Sei sulla pagina 1di 27

Ethica

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'Etica dimostrata con metodo geometrico (o Etica


Etica
dimostrata secondo l'ordine geometrico; nell'originale latino:
Ethica ordine geometrico demonstrata o Ethica more Titolo originale Ethica ordine
geometrico demonstrata; nota anche semplicemente come geometrico
Etica o Ethica) è considerata l'opera principale del filosofo demonstrata;
olandese Baruch Spinoza;[2] venne pubblicata postuma nel Ethica more
1677, lo stesso anno della morte dell'autore. geometrico
demonstrata
Altri titoli Etica dimostrata
Indice secondo l'ordine
Struttura dell'opera geometrico; Etica
dimostrata con
Genesi dell'opera
metodo geometrico
Il metodo geometrico
Parte prima: di Dio
Definizioni e assiomi: la sostanza, Dio, gli
attributi
Unicità della sostanza infinita in Dio
Deus sive Natura e il determinismo
I modi, infiniti e finiti, della sostanza
Temporalità e causalità
Il pregiudizio finalistico
Parte seconda: della natura e dell'origine della
mente
La finitezza dell'uomo e il parallelismo di mente
e corpo
Conoscenza inadeguata
Conoscenza adeguata L'indice di un'edizione storica
Parte terza: della natura e dell'origine degli affetti dell'Ethica, che mostra la divisione
Azioni e passioni dell'opera in cinque parti: Dio, la mente,
La dinamica degli affetti gli affetti, la schiavitù dell'uomo rispetto
Affetti attivi alle passioni e la sua libertà dovuta
all'intelletto.
Parte quarta: della schiavitù umana, ossia delle
forze degli affetti Autore Benedictus de
Bene e male, potenza e impotenza Spinoza
Potenza e limiti della ragione nella motivazione 1ª ed. originale 1677
morale
1ª ed. italiana 1880[1]
Adeguatezza e inadeguatezza nelle società
umane Genere saggio
L'uomo libero e Dio Sottogenere metafisica, etica
Parte quinta: della potenza dell'intelletto, ossia Lingua originale latino
della libertà umana
La mente nel tempo
La mente fuori dal tempo
Amore intellettuale di Dio e beatitudine umana
Fortuna dell'opera
Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni

Struttura dell'opera
Organizzata secondo un metodo assiomatico-deduttivo volto a garantire la certezza dei risultati (benché a
prezzo di una lettura particolarmente ostica) essa si articola in cinque parti:

nella prima, su Dio, l'autore vuole dimostrare che esiste un'unica sostanza infinita che si
manifesta in infiniti attributi, che nel loro complesso sono la sostanza stessa;[3] solo due di
questi, estensione e pensiero, sono percepibili per l'uomo. Questi due attributi «si
esprimono nei "modi" ("affezioni" della sostanza), distinti in infiniti, in quanto coestesi
all'infinità degli attributi, e finiti, ossia articolati nelle cose particolari».[4] I modi, materiali e
ideali, sono dominati da un determinismo al quale Dio stesso, identificato con la natura nel
suo complesso, non si sottrae;
nella seconda, sulla mente, viene descritto il parallelismo tra il corpo e la mente dell'uomo
che dà luogo alle nostre conoscenze sensibili e si mostra come, oltre a queste, è possibile
accedere anche a conoscenze adeguate, cioè chiare e distinte e certamente vere;
nella terza parte, sugli affetti, si mostra come l'intera gamma delle emozioni dell'uomo
dipende da un fondamentale impulso all'autoconservazione, all'istinto vitale dal quale, in
corrispondenza di un aumento della propria forza, deriva la gioia e in corrispondenza di una
sua diminuzione la tristezza;
nella quarta si discute sia di come le idee inadeguate dell'uomo determinano la sua
passività rispetto alle cause esterne di cui egli finisce per essere schiavo, sia della capacità
della ragione di motivare l'uomo a contrastare le passioni e a convivere pacificamente con
gli altri uomini;
nella quinta si dimostra che la mente umana, nella misura in cui arriva a concepire idee che
non dipendono dal tempo, è eterna e, come tale, è una parte dell'infinità eterna dell'intelletto
di Dio. La mente dell'uomo trova quindi in questa comunanza intellettuale con Dio, in questo
reciproco amore intellettuale, la sua somma beatitudine.

Genesi dell'opera
Una stesura provvisoria della prima parte dell'Etica (la quale nelle intenzioni dell'autore, all'epoca, avrebbe
dovuto constare di un totale di tre parti) fu completata da Spinoza nel 1662. Egli aveva già intrapreso, tra il
1656 e il 1657, la stesura del Trattato sull'emendazione dell'intelletto (Tractatus de intellectus
emendatione), che però aveva lasciato incompleta; inoltre, probabilmente tra il 1660 e il 1661, egli aveva
scritto il Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene (Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs
Welstand), destinato a rimanere inedito fino a dopo la morte dell'autore.[5] Il Trattato sull'emendazione
dell'intelletto era un testo di impostazione cartesiana, in cui Spinoza argomentava, come in una sorta di
«discorso sul metodo», l'insuccesso di tutti i tentativi passati di giungere a una fondazione e a una piena
comprensione della nozione di bene e quindi, nel tentativo di rendere tale bene accessibile all'uomo (anche
in un senso pratico), formulava le teorie sulla conoscenza e sulla verità che avrebbero costituito la base per i
suoi scritti successivi.[5] Il Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene era un'opera di più ampio respiro, in
cui l'autore esponeva per la prima volta un sistema filosofico completo; di esso l'Etica, la cui composizione
venne verosimilmente avviata subito dopo il completamento del Breve trattato, rappresenta sostanzialmente
una rielaborazione diversa per il metodo dell'esposizione, ma simile per quanto riguarda la maggior parte
dei contenuti.[6]

Dopo la pubblicazione, nel 1663, dei Principi della filosofia di Cartesio (Renati Des Cartes Principiorum
Philosophiae pars I et II), caratterizzati dall'esposizione more geometrico che sarebbe stata tipica anche del
capolavoro di Spinoza, il filosofo fece circolare tra alcuni amici una nuova stesura dell'Etica, ancora
provvisoria benché da lui stesso ritenuta quasi completa;[7] a questo stadio l'opera era intitolata
Philosophia.[8] Nel frattempo egli scrisse anche il Trattato teologico-politico (Tractatus theologico-
politicus), che sarebbe stato pubblicato, anonimo,[9] nel 1670; Spinoza vi sosteneva l'importanza della
libertà di pensiero e di espressione al fine di rendere possibile la ricerca da parte di ciascuno del sommo
bene, e di conseguenza si opponeva all'ingerenza del potere religioso nella sfera politica e a ogni forma di
intolleranza che questa o altre cause potessero comportare.[10]

Spinoza tornò a lavorare sull'Etica nel 1670, rielaborando


considerevolmente il testo che cinque anni prima aveva giudicato
praticamente definitivo,[11] e la completò nel 1675. L'obiettivo dell'opera
restava lo stesso dei suoi testi precedenti, cioè quello di fornire una dottrina
metafisica, gnoseologica, psicologica, etica e teologica capace di mettere
l'uomo in condizione di attingere al vero bene. Tuttavia, temendo reazioni
simili a quelle che aveva già scatenato, in precedenza, la divulgazione di
alcune sue idee,[12] e in particolare tenendo conto delle numerose condanne
di cui era stato fatto oggetto il Trattato teologico-politico,[13] egli non volle
darla alle stampe. Fu solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1677, che il
testo venne pubblicato in due edizioni a cura della sua cerchia di amici (Jan
Rieuwertsz, Jarig Jellesz, Lodewijk Meyer, Johannes Bouwmeester, Georg
Hermann Schuller, Pieter Van Gent e Jan Hendrik Glazemaker):[14] in
latino nella raccolta intitolata Opera posthuma, in una traduzione olandese
L'edizione latina delle opere di Glazemaker[15] nei Nagelate Schriften. Entrambe le edizioni uscirono
di Spinoza, pubblicata dagli nello stesso 1677.[10]
amici poco dopo la sua
morte, era intitolata Opera Nonostante l'Etica di Spinoza sia un'opera estremamente originale e
posthuma. Per proteggersi radicale, il suo autore risentiva dell'influenza di diversi pensatori e la sua
dalle reazioni che approfondita conoscenza delle problematiche filosofiche e dei modi in cui
prevedibilmente sarebbero erano state affrontate nel passato, anche recente, emerge dai contenuti
state scatenate dalle tesi dell'Etica stessa. Vale la pena di citare tra i punti di riferimento di Spinoza
radicali ivi esposte, costoro
filosofi antichi come Platone, Aristotele e gli stoici, pensatori ebraici del
omisero il nome dell'editore,
Medioevo come Mosè Maimonide, filosofi della scena europea del XVI e
Jan Rieuwertsz, e il luogo di
XVII secolo come Francesco Bacone, Thomas Hobbes e soprattutto
pubblicazione, Amsterdam,
indicando solo le iniziali
Cartesio.[16] Alla riflessione di quest'ultimo, in particolare, Spinoza è per
dell'autore (Benedictus de
certi versi assai vicino, anche se per molti altri aspetti decisamente rilevanti
Spinoza). egli se ne distacca nettamente, criticando anzi spesso Cartesio in modo più
o meno diretto.[17]

Il metodo geometrico
«L'assiduo manoscritto / aspetta, già pregno d'infinito. / Qualcuno costruisce Dio nella
penombra. / Un uomo genera Dio. È un ebreo / di tristi occhi e di pelle olivastra / [...]. Il
mago insiste e foggia / Dio con geometria raffinata; / dalla sua debolezza, dal suo nulla,
/ seguita a modellare Dio con la parola.»

(da Baruch Spinoza, di Jorge Luis Borges [18])

L'opera è fortemente sistematica; essa si propone di trattare tutti i campi di indagine della filosofia
scandendoli in cinque parti (su Dio, la mente, le passioni, la schiavitù dell'uomo nei loro confronti e la
possibilità della sua liberazione da esse) corrispondenti a un percorso che, partendo dalle questioni più
fondamentali della metafisica, conduce fino all'etica con il preciso obiettivo di formulare una teoria della
beatitudine umana.[19]

L'esposizione del contenuto dell'Etica, come specificato sin dal titolo, è poi organizzata secondo un metodo
«geometrico» ispirato al modello assiomatico-deduttivo della geometria euclidea.[20] Spinoza procede
enunciando assiomi e definizioni sulla base dei quali dimostra delle proposizioni con i loro eventuali
corollari. Tale metodo, che mira a garantire dimostrativamente la certezza dei risultati a cui man mano si
perviene,[11] è considerato da alcuni commentatori come un significativo specchio di quella che per Spinoza
è la struttura della sostanza stessa a cui afferisce tutto quello che è nel mondo, dal momento che la causalità
della dinamica dell'universo corporeo vi è tradotta in una serie di corrispondenti nessi di implicazione
logica;[21] altri, senza necessariamente contestare questa tesi, hanno sostenuto che comunque la forma
dell'Etica avrebbe potuto altrettanto bene essere quella di un normale testo filosofico in prosa.[22] A ogni
modo, è stato sottolineato che, in primo luogo, sovente Spinoza sottintende, come presupposti, tesi che non
ha ancora enunciato e che verranno dimostrate solo successivamente;[20] e che, in secondo luogo, alcuni di
quelli che l'autore considera assiomi implicano prese di posizione filosoficamente impegnative e sono
comunque lontani dall'autoevidenza,[23] giustificandosi piuttosto, poco alla volta, in virtù delle conseguenze
che ne vengono tratte.[24]

Inoltre, a più riprese Spinoza sembra mostrare delle insofferenze nei confronti della rigidità del metodo
euclideo.[25] È anche per questo che spesso egli aggiunge alle sue proposizioni degli scoli più estesi e di
carattere discorsivo in cui chiarifica i suoi risultati o, anche, si occupa di mostrare come essi confutano le
posizioni di alcuni dei suoi avversari; allo stesso scopo sono presenti prefazioni o appendici alle singole
parti.[20]

Parte prima: di Dio


La prima parte dell'Etica di Spinoza è dedicata a definire la sostanza e Dio e a dedurre, a partire da tali
definizioni,

«[...] la natura di Dio e le sue proprietà, e cioè che esiste necessariamente; che è unico;
che è ed agisce per la sola necessità della sua natura; che è causa libera di tutte le
cose e in qual modo; che tutte le cose sono in Dio e dipendono da lui in modo tale che
senza di lui non possono né essere, né essere concepite; e, infine, che tutte le cose
sono state predeterminate da Dio non secondo la libertà della sua volontà, ossia per
suo assoluto beneplacito, ma secondo la sua assoluta natura ossia infinita potenza. (E
I, appendice)[26][27]»

Definizioni e assiomi: la sostanza, Dio, gli attributi


Spinoza propone dapprima otto definizioni: in particolare, la «causa di sé» è definita come «ciò la cui
essenza implica l'esistenza» (E I, d1);[26] la sostanza è definita come «ciò che è in sé ed è concepito per sé»
(E I, d3),[26] ovvero ciò che è autosufficiente quanto alla sua esistenza e non ha bisogno di altro per mezzo
del quale possa essere concepito (si è parlato in proposito di «inseità ontologica e perseità concettuale»);[28]
l'«attributo» è definito come «ciò che l'intelletto percepisce di una sostanza come costituente la sua essenza»
(E I, d4),[26] ovvero ciò che rende conoscibile una sostanza dandole una natura determinata (Spinoza dirà,
altrove, che la sostanza «è espressa» più che «costituita» dagli attributi, così da escludere il fraintendimento
per cui la sostanza potrebbe essere intesa come una mera somma di attributi tra loro non correlati);[29] Dio è
definito come «l'ente assolutamente infinito, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi» (E I, d6).[26]
Queste definizioni sono piuttosto tradizionali, derivando da precedenti aristotelici, scolastici o cartesiani, e
non dovettero suonare tanto originali, alle orecchie dei contemporanei di Spinoza, quanto le conseguenze
che egli ne trasse.[30]

Spinoza introduce poi sette assiomi, cioè altrettante verità fondamentali considerate evidenti. Egli asserisce
in particolare che «da una data causa determinata segue necessariamente un effetto e, al contrario, se non si
dà alcuna causa determinata è impossibile che segua un effetto» (E I, a3)[26] e che «la conoscenza
dell'effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica» (E I, a4).[26] Spinoza assume con ciò un
rigido determinismo, tale per cui il principio che fa seguire a una causa un certo effetto è valido senza
eccezioni, e afferma inoltre che il nesso causa-effetto corrisponde al nesso premessa-conseguenza, cioè che
la causalità nella natura è parallela all'implicazione logica nella conoscenza della natura:[31] direttamente da
qui deriverà che «l'ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l'ordine e la connessione delle cose» (E
II, p7).[26] Un ulteriore assioma afferma che «le cose che non hanno nulla in comune non possono neppure
essere comprese l'una per mezzo dell'altra» (E I, a5).[26] L'autore procede poi a dimostrare le sue
proposizioni.

Unicità della sostanza infinita in Dio

Poiché sostanze di diversa natura, cioè con diversi attributi, non possono essere conosciute l'una per mezzo
dell'altra e dunque non possono essere l'una causa dell'altra, e poiché d'altronde due sostanze con la stessa
natura (per un principio assimilabile all'identità degli indiscernibili) sarebbero la stessa sostanza, ogni
sostanza deve essere causa di sé.[32] Poiché quindi sostanza è ciò la cui essenza implica l'esistenza, essa non
può essere concepita se non come esistente e dunque, stante l'identificazione del rapporto di implicazione
con quello di causalità, deve esistere necessariamente.[33] Spinoza applica qui un ragionamento, che sarebbe
divenuto noto in seguito come argomento ontologico, simile a quello impiegato per primo da Anselmo
d'Aosta per dimostrare a priori l'esistenza di Dio.[34]

Il fatto che non possano darsi due sostanze con lo stesso attributo (o le due sostanze sarebbero la stessa)
implica che una sostanza non può essere limitata da una sostanza della sua stessa natura, e ogni sostanza è
dunque infinita nel suo genere: per definizione (E I, d2) è infatti infinito nel suo genere qualcosa che non è
limitato da qualcosa della sua stessa natura.[35] Non solo però non possono darsi due sostanze con lo stesso
attributo: si dà una sola sostanza a cui ineriscono tutti gli infiniti attributi, ed è Dio. Dio infatti, che per
definizione è la sostanza assolutamente infinita (non solo infinita nel suo genere) che consta di infiniti
attributi, deve esistere necessariamente in quanto, sempre per definizione, è sostanza. In quanto poi è
caratterizzato da tutti gli infiniti attributi, e a ogni attributo deve corrispondere una sola sostanza, Dio è
l'unica sostanza esistente.[36]

Deus sive Natura e il determinismo

Il fatto che Dio sia infinito e che sia l'unica sostanza esistente implica che nulla esiste al di fuori di Dio:
«tutto ciò che è, è in Dio e niente può essere né essere concepito senza Dio» (E I, p15)[26] e «le cose
particolari non sono altro che affezioni degli attributi di Dio, ossia modi con i quali gli attributi di Dio si
esprimono in un modo certo e determinato» (E I, p25c).[26] Dio viene così
identificato con la stessa natura, secondo il famoso motto Deus sive Natura
(estrapolato da E IV, p4d):[37] egli «è causa immanente, e non transitiva, di
tutte le cose» (E I, p18).[26] Da un lato, Spinoza afferma che, benché
l'essenza di Dio sia espressa da infiniti attributi, l'intelletto umano riesce a
cogliere solo i due che già Cartesio aveva riconosciuto come gli unici di
cui noi esseri umani partecipiamo, cioè pensiero ed estensione; i quali sono
concepiti indipendentemente l'uno dall'altro ma, al contrario di quanto
avveniva in Cartesio, non corrispondono a due distinte sostanze, essendo
di fatto due diversi punti di vista sotto cui viene colta la stessa sostanza: il
che è comprovato dall'unità dell'ordine causale che si esprime
nell'estensione (cioè nei corpi) e nel pensiero (cioè nelle idee).[38] Dall'altro
lato, l'autore assume una posizione radicalmente estranea alla tradizione Cartesio (qui ritratto nel
1649) fu il pensatore da cui
filosofica giudaico-cristiana da cui prende le mosse, cioè sostiene che a
Spinoza fu influenzato in
Dio compete quella estensione che già da Aristotele era stata considerata
modo più diretto[17]
inscindibile dalla corporeità; aggiungendo, contro le obiezioni di chi
sosteneva l'incompatibilità dell'infinità di Dio con una sua presunta
estensione – incompatibilità che sarebbe dovuta alla divisibilità
dell'estensione e all'indivisibilità dell'infinito – che non l'estensione in quanto attributo, e cioè in quanto
infinita, è divisibile, ma i corpi singoli, che non sono che le modificazioni finite dell'estensione.[39]

Un'altra tesi spinoziana che, all'epoca, risultò scandalosa, è quella per cui Dio non è in grado di derogare
alla rigidissima necessità causale che regola tutti gli eventi naturali: Dio è detto causa libera dell'universo
perché (E I, d7) si è definita la libertà come il fatto di non essere determinati da cause esterne ma solo dalla
necessità della propria natura, e Dio (e solo Dio) in quanto causa di sé è determinato per la sua essenza e la
sua esistenza solo da sé stesso; ma «in natura non si dà nulla di contingente» (E I, p29),[26] e Dio, che
obbedisce alla necessità della sua natura (sancita dall'assioma 3), non fa eccezione:[40] «Dio non agisce
mediante la libertà della volontà» (E I, p32c2).[26] «Le cose non avrebbero potuto essere prodotte da Dio in
altro modo, né con altro ordine da quello in cui sono state prodotte» (E I, p33).[26] Se Dio, affinché sia
preservata la sua libertà di creare cose nuove, dovesse non aver creato tutto quello che era in suo potere,
avrebbe la sua potenza limitata per garantire la libertà del suo arbitrio; ma un Dio che non ha la potenza di
creare tutto ciò che discende dalla sua necessaria natura è, per Spinoza, profondamente contraddittorio.[41]
Le cose discendono dalla potenza di Dio, che coincide con la sua essenza (E I, p34), con tale inderogabile
necessità che, se egli facesse le cose diversamente, avrebbe una diversa essenza e sarebbe un diverso Dio, il
che è assurdo per la dimostrata unicità di Dio (E I, p33).[42]

I modi, infiniti e finiti, della sostanza

Dovendo spiegare come gli enti finiti della nostra esperienza derivano dall'infinità di Dio, Spinoza
introduce la nozione di «modo», che si declina in «modi immediati infiniti», «modi mediati infiniti» e
«modi finiti».[43] Per «modo» si intendono «le affezioni di una sostanza», che sono in altro da sé (cioè sono
nella sostanza) e sono concepite per mezzo di altro da sé (cioè sono concepite per mezzo della sostanza) (E
I d5).[44]

I «modi immediati infiniti» sono «tutte le cose che seguono dall'assoluta natura di un certo attributo di Dio»
(E I, p21)[26] e sono per esempio, rispetto all'attributo dell'estensione, le leggi del movimento e della quiete,
e, rispetto all'attributo del pensiero, la volontà e l'intelletto divini;[45] va però sottolineato che Spinoza
attribuisce a Dio volontà e intelletto in un senso diverso rispetto a quanto faceva la tradizione, colpevole
secondo lui di antropomorfizzare indebitamente Dio:[46] intelletto e volontà, come quiete e moto, sono
conseguenze dirette e inevitabili dell'essenza di Dio, e non costituiscono essi stessi la sua essenza (che è
costituita invece dagli attributi). In particolare, «la volontà e l'intelletto hanno con la natura di Dio lo stesso
rapporto che il movimento e la quiete e assolutamente tutte le cose naturali, che devono essere determinate
in un certo modo da Dio ad esistere e ad agire» (E I, p32c2).[26] Le cose che conseguono dalla volontà e
dall'intelletto di Dio ne conseguono con la stessa necessità delle altre realtà naturali, e dunque non si può
dire in nessun senso che la volontà di Dio è libera. Come ha scritto la commentatrice Emanuela Scribano,
«ciò che Dio intende e vuole è costituito dall'insieme delle conseguenze necessarie della sua essenza».[47]

Un «modo mediato infinito» è «qualunque cosa segue da un certo attributo


di Dio in quanto è modificato da una modificazione tale che esiste
necessariamente e quale infinita in virtù dello stesso attributo» (E I,
p22).[26] In quanto modificazione dell'attributo divino dell'estensione da
parte delle leggi del movimento e della quiete, che sono un modo
immediato infinito, l'universo nel suo complesso è un esempio di modo
mediato infinito.[49] I singoli corpi, in quanto modificazioni finite
dell'attributo dell'estensione, sono esempi di modi finiti.[43]

L'introduzione delle nozioni, già scolastiche,[50] di Natura naturans e


Natura naturata spiega ulteriormente questi punti:[47] «per Natura
naturante dobbiamo intendere ciò che è in sé ed è concepito per sé, ossia Baruch Spinoza ritratto
tali attributi della sostanza che esprimono l'eterna ed infinita essenza, cioè intorno al 1665, all'età di
Dio in quanto si considera come causa libera. Per Natura naturata invece circa trentatré anni. Nel
intendo tutto ciò che segue dalla necessità della natura di Dio ossia dalla 1665 egli fece circolare tra
necessità di ciascuno dei suoi attributi, cioè tutti i modi degli attributi di alcuni amici un primo
Dio, in quanto sono considerati come cose che sono in Dio e che non abbozzo di quella che, negli
possono né essere, né essere concepite senza Dio» (E I, p29s).[26] C'è anni seguenti, sarebbe
insomma un'importante differenza tra essere Dio ed essere in Dio. divenuta l'Etica compiuta[48]

Temporalità e causalità

Con ciò si introduce il tema del tempo: «Dio, ossia tutti gli attributi di Dio, sono eterni» (E I, p19). Per
eternità (E I, d8) Spinoza intende non una durata infinita, ma l'esistenza indipendente dalla temporalità, con
il che è manifesto che Dio e solo Dio – in quanto causa di sé e sostanza la cui essenza implica l'esistenza –
esiste senza riferimento al tempo.[51] Al contrario, poiché «l'essenza delle cose prodotte da Dio non implica
l'esistenza» (E I, p24), esse hanno una durata, cioè un inizio e una fine.[52] Non per questo le cose singole,
finite, sono contingenti: «in natura non si dà nulla di contingente» (E I, p29),[26] e in particolare «una cosa si
dice contingente per nessun'altra ragione che per un difetto della nostra conoscenza» (E I, p33s2),[26] cioè
perché non ne conosciamo le cause.[53] Secondo Spinoza, tutte le cose dipendono ultimamente dall'eterna,
infinita essenza di Dio per la loro essenza e per la loro esistenza (E I, p25); ma le cose finite sono inserite in
una catena causale, temporalmente determinata, tale per cui «ogni cosa singolare, ossia qualunque cosa che
è finita e ha una determinata esistenza, non può esistere né essere determinata ad agire se non sia
determinata ad esistere e ad agire da un'altra causa che è anche finita e ha una determinata esistenza [...] e
così all'infinito» (E I, p28).[26][52]

Come si vedrà nella parte seconda, «fino a quando le cose singolari non esistono se non in quanto sono
comprese negli attributi di Dio [cioè nella dimensione eterna], il loro essere oggettivo, ossia le idee non
esistono se non in quanto esiste l'infinita idea di Dio; e quando le cose singolari si dicono esistere non
soltanto in quanto sono comprese negli attributi di Dio, ma anche in quanto si dicono durare [cioè nella
temporalità], le loro idee implicano anche l'esistenza per la quale si dicono durare» (E II, p8c).[26]

Il pregiudizio finalistico
Nell'appendice alla prima parte dell'Etica, Spinoza si propone di mostrare come tutti gli errori della teologia
tradizionale – a cominciare dalla credenza superstiziosa in un Dio in gran parte antropomorfo, a cui
vengono attribuite passioni umane e per ingraziarsi il quale si cade in un meschino commercio di
adorazione per salvezza – derivano da un unico fondamentale pregiudizio, cioè che la natura sia ordinata
secondo un fine.[46]

Spinoza vuole in primo luogo spiegare la ragione per cui gli uomini condividono questo pregiudizio: «tutti
gli uomini nascono ignari delle cause delle cose», il che li porta a illudersi di essere liberi semplicemente
perché non conoscono le cause che li determinano ad agire; ma «tutti appetiscono la ricerca del proprio
utile, cosa della quale sono consapevoli», e poiché tutti «sia in sé stessi sia al di fuori di sé trovano non
pochi mezzi che li conducono non poco al perseguimento del proprio utile [...] è accaduto che considerano
tutte le cose naturali come mezzi per raggiungere il proprio utile; e poiché sanno di non averli essi stessi
predisposti, hanno avuto motivo di credere che sia stato un altro a predisporre quei mezzi per il loro uso.
[...] Hanno dovuto concludere che esistono uno o alcuni rettori della natura, forniti di libertà umana, che
hanno curato ogni cosa per il loro uso. E poiché non avevano mai avuto alcuna notizia circa l'indole di
questi rettori, sono stati portati a giudicare in analogia alla propria, e così hanno stabilito che gli Dei
dirigono tutto in vista dell'uso che gli uomini possono farne, per legare a sé gli uomini ed essere tenuti da
essi in sommo onore» (E I, appendice).[26] Il finalismo insomma non è che la conseguenza di un'ignoranza
delle cause e dell'immaginazione che l'uomo fa lavorare (al posto della ragione) per cercare di arginare
questa sua ignoranza.

Dalla credenza nell'esistenza di fini deriva, secondo Spinoza, l'idea che nel mondo esistano valori che
rendono le cose (in sé) buone o cattive: mentre in realtà, semplicemente, ciò che giova all'uomo è detto
buono o bello, ciò che gli nuoce cattivo o brutto. Il fatto poi che gli uomini, pur simili per molti aspetti,
siano tutti diversi, e che dunque agli uni e agli altri paiano buone o cattive cose diverse, genera le aspre
controversie che portano allo scetticismo. Secondo Spinoza invece nella natura, dominata com'è da una
necessità assoluta, non si danno cose buone in sé o cattive in sé: il problema del male, cioè quello di
giustificare l'esistenza del male in un universo dominato da un Dio buono e provvidente, si risolve prima di
porsi se si abbandona il finalismo che, di quel problema, era l'origine.[54]

Parte seconda: della natura e dell'origine della mente


Nella seconda parte Spinoza espone la sua teoria della conoscenza, che nelle parti successive dell'opera farà
da fondamento per la teoria della beatitudine umana.[55]

La finitezza dell'uomo e il parallelismo di mente e corpo

«Dico che appartiene all'essenza di ciascuna cosa [...] ciò senza cui la cosa e, viceversa, ciò che senza la
cosa non può né essere, né essere concepito» (E II, d2).[26] Con questa definizione, Spinoza vuole ribadire
la distanza tra le cose finite e Dio, escludendo che qualcuno possa pensare che, poiché tutte le cose singole
(non potendo essere concepite per sé) devono essere concepite per mezzo di Dio, Dio debba far parte
dell'essenza delle cose singole. Affinché qualcosa faccia parte dell'essenza di qualcosa d'altro, infatti,
bisogna che il rapporto di dipendenza sia bidirezionale: ma poiché Dio può essere ed essere concepito
anche senza le cose finite, non è contenuto nella loro essenza.[57] Tanto le cose dipendono da Dio, quanto
Dio dipende solo da sé stesso. Sia Dio sia le cose singole sono necessari, ma la necessità attiva ed eterna
della sostanza assolutamente infinita (la cui essenza implica l'esistenza) non deve essere confusa con quella
passiva e diveniente degli enti finiti (le cui essenze non implicano l'esistenza).[57] Detto ciò, l'uomo è una
cosa singola, un ente finito, e come tale la sua essenza non implica l'esistenza (E II, a1).
Ma «l'uomo pensa» (E II, a2),[26] e inoltre «sente che un certo corpo è
affetto in molti modi» (E II, a3).[26] Spinoza introduce ora i rapporti tra le
sfere della corporeità e del pensiero nell'uomo, ma partendo di nuovo da
Dio: innanzitutto, «in Dio si dà necessariamente tanto l'idea della sua
essenza quanto di tutte le cose che seguono necessariamente dalla sua
essenza» (E II, p3);[26] però le cose non sono causate dalle idee delle cose
presenti in Dio (come avveniva secondo gran parte della tradizione
scolastica) né le idee delle cose sono causate dalle cose (poiché, come si è
visto nella parte prima, tra enti di natura diversa come sono diversi
pensiero ed estensione non si dà causalità). Dunque tra idee e cose vige un
rapporto di corrispondenza senza causalità, o, come dirà Leibniz,[58] di
«parallelismo». Le idee e le cose, le concatenazioni di implicazioni e
Gottfried Wilhelm von
causazioni, si corrispondono perfettamente perché esprimono da punti di
Leibniz entrò in contatto
vista diversi la stessa unità sostanziale:[59] «una e identica sostanza [...] è
diretto con Spinoza e
compresa ora sotto questo ora sotto quell'attributo» (E II, p7s).[26] intrattenne con lui un
fecondo rapporto epistolare,
Lo stesso vale per l'essere umano: l'uomo è una modificazione della
grazie al quale i due
sostanza che partecipa di due soli dei suoi infiniti attributi, pensiero ed discussero argomenti
estensione. La mente è dunque una modificazione finita dell'attributo del scientifici e filosofici[56]
pensiero, il corpo una modificazione finita dell'attributo dell'estensione. Le
due modificazioni però si corrispondono strettamente, come è testimoniato
dalla consapevolezza che la nostra mente ha delle sensazioni del nostro corpo: la mente è l'idea che ha
come oggetto il corpo.[60]

La mente umana, che ha le idee delle cose che conosce, è essa stessa un'idea, e in particolare è l'idea che,
nella dimensione intemporale di Dio, corrisponde all'essenza del corpo a cui, nel tempo, quella mente sente
di essere legata. C'è però una differenza tra l'idea del corpo di Pietro che costituisce la mente di Pietro e
l'idea del corpo di Pietro che ha un altro uomo, per esempio Paolo (come ha notato Scribano resta comune,
nelle diverse accezioni della nozione di «idea», che «idea è quella particolare modificazione del pensiero
che rappresenta qualcosa»).[61] In effetti, «l'idea che costituisce l'essere formale della mente umana [cioè la
mente come idea del corpo che a esso corrisponde] non è semplice ma composta da moltissime idee» (E II,
p15).[26] La differenza tra un sasso corporeo, a cui corrisponde l'idea di quel sasso, un corpo di animale, a
cui corrisponde l'idea (cioè la mente) di quell'animale, e un corpo umano, a cui corrisponde l'idea (cioè la
mente) di quell'essere umano dipende solo dalla diversa complessità di queste idee, che a sua volta
corrisponde alla diversa complessità dei corrispondenti corpi. In un certo senso tutti gli enti finiti
nell'estensione hanno una mente, che è l'idea che a essi corrisponde nel pensiero, ma solo la mente degli
uomini è complessa abbastanza da rendere possibile la razionalità – e questa complessità corrisponde
strettamente alla maggior complessità del corpo umano rispetto al corpo di qualsiasi animale e, a maggior
ragione, di qualsiasi oggetto inanimato.[62]

Conoscenza inadeguata

Spinoza ritiene che, poiché «l'oggetto dell'idea che costituisce la mente umana è il corpo [...] e niente altro»
(E II, p13),[26] «la mente non conosce sé stessa se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del
corpo» (E II, p23).[26] Dunque, visto che il principio di ogni conoscenza è nelle affezioni del corpo, l'autore
inserisce tra la proposizione tredicesima e la quattordicesima una serie di lemmi dedicati a delineare una
sintetica teoria fisica e fisiologica, su base meccanicista, il cui scopo è quello di rendere conto del
funzionamento della mente umana.[63]

Ne risulta, tra le altre cose, che «l'idea di un qualunque modo in cui il corpo umano è affetto dai corpi
esterni deve implicare la natura del corpo umano e, simultaneamente, la natura del corpo esterno» (E II,
p16)[26] e che quindi gli oggetti esterni ci sono noti attraverso l'inevitabile mediazione (ed, eventualmente,
deformazione) del nostro stesso corpo, ovvero «le idee che abbiamo dei corpi esterni indicano più la
costituzione del nostro corpo che la natura dei corpi esterni» (E II, p16c2).[26][64]

Inoltre se, per esempio, un oggetto che si era sempre presentato insieme a un altro si presenta ora da solo, la
mente tenderà a pensare ancora a entrambi gli oggetti (si tratta del principio di funzionamento
dell'associazione di idee); in generale, «la mente potrà [...] contemplare come se fossero presenti i corpi
esterni dai quali il corpo umano è stato affetto una volta, sebbene essi non esistano, né siano presenti» (E II,
p17c),[26] e questo «fino a quando il corpo [umano] non venga affetto da un affetto che escluda l'esistenza o
presenza dello stesso corpo [esterno]». Questi sono tra i fondamenti dell'immaginazione, e dunque
dell'inadeguatezza delle idee che abbiamo sul nostro corpo e sulle sue affezioni.[65]

Se nella prima parte si era definita un'idea vera come un'idea corrispondente al suo ideato, cioè al suo
oggetto, assumendo una qualificazione estrinseca della verità come corrispondenza, nella seconda parte si
era definita un'idea adeguata come un'idea dalla quale, a partire da essa sola, possono essere derivate tutte le
proprietà del suo oggetto, cioè un'idea chiara e distinta che consente di conoscere di un oggetto le cause e
gli effetti.[66] Con ciò, per Spinoza un'idea adeguata è sempre un'idea vera. Quella di «idea adeguata» è poi
una qualificazione intrinseca all'idea stessa (che un'idea sia chiara e distinta si può affermare o negare senza
dover confrontare l'idea con il suo ideato) e quindi avendo un'idea adeguata sappiamo sempre di averla:
«Come la luce manifesta sé stessa e le tenebre, la verità è norma di sé stessa e del falso» (E II, p43s).[26][67]

Avere un'idea adeguata di un corpo finito significa poter ricostruire sia la catena causale che l'ha portato a
esistere nel tempo sia la catena causale degli eventi determinati da esso nel tempo; ma tali catene causali,
come si è visto, sono infinitamente estese nel passato e nel futuro, e dunque la loro conoscenza non è
accessibile a una mente finita come quella umana. In altre parole, tutte le volte che per conoscere qualcosa
non è sufficiente la conoscenza di un'affezione del corpo umano, ma è necessario conoscere anche altre
cose che l'uomo non conosce, l'uomo ha una conoscenza inadeguata. Dio, in cui sono presenti tutti gli
infiniti corpi e le corrispondenti idee, ha una conoscenza adeguata di tutte le cose, alla quale l'uomo nella
sua finitezza non può accedere.[68]

«La mente umana ogni qual volta percepisce le cose secondo il comune ordine della
natura non ha una conoscenza adeguata, bensì soltanto confusa e mutilata, di se
stessa, del proprio corpo e dei corpi esterni. La mente, infatti, non conosce se stessa se
non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo. E non percepisce il proprio
corpo se non per mezzo delle stesse idee delle affezioni mediante le quali soltanto
percepisce anche i corpi esterni. (E II, p29c)[26]»

Da cui la teoria spinoziana dell'errore: la conoscenza inadeguata è tale perché è manchevole, perché cioè
non ha le idee che le servirebbero per completare la ricostruzione delle catene causali. Non esiste alcunché
di positivo nell'errore: un'idea falsa è semplicemente un'idea parziale, che può diventare vera quando a essa
se ne aggiungano altre che la completano.[69] L'autore riporta un esempio: il Sole ci appare piccolo e poco
distante, e noi crediamo che lo sia davvero finché non ci viene dimostrato, sulla base di considerazioni
razionali, che è molto più grande e molto più distante di quanto sembra; l'idea di un Sole che appare piccolo
e vicino allora rimane, ma è completata da altre idee (cioè dalla consapevolezza dei motivi per cui
l'apparenza è ingannevole e dall'idea della vera distanza e grandezza del Sole) e forma quindi, insieme a
esse, un'idea vera (E II, p40s2).[26]

Un'idea falsa può essere ritenuta vera finché non è soppiantata da un'idea vera (che, come si diceva, «è
norma di sé stessa e del falso»), ma non è mai accompagnata dalla certezza che caratterizza le idee chiare e
distinte, cioè adeguate, cioè effettivamente vere:[70] «L'idea falsa, in quanto è falsa, non implica certezza.
Quando, dunque, abbiamo detto che l'uomo resta tranquillo nel falso e non dubita di esso, non abbiamo per
questo detto che egli è certo, ma soltanto che non dubita o che si acquieta nel falso, perché non si danno
cause che facciano sì che la sua immaginazione fluttui» (E II, p49s).[26]

Conoscenza adeguata

Tuttavia, la conoscenza adeguata è possibile anche per l'uomo. Oltre alla conoscenza basata su
immaginazione e sensibilità, la quale è vacillante e parziale per via della sua passività rispetto alle affezioni
del corpo (che come si è visto non mettono a disposizione dati diretti sul mondo esterno, ma solo dati spuri
che contengono informazioni anche e soprattutto sul corpo stesso) esistono infatti altri due generi di
conoscenza: la conoscenza razionale, che prende le mosse da nozioni comuni a tutti e conosciute
adeguatamente (per esempio l'estensione) e che le sviluppa secondo un metodo rigorosamente razionale
simile a quello della stessa Etica, giungendo ad altre e più estese conoscenze adeguate di carattere
universale; e la conoscenza intuitiva, per mezzo della quale si può giungere in modo diretto e immediato
(non discorsivo) a nozioni adeguate sugli oggetti individuali.[71] Mentre i primi due generi di conoscenza,
quella immaginativa e quella razionale, danno accesso a conoscenze (rispettivamente inadeguate e
adeguate) universali, il terzo genere, quello intuitivo, dà luogo alla conoscenza adeguata di enti singoli.[72]

La conoscenza adeguata degli universali della ragione, come appunto l'estensione, è resa possibile dal fatto
che essi sono «cose che sono comuni a tutti e che sono parimenti nella parte e nel tutto» (E II, p38);[26] le
proprietà del corpo esterno che, avendo un effetto sul corpo umano, viene percepito dalla mente umana
vengono conosciute in modo deformato nell'esatta misura in cui il corpo esterno e il corpo umano sono
diversi l'uno dall'altro; ma le proprietà che essi hanno in comune (per esempio l'estensione) non possono
essere deformate dall'interazione dei due corpi, e dunque sono conosciute da tutti gli uomini in modo
necessariamente adeguato.[73]

La finitezza dell'uomo gli impedisce di avere una conoscenza adeguata dell'infinita catena causale in cui si
inserisce, nel tempo, un oggetto individuale; tuttavia esistono degli universali che sono indipendenti da
simili catene causali e che, infatti, si collocano nella dimensione intemporale dell'eternità (l'estensione ne è,
di nuovo, un esempio). In altre parole, la mente ha un'idea adeguata quando ha un'idea che non dipende da
altre idee per la sua adeguatezza; una simile idea nella mente umana coincide con la stessa idea che è
adeguata in Dio, e da entrambi i punti di vista essa ha un carattere intemporale.[74]

«È proprio della natura della ragione contemplare le cose non come contingenti, ma come necessarie» (E II,
p44),[26] sub specie aeternitatis, «sotto l'aspetto dell'eternità» (E II, p44c2).[26] La ragione conosce le cose
(ma non le cose individuali, bensì le proprietà comuni) in quanto derivazioni della necessaria natura divina
nella loro dimensione eterna, al di là della temporalità in cui sono immerse quando sono conosciute per via
della sensibilità; non «in quanto concepiamo che esse esistono in relazione a un certo tempo e luogo» ma
«in quanto sono contenute in Dio e seguono dalla necessità della divina natura» (E V, p29s).[26][75] La
possibilità che la mente, di cui si era detto che non conosce se non per mezzo delle affezioni del corpo di
cui è idea, acceda a conoscenze intemporali può apparire problematica, e in effetti sarà pienamente chiarita
solo nella parte quinta: allora Spinoza dimostrerà che la mente possiede conoscenze adeguate al di là del
tempo in quanto è essa stessa un'idea di Dio che si colloca, in parte, al di là del tempo.[76] La mente umana
infatti, come il corpo e ogni altra cosa, ha un'esistenza finita nel tempo, nella durata, e un'esistenza sub
specie aeternitatis.[77]

Dalla teoria della conoscenza adeguata di Spinoza discende una delle conclusioni più radicali dell'Etica:
«La mente umana ha una conoscenza adeguata dell'essenza eterna e infinita di Dio» (E II, p47).[26] L'eterna
e infinita essenza di Dio sono infatti, alla stregua dell'estensione, proprietà comuni a tutti i corpi, poiché,
essendo la mente stessa, oltre al corpo umano e ai corpi esterni, un ente finito, non può né essere, né essere
concepita senza Dio, e quindi «ciascuna idea di qualunque corpo o cosa singolare esistente in atto implica
necessariamente l'essenza eterna e infinita di Dio» (E II, p45).[26][78]
Parte terza: della natura e dell'origine degli affetti
La terza parte dell'Etica è dedicata agli affetti e all'emotività, tradizionalmente esclusi dal campo di interesse
delle indagini votate al rigore formale; nella prefazione, a questo proposito, Spinoza contesta
l'atteggiamento dei numerosi filosofi che hanno guardato alle emozioni con disprezzo, considerandole una
degenerazione della natura razionale dell'uomo; egli argomenta, al contrario, l'assoluta necessità delle
passioni (necessità che le caratterizza alla stregua di ogni altro fenomeno naturale) e quindi rigetta una loro
caratterizzazione come intrinsecamente buone o cattive, sostenendo invece la legittimità di un loro studio
scientifico.[79] «Gli affetti [...] conseguono dalla stessa necessità e virtù della natura dalla quale conseguono
le altre cose singolari; e perciò riconoscono cause certe, mediante le quali sono compresi, e hanno certe
proprietà, degne della nostra conoscenza a pari titolo che le proprietà di qualunque altra cosa» (E III,
prefazione).[26]

Azioni e passioni

Spinoza introduce dapprima la definizione di «causa adeguata», che gli servirà presto per definire la
nozione di «azione». Una causa è detta «adeguata» quando il suo effetto «può essere percepito chiaramente
e distintamente per mezzo della stessa» (E III, d1),[26] e cioè quando (tenendo presente il quarto assioma
della prima parte) la sua conoscenza è sufficiente per la conoscenza del suo effetto. Un'«azione», su questa
base, è dunque definita come un avvenimento, esterno o interno a noi stessi, «di cui siamo causa adeguata,
cioè [...] che può essere compreso chiaramente e distintamente per mezzo della nostra stessa natura» (E III,
d2).[26] Viceversa siamo passivi quando, fuori di noi o in noi, avviene qualcosa di cui noi stessi non siamo
causa adeguata. Dunque gli «affetti», generalmente intesi, derivano dall'unione delle azioni e delle passioni,
e sono quindi «le affezioni del corpo con le quali la potenza di agire dello stesso corpo è aumentata o
diminuita, favorita o ostacolata e, simultaneamente, le idee di queste affezioni» (E III, d3).[26][80]

Nella prima parte, Spinoza aveva legato la causalità all'implicazione logica sostenendo che la conoscenza
della causa è condizione necessaria per la conoscenza dell'effetto; questa tesi era stata ripresa, nella parte
seconda, quando l'autore aveva sostenuto che da idee adeguate conseguono sempre e necessariamente idee
adeguate, e che quindi in particolare da conoscenze adeguate delle cause devono seguire conoscenze
adeguate degli effetti. Ora, nell'esatta misura in cui conosciamo adeguatamente noi stessi come cause di
eventi esterni o interni, noi conosciamo adeguatamente tali eventi; e quindi siamo attivi, cioè siamo cause
adeguate, quando abbiamo idee adeguate. Al contrario siamo passivi quando, per spiegare gli eventi di cui
siamo causa, dobbiamo fare ricorso ad agenti esterni, dei quali (in quanto sono oggetti individuali) non
riusciamo ad avere idee adeguate.[81] Insomma, «la nostra mente è attiva in certe cose e passiva in altre, cioè
in quanto ha idee adeguate, in tanto è necessariamente attiva in certe cose e in quanto ha idee inadeguate, in
tanto è necessariamente passiva in altre» (E III, p1).[26]

La dinamica degli affetti

Spinoza enuncia la legge fondamentale della condotta umana (che comunque, data l'uniformità tra l'uomo e
le altre parti della natura, è valida per tutti gli enti naturali) sotto forma di una sorta di principio di inerzia:[82]

«Ogni cosa, per quanto è in sé, si sforza di perseverare nel suo essere. (E III, p6)[26]»

Questo sforzo di autoconservazione, o conatus, appartiene all'intrinseca natura di tutte le cose singolari,
poiché nessuna di esse contiene il principio della propria dissoluzione (pena la contraddittorietà della
propria essenza) e può anzi essere distrutta solo da cause esterne. Questo conatus, questa volontà di
conservare o aumentare la nostra potenza di perseverare nella nostra esistenza, è il fondamento delle
valutazioni morali che applichiamo alle cose: Spinoza asserisce la neutralità morale della natura, che, intesa
di per sé, è dominata da una necessità assolutamente cieca e tale da porla al di là dei valori; egli ritiene
tuttavia che, in virtù del nostro impulso alla sopravvivenza, noi naturalmente desideriamo ciò che favorisce
la nostra conservazione e rifuggiamo ciò che la minaccia, e che quindi «noi non cerchiamo, vogliamo,
appetiamo né desideriamo qualcosa perché riteniamo che sia buona; ma, al contrario, noi giudichiamo
buona qualcosa perché la cerchiamo, la vogliamo, la appetiamo e la desideriamo» (E III, p9s).[26][83]

Inoltre, poiché continua a valere il principio della corrispondenza (pur senza reciproca causalità) tra
modificazioni corporee e modificazioni del pensiero, cioè tra eventi fisici e idee, accade che a un aumento
della potenza del nostro corpo (a una modificazione corporea, insomma) corrisponda un affetto (che, si
ricordi, è un'idea) di gioia e che simmetricamente a una sua diminuzione corrisponda un affetto di tristezza.
Ancora, chiameremo buono ciò che ci provoca gioia e che, quindi, appetiamo, e chiameremo cattivo ciò
che ci provoca tristezza e che quindi fuggiamo. Gioia e tristezza costituiscono gli affetti principali tra i quali
l'uomo si muove.[83]

La consapevolezza, accanto alla gioia o alla tristezza, degli oggetti


che ne sono la causa genera due nuovi affetti, rispettivamente
l'amore (che quindi proviamo nei confronti di ciò che ci provoca
gioia) e l'odio (che proviamo verso ciò che ci rattrista).[84]

La dinamica generale delle emozioni riguarda, in gran parte, la


composizione (per associazione, riflessione o imitazione) dei
singoli affetti. L'associazione degli affetti funziona in modo
analogo all'associazione di idee descritta nella seconda parte: di
fronte a cose, persone o circostanze simili a cose, persone o
Due pagine della prima parte del
circostanze che in passato ci hanno provocato una certa emozione,
testo originale dell'Ethica
tenderemo a provare di nuovo un'emozione simile; se una cosa,
persona o circostanza nuova ci si presenta insieme a una cosa,
persona o circostanza che in passato ci ha provocato una certa
emozione, tenderemo a provare verso la novità un'emozione simile.[85] Gli affetti riflessi sono legati agli
affetti di coloro ai quali siamo affettivamente legati: se amiamo qualcuno (la nostra relazione con il quale,
quindi, aumenta la nostra potenza) ameremo ciò che lui ama (perché ciò, aumentando la sua potenza,
aumenta indirettamente anche la nostra) e odieremo ciò che lui odia (perché ciò, diminuendo la sua potenza,
diminuisce indirettamente anche la nostra); l'opposto vale per chi odiamo.[86]

Spinoza aggiunge il principio di imitazione degli affetti, che riguarda i nostri affetti verso coloro ai quali
non siamo affettivamente legati. Egli afferma che, nella misura in cui siamo simili a una persona, tendiamo
a essere affetti nello stesso modo in cui è affetta quella persona: «Se immaginiamo che una cosa a noi
simile, e verso la quale non abbiamo nutrito nessun affetto, è affetta da un qualche affetto, per ciò stesso
veniamo affetti da un affetto simile» (E III, p27).[26] In ragione di questa empatia, tendiamo a rallegrarci
della gioia dei nostri simili (tra i quali Spinoza include tutti gli uomini, ma non, per esempio, gli animali) e a
compatire la loro tristezza, anche se non siamo legati a essi da rapporti di amore od odio; siamo quindi
portati a venire in aiuto di chi soffre, poiché il modo migliore di limitare la tristezza che proviamo nel veder
soffrire qualcuno è far cessare questa sua tristezza (il fatto che la tristezza di qualcuno provochi in noi
tristezza non può far sì che noi lo odiamo, dal momento che se lo odiassimo la sua tristezza non ci
provocherebbe tristezza, bensì gioia, il che è contraddittorio; peraltro la gioia per la tristezza di chi odiamo,
che è ad esempio tipica degli invidiosi, è sempre inquinata dall'empatia che ci porta a soffrire con chi
soffre).[87] L'egoismo assoluto che motiva le nostre azioni può, quindi, avere come esito azioni altruistiche,
ma esso è ambivalente: può infatti anche causare contrasti qualora, ad esempio, desideriamo un oggetto che
desiderano anche altri, con i quali entriamo quindi in competizione; insomma, «dalla stessa proprietà della
natura umana dalla quale segue che gli uomini sono compassionevoli, segue anche che sono invidiosi e
ambiziosi» (E III, p32s).[26][88]
Affetti attivi

Nelle ultime due proposizioni della terza parte l'autore, che finora si è occupato di un'analisi dei soli affetti
passivi, si concentra sugli affetti attivi.

Spinoza riprende l'affermazione, enunciata nella seconda parte, che la conoscenza adeguata rende possibile
la nostra attività, e aggiunge ora che la conoscenza adeguata comporta un affetto di gioia; la conoscenza
adeguata infatti, dal momento che non dipende da altro oltre che dalla mente che la concepisce (la quale ha
un'idea adeguata quando ha un'idea identica alla corrispondente idea che è in Dio), implica da parte della
mente la contemplazione di sé stessa; questa contemplazione di sé a sua volta è resa possibile dal venir
meno dei condizionamenti delle forze esterne, il che segnala un aumento della potenza della mente. La
conoscenza adeguata e la nostra attività, in altre parole, vanno di pari passo con l'aumento della nostra
potenza di agire e sono quindi accompagnate da gioia. Al contrario, la tristezza è dovuta a una diminuzione
della nostra potenza, e si caratterizza quindi per un prevalere delle cause esterne rispetto alle quali siamo
passivi.[89]

D'altro canto, se tutti gli affetti attivi provocano gioia, non tutta la gioia è provocata da affetti attivi: sono
possibili anche gioie causate da aumenti parziali, disarmonici e temporanei della nostra potenza di agire, i
quali a lungo andare determinano uno squilibrio e provocano una diminuzione della nostra potenza globale,
che porta con sé tristezza. «La mente sia in quanto ha idee chiare e distinte, sia in quanto ha idee confuse, si
sforza di perseverare nel suo essere» (E III, p58d);[26] tuttavia solo in quanto ha idee adeguate riesce a
essere attiva e ad aumentare quindi sistematicamente la sua potenza, mentre in quanto ha idee inadeguate
potrà sì aumentare fortuitamente, parzialmente e a breve termine la sua potenza, ma finirà per essere
soverchiata dalle cause esterne.[90]

Parte quarta: della schiavitù umana, ossia delle forze degli affetti
La quarta parte introduce alla morale di Spinoza. Rispetto al punto di vista descrittivo che l'autore aveva
conservato fino alla terza parte inclusa, ora viene generalizzata la considerazione valoriale che in
precedenza era stata solo accennata con la spiegazione di come nascono le nozioni di buono e cattivo.[91]
Nella prefazione, Spinoza imposta lo studio di perfezione e imperfezione, bene e male, distinguendo due
considerazioni assiologiche: quella ingenua, già studiata nell'appendice alla prima parte, che si basa sul
criterio dell'aderenza delle cose ai modelli ideali che gli uomini producono con la loro immaginazione
(«ognuno ha chiamato perfetto ciò che vedeva concordare con l'idea universale che egli si era formato di
una tale cosa», E IV, prefazione);[92] e quella razionale, che si basa su un modello il quale è ancora riferito
agli uomini, come è reso inevitabile dal fatto che la necessità assoluta della natura esclude che in essa si
possano trovare dei valori oggettivi, ma il quale è da essi prodotto in accordo con idee adeguate. Questo
modello che Spinoza intende far suo, in particolare, si basa sulla nozione di perfezione che egli aveva
introdotta, nella seconda parte, dicendo che «per perfezione e realtà intendo la stessa cosa» (E II, d6);[26]
questo criterio per valutare la perfezione delle cose, lontano dall'arbitrarietà dei modelli generati dal
pregiudizio finalistico tipico degli uomini dominati dall'immaginazione, si basa sull'idea di «ente», che è
adeguata in noi perché è comune a tutte le cose. «In quanto, dunque, riconduciamo gli individui della
natura a questo genere e li confrontiamo gli uni agli altri e troviamo che alcuni hanno più entità o realtà che
gli altri, in tanto diciamo che alcuni sono più perfetti di altri» (E IV, prefazione).[26][93]

Bene e male, potenza e impotenza

La quarta parte entra nel vivo con le definizioni dei concetti di bene e male: «Per bene intenderò ciò che
sappiamo con certezza che ci è utile» (E IV, d1)[26] e «per male invece ciò che sappiamo con certezza che ci
impedisce di impadronirci di un certo bene» (E IV, d2).[26] Inoltre, egli scrive, «per virtù e potenza intendo
la stessa cosa, cioè la virtù, in quanto si riferisce all'uomo, è la stessa essenza dell'uomo, ossia la sua natura
in quanto ha la capacità di fare certe cose che possono essere comprese mediante le sole leggi della sua
natura» (E IV, d8);[26] qui Spinoza si richiama alla terza parte (dove aveva sostenuto che «la forza con la
quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere non è altro che la sua attuale essenza», E III,
p7)[26] per sostenere che la capacità dell'uomo di essere causa adeguata delle sue azioni coincide con il suo
essere attivo, cioè con l'aumento della sua potenza di agire rispetto agli agenti esterni, cioè ancora con la sua
irriducibile tendenza a conservarsi, e quindi, infine, con la sua virtù, dove il bene e ciò che è utile alla
propria conservazione convergono.[94] L'unico assioma di questa parte interviene però a rammentare la
debolezza dell'uomo, nella sua finitudine, di fronte alle cause esterne: «In natura non esiste alcuna cosa
della quale non ne esista un'altra più potente e più forte. Ma, qualunque sia data, se ne dà un'altra più
potente dalla quale quella può essere distrutta.» Spinoza si appresta a mostrare come la conoscenza del bene
può motivarci ad agire moralmente, ma è conscio che «l'uomo che è soggetto agli affetti [...] non è padrone
di sé, ma in balia della fortuna nel cui potere è a tal punto che spesso è costretto, sebbene veda il meglio, a
seguire tuttavia il peggio» (E IV, prefazione).[26] È a questo che si riferisce l'idea di «schiavitù umana» che
dà il titolo alla quarta parte.[95]

Potenza e limiti della ragione nella motivazione morale

Avendo sostenuto che la virtù da perseguire è, per l'uomo, ciò che la sua stessa essenza lo spinge a
perseguire, vale a dire ciò che risulta utile all'autoconservazione, resta da capire come la conoscenza
adeguata del vero utile da parte della ragione possa tradursi nell'azione pratica con cui l'uomo lo persegue.
Spinoza introduce qui il principio per cui ciò che può contrastare un affetto è unicamente un altro affetto,
principio con il quale la sua posizione etica viene a trovarsi in un originale punto intermedio tra
razionalismo e sentimentalismo.[96]

«Un affetto non può né essere ostacolato, né essere tolto se non per mezzo di un affetto contrario e più
forte» (E IV, p7).[26] La conoscenza del vero utile non basta, di per sé sola, a determinare un uomo a
muoversi in vista di esso; al contrario, affinché la considerazione razionale che porta a ritenere veramente
utile una cosa si traduca in un'azione volta a perseguire quella cosa è necessario che essa sia accompagnata
da un affetto, grazie al quale può nascere il desiderio che effettivamente porta l'uomo ad agire. Ma questo è
possibile: «La conoscenza del bene e del male non è altro che l'affetto della gioia o della tristezza in quanto
ne siamo consapevoli» (E IV, p8)[26] e «dalla vera conoscenza del bene e del male, in quanto questa è un
affetto, nasce necessariamente una cupidità, che è tanto maggiore quanto maggiore è l'effetto dal quale trae
origine» (E IV, p15).[26][97]

La ragione, con le sue idee adeguate, può dunque motivare l'uomo ad agire, benché questo richieda
l'intervento degli affetti di cupidità che naturalmente accompagnano la conoscenza del proprio utile, e che
sono ciò che davvero mette in moto l'azione.[98] Tuttavia la capacità della ragione di produrre idee adeguate
(capacità che dipende unicamente dall'essenza dell'uomo) e di contrastare con ciò gli affetti passivi
determinati negli uomini dalla forza soverchiante delle cause esterne (le quali continuano ad agire sull'uomo
fintantoché egli conserva idee inadeguate) è relativamente limitata. Solo se l'uomo avesse unicamente idee
adeguate sarebbe completamente attivo e non soggetto a essere determinato da cause esterne, ma la sua
finitezza gli impedisce di essere causa adeguata di tutti gli effetti che si determinano in lui; egli dunque resta
in parte passivo, e cioè in parte schiavo.[99]

Adeguatezza e inadeguatezza nelle società umane

Le considerazioni esposte fin qui consentono di identificare ciò che è davvero buono alla luce di ciò che la
ragione indica come veramente utile. Secondo Spinoza una delle cose utili, e quindi buone, per l'uomo è
l'unione con altri uomini, vale a dire la società.
Spinoza inizia a chiarire che le cose che sono completamente diverse da noi ci sono completamente
indifferenti, e che viceversa possiamo trarre utilità o danno dalle cose solo in quanto abbiamo con esse
qualcosa in comune; in particolare ci sono utili le cose che concordano con la nostra natura e dannose
quelle che sono contrarie alla nostra natura. Ora gli uomini, che ovviamente hanno qualcosa in comune con
gli altri uomini, tendono a non concordare tra di loro quando hanno idee inadeguate e sono soggetti alle
passioni, e possono dunque essere pericolosi gli uni per gli altri; gli uomini viceversa concordano sempre e
necessariamente quando hanno idee adeguate, perché «quel che, secondo il dettame della ragione,
giudichiamo buono o cattivo è necessariamente buono o cattivo: gli uomini, dunque, in quanto vivono
secondo la guida della ragione, in tanto soltanto fanno necessariamente quelle cose che sono
necessariamente buone per la natura umana [...] e cioè quelle cose che concordano con la natura di ogni
uomo» (E IV, p35).[26] Gli uomini delle passioni possono, in realtà, concordare ed essere di reciproca utilità,
ma questo loro accordo resta fortuito ed effimero, perché il giudizio sul bene e sul male determinato
dall'immaginazione è sostanzialmente idiosincratico; nella misura in cui gli uomini si conducono secondo
ragione, invece, essi sono di somma utilità l'uno per l'altro e lo sono in modo necessario e duraturo, perché
il giudizio sul bene e sul male determinato dalla ragione è universale rispetto agli uomini. Inoltre il bene che
gli uomini razionali desiderano per sé è la comprensione, che non è un bene competitivo; anzi ognuno,
poiché trae vantaggio dalla razionalità degli altri uomini, desidererà il bene (cioè la comprensione, cioè la
razionalità) anche per gli altri.[100]

Gli uomini razionali dunque traggono il massimo vantaggio dalla loro unione. Tuttavia anche gli uomini
dominati dall'immaginazione constatano, a qualche punto della loro evoluzione, che «con il reciproco aiuto
possono molto più facilmente procurarsi le cose di cui hanno bisogno e che solo unendo le forze possono
evitare i pericoli che incombono da tutte le parti» (E IV, p35s).[26] Spinoza fa sua l'idea che l'uomo sia un
animale sociale. Tuttavia la convivenza degli uomini dominati dall'immaginazione è resa complicata dalle
loro idiosincrasie: «Ognuno esiste per sommo diritto di natura, e conseguentemente per sommo diritto di
natura ognuno fa quelle cose che seguono dalla necessità della sua natura; [...] se gli uomini vivessero
secondo la guida della ragione, ognuno godrebbe di questo suo diritto senza alcun danno per l'altro. Ma,
poiché sono soggetti agli affetti, che superano di gran lunga la potenza, ossia la virtù umana, per cui sono
spesso trascinati in diverse direzioni, e sono l'uno all'altro contrarii, allora hanno bisogno di mutuo aiuto.
Per vivere dunque nella concordia e potere essere a vicenda di aiuto, è necessario che gli uomini rinuncino
al proprio diritto naturale e assicurino l'uno all'altro che non faranno nulla che possa mutarsi in danno per
l'altro» (E IV, p37s2).[26] È questo il fondamento dello Stato, un organismo in seno al quale vengono
stabiliti convenzionalmente dei criteri di condotta che preservano l'utilità di tutti, e che vengono fatti
rispettare grazie alla paura delle pene stabilite per la violazione delle leggi (che a loro volta possono essere
applicate grazie alla potenza dello Stato stesso, che supera di molto quella di ogni singolo individuo). Tali
punizioni non implicano il riconoscimento negli individui di una libertà di agire che, per il determinismo di
Spinoza, è e rimane inconcepibile: esse semplicemente servono allo Stato per difendersi da chi mette in
pericolo i suoi membri, e dunque le nozioni di merito e colpa, prive di alcun fondamento naturale, sono
determinate solo dall'aderenza o dalla contrarietà di certe azioni alle leggi, senza che in ciò sia implicita
l'idea che il colpevole o il meritevole avrebbero potuto agire diversamente da come hanno agito.
Comunque, lo Stato è anche il luogo privilegiato dove la convivenza degli uomini può portare a una loro
crescita collettiva verso la razionalità (è d'altronde proprio questo ruolo educativo che Spinoza si attribuiva
scrivendo l'Etica).[101]

C'è una notevole distanza, in Spinoza, tra legalità e moralità. Le leggi che prescrivono la condotta degli
uomini nello Stato sono artificiali, e separano l'azione meritevole o colpevole dal suo premio o punizione.
Le leggi della moralità sono invece intrinseche alla stessa natura umana, con il suo conatus
all'autoconservazione che si esplica al meglio con l'attività della ragione. Quindi, al contrario delle azioni
legali, che vengono compiute in vista di altro da loro stesse, le azioni morali sono premio a sé stesse.[102]

L'uomo libero e Dio


Se un uomo potesse non avere che idee adeguate, allora tutta la sua condotta sarebbe interamente
comprensibile in virtù della sua sola essenza; egli sarebbe completamente attivo e determinato solo da sé
stesso, e sarebbe dunque libero secondo la definizione di libertà data nella prima parte. Con ciò, egli si
renderebbe uguale a Dio. Questo però, come abbiamo già visto, è una sorta di ideale regolativo
praticamente irraggiungibile, dal momento che la finitezza dell'uomo implica che in lui permangano sempre
un certo numero di nozioni inadeguate.[103]

Comunque, il fatto che l'uomo razionale possieda alcune idee adeguate (e che si collochi così tra gli estremi
opposti dell'uomo completamente dominato dalle idee inadeguate e Dio che ha solo idee adeguate) basta
già a rasserenarlo nella consapevolezza delle difficoltà dell'universo morale in cui si muove e
dell'irraggiungibilità della perfezione assoluta.[104] «Sopporteremo di buon animo gli avvenimenti contrari a
ciò che il calcolo della nostra utilità richiede, se siamo consapevoli di aver svolto il nostro compito e che la
potenza che abbiamo non ha potuto estendersi fino al punto di poterli evitare e che siamo parte di tutta la
natura, il cui ordine seguiamo. Cosa che, se la intendiamo chiaramente e distintamente, quella parte di noi
che è definita dall'intelligenza, cioè la parte migliore di noi, troverà interamente soddisfazione in essa, e in
questa acquiescenza si sforzerà di perseverare» (E IV, appendice).[26] D'altro canto, il fatto stesso che
l'uomo possa muoversi nello spazio della moralità dipende da questa sua condizione intermedia: un essere
privo di ogni razionalità sarebbe incapace di una morale universale; un essere perfettamente razionale
sarebbe incapace di qualsiasi morale, perché non potrebbe conoscere il male (la conoscenza del male
dipende infatti dall'esperienza di un decremento della propria potenza di agire, il quale non può prodursi in
un essere completamente razionale, cioè completamente attivo) né il bene (la conoscenza del bene dipende
infatti dall'esperienza di un incremento della propria potenza di agire, il quale ugualmente non può prodursi
un essere già completamente attivo in quanto completamente razionale). Dio quindi, ossia la natura, si
conferma ancora una volta essere al di là della considerazione morale, che è legata interamente alle
valutazioni razionali degli uomini nella loro finitezza.[105]

Parte quinta: della potenza dell'intelletto, ossia della libertà


umana
La quinta e ultima parte dell'Etica «tratta del modo, ossia della via che conduce alla libertà. In questa parte
dunque – scrive Spinoza – tratterò della potenza della ragione, mostrando che cosa la stessa ragione possa
sugli affetti e cosa sia la libertà della mente, ossia la beatitudine, onde vedremo quanto il sapiente sia più
potente dell'ignorante» (E V, prefazione).[26] Si è già visto che secondo Spinoza è impossibile che l'uomo
(almeno fintantoché permane nella dimensione della durata) si liberi di tutte le sue idee inadeguate, e che
tuttavia egli può avere accesso ad alcune idee adeguate che determinano la sua attività, e non passività,
rispetto alle cause esterne; rimanendo all'interno della logica del «parallelismo» per cui a eventi fisici
corrispondono eventi mentali e viceversa, e dopo aver evidenziato i limiti che la ragione incontra nel
tentativo di liberare l'uomo dalle passioni, l'autore passa a considerare come la mente possa, grazie alla sua
sola potenza, avvicinare l'uomo alla beatitudine: «poiché, dunque, come ho dimostrato sopra, la potenza
della mente è definita dalla sola intelligenza, determineremo in base alla sola conoscenza della mente i
rimedi degli affetti che credo tutti esperiscono, ma non osservano accuratamente né vedono distintamente e
dalla sola conoscenza della mente dedurremo tutte quelle cose che riguardano la sua beatitudine» (E V,
prefazione).[26][106]

La mente nel tempo

La prima metà della quinta parte si pone dalla prospettiva della mente in quanto è idea del corpo nel tempo,
e tratta dei rimedi che possono essere usati per minimizzare gli effetti negativi delle passioni. In primo
luogo, la conoscenza degli affetti è un fattore che limita la loro pericolosità: avere conoscenza adeguata di
un affetto, il che è possibile nella misura in cui quell'affetto è determinato in noi da proprietà comuni a noi e
ai corpi esterni, implica già il fatto di renderci attivi nei suoi confronti e, inoltre, di separare l'affetto nella
sua generalità dalla causa particolare dell'affetto particolare, venendone quindi turbati in misura minore. In
secondo luogo, Spinoza prende in considerazione il fattore tempo: se è vero che le conoscenze adeguate, e
quindi generali, della ragione determinano affetti buoni che tendono a essere facilmente sopraffatti dagli
affetti cattivi quando questi ultimi sono presenti e concreti, è vero anche che in assenza di ciò che potrebbe
determinare un affetto cattivo gli affetti buoni determinati dai precetti della ragione riescono a prevalere;
quindi possiamo educare noi stessi a tali precetti della ragione quando siamo meno pressati dalle cause
esterne, in modo da coltivare i nostri affetti buoni e da poterli contrapporre con più efficacia a quelli cattivi
quando questi, infine, si presentano. In terzo luogo, Spinoza evidenzia che la consapevolezza della
necessità di tutte le cose può moderare le passioni che esse determinano in noi: «la tristezza per la perdita di
un qualche bene viene mitigata, nel momento che l'uomo che lo ha perso considera che quel bene non
avrebbe potuto essere conservato in alcun modo» (E V, p6s).[26][107]

Più in generale, secondo Spinoza la conoscenza adeguata porta sempre con sé un aumento della nostra
capacità di essere attivi e, quindi, è accompagnata da un affetto di gioia. Avere conoscenze adeguate
significa avere nella nostra mente, in quanto in essa si esprime l'essenza di Dio, idee che sono uguali alle
idee che si trovano in Dio stesso, al di là del tempo; perciò, avere conoscenze adeguate significa sempre
avere una conoscenza di Dio, anche se mai esaustiva. Ogni conoscenza adeguata, che in quanto tale
provoca gioia, è dunque accompagnata dalla consapevolezza della sua causa, che è Dio, e quindi comporta
amore nei suoi confronti. L'amore di Dio è, per Spinoza, un sentimento sommamente positivo, che ci aiuta
in misura non trascurabile a far fronte alle passioni. Esso tuttavia comporta implicazioni ancora più radicali
quando lo si consideri non in relazione al tempo e al corpo esistente nella durata, bensì dal punto di vista
della mente in quanto è l'idea eterna dell'essenza del corpo.[108]

La mente fuori dal tempo

La seconda metà della quinta parte si pone dalla prospettiva della mente in quanto corrisponde non al corpo
esistente in atto, ma all'idea dell'essenza del corpo sub specie aeternitatis: dal primo di questi due punti di
vista la mente ha una durata finita, esattamente come il corpo al quale corrisponde, e muore con la morte del
corpo; dal secondo punto di vista, invece, la mente è eterna esattamente come l'essenza del corpo, poiché
l'una e l'altra esistono sub specie aeternitatis in Dio (rispettivamente nel pensiero e nell'estensione). Mentre
le facoltà proprie della mente in quanto si colloca nella durata (la memoria, la sensibilità, l'immaginazione)
si dissolvono al momento della morte, le facoltà proprie della mente in quanto è eterna (la ragione e
l'intelletto) sono esse stesse eterne. «La parte eterna della mente è l'intelletto, per il quale soltanto si dice che
noi agiamo; la parte, invece, che abbiamo mostrato che perisce è la stessa immaginazione, per la quale
soltanto si dice che siamo passivi» (E V, p40c).[26][108]

Il fatto che la memoria faccia capo alla parte della mente che è destinata a morire significa, in primo luogo,
che non dobbiamo aspettarci di trovare nella memoria la testimonianza dell'eternità di una parte della nostra
mente e, in secondo luogo, che la parte eterna della mente non può ricordare le vicende che essa ha vissuto
nel tempo: l'«idea che esprime l'essenza del corpo sotto una specie di eternità è un certo modo del pensare,
che appartiene all'essenza della mente e che è necessariamente eterno. Né, tuttavia, può accadere che ci
ricordiamo di essere esistiti prima del corpo, poiché non è possibile che nel corpo se ne dia alcun vestigio,
né l'eternità può essere definita dal tempo, né può avere alcuna relazione al tempo» (E V, p23s).[26] Tuttavia
la parte eterna della mente non è solo l'idea che in Dio rappresenta la mente umana: in questo senso infatti
tutte le idee delle essenze delle cose individuali che si trovano in Dio sono eterne e ciò che permane al di là
del tempo è lo stesso intelletto infinito di Dio; alla mente umana che esiste sub specie aeternitatis, invece,
continua a corrispondere l'unità di coscienza che corrispondeva già, nel tempo, a un ben preciso io
individuale. Spinoza sostiene insomma l'eternità delle coscienze personali, e non solo di un intelletto
universale.[109]
Ciò che egli afferma è che la mente umana, nella durata, fa esperienza dell'eternità di sé stessa, o almeno di
una sua parte, nell'esatta misura in cui ha conoscenze adeguate (conoscenze cioè, come si era detto fin dalla
seconda parte, che non dipendono dal tempo e che sono accessibili alla mente proprio in quanto una sua
parte si colloca al di là del tempo). «Sentiamo e sperimentiamo di essere eterni. Infatti la mente non sente
meno le cose che concepisce con l'intelletto, che quelle che ha nella memoria. Infatti, gli occhi della mente
con i quali vede le cose e le osserva, sono le stesse dimostrazioni» (E V, p23s).[26] La conoscenza adeguata,
insomma, ci rende manifesta la nostra appartenenza anche a un ordine intemporale, cioè eterno; e la parte di
noi che, nel tempo, è divenuta cosciente di questa sua intemporalità proprio per il fatto di aver avuto
accesso a conoscenze eterne, la parte di noi cioè che si è esercitata nella dimensione eterna, permarrà in tale
dimensione che le è propria.[109]

La conoscenza adeguata a cui la mente accede in quanto si esercita al di là del tempo appartiene al secondo
e al terzo genere, secondo la classificazione dei tipi di conoscenza proposta nella seconda parte. Il terzo
genere, in particolare, «procede dall'idea adeguata dell'essenza formale di certi attributi di Dio alla
conoscenza adeguata dell'essenza delle cose» (E II, p40s2);[26] ci mette a disposizione insomma idee
adeguate di cose individuali e lo fa inoltre in modo intuitivo, laddove la conoscenza di secondo genere ci
metteva a disposizione idee generali con un andamento discorsivo. Un esempio di conoscenza di terzo
genere è la conoscenza che la mente ha di sé stessa a partire dalla conoscenza che ha di Dio: «Poiché
l'essenza della nostra mente consiste nella sola conoscenza, di cui Dio è principio e fondamento, diventa per
noi perspicuo in qual modo e per quale ragione la nostra mente, secondo l'essenza e l'esistenza, segua dalla
natura divina e continuamente dipenda da Dio» (E V, p36s).[26][110]

Ora, questo terzo genere di conoscenza è superiore al secondo, che pure è comunque fonte di idee
adeguate, per il fatto di riguardare le cose individuali e di essere di tipo intuitivo; alla luce del fatto, già
visto, che la conoscenza determina la somma potenza di agire dell'uomo e anche la sua somma gioia, cioè la
sua somma virtù, risulta quindi che «il supremo sforzo della mente e la sua somma virtù consistono nel
conoscere le cose secondo il terzo genere di conoscenza» (E V, p25).[26]

In definitiva, della mente di ogni uomo si conserva solo la parte che si è esercitata nella dimensione eterna,
mentre quella che appartiene alla durata perisce. La consistenza della parte eterna rispetto a quella destinata
a dissolversi dipende dalla consistenza, nella mente, delle idee adeguate rispetto a quelle inadeguate:
«Quante più cose la mente conosce con il secondo e il terzo genere di conoscenza, tanto maggiore è la parte
di essa che rimane illesa» (E V, p38d).[26][111] Spinoza rammenta poi che queste conoscenze, pure nella loro
dimensione eterna, rimangono inserite nella logica di un parallelismo con il corpo, di cui la mente è sempre
e comunque l'idea: «Chi ha un corpo capace di molte cose, ha una mente la cui massima parte è eterna» (E
V, p39).[26] Il saggio deve dunque avere un corpo tanto complesso quanto articolate sono le idee che egli ha
nella mente per riuscire a far sì che l'eternità della sua mente, in quanto è idea dell'essenza del corpo al di là
del tempo, si esplichi nel tempo: «L'ignorante [...] vive quasi inconsapevole di sé e di Dio e delle cose e
appena cessa di soffrire, cessa anche di essere. Al contrario il saggio [...] è consapevole di sé e di Dio e
delle cose con una certa qual necessità e non cessa mai di essere» (E V, p42s).[26][112]

Amore intellettuale di Dio e beatitudine umana

Spinoza è prossimo a delineare la teoria della beatitudine umana che costituisce l'obiettivo che ha animato la
stesura dell'Etica stessa.

Come si è già visto, la conoscenza di terzo genere dipende dalla mente in quanto è eterna, e l'eternità della
mente dipende dalla sua appartenenza alla dimensione intemporale di Dio. Perciò «qualunque cosa
conosciamo con il terzo genere di conoscenza, ne traiamo diletto in concomitanza con l'idea di Dio come
causa» (E V, p32).[26] Ma la gioia accompagnata dall'idea della sua causa, per definizione, non è altro che
l'amore, e quindi «dal terzo genere di conoscenza nasce necessariamente l'amore intellettuale di Dio» (E V,
p32s)[26] (dove «intellettuale» significa semplicemente che è un amore riferito alla parte eterna della mente,
cioè appunto all'intelletto).[113]

Dio poi, in quanto comprende nel suo intelletto la totalità infinita delle idee, ha una perfetta conoscenza di
sé; inoltre, benché (essendo la sua potenza infinita) non gli si possa attribuire la gioia (che per definizione
deriva da un aumento di potenza), egli gode di un'assoluta perfezione che determina la sua beatitudine.
Pertanto egli è beato con la consapevolezza della causa della sua beatitudine, che è lui stesso, e di
conseguenza «Dio ama se stesso con infinito amore intellettuale» (E V, p35).[26] Ma, in quanto l'amore
intellettuale delle menti umane per Dio dipende dal fatto che esse sono parte dell'eterno e infinito intelletto
di Dio, «l'amore intellettuale della mente verso Dio è parte dell'amore infinito con il quale Dio ama sé
stesso» (E V, p36).[26] «Ne segue che Dio, in quanto ama sé stesso, ama gli uomini e conseguentemente
l'amore di Dio verso gli uomini, e l'amore intellettuale della mente verso Dio è uno e lo stesso» (E V,
p36c).[26][114]

«Dalle cose dette comprendiamo chiaramente, in che cosa consiste la nostra salvezza, ossia beatitudine,
ossia libertà, e cioè nel costante e eterno amore verso Dio, ossia nell'amore di Dio verso gli uomini» (E V,
p36s).[26] In quanto la mente conosce Dio nella sua dimensione eterna, in tanto essa è parte di Dio stesso:
essa cioè, pur senza perdere la sua finitezza, ha idee che sono le stesse idee che ha Dio; ha solo idee
adeguate, benché non ne abbia un'infinità; e quindi è libera come è libero Dio, pur essendo molto meno
potente.[115]

Questa è la beatitudine a cui aspira il saggio, nella quale egli trova contemporaneamente il massimo della
sua felicità e il massimo della sua potenza; l'uomo non ricerca la virtù per altra ragione che per via del suo
conatus all'autoconservazione e per la gioia che è provocata dall'aumento della sua potenza; cosicché infine
«la beatitudine non è premio alla virtù, ma è la virtù stessa» (E V, p42).[26][116]

Fortuna dell'opera
Spinoza venne considerato come un pensatore eterodosso, o addirittura
eversivo, già dall'epoca della pubblicazione del Trattato teologico-politico,
se non prima.[10] Le prime reazioni suscitate dall'Etica negli anni
immediatamente successivi alla sua pubblicazione non invertirono la
tendenza: esse anzi andavano perlopiù nella direzione di accusare Spinoza
di essere un ateo. Soprattutto il contenuto della prima parte, con la
negazione di alcune proprietà fondamentali del Dio delle concezioni
tradizionali (come la provvidenza, la bontà, la libertà della volontà), era
alla base di queste accuse. Addirittura, l'importanza dell'influenza di
Cartesio su Spinoza e la ripresa da parte di Malebranche di alcune
categorie spinoziane fecero sì che questi due filosofi, insieme ad altri,
link=File:Spinoza's_seal_%22C
fossero associati a Spinoza stesso nell'accusa di ateismo. Leibniz studiò
approfonditamente Spinoza, dal quale tentò di distaccarsi pur adottando
alcuni punti di vista simili ai suoi, per esempio a proposito del determinismo.[117]

Negli ultimi decenni del XVII secolo l'Etica fu oggetto di numerosi testi mossi dall'esplicita volontà di
confutare le tesi di Spinoza, gli autori dei quali tuttavia, in alcuni casi, finivano per abbracciare alcuni punti
della metafisica spinoziana, non ultimo il necessitarismo. L'opera ebbe poi una certa fortuna negli ambienti
eterodossi legati al libertinismo, critici nei confronti delle concezioni provvidenzialiste di Dio e scettici
rispetto all'esistenza di valori morali assoluti. Una lettura aspramente critica dell'Etica fu quella esposta da
Pierre Bayle nella voce dedicata a Spinoza del suo Dizionario storico-critico (Dictionnaire historique et
critique), pubblicato nel 1697; questa, dove si sosteneva tra le altre cose che Spinoza aveva impiegato
arbitrariamente la parola «Dio» per riferirsi a un ente che aveva privato di tutte le caratteristiche di un Dio
legittimamente inteso, ebbe una grande fortuna, e determinò ad esempio la qualifica di ateo attribuita senza
esitazione a Spinoza da Voltaire nel Dizionario filosofico (Dictionnaire philosophique).[118]

Nel XVIII secolo si ebbero, sia in Francia sia in Germania, numerose prese
di posizione critiche o apologetiche nei confronti di Spinoza. In Italia un
giudizio antispinozista di parte cattolica fu espresso dall'ecclesiastico
letterato Giovanni Cristoforo Battelli nella sua «censura ecclesiastica» del
1707.[119] L'arcivescovo Battelli si riferiva a un testo del teologo
protestante Christian Kortholt che nel titolo De tribus impostoribus magnis
liber (1701) riprendeva quello del mitico De tribus impostoribus di
tradizione medioevale,[120] ma indicava come empi non più Gesù, Mosè e
Maometto, ma i tre filosofi moderni Edward Herbert di Cherbury, Thomas
Hobbes e Spinoza.

«Benedetto Spinoza [...] pubblicò molti perniciosissimi


libelli nei quali si manifesta più dannoso e più empio di
Herbert e di Hobbes. Fa infatti apertamente professione di
Copertina di un'opera di ateismo e lo insegna. Nega apertamente e irride
Spinoza con il suo ritratto e l'esistenza di Dio e la provvidenza. Nega l'esistenza degli
l'iscrizione in latino: angeli, del diavolo, del paradiso e dell'inferno [...] ritiene
«Benedictus de Spinoza, che tutto finisca con la stessa vita e che dopo di essa vi
iudaeus et atheista» sia il nulla. Con pari empietà nega la resurrezione e
ascensione al cielo di Cristo. Dice che i profeti [...]
scrissero una serie di assurdità [...] e che nelle Sacre
Scritture, giunte a noi non integralmente, vi siano molte
cose false, fantasiose e contraddittorie [...]; afferma che lo
spirito di Cristo sia presente anche presso i Turchi [...]
sostiene che al solo potere civile spetti stabilire ciò che è
giusto, ingiusto, pio o empio [...]»

(ACDF, Index, Protocolli, V3, cc. 507 r.-512 v.: 507 r. - v. [119])

Battelli concordava dunque con Kortholt nel ritenere il più empio (deterior et magis impius) dei tre proprio
Spinoza che assieme a Lucrezio, a Hobbes e ai libertini continuerà ad avere fama di assertore di tesi atee nel
Traité de trois imposteurs (altresì noto come La Vie et l'esprit de M. Benoit de Spinoza) di Jean Lucas,
pubblicato nel 1719.

L'Illuminismo francese, pur lontano da un interesse per la metafisica come Spinoza l'aveva intesa, si
riconobbe (con pensatori come La Mettrie, d'Holbach e Diderot) nelle sue teorie razionaliste e deterministe,
attribuendogli anche posizioni materialiste.[121] In Germania, in seguito alla ripresa di un testo anti-
spinoziano di Wolff da parte di Mendelssohn, che era incline a una certa apertura nei confronti delle tesi
dell'Etica, si aprì una controversia tra quest'ultimo e Jacobi sullo spinozismo di Lessing; questa determinò
una riapertura della discussione sullo spinozismo, sullo sfondo dell'Illuminismo e di un incipiente
Romanticismo, la quale a sua volta finì per interessare anche Herder e, in modo meno diretto, Goethe e
Kant.[122]

Sia Fichte sia Schelling, poco più tardi, ebbero Spinoza tra i loro punti di riferimento, pur modificando in
modo sostanziale alcuni contenuti della sua metafisica nell'adattarli alle proprie idee. Spinoza fu una figura
importante anche per Hegel; questi si schierò in sua difesa contro le accuse di ateismo che gli erano state
rivolte, affermando che egli, lungi dal negare Dio, aveva piuttosto sostenuto che esiste solo Dio, e aveva
dunque negato l'effettiva realtà del cosmo; il suo era dunque, per Hegel, non un ateismo ma un acosmismo,
in cui solo Dio (cioè la sostanza con i suoi attributi) ha una realtà affermativa e la natura (cioè l'insieme dei
modi, finiti e infiniti) è una determinazione, cioè negazione, di Dio, e non ha quindi un'esistenza
autonoma;[123] Hegel dunque, che pure considerò lo spinozismo il necessario esordio di ogni filosofia,
rimproverò a Spinoza il fatto di non aver trovato una dialettica capace di superare i due momenti
dell'affermazione e della negazione e di non aver saputo, quindi, garantire l'autonomia (e dinamicità) del
finito rispetto all'infinità (statica) della sostanza divina.[124][125] Hegel mise anche in luce un'affinità del
pensiero di Spinoza con le filosofie orientali (affinità già notata da Bayle e Malebranche e poi esplorata da
altri autori)[126] quanto all'«intuizione dell'identità assoluta», che sta alla base tanto del sistema spinoziano
(sotto forma del concetto di unità della sostanza opposto, ad esempio, al dualismo cartesiano) quanto delle
concezioni orientali.[127]

Il necessitarismo e immanentismo di Spinoza, interpretati come materialismo, portarono Feuerbach e poi


Engels a vedere in lui un precursore delle proprie tesi. L'Etica fu studiata e apprezzata anche da
Schopenhauer, mentre Nietzsche considerò alcuni dei punti della filosofia di Spinoza (la negazione del
libero arbitrio, del finalismo, dell'ordinamento assiologico della natura, del male e di ogni principio non
egoistico dell'azione umana) come altrettante acquisizioni di fondamentale importanza.[128]

Di là dalla metafisica e dell'anomala teologia di Spinoza, cioè di là dal primo libro dell'Etica, la teoria
spinoziana della conoscenza fu studiata e apprezzata dagli empiristi del Settecento, e in particolare da
Locke e Hume; quest'ultimo riprese inoltre la teoria di Spinoza sul ruolo delle passioni nel motivare gli
uomini ad agire secondo quanto la ragione determina come utile e anche la sua teoria dell'imitazione degli
affetti, che spiega l'empatia sulla quale, secondo Hume, riposa il senso morale.[129] Alcune categorie
spinoziane per la spiegazione del rapporto tra eventi fisici ed eventi mentali furono poi riattualizzate, tra la
fine del XIX e l'inizio del XX secolo, da Mach e, quindi, da James e Russell.[130]

Tra l'Ottocento e il Novecento, anche per via della riedizione delle opere di Spinoza (e addirittura della
riscoperta di una di esse, il Breve trattato, nel 1851), si ebbe una proliferazione degli studi spinoziani in
generale e sull'Etica in particolare.[131] Rilevante, nel XX secolo, fu l'influenza della filosofia di Spinoza su
Giovanni Gentile, che curò un'importante edizione italiana dell'Etica pubblicata nel 1915,[132][133] e su Piero
Martinetti, che ebbe Spinoza tra i punti di riferimento che lo portarono a sviluppare il suo «spiritualismo
metafisico di stampo razionalistico».[134] Degno di nota è il commento con cui Giorgio Colli introdusse
l'edizione italiana del 1959:

«L'Etica richiede lettori non pigri, discretamente dotati e soprattutto che abbiano molto
tempo a loro disposizione. Se le si concede tutto questo, in cambio offre molto di più di
quello che ci si può ragionevolmente attendere da un libro: svela l'enigma di questa
nostra vita, e indica la via della felicità, due doni che nessuno può disprezzare.[135]»

Note
1. ^ A cura di Carlo Sarchi, Milano, Bertolotti e C., 1880. Cfr. Baruch Spinoza, Etica dimostrata
secondo l'ordine geometrico, a cura di Giovanni Gentile, Gaetano Durante, Giorgio Radetti,
Milano, Bompiani, 2013, p. XXVII, ISBN 978-88-452-5898-5.
2. ^ Gentile, Durante, Radetti, p. XXVII.
3. ^ Baruch Spinoza, Etica dimostrata con metodo geometrico, a cura di Emilia Giancotti,
Milano, PGreco, 2010, p. 350, ISBN 978-88-95563-20-6.
4. ^ Etica (Ethica), in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. URL
consultato l'11 dicembre 2013.
5. Emanuela Scribano, Guida alla lettura dell'"Etica" di Spinoza, Roma-Bari, Laterza, 2008,
pp. 3-4, ISBN 978-88-420-8732-8.
6. ^ Scribano, p. 4.
7. ^ Scribano, pp. 3-5, 9.
8. ^ Steven Nadler, Baruch Spinoza e l'Olanda del Seicento, Torino, Einaudi, 2002, p. 249,
ISBN 978-88-06-19938-8.
9. ^ Nadler, p. 298.
10. Scribano, p. 5.
11. Nadler, p. 250.
12. ^ Nadler, pp. 296-298.
13. ^ Nadler, pp. 324 e segg.
14. ^ Nadler, p. 385n.
15. ^ Gentile, Durante, Radetti, p. XXV.
16. ^ Nadler, p. 251.
17. Scribano, p. 143.
18. ^ Citato in Filippo Mignini, Un «segno di contraddizione», in Baruch Spinoza, Opere, Milano,
Mondadori, 2007, p. XI, ISBN 978-88-04-51825-9.
19. ^ Scribano, pp. 7-8.
20. Scribano, p. 8.
21. ^ Nadler, p. 251 rimanda a (EN) Piet Steenbakkers, Spinoza's Ethica from Manuscript to
Print, Assen, Van Gorcum, 1994, cap. 5.
22. ^ Nadler, p. 251 rimanda a (EN) Harry Wolfson, The Philosophy of Spinoza, Cambridge
(MA), Harvard University Press, 1934, cap. 2.
23. ^ Scribano, p. 14.
24. ^ Gentile, Durante, Radetti, p. 656.
25. ^ Scribano, pp. 9, 91.
26. Giancotti.
27. ^ Nelle indicazioni relative alle citazioni tra virgolette dell'Etica il numero romano dopo "E"
indica la parte; "d" indica una definizione o una dimostrazione, "a" un assioma, "p" una
proposizione, "c" un corollario, "s" uno scolio: per esempio, "E I, p33s2" indica il secondo
scolio della trentatreesima proposizione della prima parte; "E I, p16d" indica la
dimostrazione della sedicesima proposizione della prima parte; "E II, d2" indica la seconda
definizione della seconda parte.
28. ^ Giancotti, p. 321.
29. ^ Scribano, p. 13.
30. ^ Scribano, pp. 12-13.
31. ^ Scribano, p. 15.
32. ^ Scribano, pp. 16-17.
33. ^ Scribano, p. 17.
34. ^ Scribano, pp. 17-18.
35. ^ Scribano, p. 18.
36. ^ Scribano, pp. 18-19.
37. ^ Scribano, p. 27.
38. ^ Scribano, pp. 20-26.
39. ^ Scribano, pp. 27-31.
40. ^ Scribano, pp. 31-32.
41. ^ Scribano, p. 33.
42. ^ Scribano, p. 35.
43. Amedeo Vigorelli, Baruch Spinoza, in Diálogos, a cura di F. Cioffi, F. Gallo, G. Luppi, A.
Vigorelli, E. Zanette, II – La filosofia moderna, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2000,
p. 153, ISBN 88-424-5264-5.
44. ^ Giancotti, p. 326.
45. ^ Scribano, p. 39.
46. Scribano, p. 46.
47. Scribano, p. 40.
48. ^ Scribano, pp. 4-5.
49. ^ Scribano, p. 41.
50. ^ Vigorelli, p. 153.
51. ^ Scribano, p. 42.
52. Scribano, p. 43.
53. ^ Scribano, p. 45.
54. ^ Scribano, pp. 47-49.
55. ^ Scribano, p. 49.
56. ^ Nadler, pp. 172, 329.
57. Scribano, pp. 50-51.
58. ^ Scribano, p. 58.
59. ^ Scribano, pp. 51-53.
60. ^ Scribano, p. 56.
61. ^ Scribano, p. 57.
62. ^ Scribano, pp. 59-60, 62.
63. ^ Scribano, pp. 61-63.
64. ^ Scribano, p. 63.
65. ^ Scribano, pp. 68-69.
66. ^ Scribano, p. 66.
67. ^ Scribano, p. 67.
68. ^ Scribano, pp. 66-68, 79.
69. ^ Scribano, pp. 73-74.
70. ^ Scribano, pp. 75-76.
71. ^ Scribano, pp. 80-82.
72. ^ Scribano, pp. 80-81.
73. ^ Scribano, p. 83.
74. ^ Scribano, p. 93.
75. ^ Scribano, p. 86.
76. ^ Scribano, pp. 84-85.
77. ^ Scribano, p. 88.
78. ^ Scribano, pp. 85-86.
79. ^ Scribano, pp. 89-90.
80. ^ Scribano, pp. 91-92.
81. ^ Scribano, pp. 92-93.
82. ^ Scribano, p. 94.
83. Scribano, p. 95.
84. ^ Scribano, p. 96.
85. ^ Scribano, pp. 98-100.
86. ^ Scribano, pp. 100-101.
87. ^ Scribano, pp. 101-103.
88. ^ Scribano, p. 105.
89. ^ Scribano, p. 109.
90. ^ Scribano, pp. 109-110.
91. ^ Scribano, pp. 111-112.
92. ^ Scribano, p. 113.
93. ^ Scribano, pp. 114-115.
94. ^ Scribano, pp. 122-123.
95. ^ Scribano, p. 120.
96. ^ Scribano, pp. 117, 130.
97. ^ Scribano, pp. 117-119.
98. ^ Scribano, p. 119.
99. ^ Scribano, pp. 120, 133-134.
100. ^ Scribano, pp. 127-129.
101. ^ Scribano, pp. 138-142.
102. ^ Scribano, p. 132.
103. ^ Scribano, pp. 133-134.
104. ^ Scribano, p. 135.
105. ^ Scribano, pp. 136-138.
106. ^ Scribano, pp. 142-146.
107. ^ Scribano, pp. 146-148.
108. Scribano, pp. 148-150.
109. Scribano, pp. 152-156.
110. ^ Scribano, pp. 153-154.
111. ^ Scribano, p. 155.
112. ^ Scribano, pp. 156-157.
113. ^ Scribano, p. 158.
114. ^ Scribano, pp. 158-159.
115. ^ Scribano, pp. 159-160.
116. ^ Scribano, p. 162.
117. ^ Scribano, pp. 164-166.
118. ^ Scribano, pp. 166-168.
119. L'aetas galileiana in ‘sapienza’ (PDF), in Atti del convegno "Galileo e l'acqua: guardare il
Cielo per capire la terra", Roma 17-18 dicembre 2009, a cura di Candida Carella, Perugia,
2010, pp. 47-81, in part. pp. 53-54. URL consultato il 25 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 2
dicembre 2013).
120. ^ Christian Kortholt, De tribus impostoribus magnis liber, J. Reumannus, 1680. URL consultato
il 25 novembre 2013.
121. ^ Marco Ravera, Invito al pensiero di Spinoza, Milano, Mursia, 1987, pp. 201-202.
122. ^ Scribano, pp. 169-172.
123. ^ (EN) Raymond Keith Williamson, Hegel's Philosophy of Religion, Albany, State University
of New York Press, 1984, pp. 237 e segg, ISBN 0-87395-827-6. URL consultato il 22 ottobre 2013.
124. ^ Scribano, pp. 172-173.
125. ^ Ravera, p. 205.
126. ^ (EN) Yuen Ting Lai, The Linking of Spinoza to Chinese Thought by Bayle and
Malebranche, in Journal of the History of Philosophy, vol. 23, n. 2, aprile 1985, pp. 151-178.
URL consultato il 27 ottobre 2013.
127. ^ G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di E. Codignola, G. Sanna, Firenze,
1981, vol. III, t. II, p. 104. Citato in Patrizia Pozzi, Visione e parola: un'interpretazione del
concetto spinoziano di "scientia intuitiva". Tra finito e infinito, Milano, FrancoAngeli, 2012,
p. 133, ISBN 978-88-204-0566-3.
128. ^ Scribano, pp. 173-174.
129. ^ Scribano, pp. 174-175.
130. ^ Scribano, p. 176.
131. ^ Ravera, pp. 205-210.
132. ^ Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una biografia, Firenze, Giunti, 1995, p. 137, ISBN 88-09-
20755-6. URL consultato il 31 ottobre 2013.
133. ^ Alessandro Savorelli, Gentile e la storia della filosofia moderna, in Giovanni Gentile: la
filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, a cura di Piero Di Giovanni, Milano,
FrancoAngeli, 2003, p. 42, ISBN 88-464-5101-5. URL consultato il 31 ottobre 2013.
134. ^ Giovanni Fornero, Salvatore Tassinari, Le filosofie del Novecento, Bruno Mondadori, 2002,
pp. 245-246. URL consultato il 31 ottobre 2013.
135. ^ Giorgio Colli, Presentazione, in Baruch Spinoza, Etica, Torino, Bollati Boringhieri, 1992
[1959], p. VII, ISBN 88-339-1725-8.

Bibliografia
Filippo Mignini, L'"Etica" di Spinoza. Introduzione alla lettura, Roma, Carocci, 2008,
ISBN 978-88-430-2350-9.
Steven Nadler, Baruch Spinoza e l'Olanda del Seicento, Torino, Einaudi, 2002, ISBN 978-
88-06-19938-8.
Marco Ravera, Invito al pensiero di Spinoza, Milano, Mursia, 1987.
Emanuela Scribano, Guida alla lettura dell'"Etica" di Spinoza, Roma-Bari, Laterza, 2008,
ISBN 978-88-420-8732-8.
Baruch Spinoza, Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico, a cura di Giovanni Gentile,
Gaetano Durante, Giorgio Radetti, Milano, Bompiani, 2013, ISBN 978-88-452-5898-5.
Baruch Spinoza, Etica dimostrata con metodo geometrico, a cura di Emilia Giancotti, Milano,
PGreco, 2010, ISBN 978-88-95563-20-6.
Amedeo Vigorelli, Baruch Spinoza, in Diálogos, a cura di F. Cioffi, F. Gallo, G. Luppi, A.
Vigorelli, E. Zanette, II – La filosofia moderna, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2000,
ISBN 88-424-5264-5.

Altri progetti
Wikisource contiene il testo completo in lingua originale dell'Etica
Wikiquote contiene citazioni riguardanti l'Etica
Wikimedia Commons (https://commons.wikimedia.org/wiki/?uselang=it) contiene
immagini o altri file sull'Etica (https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Spinoza,_E
thica?uselang=it)

Collegamenti esterni
EthicaDB (https://web.archive.org/web/20120111192543/http://www.ethicadb.org/index.ph
p?lanid=4&lg=it), edizione multilingue dell'Etica di Spinoza.
SpinozaBase (http://baptiste.meles.free.fr/spinozabase/index.html), l'Etica in forma di
ipertesto, con informazioni sulla struttura argomentativa e statistiche.
Spinoza's Ethics 2.0 (http://ethics.spinozism.org/), ricostruzione schematica, in forma grafica,
dell'Etica.
Etica (Ethica), in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
(EN) Blake D. Dutton, Spinoza, Benedict De, su Internet Encyclopedia of Philosophy, 2004-
2005.
(EN) Steven Nadler, Baruch Spinoza, su Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2001-2016.
VIAF (EN ) 301181389 (https://viaf.org/viaf/301181389) · BNF (FR ) cb11968459s (htt
Controllo di
ps://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb11968459s) (data) (https://data.bnf.fr/ark:/12148/
autorità
cb11968459s)

Estratto da "https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Ethica&oldid=122468737"

Questa pagina è stata modificata per l'ultima volta il 15 ago 2021 alle 07:37.

Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono
applicarsi condizioni ulteriori. Vedi le condizioni d'uso per i dettagli.

Potrebbero piacerti anche

  • Marcello Marchesi
    Marcello Marchesi
    Documento31 pagine
    Marcello Marchesi
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Sca Cchi
    Sca Cchi
    Documento36 pagine
    Sca Cchi
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Metafisica
    Metafisica
    Documento17 pagine
    Metafisica
    alimortaccitua
    100% (1)
  • Baruch Spinoza
    Baruch Spinoza
    Documento28 pagine
    Baruch Spinoza
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Sca Cchi
    Sca Cchi
    Documento36 pagine
    Sca Cchi
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Ethica
    Ethica
    Documento27 pagine
    Ethica
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Marcello Marchesi
    Marcello Marchesi
    Documento31 pagine
    Marcello Marchesi
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Regole
    Regole
    Documento1 pagina
    Regole
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Document 1
    Document 1
    Documento1 pagina
    Document 1
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Baruch Spinoza
    Baruch Spinoza
    Documento28 pagine
    Baruch Spinoza
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Forse Si
    Forse Si
    Documento1 pagina
    Forse Si
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Forse Domani
    Forse Domani
    Documento1 pagina
    Forse Domani
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Metafisica
    Metafisica
    Documento17 pagine
    Metafisica
    alimortaccitua
    100% (1)
  • Forse No
    Forse No
    Documento1 pagina
    Forse No
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Cose
    Cose
    Documento1 pagina
    Cose
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Altre Cose
    Altre Cose
    Documento1 pagina
    Altre Cose
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Sto Finendo Le Idee
    Sto Finendo Le Idee
    Documento1 pagina
    Sto Finendo Le Idee
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Abilita
    Abilita
    Documento1 pagina
    Abilita
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Intro
    Intro
    Documento1 pagina
    Intro
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • HTV - Stunts
    HTV - Stunts
    Documento6 pagine
    HTV - Stunts
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • WINTER GHOSTS - Rebalanced PDF
    WINTER GHOSTS - Rebalanced PDF
    Documento29 pagine
    WINTER GHOSTS - Rebalanced PDF
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • SCZ RPG
    SCZ RPG
    Documento4 pagine
    SCZ RPG
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • RPG Helper
    RPG Helper
    Documento12 pagine
    RPG Helper
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Julia - Peter Straub
    Julia - Peter Straub
    Documento189 pagine
    Julia - Peter Straub
    pizzabella
    Nessuna valutazione finora
  • Ass Elenco
    Ass Elenco
    Documento1 pagina
    Ass Elenco
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • East Kentucky Blues Rules - 2d10
    East Kentucky Blues Rules - 2d10
    Documento8 pagine
    East Kentucky Blues Rules - 2d10
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • 2001 Bolaffi Kelsen
    2001 Bolaffi Kelsen
    Documento40 pagine
    2001 Bolaffi Kelsen
    alimortaccitua
    Nessuna valutazione finora
  • Inglese Grammatica
    Inglese Grammatica
    Documento2 pagine
    Inglese Grammatica
    Decay Team
    Nessuna valutazione finora
  • TTC Set 2014 Extr
    TTC Set 2014 Extr
    Documento38 pagine
    TTC Set 2014 Extr
    franco
    Nessuna valutazione finora
  • Appunti Su Protagora Ultimo
    Appunti Su Protagora Ultimo
    Documento1 pagina
    Appunti Su Protagora Ultimo
    Francesco Piovan
    Nessuna valutazione finora
  • Pilotaggio Della Realtà e Sviluppo Armonico PDF
    Pilotaggio Della Realtà e Sviluppo Armonico PDF
    Documento54 pagine
    Pilotaggio Della Realtà e Sviluppo Armonico PDF
    Andrea Perrone
    Nessuna valutazione finora
  • Cammino Psico-Spirituale
    Cammino Psico-Spirituale
    Documento26 pagine
    Cammino Psico-Spirituale
    Pasricca63gmail.com Ricca
    Nessuna valutazione finora
  • Antichi Proverbi Cinesi
    Antichi Proverbi Cinesi
    Documento13 pagine
    Antichi Proverbi Cinesi
    Federico Zorzi
    Nessuna valutazione finora
  • La Dottrina Delle Idee
    La Dottrina Delle Idee
    Documento5 pagine
    La Dottrina Delle Idee
    Bris3iDe
    100% (2)
  • Bonino Indice
    Bonino Indice
    Documento2 pagine
    Bonino Indice
    AlexVillasBoas
    Nessuna valutazione finora
  • Codice Etico - Pan American Packaging
    Codice Etico - Pan American Packaging
    Documento1 pagina
    Codice Etico - Pan American Packaging
    kikko gare
    Nessuna valutazione finora
  • IL TRENO HA FISCHIATO Analisi Del Testo
    IL TRENO HA FISCHIATO Analisi Del Testo
    Documento2 pagine
    IL TRENO HA FISCHIATO Analisi Del Testo
    Vincenzo Donato
    Nessuna valutazione finora
  • Risposta A Kyo
    Risposta A Kyo
    Documento2 pagine
    Risposta A Kyo
    Giuseppe Pecce
    Nessuna valutazione finora