto la sua essenza è atto purissimo, cioè perfezione totale
e inesauribile eternamente in atto.
Ma - si domanda giustamente Tommaso - come si spiega
la creazione ? Se Dio è purissimo atto, semplicità assoluta, co
me può derivare da Lui l'essere di enti materiali, limitati, di
versi tra loro e, si direbbe, contrastanti con la natura del
Creatore ? La sapienza classica in genere, specialmente con
Platone e Aristotele, aveva affermato l'eternità del mondo,
ma rimaneva la difficoltà metafisica secondo la quale non si
può ammettere l'eternità di enti per loro natura contingenti,
mutabili e corruttibili, poiché l'eternità è immutabilità, incor
ruttibilità, necessità e perfezione. Né d'altra parte il mondo
può essersi dato da sé l'esistenza, giacché il contingente non
può essere causa di se stesso; rimane da vedere come ha fatto
Dio a crearlo.
La creazione è per la filosofia cristiana attività libera, pro
pria della natura divina, con la quale si hanno dal nulla le
creature. Dio non genera il mondo, non produce gli esseri de
rivandoli (come immaginava Plotino) dalla sua essenza spiri
tuale, ma li trae dal nulla con l'atto eterno del suo pensiero
onnipotente; perciò si spiega come la natura materiale, pur
1 02
essendo diversa da quella umana, sia anch'essa effetto della
creazione, della perfezione e della provvidenza di Dio. Sicché
la creazione di cui parla la Rivelazione, esaminata alla luce
della ragione, costitui sce per Tommaso un valore positivo
della ragione, una conquista irrinunciabile del pensiero. Ciò
non significa che l'Aquinate voglia razionalizzare la fede, sot
toponendola al vaglio della comprensibilità meramente ra
zionale: si tratta di una elevazione delle facoltà umane con la
quale la ragione acquista sempre più coscienza del suo valore
in relazione intima con le verità eterne che Dio ha rivelato al
l'uomo.
103
perciò è necessario giungere a un primo motore non mosso da
altro: in esso tutti riconoscono Dio.
degli altri>> .
4 ) La quarta via si occupa dei <<gradi dell'essere >> , e così
dalle perfezioni limitate si giunge a quella infinita; ogni essere
infatti contiene un grado di perfezione rispondente alla sua
natura : <<Esiste dunque qualcosa» insegna Tommaso <<che è
causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione di tutti
gli esseri che noi chiamiamo Dio » .
5 ) La quinta via h a per oggetto l'ordine sapiente che tutti
gli enti, sia razionali sia irrazionali, esprimono, essendo per
natura diretti sempre a un fine che indica bene e perfezione:
« Ora » conclude Tommaso «<e cose prive di conoscenza non
tendono al fine se non sono dirette da un essere, conoscente e
intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è dunque un esse
re intelligente da cui tutte le cose naturali sono ordinate a un
fine, e questo essere noi lo chiamiamo Dio>> .
Come si vede, i l processo dimostrativo tomistico è caratte
rizzato da una base oggettiva ed empirica che lo differenzia
da quello dell'agostinismo (Agostino, Anselmo, Bonaventu
ra, Descartes) . Tommaso infatti non accetta la possibilità d i
una conoscenza di Di o per immediata e mistica intuizione,
ma procede secondo una indagine schiettamente razionale
nella quale i dati fondamentali dell'esperienza sono gli stru
menti di cui la ragione si serve per acquistare la coscienza cri-
1 04
tica dell'esistenza di Dio. Con ciò non si può affermare che
l'Aquinate non abbia fiducia nella contemplazione mistica;
questa per Tommaso sarà efficace come coronamento ed ele
vazione, allorché la ragione dal suo livello naturale si trasfe
risce coscientemente e liberamente nel livello divino, non più
attraverso l'esperienza, ma per mezzo della Rivelazione e del
la fede; e a questo proposito mi piace ricordare che Tommaso
è uno dei più grandi mistici della storia.
Lo schema logico delle cinque vie conferma che si tratta di
un'argomentazione a base fortemente empirica, ossia capace
di ottenere il consenso di chiunque comprenda l'universalità
e l'evidenza degli aspetti che Tommaso prende in considera
zione per cercarne filosoficamente il fondamento. Ecco come
Battista Mondin presenta tale schema logico, basato su quat
tro momenti:
1 05
f;�sperienza conosciute attraverso i sensi - per arrivare con il
�;'ìgioriamento all'evidenza (mediata, appunto) di una prima
causa trascendente, che è l'Essere sussistente. Tommaso rifiu
ta dunque ogni ipotesi di ontologismo; ma, se si comprende
bene la differenza tra " evidenza immediata " e "evidenza me
diata da una inferenza " , si comprenderà anche che quest'ulti
ma può essere non solo scientifica (cioè consapevole, rigoro
sa e capace di dialettica per convincere gli altri ) ma anche
spontanea, intuitiva, popolare, comune a tutti (come è ap
punto la certezza del senso comune) , e la prima non fa che
confermare la seconda. Su questo punto, insomma, non c'è
sostanziale disaccordo tra Tomrnaso e Bonaventura (cfr. più
sopra, pp. 6 8-72).
1 06
b ) il termine univoco è quello che conviene a molti esseri in
modo identico, come per esempio il termine " bestia" convie
ne a ogni semplice animale e il termine " uomo" a ciascun in
dividuo razionale;
c) il termine analogico è quello che si applica a molti esseri
con un modo di significare in parte equivoco e in parte uni
voco; si tratta di « termini medi >> aveva insegnato Alberto di
Colonia « tra quelli univoci e quelli equivoci, e sono attribuiti
agli oggetti secondo la sostanza, rispetto a uno a cui sono
proporzionati » .
Ciò premesso, Tommaso esclude che si possa parlare di
Dio in senso equivoco (contro l'agnosticismo) o in senso uni
voco (contro l 'antropomorfismo); rimane perciò il senso ana
logico, con cui si giunge alla coscienza della essenza divina
indirettamente, secondo l'analogia che si può stabilire critica
mente per via di affermazione, di rimozione e di eminenza.
Tali modi di concepire analogicamente Dio - che Tommaso
riprende dallo Pseudo-Dionigi - consistono concretamente in
questo:
a) affermazione significa considerare che ogni creatura
contiene un complesso di perfezioni, come l'essere, l'esistere,
la vita, l 'intelligenza, la libera volontà, la bontà, la bellezza
ecc . ; queste perfezioni sono valori positivi che la creatura
non si può dare da sé, ma li riceve�dall'autore che dal nulla
l'ha creata. Ora, siccome nessuno può dare ciò che non ha,
ne consegue che Dio deve avere in sé almeno quelle perfezio
ni di cui sono fornite le creature;
b) rimozione significa che, negli enti, oltre alle perfezioni si
notano le imperfezioni, caratterizzate dal limite metafisica al
quale sono soggetti, come la finitezza, la potenzialità, la gra
dazione (da quelli meno perfetti a quelli antologicamente più
perfetti). Queste imperfezioni sono dovute al fatto che tutte
le creature per natura sono soggette alla causa che le ha trat
te dal nulla, cioè a Dio. Sicché tali imperfezioni devono esse
re rimosse dalla nozione della natura divina, in quanto Dio è
atto purissimo, Essere metafisicamente per sé sussistente;
c) eminenza vuol dire che, se le perfezioni degli esseri crea
ti sono proporzionate al loro limite e al loro grado di essere,
nella natura divina si devono trovare in grado eminente, cioè
illimitate e infinite, secondo l 'infinità e l'eternità di Dio stes-
107
so. Da ciò si deduce che Dio va concepito come « Colui che
è » , cioè pienezza di essere, di vita, d'intelligenza , di libera vo
lontà; è tutto l'amore, tutta la giustizia, tutta la potenza, tut
ta la sapienza, la verità assoluta.
Su queste basi critiche della teologia razionale, considerate
come necessari praeambula (idei, l'Aquinate costruisce l'edi
ficio della teologia soprannaturale alla luce della Rivelazione
nonché di tutta la tradizione cristiana, con tale coerenza e
profondità da divenire nei secoli, fino a oggi, la guida ricono
sciuta dei teologi.
Tommaso distingue una duplice forma di analogia: di attri
buzione e di proporzionalità. L'analogia di attribuzione inter
corre tra realtà che possono essere designate con uno stesso
termine, ma in ciascuna delle quali la nozione significata dal
termine si trova in modo del tutto diverso, in quanto in una di
tali realtà la nozione stessa si trova intrinsecamente e formal
mente, mentre in tutte le altre realtà si trova in modo estrinse
co e solo in dipendenza da quella unica cosa e in ordine a essa;
quest'ultima si chiama analogato principale mentre le altre
realtà si chiamano analogati inferiori. L'esempio classico è
quello della salute, nozione analoga che viene attribuita in ma
niera propria all'essere vivente (analogato principale) e in mo
do subordinato e derivato ai cibi, all'aria, agli esercizi fisici
ecc. (analogati inferiori). È chiaro che il rapporto fra l'ente
analogato principale e gli enti analogati inferiori è un rappor
to di causalità estrinseca (efficiente e finale): nell'esempio che
a bbiamo fatto, certi cibi e certi esercizi fisici vengono detti sa
ni in quanto causano (contribuiscono a causare o mantenere)
la sanità dell'uomo.JJ L'analogia di proporzionalità si dà inve
ce fra termini che hanno come referente enti che posseggono
tutti intrinsecamente la nozione indicata nel termine stesso, sia
pure non in modo identico ma solo somigliante; l'analogia di
proporzionalità, a sua volta, si suddivide in propria e metafo
rica (quest'ultima è usatissima in poesia, ma anche nel lin
guaggio comune, come quando l'aggettivo "ridente" si appli
ca a una cittadina) . Il caso più importante in cui il linguaggio
umano fa uso dell'analogia di proporzionalità propria è quan
do si dice che il mondo e Dio " sono" : le cose create e il Creato
re hanno in comune l'essere, anche se "sono" in modo diverso;
li unisce una somiglianza proporzionale propria, avendo con
1 08
l'essere un intrinseco rapporto di possesso, quantunque in gra
di e in modi del tutto diversi.34 Come osserva Raimondo
Spiazzi,
A partire dagli effetti noi sappiamo che Dio esiste e che Egli,
in quanto causa di tutti gli enti, è del tutto trascendente rispet
to a essi e del tutto diverso. Questo è l'estremo e più perfetto
esito della nostra conoscenza nella vita presente, e per questo
dice giustamente Dionigi nella Teo logia m istica che noi ci
1 09
uniamo a Dio senza poterlo conoscere; infatti, di Lui sappia
mo bene che cosa non è, ma non possiamo capire affatto che
cosa sia in positivo. Per q uesto stato nostro di ignoranza ri
guardo alla conoscenza più sublime [sublimissimae cognitio
nis ignorantia], la Scrittura dice che Mosè si avvicinò alla nu
be impenetrabile nella quale era Dio » Y
L'antropologia
1 10
tuazione l'anima umana è sempre un composto: l'essenza at
tualizzata dall'atto di essere. Dunque, l'immortalità dell'ani
ma umana - che per la filosofia cristiana è un presupposto teo
logico irrinunciabile - è una verità filosofica derivante dalla
concezione metafisica dell'anima come forma sussistente di
essenza ed esse, e pertanto capace di conservarsi nell'essere an
che quando non entra più in composizione con la materia. Co
me scrive Gilson,
111
desimo essere dell'anima>> .39 Come giustamente scrive Miche
le Federico Sciacca,
112
l'uomo non solo è principe dell'universo, essendone la crea
tura più perfetta, ma è anche la creatura unica che, oltre a vi
vere coscientemente nello spazio e nel tempo, partecipa della
divina eternità. Le potenze dell'anima sono ordinate gerar
chicamente secondo i generi, come quello vegetativo, sensiti
vo e intellettivo. Sicché << tutta la natura corporea >> dice Tom
maso << è sottoposta all'anima e compie rispetto a essa una
funzione in quanto non si esercita per mezzo di un organo
corporale: questa è l'attività dell'anima razionale» .42
Della potenza vegetativa è propria la nutrizione e la ripro
duzione; a quella sensitiva appartiene la sensazione, sia ester
na (i cinque sensi) che interna (sensorio comune, immagina
zione, memoria ecc . ) ; la potenza intellettiva è l'intelletto,
distinto in speculativo (teoretico) e pratico. L'intelletto specu
lativo è potenza conoscitiva, distinta in: a ) intelletto possibi
le, come potenza spirituale del conoscere in universale; h) in
telletto agente che ne è principio di attuazione; c) ragione,
intesa come attività logico-discorsiva. L'intelletto pratico è: a )
coscienza, consapevolezza dell'atto d a compiersi, nella situa
zione concreta, come <<verum » ; b) base della libera volontà,
cioè della potenza appetitiva dell'anima per il possesso del
l'ente come « bonum>> ; c) una capacità di afferrare i principi
primi dell'ordine morale, ossia la sinderesi, abito speciale del
l'anima con cui la ragione intuisce le norme del retto e del
giusto da attuare.
Spesso si afferma che Tommaso, esaltando il valore dell'in
telletto, ha sacrificato l'affettività; quindi il suo sistema altro
non sarebbe se non esagerato intellettualismo. Ma ciò non
pare esatto se si esamina brevemente la sua dottrina a tal
proposito. L'intelletto, in ordine logico, in sé e per sé, per
Tommaso << è assolutamente superiore e più nobile della vo
lontà» . E ciò non perché l'Aquinate disconosca il valore della
volontà, ma perché << l'oggetto dell'intelletto è più semplice e
assoluto dell'oggetto della volontà >> dice; e poi prosegue:
113
sto in una cosa più pregevole dell'oggetto dell'intelletto, come
se dicessi che l 'udito [paragonato alla volontà] è relativamente
più nobile della vista [paragonata all'intelletto] in quanto la co
sa che suona è più pregevole di un'altra, che è colorata; per
quanto in sé e per sé la vista sia superiore al suono . . . L'atto del
l'intelletto dunque consiste nell'intendere l'essenza della cosa
conosciuta presente nel soggetto intelligente; l'atto della vo
lontà, invece, si compie in quanto la volontà si protende la cosa
stessa come è in sé nella sua realtà oggettiva.43
1 14
La gnoseologia
1 15
giusto empirismo che però non impedisce di concepire l'espe
rienza come dotata anche di nozioni intellettuali: egli scrive:
<< Omnis nostra cognitio incipit a sensu » ; non si può parlare
di conoscenza, dunque, se non attraverso la sensazione: ciò
non significa che il processo conoscitivo si identifichi con la
sensazione, come vorrebbe il sensismo (Hume) , che limita la
conoscenza alla sfera del particolare. La conoscenza non può
essere identificata con la sensazione, ma essa trova nell'espe
rienza sensibile il presupposto fondamentale di cui l'intelletto
si serve per la genesi delle idee, che costituiscono appunto
l'apprensione dell' universale, la piena conoscenza. Nella sen
sazione è necessario considerare due aspetti: l'impressione
esterna e la percezione interna; i sensi esterni - potenze passi
ve rispetto agli oggetti - vengono impressionati dal mondo
materiale; questa impressione è la << specie sensibile impres
sa » , cioè il complesso di qualità che i sensi ricevono dall'og
getto; in ciò consiste l'impressione esterna ed è il fondamento
iniziale di tutto il processo. I sensi esterni reagiscono alle im
p ressioni comunicandole ai sensi interni; a b biamo così la
<<specie sensibile espressa )) ; si tratta di <<phantasmata)) o im
magini di quegli oggetti particolari che hanno impressionato
i sensi esterni.
L'intellezione è la conoscenza dell'ente nel suo actus essendi
e nella sua essenza universale, che per Tommaso si coglie con
l'astrazione; astrarre in generale significa considerare soltanto
alcune dimensioni di un oggetto tralasciandone altre; nel pro
cesso gnoseologico vuoi dire generalizzare, andare al di là de
gli aspetti particolari, universalizzare, trascendere cioè le note
individuali e contingenti (tempo, luogo, figura ecc . ) dell'og
getto percepito dai sensi. L'a strazione così intesa è attività
esclusivamente spirituale; quindi non può essere che intelletti
va. Ma, per Tommaso, anche l'intelletto è potenza passiva,
<<intellectus possibilis», intelligenza in potenza. È necessario
perciò distinguere, come nella sensazione, due aspetti della in
tellezione, caratterizzati uno dalla <<species intellegibilis im
pressa)) ' o astrazione dell'universale per mezzo dell'intelletto
agente, e l'altro dalla <<species intellegibilis expressa )) ' o intel
lezione completa, per mezzo dell'intelletto possibile diventato
attivo.
Il fantasma infatti, cioè l'immagine sensibile, diventa og-
116
getto di u na l uce connaturata a ll'anima: è la luce dell'intellet
to agente; questo di per sé non è una facoltà conoscitiva, ma
è attività astrattiva, cioè selettiva, in q uanto spoglia il fanta
sma delle qualità particolari e vi coglie le note universali.
L'intelletto agente fa ciò inconsciamente, poiché la vera fa
coltà conoscitiva è l'intelletto possi bile che è intelligenza in
potenza; l'intelletto agente però, a differenza di quello possi
bile, è attività; quindi costituisce il principio attivo dell'intel
letto possibile. Tale attività è luce spirituale, come s'è visto,
che spirirualizza il fantasma degli oggetti percepiti dai sensi;
si tratta di una facoltà spirituale che, pertanto, può assimila
re il fantasma solo generalizzandolo, cioè facendolo simile al
la sua natura, semplice e universale, quindi universalizzando
lo. L' universalizzazione costituisce l ' oggetto che l'intelletto
agente imprime all'intelletto possibile; perciò viene chiamata
«species intellegibilis impressa » e in ciò appunto consiste l'a
strazione.
A questo punto l'intelletto possibile entra in possesso della
specie intelligibile impressa , cioè della nozione impressagli
dall'intelletto agente, e l'apprende come un quid universale,
come un essere ideale, che esso poi mette in relazione con
l'oggetto esterno da cui i sensi avevano ricavato il fantasma;
da tale relazione l'intelletto esprime la conoscenza. In ciò
consiste la «species intellegibilis e�ressa» , cioè il << verbum
mentis», o parola interiore, ossia concetto; il concetto perciò
è intellezione in atto, termine della cognizione. Si tratta della
visione mentale, la quale altro non è se non la riproduzione
spirituale dell'oggetto, formata dall'intelletto possibile al mo
mento in cui viene attuato dall'intelletto agente. Siamo così
alla <<simplex apprehensio » ; l'intelletto cioè è entrato in pos
sesso della prima nozione di ente, cioè della presenza dell'og
getto nel soggetto, che equivale alla coscienza ontologica .
Dalla semplice apprensione, dalla coscienza ontologica cioè,
nasce il giudizio; questo consiste nell'attività consapevole con
cui l'intelletto coglie le relazioni ontologiche e logiche tra l'ente
intelligente e l'ente oggetto, cioè tra il conoscente e il conosciu
to. Da tali relazioni si ha la visione della verità: la verità, per
Tommaso, è dunque la visione intellettiva della corrisponden
za che intercorre tra l'oggetto percepito dai sensi e il concetto
che l'intelletto se ne fa, possedendone la forma, che ha acqui-
117
stato con la sua intelligibilità astrattiva; in altre parole la verità
è l' <<adaequatio intellectus et rei» . I..;intelligere (o intellegere) è
sempre interpretato da Tommaso come actus intellectus, cioè
come esercizio della facoltà conoscitiva che si esplica prima
nella simplex apprehensio (che direttamente coglie l'essenza
della cosa ma attinge indirettamente l'essere della cosa) , poi nel
iudicium (che invece attinge direttamente l'essere come atto ra
dicale e fondante la cosa ) e infine nel ratiocinari (che consiste
nell'indagare intorno alla cosa conosciuta, con lo scopo di
scomporne le varie parti, proprietà, relazioni ecc . ) . Secondo
quanto suggerisce la stessa etimologia, l'intelligere dell'uomo è
un « leggere dentro » la cosa appresa dai sensi nella sua esterio
rità fenomenica.45
Il conoscere così d elineato non consiste in un processo
meccanici stico d ove tutto avviene secondo un succedersi
schematico di fenomeni fisico-sensibili e di norme logiche e
tecniche, ma è sforzo ascensivo che l'anima compie incessan
temente per possedere se stessa, giacché l'uomo, come sap
piamo, è essenzialmente ente razionale. Quindi, l'astrazione
gli è necessaria, poiché gli oggetti che lo circondano e il suo
stesso essere fisico sono individuali e particolari; mentre l'in
telletto, essendo una natura spirituale, e vivendo implicato
nella materia, come forma di questa, può conoscere solo in
universale. Ma l'intelletto dove attinge l'universale ? Ci tro
viamo di nuovo di fronte alla questione degli universali, che
Tommaso risolve con una sintesi equilibrata delle soluzioni
precedenti. Per l'Aquinate l'universale va considerato sotto
un triplice aspetto: ante rem o universale teologico, in re o
universale metafisica, e post rem o universale logico.
a) A nte rem è l'universale considerato prima delle cose,
cioè prima degli oggetti, ed è l'universale-causa, Dio, in cui si
identificano essenza ed esistenza, intelligibile e intelletto.
b) In re è l'universale negli esseri particolari; ciò è evidente,
poiché se Dio ha creato tutte le cose, nelle creature vi deve es
sere l'impronta trascendente e universale del loro creatore,
anche se le cose si manifestano nella loro individualità, parti
colarità e contingenza.
c ) Post rem: quello stesso universale che è nella mente
creatrice di Dio, e che è nelle cose create, costituisce anche
l'oggetto della conoscenza, che l'umano intelletto raggiunge
118
per mezzo dell'astrazione, secondo i limiti della sua natura.46
Tommaso in numerosi passi non teme di indicare i limiti del
la conoscenza umana quando indaga le realtà sensibili: « [Vi
sono] deficienze che riscontriamo ogni giorno nella nostra
conoscenza. Ignoriamo infatti molte proprietà delle cose sen
sibili, e anche di quelle apprese dai sensi non siamo in grado
di scoprire perfettamente il perché dei molteplici aspetti» .47
Si potrebbe osservare che questa consapevolezza del limite
preannuncia l'affermazione della finitezza dell'uomo ( unita
alla sua storicità) operata da Heidegger. Certo, rispetto al ra
zionalismo moderno (in particolare nel suo esempio più pa
radigmatico quale è l' idealismo hegeliano) si può accettare
una convergenza fra tomismo e pensiero heideggeriano. Ma
si è ben lontani da una identificazione di prospettive. Soprat
tutto perché i concetti tomistici di actus essendi e di intellec
tus si sottraggono a ogni relativismo storicista, sia antologico
sia gnoseologico.
Citando di nuovo Eugenio Toccafondi, possiamo conclu
dere dicendo che