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In ''senso e denotazione'' Frege si propone di dimostrare la tesi per la quale la nozione di denotazione si

può applicare anche agli enunciati, oltre che ai nomi propri. Sembra abbastanza intuitivo dire che un
nome proprio in senso fregiano ha una denotazione (che consiste nell'oggetto per cui il nome proprio sta)
ma lo stesso non si può dire per gli enunciati dichiarativi, per i quali la denotazione sembra non essere
immediatamente applicabile. L'obbiettivo di Frege è dunque dimostrare la tesi per cui anche gli enunciati
dichiarativi (e non solo i nomi propri) hanno una denotazione. A tale scopo, immaginiamo di non essere
interessati a sapere quali siano le denotazioni degli enunciati ma solamente al senso, ossia al pensiero
espresso dagli enunciati, il loro contenuto. Tuttavia, Frege afferma che spesso, nell'uso degli enunciati, ci
interessa capire se le parti componenti di tali enunciati abbiano o meno una denotazione.Ad esempio,
quando siamo interessati a capire se un enunciato del tipo ''Aristotele è un filosofo'' è vero o falso siamo
interessati a capire se le sue parti componenti hanno una denotazione, cioè se Aristotele denota qualcosa.
Ma, se ammettiamo che le parti componenti dell'enunciato abbiano una denotazione, allora dobbiamo
riconoscere che tutto l'enunciato avrà una denotazione. Questo è un effetto del principio di
composizionalità per le denotazioni, per il quale la denotazione di un enunciato dipende dalla denotazione
delle parti componenti. Da questo ragionamento sembra plausibile pensare che tutti gli enunciati abbiano
una denotazione. Per avvalorare questa tesi Frege utilizza come esempio l'enunciato ''Ulisse approdò ad
Itaca immerso in un sonno profondo''. Possiamo affermare con sicurezza che tale enunciato abbia un
senso, afferma Frege. Per quanto riguarda il nome ''Ulisse'' e di conseguenza l'intero enunciato, è cosa
dubbia se essi abbiano una denotazione. Tuttavia, se qualcuno si interrogasse sulla verità o falsità
dell'enunciato ''Ulisse approdò ad Itaca immerso in un sonno profondo'', riconoscerà nel nome ''Uisse'' non
solo un senso, ma anche una denotazione. Infatti, affema Frege, è proprio alla denotazione del nome
Ulisse che il predicato può essere attribuito o negato. Di conseguenza, chi non riconosce una denotazione,
non potrà attribuire o negare un predicato. Frege conclude dicendo che, poichè solitamente siamo
interessati a capire la denotazione di singole parti dell'enunciato, per il principio di composizionalità ne
consegue che attribuiamo una denotazione all'intero enunciato. Non ci accontentiamo solo del senso, ma
esigiamo che ogni nome proprio abbia la sua denotazione perchè ciò che ci interessa è capire il valore di
verità dell'enunciato in questione (ossia se l'enunciato è vero o falso). Proseguendo nella sua riflessione,
Frege individua tre tipologie di enunciati che sembrano falsificare la tesi per cui gli enunciati hanno come
denotazione il valore di verità. Tra questi troviamo il caso degli enunciati subordinati che esprimono
pensieri incompleti. Per chiarire tale concetto Frege utilizza come esempio l'enunciato ''chi scoprì la
forma ellittica dell'orbita dei pianeti morì in miseria''. Quest'ultimo enunciato comprende al suo interno un
enunciato subordinato (chi scoprì la forma ellittica dell'orbita dei pianeti) che non esprime un pensiero
completo e di conseguenza non ha una denotazione. Un principio fondamentale introdotto da Frege è che
è il senso a determinare la denotazione di un'espressione. Nel momento in cui un'espressione non esprime
un pensiero completo (come nel caso dell'enunciato in questione) ne consegue che tale espressione non
avrà nemmeno un senso, che dunque non determinerà una denotazione. Nel caso dell'enunciato preso
in esame ( ''chi scoprì la forma ellittica dell'orbita dei pianeti morì in miseria'') l'incompletezza
del pensiero espresso dalla subordinata dipende dall'indeterminatezza di alcuni elementi che
compongono l'enunciato. In particolare, il pronome ''chi'' è un elemento indeterminato, che
acquisisce senso solo in relazione alla frase principale ossia ''morì in miseria''. Dunque la
proposizione subordinata esprime un pensiero imcompleto perchè comprende al suo interno un
elemento indeterminato ( ''chi'' ) che impedisce di determinare quale sia il pensiero espresso
dalla subordinata e dunque quale sia la sua denotazione. Qualcuno potrebbe obiettare che in
realtà c'è un pensiero completo che potrei associare alla subordinata ''chi scoprì la forma ellittica
dell'orbita dei pianeti'' parafrasandola in ''vi fu qualcuno che scoprì la forma dell'orbita ellittica''.
In tal modo, possiamo riformulare il nostro enunciato, che si comporrà quindi di due enunciati
completi: ''vi fu qualcuno che scoprì la forma ellittica dei pianeti e chi scoprì la forma ellittica dei
pianeti morì in miseria''. Per dimostrare che effettivamente la subordinata ''chi scoprì la forma
dell'orbita ellittica'' esprima un pensiero completo è sufficiente riflettere sul fatto che sarebbe
contraddittorio dire: ''chi scoprì la forma ellittica dell'orbita dei pianeti morì in miseria ma non vi
fu nessuno che scoprì l'orbita ellittica dei pianeti''. Infatti Frege non mette in dubbio il fatto che la
subordinata ''chi scoprì la forma ellittica dell'orbita dei pianeti'' esprima in qualche modo che ''vi
fu qualcuno che scoprì la forma ellittica dei pianeti''. Tuttavia, secondo Frege, non possiamo
affermare che il pensiero completo ''vi fu qualcuno che scoprì la forma ellittica dell'orbita dei
pianeti'' faccia parte del contenuto della frase che stiamo analizzando. Per dimostrare questo,
Frege utilizza il test della negazione. Prendiamo inanzitutto in considerazione l'enunciato di
partenza ''chi scoprì la forma ellittica dell'orbita dei pianeti morì in miseria''. Il modo standard di
negare tale enunciato è ''chi scoprì la forma ellittica dell'orbita dei pianeti non morì in miseria''.
Ma, se partiamo dal presupposto che il pensiero completo ''vi fu qualcuno che scoprì l'orbita
ellittica dei pianeti morì in miseria'' faccia parte del contenuto dell'enunciato di partenza la
negazione dovrà essere così formulata: ''o non ci fu nessuno che scoprì l'orbita ellittica dei pianeti
o chi scoprì l'orbita ellittica dei pianeti morì in miseria'', in quanto dovremmo negare anche il
pensiero completo espresso dalla subordinata. Questo tipo di negazione sembra essere
abbastanza contraddittorio: è un'assudità negare la proposizione ''vi fu qualcuno che scoprì la
forma ellittica dell'orbita dei pianeti''. Infatti, solitamente, se dobbiamo negare un enunciato che
parla di un individuo, neghiamo le proprietà attribuite all'individuo, non l'esistenza dell'individuo
stesso. Dunque, se non siamo disposti a negare il pensiero completo espresso dalla subordinata
(''vi fu qualcuno che scoprì la forma dell'orbita ellittica), possiamo concludere che quest'ultimo
non faccia parte della frase di partenza. Si tratta invece di una presupposizione che accompagna
l'asserzione dell'enunciato di partenza.

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