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Metafisica

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La metafisica è quella branca della filosofia che, andando oltre gli elementi contingenti dell'esperienza
sensibile,[1] si occupa degli aspetti più autentici e fondamentali della realtà, secondo la prospettiva più ampia
e universale possibile.[2] Essa mira allo studio degli enti «in quanto tali» nella loro interezza,[3] a differenza
delle scienze particolari che, generalmente,[4] si occupano delle loro singole determinazioni empiriche,
secondo punti di vista e metodologie specifiche.

Nel tentativo di superare gli elementi instabili,


mutevoli, e accidentali dei fenomeni, la
metafisica concentra la propria attenzione su ciò
che considera eterno, stabile, necessario,
assoluto, per cercare di cogliere le strutture
fondamentali dell'essere. In quest'ottica, i rapporti
tra metafisica e ontologia sono molto stretti, tanto
che sin dall'antichità si è soliti racchiudere il
senso della metafisica nell'incessante ricerca di
una risposta alla domanda metafisica
fondamentale «perché l'essere piuttosto che il
nulla?».[6]

All'ambito della ricerca metafisica tradizionale


appartengono problemi quali la questione
dell'esistenza di Dio, dell'immortalità dell'anima,
dell'essere "in sé",[7] dell'origine e il senso del Dante nell'Empireo contempla la perfezione del
paesaggio metafisico celeste, contrapposta alla
cosmo, nonché la questione dell'eventuale
caducità del mondo fisico.[5]
relazione fra la trascendenza dell'Essere e
l'immanenza degli enti materiali (differenza
ontologica).

Indice
Etimologia
I fondamenti della metafisica
I limiti dell'esperienza sensibile
Il rapporto con la teologia
Il rapporto con l'ontologia
Monismo, dualismo, pluralismo
Cenni storici
Da Socrate a Plotino
Da Alberto Magno a Campanella
Cartesio, Spinoza, e Leibniz
Wolff
Le critiche alla metafisica
Secolo XIX
L'idealismo tedesco
Critiche all'idealismo
Secolo XX
Rapporti tra scienza e metafisica
Popper
Lakatos
La metafisica contemporanea
Metafisica e neo-scolastica
La ripresa della metafisica nella filosofia analitica
Note
Bibliografia
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Collegamenti esterni

Etimologia
Il termine metafisica (in greco antico μετά τα Φυσικά, "metá ta physiká") deriverebbe dalla catalogazione
dei libri di Aristotele nell'edizione di Andronico da Rodi (I secolo a.C.), nella quale dopo la trattazione della
natura, che era la fisica (τὰ φυσικά) seguiva quella sulla "filosofia prima" o "filosofia prima" (πρώτη
φιλοσοφία) o teoria dell'"ente in quanto ente".[8] Poiché questi volumi erano stati quindi collocati dopo
(μετά, metá) quelli sulla fisica, la metafisica sarebbe venuta a significare «le cose che stanno dopo le cose di
fisica», cioè i libri successivi a quelli sulla natura.[9] Il prefisso meta- assume però anche il significato di 'al
di là', 'sopra', 'oltre': in questo senso si attribuì nel pensiero arabo medioevale agli oggetti della filosofia
prima un valore di trascendenza e di superiorità rispetto agli oggetti della fisica sublunare. Allora, da titolo
che designava i testi collocati dopo quelli di fisica, il termine metafisica sarebbe divenuto il nome di una
parte della filosofia.[10]

Lo storico della filosofia Giovanni Reale contesta la ricostruzione logica e cronologica dell'etimologia del
termine "metafisica" in base al doppio significato del prefisso greco meta. Come egli scrive: «Da qualche
tempo è risultato chiaro che questa tesi non regge, e che il termine metafisica deve essere nato nell'ambito
del primo Peripato» con il significato prevalente della natura ultima e assoluta della realtà. La tesi di Reale è
che tra i due significati di meta, quello relativo al concetto di «successione» (o di «dopo») è ininfluente e
secondario, poiché non si è tenuto conto che l'intera dottrina aristotelica riguarda quel principio di "unità
dell'essere" (o Essere in quanto essere) che va «oltre» (o «al di sopra») la fisica, ed è questo il significato
primario unico che deve assumere il termine meta.[11] A partire da questo presupposto con il termine
metafisica si può intendere “ciò che va oltre alla fisica” e perciò “ciò che va oltre alla natura”.

I fondamenti della metafisica


Uno degli intenti di questa disciplina consiste nello studio dei principi primi sotto il profilo qualitativo, a
differenza della matematica che ne studia la quantità, o della fisica che ne studia l'aspetto naturale.[12] Lo
scopo ultimo è quindi la verità in se stessa.[13]
I limiti dell'esperienza sensibile

Presupposto della metafisica è la ricerca sui limiti e sulle


possibilità di un sapere che non può derivare in modo diretto
dall'esperienza sensibile. I cinque sensi, infatti, si limitano a
recepire passivamente le impressioni derivanti dai fenomeni
naturali entro una gamma ristretta di percezioni, e quindi non
sono in grado di fornire una legge capace di descriverli, non
sono in grado cioè di coglierne l'essenza.

Scopo della metafisica, in questo senso, è il tentativo di trovare


e spiegare la struttura universale e oggettiva che si ipotizza
nascosta dietro l'apparenza dei fenomeni. Sorge pertanto
l'interrogativo se una tale struttura, oltre a determinare la realtà,
sia in grado di determinare il nostro stesso modo di conoscere,
attraverso idee e concetti che trovano corrispondenza nella
realtà. Metafisica, di Edmondo Savelli,
riconducibile alla corrente dell'omonima
Secondo questa linea interpretativa, solo nel nostro intelletto è pittura.
possibile formulare quei criteri di razionalità e universalità che
ci permettono di conoscere il mondo: la semplice «sensazione
in atto», infatti, «ha per oggetto cose particolari, la scienza invece ha per oggetto gli universali e questi
sono, in un certo senso, nell'anima stessa».[14] Ecco dunque la radicale contrapposizione, propria dei grandi
filosofi metafisici, da Parmenide, Socrate,[15] Platone, Aristotele, fino ad Agostino, Tommaso, Cusano,
Campanella, ecc., tra il sapere acquisito dei sensi, e il sapere proprio dell'intelletto.

Secondo questa scuola di pensiero, quindi, non ci può essere vera conoscenza se questa non scaturisce
dall'intelligenza, la quale però, per attivarsi, deve anzitutto prendere coscienza di sé:[16] se l'intelletto fosse
incapace di pensare sé stesso, non potrebbe neppure prendere coscienza della verità, né coscienza di poterla
mai raggiungere.[17] Il pensiero di sé, pertanto, è stato assunto spesso come base di partenza, a cominciare
dalla sua capacità di rendere possibile un sapere immediato, universale e assoluto, perché in esso il soggetto
è immediatamente identico all'oggetto, essendo l'io che intuisce se stesso.[18]

Almeno fino a Cartesio, a partire dal quale il tema dell'autocoscienza sarà ricondotto entro una dimensione
più prettamente soggettiva e psicologica, l'intuizione conoscitiva di sé resterà connessa alla questione
ontologica preponderante di un Essere da porre a fondamento della propria intima essenza.[19] Anche nella
filosofia moderna tuttavia non mancano casi, ad esempio in Spinoza, Leibniz, Fichte, in cui di volta in volta
la soggettività risulta legata a tematiche ontologiche.

In generale l'intuizione, o l'appercezione,[20] è stata posta come origine e traguardo di ogni metafisica, e
considerata superiore sia al pensiero razionale che alla conoscenza empirica: il pensiero razionale infatti si
basa su una forma mediata di sapere, nella quale il soggetto giunge ad apprendere l'oggetto solo in seguito
ad un calcolo o un'analisi razionale, e dove pertanto essi sono separati; analogamente, una conoscenza di
tipo empirico risulta mediata dai sensi, e dunque in essa, ancora una volta, soggetto e oggetto risultano
separati.

In considerazione di ciò si comprende come la maggior parte dei filosofi metafisici postulasse una
differenza non solo tra coscienza e percezione sensibile, ma anche tra intelletto e ragione.[21] L'intelletto è il
luogo in cui propriamente si produce l'intuizione, ed è pertanto superiore alla ragione perché è il principio
primo senza il quale non si avrebbe conoscenza di nulla; mentre la ragione è solo uno strumento, un mezzo
che permette di comunicare e di avvicinarsi discorsivamente alla visione intuitiva dell'universale.
Il rapporto con la teologia

Poiché la metafisica «...si propone di individuare la natura ultima e assoluta della realtà, al di là delle sue
determinazioni relative...»[22], le è stato spesso attribuito un carattere mistico e religioso, di tensione verso
l'assoluto, Dio e la trascendenza.[23]

Già con Aristotele, la metafisica è la scienza dell'essere perfetto, cioè lo studio di Dio: poiché infatti cercava
le cause prime della realtà, essa così diveniva anche indagine su Dio. Lo stretto legame con la teologia
resterà valido per quasi tutto il Medioevo. È fondamentale in questo senso il contributo di Tommaso
d'Aquino che giudicava conciliabile la metafisica con la teologia, e pertanto considerava possibile una
sintesi di ragione e fede.

Da alcuni punti di vista il Medioevo termina quando l'intuizione si separa dalla ragione, quando metafisica e
teologia tendono ad essere viste come discipline separate. Alcuni filosofi, tra cui Cartesio ed Hegel,
cercheranno di costruire un'autonomia della ragione, rendendola indipendente dall'intuizione.

Il rapporto con l'ontologia

Anche i rapporti con l'ontologia sono variabili. Nel corso della storia del pensiero i filosofi hanno attribuito
a tale disciplina accezioni, caratteri e funzioni diversi dalla metafisica: ora si è intesa l'ontologia come parte
della metafisica, concependo la prima come una sorta di descrizione generale dell'essere, propedeutica alle
altre discipline metafisiche; ora le si è fatte sostanzialmente coincidere, negando alla metafisica ogni
autonomia; oppure si è opposta alla metafisica tradizionale una nuova ontologia in grado di rivelare le vere
strutture dell'essere.

Secondo Varzi, l'ontologia viene prima della metafisica: «l'ontologia si occuperebbe di stabilire che cosa
c'è, ovvero di redigere una sorta di inventario di tutto l'esistente, mentre la metafisica si occuperebbe di
stabilire che cos'è quello che c'è, ovvero di specificare la natura degli articoli inclusi nell'inventario».[24]
Secondo Mondin, la metafisica consiste in una ricerca delle cause ultime della realtà, ed è quindi
essenzialmente eziologia,[25] mentre l'ontologia sarebbe soltanto uno studio della «fenomenologia»
dell'essere per come esso si rivela.[26]

Monismo, dualismo, pluralismo

Una delle problematiche classiche della metafisica è la diatriba tra concezione dell'essere monista e
concezione dualista. I sostenitori del dualismo, dei quali Cartesio è un esempio classico, pensano la realtà
secondo una dicotomia tra mondo materiale e mondo spirituale (che nell'uomo corrisponderebbe alla
radicale distinzione tra corpo ed anima). I monisti invece, un esempio ne è Spinoza, sostengono che la
realtà sia riconducibile ad un'unica sostanza. Infine si possono annoverare i sostenitori di una pluralità dei
piani ontologici: un esempio recente è Karl Popper con la sua teoria di Mondo 1, Mondo 2 e Mondo 3.

Cenni storici

Da Socrate a Plotino

Gran parte della metafisica occidentale è derivata, in forme più o meno velate, dal pensiero di Socrate, e in
particolare dalla sua convinzione di «sapere di non sapere». Questa affermazione, pur ammettendo
l'impossibilità di approdare a una forma di sapienza vera e certa, scaturiva (secondo l'interpretazione di
Giovanni Reale) dall'intima consapevolezza dell'esistenza di una verità ultima, rispetto alla quale egli si
riconosceva appunto come ignorante.

Partendo dal dubbio socratico, i filosofi successivi, Platone e Aristotele in primis, argomenteranno che non
si può affermare l'inconoscibilità di una realtà senza averla con ciò stesso implicitamente ammessa, seppure
su un piano puramente ontologico, cioè della sola esistenza. Platone identificò la realtà ultima, oggetto
dell'indagine di Socrate, col termine di idea, distinguendo nettamente il processo logico conoscitivo
attraverso cui approdarvi (dialettica), dalla dimensione dell'essere, collocata su un piano trascendente.
Elevarsi a questa scienza superiore significa riuscire a cogliere l'intero.[27] Aristotele, in seguito, definì più
chiaramente la metafisica come filosofia prima, come la scienza che ha per oggetto l'ente in quanto tale, a
prescindere dalle sue particolarità sensibili e transitorie.[28] Anche secondo Aristotele, inoltre, non è il
pensiero logico-deduttivo a dare garanzia di verità, bensì l'intuizione: essa consente di cogliere l'essenza
della realtà fornendo dei principi validi e universali, da cui il sillogismo trarrà soltanto delle conclusioni
coerenti con le premesse. Pur rivalutando l'importanza induttiva dei sensi, la conoscenza empirica non ha
per Aristotele un valore logicamente necessario, fungendo unicamente da avvio di un processo che culmina
con l'intervento di un trascendente intelletto attivo. L'intuizione suprema è quindi per lui il "pensiero di
pensiero", proprio dell'atto puro.

Nel periodo del tardo ellenismo, Plotino accentuerà la distinzione tra il piano della realtà metafisica
(collocata al di là dell'opera mediatrice della ragione), e quello della realtà sensibile e terrena. Egli distinse
vari gradi dell'essere: quello discorsivo-dialettico, identificato con l'Anima; quello intuitivo-intellettuale,
identificato col Nous o Intelletto; e infine quello dell'Uno, irraggiungibile neppure dal pensiero intuitivo ma
solo con l'estasi mistica, quando la coscienza naufraghi totalmente in Dio. Plotino formulò in tal modo una
teologia negativa, secondo cui la fonte della conoscenza e della razionalità non può essere a sua volta
razionalizzata: ad essa ci si può avvicinare solo per progressive approssimazioni, dicendo non cosa essa è,
ma semmai cosa non è, fino a eliminare ogni contenuto dalla coscienza. L'Uno così da un lato risulta
totalmente inconoscibile e ignoto, dall'altro però va ammesso come meta e condizione del filosofare stesso.
Il pensiero infatti ha un senso solo se esiste una Verità da cui esso emana. Questa sarà la base della
successiva teologia di Agostino, per il quale la verità che «illumina ogni uomo» è la sua stessa essenza.

Da Alberto Magno a Campanella

Nell'ambito della scolastica, il filosofo e teologo Alberto Magno si occupò di questi temi nella sua opera
Metafisica, un commento all'opera di Aristotele, del quale cercava di conciliare il pensiero con le verità
della fede cristiana.
Anche per il suo allievo Tommaso d'Aquino il contenuto della fede non può contraddire il contenuto della
ragione naturale, che anzi è in grado di fornire quei «preamboli» capaci di elevare alla fede. Con la ragione,
ad esempio, si può arrivare a conoscere «il fatto che Dio è» ("de Deo quia est"):[29] senza questa premessa
non si potrebbe credere che Gesù ne sia il Figlio. Lo stesso Aristotele, che pure ignorava la rivelazione
cristiana, aveva sviluppato secondo Tommaso un sapere filosofico in accordo con quella. La grazia della
fede quindi non distrugge ma completa la ragione, orientandola verso la meta finale già indicata dalla
metafisica aristotelica, che è la conoscenza della verità, contenuto fondamentale della «filosofia prima». La
verità è il fine ultimo dell'intero universo, che trova senso e spiegazione nell'intelletto di Dio che l'ha
creato.[30] Compito del sapiente è dunque quello di rivolgersi alla verità, come del resto la stessa divina
Sapienza si è incarnata «per rendere testimonianza alla Verità».[31]

Ancora Cusano nel Quattrocento formulerà una metafisica basata su quella che era stata definita teologia
negativa nelle opere risalenti al V secolo attribuite a Pseudo-Dionigi l'Areopagita, affermando, e
interpretando Socrate secondo la scuola di pensiero risalente a Platone, che vero sapiente è colui che,
sapendo di non sapere, possiede perciò una dotta ignoranza: da un lato riconosce che Dio è al di là di tutto,
persino del pensiero, ed è perciò irraggiungibile dalla filosofia; dall'altro però Dio va ammesso quantomeno
sul piano dell'essere, perché è la meta a cui la ragione aspira. La filosofia deve culminare così nella
religione.

Quella di Cusano sarà la base della filosofia del Rinascimento, durante il quale si assiste a una fioritura del
pensiero platonico, i cui massimi esponenti furono Marsilio Ficino e Giordano Bruno. Anche Tommaso
Campanella, superando la visione sensistica di Telesio, elabora una metafisica risalente al neoplatonico
Sant'Agostino, che vede nell'uomo il marchio della Trinità cristiana. Secondo Campanella l'essere è
strutturato nelle tre essenze primarie: potenza (Padre), sapienza (Spirito), amore (Figlio). Queste possono
essere così riassunte:

ogni ente è tale perché ha la Potenza, cioè la possibilità di essere;


ma il sapere è costitutivo dell'essere, perché chi non sa di essere, per se stesso è come se
non esistesse;
il fatto di sapere di essere è provato dall'amore di se stesso, per cui chi non sa, non ama se
stesso.

Avere coscienza di sé, il pensare (il cogito, dirà Cartesio) è dunque per Campanella la condizione prima
dell'essere (ergo sum). Mentre tuttavia la filosofia campanelliana si limita a indicare le condizioni che dal
sapere portano all'essere senza avere la pretesa di produrle da sé, per Cartesio invece la filosofia stessa
diventerà arbitra dell'essere. Campanella si mantiene in un ambito metafisico-religioso: per lui, il modo in
cui il sapere diventa costitutivo dell'essere non è mediato dalla ragione filosofica, né da alcun metodo.

Cartesio, Spinoza, e Leibniz

Con Cartesio avverrà invece una svolta, nel tentativo di rompere appunto questo legame con la religione.
Cartesio cercò di costruire un sistema metafisico autonomo, basato sulla ragione: presumendo di aver
dimostrato logicamente l'esistenza di Dio, egli se ne servì come mezzo anziché come fine, per fondare a sua
volta la logica stessa. In tal modo l'essere risulterà, in virtù del Cogito ergo sum, sottomesso alla Ragione, la
quale si assume (tramite il Metodo) il compito di distinguere il vero dal falso. Ne derivò una frattura tra la
dimensione gnoseologica (cioè della conoscenza) e quella ontologica, tra res cogitans e res extensa. Il
sistema cartesiano subì per questo le critiche di alcuni suoi contemporanei. Successivamente Baruch
Spinoza cercherà di ricomporre il dualismo cartesiano ricollocando l'intuizione al di sopra del pensiero
razionale. Anche Gottfried Leibniz, pur suddividendo l'Essere in un numero infinito di monadi, affermerà
che esse sono però tutte coordinate secondo un'armonia prestabilita da Dio.

Wolff

Per Christian Wolff (1679-1754) la filosofia teoretica è costituita anzitutto


dall'ontologia, intesa come una metafisica generale che svolge un ruolo
preliminare rispetto alle tre "metafisiche speciali": la psicologia razionale sul
tema dell'anima, la cosmologia razionale sul mondo e la teologia razionale su
Dio.[32][33][34]

Le tre "scienze" sono dette "razionali" in quanto né empiriche né dipendenti


dalla rivelazione. Questo schema, che verrà ripreso da Kant tenendo conto
delle obiezioni del criticismo anglosassone, è il corrispettivo filosofico della
triade religiosa: Creatore, creazione, creato.[35] Christian Wolff
Wolff fu letto dal padre di Kierkegaard Michael Pedersen,[36][37] e il figlio stesso restò influenzato sia da
Wolff[38] che da Kant,[39] forse al punto da riprenderne la struttura e il contenuto filosofico tripartiti per
formulare le proprie "tre modalità esistenziali".

Le critiche alla metafisica

La metafisica era intanto divenuta oggetto di critica a partire dal XVIII secolo con l'empirista inglese John
Locke. Come racconta lo stesso filosofo nell'Epistola al lettore, posta come premessa al Saggio
sull'intelletto umano, trovandosi a discutere nella sua camera con cinque o sei amici su argomenti di morale
e di religione rivelata, «subito dovettero arrestarsi per le difficoltà che emergevano da ogni parte. Dopo
esserci un po' tormentati, senza avvicinarci alla soluzione dei dubbi che ci angustiavano, mi venne in mente
che avevamo preso una strada sbagliata, e che, prima di accingerci a ricerche di questa natura, era
necessario esaminare le nostre capacità, e vedere quali oggetti le nostre intelligenze erano o non erano
adatte a trattare. Proposi questo ai miei compagni, che prontamente furono d'accordo; perciò fu stabilito che
questa sarebbe stata la nostra prima ricerca.»

È dunque la scoperta dell'impossibilità conoscitiva della metafisica che porta Locke al criticismo che
troveremo alla base della filosofia kantiana e dell'Illuminismo: la ragione instaurerà una sorta di tribunale e
stabilirà quali argomenti rientrano nei suoi limiti e quali vanno esclusi e tra questi ogni ragionamento che
riguardi la metafisica.

Proseguendo sulla strada tracciata da John Locke, David Hume, considerava fallace non solo ogni
metafisica ma anche la stessa pretesa delle scienze che con la presunta immutabilità delle leggi scientifiche
credevano di andare oltre i limiti della ragione che rivelava come non necessariamente causale il rapporto,
che sempre tale era stato considerato, tra appunto una causa e un effetto.

La necessità di trovare un fondamento teorico alla conoscenza scientifica (cfr. Critica della ragion pura)
nasceva proprio dalla dottrina di Hume che aveva dimostrato con la sua critica al rapporto di causa-effetto,
come fosse impossibile fare affermazioni su ogni realtà che andasse oltre i limiti dell'esperienza.[40]

Ne I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica (1764) Immanuel Kant si riconosce debitore
di Hume che lo ha fatto uscire dal dogma metafisico ma rifiuta il suo scetticismo secondo il quale gli stessi
fatti empirici non sono certi, ma si riducono a semplici impressioni che poi si traducono in idee, copie
sbiadite delle sensazioni, che conserviamo solo per l'utilità della vita. Hume quindi concludeva come fosse
impossibile un sapere scientifico, un sapere autentico, stabile e sicuro, che Kant invece s'incarica di
rifondare proprio nell'Estetica trascendentale.

La validità della metafisica si ritrova per Kant nei "postulati della ragion pratica": quelle che erano le tre
idee della Ragione metafisica - l'esistenza di Dio, l'immortalità dell'anima, l'infinito - che non trovavano
spiegazione nella dialettica trascendentale e che dimostravano l'illusorietà e l'inganno della metafisica
quando pretendeva di presentarsi come scienza, ora quelle stesse idee fallaci sul piano teorico acquistano
invece valore sul piano pratico, morale, divengono corollari della legge morale che voglia conseguire il
"sommo bene" inteso come il bene più completo. (Cfr. Critica della ragion pratica)

Secolo XIX

Se la riflessione kantiana sull'inconoscibilità metafisica della cosa in sé fu dapprima ripresa dalla filosofia
idealista romantica di Fichte e Schelling, i quali intravedevano tuttavia la possibilità di definire per via
negativa l'Assoluto (accedendovi cioè indirettamente, definendo piuttosto cosa esso non è, tramite un
progressivo avvicinamento secondo il metodo neoplatonico della teologia negativa), Hegel si propose
invece di rifondare razionalmente la metafisica, credendo di poter racchiudere l'infinito in una definizione
completa e definitiva:

L'idealismo tedesco

Il criticismo di Kant, pur negando valore alla metafisica, le aveva riaperto la strada. L'Io penso
trascendentale come datore di senso, unificatore dell'esperienza fenomenica che in lui era oggetto di ricerca
scientifica, divenne per gli Idealisti oggetto di ricerca metafisica. Fichte, che è considerato il fondatore, si
interroga sul fondamento della realtà; la risposta prenderà le mosse proprio dall'Io penso kantiano,
trasformato, enfatizzato.

Mentre la metafisica tradizionale si basava sulla corrispondenza tra forme dell'essere e forme del pensiero,
secondo Kant questa corrispondenza non sussisteva, perché il noumeno (l'essere in sé), è inconoscibile,
essendo del tutto estraneo al soggetto conoscente. Ma il pensiero kantiano si era arenato così nella duplice
accezione di noumeno (positiva e negativa) ed è proprio da questa frattura che nacque l'idealismo. Friedrich
Heinrich Jacobi (1743-1819) obiettò che se il noumeno fosse inconoscibile, allora non si potrebbe neppure
postularne l'esistenza. Karl Leonhard Reinhold (1758-1823) allora, nel Saggio su una nuova teoria della
facoltà umana della rappresentazione, propose di unificare fenomeno e noumeno, materia e forma,
vedendoli non più come i termini opposti di una contraddizione, ma originati dalla stessa attività unificatrice
del soggetto. Secondo Reinhold, la cosa in sé non è pertanto qualcosa di esterno al soggetto, ma è un puro
concetto (limite) appartenente alla sua stessa rappresentazione, la quale consta contemporaneamente sia di
spontaneità (attiva), che di recettività (passività dei sensi).

Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), partendo dalle posizioni di Reinhold, intuì che, se l'Io non è più
limitato dal noumeno nella sua attività conoscitiva, cioè da un limite esterno che lo renda finito, allora è un
Io infinito. Fichte propose una visione completamente incentrata sull'Io, concepito non come una realtà di
fatto, bensì come un atto, un agire dinamico, come attività pensante. Questa superiore attività (inconscia)
costituisce l'unità originaria e immediata sia del soggetto che dell'oggetto, nella quale il noumeno, cioè il
non-io, che di una simile attività è il prodotto, viene posto inconsciamente dal soggetto stesso, per
rispondere a un'esigenza di natura altamente etica.

Seguì questa strada il discepolo, e inizialmente suo ammiratore, Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling
(1775-1854), personaggio di primo piano dell'idealismo e amico di importanti esponenti del Romanticismo
tedesco (Goethe, Novalis, Schlegel, Hölderlin, Hegel). Schelling riprese da Fichte l'idea dell'infinità
dell'uomo, ma mostrò interesse anche per la natura e ben presto criticò l'Io fichtiano in quanto pura
soggettività, e pose a principio della sua filosofia l'Assoluto, concetto fondamentale della metafisica, quale
unione immediata di spirito e materia, pensiero ed estensione, Ragione e Natura. Secondo Schelling, la
tensione verso la trascendenza si ricompone nel momento estetico dell'arte, mentre secondo Fichte si
ricomponeva invece nell'agire etico.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) si considerava lui stesso il culmine della corrente, nella quale
Fichte rappresenterebbe l'"idealismo soggettivo", Schelling l'"idealismo oggettivo", e quindi Hegel
l'"idealismo assoluto", seguendo lo schema di "tesi-antitesi-sintesi" da lui stesso elaborato. L'unità di
soggetto e oggetto, essere e pensiero, divenne però in Hegel non più un'unità immediata, bensì mediata
dalla ragione dialettica. L'idealismo hegeliano segna infatti l'abbandono della logica formale di stampo
parmenideo e aristotelico (detta anche logica dell'identità o di non-contraddizione), in favore di una nuova
logica cosiddetta sostanziale. L'essere non è più staticamente opposto al non-essere, ma viene fatto
coincidere con quest'ultimo trapassando nel divenire.

L'idealismo hegeliano, che risolve tutte le contraddizioni della realtà nella Ragione assoluta (e per questo
sarà chiamato panlogismo) avrà un esito immanentistico, riconoscendo in se stesso, e non più in un
principio trascendente, la meta e il traguardo ultimo della Filosofia. La ragione infatti si riconcilia con il
reale non (come era in Fichte e Schelling) ritornando alla sua origine indistinta, ma all'interno e alla fine del
percorso dialettico stesso. Fu l'apoteosi della metafisica razionale ma anche il punto in cui questa si esaurì:
portando a soluzione tutte le contraddizioni, venne risolta e vanificata quella tensione ideale del finito verso
l'infinito, dell'uomo verso Dio, tipica della metafisica classica.

Critiche all'idealismo

All'idealismo hegeliano si oppose quindi, oltre allo stesso Schelling, anche Arthur Schopenhauer, il quale
leggeva nella pratica accademica del tempo la mera affermazione di filosofie statali e oscurantiste, promosse
e incentivate dal teismo e dalla religione cristiana.

Successivamente la metafisica fu criticata dal positivismo di Auguste Comte, ed il pensiero filosofico


contemporaneo ha criticato ogni filosofia che avesse la pretesa di spiegare in modo definitivo ed universale
tutta la realtà. Altre critiche distruttive alla metafisica provengono dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche,
seguendo la vena critica più indiretta, ma non meno efficace dei suoi predecessori Montaigne e Emerson.
Egli individuò la genesi di ogni metafisica in Platone, ovvero nel tentativo filosofico di promulgare una
duplicazione del reale, sostanziata nella creazione di una prospettiva oltremondana (l'ideale platonico),
attraverso cui valutare, o meglio svalutare, la prospettiva mondana, terrena, reale. Nietzsche individua nella
metafisica (e nella religione che egli chiama metafisica per il popolo) null'altro che la proiezione verso
l'esterno di incertezze connaturate al genere umano, quindi una forma di opposizione passiva alla vita,
nonché una reazione fisiologica all'impossibilità di sopportare l'angoscia di un mondo che "danza sui piedi
del caos" e obbliga l'uomo a cercare un senso che stia fuori dal mondo, piuttosto che in esso.

La metafisica recupera una collocazione per così dire lecita nel Pragmatismo, secondo cui idee e valori
avrebbero una legittimità aprioristica fondata sul loro immediato interesse pragmatico, ovvero
concretamente spendibile nell'esperienza. Quindi seppure le concezioni metafisiche non siano passibili di
verificabilità empirica, avrebbero comunque il merito pratico di guidare concretamente l'azione dell'uomo,
di orientare le sue decisioni.

Secolo XX

Il Novecento filosofico porterà, seppur per vie diverse e sulla base di teorizzazioni eterogenee o fra loro
incompatibili, altri pesanti attacchi alla metafisica. Tra i più illustri antimetafisici va indubbiamente ricordato
Ludwig Wittgenstein, che muovendo dall'elaborazione della logica di Frege e Bertrand Russell, e cercando
di sancire definitivamente i limiti del linguaggio, individuò nella prassi metafisica la trascendenza dei limiti
di significanza del linguaggio umano; celebre è la sua definizione di metafisica, indicata come qualcosa che
sorge "quando il linguaggio fa vacanza". Tradotto in termini immediati, Wittgenstein riteneva che le
questioni trattate dalla metafisica non potessero avere in nessun modo una soluzione definitiva, in quanto
più che problemi filosofici esse concernevano problemi linguistici, sorti sulla base di un fraintendimento
logico delle pertinenze del linguaggio stesso. Da cui la convinzione wittgensteiniana che i problemi
metafisici non fossero nemmeno problemi, poiché un problema per essere posto, deve essere chiaramente e
inequivocabilmente formulato.

L'antimetafisica di Wittgenstein verrà raccolta poi dal Circolo di Vienna e dal Positivismo logico, che ne
approfondirà ed integrerà alcuni aspetti impliciti, nel tentativo di edificare una filosofia il più possibile
fondata su teorie e pratiche della scienza formale; formulazione che si sostanzia nella teoria del
verificazionismo.

In seguito alcuni filosofi tra cui principalmente Karl Popper, sconfesseranno la stessa teoria verificazionista
(fondata sull'assunto che ogni enunciato filosofico dovrebbe essere passibile di verifica empirica), come
pura metafisica. La verifica di tutti i casi positivi non può in nessun caso provare alcunché, né può essere
praticamente applicata; molto più utile alla metodologia scientifica è la ricerca di casi falsificanti, ovvero
sconfessanti la teoria originaria. Popper assumerà nei riguardi della metafisica un atteggiamento più
moderato rispetto ai neopositivisti logici, sostenendo che essa può trovare cittadinanza presso la pratica
filosofica, a patto che dalla speculazione filosofica sia poi possibile desumere teorie scientifiche falsificabili.
Le proposizioni metafisiche per Popper hanno tra l'altro perfettamente un senso, nella misura in cui seguono
il metodo rigoroso della logica formale, cioè mostrano di essere interiormente coerenti. Non hanno dunque
soltanto un mero valore suggestivo o soggettivo.

Da un altro punto di vista muove la critica di Heidegger alla metafisica, che tuttavia va piuttosto considerata
come una prospettiva di interpretazione storico-filosofica, piuttosto che una critica volta a negarne le ragioni
e la necessità. In particolare, Heidegger concepisce la storia della metafisica come una manifestazione nel
pensiero della storia dell'essere stesso: l'essere si dà, si rivela nel pensiero attraverso le definizioni che di
esso hanno via via dato i vari pensatori, le varie forme culturali, concependolo ad es. come Idea, come
Valore, come Ente supremo, come Monade, come Volontà di potenza, fino a ridurlo a Niente, cioè
letteralmente al non-ente, a un che di ignoto e inconoscibile (nichilismo). La critica di Heidegger alla
metafisica è quindi in realtà un tentativo di ripensare l'Essere nella sua originarietà, riportandosi al di qua di
tutta la tradizione filosofica che, da Platone in poi, elaborando la metafisica ha condotto l'Essere al suo
oblio: la metafisica diviene così uno dei modi entro cui si è manifestato, storicamente, l'Essere stesso,
paradossalmente mediante il suo proprio nascondimento concettuale.

Una certa pertinenza con il tema delle critiche alla metafisica (e più in generale alla filosofia tradizionale)
nate in ambito neopositivista, ha l'articolo di Rudolf Carnap, "Il superamento della metafisica tramite
l'analisi logica del linguaggio (1931)". Carnap sostiene che in un linguaggio deve essere presente un
vocabolario ed una sintassi, ovvero un gruppo di parole e delle regole che permettano la costruzione di
enunciati e ne legiferino la costruzione stessa; concordemente a ciò egli sostiene che dal linguaggio è anche
possibile trarre "pseudo-proposizioni" ovvero enunciati correttamente formati, ma contenenti parole prive di
significato, oppure enunciati composti di parole in sé significanti, ma costruiti nella violazione delle regole
sintattiche. Carnap analizza nel suo articolo un paragrafo del libro "Cos'è la metafisica?" del filosofo
tedesco Martin Heidegger:

Ma allora perché ci preoccupiamo di questo niente? La scienza appunto rifiuta il niente e lo abbandona
come nullità [...] La scienza non vuol saperne del niente [...] Che ne è del niente? [...] C'è il niente solo
perché c'è la negazione? Oppure è vero il contrario, ossia che c'è la negazione e il non solo perché c'è il
niente? Il niente è la negazione completa della totalità dell'ente. [...] L'angoscia rivela il niente.

L'analisi di Carnap sostiene che non è possibile trarre un enunciato osservativo che possa verificare le
proposizioni contenute in questo paragrafo. Inoltre Carnap accusa Heidegger di utilizzare la parola "nulla"
come se corrispondesse ad un oggetto, essendo invece essa la negazione di una proposizione possibile.

In linea generale la critica rivolta da Carnap alla metafisica è dunque quella di esprimersi per "pseudo-
proposizioni", ovvero proposizioni solo apparentemente dotate di significato. La svalutazione della
metafisica non viene tuttavia generalizzata da Carnap, il quale le riconosce un grande ruolo ad esempio
nelle varie arti, ciò che le nega è la possibilità di avere una funzione conoscitiva.

Ancora, nel Novecento russo, la metafisica venne interpretata secondo i termini di una originale metafisica
concreta dal pensatore e mistico Pavel Aleksandrovič Florenskij.

Rapporti tra scienza e metafisica


Sin dalle origini la metafisica è stata sostanzialmente identificata con l'episteme, termine greco che oggi
traduciamo con scienza. Per Platone tuttavia la metafisica riguardava un tipo di riflessione umana che
precede la speculazione scientifica stessa, tenendo egli in scarsa considerazione la ricerca naturalistica in
quanto "volgare" e inessenziale, mirando piuttosto a vedere l'invisibile.
Non era così per Aristotele per il quale la metafisica, o meglio la filosofia, la scienza prima, si assumeva il
compito di fornire alle scienze che trattavano dell'essere particolare, la necessaria definizione dell'essere in
quanto essere: non era possibile definire l'essere particolare, punto di partenza di ogni scienza particolare se
prima non si definiva l'essere in generale. La metafisica quindi nasceva come pretesa di fondamento
"scientifico" di tutte le scienze particolari.

Dopo che l'empirismo anglosassone ebbe alquanto svalutato il contributo dato dalla metafisica al sapere
scientifico, riconducendo quest'ultimo all'ambito esclusivo dell'esperienza, Kant capovolse il modo di
intendere la scienza: non è l'osservazione dei fenomeni a plasmare le nostre conoscenze, ma sono le nostre
categorie mentali a plasmare la visione che abbiamo del mondo. Fu così in parte rivalutato l'apporto della
metafisica, al punto che l'idealista Fichte titolò la sua opera fondamentale Dottrina della scienza.

Con l'avvento del positivismo la metafisica venne di nuovo estromessa dal dibattito scientifico, anche se nel
primo Novecento Einstein ripropose un modello di conoscenza in cui le leggi di causa-effetto della fisica
non erano più intese in senso meccanico, ma come specchio delle leggi razionali del pensiero, secondo
l'ottica tipicamente spinoziana.

Popper

Karl Popper intravedeva nella falsificabilità, cioè nella possibilità di essere contraddetta dall'esperienza
sensibile, il criterio di demarcazione tra scienza e metafisica. Egli tuttavia, nel suo itinerario filosofico, andò
sempre più rivalutando il ruolo della metafisica, attribuendole kantianamente una funzione di stimolo al
progresso della scienza stessa[41].

Tutte le teorie, scientifiche e non, partono secondo Popper da assunti metafisici: non scaturiscono cioè da
procedimenti induttivi originati dalla sperimentazione della realtà, ma nascono da processi mentali intuitivi
espressi in forma deduttiva. Il controllo empirico, che per Popper resta comunque fondamentale, ha valore
non in quanto conferma la teoria, ma viceversa per la possibilità di smentirla. La sperimentazione svolge
dunque una funzione importante, ma unicamente negativa: non costruisce, bensì demolisce. Il compito di
costruire è affidato invece al pensiero, all'immaginazione, ovvero alla metafisica.

Popper giunse a queste conclusioni soprattutto dopo essere stato impressionato dalla formulazione della
teoria della relatività da parte di Albert Einstein: questi l'aveva elaborata non a seguito di esperimenti pratici,
ma sulla base di calcoli fatti unicamente a tavolino, i quali successivamente non furono smentiti dagli
eventi.

Popper si spinse persino ad affermare che le stesse osservazioni empiriche sono impregnate di teoria, e
dunque l'elemento metafisico è un aspetto ineliminabile anche di ogni approccio presunto “empirico”; ad
esempio, di fronte al tramonto del sole, due pensatori opposti come Tolomeo e Niccolò Copernico, pur
avendo la stessa visione oculare, avrebbero due percezioni diverse: il primo, sostenitore del geocentrismo,
vedrebbe il sole muoversi fino a scendere giù e sparire dietro la terra, il secondo invece (sostenitore
dell'eliocentrismo) vedrebbe l'orizzonte salire pian piano fino a coprire il sole.

Lakatos

Imre Lakatos, allievo di Popper, da cui riprende il nucleo del suo pensiero, rivalutò ulteriormente il ruolo
della metafisica nella scienza, evidenziando come le teorie scientifiche siano costituite da nuclei
fondamentali non sperimentabili, né tantomeno falsificabili.

Egli cioè distinse nettamente una teoria dalle sue implicazioni empiriche. Esempi di ipotesi metafisiche sono
per Lakatos la teoria meccanica di Newton, o la teoria della relatività di Einstein.
Queste furono elaborate solo per la capacità di spiegare meglio la realtà, ma i fatti in sé non furono per
Lakatos determinanti nel produrre tali formulazioni nella mente di quegli scienziati.

Il progresso scientifico è dovuto invece all'inventiva dell'uomo, grazie a cui una nuova ipotesi può prendere
il posto di un'altra. Neppure i singoli fatti empirici sono ritenuti determinanti per causare l'abbandono di una
teoria, perché la messa in discussione della verità scientifica riguarderebbe solo un aspetto marginale di
essa, non il suo nucleo centrale, che pur risultando indebolito nella sua certezza complessiva, continuerebbe
ad essere accettato per vero.

Fintanto che un programma anticipa i fatti, allora è progressivo e razionale; quando invece gli scienziati
cercano di adeguarlo a certe anomalie riscontrate modificando le ipotesi ausiliarie, esso diventa
degenerativo e potrà facilmente essere superato da un programma di ricerca migliore (più progressivo).

È necessario quindi, secondo Lakatos, affinché una teoria generale sia abbandonata, che si progetti un
nuovo programma complessivo di ricerca scientifico che sappia meglio rendere ragione degli eventi al fine
di sostituire una teoria precedente da cui si traevano conclusioni rivelatesi incoerenti coi fatti. Così ad
esempio il meccanicismo di Newton fu abbandonato non quando ci si accorse della sua incapacità a
spiegare certi fenomeni, ma solo quando si poté sostituirlo con la teoria generale della relatività di Einstein,
in grado di rendere meglio ragione dei fatti.

Ferma restando l'importanza dei controlli sperimentali, scienza e metafisica sono in un certo senso per
Lakatos un tutt'uno poiché la scienza non si limiterebbe a recepire l'evidenza fisica dei fenomeni, ma
tenderebbe a ricercarne la causa prima in un tentativo che l'accosterebbe alla ricerca metafisica.

Quanto sostiene Lakatos nell'assimilare la scienza alla metafisica può essere interpretato secondo
l'insegnamento kantiano, ripreso anche da Popper, nel senso che quando la ricerca scientifica si propone di
raggiungere obiettivi finali "metafisici", si serve di essi come stimolo per spingere sempre più lontano
l'obiettivo di ottenere conoscenze via via più approfondite. Ciò è possibile solo se siamo guidati dalla
convinzione di poter veramente conseguire una corrispondenza tra teoria e realtà,[42] anticipando la
sperimentazione e non lasciandoci guidare da essa.

La metafisica contemporanea
Oggi alla metafisica è spesso attribuito un significato spregiativo, essendo considerata come una forma di
conoscenza astratta e slegata dalla realtà. Si può vedere in questo giudizio l'eco delle filosofie empiriste,
marxiste, positiviste, ma anche post-moderniste, venute alla ribalta nei secoli scorsi, che vi hanno visto
l'esercizio di una pratica oscurantista che ottunderebbe le coscienze.

Metafisica e neo-scolastica

Ma non mancano casi, soprattutto all'interno della Chiesa cattolica, in cui ancora oggi la metafisica (intesa
nel senso tradizionale) non è vista del tutto come negativa, e ciò soprattutto a seguito della nascita, agli inizi
del Novecento, di un movimento di pensiero neoscolastico volto a riscoprirla e rivalutarla.[43] Anche
recentemente, papa Giovanni Paolo II con l'enciclica Fides et Ratio ha invitato il mondo cattolico a
riscoprire il valore della filosofia in generale, e in particolare quella di San Tommaso d'Aquino. Esempi di
tale ripresa sono Jean-Louis Bruguès, Olivier-Thomas Venard, Giuseppe Barzaghi[44][45] e Antonio
Olmi.[46] Anche il teologo anglicano John Milbank può essere fatto rientrare in questa rivitalizzazione del
pensiero di Tommaso.[46] Papa Benedetto XVI, inoltre, ha più volte messo in guardia dai pericoli dello
scientismo, cioè di un abito culturale che rifiuta a priori tutto ciò che non sia sperimentabile o
razionalizzabile positivamente. E ha esortato quindi a non smettere di indagare il mistero, e a tenere verso di
esso un atteggiamento che non sia di semplice indifferenza o di banale riduzionismo.[47]
La ripresa della metafisica nella filosofia analitica

Da notare che, specialmente in ambito anglo-sassone, vi è stata negli ultimi decenni una ripresa significativa
della metafisica su basi analitiche, tanto da far configurare questa tradizione filosofica come la più
"metafisica" (sebbene in un'accezione assai differente da quella tradizionale, e questo è un punto decisivo)
oggi presente sulla scena filosofica.

Note
1. ^ Battista Mondin, Ontologia, metafisica, ESD, 1999: «Si dà metafisica ogniqualvolta si
realizza un superamento assoluto del mondo dell'esperienza: quando si compie il salto del
metà» (pag. 9).
2. ^ Achille Varzi, Metafisica (http://www.columbia.edu/~av72/papers/Zanichelli_2006a.pdf)
3. ^ B. Mondin, op. cit., pag. 8.
4. ^ Fa eccezione ad esempio la cosmologia scientifica.
5. ^ Apoteosi di Dante Alighieri a Firenze: l'Amor che move il sole e l'altre stelle, grattage su
graphia dell'artista Giovanni Guida.
6. ^ Martin Heidegger, che contestava la metafisica tradizionale in nome di una "nuova"
ontologia più fondamentale, nell'incipit di Introduzione alla metafisica del 1953 rifletteva
così:

«La domanda: «Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?» reclama il primo


posto anzitutto perché è la più vasta, in secondo luogo perché è la più profonda,
infine perché è la più originaria.....per il fatto che questa domanda è la più vasta è
anche la più profonda. «Perché in generale vi è l'essente ...?» Chiedere perché è
come chiedere: quale ne è la ragione, il fondamento [Grund]? Da quale fondamento
l'essente proviene? Su quale fondamento si basa? A quale fondamento risale?»

(Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia 1966, pag.14)

7. ^ Ciò che Kant chiama noumeno, in opposizione al fenomeno.


8. ^ In greco, ὂν ᾗ ὄν; in latino, ens qua ens.
9. ^ Lemma metafisica (http://www.treccani.it/vocabolario/metafisica/), Vocabolario on line
Treccani.
10. ^ Mutò anche genere, da neutro plurale (così, ad esempio, il latino metaphysica in Boezio) a
femminile singolare, come nella versione di Averroè e nella successiva terminologia
scolastica (voce Metafisica (http://www.treccani.it/vocabolario/metafisica/) nel Vocabolario
Treccani).
11. ^ Giovanni Reale, La filosofia antica, Jaca Book 1992, pagg. 19-20
12. ^ Varzi, op. cit.
13. ^ «Il fine della scienza teoretica è la verità» (Aristotele, Metafisica, A, 1, 993 b).
14. ^ Aristotele, Sull'anima II, V, 417b.
15. ^ Secondo un'interpretazione risalente a Guido Calogero e Gabriele Giannantoni, Socrate
non può essere annoverato tra questi (vedi Interpretazioni del pensiero di Socrate), mentre
secondo quella di Battista Mondin Socrate è un metafisico perché «il suo studio sull'uomo si
spinge ben oltre il campo della scienza e penetra nelle radici più profonde dell'essere e
dell'agire umano» (vedi Storia della metafisica, I, pag. 120, ESD, Bologna 1998).
16. ^ «Infatti la verità è conosciuta dall'intelletto dopo che esso riflette e ritorna sul proprio atto
cognitivo, [...] che a sua volta non può essere conosciuto se prima non si conosce la natura
del principio attivo che è l'intelletto stesso» (Tommaso d'Aquino, De veritate, q. 1, a. 9).
17. ^ Giorgia Salatiello, L'autocoscienza come riflessione originaria del soggetto su di sé in San
Tommaso d'Aquino, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1996.
18. ^ «È un'intima e perfetta conoscenza il nostro sapere di vivere», sosteneva Agostino
d'Ippona (De trinitate, XV).
19. ^ Antonino Stagnitta, Laicità nel Medioevo italiano: Tommaso d'Aquino e il pensiero
moderno, pag. 47, Armando editore, 1999 ISBN 88-7144-801-4.
20. ^ Termine scolastico ripreso da Leibniz in Monadologia (§ 14).
21. ^ Il termine "intelletto" fu adoperato per la prima volta dalla scolastica medioevale per
tradurre l'espressione nous che i greci contrapponevano alla dianoia, la ragione. Di Nous si
parla per la prima volta nella filosofia greca antica con Anassagora che lo riferisce ad un
Pensiero, una divinità ordinatrice che interviene a trasformare il caos iniziale in cosmo,
l'universo ordinato. Sarà Platone poi a definire per la prima volta il nous, come intuizione
delle forme ideali, seguito da Aristotele.
22. ^ metafisica, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
23. ^ Come fa René Guénon, in Caratteri essenziali della metafisica (http://www.gianfrancoberta
gni.it/materiali/reneguenon/caressme.htm) riferendola ad un'attività "sovra-razionale".
24. ^ Achille C. Varzi, Sul confine tra ontologia e metafisica, in «Giornale di metafisica» n. 29
(2007), pag. 285.
25. ^ Battista Mondin, op. cit., pag. 8.
26. ^ Ivi, pag. 22.
27. ^ «Chi riesce a vedere l'intero è filosofo, chi no non lo è» (Platone, Repubblica, VII, 537 c).
28. ^ «Esiste una scienza che studia ciò che è in quanto è, e le proprietà che gli appartengono
per la sua stessa natura. Questa scienza non si identifica con nessuna delle cosiddette
scienze particolari, infatti nessuna delle altre ha come suo oggetto di indagine ciò che è in
quanto è universalmente, ma ognuna per proprio conto ne delimita una parte di essere per
studiare le caratteristiche di questa» (Aristotele, Metafisica, IV, 1003 a).
29. ^ Tommaso d'Aquino, citazione in Summa contra Gentiles, I, 3.
30. ^ Tommaso d'Aquino, Summa contra gentiles, I, 1.
31. ^ Vangelo di Giovanni, XVII, 37.
32. ^ Dizionari Edizioni Simone (http://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?action=view&dizionar
io=10&id=134).
33. ^ Ricorrenze (https://www.google.it/search?num=100&tbm=bks&q=%22metafisiche+special
i%22+Wolff) su Google Libri.
34. ^ Enrico Berti, Introduzione alla metafisica (https://books.google.it/books?id=AmeMGQAAC
AAJ), Torino, Utet, 1993, 2007.
35. ^ Ignazio Sanna, L'antropologia cristiana tra modernità e postmodernità (https://books.googl
e.it/books?id=vdluPQAACAAJ), Brescia, Queriniana, 2001, 2ª ed.: 2002, pp. 254-255.
36. ^ (EN) Joakim Garff, Soren Kierkegaard. A Biography, trad. Bruce H. Kirmmse. Princeton,
Princeton University Press, 2004 (https://books.google.it/books?id=7ZOahuonc3UC&printse
c=frontcover), p. 13 (https://books.google.it/books?id=7ZOahuonc3UC&pg=PA13&dq=%22M
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37. ^ (EN) Gary Dorrien, Kantian Reason and Hegelian Spirit. The Idealistic Logic of Modern
Theology, Hoboken (New Jersey), John Wiley & Sons, 5ª ed.: 2012 (https://books.google.it/b
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38. ^ (EN) Sven Hroar Klempe, Kierkegaard and the Rise of Modern Psychology, Abingdon-on-
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39. ^ (EN) Craig Cambell (21 dicembre 2011), Kierkegaard's Challenge. A short introduction to
his challenge (https://web.archive.org/web/20140101174427/http://kierkegaardschallenge.w
ordpress.com/2011/12/), WordPress.com. Url consultato il 30 dicembre 2016.
40. ^ Il rapporto causa-effetto infatti si riduceva per Hume ad una serie di constatazioni per cui
se ad ogni causa simile seguiva un effetto simile, nasceva in noi un'aspettativa per la quale,
verificandosi ancora una volta una causa simile alle precedenti ci si aspettava che si
presentasse necessariamente l'effetto corrispondente. Ma in effetti nulla ci garantisce che
questo debba necessariamente verificarsi. Il rapporto causa-effetto quindi si riduce ad uno
stato d'animo d'attesa, soggettivo, che nulla ci assicura che debba essere soddisfatto. La
validità delle leggi scientifiche, basate sul rapporto causa-effetto non era più quindi garantita
per l'avvenire ma era tale solo per il passato. Questo accadeva per un'antitesi inconciliabile
tra la ragione umana che aspira a leggi universali e l'osservazione empirica che fornisce
solo casi singoli.
41. ^ «Non penso più come un tempo che ci sia una differenza fra scienza e metafisica, e
ritengo che una teoria scientifica sia simile a una metafisica; ... nella misura in cui una teoria
metafisica può essere razionalmente criticata sarei disposto a prendere sul serio la sua
rivendicazione ad essere considerata vera», Karl Popper, Poscritto alla logica della scoperta
scientifica, Milano, !l Saggiatore, 1984, p. 203.
42. ^ Qui Popper non condivide l'assunto kantiano che la verità oggettiva noumenica sia
irraggiungibile. Egli la paragona alla vetta di una montagna: lo scienziato può essere
benissimo capace di approdarvi, pur non avendone certezza:

«Lo status della verità intesa in senso oggettivo, come corrispondenza ai fatti, con il
suo ruolo di principio regolativo, può paragonarsi a quello di una cima montuosa,
normalmente avvolta fra le nuvole. Uno scalatore può, non solo avere difficoltà a
raggiungerla, ma anche non accorgersene quando vi giunge, poiché può non
riuscire a distinguere, nelle nuvole, fra la vetta principale e un picco secondario.
Questo tuttavia non mette in discussione l'esistenza oggettiva della vetta; e se lo
scalatore dice «dubito di aver raggiunto la vera vetta», egli riconosce,
implicitamente, l'esistenza oggettiva di questa.»

(Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, p. 338)


La verità quindi può essere raggiunta e descritta esaurientemente, pur non avendone noi
alcuna consapevolezza.
Ad esempio le scoperte di Einstein potrebbero effettivamente corrispondere in tutto e per
tutto al vero, solo che non potremo mai esserne sicuri.
43. ^ I principali pensatori neoscolastici che si proposero di rivalutare la metafisica tomista sono
stati Jacques Maritain e Gustavo Bontadini.
44. ^ La sua filosofia è chiamata tomismo anagogico: cfr. Antonino Postorino, La scienza di Dio -
Il tomismo anagogico di Giuseppe Barzaghi o.p. come testa di ponte verso una teologia per
il terzo millennio, in: "Sacra Doctrina" 2018/2.
45. ^ Giuseppe Barzaghi, Lo sguardo di Dio. Saggi di teologia anagogica, Bologna, ESD,
2003/2012 (introduzione del card. Giacomo Biffi).
46. Marco Salvioli, Tomismo creativo. Letture contemporanee del Doctor communis, Sacra
Doctrina, 2015 (https://www.academia.edu/16472343/TOMISMO_CREATIVO._Letture_cont
emporanee_del_Doctor_communis)
47. ^ Avvenire, art. di Fiorenzo Facchini sul discorso di Benedetto XVI all'Università
Lateranense del 21/10/2006 (http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_facchini1.htm)

Bibliografia
Francesco Barone, Metafisica: il mondo nascosto, Laterza, 1997, ISBN 9788842051466.
Giuseppe Barzaghi, Diario di metafisica. Concetti e digressioni sul senso dell'essere, 2ª ed.,
Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2016, ISBN 9788870949254.
Enrico Berti, Introduzione alla metafisica, Torino, UTET università, 2017,
ISBN 9788860085016.
Simona Chiodo e Paolo Valore (a cura di), Questioni di metafisica contemporanea, Milano, Il
castoro, 2007, ISBN 9788880333944.
Michael Dummett, Le basi logiche della metafisica, Bologna, Il Mulino, 1996,
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Hans Joachim Kramer, Platone e i fondamenti della metafisica. Saggio sulla teoria dei
principi e sulle dottrine non scritte di Platone, traduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, 2001
[1982], ISBN 9788834307311.
Battista Mondin, Storia della metafisica (https://books.google.it/books?id=5UYJiAVHHvIC&p
rintsec=frontcover#v=onepage&q&f=false), E.S.D., 1998, ISBN 978-88-7094-313-9
Giancarlo Movia (a cura di), Metafisica e antimetafisica, Vita e Pensiero, 2003,
ISBN 9788834310403.
Karl Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970.
Peter F. Strawson, Individui. Saggio di metafisica descrittiva, Feltrinelli-Bocca, Milano 1978.
Paolo Valore, L'inventario del mondo. Guida allo studio dell'ontologia, UTET Università,
Torino, 2008, ISBN 978-88-6008-214-5
Achille C. Varzi (a cura di), Metafisica. Classici contemporanei, Laterza, 9 marzo 2018,
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Achille C. Varzi, Ontologia, Editori Laterza, 3 ottobre 2019, ISBN 9788858140161.
Achille C. Varzi, Parole, oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica, Carrocci, 2001,
ISBN 9788843019892.

Voci correlate
Essenza (filosofia)
Metafisica (Alberto Magno)
Metafisica (Aristotele)
La Metafisica (Tommaso Campanella)
Monismo e Dualismo
Nichilismo
Ontologia
Problema della demarcazione
Teologia
Episteme
Problematicismo

Altri progetti
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Collegamenti esterni

metafisica, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.


(EN) Metafisica, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
(EN) Metafisica, su The Encyclopedia of Science Fiction.
(EN) Opere riguardanti Metafisica / Metafisica (altra versione), su Open Library, Internet
Archive.
(EN) Metafisica, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Achille Varzi, Ontologia e metafisica (PDF), su columbia.edu.
(EN) Peter Inwagen & Meghan Sullivan, Metaphysics, in Edward N. Zalta (a cura di),
Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information
(CSLI), Università di Stanford.
Thesaurus BNCF 7780 (https://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=7780) ·
LCCN (EN ) sh85084286 (http://id.loc.gov/authorities/subjects/sh85084286) · GND
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