Sei sulla pagina 1di 22

1.

FREGE
Gottlob Frege (1848-1925) fu un logico interessato alla questione dei fondamenti della matematica.
Egli anticipò anche temi e problemi che sarebbero stati centrali negli sviluppi successivi della
filosofia del linguaggio.

1.1. Teoria del significato


Non è possibile ridurre il significato al riferimento / denotazione (entità a cui l’espressione linguistica
si riferisce  teoria denotazionistica del significato). Frege nel 1892 (in über sinn und bedeutung)
segnalò questa irriducibilità affermando che esistono 2 dimensioni della significazione:

1) Dimensione del riferirsi a  riferimento/denotazione: l’oggetto a cui la nostra espressione si


riferisce.

2) Dimensione del senso: il modo in cui ci viene dato l’oggetto  noi abbiamo vari modi di
descrivere un certo oggetto o un certo individuo, e ne scegliamo uno o un altro.

Tavola sinottica

Espressioni DENOTAZIONE SENSO

TERMINE SINGOLARE Oggetto / Individuo Modo di presentazione (modo


(Nome proprio) in cui l’oggetto ci viene dato)
PREDICATO Concetto Modo di presentazione
(Termine generale)
ENUNCIATO Valore di verità (V o F) Gedanke
(pensiero/proposizione)

Termine Singolare (Nome proprio)


Frege usa il termine nomi propri per parlare indifferentemente sia di ciò che noi di solito chiamiamo
così, sia delle descrizioni definite. Per Frege anche le entità astratte (numeri, classi, concetti) sono
oggetti.

1) L’autore di Capitani coraggiosi


Ciò viene chiamata descrizione definita. Il termine identifica un individuo descrivendolo in un certo
modo. L’individuo in questione è Rudyard Kipling.

La denotazione di 1) è Rudyard Kipling; il senso di 1) è il modo in cui la frase ci presenta Rudyard


Kipling
2) Il vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1907
Anche in questo caso, 2) è una descrizione di Rudyard Kipling. Perciò 1) e 2) hanno la stessa
denotazione. Però hanno sensi differenti in quanto Rudyard Kipling ci viene presentato in modo
diverso  Concetto multi-uno: ci sono diversi modi per denotare un oggetto.

Predicato
I predicati attribuiscono una particolarità ad un determinato oggetto.
3) Essere una capitale europea

La denotazione di 3) è un concetto (essere una capitale europea). Frege non parla del senso del
predicato, ma gli interpreti di Frege l’hanno inteso in modo analogo al senso del termine singolare.

Enunciato
Si possono attribuire una denotazione e un senso anche agli enunciati.

4) L’autore di Capitani coraggiosi era astemio


5) Il vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1907 era astemio
Innanzitutto occorre dire che la denotazione di un enunciato è il suo valore di verità (il Vero se
l’enunciato è vero, il Falso se l’enunciato è falso). Il senso è il Gedanke (pensiero o proposizione)
che esso esprime.  Il pensiero è il modo di presentazione del Vero o del Falso.
Frege quando parla di pensiero non intende riferirsi al pensare come processo mentale, né alle
rappresentazioni (immagini, sensazioni ecc.). Per Frege i pensieri sono oggettivi perché tutti
condividiamo pensieri comuni (i sensi)  Ad esempio la conoscenza del Teorema di Pitagora: “il
quadrato costruito sull’ipotenusa del triangolo rettangolo è equivalente alla somma dei quadrati
costruiti sui cateti”  questa è una Verità.
Dunque ciascuno dei 2 enunciati (4) e 5)) è Vero se l’individuo denotato era astemio, ed è Falso se
l’individuo non era astemio. Noi sappiamo che la descrizione definita in 4) e 5) denotato lo stesso
individuo, Rudyard Kipling e ne concludiamo che 4) e 5) sono entrambi Veri se Kipling era astemio,
o entrambi Falsi se non era astemio.

Tuttavia, possono esserci persone che non sanno che l’autore di Capitani coraggiosi e il vincitore del
premio Nobel per la letteratura nel 1907 siano la stessa persona. Dunque una persona potrebbe
benissimo conoscere il valore di verità di 4) e ignorare quello di 5) o viceversa. In poche parole, 4) e
5) esprimono diversi pensieri.

A=A
A=B
Qual è la differenza tra i seguenti enunciati?
6) La stella della sera è uguale alla stella della sera.  principio aristotelico di identità: ogni
cosa è uguale a sé stessa
7) La stella del mattino è uguale alla stella della sera.  estensione della nostra conoscenza.

La differenza è una differenza conoscitiva. Mentre l’enunciato 6) non ci dice alcunché, l’enunciato
7) ci dice una cosa importante: i due oggetti (stella del mattino e stella della sera) sono lo stesso ed
identico oggetto. Gli enunciati 6 e 7 però esprimono sensi diversi: sono due modi diversi di riferirsi
allo stesso oggetto.

Principio di composizionalità
Il significato di un enunciato è dato dalla somma dei significati dei vari componenti.
8) La neve è bianca.

Il significato della funzione è il significato del termine neve e il termine bianco.

Principio di sostitutività salvaveritate


9) La stella del mattino è un corpo illuminato dal sole
10) La stella della sera è un corpo illuminato dal sole
L’enunciato 9) è Vero. Se sostituiamo stella del mattino con stella della sera (espressioni co-
denotative – 9)  10)) l’enunciato sarà sempre Vero. Questi due enunciati hanno la stessa
denotazione ma il senso è diverso. Dunque due enunciati possono essere intercambiabili a condizione
che abbiano la stessa denotazione, dunque lo stesso valore di verità.

Teoria verofunzionale
L’idea secondo la quale la verità di un enunciato corrisponde al valore di verità dei suoi enunciati
componenti.

11) Il sole è nel cielo e sta piovendo


C’è la congiunzione e che unisce i due enunciati. È Vero un enunciato del genere a condizione che
entrambi gli enunciati siano Veri.

1.2. 4 PROBLEMATICHE

1) Termini privi di denotazione:


12) Il numero primo più grande di tutti
13) Ulisse sbarcò a Itaca mentre era addormentato
14) L’attuale re di Francia è calvo
Considerando l’enunciato 13), dal momento che il nome Ulisse non ha nessuna denotazione (non
esiste Ulisse) ne consegue che tutto l’enunciato è privo di denotazione.  l’enunciato non è né Vero
né Falso. Considerando l’enunciato 14), siccome non esiste un attuale re di Francia, e quindi dal
punto di vista di Frege non può avere una denotazione, Frege ci dice che tale enunciato non è né Vero
né Falso.

2) Presupposizione: gli enunciati che contengono descrizioni definite presuppongono gli enunciati
che asseriscono l’esistenza dell’oggetto di cui si parla. Le presupposizioni si mantengono anche se
gli enunciati che contengono le descrizioni definite siano Veri o Falsi.
15) Il gatto di Francesca è nero
16) Il gatto di Francesca non è nero

Gli enunciati 15) e 16) presuppongono entrambi che esista il gatto di Francesca.

3) Contesti obliqui: sono gli enunciati contenenti X crede che… X spera che… Tali enunciati sono
chiamati asserzioni di atteggiamento proposizionale: atteggiamento psicologico che qualunque
persona può avere nei confronti di uno stato di cose possibili. Queste espressioni di atteggiamento
proposizionale riguardano gli enunciati di contenuto (ciò che viene dopo crede che, spera che),
non è importante il valore di verità ma importa ciò che si crede, il pensiero. L’espressione
intenzionale intende tutti quei riferimenti che con il nostro pensiero facciamo ad oggetti o eventi o
stati di cose.

17) Copernico credeva che le orbite dei pianeti sono circolari


Applicando il principio di sostitutività, questo cade:

18) Copernico credeva che la luna è fatta di cioccolato


19) Copernico credeva che la terra gira intorno al sole
Se mettiamo un enunciato Falso al posto di quello Falso di partenza, è Falso (principio di sostitutività
salvaveritate). Con 18), però, attribuiamo a Copernico una credenza che lui non aveva! Questi sono
chiamati contesti obliqui / indiretti. Questi contesti sono intensionali, non conta la denotazione
(estensione, valore di verità), ma il senso (intensione, pensiero).
Dunque, per Frege l’enunciato subordinato (retto dal verbo credere) le orbite dei pianeti sono
circolari non ha più la denotazione che ha nel valore di verità, ma una denotazione indiretta, ovvero
denota un pensiero, una proposizione, che per lui è un fatto extra-linguistico, va al di là del linguaggio.

20) X crede che la stella del mattino sia un corpo illuminato dal sole  Credenza Vera.
Supponiamo che X non sappia che la stella della sera sia un corpo illuminato dal sole. Se l’individuo
ha questa credenza relativamente solo alla stella del mattino, ma non alla stella della sera è differente,
e non può credere ad entrambi gli enunciati.  assume degli atteggiamenti proposizionali differenti.

Frege distingue 3 regni ontologici (ciò che esiste):


1) Fisico: i corpi, gli alberi, il mare ecc.
2) Mentale: i nostri pensieri individuali, le nostre rappresentazioni psicologiche.
3) Terzo regno: entità che non sono né fisiche, né mentali: qui ci sono i pensieri, le proposizioni.
Secondo Frege i pensieri sono comuni a tutti, sono oggettivi (ad esempio i numeri 2, 4 ecc).

4) Senso, forza e tono


- Forza: non tutti gli enunciati hanno lo stesso valore dal punto di vista semantico. Un conto è se si
fa una domanda, un altro l’affermazione.
21) Sta piovendo (forza assertiva)
22) Ma sta piovendo? (forza interrogativa)
23) Per cortesia, chiuda la porta (forza esortativa)
24) Chiuda la porta! (forza ordinativa)
2. BERTRAND RUSSELL
Bertrand Russell (1872-1970) ci diceva che in realtà se diciamo la frase 13) Ulisse sbarcò a Itaca
mentre era addormentato e la frase 14) L’attuale re di Francia è calvo non è tanto scontato che
l’enunciato è privo di denotazione.
Nel suo articolo On Denoting distingue tra forma grammaticale e forma logica di un enunciato.

- forma grammaticale: la grammatica di superficie dei nostri enunciati, quella con cui normalmente
ci esprimiamo.
- forma logica: la grammatica profonda di ciò che stiamo dicendo: equivale a trovare una parafrasi
per capire cosa è implicato, se davvero un valore di enunciato è privo di denotazione.

Teoria delle descrizioni


Russell sostiene che Frege non ha capito che le descrizioni definite sono “simboli incompleti”, cioè
sono unità grammaticali alle quali non corrispondono unità logiche. Dunque per valutare
correttamente un enunciato non bisogna chiedersi che cosa la descrizione definita denoti, ma bisogna
esplicitare la forma logica dell’enunciato attraverso una parafrasi. Ad esempio dalla frase:

25) L’attuale re di Francia è calvo


A) Esiste almeno qualcuno che attualmente è il re di Francia
B) Esiste al massimo un individuo che è l’attuale re di Francia
C) Quest’individuo è calvo
Tali enunciati mostrano l’esistenza di un individuo avente 3 proprietà. La prima è che esiste almeno
qualcuno che regna attualmente in Francia. Dato che in Francia non regna nessuno, l’enunciato è
Falso.
3. WITTGENSTEIN
Nella sua opera Tractatus logico-philosophicus è influenzato da Frege e Russell. Secondo
Wittgenstein (1889-1951) gli enunciati descrivono ciò che accade nel mondo.
Le proposizioni possono essere divise in 2 classi:

1) Proposizioni elementari: sono immagini di stati di cose: Wittgenstein intende fornire la chiave
per capire come il linguaggio possa descrivere il mondo.
- stato di cose: per Wittgenstein, gli stati di cose possono sussistere, (diventano un fatto) e dunque
essere Veri, oppure non sussistere (restano stati di cose possibili), dunque essere Falsi.

- immagine: è un fatto  uno stato di cose che sussiste.


2) Proposizioni complesse: sono funzioni di verità delle proposizioni elementari in esse contenute.
Dunque per conoscere il valore di verità di una proposizione complessa, dobbiamo conoscere i valori
di verità delle proposizioni elementari in essa contenute, dunque banalmente conoscere se gli stati di
cose sussistono o non sussistono. Per Wittgenstein il senso di un enunciato è la sua capacità di
esprimere le condizioni in base alle quali un enunciato sarebbe vero. Per Wittgenstein comprendere
un enunciato vuol dire sapere cosa accade se è vero  valore di verità attraverso verificazione
empirica.
26) Maria non fuma
27) Maria fuma oppure Paolo beve
Per conoscere il valore di verità della proposizione 26), ci basta conoscere il valore di verità di “Maria
fuma”: se quest’ultima è una proposizione Vera, la proposizione 26) è Falsa. Per conoscere il valore
di verità della proposizione 27), dobbiamo conoscere i valori di verità di “Maria fuma” e di “Paolo
beve”: se almeno una di queste due proposizioni è Vera, la proposizione 27) è Vera, se invece sono
entrambe False anche la proposizione 27) è Falsa.
In poche parole, ritroviamo l’idea di Frege della teoria verofunzionale.

Affinché un fatto X raffiguri uno stato di cose Y, devono essere soddisfatte 2 condizioni:
1) corrispondenza biunivoca tra gli oggetti di X e gli oggetti di Y (ad ogni oggetto di X corrisponde
uno ed uno solo oggetto di Y, e viceversa).

2) il modo di correlazione degli oggetti di X deve rispecchiare gli oggetti di Y.

Teoria dell’Atomismo logico


Riguarda l’interpretazione della realtà come costituita da fatti elementari; ad esempio, A è rosso, B è
caldo, C è freddo ecc. Tutti questi fatti vengono connessi insieme dai nostri enunciati (enunciati
molecolari) e per essere veri devono essere veri tutti gli enunciati componenti.
Le proposizioni o gli enunciati secondo Wittgenstein:
28) Maria fuma e Maria non fuma: contraddizioni  è un enunciato di falsità logica
29) Maria fuma oppure non fuma: tautologie  è un enunciato di verità logica: è vero
qualunque cosa accada.
30) Se piove si abbassa la temperatura  è un enunciato contingente: la verità dipende da
come stanno le cose nel mondo: a volte è vero, a volte è falso.
Contraddizioni e tautologie sono “prive di senso”: non sono utili alla descrizione di ciò che accade
nel mondo.

Il verificazionismo neopositivistico
Secondo il principio di verificazione, “il significato di una proposizione, è il metodo della sua
verificazione”. La verificazione era concepita in senso empirico: il valore di verità poteva essere
stabilito in base all’esperienza. In poche parole per Wittgenstein comprendere un enunciato vuol dire
sapere cosa accade se è vero.
Però se consideriamo
31) La Luna ha un diametro di più di 3.000 km.”
Come può essere verificato questo enunciato? In base al principio di verificazione diremmo che
questo enunciato è privo di significato. Però non siamo costretti a dirlo se ragioniamo in termini di
condizioni di verità: una persona, anche se non può accertare in pratica se l’enunciato è Vero o Falso,
sa come devono stare le cose affinché sia Vero.
In poche parole, si possono conoscere le condizioni di verità di un enunciato anche senza possedere
il metodo della sua verificazione. Il principio di verificazione cominciò ben presto a mostrare i suoi
difetti, soprattutto nel rendere il significato delle proposizioni scientifiche.

3.1. Enunciati analitici ed enunciati sintetici


Kant fece la differenza tra enunciati analitici ed enunciati sintetici. Per Kant:
- un enunciato è analitico quando è a priori  quando noi possiamo stabilire se è Vero o Falso
indipendentemente dalla esperienza che possiamo avere;

- un enunciato è sintetico quando è a posteriori  tiene conto dell’esperienza.


32) Tutti i corpi sono estesi

L’enunciato 32 è Vero a priori, dunque analitico. L’estensione è una caratteristica del corpo.
Per Wittgenstein come abbiamo visto, il valore di verità era stabilito esclusivamente dall’esperienza.

3.2. Il Secondo Wittgenstein


Il 2° Wittgenstein mette in discussione il 1° Wittgenstein (del Tractatus): la visione del Tractatus era
una visione limitativa del linguaggio, perché il linguaggio aveva una funzione soprattutto
descrittivista. Il 2° Wittgenstein insiste invece sull’approccio comunicativo del linguaggio.
La sua visione cambia con Le ricerche filosofiche (libro postumo del 1953) e i Blue and Brown
books (postumo del 1958). Qui Wittgenstein si concentra sulla varietà dell’uso delle parole.

33) Toccare con la mano  azione del toccare.


34) Toccare con mano  accertarsi di un fatto.
I significati di toccare negli enunciati 33) e 34) sono diversi.

Se si vuol capire come funzionano gli enunciati, si deve fare attenzione a come si impiegano.
Wittgenstein utilizza 3 formule:

1) Parla delle regole che sono alla base del linguaggio.


2) Parla delle forme di vita: per Wittgenstein i linguaggi sono inseriti all’interno di forme di vita, e
per capire il significato di alcune parole, occorre capire il loro ruolo e regole all’interno della forma
di vita a cui appartengono. - forma di vita: insieme di comportamenti regolati da norme.  esempio
di vita dei monaci, esempio di vita dei militari, esempio di vita della comunità accademica
universitaria.
3) Parla dei giochi linguistici: il linguaggio è definito come un complesso di giochi linguistici: come
i giochi sono vari, allo stesso modo gli usi del linguaggio sono vari. Ogni domanda prevede una
risposta. Un controllore di un autobus chiede il biglietto ad un fruitore del servizio.

35) Quando sto in automobile e il semaforo che incontro all’incrocio è rosso, bisogna fermarsi

3.3. Passaggio dalla filosofia del linguaggio alla filosofia dell’azione (Action Theory)
La Teoria dell’Azione è stata discussa inizialmente da Wittgenstein nelle Ricerche Filosofiche e nei
Quaderni Blu e Marroni e da Ryle in The concept of mind. Le origini dell’action theory vanno
ricercate innanzitutto nella filosofia della mente. Per Wittgenstein gli stati mentali quali desiderio,
intenzione non esistono (anti-mentalismo in Wittgenstein). Gli stati mentali (desiderio, intenzione)
sono termini linguistici che usiamo per descrivere il comportamento umano. Inoltre per Wittgenstein
le ragioni e i motivi delle nostre azioni non sono atti o entità che causano le nostre azioni.

Un individuo può seguire o violare una regola solo in quanto membro di una comunità.
36) Alzare la mano

L’enunciato 36) acquisisce un significato particolare in base al contesto. Potrebbe voler dire salutare
qualcuno, oppure chiedere la parola. L’analisi linguistica permette di svelare i meccanismi che sono
nelle nostre azioni. Per Wittgenstein la teoria dell’azione si spiega attraverso il contesto. Si parla
appunto di Contestualismo. Un limite del contestualismo consiste nella comprensione del
contesto socio-culturale in cui l’azione è situata e dove tale azione ha un determinato significato.
Inoltre trascura la dimensione soggettiva dietro ad un’azione, come si arriva dietro ad una scelta, non
valuta quelle che possono essere le preferenze e le credenze delle persone.

37) Una persona prima di uscire prende l’ombrello


Nell’enunciato 37) tale persona crede che sta piovendo o che verrà a piovere. Vi è anche un desiderio
 non bagnarsi.
4. ANSCOMBE
La Anscombe riprende le tesi di Wittgenstein secondo cui lo stato mentale dell’intenzione è un
termine linguistico che usiamo per descrivere il comportamento umano. Inoltre si interessa al
sillogismo pratico di Aristotele. Ella fa una differenza tra azione e comportamento:
- Azione: è un comportamento particolare per il quale ha senso chiedere la ragione.

38) io posso chiedere alla persona perché prende l’ombrello


- Comportamento: movimento corporeo causato da fattori esterni.

39) non posso chiedere ad una persona perché ha starnutito, o perché è scivolata. Oppure se lo
chiedo il senso è causale così come la risposta sarà causale  è una spiegazione causale
(a causa di).
La Anscombe ha dato rilievo dunque al sillogismo pratico di Aristotele. Per la Anscombe c’è un
ragionamento pratico  l’agente calcola o valuta i mezzi (modi di agire) per raggiungere un fine
espresso dalla premessa maggiore, che consiste nella formulazione di un desiderio, un’intenzione o
uno scopo. Per Aristotele invece la premessa maggiore consisteva in un’asserzione di tipo universale.
Dunque per Anscombe l’azione avviene quando c’è un’intenzione o desiderio (credenza). Come
agenti noi calcoliamo cosa fare per raggiungere i nostri scopi. Chi spiega l’azione, deve formulare lo
stesso calcolo.

La razionalità strumentale è così il modello di ragionamento pratico che la Anscombe pone al centro
della sua analisi del concetto di intenzione.

4.1. Intenzione per Anscombe


Il suo punto di partenza è quello di individuare i diversi modi in cui il termine intenzione viene
applicato. Ci sono 3 modi:
1) Azione intenzionale: nelle azioni intenzionali ha senso chiedere la ragione. Dunque c’è la
possibilità di porre la domanda perché? Viene spiegato il perché nel senso di al fine di.
2) L’intenzione con cui: ci sono diverse descrizioni di una stessa azione. Alcune sono intenzionali,
altre non lo sono. Ricordiamo l’evento dell’uomo che sta segando una tavola. Possiamo spiegare il
suo movimento in 5 descrizioni, in base alla domanda “perché stai usando la sega?”:

1) sta segando una tavola (intenzionale: il suo scopo è segare una tavola).
2) sta segando una tavola di quercia. (forse è intenzionale).

3) sta segando la tavola di Smith.


4) sta producendo segatura (non intenzionale).

5) sta facendo un rumore stridente (non intenzionale: il suo scopo è di segare una tavola, non quello
di fare rumore).
Secondo la Anscombe, le azioni intenzionali sono caratterizzate dal fatto che io faccio ciò che accade
dal mio punto di vista.  descrizione preferita di Searle: descrizione secondo lo scopo dell’agente.
3) Espressione intenzione per il futuro: c’è differenza tra intenzione per il futuro e predizione:

40) Mi ammalerò  Predizione: io avendo informazioni, è una cosa che posso valutare come
probabile.
41) Andrò al teatro  Intenzione per il futuro: è un qualcosa che accade perché io lo faccio.
Predizione e intenzione per il futuro sono differenziate dalla ragione per agire (che ha l’intenzione
per il futuro).

Verbi intenzionali = mangiare, comprare, pagare, parlare

Verbi non intenzionali = scivolare (richiede una spiegazione causale)  riguarda la definizione di
comportamento della Anscombe: movimento corporeo causato da fattori esterni.
Entrambi = offendere
5. QUINE
Quine è considerato uno dei più grandi filosofi del 1900.
Per Quine nell’analisi del significato dobbiamo stare attenti a non ipostatizzare (individuare come
reali cose che non sono reali) certe entità o nozioni (tipo quella di proposizione). L’idea che si parli
di significato come se fosse un’entità è un’idea malsana secondo Quine.

Tra gli scritti di Quine ricordiamo Two Dogmas of Empiricsm (1951) in cui Quine manifesta il proprio
scetticismo sui due dogmi dei neopositivisti
1) La distinzione tra verità analitiche e verità sintetiche: Quine dice che non esiste una nozione ben
definita di significato e dunque è scettico in merito alle verità analitiche in quanto dipendono dal
significato delle espressioni.
2) L’idea che ad ogni enunciato significante siano associati un insieme di esperienze possibili che
impongono di considerarlo vero  verificazione in senso empirico

5.1. Problema degli atteggiamenti proposizionali e intensionalità in Quine


Gli atteggiamenti proposizionali comportano l’ammissione dell’esistenza di entità, in quanto la
proposizione è vista come un’entità. Tuttavia, Quine non accetta il concetto di proposizione e non
considera referenziali le espressioni occorrenti nella subordinata, e quindi non le considera
intercambiabili con espressioni co-referenziali. Per Quine conta la credenza che ha il soggetto.
42) Tom crede che Cicerone denunciò Catilina
43) Tom crede che Marco Tullio denunciò Catilina

Noi sappiamo che Cicerone = Marco Tullio. Se cambio il nome, Tom potrebbe non sapere che
Marco Tullio è Cicerone. Dunque non possiamo dire 43).

- Formula de dicto = attribuire a Tom la credenza che ci sia qualcuno che ha denunciato Catilina.
Non ci impegna a credere che Marco Tullio denunciò Catilina, perché Tom può non sapere che
Cicerone sia Marco Tullio. Tale enunciato di credenza è caratterizzato da intensionalità semantica
oppure opacità referenziale, per cui non si può adottare il principio di sostitutività.
La relazione è quella tra un individuo (Tom) e un enunciato di contenuto (importa lo stato della
mente del soggetto piuttosto che lo stato delle cose). Per Quine importa la credenza di Tom. In tale
prospettiva assumiamo il punto di vista dell’agente in modo da attribuirgli le credenze e i desideri che
avremmo avuto al suo posto.
- Formula de re (referenziale) = fa riferimento allo stato di cose, alla realtà: Tom crede che esiste
almeno un individuo X e che quest’individuo denunciò Catilina.

5.2. Conoscere il significato di una o più espressioni


Quine in Two Dogmas of Empiricism dice che non è possibile fare la distinzione classica di Kant tra
proposizione analitica e proposizione sintetica.
44) Nessuno scapolo è sposato
45) Tutti gli scapoli sono uomini non sposati

Innanzitutto, qual è il significato di scapolo?  Uomo non sposato. Sono dei sinonimi. C’è una
parafrasi lessicale. 44) e 45) sono considerati enunciati analitici (Vero o Falso a priori
dall’esperienza). Probabilmente un bambino di 5 anni non sa che scapolo voglia dire uomo non
sposato: dunque occorre avere una certa padronanza lessicale e linguistica.

Allora l’analiticità si definisce in termini di sinonimia. Ma chi ci dice quali espressioni sono sinonimi?
 il vocabolario, o meglio, i lessicografi che notano una relazione tra le parole nell’uso generale.
Spesso forniscono sinonimi più familiari  apoftegma (motto, aforisma, massima).
Sinonimia: identità di significato di più parole.

Conoscere il significato di una o più espressioni vuol dire dunque avere una certa padronanza
lessicale e linguistica. Ragione per la quale per Quine il significato alla fine è una parafrasi di
un’espressione linguistica oppure lo si può scoprire attraverso il contesto: il verbo prendere è
polisemico: prendere (col senso di afferrare) / prendere un brutto voto (col senso di ottenere) /
prendere il sole (col senso di esporsi) / prendere la febbre (contrarre una malattia) / prendere il treno
(utilizzare un mezzo di trasporto).  prendere assume diversi significati in base al contesto.
Dobbiamo guardare all’uso delle parole attraverso un’analisi comportamentistica. “no entity
without identity”  c’è l’abbandono del concetto di significato filosoficamente inteso. Per Quine il
significato non è un’entità.

5.3. Critica alla teoria delle proposizioni e problematica della sinonimia / traduzione radicale
Quine ha messo in evidenza 2 cose fondamentali:

1) ha criticato la teoria delle proposizioni: l’enunciato la neve è bianca lo possiamo tradurre in


tutte le lingue possibili. Saranno enunciati diversi, ma hanno in comune la proposizione. Dunque se
esistono le proposizioni condivise da enunciati di lingue diverse, questa entità dovrebbe rivelarsi utile
nel caso di una traduzione verso una lingua completamente sconosciuta alla nostra Tuttavia, chi ci
dice che stiamo parlando delle stesse ed identiche cose?  il problema si pone quando abbiamo a
che fare appunto con lingue sconosciute. Entra in gioco il cosiddetto schema concettuale (modo
con cui parliamo della realtà) che potrebbe essere diverso dal nostro.

2) Problematica della sinonimia / traduzione radicale: c’è difficoltà nell’esprimere quando due
espressioni sono sinonimi. Comunità estranee tra di loro potrebbero avere concezioni del mondo e
un’ontologia completamente diversa.
46) : supponiamo che un traduttore di una lingua sconosciuta, si trovi a dover tradurre un
enunciato come “tutti i conigli sono uomini reincarnati”.

- Come tradurre? Quine dice che bisogna studiare in condizioni intersoggettivamente


controllabili (che tutti possono vedere) il modo in cui di fronte a certi eventi che capitano nel mondo,
come si comporta verbalmente l’eventuale indigeno.(concezione comportamentistica)  ad
esempio mostriamo all’indigeno il passaggio di un coniglio e bisogna vedere cosa dice l’indigeno.

47) Passa un coniglio  il linguista con la sua lingua dice “sta passando un coniglio”
 l’indigeno dovrebbe dire la stessa cosa.

Per Quine si attivano le stimolazioni sensoriali  le risposte dell’indigeno a certe stimolazioni


sensoriali devono essere identiche a quelle del linguista in quanto facciamo parte della stessa
natura biologica.
- se l’indigeno dice Gavagai, come fa l’etnolinguista a sapere a cosa corrisponde?

a) gavagai potrebbe essere un’espressione olofrastica (una sola parola che sta per l’intero enunciato:
esempio: bambino che dice “Acqua” per dire “voglio bere dell’acqua”)
b) gavagai è una sola parola? Se invece ad esempio ga va vuol dire sta passando? Il linguista in
questo caso deve fare degli esperimenti con altri animali per capire se ga va voglia dire sta passando.

c) gavagai potrebbe voler dire stadi di coniglio. Dipende dalle credenze ontologiche dell’indigeno.

Principio di carità (principio normativo) e Principio di empatia (principio proiettivo)


- Principio di carità: se parliamo con un’altra persona, questa è più o meno razionale quanto noi
stessi. Il principio dice che gli altri, sia della mia comunità, sia di comunità diverse, devono avere la
stessa credenza ed esperienza, ed emettere i stessi proferimenti.
48) Se passa un coniglio, io vedo che sta passando il coniglio, allo stesso modo penso che il
nativo veda un coniglio.  c’è un’esperienza comune tra me e il nativo.

Se invece abbiamo l’enunciato:


49) Tutti i conigli sono uomini reincarnati  in base al principio di carità escludiamo questa
possibilità perché basato sulla razionalità. Non possiamo impedire al nativo di avere sue
credenze. Robert Nozick a tal proposito, ha detto che il principio di carità presenta una
caratteristica troppo imperialistica perché impone agli altri le nostre credenze. Tale
enunciato può essere definito come credenza differente dottrinaria. Che certi enunciati
appaiano strani non vuol dire che non siano plausibili.
- Principio di empatia: “mettersi nei panni di…”. Quine poi abbandona le stimolazioni sensoriali e
si rifà al principio dell’empatia. Ci mettiamo nei panni dell’indigeno con le sue credenze. Bisogna
ammettere che l’indigeno possa avere credenze diverse e dunque per gavagai potrebbe intendere
stadi di coniglio.

Indeterminatezza della traduzione radicale


Due etnolinguisti possono costruire uno stesso linguaggio (due dizionari) in modi diversi. Entrambi
però compatibili con l’evidenza osservativa (comportamento osservabile basato su stimolazioni
e risposta linguistica). (ex: sta passando il coniglio, l’indigeno dice gavagai, un etnolinguista può
pensare sia coniglio, un altro stadi di coniglio). Possono essere accettate comunque entrambe le
traduzioni perché non possiamo sapere qual è la vera traduzione del termine linguistico, in quanto
non c’è nulla che stabilisce in modo univoco a cosa si riferiscono le parole di tale lingua. Da questo
punto di vista, l’indeterminatezza della traduzione si tramuta in ciò che Quine chiama inscrutabilità
del riferimento: ovvero conserviamo il riferimento in forma relativizzata: ad esempio diremo che
gavagai si riferisce ai conigli relativamente al manuale di traduzione X, e gavagai si riferisce agli
stadi di conigli relativamente al manuale di traduzione Y. Tuttavia, se ci basiamo sul principio di
semplicità, adottiamo la soluzione più semplice  coniglio.

Mentalità pre-logica in Lévi-Bruhl


Secondo questo antropologo ci sono popolazioni che hanno una mentalità pre-logica: non credono al
principio aristotelico di non contraddizione (o è vera una o l’altra cosa), al principio di identità.
50) Persone dicono: piove e non piove

Secondo Levi-Bruhl tale enunciato può essere accettato.


Quine dice che se ci troviamo di fronte ad un tale enunciato abbiamo 2 possibilità:

1) Considerare l’indigeno come persona appartenente ad una cultura irrazionale, illogica


2) Pensare più umilmente che forse ci siamo sbagliati nella traduzione.
Le asserzioni contraddittorie di questo tipo (piove e non piove) sono il limite che raggiunge
l’etnolinguista, però d’altra parte potrebbe accettare come traduzioni dei proferimenti nativi dal
contenuto strano o assurdo secondo il suo punto di vista.

Enunciati di osservazione. Come apprende il linguaggio il bambino?


Lo apprende attraverso ciò che Quine chiama gli enunciati di osservazione. Impara a dire acqua,
mamma, rosso, che sono usate in modo olofrastico. Queste prime parole il bambino le impara
osservando il comportamento dei genitori.

51) Il genitore indica una qualsiasi distesa d’acqua al bambino e dice: Acqua!
 in questo modo il bambino ogni qual volta vedrà una distesa d’acqua, la assocerà alla parola acqua.

Prima fase: Si attiva il principio di empatia  il bambino si mette nei panni del genitore, e ripete
quello che il genitore avrebbe detto nella stessa situazione (vedere l’acqua scendere dalla distesa).
Seconda fase: Processo di emulazione  il genitore si mette nei panni del bambino per vedere se
quest’ultimo direbbe la stessa sua cosa al suo posto. Il padre di un bambino lo porta ad una distesa
d’acqua: il genitore in questo caso deve osservare le situazioni in cui il bambino dice acqua!

 viene chiamato procedimento del percepire di percepire: come il bambino percepisce che il
genitore percepisce un oggetto o un evento quando dice un certo enunciato, così il genitore, per
controllare la corretta acquisizione e applicazione dell’enunciato da parte del piccolo, cerca di
percepire la sua percezione del medesimo oggetto o evento.
6. TIPI DI ATTEGGIAMENTO PROPOSIZIONALE
Gli atteggiamenti proposizionali sono gli stati mentali linguisticamente espressi da enunciati tipo
crede che, spera che ecc. I più citati ne sono 2: Credenza e Desiderio.
52) Vediamo una persona che sta per prendere l’autobus per andare alla stazione

Se noi ci mettiamo nei suoi panni capiamo che c’è, sia:


- desiderio: arrivare alla stazione

- credenza: per arrivare alla stazione deve prendere l’autobus


7. DAVIDSON

Secondo Davidson il desire-belief model è associato alle teorie causali dell’azione (in opposizione
a ciò che pensava Wittgenstein): secondo Davidson una coppia desiderio-credenza (una ragione per
agire) è la causa dell’azione. Il saggio di riferimento sulla teoria causale dell’azione è Actions,
Reasons and Causes (1963). Davidson metteva in evidenza che possiamo spiegare (o meglio
razionalizzare) quel che un agente ha fatto solo se l’azione è descritta in un certo modo e non in un
altro. Per ragione per agire, Davidson intende una ragione per la quale un agente ha agito in un
determinato modo (ragione primaria che ha causato l’azione). La ragione primaria è una determinata
coppia pro-attitude (predisposizione a fare certe cose) e credenza.

Esempio di Davidson dell’interruttore:


- Premo l’interruttore

- Accendo la luce
- Illumino la stanza
- Metto in allerta un ladruncolo  conseguenza non intenzionale dell’azione
L’azione compiuta è 1 sola  premere l’interruttore per accendere la luce (questa descrizione
incorpora il fatto che l’azione di premere l’interruttore è stata compiuta con l’intenzione di accendere
la luce). Le altre sono solo delle descrizioni dell’azione.

Atteggiamenti proposizionali in Davidson


Dal punto di vista logico-semantico le descrizioni non sono tra loro intercambiabili salva-veritate
perché sono presenti verbi intensionali come “volere” o “desiderare”: se diciamo:
- ho premuto l’interruttore perché volevo mettere in allerta il ladruncolo.

L’asserzione è Falsa, perché l’individuo non sa della presenza del ladruncolo nella casa.
Dunque per spiegare un’azione, la giusta descrizione sarebbe come l’azione l’avrebbe descritta
l’agente (ovvero la sua descrizione preferita).  torniamo al concetto di empatia: devo assumere il
punto di vista dell’agente ed è ciò che conta nella spiegazione dell’azione. Ovvero, nel compiere
l’azione, l’agente dovrebbe avere avuto quei desideri e quelle credenze che avremmo avuto noi se
avessimo compiuto la stessa azione:
- io avrei premuto l’interruttore se avessi voluto accendere la luce.
8. VINCOLI DELL’ATTRIBUZIONE INTENZIONALE
Parlare dei vincoli dell’attribuzione intenzionale significa parlare delle condizioni che devono essere
soddisfatte affinché sia possibile fornire spiegazioni del comportamento umano quanto più vicine alla
verità. L’attribuzione intenzionale è la procedura con cui vengono individuati, o ipotizzati, i desideri,
le credenze, le speranze che sono a fondamento delle azioni.
In seguito alla pubblicazione di Actions, Reasons and Causes di Davidson, gli atteggiamenti con cui
vengono spiegate le azioni sono quelli di:
- desiderio: stato di cose che l’agente vorrebbe vedere realizzato (A desidera che si verifichi X)
- credenza: l’azione che l’agente reputa necessaria perché si verifichi lo stato di cose desiderato (A
crede che se farà Y si verificherà X).

 A ha fatto Y perché desiderava X e credeva che facendo Y si sarebbe verificato X.

Per spiegare un’azione è sufficiente citare un desiderio e una credenza?

8.1. Vincoli contestuali, causali e razionali


- Contestualismo: leggere 3.3. e 3.2.

- Causalismo: Davidson in Actions, Reasons and Causes obiettava le teorie wittgensteiniane


dell’azione, affermando che i vincoli contestuali di norme e regole non erano sufficienti per spiegare
in modo corretto un’azione, e venivano proposti dunque vincoli di tipo causale. Per Davidson il
contesto può fornire una giustificazione dell’azione, ma non necessariamente una spiegazione o
razionalizzazione. Per Davidson gli stati intenzionali sono alla base dell’azione, dove desiderio e
credenza ne costituiscono la causa.

Se guardo l’azione di un automobilista che stende il braccio verso sinistra, e voglio trovare una causa
non basta che io guardi il contesto (inizialmente posso pensare che lo faccia perché voleva svoltare
a sinistra) ma possono esserci anche altre cause come ad esempio perché c’era qualcuno che
conosceva sul marciapiede e voleva salutarlo.

Per Davidson dunque basterebbe individuare la ragione primaria che ha causato una certa azione e
ottenere la spiegazione vera. Ma come facciamo ad essere sicuri che una spiegazione sia corretta, cioè
che si tratti proprio di una razionalizzazione che cita la ragione primaria, e non di una semplice
giustificazione?
- Razionalità: Sempre Davidson in Actions, Reasons and Causes finisce per individuare i vincoli per
la corretta attribuzione intenzionale nel ragionamento pratico (mezzo-fine) piuttosto che nella
causalità. Secondo Davidson il sillogismo pratico aristotelico non funziona, non ha come conclusione
un’azione ma un limitato giudizio di desiderabilità (desiderabilità prima facie), perché non tutte
le azioni sono desiderabili totalmente, ma possono avere anche azioni e conseguenze negative.
Davidson applica il principio di carità, l’agente prima di arrivare al giudizio all-out attua un
ragionamento pratico  dunque presuppongo che abbia il mio stesso schema concettuale. L’agente
e noi siamo razionali allo stesso modo in quanto facciamo delle valutazioni, riflessioni ecc.

A) Esempio della caramella

1) Desidero mangiare qualcosa di dolce (premessa universale)


2) La caramella è dolce, mangerò dunque la caramella. (azione desiderabile prima facie, a
prima vista)
3) Se ho l’informazione che la caramella è avvelenata, mi risolverò a mangiarla lo stesso?
Si attiva un ragionamento critico-deliberativo, che mi porterà al giudizio all-out (finale) dove
verosimilmente non mangerò la caramella in quanto avvelenata. Solo adesso c’è l’intenzione di
compiere una certa azione.

B) Esempio di andare a Milano


1) Desidero andare a Milano
2) Sillogismo pratico aristotelico: Ogni mia azione che mi condurrà a raggiungere Milano è
desiderabile: prendere l’aereo ad esempio (desiderabile prima facie)

3) è proprio vero che voglio prendere l’aereo? Supponiamo che io abbia paura di volare.
4) ci vado in treno.  diventa una decisione definitiva, ovvero un’intenzione. Il giudizio è all-out,
definitivo, assoluto, al quale sono arrivato dopo un’attenta deliberazione.

8.2. Attribuzioni intenzionali e Simulation Theory


Secondo Quine in Word and Object, capiamo il comportamento dei nostri simili attribuendo loro
degli atteggiamenti proposizionali. Lo facciamo mettendoci nei loro panni (simulazione di tipo
empatico). Per Quine, nel discorso indiretto, e in generale nell'attribuzione di atteggiamenti
proposizionali, l'enunciazione delle tipiche locuzioni "X crede che…", "X desidera che…" sarebbe
ottenuta a partire dalla proiezione in quello che, dall'osservazione del suo comportamento,
immaginiamo debba essere stato lo stato mentale del soggetto. Quine nota che il vincolo fondamentale
dell’attribuzione intenzionale su base empatica è quello delle variazioni pertinenti a cui l’interprete
deve sottoporre il proprio sistema cognitivo perché possa efficacemente proiettarsi nello stato mentale
di un parlante / agente di cui intenda spiegare il comportamento, annullando il proprio io.

La comprensione empatica, nota come simulation theory è stata affrontata da Gordon e Goldman.
Secondo questa teoria, l’attribuzione intenzionale si basa su un’attività di simulazione o finzione dei
desideri, delle credenze e dei processi decisionali di un agente di cui vogliamo predire o spiegare le
azioni.
La conclusione (ossia il comportamento) dell'ipotesi controfattuale alla base dell'interpretazione
verrebbe comunque soltanto immaginata (sarebbe off-line).
Per Goldman la correttezza di una predizione o spiegazione del comportamento dell’altro si basa sul
fatto che l’altra persona sia psicologicamente simile a noi. Tuttavia, ci sono agenti che articolano
differentemente un ragionamento pratico: alcuni prendono decisioni in base a valutazioni
pessimistiche, altri ottimistiche ecc. Possiamo inoltre aumentare o diminuire il livello di razionalità
dell’agente. Tuttavia, in ciò vi è un limite alla simulation theory: come può ad esempio un
principiante di scacchi predire i comportamenti di un maestro di scacchi?

Esempio di Gordon sull’autopredizione del comportamento:


Si può ipotizzare una situazione in cui, mentre scriviamo a computer, io senta dei passi provenire da
un’altra stanza.

 potrei simulare le mie reazioni: desideri e credenze che seguirebbero a tali reazioni e il
ragionamento pratico sulla cui base predire quel che farei. Ad esempio, allarmandomi per i passi,
crederei che qualcuno si sia introdotto in casa e deciderei di conseguenza di chiamare la polizia.

Tuttavia, Gordon osserva che “la predizione di come agirei io nella situazione dell’altro non è,
ovviamente, una predizione di come agirebbe l’altro”. Secondo Gordon occorre tenere in
considerazione le variazioni pertinenti  mettersi nei panni dell’altro non significa presupporre che
l’altro si comporterà esattamente come mi comporterei io. Ad ogni modo è ovvio che simulare la
situazione di un mio collega non è esattamente lo stesso che simulare la situazione e lo stato mentale
di un agente appartenente ad una cultura estranea. Nel primo caso le variazioni sono ridotte al minimo,
nel secondo caso le variazioni che l’interprete dovrà apportare alle proprie credenze e desideri
sarebbero rilevanti, e dovrebbe assumere quelli dell’agente.
9. RAGIONAMENTO MEZZO-FINE E PIANIFICAZIONE (BRATMAN)
La relazione mezzo-fine appare intrisa nell’azione. L’idea che l’azione sia un mezzo che mira a
conseguire uno scopo o soddisfare un certo desiderio (uno stato mentale, intenzionale, motivazionale
e causale) che ha come oggetto uno scopo, è considerata spesso come una verità indiscutibile.
Tuttavia, il comportamento mezzo-fine degli umani è particolare.

Esempio del desiderio di dissetarsi:


La sete causa normalmente il desiderio di dissetarsi  questo desiderio costituisce una ragione per
agire in congiunzione con una credenza riguardo il mezzo per soddisfarlo, dove l’azione non è per
forza unica ma si possono compiere anche azioni diverse.
1) bere l’acqua da una fontana. (desire-belief model)
2) introdurre una moneta in un distributore automatico di bevande, attendere che la bottiglia esca e
berne il contenuto.
Se l’essere assetati fornisce una ragione per bere, allora fornisce anche una ragione per compiere
azioni intermedie finalizzate a bere.
Il 1° modello di ragionamento mezzo-fine (desire-belief model): individuazione dell’azione creduta
necessaria per il soddisfacimento di un desiderio.
Il 2° modello di ragionamento mezzo-fine prevede che ci possano essere diverse azioni per conseguire
un fine.

A tal proposito, Aristotele mise in evidenza il modello a scopi intermedi (azioni intermedie): per
Aristotele si valuta come il fine desiderato può essere conseguito con tale mezzo e con quali mezzi
quest’ultimo sarà a sua volta ottenuto. (meccanismo regressivo). Dunque si individuano i passi
antecedenti o preliminari necessari (passi di pianificazione) al conseguimento del mezzo che
consentirebbe di ottenere il fine.
Esempio di Papineau del barbiere: Se si desidera S (scopo), nel corso della deliberazione può
accadere che si valuti che per ottenere S si dovrà fare C, ma per fare C occorre prima fare B e per fare
B occorre fare prima A.
 Desidero andare a tagliarmi i capelli (S). Credo che andare dal barbiere sia il modo per farlo (C)
Deliberazione:
- se vado dal barbiere giù casa vorrà parlare di filosofia
- forse dovrei andare in centro, ma la metropolitana potrebbe essere affollata
- allora potrei andare a piedi in centro  questa è la scelta. (giudizio all out o intenzione per
Davidson)
Ma per andare in centro, devo infilarmi le scarpe (A) e fare subito colazione (B)
9.1. Bratman
Tale esempio ci consente di focalizzare l’attenzione sul concetto di intenzione della Anscombe, quello
di espressione di intenzione per il futuro.
Bratman ha insistito molto sulla pianificazione come caratteristica dell’agire umano. Secondo
Bratman siamo agenti che pianificano. Bratman concepisce il suo modello planning theory (desire-
belief-intention model) in contrapposizione al desire-belief model di Davidson e al giudizio all-out.
Per Bratman non è sufficiente che la conclusione di un ragionamento pratico (giudizio all-out) sia
un’intenzione come desiderio definitivo e non un’intenzione diretta al futuro. Quest’ultima non è altro
che un input (struttura temporalmente estesa) che dà la possibilità di creare nuovi ragionamenti
pratici, che forniranno nuove ragioni per intenzioni secondarie (sotto-piani) e per ulteriori azioni
intermedie volte alla realizzazione dell’intenzione primaria (scopo finale).
Esempio di andare a Rodi:
Se un agente intende fare A e crede, in seguito a una deliberazione, che fare B sia una condizione
necessaria per fare A, allora intenderà anche fare B, e l’intenzione di fare B può condurre a ulteriori
credenze riguardo le condizioni preliminari per compiere B.
 Ho intenzione di andare in vacanza a Rodi (A-intenzione primaria), ciò mi fornisce una ragione
per prendere l’aereo o prendere la nave come mezzo per raggiungere Rodi. Soppeserò i pro e i contro
delle due opzioni e, conclusa la deliberazione sulla base dei miei desideri e credenze, mi deciderò per
una delle due (B). Poniamo di voler raggiungere Rodi via mare (intenzione diretta al futuro, o input),
ciò comporta l’ulteriore intenzione di acquistare il biglietto in quanto condizione preliminare per
partire (intenzione secondaria). Per acquistare il biglietto potrò rivolgermi, a seguito di un’ulteriore
deliberazione, o alla biglietteria della compagnia navale oppure ad un’agenzia di viaggi, o ancora su
internet. Da qui seguiranno una sequenza di ragionamenti pratici che culmineranno nel compiere
l’azione che permetterà di conseguire lo scopo finale (A).
Intenzione diretta al futuro:
53) Andrò al cinema
54) Andrò al teatro

Bratman delinea 2 ragioni principali per cui fornire intenzioni orientate al futuro è importante:
1) Vantaggio sotto il punto di vista della facilità con cui possiamo coordinarci sia con gli altri e
sia con noi stessi (l’aspettativa degli altri su ciò che noi faremo è compresa, è facile
interpretarci).
2) ci consentono di estendere l’influenza delle nostre deliberazioni oltre il momento presente.

Potrebbero piacerti anche