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DE ENTE ET ESSENTIA

Aristotele (De coelo et mundo)  un piccolo errore fatto in principio diventa grande alla fine;
Avicenna (Metafisica)  l’ente e l’essenza sono ciò che vengono concepiti per primi dall’intelletto.

Per non essere tratti in errore dal non conoscere queste cose e per risolvere le difficoltà connesse con queste nozioni
bisogna spiegare che cosa si intende con il nome di essenza e con quello di ente, come si trovino nelle diverse realtà e
come si riferiscano ai concetti logici, cioè al genere, alla specie e alla differenza.

Noi dobbiamo arrivare alla conoscenza delle realtà semplici partendo da quelle composte, e dobbiamo giungere a
quelle che in sé vengono per prime partendo da quelle che vengono dopo: infatti è più conveniente dal punto di vista
didattico iniziar dalle cose più facili. Per questi motivi è opportuno iniziare discutendo del significato del termine
“ente” per passare poi a quello di “essenza”. [Tommaso presuppone la distinzione tra ciò che è più facile per noi ma
più complesso in sé e ciò che è più complesso per noi (più intuitivo) ma più facile in sé. Complesso per noi  più
intuitivo; semplice per noi  meno intuitivo. Perché l’uomo è inserito nella complessità, il nostro intelletto non è
semplice. Ciò che guida questo processo, il cursore, è il concetto di ente, che per il suo carattere di trascendentalità è al
contempo semplice e complesso.]

CAPITOLO I
[“quod significat propositionum veritatem”  ci comprende di comprendere tre legami: Aristotele, Boezio e Anselmo.

“sed primo modo non potest dici ens nisi quod aliquid in re ponit”  in re = ente logico (fuori dalla realtà, solo
strutturalmente nell’intelletto) nell’ente reale. In re = in essere = la logica a valore solo se “in re”, cioè nella realtà o
nella verità.]

Bisogna sapere che, come dice Aristotele nel quinto libro della Metafisica, l’ente per sé si dice in due sensi:
1) Si divide nelle dieci categorie [minimale ontologica  minore estensione, più ricco];
2) Esprime, nelle proposizioni, il loro essere vere [logica  maggiore estensione, meno ricco].

La differenza sta nel fatto che nel secondo senso può essere detto “ente” tutto ciò su cui può essere formulato un
giudizio affermativo, anche se ciò non pone nulla come esistente nella realtà. In questo senso anche le negazioni e le
privazioni si dicono “enti”: enti ma non essenze. [Socrate ha la barba  ha significato anche se non è così. Oppure “la
cecità è nell’occhio”.]

Ma nel primo senso non si può dire ente se non ciò che ponga qualcosa come esistente nella realtà, e di conseguenza,
secondo questo modo di intendere il termine ente, la cecità e le realtà di questo tipo non sono enti.

Il termine “essenza” (non categoria logica) non deriva quindi dall’ente inteso nel secondo senso, deriva piuttosto
dall’ente inteso nel primo senso. Averroè nota che l’ente inteso nel primo senso è ciò che indica l’essenza della cosa
[la sostanza]. E poiché l’ente inteso in questo senso si divide nelle dieci categorie, è necessario che il termine
“essenza” si riferisca a qualcosa di comune a tutte le nature, per le quali i diversi enti vengono collocati nei diversi
generi e specie.

[1) ontologica  devo dire assolutamente ciò che è reale


2) logica  posso dire tutto ciò che ha significato anche se non è reale]

I filosofi trasformano il termine essenza in quello di “quiddità”: è questo ciò che Aristotele spesso chiama “quo quid
erat esse”, ossia ciò per cui qualcosa è qualcosa di determinato. L’essenza viene anche detta forma, in quanto con
questa parola si indica l’essere determinato di ogni cosa, come dice Avicenna nel secondo libro della sua Metafisica.
Infine può essere detta anche “natura”, assumendo il termine nel primo dei quattro sensi che Boezio, nel “De duabus
naturis”, gli assegna, secondo il quale natura è ciò che in qualunque modo può essere colto dall’intelletto. [natura per
Boezio = qualcosa che esiste.]

Il concetto di “quiddità” deriva dal fatto che in esso viene espresso il “quid” che è indicato dalla definizione, mentre l’
“essenza” si chiama così in quanto con essa e in essa l’ente ha l’essere. Ma poiché l’ente è in senso assoluto e primario
la sostanza, e solo secondariamente e in senso relativo gli accidenti [caratterizza l’ente reale], l’essenza in senso vero e
proprio è nelle sostanze, mentre negli accidenti si trova solo in un certo senso e relativamente a un certo punto di
vista. [Ci sono essenze degli accidenti, ma il filosofo non si occupa degli accidenti.] Tra le sostanze alcune sono semplici
e altre
composte: in entrambe c’è l’essenza, ma in modo più vero e più nobile in quelle semplici, per il fatto che possiedono
un essere più nobile. [Essenza = sostanza  quiddità. In Platone, non era accettabile una cosa simile. Qui i due termini
sono sinonimi.

Sono infatti causa di quelle composte, per lo meno quella sostanza semplice e prima che è Dio. Nelle sostanze
composte, quindi, forma e materia sono note: nell’uomo, per esempio, noi possiamo distinguere l’anima e il corpo. E’
facile da capire, infatti, che la materia da sola non è l’essenza [sempre unione di materia e forma] poiché una realtà è
conoscibile proprio in virtù della sua essenza e viene classificata in genere e specie proprio grazie ad essa, mentre la
materia non è principio di conoscenza, e neppure può essere il punto di partenza per distinguere qualcosa secondo il
genere o la specie: ciò è possibile solo grazie a ciò per cui quel qualcosa è in atto.

Ma neppure si può identificare l’essenza con la sola “forma” della sostanza composta, sebbene alcuni si sforzano di
sostenere questa tesi. L’essenza è ciò che viene indicato attraverso la definizione della cosa, e la definizione delle
sostanze naturali contiene non solo forma ma anche la materia se così non fosse, non ci sarebbe alcuna differenza tra
le definizioni delle realtà fisiche e quelle delle realtà matematiche.

E neppure si può affermare che la materia, nella definizione della sostanza naturale, sia qualcosa di aggiunto alla sua
essenza. Questo tipo di definizioni è tipico degli accidenti, che non hanno un’essenza in senso proprio, e la cui
definizione perciò deve comprendere anche il soggetto cui ineriscono e che è esterno al loro genere. E’ evidente
quindi che l’essenza comprende sia la materia sia la forma.

Ente Materia
Essenza Sostanza semplice (es. Dio) Sostanza composta (es. uomo)
Sostanza Forma

Tuttavia non si può neppure sostenere che l’essenza indichi la relazione tra la materia e la forma: ciò sarebbe qualcosa
di accidentale. Tutto ciò, invece, è proprio quello che fa l’essenza: attraverso la forma, che è atto della materia,
quest’ultima è resa ente in atto e realtà determinata. Perciò ciò che si aggiunge non dà alla materia semplicemente
l’esistenza effettiva, ma un modo particolare di esistere, come fanno anche gli accidenti: la bianchezza, ad esempio, fa
esistere in atto una cosa bianca. Perciò quando viene acquisita una forma di questo tipo non si può dire che essa
generi qualcosa e basta, ma fa esistere questo qualcosa in una modalità particolare.

Resta stabilito quindi che il termine “essenza” nelle sostanze composte indica ciò che è composto dalla materia e dalla
forma.
 Anche Boezio è d’accordo con questa affermazione quando dice, commentando le Categorie, che “ousia” significa
composto. “Ousia” infatti presso i Greci ha lo stesso significato di “essenza” per i Latini, come egli stesso spiega
nell’opera “Le due nature”.
 Anche Avicenna dice che la quiddità delle sostanze composte coincide con la composizione di materia e forma.
 Infine Averroè, a proposito del settimo libro della Metafisica, scrive: “La natura che hanno le specie nelle cose
generabili è qualcosa di medio, cioè composto di materia e forma”.
L’esistenza “esse” di una sostanza composta non è solo l’esistenza della forma e neppure quello della sola materia
bensì del composto in quanto tale.

Le cose che sono costituite di più principi non traggono il loro nome da uno solo di quei principi, ma da ciò che li
raccoglie entrambi. Ciò è evidente nei sapori: la dolcezza è causata dall’azione del caldo che digerisce l’umido, e
sebbene sia il calore la causa della dolcezza, tuttavia un corpo non viene detto dolce per il calore, ma per il sapore, che
appunto comprende sia il caldo sia l’umido.

Dato che il principio di individuazione è la materia, potrebbe sembrare che da ciò segua che l’essenza, che raccoglie
contemporaneamente in sé forma e materia, sia soltanto particolare e non universale. La conseguenza sarebbe che gli
universali non avrebbero una definizione, dato che l’essenza è ciò che viene indicato con la definizione.
Bisogna perciò sapere che non la materia intesa in qualunque senso è principio di individuazione, ma solo quella che
chiamo la materia estetica (materia signata), quella che può essere considerata nelle dimensioni dello spazio. [Il
termine materia è polisemantico.]

Questa materia non entra nella definizione di uomo in quanto uomo, ma entrerebbe nella definizione di Socrate, se
Socrate avesse una definizione. Nella definizione di uomo entr invece la materia non signata perché nella definizione
di uomo non entra questo osso e questa carne, ma l’osso e la carne intesi in senso assoluto, che sono, appunto, la
materia dell’uomo intesa come non caratterizzata (non signata) dalla quantità. Risulta quindi evidente che l’essenza
dell’uomo e quella di Socrate non differiscono se non per il fatto che nella seconda esiste qualcosa di determinato
quantitativamente e nella prima no. [Astrazione = se io guardo un uomo, io elimino gli elementi determinati posso
“passare” al concetto di animale. Così come se guardo Socrate passo eliminando gli elementi determinanti al concetto
di uomo.]

La determinazione dell’individuo nei confronti della specie avviene attraverso la materia fisica nella quale si possono
individuare le tre dimensioni, mentre la determinazione della specie nei confronti del genere avviene attraverso la
differenza specifica che dipende dalla forma della cosa. [Realismo moderato.]

Tutto ciò che esiste nella specie esiste anche nel genere, ma in un modo ancora indeterminato.

Infatti, se il termine “animale” non indicasse tutto ciò che è l’uomo, ma solo una parte, non verrebbe predicato
dell’uomo, perché nessuna parte può venire predicata dell’intero di cui è parte. [Non possiamo infatti dire: “Socrate è
l’umanità”. L’umanità è un concetto di parte, Socrate è tutto quindi non si possono legare.] La differenza tra il corpo
inteso come parte dell’animale e il corpo inteso come genere: non si può dire che è genere allo stesso modo in cui è
parte dell’intero.

1) Quindi il nome corpo può essere inteso in diversi significati. Infatti viene detto corpo se considerato nella categoria
della sostanza, per il fatto di avere una natura tale che in esso si possono indicare le tre dimensioni. Queste stesse
dimensioni, costituiscono il corpo nella categoria della quantità. Ma accade in natura che a ciò che possiede una sola
perfezione possa aggiungersi una perfezione ulteriore, come appare evidente nell’uomo, che ha la natura sensitiva e
in più quella intellettiva. In modo simile, anche alla perfezione che consiste nel possedere una forma tale che in essa
possano essere determinate le tre dimensioni, si può aggiungere un’altra perfezione, come la vita o qualcosa del
genere. Il nome “corpo”, quindi, può indicare una certa realtà determinata, che possiede una forma tale da implicare
in quella realtà la possibilità di estendersi nelle tre dimensioni dello spazio, con esclusione di ogni altra perfezione che
possa seguire da quella forma. In questo modo perciò, se si aggiunge qualcos’altro, deve essere qualcosa di ulteriore
rispetto al significato di corpo inteso in questo modo. In questo senso il corpo è parte materiale e integrale dell’essere
vivente perché l’anima sarà qualcosa di ulteriore a ciò che è indicato col termine “corpo” e si aggiungerà al corpo in
quanto tale. L’essere vivente quindi sarà costituito da queste due realtà, cioè anima e corpo, come da due parti.
[uomo = anima + corpo.]

2) Il termine “corpo” però può anche essere inteso in modo tale da indicare una realtà che possieda una forma per la
quale si possano indicare in essa realtà le tre dimensioni, qualunque sia quella forma, sia che da essa possa provenire
un’ulteriore perfezione oppure no. Il termine “corpo”, in questo modo, indicherà il genere “animale” poiché
nell’essere vivente non è possibile concepire nulla che non sia contenuto implicitamente nel corpo. L’anima infatti non
è una forma diversa da quella per cui in quella realtà si potevano indicare le tre dimensioni: per questo, quando si
diceva che il corpo è ciò che possiede una forma tale per cui si possono riconoscere nella cosa le tre dimensioni, si
intendeva qualunque forma, sia quella dell’essere vivente sia quella della pietra sia qualunque altra.

La stessa cosa si verifica nel rapporto che c’è tra “animale” e “uomo”. Se infatti il termine animale indicasse soltanto
una realtà che avesse la perfezione di sentire e di muoversi grazie a un principio a lui intrinseco, escludendo altre
perfezioni, allora qualunque altro modo di essere superiore sopraggiungesse, sarebbe da considerare, rispetto
all’animale, come una parte e non come implicitamente contenuta nel concetto di animale: e così “animale” non
sarebbe un genere. Invece è genere proprio in quanto indica una realtà dalla cui forma provengono sensibilità e
capacità di movimento, qualunque sia quella forma, sia che sia un’anima soltanto sensitiva che sia sensitiva e razionale
insieme.
Infatti il genere indica in modo indeterminato tutto ciò che è nella specie, e non soltanto la materia. Il genere deriva
dalla materia, anche se non è materia, come risulta evidente dal fatto che “corpo” si chiama così per il fatto di
possedere quel modo d’essere per cui si possono determinare nella realtà le tre dimensioni, modo d’essere che è
come “l’aspetto materiale” nei confronti di un modo d’essere di ordine superiore.
La differenza specifica invece al contrario è come una denominazione ricavata da una forma in modo determinato. E’
evidente che quando si dice “animato”, ossia ciò che ha l’anima: infatti non si precisa che cosa sia, se un corpo o altro.

E’ per questo che Avicenna afferma che il genere non viene pensato nella differenza specifica come una parte
dell’essenza, ma solo come un ente al di fuori di essa, come per esempio il soggetto nel concetto delle passioni.

Ma la definizione o specie li comprende entrambi, da un lato la materia che viene espressa col nome del genere e
dall’altro la forma determinata indicata col nome della differenza specifica.
 Il genere  non è la materia, ma è desunto da essa in modo da indicare la globalità dell’ente;
 La differenza specifica  non è la forma, sebbene sia desunta dalla forma in modo da indicare anch’essa la
globalità dell’ente.

Si dice che l’uomo è composto di anima e di corpo come una realtà che sia composta da altre due senza essere né
l’una né l’altra, perché l’uomo non è né l’anima né il corpo presi da soli.

Il concetto di “animale” esprime la natura della cosa senza determinare a forma specifica ma soltanto ciò che è
materiale rispetto alla perfezione ultima. Come una realtà composta da altre due non può essere definita da esse,
neppure un concetto può essere definito attraverso i concetti di cui è composto: tanto è vero che non si dice che la
definizione sia il genere o la differenza specifica.

Averroè, commentando l’undicesimo libro della Metafisica, dice che la materia prima è qualcosa di unitario per la
mancanza di una forma qualsiasi, ma che il genere è qualcosa di unitario per la sua unione con la forma che esprime.
Da ciò è evidente che attraverso l’aggiunta della differenza specifica e la soppressione di quella indeterminazione che
era la causa dell’unità del genere, rimangono le specie diverse per essenza.

Poiché, come si è detto, la natura della specie è indeterminata rispetto all’individuo, come quella del genere è
indeterminata rispetto alla specie, si ha questa conseguenza: come ciò che è genere, in quanto è predicato della
specie, implica nel proprio significato, sebbene in modo indeterminato, tutto ciò che è presente in modo determinato
nella specie, così è necessario che ciò che è specie, in quanto è predicato dell’individuo, indichi in modo indistinto
tutto ciò che per essenza è nell’individuo. Se però si vuole indicare la natura della specie con esclusione della materia
estesa, che è il principio di individuazione, la sia tratterà come parte, e così verrà indicata col nome di “umanità”,
perché “umanità” indica ciò per cui l’uomo è uomo. La materia estesa, però, non è ciò per cui l’uomo è uomo, e perciò
in nessun modo è tra quei principi da cui l’uomo riceve l’esser-uomo (homo habet quod sit homo).

Dal momento che il concetto di “umanità” comprende solo ciò da cui l’uomo riceve il suo esser-uomo, è evidente che
dal suo significato è esclusa ed eliminata la materia estesa. E poiché la parte non si predica del tutto, “umanità” non
può essere predicato né dell’uomo né di Socrate. La determinazione della specie nei confronti del genere avviene
attraverso la forma, mentre la determinazione dell’individuo nei confronti della specie avviene attraverso la materia :
perciò è necessario che il termine che indica ciò da cui viene assunta la natura di genere, con esclusione della forma
specifica che porta alla completa determinazione la specie, indichi la parte materiale del tutto in questione, come il
corpo è la parte materiale dell’uomo. Al contrario, il termine che indica ciò da cui viene la natura di specie, con
esclusione della materia estesa, indica la parte formale. Così “umanità” è intesa come una certa forma, e si dice che è
forma del tutto, ma non come se fosse aggiunta dall’esterno alle parti dell’essenza, cioè forma e materia.

Così quindi è evidente che la parola “uomo” e la parola “umanità” indicano entrambe l’essenza dell’uomo ma in modo
diverso:
1) la parola “uomo” la indica come un qualcosa di globale e come un tutto, in quanto non esclude la determinazione
della materia ma la contiene implicitamente e in modo indistinto;
2) la parola “umanità” indica l’essenza dell’uomo come parte perché non contiene nel suo significato nulla se non ciò
che è proprio dell’uomo in quanto è uomo, ed esclude la determinazione della materia.

[uomo intelligenza  l’uomo pensato nella sua interezza non è solo intelligenza. Allo stesso modo non posso dire che
una singola persona è tutta l’umanità. Se diciamo che l’essenza di Socrate è l’umanità, dobbiamo dire che Socrate non
è mai la sua essenza. Si tratta del rapporto tra la parte e il tutto.]
CAPITOLO II [ QUESTIONE DEGLI UNIVERSALI]

Generi/Specie/Individui  Tutto  Essenza  Parte  Non definibile, solo nell’intelletto perché conseguenza
dell’astrazione

[Esistenza di Dio = necessaria - Esistenza degli angeli = NO]

Uomo
Essenza Animale si predica come
Socrate genere, specie, individuo

Dopo aver esaminato il significato del termine “essenza” nelle sostanze composte, bisogna esaminare in quali rapporti
stia nei confronti del genere, della specie e della differenza specifica. Ciò che viene indicato col nome di genere o
specie o differenza specifica viene predicato del singolo individuo determinato dalla materia: perciò è impossibile che
una nozione universale, cioè quella del genere o della specie, sia in relazione all’essenza come se ne fosse solo una
parte, come avviene quando si usa il termine “umanità” o il termine “animalità”.

E’ per questo che Avicenna afferma che la razionalità non è la differenza specifica, ma il principio della differenza, e
per la stessa ragione l’umanità non è la specie, né l’animalità il genere. [essenze intese come parte.] Infatti non si può
dire che Socrate sia ciò che è separato da lui, né d’altra parte ciò che è separato può essere utile alla conoscenza di
questa realtà singola e concreta. [l’uomo ricava il concetto di parte dal tutto, scindendo il tutto in parti e analizzandone
una parte.]

La natura o essenza, intesa in questo senso, può venir considerata in due modi:
1) l’essenza viene considerata secondo la sua propria nozione = considerazione assoluta
2) l’essenza (o la natura) può essere considerata in relazione all’esistenza che possiede in questa o quella realtà
concreta = per accidens. Viene predicato qualcosa dell’essenza in relazione a ciò in cui si trova a esistere, come
quando si dice che l’uomo è bianco perché Socrate è bianco, sebbene ciò non spetti all’uomo in quanto uomo.

Questa natura possiede poi un duplice modo di esistere: uno nelle realtà individuali e l’altro nella coscienza. A seconda
che si realizzi nell’uno o nell’altro modo è accompagnata da accidenti diversi. Secondo il primo modo di considerarla,
cioè in modo assoluto, non sarebbe dovuto nessuno di questi attributi. E’ falso infatti dire che l’essenza dell’uomo, in
quanto uomo, abbia l’esistenza in un individuo determinato, perché se l’esistere in un individuo determinato spettasse
di diritto all’uomo in quanto uomo, l’uomo non potrebbe mai esistere al di fuori di questo individuo determinato.

La verità invece è che all’uomo in quanto uomo non compete di realizzarsi in questo o quell’ente concreto e
individuale, oppure nella coscienza. E’ evidente che la natura dell’uomo, prescinde da qualsiasi modo d’esistere, e
insieme tuttavia esiste in modo tale da non escluderne nessuno. Questa natura, così considerata, è quella che si
predica di tutti gli individui. Tuttavia non si può sostenere che il carattere di universalità appartiene alla natura intesa
in questo modo, perché caratteristiche dell’universale sono l’unità e il riferirsi a più individui, mentre alla natura
umana, intesa secondo la sua considerazione assoluta, non appartiene nessuno di questi due caratteri.

Non si può affermare che la nozione di genere e specie spetti alla natura umana intesa secondo il modo di esistere che
essa possiede negli individui, perché negli individui non si trova la natura umana in quanto “una”, cioè come qualcosa
di unitario appartenente a tutti gli individui, cosa che la nozione di universale esige.
La soluzione che rimane è che la nozione di specie si riferisca alla natura umana in base a quel modo di esiste he la
natura stessa possiede nell’intelletto. In questo modo possiede un carattere di univocità nei confronti di tutti gli
individui che esistono indipendentemente dall’anima, in quanto è similitudine di tutti in modo uguale e conduce alla
conoscenza di tutti quegli individui in quanto sono uomini.

Averroè scrive, commentando il primo libro del “De anima”, che è l’intelletto a produrre l’universalità nelle cose, e
anche Avicenna sostiene questa tesi nella sua “Metafisica”. Perciò l’essenza, sebbene quando si realizza nell’intelletto
abbia la caratteristica dell’universalità, tuttavia, in quanto esiste in questo o quell’intelletto, è una specie intelligibile
particolare.

E’ chiaro l’errore di Averroè che vuole dimostrare, partendo dall’universalità della forma in quanto pensata, che esiste
un solo intelletto per tutti gli uomini: infatti l’universalità non appartiene alla forma per il modo di esistere che essa
possiede nell’intelletto, ma in quanto viene riferita alle cose come loro similitudine.

La natura umana quindi, considerata in modo assoluto, può essere predicata di Socrate, e il concetto di “specie” non le
appartiene direttamente ma è tra gli accidenti che la accompagnano in relazione a quel particolare modo di esistere
che possiede nell’intelletto. Non si può dire: “Socrate è la specie”.

Invece al genere, preso per sé, spetta la predicabilità, perché questa caratteristica è contenuta nella sua definizione. La
predicazione infatti è qualcosa che si compie attraverso l’azione dell’intelletto che giudica, affermando e negando, e
ha come fondamento nella realtà stessa l’identità reale di questi termini dei quali uno viene predicato dell’altro.

L’essenza si rapporta alla nozione di specie: la nozione di specie non è tra le caratteristiche che spettano all’essenza
secondo la sua considerazione assoluta, e neppure tra gli accidenti che accompagnano il modo di esistere che
possiede fuori dell’anima, ma è tra gli accidenti che accompagnano il modo di esiste che l’essenza possiede
nell’intelletto, in relazione al quale le appartengono anche la nozione di genere e quella di differenza specifica.

CAPITOLO III
Ora resta da vedere in che modo si realizzi l’essenza nelle sostanze separate, cioè nell’anima, nelle intelligenze
separate e nella causa prima.

Sebbene tutti concedano che la causa prima sia qualcosa di semplice, alcuni si sforzano di introdurre la composizione
di materia e forma sia nelle intelligenze separate sia nell’anima: sembra sia stato Avicebron, il primo a sostenere
questa posizione. Contro le opinioni comuni dei filosofi che dimostrano che esse sono prive di ogni materialità.

Le forme non sono intelligibili in atto se non in quanto sono separate dalla materia e dalle condizioni che le sono
proprie, e non sono rese intelligibili in atto se non attraverso l’attività di una sostanza intelligente, in quanto sono
accolte in essa e agiscono attraverso di essa.

Perciò è necessario che in qualunque sostanza intelligente ci sia una totale separazione dalla materia. Non si può
neppure sostenere che non è la materia in generale a impedire la intelligibilità, ma solo quella corporea. Se infatti ciò
avvenisse solo a causa della materia corporea, allora bisognerebbe concludere che la materia possiede la caratteristica
di impedire la intelligibilità per averla ricevuta dalla forma corporea. Ciò non può essere, perché la forma stessa, anche
quella corporea, è intelligibile in atto, come anche le altre forme, in quanto sono astratte dalla materia.

Perciò nell’anima o nell’intelligenza separata in nessun modo c’è una composizione di materia e forma. Però c’è,
nell’anima e nell’intelligenza separata, una composizione di forma ed essere. Per questo nel commento alla nona
proposizione del “De causis” si dice che una intelligenza esiste avendo forma ed essere, e “forma” è da intendersi, lì,
come la stessa quiddità o natura semplice.

E’ impossibile che la materia esista senza nessuna forma, ma non è impossibile che qualche forma esista senza
materia. Se si trovano certe forme che non possono esistere senza materia, questo avviene in quanto sono lontane dal
primo principio, che è atto primo e puro. La forma infatti, come si è detto, presa in tutta la sua estensione, non ha
bisogno della materia, e le intelligenze separate sono forme di questo tipo: perciò non è necessario che l’essenza o
quiddità di queste sostanze sia qualcosa di diverso dalla forma stessa.
In questo sono differenti l’essenza della sostanza semplice e quella della sostanza composta: la prima è solo forma, la
seconda comprende forma e materia. Da ciò seguono altre due differenze:
1) l’essenza della sostanza composta può essere indicata come un tutto o come una parte a causa della
determinazione della materia, come si è detto. Perciò l’essenza di una realtà composta non si può predicare in un
modo qualsiasi di quella stessa realtà: infatti non si può dire che l’uomo sia la sua quiddità;
2) poiché le essenze della realtà composte, in quanto sono accolte nella materia intesa in senso quantitativo, si
moltiplicano in base alle divisioni di quest’ultima, avviene che alcune di esse siano identiche per specie e diverse
numericamente. Dal momento invece che l’essenza della realtà semplice non viene accolta in una materia, non può
esserci in tal caso una simile moltiplicazione. E’ necessario che per quelle sostanze non ci siano più individui di una
stessa specie, ma che esistano tante specie quanti individui ci sono, come esplicitamente sostiene Avicenna.

Ma ogni essenza o quiddità può essere concepita senza che si pensi alla sua esistenza. Infatti posso capire cosa siano
l’uomo o la fenice e tuttavia ignorare se esistano realmente. Quindi è evidente che l’esistere è qualcosa di diverso
rispetto all’essenza o quiddità, a meno che esista una realtà la cui quiddità sia il suo stesso esistere. Questa realtà non
potrà essere che una sola e prima, perché è impossibile che una qualsiasi realtà si moltiplichi se non attraverso
l’aggiunta di una qualche differenza. Così il genere si moltiplica nelle specie. Se pensiamo una realtà che sia solo
essere, che perciò sia l’essere sussistente stesso, questo essere non potrebbe accogliere l’aggiunta di nessuna
differenza, perché allora non sarebbe più solo essere, ma essere con in più una certa forma.

Tutto ciò che conviene a qualche cosa o è causato dai principi della sua natura, come la capacità di ridere nell’uomo, o
le sopraggiunge da un altro principio estrinseco, come la luce nell’aria per l’influsso del sole.

E’ necessario che ogni realtà il cui esistere è distinto dalla sua natura abbia l’esistere da altro. E poiché tutto ciò che
esiste in forza di altro si riconduce a ciò che esiste per sé come alla causa prima, è necessario che esista una realtà che
sia causa dell’esistere per tutte le altre, per il fatto che essa stessa è puro esistere. L’intelligenza separata è insieme
forma ed essere e che riceve l’essere dal primo ente che è solo essere: e questa è la causa prima che è Dio.

Ma tutto ciò che riceve qualcosa da qualcosa d’altro è in potenza rispetto ad esso, e ciò che è ricevuto in esso è il suo
atto. Perciò è necessario che la stessa quiddità o forma che è l’intelligenza separata sia in potenza rispetto all’esistere
che riceve da Dio, e quell’esistere è ricevuto come suo atto.

Poiché la quiddità dell’intelligenza separata è la stessa intelligenza separata, la sua quiddità o essenza è la stessa
identica cosa che l’intelligenza sperata stessa, e il suo esistere, ricevuto da Dio, è cipò per cui esiste realmente. Per
questo motivo alcuni dicono che una sostanza di questo tipo è composta di ciò quo est (ossia ciò per cui qualcosa è) e
di ciò quod est (ossia ciò che è), oppure di ciò quod est e di esistere, come dice Boezio. Poiché nelle intelligenze
separate si possono distinguere potenza ed atto, non sarà difficile ammettere una molteplicità di intelligenze separate,
cosa che sarebbe impossibile se non ci fosse in esse nessuna potenzialità. Averroè nota a questo proposito che se la
natura dell’intelletto potenziale fosse sconosciuta on potremmo ammettere una molteplicità nelle sostanze separate.
Perciò la distinzione tra di esse avviene in rapporto alla potenza e all’atto, in modo che l’intelligenza separata
gerarchicamente superiore, proprio in quanto è più vicina al primo principio, abbia più atto e meno potenza, e così via
le altre. La serie si chiude con l’anima umana che sta all’ultimo posto tra le sostanze intellettive.

CAPITOLO IV
L’essenza, riassumendo, si trova nelle sostanze in tre modi:
1) C’è qualche realtà, come Dio, la cui essenza coincide con il suo stesso essere. Da ciò segue che Egli non può essere
compreso all’interno di un genere, perché è necessario che tutto ciò che sia compreso all’interno di un genere abbia
una quiddità distinta rispetto al proprio esistere. Per questo nel commento alla nona proposizione del “De causis” si
dice che l’individuazione della causa prima, che è solo essere, avviene attraverso la sua pura bontà. [Neoplatonismo.]
L’essere inteso come essere in generale non ammette nel proprio concetto né alcuna aggiunta, né alcuna esclusione.
Possiede tutte le perfezioni che esistono in ciascun genere, e per questo viene definito semplicemente come l’essere
perfetto, come Aristotele e Averroè fanno nel quinto libro della “Metafisica”. Non solo, ma le possiede in modo più
eccellente di quanto non le posseggano le altre realtà, perché in Lui sono una cosa sola mentre nelle altre realtà sono
distinte.

2) L'essenza si dà in un altro modo invece nelle sostanze intellettive create. Il loro esistere non è assoluto ma ricevuto
e perciò limitato e relativo alla capacità della natura che lo riceve, ma la loro natura o quiddità è assoluta e non è
accolta in nessuna materia. Così si dice nel “De causis” che le intelligenze separate sono “infinite inferiormente e
limitate superiormente”. Sono limitate quanto al loro esistere ma non sono limitate verso il basso perché le loro forme
non sono condizionate dalla capacità di ricezione di una qualche materia che le deve ricevere. Non bisogna tuttavia
pensare che, venuto meno il corpo, venga meno anche l’individuazione. Avendo infatti l’anima un esistere assoluto, in
quanto ha ricevuto l’esistere individuale, per il fatto di essere diventata forma di questo corpo, quell’esistere rimane
sempre individuato. E’ per questo che Avicenna scrive che l’individuazione o la molteplicità delle anime dipende dal
corpo per quanto riguarda il loro inizio ma non la loro fine. Una determinata sostanza separata si accorda con le altre
nell’immaterialità mentre ne differisce, quanto a perfezione, in base alla distanza dalla potenzialità e alla vicinanza
all’atto puro. Così il genere, in questo tipo di sostanze, viene desunto da ciò che deriva dalla loro immaterialità come
l’intellettualità o qualcos’altro di simile, mentre da ciò che in esse dipende dal loro grado di perfezione si desume la
differenza, che ci resta tuttavia sconosciuta.

3) L’essenza si dà anche in un terzo modo, e precisamente nelle sostanze composte di materia e forma. In esse infatti
anche l’esistere è qualcosa di ricevuto e quindi di determinato, per il fatto che queste sostanze lo ricevono da altro e
che, inoltre, anche la loro natura o quiddità è ricevuta nella materia estesa. Così queste sostanze sono limitate sia
verso l’alto sia verso il basso, e dato che la materia estesa è divisibile in queste sostanze è possibile avere una
molteplicità di individui in un’unica specie.

CAPITOLO V
Ora resta da vedere come l’essenza esista negli accidenti, dopo aver detto come esista in tutti i tipi di sostanza. Poiché
l’essenza è ciò che viene indicato per mezzo della definizione, è necessario che gli accidenti abbiano l’essenza nello
stesso modo in cui hanno la definizione. Gli accidenti non posseggono un essere per sé, indipendente dalla sostanza
(absolutum a subjecto): invece, come dalla composizione di forma e materia risulta l’essere della sostanza (esse
substantiale), così, quando la sostanza riceve l’accidente, dalla composizione di accidente e sostanza risulta un essere
accidentale.

Perciò neppure la forma né la materia della sostanza hanno una essenza completa, perché anche nella definizione
della forma della sostanza è necessario porre ciò di cui è forma: così la sua definizione è possibile solo attraverso
l’aggiunta di qualcosa che è esterno al suo genere, esattamente come avviene anche per la definizione della forma
dell’accidente.

E’ per questo che il filosofo che studia l’essere naturale include anche “corpo” nella definizione dell’anima, perché
considera l’anima solo in quanto è la forma di un corpo materiale. Tuttavia tra la forma delle sostanze e quella degli
accidenti c’è una differenza. Come la forma della sostanza non possiede per sé l’esistere in modo assoluto senza ciò di
cui è forma, così neppure ciò di cui è forma, cioè la materia, possiede per sé l’esistere: è solo dalla loro unione che
risulta quel modo di esistere nel quale la cosa sussiste per sé.

Ma ciò che riceve l’accidente è già un ente in sé completo che sussiste nel suo proprio esistere, e questo esistere
procede per sé stesso l’accidente che si aggiunge ad esso. Perciò l’accidente che si aggiunge non produce, attraverso il
suo unirsi con ciò di cui è accidente, quella esistenza che fa esistere la cosa come un ente per sé, ma produce solo un
certo modo di esistere relativo, senza il quale si può continuare a pensare la sostanza come qualcosa che esiste, così
come ciò che è primo può essere pensato senza ciò che è secondo. Perciò dall’unione dell’accidente e della sostanza
risulta una realtà che non è unitaria per sé, ma solo per accidens.

Dall’unione di sostanza e accidente quindi non può risultare un’essenza, come invece poteva accadere dall’unione
della forma e della materia.

Ciò che appartiene a un genere in massimo grado e nel senso più proprio è la causa delle realtà che esistono in quel
genere: perciò la sostanza, che è al primo posto nel genere dell’ente dal momento che possiede l’essenza nel senso
più proprio e più vero, deve essere la causa degli accidenti che partecipano alla nozione di ente in modo secondario e
quasi solo in un certo senso.

Questo però avviene in modi diversi. Infatti poiché le parti della sostanza sono forma e materia, alcuni accidenti
derivano principalmente dalla forma e altri dalla materia. Però ci sono delle forme il cui esistere non dipende dalla
materia, come è il caso dell’anima intellettiva; d’altra parte la materia non esiste se non grazie alla forma. Quindi tra
gli accidenti che derivano dalla forma ce n’è qualcuno che non ha alcun rapporto con a materia, come l’intendere, che
non si realizza attraverso un organo corporeo, come Aristotele dimostra nel terzo libro del “De anima”.

Ci sono altri modi di essere invece, tra quelli che derivano dalla forma, che hanno un certo rapporto con la materia,
come il sentire e altri accidenti di questo genere.

Tra gli accidenti che derivano dalla materia bisogna fare delle distinzioni:
- alcuni derivano dalla materia in relazione al rapporto che essa ha nei confronti della forma specifica. E’ il caso
dell’esser maschio o femmina negli animali: la diversità tra maschi e femmine infatti è da ricondursi alla dimensione
materiale, come viene spiegato nel decimo libro della “Metafisica”;
- altre determinazioni derivano dalla materia in quanto essa è legata alla forma a livello di genere. Perciò anche se
viene meno la forma che fa esistere l’ente come specie, queste determinazioni rimangono: per esempio la pelle di un
etiope è nera per la mescolanza degli elementi e non per un influsso dell’anima, e perciò dopo la morte questo colore
rimane uguale.

Poiché le realtà sono qualcosa di individuale grazie alla materia e vengono divise in genere e specie grazie alla forma,
gli accidenti che accompagnano la materia sono gli accidenti dell’individuo, e sono ciò grazie a cui gli individui di
ciascuna specie differiscono tra loro. Gli accidenti che dipendono dalla forma, sono proprietà del genere o della specie,
e per questo si trovano uguali in tutti gli individui che partecipano alla natura di quel genere o di quella specie.

Bisogna anche sapere che gli accidenti talvolta sono causati dai principi essenziali considerati nella loro perfezione,
come il calore nel fuoco, che è sempre caldo in atto; talvolta invece soltanto in relazione a una semplice disposizione,
la cui realizzazione avviene però grazie a un agente esterno, come la luminosità nell’aria si realizza grazie a un corpo
luminoso.

Bisogna inoltre sapere che negli accidenti genere, specie e differenza specifica vanno intesi in modo diverso che nelle
sostanze.

Ma da accidente e forma non risulta una realtà intrinsecamente unitaria, per cui dalla loro unione non risulta alcuna
natura cui si possa attribuire la nozione di genere o specie. Perciò i nomi degli accidenti considerati in modo concreto
non vengono distinti nelle categorie, come specie o genere, se non per riduzione ma solo in relazione a ciò che è
significato in astratto, come bianchezza e musica.

Poiché gli accidenti non sono composti d materia e forma, non si può distinguere in essi il genere partendo dalla
materia e la differenza partendo dalla forma, come avviene nelle sostanze composte. E’ necessario invece che il
genere venga preso dallo stesso modo di esistere, in quanto l’ente viene predicato in modi diversi delle dieci
categorie, rispettando un ordine preciso: la quantità per esempio si dice in relazione alla misura della sostanza e la
qualità in relazione alla disposizione della sostanza.

La differenza invece dipende dalla diversità dei principi che causano gli accidenti.

Se invece si volesse fornire la definizione degli accidenti nel loro significato concreto le cose andrebbero in modo
opposto. In questo caso infatti la sostanza fungerebbe da genere nella loro definizione, perché in questo caso gli
accidenti verrebbero definiti come se fossero sostante composte, nelle quali la nozione di genere viene presa dalla
materia: questo è per esempio il caso che si verifica quando diciamo che il camuso è un naso curvo.
I principi propri degli accidenti non sono sempre evidenti, talvolta ricaviamo le differenze specifiche degli accidenti dia
loro effetti: ad esempio la capacità disgregativa e quella aggregativa sono le differenze specifiche del colore, e sono
causate dalla abbondanza o dalla scarsità di “luce” che provoca le diverse specie di colori.

CAPITOLO VI
Abbiamo così spiegato:
- come l’essenza esista nelle sostanze e negli accidenti;
- come esista nelle sostanze composte e in quelle semplici;
- come in tutte queste realtà esistano le nozioni logiche universali, eccettuato il Primo principio che è supremamente
semplice e a cui non spetta la nozione di genere né quella di specie e per conseguenza neppure la definizione, a causa
della sua semplicità. E in lui terminiamo e concludiamo questo trattato. Amen.

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