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Anno accademico 2018-2019

Filosofia del linguaggio


Docente: Elisa Paganini
www.filosofia.unimi.it/paganini
17 giugno, 9.30 (aula 109)
1 luglio 9.30 (aula 109)
15 luglio 9.30 (M103)
Lezione 1) 11/02/2019 [Introduzione al corso]
Tema: il linguaggio di funzione e la differenza tra linguaggio di funzione e linguaggio non di funzione.
Cosa sono gli oggetti fittizi, ne abbiamo bisogno o no?
Esempio: “Il presidente della Repubblica è siciliano. Sergio Mattarella è siciliano”.
Per Frege è vero se la persona, in questo caso Mattarella, è effettivamente il presidente della
Repubblica italiana. Per Frege il presidente è un nome proprio. L'enunciato è vero se il nome gode
della proprietà espressa dal predicato. Russell, invece, ritiene che l’enunciato è vero se esiste
almeno un presidente della Repubblica italiana. Per lui l’enunciato è scomponibile in 3 clausole: deve
esistere almeno un presidente della Repubblica italiano, deve esistere al massimo un presidente
della Repubblica italiano, chiunque lo sia, sia siciliano.
Esempio: “Il re di Francia è calvo”
Per Frege non possiamo dire se è vero o falso, poiché non esiste un re di Francia. Mentre Russell dirà
che è falsa, perché per essere vero un enunciato deve rispettare le 3 clausole (deve esserci almeno
un re di Francia, deve esserci al massimo un re di Francia, il re di Francia deve essere capo) e la prima
non è verificata: poiché non esiste almeno un re di Francia.
Esempio: “Ulisse approdò ad Itaca”
Per Frege non è né vero, né falso. Per Russell è falso. N.B. Tutti sappiamo che nell'Odissea esiste un
personaggio che approdò ad Itaca. Altro esempio: “Sherlock Holmes è un detective”. Lo accettiamo
come vero, mentre “Sherlock Holmes è un carpentiere” è falso. Com'è possibile questo? Si sono
succedute una serie di teorie.. Sherlock Holmes è un personaggio fittizio!
• Esiste una teoria secondo cui ci sono degli oggetti non esistenti (meinonghiani).
• C'è qualcuno che ha sostenuto che i personaggi fittizi esistano (in carne ed ossa) in altri
mondi possibili (Luis/Lewis). Non possiamo dire che gli oggetti fittizi esistano in un mondo
diverso dal nostro. Ipotesi non perseguibile.
• Altri sostengono che siano oggetti astratti ed eterni (platonisti eternisti). [Di questi non ci
occuperemo].
• Altri sostengono che esistano come oggetti astratti, creati essenzialmente. Creati nel
momento in cui si introduce l'opera di funzione: essi esistono come oggetti astratti attraverso
questo atto creativo (platonisti creazionisti).
I filosofi realisti credono che questi oggetti esistano. Ci sono inoltre filosofi irrealisti, cioè coloro che
sostengono che noi non abbiamo bisogno delle entità fittizie (filosofi finzionalisti/irrealisti).

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I filosofi realisti distinguono tra asserti della finzione (all'interno della finzione) e asserti critici (al di
fuori della funzione). È nostra intuizione comune accettare come veri alcuni asserti esistenziali
negativi. Problema: com’è possibile?
Problema per i realisti e per gli irrealisti: come facciamo a dire di qualcosa che non esiste (una
proprietà)?
Esistenza: è un concetto tutt'altro che univoco. Predicato di esistenza. Esistono due posizioni
differenti: per alcuni è una proprietà che riguarda gli oggetti…oggetti che esistono e oggetti che non
esistono. Per altri l'esistenza non è una proprietà di oggetti.
Lezione 2) 14/02/2019
Gottlob Frege [1848 – 1925]
Frege era un matematico in primo luogo. Come mai iniziò ad interessarsi del linguaggio? Ideografia:
(1879, Begriffshrift, scrittura delle idee o notazione concettuale) testo che non ebbe grande
successo. La notazione che Frege diede ora non è più utilizzata.
Scrive nella seconda metà dell'Ottocento, tuttavia nella prima metà dell’Ottocento in matematica
erano state apportate delle innovazioni, in particolare le geometrie non-euclidee. Come si fa a
dimostrare la verità di un assioma? Dimostrando che la sua negazione è una contraddizione. La
geometria euclidea, come ben sappiamo, si fonda su degli assiomi. Nella prima metà dell'Ottocento il
V assioma euclideo non era stato ancora dimostrato. Mentre la geometria euclidea è una, le
geometrie euclidee sono più di una. Sono una grande scoperta e innovazione. Nella prima metà
dell'Ottocento i matematici cercano di dimostrare il V assioma per assurdo. Su cosa si fondano le
geometrie non euclidee? Primo problema. Poi vengono introdotti i numeri immaginari. I matematici
dimostrano che sono numeri a tutti gli effetti (introdotti da Hamilton). E poi viene introdotta la
Teoria dei numeri infiniti di Cantor. Le ragioni per cui Frege inizia ad interessarsi di matematica sono
proprio queste. Vuole arrivare a esplicitare in modo chiaro e rigoroso i fondamenti logici e filosofici
della matematica. Per far questo egli fa riferimento al linguaggio. Dobbiamo analizzare come
utilizziamo il linguaggio. Egli sostiene che il linguaggio come noi lo utilizziamo, quello ordinario,
contiene delle imperfezioni. Quindi è necessario sì partire dal linguaggio, ma è poi necessario
depurarlo da queste imperfezioni. Egli elabora così una notazione logica nuova. La nuova notazione
logica non è condizionata da distinzioni grammaticali (soggetto-predicato, come utilizza la logica
antica). La logica classica viene proprio introdotta nell’Ottocento, mente le logiche non-classiche
vengono introdotte per confutare alcune asserzioni della logica di Frege.
Consideriamo i seguenti enunciati:
• “Maria ama Giovanni”
• “Giovanni è amato da Maria”
Dicono entrambi la stessa cosa. Anche se il soggetto è diverso nei due enunciati. Frege si rende conto
delle diversità…tuttavia egli vuole andare oltre queste differenze: non sono quelle che ci interessano.
Abbiamo bisogno di un'analisi che possa comparare questi due enunciati. Egli sviluppa la nozione di
funzione (nozione matematica).

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Altro esempio:
(1) “Maria ama Giovanni”
(2) “Maria ama Paolo”
“Maria ama…” – M >> funzione
Giovanni – g
Paolo – p
(1) Mg OPPURE M(g)
(2) Mp OPPURE M(p)
Per Frege ciò che conta non è più la distinzione tra soggetto e predicato, ma la distinzione tra
funzione e argomento. Funzione: “Maria ama” = “è amato da Maria”. Per Frege una funzione è
qualcosa di insaturo, ha una natura insatura e ha bisogno di essere saturata, da un argomento (egli
cambierà idea sulla nozione di funzione, ma questa è per lui una costante). Mentre nella logica antica
si pensava che l'analisi degli enunciati dipendesse dalla distinzione tra soggetto-predicato…per Frege
è importante individuare ciò che è costante (egli inventa un’analisi più elastica).
Traduzione in simboli logici:
Le lettere maiuscole nella logica ibrida del Kenny indicano la costante individuale.
Esempio:
• “Luigi suona la chitarra”
• “Francesca suona la chitarra”
“Suona la chitarra” è la funzione, mentre gli argomenti sono “Luigi” e “Francesca”.
Inizialmente gli elementi degli enunciati sono elementi linguistici…più in là cambierà idea.
N.B. A diversi enunciati (diverse strutture grammaticali) possono corrispondere gli stessi contenuti
concettuali.
La funzione, per Frege, ha due costanti: si ripete all'interno dell'argomentazione ed ha una natura
insatura. N.B. Se noi da un qualsiasi enunciato sottraiamo un argomento abbiamo una funzione.
Enunciati diversi possono avere la stessa analisi logica, ma uno stesso enunciato può essere
analizzato in più di un modo. Esempio:
1) M = “Maria ama" – g = “Giovanni”
M(g) – “Maria ama X”
2) m = “Maria “ – G = “..ama Giovanni”
G(m) – “X ama Giovanni”
3) A = funzione a due argomenti = “..ama..”
A(m,g) – “X ama Y"
Un enunciato non ha una traduzione logica meccanica…quello che a Frege interessa è questo:
abbiamo un enunciato, vediamo qual è la funzione e quale l'argomento.
Funzione: convenzionalmente si scrive con la lettera maiuscola, argomento: convenzionalmente si
scrive con la lettera minuscola.
Quello che conta è il contesto argomentativo nel quale l’enunciato è inserito.

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Da dove deriva la terminologia? Dalla matematica. Esempio:
x+2
+ 2 è una funzione, è insatura: non può stare da sola, si applica di volta in volta ad un argomento
diverso. Così come in matematica. N.B. Una funzione deve sempre contenere un'espressione
predicativa. “Maria ama”…ma ama chi? È un'espressione insatura.
1+2
2+2
3+2
4+2
E così via..
Nell’Ideografia quando Frege parla di funzione e argomento parla di elementi del linguaggio (parla di
espressioni linguistiche). Come vedremo successivamente cambierà idea a riguardo.
Quello che vuole dimostrare Frege è che la forma grammaticale dell'enunciato non determina la
forma logica della frase. La forma logica è determinata dal contesto in cui è inserita. N.B.
L'argomento è definito come ciò che satura una funzione.
Lezione 3) 15/02/2019
Frege: l'analisi concettuale degli enunciati non deve seguire criteri grammaticali. In particolare ciò
che Frege sfrutta è la distinzione tra funzione e argomento. N.B. Enunciati diversi possono avere la
stessa forma logica, mentre uno stesso enunciato può avere forme logiche diverse.
QUANTIFICATORI:
I quantificatori universali:
• “Ogni cosa è fatta di materia"
• “Tutto è bello"
I quantificatori universali in realtà erano presenti già nel sillogismo aristotelico. N.B. Distinzione
chiave tra funzione e argomento...importante per la distinzione tra validità e correttezza. Non è
possibile che le premesse siano vere e la conclusione falsa. N.B. La verità delle premesse forza la
verità della conclusione. Si parla di validità quando ogni qualvolta sono vere le premesse, è vera la
conclusione. Correttezza: si ha quando non solo l’argomento è valido, ma anche le premesse sono di
fatto vere.
DATISI: (argomento valido)
Tutti gli A sono B
Alcuni A sono C
Alcuni B sono C
Argomento (sillogismo) non valido:
Tutti gli A sono B
Alcuni B sono C
Tutti gli A sono C
Da questo punto di vista Frege non aggiunge niente alla sillogistica aristotelica.
Se compaiono più occorrenze delle parole “tutti" o “alcuni" in un solo enunciato non c'è modo di
analizzare tali enunciati, sono ambigui. Esempio: “Tutti amano tutti” oppure “Tutti amano qualcuno”.

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Esempio:
“Tutte le cose sono belle”
“Sono belle”: funzione di primo livello >> B = essere belle
Frege denota “tutte le cose” come una funzione, una funzione di secondo livello.
Qual è l’idea di fondo? Tutte le cose è insatura, esprime una proprietà, una proprietà che deve essere
saturata.
N.B. Le funzioni di primo livello corrispondono a proprietà di oggetti e contengono predicati. Mentre
le funzioni di secondo livello, non contengono predicati. È proprio qui l’originalità di Frege: le
proprietà (le funzioni) di primo livello, possono essere a loro volta oggetto di proprietà.
B = essere bello
essere esemplificato/posseduto da tutte le cose
∀x (Bx) OPPURE x(Bx)

Esempio:
“Tutti gli extraterrestri sono simpatici" >> questo tipo di enunciati davano problemi al sillogismo
classico, agli antichi: erano intrattabile. Frege dà una soluzione, fornisce uno strumento di analisi per
questi enunciati.
Facciamo un passo indietro, consideriamo il seguente esempio:
“Socrate è mortale” >> lo traduciamo M(s)
Quando diciamo “Tutte le cose sono mortali" stiamo applicando la proprietà “essere posseduto da
tutte le cose” alla funzione “essere mortale”.
(x) (x è mortale) OPPURE (x) (Mx)
Stiamo applicando alla funzione “è mortale” una funzione di secondo livello.
Il quantificatore universale si può scrivere in due modi:
• (x) (x è mortale)
• ∀x (x è mortale)

Esempio:
“Il Duomo di Milano è fatto di marmo”
Analisi logica:
“È fatto di marmo” = funzione
“Il Duomo di Milano” = argomento
Generalizzazione: “Tutto è fatto di marmo"
“Tutte le cose” = funzione di secondo livello
“Fatto di marmo” = funzione di primo livello
La funzione di primo livello è argomento della funzione di secondo livello (che esprimiamo come
proprietà di proprietà). “È fatto di marmo” è una proprietà di oggetti; “Tutte le cose” esprime una
proprietà, secondo Frege grammaticalmente è sì un soggetto, ma quello che esprime è una proprietà
di proprietà, è una funzione. Tutte le cose esprime una proprietà di essere esemplificato/posseduto
da tutte le cose.

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Altro esempio: “Mario è costituito da atomi”
Generalizzazione: “Tutte le cose sono costituite da atomi"
Per Frege: “Tutto” è una funzione di secondo livello, e dobbiamo pensare a questa funzione di
secondo livello come una proprietà di proprietà, cioè essa esprime la proprietà di “essere
posseduto/esemplificato da tutte le cose".
Esempio più complesso:
“Giovanni è imparentato con Luisa"
1° analisi logica:
“È imparentato con” = funzione >> I
Giovanni, Luisa = argomenti >> g, l
I (g,l)
Generalizzazione: “Tutti sono imparentati con tutti" >> ∀x ∀y (I x y)
2° analisi logica:
Giovanni è imparentato con = funzione >> G
Luisa = argomento >> l
G (l)
Generalizzazione: “Giovanni è imparentato con tutti” >> ∀x (Gx)
3° analisi logica:
“È imparentato con Luisa” = funzione >> L
“Giovanni” = argomento >> g
L(g)
Generalizzazione: “Tutte le cose sono imparate da Luisa” >> ∀x (Lx)

Dunque: “Ogni cosa è mortale”


Può essere tradotto con:
(x) (x è mortale)
∀x (x è mortale)
Nel Kenny: (x) (…x)
Esempio: (x) (Mx) si legge: “Per ogni x, M di x”
Ricapitoliamo:
N.B. La funzione di secondo livello è, come tutte le funzioni, una funzione insatura. È una funzione
che ha come argomento una funzione di primo livello. Essa esprime una proprietà di proprietà: la
proprietà di essere posseduto/esemplificato da tutte le cose.
Altro esempio: REGOLA:
Se sono miliardaria, mi compro uno yacht Se P, allora Q
Sono miliardaria P
Quindi, mi compro lo yacht Allora Q
Modus ponens: è un tipo di argomento sempre valido, la validità è indipendente da ciò di cui stiamo
parlando, mentre la correttezza tiene conto di ciò di cui stiamo parlando.
Si tratta di un argomento valido, ma non corretto poiché non trova conferma empirica: non sono
ricca.

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Lezione 4) 18/02/2019
Oggi consideriamo un quantificatore esistenziale. Esempio: “Qualcosa è animato”
“È animato” = funzione di primo livello = A
“Qualcosa” = funzione di secondo livello, cioè esprime una proprietà, quella di “essere esemplificato
da almeno una cosa”
“Essere animato” = A
Connettivo = negazione.
∀x (Ax) “Tutto è animato”
“Non tutto è animato” (negazione) ¬ ∀x (Ax) È DIVERSO DA “Qualcosa è animato”. Non si dà il caso
che per ogni x, x è animato.
“Qualcosa è animato” = ¬ ∀x ¬ (Ax)
“Tutto non è animato” = ∀x ¬ (Ax)
Qualcosa è animato quando non tutto non è animato (quando è falso che tutto non è animato).
“Qualcosa” = ∃, ma Frege non lo utilizza, perché non ne ha bisogno, usa i quantificatori “per ogni” e
“negazione”.

Esempio: “Alcuni studenti sono diligenti” = “Non tutti gli studenti non sono diligenti” = ¬ ∀x ¬ (Ax)
Negazione = non = “ ¬ ” OPPURE “ ~ ”

Esempio: “Socrate è mortale” : Ms, OPPURE ϕ di x


~Ms = “Socrate non è mortale”

“Ogni cosa non è mortale” O “Ogni cosa è immortale” >> (x)~(Mx)


N.B. “Ogni cosa è mortale”: negazione = 1. “Ogni cosa non è mortale” ; 2. “Non tutto è mortale” =
significati diversi (sia nel linguaggio logico, che in quello naturale).
La posizione della negazione fa la differenza:
“Ogni cosa è mortale”
(x)(Mx)
1. “Ogni cosa non è mortale”
(x)~(Mx)
2. “Non ogni cosa è mortale”
~(x)(Mx)
È una distinzione che facevano già gli antichi, tra due tipi di negazione: tra la contraria e la
contraddittoria. Per negare uno stato universale ci sono due tipi di negazioni diverse: la contraria e la
contraddittoria. Contraddittoria = è tale che, in qualunque situazione possibile non ha lo stesso
valore di verità dell'assetto contraddittorio; mentre la contraria = non possiede questa caratteristica,
può avere lo stesso valore di verità.
Contraria = “Ogni cosa non è mortale”
Contraddittoria = “Non ogni cosa è mortale”

Supponiamo: alcune cose sono mortali, altre no:


1. “Ogni cosa è mortale” = falso
2. “Ogni cosa non è mortale” = falso
3. “Non ogni cosa è mortale” = vero

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1 e 2 hanno lo stesso valore di verità, ma 3 ha un valore di verità diverso da 1 ed è la contraddittoria
di 1.
“Qualcosa è mortale” = “Non tutto non è mortale”
~(x)~(Mx) È EQUIVALENTE A ∃x(Mx )

Esempio:
• “Per ogni x, x non è animato” È EQUIVALENTE A “Non esiste un esiste tale che ax ~Ex (Ax)”
• “Non per ogni x, Ax” = Ex ~(Ax)
• “Per ogni x, x è animato” = ~Ex ~(Ax)

Esempio:
“Niente è bello”
B = essere bello
Per ogni x, ~Bx
Predicato che si applica ad un oggetto, che è “niente”. Per Frege questo è sbagliato. Perché niente
non è un oggetto, è un errore logico pensare che niente sia un oggetto.
Niente, per Frege = funzione di secondo livello = proprietà di non essere posseduto da alcunché.
“Niente è bello”: diciamo che una certa proprietà, la proprietà di essere bella, ha a sua volta una
proprietà, quella di non essere posseduto da nulla. Per Frege, con “niente” o “nulla”, non ci stiamo
riferendo a un’entità, ma stiamo parlando di proprietà di proprietà. Non è equivalente ad un nome.
“Niente” = funzione di secondo livello.
Stessa cosa per “Niente è brutto” e “Niente è utile”.
Esempio:
“Niente è meglio della Nutella” niente è meglio della Nutella non è esemplificato da alcunché. Se
indichiamo “niente” come soggetto grammaticale, che si riferisce a un soggetto, facciamo un errore
logico per Frege.
Ricapitolando, noi abbiamo introdotto:
• Costanti individuali = prime lettere dell'alfabeto minuscole;
• Costanti predicative = lettere maiuscole, esprimono per Frege le funzioni di primo livello;
• Variabili = ultime lettere dell’alfabeto minuscole;
• Quantificatori = universale ∀ OPPURE (x) / esistenziale ∃
• Negazione = ~ OPPURE ¬

“Non esiste un x, tale che non Mx” = (x)(Mx)


“Ogni cosa non è mortale” = con il quantificatore esistenziale: “Non esistite (~∃) una x, tale che Mx”
“Non ogni cosa è mortale” = “Non si dà il caso che x(Mx)” = con il quantificatore esistenziale: “∃ una
x, tale che non Mx”
“Non ogni cosa non è mortale” = “Non si dà il caso che non ogni x non Mx” = con il quantificatore
esistenziale: “∃ un x tale che Mx”

Qual è la differenza tra contraria e contraddittoria per un asserto universale?


“Per ogni x ax” la sua contraddittoria è “Non per ogni, x(ax)”
“Tutto non è mortale”, “Niente è mortale” la sua contraddittoria è “Qualcosa è mortale”, cioè “Non
per ogni x, non ax”

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“Tutto è mortale” = “Per ogni x, Mx” OPPURE “Non qualcosa x e non Mx”
“Qualcosa è mortale" = “Non tutto non è mortale”
“Tutto non è mortale” è negato da “Non tutto non è mortale”

Di solito restringiamo il campo: “tutti gli studenti” è diverso da “tutti”.


Come si fa a restringere il campo d'azione del quantificatore?
Abbiamo bisogno dei connettivi, uno per esempio è la negazione.
La negazione di P è non P. Se P è vero, non-P è falso. Se P è falso, non-P è vero. Tavola di verità di P.
Altri connettivi logici:
• Uno è la congiunzione che si scrive A ∧ B. Tavola di verità : AB | A ∧ B . Se sono entrambi veri,
vera. Se uno vero e l’altro falso, falso. Se entrambi falsi, l’asserto è falso.
P Q P∧Q
V V V
V F F
F V F
F F F
Frege non parlava di valore di verità. La tavola di verità ci dice che teniamo solo la prima alternativa,
quella in cui i due congiunti sono entrambi veri.
• Disgiunzione: AB | A ∨ B. Se sono entrambi veri, V o falso ma dipende da inclusiva o
esclusiva. Se una vera e l'altra falsa, la disgiunzione è vera. Se sono entrambi falsi, è falsa.
N.B. Aut = esclusiva. Vel = inclusiva. Di solito interessa quella inclusiva ai logici. Quindi se
entrambi veri, la disgiunzione è vera.
P Q P∨Q
V V V
V F V
F V V
F F F

La verità di un asserto non dipende da una singola situazione possibile. Es. Un asserto come la
disgiunzione non è reso vero da una sola situazione possibile, ma abbiamo diverse alternative.
• Condizionale AB | A→B oppure A>(più curvo)B = condizionale materiale. “Se..allora..”
Se sono entrambi veri, vero. Se l'antecedente è vero e il conseguente è falso, l'asserto è falso.
Se l’antecedente è falso e il conseguente vero, l'asserto è vero. Se sono entrambi falsi,
l’asserto vero. Quindi è sempre vero, tranne quando l’antecedente è vero e il conseguente
falso. [A→B = B come condizione necessaria di A].
Se e solo se cambia la tavola di verità A↔B, significa: se A allora B e se B allora A, come due
congiunti (A→B) ∧ (B→A) Se sono entrambi veri, l'asserto è vero. Se A è vero e B è falso,
l'asserto è falso. Se A è falso e il B è vero, allora è falso. Se sono entrambi falsi, l'asserto è
vero.
P Q P→Q P Q Q→P
V V V V V V
V F F V F V
F V V F V F
F F V F F V

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Lezione 5) 21/02/2019
I connettori sono espressioni, operatori, che connettono due enunciati. Il connettivo utilizzato da
Frege è il condizionale: P → Q (se P allora Q).
Significa non si dà il caso che P sia vera e Q sia falsa (Frege). Per lui quando assumiamo questo
stiamo escludendo che P sia vera e Q sia falsa. Tavola di verità:
P Q P→Q
V V V
V F F
F V V
F F V

“→” verrà intesa da Russell in poi come una funzione di verità.


Frege è consapevole che il cosiddetto condizionale materiale non sempre rispecchia il linguaggio
naturale. Esempio:
“Se il sole splende, allora 3×7=21”. Egli è consapevole che il nostro linguaggio naturale non risponde
pienamente al condizionale. Frege propone un'analisi del condizionale specifica. Occorre prendere le
distanze dal linguaggio naturale. Egli non può far altro che partire dal linguaggio naturale, ma ne
prende le distanze. Su questi aspetti poi ci sarà una lunga discussione. Alcuni filosofi ritengono che il
linguaggio naturale sia molto più complesso…ci sono invece filosofi che credono che il condizionale
indicativo possa essere analizzato come dice Frege. Per Frege noi quando consideriamo per esempio
un enunciato di questo tipo “Se una zolletta di zucchero è immersa in un liquido caldo, allora si
scioglie” per lui noi diciamo che è vero ma perché ne facciamo una lettura causale (prendiamo in
considerazione il nesso di causalità, mentre nell'enunciato precedente noi non vediamo
nesso/relazione causale). Ciò che ci permette di asserire la verità di un condizionale è che
escludiamo un’opzione secondo cui affermiamo l'antecedente e neghiamo il conseguente.
Condizioni necessarie e sufficienti
Condizioni sufficienti: supponiamo di voler produrre un rumore. Che cosa è sufficiente per produrre
un rumore? Es. Urlare, battere le mani, parlare ecc…tutte queste sono condizioni sufficienti per
produrre un rumore, ma non sono condizioni necessarie. Che cosa vuol dire condizione necessaria?
Necessaria significa che ogni volta che avviene un rumore questa condizione si verifica. Es. Una certa
vibrazione.
Esempio:
“Se ho preso una multa, allora ho fatto un’inflazione”: prendere la multa condizione sufficiente.
“Ho preso una multa, solo se ho fatto un'inflazione”: prendere la multa condizione necessaria.
“Se piove, allora prendo l'ombrello”
“Prendo l’ombrello solo se piove"
N.B. Stiamo dicendo due cose differenti.
• Se da solo indica una condizione sufficiente.
• Solo se indica una condizione necessaria.
1.“Se batto le mani, allora produco rumore”: è vera
2.“Produco rumore solo se batto le mani": è falsa
N.B. Stiamo dicendo due cose diverse

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B = battere le mani
P = produco rumore
1.B→P
2.P→B
“Se sono operata, ho una malattia"
“Essere operata” è una condizione sufficiente, perché io abbia una malattia ovviamente non è c io
che provoca la malattia, mentre avere una malattia è una condizione necessaria per essere operata.
“Vengo operata solo se ho una malattia"
Se P allora Q
P solo se Q
P→Q
Per Frege sono equivalenti

P→Q NON È UGUALE A Q→P


Tavole di verità:
P Q P→Q Q→P (P→Q) ∧ (Q→P)
V V V V V
V F F V F
F V V F F
F F V V V
Condizioni necessarie e sufficienti: (si indica con la doppia freccia)
• Avere un colore
• Produrre un certo spetto luminoso
Frege non utilizza mai i simboli della disgiunzione e della congiunzione (guarda appunti sul
quaderno). Perché? Perché il condizionale sembra quello più utilizzato nelle argomentazioni.
Tautologie è contraddizioni:
Tautologia: è un asserto costituito attraverso connettivi logici ed è sempre vero, qualsiasi siano le
combinazioni dei valori di verità attribuiti ai singoli costituenti (es. 2 + 2 = 4 è vero in tutti i mondi
possibili, necessario di per sé, ma non è una tautologia). Contraddizione: asserto falso per tutte le
combinazioni dei valori di verità che il connettivo connette.
Lezione 6) 22/02/2019
Funzione: qualcosa si insaturo, che rimane costante all'interno di un enunciato. Abbiamo visto
inoltre cosa sia la contraria e la contraddittoria di enunciati che contengono quantificatori universali.
La negazione all'interno dell'enunciato, a seconda di dove la mettiamo esprimiamo significati diversi.
Attraverso questa diversa collocazione…quello che abbiamo visto è che possiamo fare delle
distinzioni: distinzioni presenti sin dall’antichità: tra contraddittoria e contraria. Poi abbiamo visto
cos’è una tautologia: un'espressione che contiene dei connettori, e per qualsiasi combinazione dei
valori di verità che noi attribuiamo agli enunciati che la compongono è sempre vera. Vs
contraddizione: sempre falsa.

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Asserti di identità: non hanno un ruolo preminente ma vengono presi in considerazione da Frege. Su
questi enunciati Frege cambia idea. Frege era un matematico, e in matematica l’identità è utile. X ≡ Y
(segno d’identità).
C’è una differenza tra i seguenti enunciati:
• La regina d’Inghilterra ≡ L'imperatrice d'India
• La regina d’Inghilterra ≡ La regina d'Inghilterra
Per Frege l’unica differenza è che cambia il simbolo prima e dopo il segno d’identità. Il primo segno
per Frege accresce la nostra conoscenza, mentre il secondo no. Questa differenza di informatività, di
valore informativo, non può essere spiegata semplicemente con una diversità di segni a destra e a
sinistra, ma con qualcosa di più.
Di rado facciamo asserzioni universali assolute: dobbiamo dunque restringere il campo. Asserzioni
più comuni:
“Tutti gli uomini sono mortali"
Vediamo come riusciamo a restringere il campo:
Dobbiamo introdurre due funzioni di primo livello
U = essere uomo
M = essere mortale
(x) (Ux→Mx)
“Tutti i gatti sono felini"
G = essere gatto
F = essere felino
(x) (Gx→Fx)
“Tutti gli extraterrestri sono simpatici"
Che valore di verità assume questo enunciato se non esistono extraterrestri? L’antecedente è falso
per qualsiasi sostituzione della x, però quando l'antecedente è falso il condizionale è vero, per Frege
dunque questo enunciato è vero.
“Tutti gli uomini sono mortali" qual è la contraddittoria (vedi appunti). La contraddittoria è “Non tutti
gli uomini sono mortali". Che È EQUIVALENTE A ≡ “Alcuni uomini non sono mortali"
N.B. Le condizioni di verità della disgiunzione sono 3 su 4 per esempio.
Quando dico “Non tutti gli uomini/extraterrestre sono mortali” sto dicendo che “non è vero che tutti
gli uomini sono mortali”, ma lascio aperte due strade: 1. “Non tutti gli uomini sono mortali”; 2. “Tutti
gli uomini non sono mortali (sono tutti immortali)".
La contraddittoria di un asserto esclude la verità di un asserto. E lascia aperte tutte le alternative che
non sono compatibili con il primo asserto 1. Alcuni uomini sono mortali altri no e 2. quella secondo
cui non ci sono uomini mortali.
È bene tener distinta la proposizione contraddittoria da quella contraria (appunti).
“Qualche politico è corrotto” per Frege È EQUIVALEMTE A “Non tutti i politici sono corrotti"
(appunti).
N.B. La contraddittoria si ottiene semplicemente mettendo la negazione davanti.
Variabili libere: secondo Frege dobbiamo immaginare che vi siano quantificatori nascosti. Frege
scrive che devono essere considerate come se fossero variabili vincolate da un quantificatore
universale il cui ambito è l'intera espressione.

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Perché sono importanti i segni logici? Perché sono strumenti per analizzare il linguaggio, per stabilire
quale sia la struttura logica del linguaggio e attraverso la struttura logica possiamo stabilire quali
siano i criteri di verità. La sua proposta risolve i seguenti problemi che gli antichi dibattevano: 1.
asserti universali che riguardavano oggetti che non esistono e 2. asserti che in cui comparivano due
espressioni quantificate, cioè o universali o particolari. Asserti ambigui, per questo non erano
identificabili, e l’analisi d Frege scioglie questa ambiguità. Es. “Tutti i marinai amano una ragazza
bruna”, perché è ambiguo? Perché potrebbe essere che tutti i marinai amino un'unica ragazza bruna,
ma potrebbe essere anche che tutti i marinai amino una ragazza bruna diversa (non necessariamente
ma stessa).
A = amare
M = essere marinaio
B = essere una ragazza bruna
1.Prima interpretazione “Un'unica ragazza bruna è amata da tutti"
2.Seconda interpretazione: “Tutti i marinai amano una ragazza bruna, non necessariamente la
stessa" (appunti)
Lezione 7) 25/02/2019
Vedremo 3 saggi:
• Funzione e concetto (1891)
• Concetto e oggetto (1892)
• Senso e significato (1892)
La nozione di funzione è stata introdotta nell'Ideografia, mentre la nozione di concetto ha un ruolo
fondamentale ne I fondamenti di aritmetica.
Funzione e concetto, punto chiave: un concetto è un particolare tipo di funzione.
Per un matematico “una funzione di x è un’espressione contenente x, una formula contenente x",
ma per Frege questo non è corretto. Per lui la funzione è qualcosa di insaturo e che rimane costante
all'interno di un enunciato. Frege distingue tra argomento della funzione e valore che una funzione
assume. La funzione è qualcosa di insaturo, ma quando la funzione viene saturata da qualcosa
produce/da luogo ad un valore. Introduce inoltre la nozione di decorso di valore: è un insieme di
coppie ordinate in cui il primo elemento è l'argomento a cui si applica la funzione la funzione, il
secondo elemento è il valore che la funzione assume per quell’argomento.
Esempio: (appunti)
Due funzioni possono essere diverse, ma avere lo stesso decorso di valori.
Vediamo Frege piano piano prendere le distanze dalla nozione matematica di funzione, dalla quale
parte.
Esempio: “..uccise Giulio Cesare” >> funzione insatura che a seconda degli argomenti assume come
valori, valori di verità.
La funzione “..è identico a..” espressione linguistica di identità: 22 = 2×2. >> “=”: funzione.
In matematica un’equazione è vera quanto i due simboli ai lati del segno = designano lo stesso
oggetto (ad esempio 22 e 2×2). Ciò che Frege vuole distinguere sono le espressioni numeriche e ciò
che denotato queste espressioni numeriche ai lati del segno =. La funzione non è più un espressione
linguistica, ma ciò che l'espressione linguistica denota.
Per Frege almeno l’identità denota una funzione che si applica a oggetti, argomenti che possono
essere numeri e valori di verità. La funzione d'identità denota una funzione a due argomenti ed è

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vera quando l'oggetto denotano a sinistra è lo stesso denotano a destra del segno di identità. Per
Frege l’identità è una funzione di primo livello. Ai due lati del segno di identità (=) possono esserci
due nomi o anche due enunciati..
Come possono due enunciati diversi essere posti accanto da al segno d’identità? Risposta di Frege:
occorre distinguere tra segno è significato.
Esempio: 2×2 e 12:3 dal momento in cui esse designano entrambe il valore 4, hanno lo stesso
significato, ma hanno sensi diversi. Il senso di un nome è il modo in cui un particolare oggetto ci
viene presentato. Per Frege il senso di un enunciato è un pensiero.
Esempio: oppure Romolo e il fratello di Remo denotano lo stesso individuo, ma hanno senso diverso.
Ai lati di un segno di identità possono essere posti due nomi o due enunciati. Per Frege qualsiasi
espressione che denota un oggetto è un nome (per Frege “il fratello di Remo” è un nome perché
designa un oggetto, mentre 2×2 è un enunciato). Vedremo come Frege cambia idea, le idee
scaturiscono dalla sua formazione di matematico…ma vengono successivamente estese ad ambiti
che vanno al di là della matematica (fino al linguaggio). Ad una funzione e sono associati valori. Pero
la funzione per Frege non va equiparata ad un decorso di valori nel senso che due funzioni possono
essere diverse e avere uno stesso decorso di valori.
I concetti sono quei particolari tipi di funzioni che assume come valori, valori di verità. Alcune
funzioni sono concetti, cioè quelle che assumono come valori, valori di verità. N.B. Prima la funzione
era un’espressione linguistica, mentre ora denota elementi linguistici.
Una funzione è qualcosa che ha natura insatura, è qualcosa che rimane costante per più argomenti, e
a seconda di come viene strutturata assume un valore. Alcune funzioni sono concetti (cioè tutte
quelle funzioni che una volta saturate assumono valori di verità). La nozione di significato che
prendiamo in considerazione è quella di significato di espressioni linguistiche. L'argomento è ciò a
cui si applica la funzione ed è ciò che la satura, dopo che una funzione è stata saturata otteniamo il
significato dell'enunciato, un valore di verità (in base al principio di composizione).
Differenza tra senso e significato di un nome: il significato è l’oggetto che l'oggetto denota, mentre il
senso è il modo in cui l'oggetto viene denotato. Il significato di un enunciato è il valore di verità,
mente il senso di un enunciato è un pensiero.
Quando le due espressioni ai lati del segno del segno d’identità denotano lo stesso oggetto, l'identità
assume come valore vero..
Lezione 8) 28/02/2019
Per Frege, i valori di verità sono due, e sono oggetti (idea che dopo Frege non verrà più sostenuta).
Vero e falso, per Frege, è importante che siano oggetti perché un enunciato di identità è vero
quando le espressioni da un lato o dall'altro del segno d’identità denotano lo stesso oggetto.
Esempio: (2 < 3) = (7 > 5)
(2 < 3) e (7 > 5) denotano lo stesso oggetto, cioè vero.
N.B. Il senso è il modo di presentazione dell'oggetto, mentre l’oggetto è il significato. Il senso di un
enunciato è un pensiero, dirà successivamente, ed è qualcosa di oggettivo…noi siamo in grado di
cogliere questo qualcosa di oggettivo.
Un concetto è un particolare tipo di funzione, una funzione che assume come valore un valore di
verità. (Appunti).
N.B. Il significato va al di là dell'espressione linguistica stessa. Nella maggior parte dei casi utilizziamo
espressioni linguistiche per indicare cose che vanno al di là della realtà linguistica.

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Esempio: “…conquistò la Gallia” >> Denota un significato o concetto
Mentre “Marco Aurelio” o “Giulio Cesare” denotano un oggetto
Idea particolare: composizionalità del significato. Il significato di un enunciato si ottiene
componendo il significato delle sue parti, delle parti che costituiscono l’annunciato stesso.
Quando la funzione “…conquistò la Gallia” viene saturata da “Marco Aurelio” assume un valore, in
particolare un valore di verità: in questo caso falso. Se applichiamo questa funzione a un altro
argomento: “Giulio Cesare” essa assume un valore di verità, cioè valore di verità: vero.
Il significato dei nomi è un oggetto, mentre nel caso degli enunciati essi denotato o hanno come
significato funzioni o concetti. Distingue però tra significato o denotazione e estensione che è per lui
un decorso di valori (insieme di coppie ordinate dove il primo oggetto costituisce un oggetto che può
essere applicato alla funzione, mentre il secondo oggetto il valore che assume la funzione..).
Esempio: “Maria corre velocemente"
Se noi diciamo “Velocemente è un avverbio" noi stiamo parlando della parola “velocemente", la
stiamo menzionando. I filosofi in questo caso fanno distinzione tra uso e menzione (distinzione
molto importante).
N.B. L'espressione “La capitale del tavolo” è un’espressione per Frege priva di significato. Per lui
inoltre i nomi fittizi sono nomi privi di significato, ma con un senso. Come anche l'espressione “Il più
grande numero primo". Anche se non c’è un significato c’è un modo di presentare un certo oggetto.
• Asserzione: atto di asserire;
• Asserto: ciò che ho asserito;
• Enunciato: qualunque espressione linguistica dichiarativa che può assumere un valore di
verità;
Cosa succede se un nome in un enunciato non ha denotazione? Esempio: “Babbo Natale è simpatico"
Per Frege “Babbo Natale" non ha significato, è privo di significato perché non è un oggetto di questo
mondo.
• “Tutti gli extraterrestri sono simpatici”
“Tutti gli extraterrestri" è una funzione di secondo livello (prima, nell’Ideografia) – denota
una funzione di secondo livello (ora).
• “Tutti i Babbo Natale sono simpatici” per lui è grammaticalmente scorretta! Sostiene che gli
oggetti e i concetti sono due cose distinte. Quello che lui dice è che è grammaticalmente
scorretta perché “Tutti" è un’entità che può essere saturata da uno o più concetti di primo
livello…si può applicare solo a funzioni o concetti di primo livello.
Se “Babbo Natale” è un nome Frege ci dice che è grammaticalmente scorretto per essere
corretto dovrebbe denotare un concetto ovvero “essere identico a Babbo Natale”.
N.B. “Extraterrestri” è diverso da “Babbo Natale" perché denota “essere extraterrestri".
“L’extraterrestre è simpatico” è privo di valore di verità, perché secondo Frege i nomi
preceduti da articoli determinativo singolari denotano un oggetto. Mentre “Un’extraterrestre
è simpatico” è falso (vedremo poi come Russell adotterà un'analisi diversa).
Per Frege ogni volta che compare un nome proprio che non ha riferimento nella realtà,
quell'enunciato perde di significato. Questo è un problema perché noi quando parliamo di funzione
vogliamo asserire verità e falsità di enunciati.

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Esempi particolari: “Il francese è elegante” OPPURE “La libertà e bella" casi in cui il linguaggio
naturale ci confonde. In questo caso l'articolo determinativo non denota un oggetto.
“Ci sono cigni neri" >> ∃x (ϕ x)
Ci sono concetti di primo livello e concetti di secondo livello. I concetti di secondo livello non sono
più espressioni linguistiche, ma significato di espressioni linguistiche.
“Essere simmetrico” è una proprietà di proprietà.
Vediamo in questo saggio come Frege amplia la nozione di funzione e come introduce la distinzione
tra senso è significato.
Lezione 9) 1/03/2019
Concetto e oggetto (1892)
L’obiettivo di questo saggio è mostrare che non è possibile che una stessa entità sia concetto è
oggetto. Quello che Frege fa e prendere in considerazione delle possibili obiezioni a questa tesi.
L'idea è che un concetto o la denotazione di un'espressione predicativa (cioè un'espressione che noi
riusciamo ad ottenere da un'espressione togliendo un nome proprio) oppure un’espressione
quantificata.
Un oggetto può costituire la denotazione di un soggetto grammaticale (per Frege è sempre la
denotazione di un nome proprio o di un'espressione preceduta da un articolo determinativo
singolare, poiché per lui in tal caso denota un oggetto).
Problema: un nome proprio può fungere da predicato?
• “Charlotte Brontë era una scrittrice di libri”
• “Charlotte Brontë era Currer Bell”
Nel secondo caso il verbo “essere” funge da sento di equazione = per lui è sbagliato un nome proprio
non può denotare un predicato.
• L'articolo determinativo singolare denota sempre un oggetto (es. il primo figlio di Renzi,
l'uomo più alto del mondo..).
• Invece l’articolo indeterminativo accompagna termini concettuali.
Esempio: per Frege: “L'uomo con la cravatta verde legge il giornale”
L = “leggere il giornale”
a = “l’uomo con la cravatta verde”
L(a)
Può essere vera o falsa, ma c'è un terzo caso cioè quando l'uomo con la cravatta verde non denota
un alcunché, e in questo caso l’enunciato non è né vero né falso, cioè è primo di significato (quando
non c’è un uomo con la cravatta verde). Diverse sono le cose quando abbiamo un articolo
indeterminativo: “Un uomo con la cravatta verde legge il giornale”. Abbiamo bisogno di due costanti
predicative: non solo L = “leggere il giornale”, ma anche V = “essere uomo con la cravatta verde”. A
quel punto si traduce: ∃× (Vx ∧ Lx), se non c’è un uomo con la cravatta verde è falso, non privo di
significato. Questa differenza, tra questi due tipi di enunciati, verrà criticata da Russell.

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Tesi principali di Concetto e oggetto:
• C’è un solco invalicabile fra concetti e oggetti:
1. Ci sono regole grammaticali per distinguerli;
2. Gli oggetti possono cadere sotto concetti, ma i concetti non possono cadere sotto
concetti.
Di fronte a questa tesi possono essere sollevate alcune obiezioni:
1. I criteri grammaticali danno risultati inaccettabili;
2. Anche i concetti possono cadere sotto concetti (concetti di primo livello sotto quelli di
secondo livello).
Esempio: “C'è almeno una radice quadrata di 4”
In questo caso si afferma che il concetto di primo livello “essere radice quadrata di 4”, cade sotto il
concetto “c’è qualcosa che gode..”
N.B. I concetti di secondo livello in cui cadono i concetti di primo livello, sono essenzialmente diversi
dai concetti di primo livello sotto cui cadono gli oggetti. Quello che Frege tiene a sottolineare è che
se i concetti di secondo livello hanno una natura insatura, possono avere come argomenti soltanto
concetti di primo livello e non argomenti, mentre i concetti di primo livello possono avere come
argomenti oggetti. Ogni volta che cerchiamo di costruire un enunciato in cui applichiamo un
concetto di secondo livello ad un oggetto, quello che otteniamo per Frege è un enunciato privo di
significato.
Esempio: “C'è Giulio Cesare" (senza senso) per lui significa “c’è qualcosa di identico a Giulio Cesare”,
per lui “c’è” denota un concetto di secondo livello che non può essere applicato ad un oggetto.
Quando noi pensiamo che abbia senso è perché “Giulio Cesare” denota un'espressione predicativa,
cioè “essere identico a Giulio Cesare”. Stessa cosa vale per “Tutti i Giulio Cesare" (senza senso),
dobbiamo introdurre un'espressione predicativa, che denota un concetto di primo livello: “essere
identico a Giulio Cesare”.
Ci sono espressioni linguistiche che sono precedute da un articolo determinativo, ma non sembrano
denotare nessun oggetto:
Esempio:
• “Il concetto radice quadrata di 4 non è un concetto”
Noi nel nostro parlare quotidiano utilizziamo delle espressioni per parlare della realtà
extralinguistica, però in alcuni casi noi abbiamo bisogno di parlare del linguaggio…quello che i filosofi
del linguaggio fanno è distinguere quando usiamo un’espressione linguistica e quando la
menzioniamo. La convenzione è che quando menzioniamo un lo mettiamo tra virgolette. Uso vs
menzione.
L'enunciato è ambiguo tra:
• Il concetto “essere radice quadrata di 4” non è un concetto (falso)
• “Il concetto ‘essere radice quadrata di 4’ non è un concetto” (vero) >> interpretazione del
Kenny
“Il concetto radice quadrata di 4” è un'espressione menzionata e non usata e dunque l'enunciato
risulta essere vero. Ecco l'interpretazione del Kenny per cercare di dare una spiegazione all'analisi di
Frege.
Per Russell un'espressione preceduta da una articolo determinativo è un concetto. Gli strumenti
utilizzati da Frege sono tutt’ora utilizzati. L’analisi di Frege qui comincia a trovare una difficoltà,

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quando le espressioni sono precedute da articolo determinativo. Quello che lui dice è che a volte noi
utilizziamo i nomi come abbreviazioni di descrizioni, cosa che non verrà accettata.
• Qual è il criterio grammaticale che ci permette di stabilire che un'espressione linguistica
denota un concetto? Un’espressione che è preceduta da un articolo indeterminativo e può
essere utilizzata come soggetto.
• “Maria ha un amico molto simpatico”, un amico molto simpatico può essere soggetto
grammaticale.
• “Un'amica di Maria è bionda” non denota un concetto è un enunciato e denota un valore di
verità secondo Frege. “È bionda” denota un concetto.
• “Un’amica di Maria che è bionda..” denota un concetto…perché: “Un'amica di Maria che è
bionda…è simpatica".
N.B. Frege “essere radice quadrata di 4” è un concetto non è un oggetto, cioè “essere identico a
radice quadrata di 4” è questo per Frege denota un concetto di primo livello. “La radice quadrata di
4” è un oggetto.
• Qual è il criterio grammaticale che ci permette di stabilire che un'espressione linguistica
denota un oggetto? Un’espressione che è preceduta un articolo determinativo e che possa
fungere da soggetto grammaticale in una frase.
N.B. Espressione predicativa: per Frege denota un concetto di secondo livello.
Lezione 10) 4/03/2019
Senso e significato o Senso e denotazione “Über Sinn oder Bedeutung” (1892)
Nel linguaggio corrente non hanno differenza. Frege introduce una distinzione teorica fra i due: sinn
(senso) = contenuti che un soggetto può afferrare con la mente. Bedeutung (significato) = significato
che concerne realtà extra-linguistica. Non è una definizione rigorosa della distinzione. La traduzione
in italiano è di sinn: senso, nel caso di bedeutung: significato oppure denotazione o riferimento.
Il punto di partenza di questo saggio sono gli enunciati di identità:
“La stessa del mattino è identico alla stella del mattino”
• “La stella della sera è identico alla stella del mattino”
Frege: la differenza del secondo tipo di enunciato della forma A=B, la differenza è una
differenza di segno. Identità: relazione fra un oggetto e sé stesso. Questo non spiega un
aspetto importante, cioè che il secondo enunciato di identità sia informativo. La stella del
mattino = stella della sera: vengono chiamati fosforo (mattino); espero (primo corpo
luminoso nel cielo, stella della sera). Scoperta dai babilonesi, cioè che espero è identico a
fosforo. Per di più è stato scoperto che non si tratta di una stella, ma di un pianeta, il pianeta
Venere. Secondo enunciato è un enunciato di identità informativo. Mentre il primo enunciato
è un enunciato..
La differenza di segno non spiega l’informatività dell'enunciato di identità, ma abbiamo bisogno della
nozione di senso. A=B, stesso oggetto presentato in due modi diversi, alla stella della sera
corrisponde un senso diverso dalla stella del mattino (alla base c'è l'idea è che il senso di un nome è
il modo di presentazione). L'informatività dell’enunciato d’identità dipende dal fatto che ai due nomi
sono associati sensi diversi.
Soluzione Ideografia: l’identità è una relazione fra nomi e oggetti. Relazione di identità: relazione fra
oggetti designati dai due nomi, A=A, non potrebbe essere diverso da A=B, posto che sia vero (A =

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stella del mattino e B = stella della sera). Se fossero solo i segni ad essere rilevanti per informatività
non sarebbe una vera conoscenza, ma dipende da qualcosa di arbitrario. Se tutto ciò che conta è
semplicemente il fatto che le due espressioni linguistiche sono diverse, quello che ci dice sulla realtà
extra linguistica non sarebbe diverso dal dirci A=A e A=B. Perché ci sia un'informazione legata
all’enunciato di identità è che alla diversità di segno deve corrispondere una diversità nel modo di
darsi, cioè del senso.
Esempio: triangolo: se il punto di intersezione di AeB è lo stesso di AeC, vuol dire che ci è presentato
in modo diverso (cioè senso diverso). Espressioni che designano oggetti, quindi sono nomi, che pur
designando lo stesso oggetto, hanno sensi diversi.
Ciò che il nome designa = significato.
Segno = il nome o il gruppo di parole o la lettera.
Nome = è l'espressione che designa un oggetto, può constare di più parole o più segni.
Chi conosce una lingua è in grado di afferrare il senso di un nome, che vuol dire riuscire a capire qual
è il modo di presentazione del nome assegnato. Noi non siamo in grado di cogliere un oggetto da
tutte le sue prospettive. Dato un nome, corrisponde un senso e tramite quel senso, un nome ha un
significato. Un nome può essere nominato da nomi diversi. Non è impossibile che due espressioni
diverse abbiano lo stesso senso. Ci sono parole che sono ambigue, hanno significati e sensi diversi
(Ogni marinaio ama una donna bruna. Una donna bruna per ognuno o una donna bruna per tutti i
mariani?).
Secondo Frege ogni espressione grammaticale che funge da nome, ha sempre un senso, ma a questo
senso non sempre corrisponde un significato.
Prima parte del saggio: ci propone una prima ragione per distinguere fra senso e significato, la prima
ragione per distinguere senso e significato è che due sensi diversi dello stesso significato
aggiungono informativitá alla relazione di identità.
Distinguere fra segni (in poche parole il segno grafico che corrisponde in un linguaggio alla parola),
senso e significato.
Secondo Frege, ogni espressione grammaticale ben costruita ha sempre senso, non sempre ha
significato. Di solito, per distinguere tra senso e significato, si parte dal significato. Per Frege un
nome proprio è qualunque espressione che designa un oggetto individuale, ma può constare di più
termini.
La rappresentazione è soggettiva, ed è diversa dal senso. Rappresentazione: immagine mentale
soggettiva, può variare da soggetto a soggetto. Qualunque elemento soggettivo è intriso di
sentimenti e può essere disuguale. Anche noi, più volte, entrando in contatto con un oggetto,
possiamo associarvi rappresentazioni diverse.
Il senso è oggettivo, è uguale per tutti.
La rappresentazione è soggettiva e differisce dal senso del segno. Il nome è un segno, se è scritto; il
senso e il significato appartengono al nome, espressione linguistica e a quel nome corrisponde un
segno, che noi scriviamo sulla carta, quel nome ha un senso e un significato. È il nome che ha un
senso ed un significato. A noi interessa il linguaggio, le espressioni linguistiche e di come le
espressioni linguistiche abbiano un significato. Il nome, attraverso il senso, ha anche un significato,
cioè designa effettivamente un oggetto.

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Metafora che Frege utilizza per distinguere fra presentazione, senso e significato: uomo osserva la
luna attraverso un cannocchiale. Il significato è la luna, cioè l'oggetto designato, l’oggetto in sé. Il
senso è l'immagine sulla lente del cannocchiale, modo di presentazione dell'oggetto.
Rappresentazione immagine retinica dell'osservatore. Rappresentazione =dimensione soggettiva.
N.B. Senso: modo di presentazione dell'oggetto designato, ed è oggettivo. Significato: è ciò che
denota l'oggetto. Il segno di un'espressione linguistica è la parola scritta.
“Maria” è un segno, il significato è la persona in carne ed ossa.
Senso Aristotele = “maestro di Alessandro Magno", “chi ha scritto la Metafisica”.
Nel linguaggio ideale: un solo senso per ciascuno nome proprio. Nel linguaggio naturale, un nome
proprio non ha sempre un solo senso. Questi sono difetti del linguaggio naturale.
Ci sono dei nomi per Frege che hanno un senso, ma non un significato.
“Cabina telefonica in cima al cervino” non ha un significato
“Il quadro di Picasso posseduto da Elisa Paganini” non ha un significato
“L'ippopotamo volante”
“Il più grande numero primo”
“La serie meno convergente”
Serie: somma dei termini di una sequenza. Una serie è convergente quando c'è un numero finito che
è il limite della somma della serie in considerazione. Non esiste la serie meno convergente, perché
ne possiamo creare sempre altre meno convergenti, è un nome che ha un senso, ma non un
significato.
La distinzione fra senso e significato dei nomi è rilevante non solo per gli enunciati di identità, ma
anche per spiegare l’informatività che assumono enunciati che contengono nomi propri senza
significato.
Anche gli enunciati hanno un senso e un significato: [Da pag. 23]:
• Senso: pensiero;
• Significato: valore di verità;
Esempio: “Odisseo approdò ad Itaca immerso in un sonno profondo”
Principio di sostituibilità: possiamo sostituire un'espressione all’interno di un enunciato con un'altra
avente lo stesso significato, e il significato dell’enunciato non varia. In tal caso però il pensiero
cambia. >> Enunciati con stesso significato, ma senso diverso.
Esempio: “La stella del mattino è un corpo illuminato dal sole” – “La stella della sera è un corpo
illuminato dal sole”
“È un corpo illuminato dal sole” si riproduce nei due enunciati (sono espressioni con lo stesso senso
e lo stesso significato). “Stella del mattino” e “stella della sera”, se accettiamo che hanno lo stesso
significato, allora i due enunciati devono avere lo stesso significato, cioè lo stesso valore di verità:
dunque se il primo è vero allora anche il secondo è vero. Il senso però è diverso, perché il senso del
nome della stella del mattino è diverso dal senso del nome della stella della sera.
Se noi associamo significati diversi ai due nomi, possiamo arrivare a credere un enunciato vero e non
l'altro. Ciò spiega il fatto che noi possiamo credere vero uno dei due enunciati senza credere vero
l'altro: perché possiamo non conoscere l'identità fra stella del mattino e stella della sera. Ciò che noi
cogliamo con il pensiero non può corrispondere al significato, a tal punto il senso, ciò che noi

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cogliamo mentalmente, è tale che ci permette di accettare uno di questi due enunciati e non l’altro.
N.B. Il senso corrisponde al pensiero per Frege.
Gli enunciati che contengono nomi privi di significato, sono enunciati privi di significato, cioè né veri
né falsi.
Se “Odisseo” non ha un significato, l'intero enunciato è privo di significato.
Noi possiamo non sapere se un nome ha un significato. Ammesso che ci sia stato Omero, ci ha
raccontato qualcosa di una persona effettivamente esistita “Odisseo”. Possiamo dubitare che questo
sia effettivamente successo, potrebbe essere un'entità mitologica, in questo caso, se il nome non ha
significato, l'intero enunciato in cui il nome compare è privo di significato. Se un nome non ha
significato, l'intero enunciato non ha significato. L'importante è che ciò che fa sì che il nome
nell'enunciato abbia un significato non dipenda da ciò che sappiamo o crediamo di sapere, ma
dipenda da come il nome è stato introdotto nel linguaggio.
Un nome ha sempre un senso, ma non sempre un significato.
L’enunciato ha un valore di verità, ma non dipende da ciò che noi sappiamo. È necessario rendersi
conto di cosa permette ad un enunciato di avere valore di verità. [Per un filosofo realista la verità o
la falsità di un enunciato dipende da come stanno le cose nel mondo. Ma esiste anche minoranza
filosofi anti-realisti che ritiene che la verità o la falsità dipendano da strumenti in nostro possesso.
Posizione complicata da sostenere perché ci sono casi in cui non abbiamo strumenti di possesso
come per esempio: “Napolitano si grattò un orecchio 2005”, probabilmente ha valore di verità, ma
magari nemmeno Napolitano si ricorda. Frege è un realista].
N.B. “Un Giulio Cesare è simpatico”, “Qualche Giulio Cesare è simpatico": sono enunciati senza senso
perché non sono grammaticalmente corretti (gli enunciati grammaticalmente corretti hanno un
senso).
Per Frege il pensiero espresso dall’enunciato “Odisseo approdò ad Itaca..” è lo stesso, che Odisseo
abbia o meno significato. N.B. Che Odisseo abbia o meno un significato l'enunciato esprime
comunque un pensiero. Il pensiero, tuttavia, perde valore per noi se una delle sue parti non ha
significato. Noi infatti vogliamo che un nome abbia significato perché siamo interessati al valore di
verità (anche se non in tutti i casi: nell’ascoltare una poesia siamo più interessati al senso; l'dea è che
nel caso delle opere noi possiamo non essere interessati al valore di verità, e possiamo essere
gratificati dalla rappresentazione soggettiva di quell'opera e dal senso di questi enunciati).
N.B. I numeri per Frege hanno un significato.
L'aspetto oggettivo dipende dal senso, che è oggettivo.
Per Frege un nome ha un senso e un significato e un enunciato dovrebbe avere un senso e, se c'è
l'ha, un solo significato. Ciò è utile per gli oggetti fittizi: avere un solo e oggettivo senso.
L'oggettività dipende dal fatto che il senso dell'enunciato è oggettivo e noi riusciamo a cogliere un
pensiero…ed è qualcosa che tutti riusciamo a cogliere anche se l’enunciato potrebbe non avere
valore di verità.

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Distinzione fra senso e significato:
1. Utile per rendere conto dell’informatività di alcuni enunciati d’identità che non si riesce a
spiegare solo attraverso dimensione del significato. L'enunciato d'identità è vero se i nomi
designano lo stesso oggetto. Per un enunciato di identità ciò che è convenzionale non rende
conto del informativitá. Dobbiamo fare appello al senso dei due nomi che compaiono
all'interno dell'enunciato.
2. Per rendere conto dei nomi propri senza significato e degli enunciati che li contengono. Noi
siamo in grado di cogliere il senso degli enunciati senza cogliere il significato. Noi cogliamo il
pensiero associato a questi enunciati, senza cogliere significato associato a enunciati.
Il vero e il falso per Frege sono oggetti. Può suscitare perplessità questa tesi. Il vero e falso sono
proprietà del pensiero.
“Cinque è un numero primo”
“Il pensiero che cinque è un numero primo è vero”
Per Frege sono due enunciati che esprimono lo stesso pensiero e hanno lo stesso significato.
Pensiero è vero come soggetto e predicato, stanno sullo stesso piano, il valore di verità può far parte
del vero, perché è un oggetto. Con il predicato “essere vero”, noi non introduciamo il valore di verità
del pensiero dell’enunciato, ma il predicato “essere vero” in un enunciato non dice nulla di più di
quello che ci dice l’enunciato senza questo predicato. Verità o falsità non li predichiamo in termini,
ma hanno a che fare con il piano del significato. Questi due enunciati hanno stesso significato, ma
senso diverso.
“Sono identiche quelle cose che si possono sostituire reciprocamente, mantenendo lo stesso valore
di verità” -Leibniz.
N.B. Per Frege il significato delle parti enunciato è ciò che contribuisce alla determinazione del valore
di verità dell’enunciato stesso e si possono sostituire parti che mantengono lo stesso significato e
quindi che contribuiscono nello stesso modo la determinazione del valore di verità dell’enunciato.
[I due enunciati esprimono per Frege lo stesso pensiero; entrambi hanno lo stesso significato,
entrambi sono nomi del vero. Finché noi applichiamo “essere vero” come predicato, non
aggiungiamo nulla di più a quello che già dice l’enunciato. Frege sostiene che il significato delle parti
dell’enunciato contribuisce al valore di verità dell’enunciato].
Lezione 11) 11/03/2019
Problemi filosofici:
• Rendere conto dell'informatività degli enunciati di d'identità.
• Ci sono alcuni nomi che non si riferiscono a nessuno oggetto fisico nel nostro mondo. Eppure
noi leggiamo romanzi, siamo attratti da questi enunciati. Per Frege, in questi casi la questione
della verità non si pone, però questi enunciati noi li possiamo apprezzare anche perché hanno
un senso, cioè esprimono un pensiero che è coglibile con la mente.
Nomi propri che hanno un senso, ma non hanno un significato:
“La cabina telefonica in cima al Cervino”
“Il quadro di Picasso posseduto da Elisa Paganini"
“L'ippopotamo volante”
“Il più grande numero primo"
“La serie più convergente"

22
E per gli enunciati? Anche gli enunciati hanno un senso e un significato:
• Senso: pensiero;
• Significato: il valore di verità, il Vero o il Falso (oggetti);
Frege pone l'accento su 3 livelli che vanno tenuti nettamente distinti:
1. Livello dei segni (Ideografia)
“Nerone suonava la cedra": funzione = suonava la cedra; Nerone = argomento.
2. Livello del senso
“Nerone suonava la cedra"
Nerone = il quinto imperatore romano (il modo in cui l'oggetto denotato ci è dato);
Suonava la cedra (qualunque cosa uno afferra quando comprende il predicato);
Nerone suonava la cedra = pensiero;
N.B. Frege non ci dice mai il senso di un'espressione predicativa. Il senso di un enunciato si
ottiene componendo il senso delle parti che costituiscono l'enunciato (il principio di
composizionalità vale tanto per il significato quanto per il senso).
3. Livello del significato
Che cosa succede quando un enunciato è parte di un altro enunciato?
Se la denotazione di un enunciato è il suo valore di verità.
Se un enunciato A contiene un enunciato B come sua parte e se sostituiamo in A ogni occorrenza di B
con un altro enunciato C che ha lo stesso valore di verità di B, otteniamo A'…Allora l'enunciato che
otteniamo A' avrà lo stesso valore di verità di A.
Il principio di composizionalità è legato ad un altro principio che Frege accetta, cioè il principio di
sostenibilità. Se noi prendiamo di un qualsiasi enunciato un'espressione e la sostituiamo con
un'espressione che possiede lo stesso significato otteniamo un enunciato con lo stesso valore di
verità dell'enunciato di partenza. Ci sono casi in cui il principio di composizionalità sembra non
essere rispettato, ma Frege non lo accetta (sembra). Per lui il principio di composizionalità e il
principio di sostituibilità è sempre rispettato, ma in alcuni casi il significato di un enunciato non è il
suo valore di verità. Si verifica in 3 casi:
1. Caso 1)
Smith disse “Il mondo finirà nel 2000”
Smith disse “Le rane hanno le corna"
Il primo è chiaramente vero, ma il secondo può essere falso il principio di composizionalità e
quello di sostenibilità in particolare sembrano venir veno. In questo caso il significato
dell'enunciato tra virgolette non è un valore di verità, ma sono le parole stesse (perché
stiamo citando). Quindi il principio di composizionalità e sostenibilità vale, ma vale solo per
un’espressione che contenga le stesse parole.
2. Caso 2): verbi che introduco subordinate indirette:
1. Verbi che riferiscono affermazioni (disse, affermò, dichiarò ecc);
2. Verbi di credenza (gli sembra, crede, ritiene ecc);
N.B. “Credere” è un atteggiamento proporzionale, mentre “sapere" no, noi possiamo
sapere solo ciò che è vero.
3. Rallegrarsi, deplorare, deplorare, approvare, biasimare, sperare, temere, dubitare;
4. Resoconti di ordini e domande es. “Mario ha ordinato che gli venisse portata la cena”;

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“Mario crede che Milano sia in Lombardia”
“Mario crede che Sagliano Micca sia in Piemonte”
Anche in questo caso non possiamo sostituire “Milano è in Lombardia" con un enunciato con
lo stesso valore di verità, cioè, per esempio, “Sagliano Micca è in Piemonte". Mario può
credere che Milano sia in Lombardia, ma non credere che Sagliano Micca sia in Piemonte.
Anche qui, per lui, l'enunciato non ha come significato un valore di verità, ma un significato
indiretto, ciò che solitamente è il senso di un enunciato, cioè un pensiero. I critici si sono
chiesti: ma allora il senso di questo enunciato qual è? Gli enunciati di credenza sono enunciati
tipici del discorso indiretto (soggetto che ha una certa posizione nei confronti di un oggetti,
enunciati molto difficili da trattare): Frege ci dice che questi enunciati non hanno come
significato un valore di verità, ma quello che solitamente chiamiamo senso (o pensiero).
[Altro esempio pag. 27-28] Il significato dell'enunciato subordinato non è un valore di verità,
ma un senso.
N.B. “Disse” compare sia nel caso 1) che nel caso 2):
Caso 1) “Disse” introduce una citazione: Maria disse: “Oggi sono stanca;
Caso 2) “Disse” introduce un discorso indiretto: Maria disse che era stanca;
N.B. “Che ore sono?” è un enunciato che non denota nessun valore di verità; “Mario ha chiesto che
ore sono” denota un valore di verità.
3. Caso 3) subordinate nominali (molto simili a quelle che poi Russell chiamerà descrizione
definite) [pag. 30]
“Chi scoprì l'orbita ellittica dei pianeti morì in miseria” =
“Colui che scoprì l'orbita ellittica dei pianeti morì in miseria” =
“Lo scopritore dell'orbita ellittica dei pianeti morì in miseria"
Come significato non ha un valore di verità, ma denota un oggetto, nel caso specifico denota
un soggetto, una persona. (Vedremo che su questo Frege e Russell avranno idee differenti).
Qual è la negazione? Per Russell la negazione di questo enunciato è proprio una disgiunzione:
o chi ha scoperto l'orbita ellittica dei pianeti non morì in miseria o non ci fu qualcuno che
scoprì l'orbita ellittica dei pianeti.
Per Frege questi enunciati subordinati nominali designano oggetti…e quindi possono essere
sostituiti o con oggetti o con altri enunciati subordinati nominali che designano lo stesso
oggetto…per lui non denotano valore di verità. Se il nome proprio che compare
nell'enunciato è privo di significato, allora l'intero enunciato è privo di significato. Se si
accetta che queste espressioni siano come nomi propri allora devono funzionare in tutto e
per tutto come nomi propri:
“Keplero morì in miseria”: qual è la sua negazione?
1) “Keplero non morì in miseria”
2) “Keplero non morì in miseria” o “Keplero non ha significato”
Il fatto che Keplero abbia un significato è una presupposizione, un presupposto e lo stesso
deve valere per quello che lui chiama “enunciato subordinato nominale". Per Frege noi
rifiutiamo che la negazione sia il caso 2), la disgiunzione. Perché noi presupponiamo che
“Keplero” abbia un significato.

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N.B. “Ulisse morì in miseria” – “Ulisse non morì in miseria”
Sono entrambi privi di significato, non hanno un valore di verità, perché non è soddisfatto il
presupposto secondo cui “Ulisse" ha significato. Per Frege denotano un pensiero, per questo noi
riusciamo a comprenderli.
Feege distingue tra senso e significato ed una delle due ragioni per le quali fa questa distinzione e
per dare una spiegazione a quegli enunciati che contengono oggetti di finzione (che non hanno un
riferimento alla realtà).
Quello che ci dice Russell (non ce lo dice mai esplicitamente) è che questa nozione di senso non è
indispensabile, ma con una diversa analisi possiamo fare in modo che tutti gli enunciati abbiano
valore di verità.
Senso e significato
Frege costituisce una sorta di spartiacque (i successivi filosofi del linguaggio dovranno dare una
risposta a Frege). Importante: ragioni della distinzione che Frege fa tra senso e significato:
1. Rendere conto dell’informatività di alcuni enunciati di verità;
2. Rendere conto dei nomi propri senza significato (e degli enunciati che li contengono).
Lezione 12) 14/03/2019
Russell: filosofo inglese che era anche un politico, un pensatore pubblico, fu anche arrestato. Ha
cambiato opinione più volte, ma a noi interessa la sua analisi delle descrizioni, descrizioni definite. È
uno scrittore diverso da Frege, il quale è sistematico e che ha avuto poco successo nella sua vita,
ma Senso e Significato, rimaniamo colpiti dalla chiarezza con cui scrive, mentre Russell è più difficile
da leggere. Le idee che leggiamo erano in un saggio del 1905 On Denoting (Descrizioni) si capisce un
po’ meglio, ma comunque non è un filosofo sistematico.
Questione terminologica:
Frege chiama nomi propri le espressioni che denotano un oggetto, es. “Giulio Cesare”, ma anche “il
punto di intersezione fra A e B”, “la stella del mattino”, “il fiume più lungo del mondo”…Russell li
chiama invece termini singoli. Per Russell i nomi propri sono quelli che scriviamo con la lettera
maiuscola. Mentre le espressioni precedute da articolo determinativo singolare e che possono
fungere da soggetto grammaticale Russell le chiama descrizioni definite.
Nel saggio che leggiamo Descrizioni, il suo obiettivo è l’analisi delle descrizioni definite mettendole a
confronto con le descrizioni indefinite (articolo indeterminativo e possono fungere da soggetto
grammaticale).
Esempi descrizioni definite:
“La moglie di Ciampi”
“La più simpatica delle studentesse di filosofia”
Enunciati che contengono descrizioni definite:
“La moglie di Sala è bionda” è un enunciato e la descrizione definita è “La moglie di Sala”. “Uomo
che legge il giornale” – “La montagna più alta del mondo” – “La piazza del duomo” – “Il pirata che ha
ammazzato più persone” sono descrizioni definite, mentre “Lo studio di Elisa è luminoso” è un
enunciato e “Lo studio di elisa” è la descrizione definita.
Russell propone un’analisi semantica/logica diversa degli enunciati che contengono descrizioni
definite e implicitamente rende superflua la distinzione fra senso e significato.

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Strategia di Russell: occorre confrontare le descrizioni definite con le descrizioni indefinite (punto di
partenza di Russell). Perché? La descrizione indefinita è preceduta da articolo indeterminativo e può
fungere da soggetto grammaticale.
“Un uomo, che legge il giornale in piazza duomo a Milano”
Distinzione fra descrizioni indefinite e enunciato che contiene descrizione indefinita: “Uomo che
legge giornale…” è l’enunciato. “Medico competente” è una descrizione indefinita, “Un medico è
competente” è un enunciato e “Un medico” è una descrizione indefinita.
“Il gatto di Francesca è bianco”
Esiste un X tale che X è un gatto i Francesca e X è bianco.
“Un gatto di Francesca” per Frege è un concetto di secondo livello esiste un x tale che x è un gatto di
Francesca e puntini x >> ∃x (Gx∧…x)

[Pag. 46, Descrizioni di Russell]


Quando io dico “ho incontrato un uomo”, diciamo qualcosa di diverso da “ho incontrato Rossi”. “Un
uomo” non ci parla di una persona specifica. Se non esiste nemmeno un uomo, “ho incontrato un
uomo”, sarebbe falso per Frege come per Russell: non esiste un soggetto che soddisfa questa
proprietà. L'idea è che queste espressioni denotano concetti, “un unicorno”, “un uomo” come “un
serpente di mare” denotano concetti. “Un unicorno” denota un concetto, ma non denota un
oggetto, denota un concetto anche se non c'è un oggetto che denota questo concetto.
Problema della irrealtà: la funzione di primo livello “ho incontrato x e x è umano” gode della
proprietà di secondo livello di essere talvolta vera. I meinonghiani sono i bersagli polemici,
soprattutto Meinong, di Russell. Per render conto del significato di enunciati che contengono nomi
che non denotano oggetti nel nostro mondo, Meinong diceva che denotavano oggetti inesistenti, per
Meinong ci sono oggetti esistenti e non esistenti, l'idea è che c'è un insieme di oggetti che ci sono e
un sottoinsieme di questi oggetti è l'insieme degli oggetti che esistono, il complemento di questo
insieme è l'insieme degli oggetti che non esistono. Nel cerchio dell’esserci ci sono esistere e non
esistere: tutte le cose ci sono, alcune esistono e altre no.
Il concetto è un'altra cosa, Meinong: i concetti sono entità distinte dagli oggetti. Questa era l'idea di
Meinong, questa idea a Russell non piace, perché “un unicorno” non ha bisogno di un oggetto
inesistente, noi abbiamo bisogno di un concetto. L'errore che hanno fatto i meinonghiani per Russell
è che non hanno tenuto abbastanza in considerazione il concetto (funzioni proposizionali). Per
Meinong questi enunciati es. “quadrato rotondo” devono denotare un qualche tipo di oggetto per
poter essere vere, perché altrimenti, come diceva Frege, quando utilizziamo espressioni del genere
(nomi propri) non denotano alcunché, (per Frege erano privi di significato). Russell reagisce a
quest’idea. L'idea di Russell è che quando utilizziamo descrizioni indefinite non abbiamo bisogno di
parlare di oggetti e questa idea deve essere utilizzata anche per altre espressioni perché dobbiamo
essere ancorati ad un senso della realtà, quindi queste espressioni denotato concetti, ma non
denotano oggetti. “Un unicorno” per Frege è un nome che non ha significato, per Russell ha sempre
un significato e denota un concetto. Noi possiamo immaginare una montagna dorata, ma Russell
dice, quando parliamo di un concetto, es. “quadrato rotondo" noi abbiamo l'idea di qualcosa che ha
due proprietà: “essere quadrato” ed “essere cerchio”, noi comprendiamo questo, e comprendiamo
che un oggetto non può avere queste due proprietà contemporaneamente (non possiamo
immaginarlo, ma per Russell noi afferriamo il concetto). Noi afferriamo il concetto complesso “essere

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quadrato ed essere rotondo”, questa è l'idea di Russell, c'è un concetto che corrisponde ad “essere
quadrato rotondo”, non c'è un oggetto che corrisponde a questo concetto, perché non c'è alcun
oggetto che soddisfa queste due proprietà contemporaneamente.
Il punto argomentativo di Russell è stabilire un parallelo fra enunciati che contengono descrizione
definita e enunciati che contengono descrizione indefinita.
Esempio: “Il gatto di Francesco è bianco”, è falso se Francesca non ha gatti. “Un gatto di Francesca è
bianco”. L'idea di Russell è che non c'è una differenza così forte fra un enunciato con descrizione
definita e un enunciato con descrizione indefinita. Non cambia tanto se Francesca non ha gatti. Non
c'è una grande differenza fra gli enunciati se lei non ha gatti. Per Frege non ha valore di verità.
Russell dice che le descrizioni non sono così diverse, nel caso in cui non ci siano oggetti, sono
entrambi falsi, non uno falso e uno privo di verità. Ma comunque una differenza c'è: “Il gatto di
Francesca”, ci aspettiamo che Francesca abbia almeno un gatto e non di più, mentre quando
abbiamo una descrizione indefinita ci aspettiamo che abbia un gatto o più di uno.
Descrizione definita:
1. esiste almeno una cosa che è gatto di Francesca;
2. diciamo che è al massimo una;
3. qualunque cosa sia gatto di Francesca, è bianco.
Devono essere tutte e tre vere, cioè:
1) esiste almeno una cosa che è gatto di Francesca: Ex Gx.
2) al massimo una cosa è gatto di Francesca: Ex Ay (Gy→X=Y)
3) qualunque cosa sia gatto di Francesca è bianco: Ax (Gx—>Bx)
E x (G(x) ∧ Ay (G(y→x=y) ∧ B(x))
Per Frege invece B(a): costante predicativa e costante individuale. Enunciato per Frege è privo di
valore di verità se Francesca non ha gatti, mentre per Russell è falso, e lo è anche se ha più di un
gatto.
L'enunciato con descrizione indefinita non include clausola di unicità che invece c'è quando abbiamo
enunciato con descrizione definita.
“Un gatto di Francesca è bianco”: Ex (G(x) ∧ B(x))
[Fine pag. 53]: La descrizione definita non va bene per “abitante di Londra” perché non c'è n’è solo
uno, come non va bene per “l'attuale re di Francia” perché non c'è n’è neanche uno. Ma si può
parlare “dell'attuale re di Inghilterra”, l'Inghilterra è una monarchia perciò si può parlarne. Ogni volta
che è vero l’enunciato con la descrizione definita, è vero anche l’enunciato con la descrizione
indefinita.
“L'autore di W. era scozzese”: se tutte e tre le clausole sono vere, possiamo dire che è vero che
“L’autore di W. è scozzese”. Ma se una è falsa, non possiamo dedurre che “L'autore di W. è
scozzese”.
Ex tale che x è autore di W. e x è scozzese. La negazione è univoca? Due tipi di negazione per Frege:
contraria e contraddittoria.
Contraddittoria: non esiste un x tale che Wx e Sx
Contraria: Ex tale Wx e non Sx.
Supponiamo che ci sia un autore di W. ma che non era scozzese. Contraria e contraddittoria risultano
essere vere.
Supponiamo che nessuno abbia scritto W. La contraddittoria è vera. La contraria è falsa.

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Ci sono due modi di rendere la negazione che non sono equivalenti fra loro.
Contraria: ~ Ex Wx e Ay se Wy allora X=Y e Sx.
Oppure la contraria: Ex Wx e Ay se Wy allora X=Y e ~ Sx
Possiamo negare ovvero costruire la contraddittoria o la contraria.
“Il gatto di Francesca è bianco” per Russell due negazioni: o “Francesca non ha un solo gatto”
OPPURE “lo possiede, ma non è bianco”.
La negazione di un enunciato come “Il gatto di Francesca è bianco" è ambigua fra contraddittoria e
contraria. Russell dice che a queste due diverse analisi della negazione corrispondono due diversi usi
della descrizione definita che può avere occorrenza primaria oppure occorrenza secondaria. Nel caso
in cui la descrizione ha occorrenza primaria, la negazione va fuori dall’ambito della descrizione
definita, perciò nega il predicato, quindi è la contraria, Ex Gx e Ay Gy allora x=y e X non è bianco.
Altrimenti, se occorrenza secondaria, accetta che la negazione la prevarichi, quindi accetta la
contraddittoria “non esiste un X che è gatto di Francesca e Ay Gy allora X=Y e BX”.
Obiettivo del saggio: analisi descrizioni definite diversa da Frege, ci permette di fare a meno della
distinzione fra senso e significato, implicito per Russell. Se le descrizioni definite sono senza oggetti
sono concetti, allora l’enunciato è falso per Russell.

Lezione 13) 15/03/2019


Russell: non c'è una differenza così forte tra descrizioni indefinite e descrizioni definite. Il suo
obiettivo è costruire un parallelo tra descrizioni definite e descrizioni indefinite.
La descrizione definita è molto simile alla descrizione indefinita con l'unica differenza che la
descrizione definita richiede una clausola di unicità.
“Il gatto di Francesca è bianco"
Prima clausola: Ex Gx
Terza clausola: ∀x (Gx → Bx)
“Un gatto fi Francesca è bianco"
Ex (Gx ∧ Bx): se è vero questo non è detto che siano vere entrambe le clausole 1 e 3 insieme.
N.B. Per Russell non succede mai che un enunciato che contiene una descrizione definita o una
descrizione indefinita sia privo di verità.
Per Russell noi utilizziamo per lo più nomi come abbreviazioni di descrizioni definite.
Secondo Russell la negazione è ambigua tra la contraria o la contraddittoria. Per Russell
effettivamente la negazione che contiene una descrizione definita è una disgiunzione…cioè quando
non vogliamo negare un enunciato abbiamo due possibilità.
Perché Frege non adotta la traduzione di Russell? Frege elabora le sue idee prima di Russell, ma è
chiaro che prende in considerazione la traduzione di Russell. In Senso e significato, prende in
considerazione quello che chiama enunciato subordinato. “Chi scoprì l'orbita ellittica dei pianeti"
può essere equivalente a “Lo scopritore dell'orbita ellittica dei pianeti".
Nell'enunciato “Chi scopri l'orbita ellittica dei pianeti morì in miseria" Frege scrive: “si potrebbe
obiettare che il senso del tutto racchiude come sua parte un pensiero, cioè che c'è stato qualcuno
che per primo identificò la forma dell'orbita dei pianeti”, quale sarebbe allora la negazione?
“Chi scoprì l'orbita ellittica dei pianeti non morì in miseria" OPPURE “Non vi fu uno che scoprì l'orbita
ellittica dei pianeti" questa è la negazione secondo Russell, perché Frege la rifiuta? Perché istituisce

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un parallelo tra nomi propri e enunciati subordinati nominali (descrizioni definite). Mentre Russell
istituisce un parallelo tra descrizione definite e descrizioni indefinite.
N.B. Russell 3 clausole:
1) Ex Ox
2) Ex ∀y (Oy → x=y)
3) ∀x (Ox → Mx)
¬ Ex (Ox ∧ ∀x (Oy → x=y) V Ex (Ox ∧∀x (Oy → x=y) ∧ ¬ Mx
Altri vantaggi della traduzione di Russell:
Noi abbiamo visto che se si accetta l'analisi logica e sistematica di Frege occorre distinguere tra senso
e significato per poter rendere conto di:
1. Nomi propri privi di significato;
2. L'informatività di alcuni enunciati di identità.
Russell si propone di mostrare che se si accetta la sua analisi delle descrizioni definite, è inutile
postulare la dimensione del “senso” per tali enunciati oltre a quella del significato.
L'informatività degli enunciati di identità. Consideriamo:
1. Scott = Scott
2. Scott = l'autote di Waverley
Prima clausola: esiste almeno un autore di Waverley;
Seconda clausola: esiste al massimo un autore di Wawerley;
Terza clausola: Chiunque sia autore di Wawerley è identico a Scott;
Basta che sia falsa una delle tre clausole che l'enunciato risulti falso.
1. Scott = Scott
3. Scott = Sir Walter
N.B. Noi vediamo un enunciato come informativo perché utilizziamo nomi come abbreviazioni di
descrizioni definite.
Gli enunciati di identità della forma x = x:
Per Russell sono banali truismi nel caso la x sia sostituita da un nome proprio.
• Socrate = Socrate
• Platone = Platone
• Giorgio Napolitano = Giorgio Napolitano
Ma non sono banali truismi nel caso in cui la sostituzione sia una descrizione definita:
• Il re di Francia = il re di Francia
• Il quadrato rotondo = il quadrato rotondo
Per Russell sono falsi in quanto non sono soddisfatte tutte le clausole.
[Pag. 52-53] Russell ci sta dicendo: un nome non è equivalente ad una descrizione, un nome indica
l'oggetto denotato, ma a volte noi utilizziamo nomi come abbreviazioni di descrizioni definite e a
quel punto aggiungono informazione all'enunciato.
N.B. Mentre per Frege enunciati che contengono nomi fittizi (es. Babbo Natale) sono privi di
significato, per Russell sono falsi.
Punto d'arrivo: questi filosofi ci propongono analisi molto sofisticate, ma tutti gli enunciati che
contengono nomi fittizie sono: o tutti privi di significato (Frege) o se i nomi sono utilizzati come
abbreviazioni di descrizioni definite, tutti falsi (Russell).

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Lezione 14) 18/03/2019
Realismo concreto:
L'idea alla base del realismo concreto sulle entità fittizie è che quando parliamo di entità fittizie, noi
siamo in grado di dire qualcosa di vero o qualcosa di falso (idea di partenza: gli asserti che
contengono nomi di entità fittizie sono veri o falsi).
“Sherlock Holmes è un detective”
“Madame Bovary è una donna"
“Sherlock Holmes è un carpentiere"
“Madame Bovary è un'operaia"
Alcuni filosofi cercano di sostenere questa tesi riprendendo le idee meinonghiane. Questi filosofi
riprendono le idee di Alexius Meinong (allievo di Brentano, contemporaneo di Frege). Da Brentano,
Meinong, riprende l'idea che il pensiero ha una natura intenzionale, il pensiero verte su oggetti. Gli
oggetti su cui verte il pensiero non dipendono dal pensiero. Prima questione: alcuni oggetti su cui
verte il pensiero esistono, altri oggetti su cui verte il pensiero non esistono (fra gli oggetti che non
esistono ci sono anche oggetti impossibili, come il quadrato rotondo). Idea centrale: tutti gli oggetti
su cui verte il pensiero ci sono…alcuni esistono altri no. L'idea è che tutti gli oggetti ci sono…alcuni
esistono altri non esistono. (Sono due insiemi complementari).
Che cosa individua un oggetto?
• Per Meinong è un insieme di proprietà.
Ci sono due concezioni che in filosofia si sono sviluppate riguardo l'oggetto:
• Concezione aristotelica: un oggetto è il sostrato (sostanza) delle proprietà.
• Concezione introdotta da Berkeley: un oggetto è costruito da proprietà (concezione che,
secondo gli interpreti, è anche la concezione meinonghiana).
Russell è un grande critico di Meinong. Le obiezioni di Russell:
1. Gli oggetti impossibili violano il principio di non contraddizione (non si può dare il caso che P e
nonP).
Esempio: Il quadrato rotondo è rotondo e il quadrato rotondo, in quanto quadrato, non è
rotondo (evidente violazione del principio di non contraddizione).
2. Gli oggetti possibili violano il principio di non contraddizione. N.B. Per Meinong un oggetto è
un insieme di proprietà.
Esempio: La montagna dorata esistente, contiene 3 proprietà: essere montagna, essere
dorata, essere esistente. Ma esiste o non esistente? Dal momento che non esiste nel nostro
mondo possiamo arrivare a dire: la montagna dorata esistente esiste e la montagna dorata
esistente non esiste.
Questa obiezione (2°) è devastante. Un oggetto risulta possibile se non è incoerente, il fatto
che alcuni oggetti possibili, per la teoria meinonghiana, porti a contraddizione sarà il
problema di alcuni filosofi. I filosofi neo-meinonghiani sono preoccupati da questa seconda
obiezione. L'obiettivo delle teorie neo-meinonghiane è quello di rispondere alle obiezioni di
Russell.

30
Terence Parsons (neo-meinonghiano)
Per un meinonghiano sono vere le seguenti asserzioni:
“Le montagna dorata ha la proprietà di essere montagna"
“La montagna dorata ha la proprietà di essere dorata"
“Il quadrato rotondo è quadrato ed è rotondo"
“Sherlock Holmes è un detective"
“Madame Bovary è una donna”
“Pierre Bezuchov è russo"
Per un meinonghiano ci sono: oggetti esistenti, oggetti inesistenti e oggetti impossibili (sottoinsieme
degli oggetti inesistenti). In quale categoria far entrare gli oggetti fittizi? (ATTENZIONE: non tutti i
nomi che compaiono nella finzione rientrano nella stessa categoria, possono comparire anche
oggetti esistenti). I nomi fittizi si riferiscono talvolta a oggetti esistenti come “Londra”, “Parigi”,
“Napoleone”, talvolta a oggetti inesistenti come “Sherlock Holmes”.
L'ontologia meinonghiana: quali e quanti sono gli oggetti inesistenti?
Per rispondere a questa domanda occorre innanzitutto considerare gli oggetti esistenti. Madame
Curie è un oggetto esistente e per oggetto esistente intendiamo un qualunque oggetto che è
esistente o è esistito. Possiamo correlare all’oggetto Madame Curie l'insieme delle proprietà che
esemplifica. L'insieme delle proprietà di Madame Curie si può scrivere nel modo seguente: {p:
Madame Curie ha p}, che si legge: l'insieme delle proprietà p, tali che Madame Curie ha p.
Quindi…ogni oggetto esistente è correlato ad un insieme di proprietà, le proprietà che di fatto
esemplifica. Possiamo dunque immaginare idealmente di elencare tutti gli oggetti esistenti e le
relative proprietà da essi esemplificate. Così facendo otteniamo gli oggetti che accettano sia i filosofi
meinonghiani che quelli non meinonghiani.
Gli oggetti inesistenti per i meinonghiani:
Se noi semplicemente creiamo degli insiemi di proprietà non possedute congiuntamente da nessun
oggetto esistente, ad ognuno di questi insiemi di proprietà corrisponde un oggetto non esistente.
Combinando in vario modo le proprietà otteniamo tutti oggetti inesistenti.
Gli oggetti possono essere completi, incompleti o impossibili:
• Un oggetto è completo se, per ogni proprietà, o quella proprietà o la sua negazione è
correlata con l'oggetto.
• Un oggetto è incompleto, è un oggetto che non è completo, cioè almeno una proprietà per
cui non è stabilito se l'oggetto la possiede o no (es. La montagna d'oro, perché non ha né la
proprietà né di essere in Italia, né di non essere in Italia).
• Gli oggetti impossibili sono oggetti a cui sono correlate proprietà che non possono essere
congiuntamente possedute da un solo oggetto (es. Il quadrato rotondo). [Pag. 75]
Parsons distingue le proprietà nucleari e le proprietà nucleari [pag. 75] Parson introduce le proprietà
extranucleari per evitare che gli oggetti possibili violino il principio di non contraddizionem
• Le proprietà che sono correlate ad un oggetto (sia esso esistente o non esistente) sono dette
da Parsons proprietà nucleari.
• Ma oltre alle proprietà nucleari egli ritiene che occorra introdurre le proprietà extranucleari.

31
Prendiamo ad esempio la proprietà “esistere". Se assumessimo che la proprietà “esistere” è una
proprietà nucleare avremmo dei problemi. Infatti se “esistere” fosse una proprietà nucleare noi
potremmo abbinarla a qualunque oggetto..
Soluzione di Parsons: “Esistere” è una proprietà extranucleare. Parsons fornisce un elenco delle
proprietà extranucleari che raggruppa in categorie [pag. 76]:
• Ontologiche: “esistere", “essere mitico", “essere fittizio"..
• Modali: “essere possibile”, “essere impossibile”..
• Intenzionali: “è pensato da Meinong", “è oggetto di adorazione"..
• Tecniche: “è completo"..
Problema: come distinguere proprietà nucleari e proprietà extranucleari? In un primo momento,
Parsons riprende una distinzione proposta da Frege e Russell fra proprietà possedute da individui e
proprietà non possedute da individui. In alcuni casi questa distinzione potrebbe essere adeguata. Ad
esempio la proprietà “esistere” non è una proprietà di individui per Frege e Russell e lo stesso si può
dire delle proprietà modali “è possibile” ed “è impossibile”. Ma per altre proprietà è molto difficile
sostenere che non sono proprietà di individui, ad esempio la proprietà “essere mitico", che è
introdotta dallo stesso Parsons, sembra essere una proprietà di individui.
Altri meinonghiani si sono concentrati su altre soluzioni, soluzioni alternative: l'esistenza è ambigua.
Esempio di apparente violazione del principio di non contraddizione: Il mobile in sala da pranzo è una
credenza e non e una credenza. Soluzione: Il mobile in sala è una credenza1, e non è una credenza2
(non è uno stato mentale). Ci sono due modi esistenti in letteratura per distinguere le ambiguità.
1) Soluzione
Una soluzione è quella di Rapaport (filosofo neo-meinonghiano), distingue tra:
• Oggetti meinonghiani (dipendenti dal pensiero);
• Oggetti attuali (indipendenti dal pensiero);
Esempio: La montagna dorata esistente esiste1 e non esiste2
• Esistere1: è una proprietà di alcuni oggetti meinonghiani;
• Esistere2: è una relazione fra un oggetto meinonghiano e un oggetto non meinonghiano;
Soluzione non perseguita ulteriormente. Per ogni oggetto abbiamo un oggetto meinonghiano,
l’ontologia è moltiplicata..
2) Soluzione
Altra soluzione, Routley e Zalta:
• Esistere1: è una proprietà di oggetti;
• Esistere2: è una proprietà di proprietà;
Queste soluzioni funzionano bene per il predicato “esistere", e gli altri predicati? N.B. Vera difficoltà
delle teorie meinonghiane. C'è un’assunzione che questa teoria fa che i neo-meinonghiani non
fanno. Quello che dice un meinonghiano è che noi parliamo degli oggetti inesistenti, come degli
oggetti esistenti, utilizzando quello che si chiama linguaggio estensionale: assunzione di un
meinonghiano e dei filosofi neo-meinonghiani. Utilizziamo lo stesso tipo di linguaggio, le stesse
regole. Noi dobbiamo renderci conto che il linguaggio, soprattutto all'interno della finzione, è diverso
da quello che troviamo fuori dalla finzione. Un meinonghiano comunque accetta sempre oggetti
possibili.

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Lezione 15) 21/03/2019
Obiezioni di Russell: la teoria meinonghiana porta alla violazione del principio di non contraddizione.
In base alla teoria meinonghiana abbiamo una violazione del principio di non contraddizione anche
per gli oggetti possibili (es. montagna dorata). I neo-meinonghiani hanno cercato di salvaguardare la
teoria meinonghiana…una soluzione è quella di Parsons. La soluzione si applica bene per alcune
proprietà come “esistere", ma esistono proprietà che Parsons considera extra-nucleari (quindi
proprietà di proprietà) anche se non sembrano esserlo. Altra soluzione: dire che “esistere" è
ambiguo. Abbiamo visto una proposta più revisionista e una meno revisionista. La soluzione di questi
paradossi russelliani è l'obiettivo che si pongono i neo-meinonghiani.
• Prima intuizione pre-teorica sugli oggetti fittizi:
Secondo Parsons noi abbiamo l'intuizione che le proprietà nucleari sono possedute da oggetti
fittizi. Noi cioè crediamo che Sherlock Holmes sia un detective e che Emma Woodward sia
una donna. Non tutti condividono questa intuizione, alcuni sostengono che solo in base ai
racconti di Conan Doyle Sherlock Holmes è un detective. (Prefisso: “In base alla storia così-e-
così”). Parsons rileva che nella maggior parte dei casi noi non usiamo il prefisso e siamo
soddisfatti di attribuire direttamente proprietà a oggetti fittizi o mitologici (es. “Pegaso è un
cavallo alato").
• Seconda intuizione pre-teorica sugli oggetti fittizi (riguarda le proprietà extra-nucleari):
Noi abbiamo inoltre intuizioni sulle proprietà extra-nucleari degli oggetti fittizi, cioè noi siamo
disposti ad accettare che Sherlock Holmes è un personaggio fittizio o che Madame Bovary
non esiste. In questo caso la nostra intuizione è che usare il prefisso “In base alla storia così-
e-così" non è appropriato ed è anzi sbagliato. Parsons ritiene che le proprietà extra-nucleari
non possano essere attribuiti agli oggetti fittizi se ci affidiamo a ciò che viene scritto nei testi
di finzione.
Intuizione che verrà mantenuta anche dai filosofi successivi.
Prima di considerare come attribuiamo proprietà nucleari agli oggetti occorre prendere in
considerazione..
Nomi che si riferiscono ad oggetti al di fuori della finzione:
Se ad esempio in un'opera di finzione compare il nome “Parigi" il riferimento è ovviamente alla città
che esiste al di fuori della finzione. Inoltre, se in un testo fittizio, uno riutilizza un nome utilizzato in
un'altra opera di finzione, il riferimento è al personaggio dell'altra opera di finzione (supponiamo ad
esempio che uno scriva un'opera di finzione in cui Sherlock Holmes si sposa; in questo caso il
riferimento del nome “Sherlock Holmes" è il personaggio introdotto da Conan Doyle e quindi il
riferimento è esterno all'opera di finzione [pag. 79].
Nomi che si riferiscono a oggetti nella finzione:
Altri usi del nome sono cosiddetti usi “creativi": l'autore dell'opera di finzione individua uno degli
oggetti non esistenti attraverso la sua opera. Parsons scrive di “creazione” di personaggi fittizi, ma
quello che l'autore fa non è portare all'esistenza o all'oggettività un oggetto, l'autore individua uno
degli oggetti non esistenti; e un oggetto individuato da un atto di finzione ha solo e soltanto le
proprietà che gli vengono attribuite nell'opera di finzione [pag. 79].

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Per Parsons si parte innanzitutto da oggetti esistenti che esemplificano un insieme di proprietà. Un
oggetto inesistente è semplicemente un insieme di proprietà che non è esemplificato da nessun
oggetto nella realtà (es. essere elefante + essere voltante).
N.B. Meinong rifiuta ogni tipo di realismo. Gli oggetti sono indipendenti dal pensiero (forma di
realismo).
Tutti gli oggetti esistono eternamente (forma di platonismo).
Idealismo (che un meinonghiano tende a rifiutare): le proprietà sono un modo che abbiamo di
rappresentare il mondo, non sono costitutive dell'oggetto, sono oggetto del pensiero.
Frege: non si può asserire verità o falsità di enunciati contenenti entità fittizie.
Per i nomi che si riferiscono a oggetti nella finzione – proprietà nucleari:
Dato un nome n che compare in un’opera di finzione e una serie di proprietà che sono attribuite
all'oggetto denotato da n nell'opera di finzione noi possiamo attribuire proprietà nucleari ad un
oggetto fittizio se e solo se quelle proprietà gli sono attribuite nell'opera di finzione. L'oggetto n ha la
proprietà nucleare p se e solo se l'opera di finzione gli attribuisce p.
Casi di indeterminatezza:
Ci sono cassi in cui le opere di finzione lasciano indeterminato se un certo oggetto ha o non ha la
proprietà p. Ad esempio, in base ai racconti di Sherlock Holmes, è indeterminato se Holmes ha o un
neo sulla spalla sinistra o meno. Questo significa che l'insieme di proprietà correlate con Holmes è
indeterminato rispetto a quelle proprietà. E quindi l'oggetto fittizio denotato da Sherlock Holmes è
un oggetto incompleto.
(Oggetto incompleto: oggetto tale che c'è almeno una proprietà p per cui non è determinato se
quell'oggetto ha la proprietà p o non ce l'ha. N.B. Non è oggettivamente determinato, non è che noi
non lo sappiamo).
Casi problematici:
1. Non chiarezza:
La teoria di Parsons non è chiara riguardo a certi aspetti, in particolare non è sempre chiaro
cosa s'intenda con l'espansione “Secondo la teoria così-e-così". Questa mancanza di chiarezza
è un pregio della teoria a parere di Parsons.
Ci sono casi in cui non è chiaro quale sia il corpo letterario rilevante (es. “Libri su Nero Wolfes
di Rex Stout").
Inoltre una storia può permettere diverse interpretazioni, ad esempio può non essere chiaro
se il protagonista sta mentendo o meno. In questo caso le due interpretazioni sono entrambe
ammissibili.
2. Problema dei 10 anelli magici:
Ci sono casi in cui le storie introducono diversi oggetti con le stesse proprietà. Esempio:
“Schaub era un drago che aveva 10 anelli magici. Fine". In questo caso, come facciamo ad
individuare i 10 diversi oggetti fittizi che sono gli anelli magici? Secondo Parsons in questo
caso non abbiamo oggetti fittizi, perché abbiamo uno specifico oggetto fittizio solo quando
abbiamo un insieme di proprietà che individua in modo univoco un oggetto. Per Parsons non
sono 10 oggetti. Tutt'al più “avere 10 anelli magici” è una proprietà del drago. Un oggetto
non esistente, fittizio, deve avere un insieme di proprietà univoco.

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3. Predicati extra-nucleari nelle storie:
Supponiamo che in una storia venga affermato che Nero Wolfed esiste. Dobbiamo allora
attribuire questa proprietà a Nero Wolfes? Secondo Parsons, non dobbiamo farlo perché
possiamo attribuire a un oggetto solo proprietà nucleari sulla base di quello che è scritto nel
testo di finzione.
4. Relazioni con oggetti reali:
Generalmente si considerano nucleari le relazioni che gli oggetti fittizi hanno con oggetti
reali. Ad esempio Sherlock Holmes ha fra le sue proprietà nucleari quella di “abitare a
Londra” o di “abitare al 221b di Baker Street a Londra”. Tuttavia alcuni hanno sostenuto che
queste proprietà rischiano di rendere il nostro discorso sulle entità fittizie incoerente e quindi
inaccettabile.
Il nostro discorso sulle entità fittizie è incoerente?
Sappiamo di accettare:
1) Sherlock Holmes abita al 221b di Baker Street
Supponiamo inoltre che nel mondo reale si dia il seguente fatto:
2) Al 221b di Baker Street c'è un birrificio
Da queste due assunzioni possiamo facilmente dedurre che:
3) Sherlock Holmes abita in un birrificio
Ma in base ai racconti di Conan Doyle noi sappiamo che:
4) Sherlock Holmes non abita in un birrificio
3) e 4) sono chiaramente l'una la negazione dell'altra…sembra quindi di arrivare ad una
contraddizione.
Quello che alcuni filosofi sostengono è che le relazioni tra oggetti esistenti e oggetti
inesistenti non debbano esistere. Parsons cerca di dare una soluzione a questo problema.
Strategia di Parsons: di fatto l’asserto 3) e 4) si prestano a una duplice interpretazione,
perché “abitare in un birrificio” può essere interpretata come una relazione con un oggetto
reale o come una relazione con un oggetto fittizio. Secondo Parsons Holmes ha la proprietà di
abitare in un birrificio reale, quello che dice 3), ma non ha la proprietà di abitare in un
birrificio fittizio, quello che dice 4).
Attenzione: problemi
3) Sherlock Holmes abita in un birrificio reale
È ambiguo: in un certo senso è vero, in un certo senso è falso. Sebbene Parsons sembra
consapevole di questo problema…non fornisce strumenti adeguati per risolvere l'ambiguità
(che pur riconosce).
5. Relazioni con oggetti irreali:
Alcuni filosofi hanno sostenuto che gli oggetti fittizi non possono avere, fra le proprietà
nucleari, relazioni con oggetti non esistenti. Ad esempio la proprietà che comunemente si
attribuisce a Pegaso di “essere stato cavalcato da Bellerofonte” non viene considerata una
proprietà nucleare. Tuttavia, secondo Parsons, ci sono buone ragioni per accettare le
relazioni con oggetti non esistenti come proprietà nucleari. Esempio: Sagaso ha tutte le
proprietà di Pegaso, eccetto quella di “essere stato cavalcato da Bellerofonte”. Per poter
distinguere tra Pegaso e Sagaso abbiamo bisogno della proprietà “essere stato cavalcato da
Bellerofonte”.

35
Altra questione che Parsons considera: oggetti nei dipinti. La teoria di Parsons si può applicare anche
ai dipinti raffigurativi. Supponiamo che un dipinto raffiguri un cavallo, l'oggetto fittizio raffigurato è
correlato con tutte le proprietà che ha nell'immagine.
Prescritto sui mondi possibili (ultima pagina): ma gli oggetti esistono in altri mondi possibili? Parsons
cerca di escludere questa possibilità. Secondo Parsons gli oggetti fittizi non esistono né in questo
mondo, né in altri mondi. Ad esempio, sempre secondo Parsons, Pegaso non ha la proprietà di avere
le ali in qualche mondo possibile, ma ha semplicemente la proprietà di avere le ali in questo mondo
perché è un oggetto di questo mondo.
Alcuni filosofi accettano questa strategia, pensano che possa aiutarci a dire la falsità o la verità su
oggetti fittizi, ma è importante notare che essi non pensano che gli oggetti esistano realmente in altri
mondi possibili.
Lezione 16) 22/03/2019
David Lewis [1941-2001] – Paper pubblicato nel 1978.
Caposaldi della teoria meinonghiana: gli oggetti sono ciò su cui vertono i nostri atteggiamenti
mentali, ma sono indipendenti dalla nostra mente, non sono idealisti. Oggetti: esistono e non
esistono (tra cui impossibili, che ci sono, ma non esistono). Gli oggetti sono individuati da un insieme
di proprietà.
Aristotele: oggetto = sostanza, sostrato di diverse proprietà, per Meinong: oggetto = costituito da
proprietà (riprendendo Burkling).
Finzione: filosofi che cercano di rendere conto del fatto che possiamo fare affermazioni vere e false
sul contenuto della finzione. Per fare questo, dato il loro sfondo teorico, un meingonghino sostiene
che noi ci riferiamo con nomi o descrizioni a oggetti, esistenti o non esistenti.
Lewis: filosofo molto prolifico da punto di vista dei lavori pubblicati e delle idee su campi diversi.
Filosofo americano del ‘900. La sua idea nel saggio Verità nella Finzione è che noi possiamo fare
affermazioni vere all'interno della finzione. In un certo senso rispetta esigenza dei meinonghiani. In
particolare ci dice che ci interessa rendere conto del fatto che possiamo riportare ciò che è vero
all'interno della finzione e lascia al di fuori della sua teoria quelle verità che noi possiamo voler
affermare su oggetti fittizi, ma al di fuori della finzione. Si può trovare tradotto questo saggio (Sandro
Zucchi 171-190).
Verità senza oggetti:
I meinonghiani pensano che ci siano oggetti fittizi, ma che siano per lo più oggetti inesistenti.
David Lewis non sarà subito chiaro nel dire che non abbiamo bisogno di oggetti fittizi per parlare
veridicamente della finzione, ma abbiamo bisogno di mondi possibili, che è un’entità. Egli ritiene che
oltre al nostro mondo, esistano anche altri mondi possibili. Per un realista come Devid Lewis i mondi
possibili hanno la stessa natura spazio-temporale del nostro mondo, ma sono spazio-temporalmente
inaccessibile dal nostro mondo. E gli oggetti che si trovano nei mondi possibili diversi dal nostro sono
in tutto e per tutto paragonabili agli oggetti di questo mondo, hanno proprietà (o non hanno
proprietà) nello stesso modo in cui le hanno (o non le hanno) gli oggetti di questo mondo.
Ci sono affermazioni vere e false sugli aspetti fittizi. L'idea è che possiamo fare affermazioni vere o
false sulla finzione. È il punto di partenza che collega Lewis a Parsons.
Il presupposto comune di Lewis e Parsons [pag. 261, primo paragrafo]:
Lewis osserva che ci sono affermazioni vere e affermazioni false sugli oggetti fittizi. Ad esempio:
diciamo vero che Sherlock Holmes vive abita a Baker Street e che gli piace vantarsi delle sue abilità
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intellettuali. Non possiamo dire veridicamente che siamo devota la famiglia o che collabori con la
polizia. Il presupposto di Lewis (come quello di Parsons) è quello di rendere conto della veridicità di
alcune affermazioni sugli oggetti fittizi e della falsità di altre.
La teoria meinonghiana negli occhi di Lewis:
In base alla teoria meinonghiana, le asserzioni della forma soggetto-predicato sono vere se e solo se
l'oggetto a cui si riferisce il soggetto gode della proprietà denotata dal predicato. Così “Holmes
indossa un cappello a cilindro” e “Nixon indossa un cappello a cilindro" sono false perché gli oggetti
denotati dal soggetto grammaticalmente non godono della proprietà denotata dal predicato.
Secondo un meinonghiano “Holmes” si riferisce ad un oggetto inesistente, mentre “Nixon” si riferiste
ad un oggetto in carne ed ossa [secondo paragrafo].
1. Prima obiezione di Lewis alla teoria meinonghiana: la distinzione fra oggetti esistenti e non
esistenti non è adeguata. Non è vero che “Holmes” non si riferisce ad un uomo in carne ed
ossa; se infatti confrontiamo Holmes con Clark Kent (il personaggio dei fumetti che è
Superman), ci sembra corretto dire che Holmes è un uomo in carne ed ossa come Nixon,
mentre Clark Kent non lo è [pag. 261-262, terzo paragrafo].
2. Seconda obiezione di Lewis: il problema del gruppo. La difficoltà è il cosiddetto “problema
del gruppo”. Ad esempio nella commedia Pinafore si dice che Sir Joseph Porter è
accompagnato da un gruppo composto dalle sue sorelle, cugine e zie. Non possiamo dire con
esattezza è composto il coro [pag. 262].
Il quantificatore universale ha un dominio, in partenza è “tutti gli oggetti del mondo fisico".
N.B. Per un meinonghiano il dominio è maggiore. Quando diciamo “tutti gli uomini”
restringiamo il campo di applicazione del quantificatore universale. In questo caso non è
chiaro come il dominio di quantificazione possa essere ristretto. Il meinonghiano non ha uno
strumento chiaro per restringere il campo del quantificatore universale. Non ha uno
strumento chiaro per distinguere ciò che deve essere incluso e ciò che deve essere escluso.
3. Terza obiezione: problema delle inferenze logiche.
Ad esempio, accettiamo come vero:
1) Sherlock Holmes abita al 221b di Baker Street
E sappiamo che:
2) C'è una banca al 221b di Baker Street
Da questo sembra che si possa dedurre:
3) Sherlock Holmes abita in una banca
Ma quello che ne traiamo è falso [pag. 262].
Proposta di Lewis: secondo Lewis quando noi utilizziamo questi enunciati quello che
utilizziamo/adottiamo sono operatori nascosti (impliciti). Nella seconda premessa (2)
l'operatore non è valido. Un’inferenza è valida quando le premesse sono vere e la
conclusione è vera. Nella prima premessa l'operatore è intensionale, nella seconda premessa
non c'è. Nel primo caso parliamo della storia (mondo funzionale), nel secondo del mondo
reale. Non dobbiamo confondere perché ciò ci porta a conclusioni false.
Un'alternativa semplice alla teoria meinonghiana (ancora da sviluppare):
Lewis propone di considerare gli enunciati che contengono termini fittizi come abbreviazioni di
asserti con il prefisso: “Nella storia così-e-così". Ad esempio “ Sherlock Holmes abita in Baker Street”
è un abbreviazione di “In base alle storie scritte da Conan Doyle, Sherlock Holmes abita in Baker

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Street”. Gli esserti che contengono oggetti fittizi sono falsi (o privi di valore di verità) se sono
considerati senza il prefisso “Nella storia così-e-così" e sono veri se in base alla specifica storia presa
in considerazione l'asserto è vero.
Riconsideriamo il problema delle inferenze logiche:
Premessa 1) Sherlock Holmes abita al 221b di Baker Street
Premessa 2) C’è una banca al 221b di Baker Street
Conclusione 3) Sherlock Holmes abita in una banca
(Scorretto)
Ad esempio, il seguente argomento è valido perché sia premesse che conclusione sono abbreviazioni
(secondo la teoria di Lewis) di asserti che contengono il prefisso “In base alle storie raccontate da
Conan Doyle" e perché la legge di inferenza valida:
Premessa 1) Sherlock Holmes vive al 221b di Baker Street
Premessa 2) C'è un'abitazione al 221b di Baker Street
Conclusione 3) Sherlock Holmes vive in un’abitazione
“La verità di una certa finzione è chiusa sotto l'implicazione".
Alcune difficoltà:
Sebbene Lewis intenda difendere la teoria appena proposta, egli riconosce che incorre in un paio di
difficoltà. Queste difficoltà verranno più seriamente prese in considerazione dagli studiosi successivi
a Lewis. È comunque interessante notare che Lewis ne è consapevole, anche se non riesce a fornirne
una soluzione.
Esempi di asserti “critici” [pag. 263]:
• Holmes è un personaggio fittizio
• Holmes è stato ucciso e poi resuscitato da Conan Doyle
• Holmes ha prodotto un seguito devoto
• Holmes simboleggia la strenua ricerca umana della verità
• Holmes non avrebbe avuto bisogno di cassette registrate per scoprire i segreti di Nixon
• Holmes avrebbe potuto risolvere i crimini A. B. C. più velocemente di Poirot
Prima difficoltà: non è sempre chiaro se il prefisso ci vuole o no
In alcuni casi gli asserti sugli oggetti fittizi sono ambigui e non è chiaro se il prefisso gli si deve essere
applicato o no [pag. 263].
Ricapitoliamo: N.B. Della seconda e della terza difficoltà si era reso conto anche Parsons.

Lezione 17) 1/04/2019


Ricapitoliamo:
• Aspetti che Lewis condivide con i meinonghiani (possibilità di asserire valori di verità a asserti
che contengono oggetti fittizi).
• Aspetti che differenziano Lewis dai meinonghiani.
• Critiche di Lewis ai meinonghiani:
1. Inadeguatezza della distinzione tra oggetti esistenti e oggetti non esistenti;
2. Il problema del mucchio;
3. Il problema delle inferenze logiche.
Una proposta (da raffinare): il prefisso “nella storia così-e-così".

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Due problemi per la teoria proposta: casi di incertezza sul prefisso e casi di inadeguatezza del
prefisso (gli asserti critici).
Il prefisso “nella storia così-e-così” è un operatore insensionale. È bene rendersi conto di quando
facciamo riferimento al linguaggio estensionale e quando al linguaggio intensionale. Un operatore
estensionale è un operatore che una volta applicato a un asserto permette che termini che hanno la
stessa estensione siano sostituibili, salva veritate.
Prendiamo per esempio l'operatore “Si dà il caso che”, questo operatore è estensionale. Prendiamo
l'asserto “Sergio Mattarella è il presidente della Repubblica Italiana" e applichiamogli l'operatore
estensionale “Si dà il caso che", otteniamo l'asserto “Si dà il caso che Sergio Mattarella sia presidente
della Repubblica Italiana”.
Ora sappiamo che il nome “Sergio Mattarella” e la descrizione “Il fratello di Piersanti Mattarella”
denotano la stessa persona (e hanno la stessa estensione). Ora se sostituiamo la descrizione al nome
nell'asserto precedente otteniamo: “Si dà il caso che il fratello Piersanti Mattarella sia il presidente
della Repubblica italiana”, che ha lo stesso valore di verità dell'asserto di partenza (se quello di
partenza è falso quello che otteniamo sarà falso ecc..).
Prendiamo ora in considerazione un asserto con le entità fittizie preceduto dall'operatore “Nella
storia così-e-così":
“Nelle storie scritte da Conan Doyle, Sherlock Holmes abita in Baker Street”
Qual è l'estensione di Sherlock Holmes? Per saperlo dobbiamo considerare a cosa si riferisca il nome
“Sherlock Holmes” nel nostro mondo. Se noi accettiamo che il nome “Sherlock Holmes” non si
riferisce ad alcunché nel nostro mondo (perché non esiste una persona in questo mondo a cui quel
nome si riferisca), allora possiamo dire che quel nome non ha estensione…e quindi ha la stessa
estensione di tutti i nomi che non hanno estensione.
Se sostituiamo “Sherlock Holmes" con un qualunque altro nome o descrizione che non ha estensione
nel nostro mondo non otteniamo un enunciato con lo stesso valore di verità. Ad esempio “Sherlock
Holmes” è senza estensione, anche “Poirot” è senza estensione, ma se sostituiamo uno all'altro
nell'enunciato precedente otteniamo l'asserto:
“Nelle storie scritte da Conan Doyle, Poirot abita in Baker Street"…che ovviamente non ha lo stesso
valore di verità dell'asserto precedente (è falso).
Questo ci mostra che l'operatore “Nelle storie scritte da Conan Doyle” non è un operatore
estensionale, non possiamo cioè sostituire espressioni con la stessa salva veritate.
Se l'operatore “Nella storia così-e-così" non è estensionale, noi dobbiamo capire come funziona
questo operatore, dobbiamo cioè definire quando l'asserto “Nella storia così-e-così, F" è vero.
Quali altri operatori intensionali conosciamo?
“Maria crede che..”
“Maria dubita che..”
“Maria teme che..”
Tutti quegli operatori che introducono l'atteggiamento di un soggetto nei confronti di un contenuto.
Oppure “È necessario che..”, “È possibile..”, “È impossibile..”.
Idea: oltre al nostro mondo ci sono infiniti mondi possibili. Su come vadano interpretati i mondi
possibili ci sono ancora discussioni..
• Per Lewis i mondi possibili sono estesi, ma inaccessibile.
• Per Kripke sono costruzioni a partire dal nostro mondo.

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È utile introdurre i mondi possibili per rendere conto di questi enunciati.

“IP (operatore intensionale + enunciato P) è vero sse (se e solo se) P è vero nei mondi possibili così-
e-così”.

La struttura del saggio:


• L'obiettivo del saggio di Lewis è appunto fornire una definizione della verità nella finzione.
• Egli propone 4 definizione:
1. La prima viene scartata;
2. Fornisce poi una prima definizione della verità nella finzione che è una prima
approssimazione alla teoria proposta;
3. Fornisce poi altre due definizioni che si propongono come due alternative per affinare
la teoria proposta; come vedremo anche le ultime due teorie per Lewis non sono
completamente soddisfacenti.

1. Prima definizione (da scartare) [pag. 264]: “Nella storia F, ϕ” è vero (o ϕ è vero nella storia
F) se e solo ϕ è vero in ogni mondo possibile di un certo insieme, in qualche modo dalla
storia F. Questa prima definizione può sembrare plausibile a prima lettura. Si può ritenere
che ciò che è vero nelle storie di Sherlock Holmes è ciò che è vero nei mondi possibili in cui ci
sono personaggi che hanno le proprietà, le relazioni e compiono le azioni che sono attribuite
a Holmes, Watson e altri [pag. 264].

1. Primo problema: circolarità. Innanzitutto la definizione è circolare. Per riuscire a definire che cosa
significa “vero nella finzione" abbiamo bisogno della nozione di “vero nella finzione". Cerchiamo di
capire perché è così. In base alla definizione, un asserto è vero solo se è vero in tutti i mondi possibili
determinati dalla storia. Ma come fa la storia a determinare un mondo possibile? Dobbiamo estrarre
dalla storia la trama. Ma come facciamo a estrarre la trama da una storia? Per estrare la trama dalla
storia dobbiamo utilizzare la nozione di “vero nella storia", cioè dobbiamo stabilire che cosa è vero
nella storia e quindi per definire “verità nella finzione”, abbiamo bisogno della nozione di “verità
nella finzione” [pag. 265].
2. Secondo problema: il duplicato nel nostro mondo. Il secondo problema emerge da
un'osservazione di Saul Kripke. Supponiamo che all'insaputa di Conan Doyle ci sia nel nostro mondo
una persona che ha compiuto tutte le azioni e abbia tute le proprietà che Conan Doyle ha attribuito a
Sherlock Holmens, possiamo addirittura immaginare che questa persona si chiami appunto Sherlock
Holmes. Saremmo disposti a dire che le storie di Sherlock Holmes si riferiscono a questa persona?
Ovviamente no, Conan Doyle ha inventato dei personaggi e non intendeva descrivere personaggi del
mondo che abitiamo [pag. 265].
Per evitare le difficoltà dell'analisi scartata è opportuno considerare le opere di finzione come
qualcosa di attratto, un insieme di parole, ma come un atto di raccontare una storia. Questo diverso
modo di considerare le opere di finzione ci permette di distinguere fra il Don Chisciotte di Menard e il
Don Chisciotte di Cervantes [pag. 265-266].
Per Lewis: atto di raccontare una storia è un atto creativo. Questi atti creativi di raccontare una
storia sono atti di far finta, nello specifico sono atti di far finta di dire la verità riguardo a cose di cui è
venuti in qualche modo a conoscenza. È importante notare che questo atto di far finta non ha a che

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fare con l'inganno, non si vuole far credere all'interlocutore che si sta dicendo la verità, si vuole far
credere all'interlocutore che si sfa facendo finta [pag. 266].
Quali mondi possibili? Consideriamo ora quali mondi possibili dobbiamo prendere in considerazione
per analizzare “Nella storia così-e-così, F". Secondo Lewis possiamo prendere in considerazione i
mondi possibili in cui la storia è raccontata come un fatto noto e non come un far finta.
Esempio: in tutti i mondi possibili in cui le storie di Sherlock Holmes sono raccontate da una persona
che si chiama Watson (che in base a molte storie di Conan Doyle è il narratore delle storie) come fatti
noti sono mondi possibili da prendere in considerazione per analizzare la verità di “Nelle storie di
Conan Doyle, F” (dove F sostituisce un qualche asserto). Non è invece da prendere in considerazione
in nostro mondo, perché in questo mondo le storie di Conan Doyle non sono raccontate come fatti
noti, ma sono raccontate come atti di far finta, si finge cioè di riportare fatti noti [pag. 266-267].
L'analisi proposta da Lewis fa affidamento sulla possibilità di stabilire l'identità delle storie
raccontate attraverso mondi. Infatti noi dobbiamo considerare i mondi possibili in cui le storie di
Sherlock Holmes sono le stesse storie raccontate in questo mondo: per far questo dobbiamo
assumere che ci sia identità fra le parole proferite nei diversi mondi possibili e identità (o almeno un
rapporto di controparte) fra gli atti di raccontare storie in diversi mondi possibili [pag. 267].

ANALISI 0: “Nella storia così-e-così, F" è vero se e solo se F è vero in ogni mondo possibile in
cui la storia è raccontata come fatto noto invece che come una finzione”.

Lezione 18) 4/04/2019


Pregio 1): non c'è circolarità
Non si genera circolarità nell'analisi, la definizione di “verità nella finzione" è definita nei termini di
“atti di raccontare una storia". E per riuscire a definire l'identità di atti di raccontare una storia
attraverso mondi possibili non abbiamo bisogno della nozione di “verità nella storia” e pertanto
l'analisi proposta non può essere accusata di utilizzare la nozione da definire.
Pregio 2): evita il duplicato
Anche se nel nostro mondo esistesse una persona che si chiama Sherlock Holmes e che ha tutte le
proprietà che gli sono attribuite nelle storie di Conan Doyle, non sarebbe il riferimento del nome
“Sherlock Holmes” usato da Conan Doyle. In base all'analisi proposta si devono prendere in
considerazione i mondi in cui ciò che è raccontato è un fatto noto e non una finzione. Quindi in base
all'analisi proposta “Nella storia così-e-così, F" non è ciò che accade, ma ciò che è vero in un mondo
in cui ciò che è raccontato è un fatto noto.
Prima difficoltà: le informazioni di sfondo
Sebbene ci siano persone che non si stancano di ripetere che dobbiamo attenerci solo a quello che è
esplicitamente scritto nell'opera di finzione per stabilire che cosa è vero in esse, molti di noi
interpretano la finzione sullo sfondo di una serie di conoscenze che abbiamo sul nostro mondo. Ad
esempio se nel romanzo in cui scriviamo leggiamo che il protagonista si trova a Parigi, noi pensiamo
che si trova in Europa. O se leggiamo che la casa di Sherlock Holmes si trova in Baker Street,
pensiamo che si trovi più vicina a Paddington station piuttosto che a Waterloo station [pag. 268].
Ma se facciamo così, incorriamo in fallacie argomentative
Supporre che noi mischiamo informazioni su mondi diversi dal nostro e informazioni che derivano
dal nostro mondo per stabilire la verità nella finzione può far emergere il dubbio che le verità nella

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finzione facciano emergere fallacie argomentative. La fallacie argomentativa che abbiamo preso in
considerazione nel capitolo 2 è la seguente:
Premessa 1): Sherlock Holmes vive al 221b di Baker Street
Premessa 2): C’è una banca al 221b di Baker Street
Conclusione: Sherlock Holmes vive in una banca
Soluzione:
Come facciamo ad escludere che non incorriamo in fallacie argomentative del tipo di quella riportata
qui sopra? Secondo Lewis, la soluzione risiede nel ragionare sulla verità nella finzione in modo
analogo a come ragioniamo nel caso dei controfattuali.
I controfattuali sono asserti condizionali che in italiano si esprimono con il congiuntivo. Gli asserti
controfattuali sono del tipo: “Se l'attuale presidente della Repubblica fosse Emma Bonino, allora una
donna sarebbe presidente della Repubblica" – “Se le lumache avessero le zampe, si muoverebbero più
velocemente".
Analisi di Lewis dei controfattuali:
Dobbiamo prendere in considerazione i mondi più simili al nostro in cui è vero l'antecedente del
condizionale. Se in tali mondi è vero anche il conseguente, allora l’asserto controfattuale è vero. Se
c'è almeno uno dei mondi possibili più simile al nostro in cui è vero l'antecedente e falso il
conseguente, allora il condizionale controfattuale è falso.
N.B. Mondi possibili più simili al nostro: mondi con modifiche minimali rispetto al nostro affinché
l'antecedente sia vero.
Esempio: prendiamo in considerazione in controfattuale seguente:
“Se l'attuale Presidente della Repubblica fosse Emma Bonino, le donne avrebbero più potere in Italia"
Prendiamo in considerazione tutti i mondi possibili più simili al nostro in cui Emma Bonino è
presidente della Repubblica, se almeno uno di tali mondi possibili e tale che le donne hanno lo stesso
potere che hanno in questo mondo, allora controfattuale è falso [pag. 269].
Vediamo ora come possiamo applicare questa idea alla verità di finzione. Secondo Lewis, dobbiamo
prendere in considerazione i mondi possibili più simili a quello attuale in cui il contenuto dell'opera
di finzione è raccontato come fatto un noto.
Esempio: nei mondi possibili più simili al nostro in cui le storie di Sherlock Holmes sono raccontate
come fatti noti, Sherlock Holmes non ha rivelazioni divine, non indossa biancheria e non ha 3 narici. E
pertanto possiamo concludere che i 3 asserti corrispondenti (cioè “Sherlock Holmes non rivelazioni
divine", “…non indossa biancheria", “…non ha 3 narici”) non sono vero nella finzione.
Altro esempio: prendiamo ora in considerazione l'argomento fallacie preso in considerazione:
Premessa 1): Sherlock Holmes vive al 221b di Baker Street
Premessa 2): C'è una banca al 221b di Baker Street
Conclusione: Sherlock Holmes abita una banca
In questo caso la seconda premessa non è vera nella finzione. Perché? Perché nei mondi possibili più
simili al nostro in cui le storie di Conan Doyle, in cui le storie sono raccontate come fatti noti,
l'indirizzo di Sherlock Holmes è l'indirizzo di un appartamento e non di una banca.

42
2. La seconda definizione di Lewis:
ANALISI 1: “Nella storia così-e-così, F" è vero in modo non banale se e solo se alcuni mondi in
cui la storia è raccontata come fatto noto e F è vero differiscono meno dal modo attuale dei
mondi in cui la storia è raccontata come un fatto noto e F non è vero. “Nella storia così-e-così,
F" è vero in modo banale se e solo se non ci sono mondi possibili in cui la storia è raccontata
come un fatto noto.
Attenzione: è bene tener presente che i mondi possibili più vicini al nostro in cui sono vere e
raccontate come fatti noti le verità di finzione sono molteplici e non solo uno. Pensiamo per esempio
alle seguenti domande: il numero di capelli di Sherlock Holmes è pari o dispari? Qual è il suo gruppo
sanguigno?
La soluzione al problema del mucchio/gruppo:
Questa analisi ci permette della verità della finzione ci permette di risolvere il problema del gruppo
(o problema degli anelli magici affrontato da Parsons). Noi non possiamo stabilire quante persone
compongono il gruppo di sorelle, cugine, zie che accompagnano Sir Joseph Porter di Pinafore, perché
il gruppo è composto da un numero di persone diverse nei mondi possibili più simile al nostro nei
quali la storia di Pinafore è raccontata come un fatto noto. E non possiamo stabilire quali proprietà
ha ciascuno dei 10 anelli magici di Shaub, perché in mondi possibili diversi ciascuno dei 10 anelli
magici può avere proprietà diverse [pag. 270].
Perché ciò che è vero nella finzione è dipende anche da come è fatto il nostro mondo
Se si accetta questa analisi, occorre riconoscere che parte di quello che è vero nei mondi possibili
dipende anche dal mondi che abitiamo. Se la topologia di Londra fosse diversa e Baker Street fosse
più vicina a Waterloo station che a Paddington station, sarebbe vero nelle storie di Conan Doyle che
Sherlock Holmes abita vicino a Waterloo. Ma dal momento che nel nostro mondo Baker Street è più
vicina a Paddington, i mondi possibili più simili al nostro sono mondi possibili in cui Sherlock Holmes
vive vicino a Paddington.

Lezione 19) 5/04/2019


Problemi: ci sono casi in cui l'analisi 1..
Esempio: si consideri l'osservazione di Carl Gans (fatta nel 1970) in base alla quale Sherlock Holmes
non è riuscito a risolvere un caso. In L'avventura della banda maculata, Sherlock Holmes risolve un
misterioso crimine mostrando che la vittima è stata uccisa da un serpente di Russell che si era
arrampicato su una corda. Di fatto, i serpenti di Russell non sono in grado di arrampicarsi sulle corde,
e quindi secondo Gans, o il serpente ha raggiunto la vittima in qualche altro modo o il caso non è
risolto.
Qual è il problema? Per chi accetta l'ANALISI 1, l'osservazione di Gans è vera e quindi la verità nella
finzione dipende da verità del nostro mondo poco note al momento in cui si è scritto il racconto. Ci
sono persone che pensano che le osservazioni di Gans non siano appropriate perché, al tempo in cui
Conan Doyle scriveva, non si avevano tali nozioni sui serpenti di Russell [pag. 271].
Le analisi psicoanalitiche: si applicano per esempio ai personaggi shakespeariani, che sono stati
introdotti da Shakespeare ben prima che la psicoanalisi fosse inventata. C'è chi ritiene che tali analisi
siano corrette e chi invece ritiene che non siano corrette. L'ANALISI 1 si adatta a coloro che credono
che le analisi Gans e degli psicoanalisti siano corrette.

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L'idea: per alcuni, quello che conta per stabilire le verità di finzione sono le credenze condivise dalla
maggior parte delle persone sul nostro mondo al momento in cui l'opera di finzione è stata scritta.
Per questi filosofi, non è corretta l'analisi 1 in base alla quale occorre combinare il contenuto della
finzione con le verità del mondo; secondo tali filosofi, per rendere conto delle verità di finzione
occorre invece combinare in contenuto della finzione con le credenze condivise dalla comunità in cui
l'opera di finzione è stata creata. Questa diversa impostazione richiede una terza definizione della
verità di finzione che viene considerata alternativa alla seconda [pag. 271-272].

3. Terza definizione: ANALISI 2: “Nella storia così-e-così, F" è vero in modo non banale se e solo
se per ogni mondo possibile w in cui sono vere le credenze condivise della comunità in cui si è
originata la finzione, alcuni mondi in cui la storia è raccontata come fatto noto e F è vero
differiscono meno dal nostro mondo dei mondi in cui la storia è raccontata come un fatto
noto e F non è vero. “Nella storia così-e-così, F" è vero in modo banale se e solo se non ci
sono mondi possibili in cui la storia è raccontata come un fatto noto.
Attenzione: l’analisi 2 è presentata dunque come un'alternativa all'analisi 1, solo per coloro
che pensano che le verità di finzione siano più fortemente dipendenti dalle credenze
condivise dalla comunità in cui si è originata l'opera di finzione, di quanto lo siano le verità del
mondo in cui abitiamo e che sono poco note o per nulla note alla comunità in cui si è
originata l'opera di finzione.

Ricapitoliamo: in base alla teoria proposta la verità nella finzione dipende da due fattori:
1) Il contenuto della finzione;
2) Uno sfondo costruito o da fatti del mondo (ANALISI 1) e/o da credenze condivise
dalla comunità di origine della finzione (ANALISI 2).
Problema 1:
Forse c'è un terzo fattore che determina le verità di finzione: ciò che viene importato da altre storie
di finzione. Ci sono due tipi di importazioni da altre verità di finzione:
1. Le importazioni intra-fittizie (cioè le importazioni che operano all'interno di una stessa opera
di finzione);
2. Le importazioni (cioè le opere di finzione che operano da un'opera di finzione all'altra).
1. Impostazioni intra-fittizie:
Nell'Opera da tre soldi tutti i personaggi principali sono sleali. A un certo punto compare un
cantante di strada: arriva, canta una ballata e poi scompare senza ingannare nessuno.
Dobbiamo ritenere che il cantante di strada sia sleale? Nell'opera non si dice che lo sia e non
possiamo neanche assumere che nella Germania di Weimar le persone fossero tutte sleali.
Tuttavia proprio perché tutti i personaggi principali sono sleali nell'Opera da tre soldi, la
natura sleale del cantante di strada è importata dalla natura sleale degli altri personaggi. Si
tratta in questo caso di importazione intra-fittizia.
2. Importazione inter-fittizia:
Supponiamo che ci sia una storia sul drago Scrulch. Nella storia non si dice se il drago sputa
fuoco. Dobbiamo ritenere che il drago sputi fuoco? Nel nostro mondo non ci sono creature
che sputano fuoco e non ci sono credenze condivise sui draghi. Se riteniamo che il drago
Scrulch sputi fuoco, lo facciamo perché lo importiamo da altre storie sui draghi. Operiamo
quindi un'importazione inter-fittizia.

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N.B. Consideriamo ora il seguente problema: il personaggio di Sherlock Holmes è stato
ripreso in altre opere fittizie. È evidente che ci sono verità in queste opere di finzione che non
sono direttamente raccontate dall'autore, ma sono importate dalle opere di Conan Doyle.
Anche in questo caso so tratta di importazioni inter-fittizie.
Problema 1 in sintesi:
Il problema sollevato è che la verità della finzione sembra dipendere:
• Non da 2 fattori alternativi di sfondo, cioè:
1) fatti sul mondo attuale;
2) credenze condivise dalla comunità al tempo della creazione della finzione.
• Ma da 3 fattori di sfondo, cioè:
1) fatti sul mondo attuale;
2) credenze condivise dalla comunità al tempo della creazione della finzione;
3) verità intra-fittizie e/o inter-fittizie
Tuttavia Lewis non propone un'ulteriore definizione di verità nella finzione che contempli 3
fattori per non complicare ulteriormente la definizione.
Problema 2:
Il secondo problema emerge quando le opere di finzione sono impossibili. Un'opera di finzione è
impossibile se e solo se non c'è alcun mondo in cui possa essere raccontata come fatto noto. Le
ragioni per cui un’opera di finzione è impossibile sono due:
1. La trama è impossibile;
2. Una trama impossibile implica che nessuno sia in condizione di raccontarla (per raccontare
come fatto noto tale storia uno dovrebbe saper cose che non possono essere conosciute e
questo è impossibile.
Le osservazioni di Lewis:
Questa regola sembra soddisfacente quando le finzioni parlano di fatti assurdi. Come dell'uomo che
ha quadrato in cerchio o dei più assurdi viaggi temporali. Ma la stessa regola non è pienamente
accettata nei casi in cui l'autore è stato sbadato. Ad esempio in un racconto di Conan Doyle Watson
ha una cicatrice di guerra sul braccio, in base ad un altro racconto ce l'ha sulla gamba. I racconti di
Sherlock Holmes sono dunque impossibili e tuttavia non dobbiamo dover dire che qualunque asserto
sia vero nei racconti di Conan Doyle…ma ci sono asserti che vogliamo escludere, come ad esempio
che la ferita sia sull'alluce.
Soluzione di Lewis:
Lewis propone una soluzione a questa difficoltà: innanzitutto occorre partire dall'opera di finzione
originaria e creare delle revisioni; le revisioni devono essere il più possibile simile all'opera originaria
e eliminare l'impossibilità. A questo punto un asserto è vero nella finzione non banalmente se e solo
è vero in tutti i mondi in cui le revisioni sono raccontate come fatti noti. Ad esempio è vero che nella
finzione Watson ha una ferita di guerra perché questo è vero in tutte le revisioni, è falso che ha una
ferita di guerra sull'alluce perché questo è falso in tutte le revisioni.
Le revisioni sono anch'esse associate a atti di raccontare una storia, esse non sono raccontate in
questo mondo né come una finzione né con una storia nota, ma in altri mondi possibili sono
raccontate come una storia nota. Lewis conclude che se non ci sono modi di revisionare la storia nel
modo descritto, allora tutti gli asserti sono banalmente veri in essa.

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Ricapitoliamo:
• Problemi con l'ANALISI 1 e 2;
• Problema 1: ci sono verità inter-fittizie e intra-fittizie che non sono prese in considerazione
dall’analisi 1 e 2;
• Problema 2: non si sa come rendere conto dei racconti impossibili (soluzione di Lewis: le
revisioni).
Non affrontato direttamente: gli oggetti e i personaggi fittizi non sono oggetti o persone esistenti in
altri mondi possibili (libro Paganini).
N.B. Si potrebbe pensare che Lewis stabilisca che gli oggetti fittizi esistano in altri mondi possibili. Ma
ciò non è vero è sbagliato. Perché ci sia una relazione d’identità tra oggetti fittizi e mondi possibili ci
deve essere un criterio. Proposta Paganini: Lewis propone un criterio per definire che cosa è vero
nella finzione senza assumere che i nomi all'interno della finzione abbiano alcun riferimento al
nostro mondo o ad altri mondi possibili. Se per un meinonghiano per poter attribuire verità o falsità
ad asserti contenenti oggetti funzionali è necessario che essi abbiamo un qualche riferimento, per
Lewis non è così. Questa intuizione di Lewis è un qualcosa che condiziona i filosofi successivi…poiché
prima si credeva che noi avessimo bisogno di oggetti fittizi per rendere conto della verità nella
finzione.
Lewis e Kripke: filosofi principali della tradizione novecentesca.

Lezione 20) 8/04/2019


Kripke (2011) Vacuos Names and Fictional Entities. Conferenza del 1973, in preparazione alle John
Locke Lectures. Il testo della conferenza è pubblicato nel 2011. Il testo delle lezioni è pubblicato nel
2013.
Preoccupazione principale di Kripke: è difendere la sua teoria del riferimento dei nomi propri e dei
nomi di genere naturale e mostrare che i nomi vuoti (i nomi che compaiono nelle opere di finzione e
che non si riferiscono a persone, oggetti o generi naturali del nostro mondo) non mettono in
discussione la sua teoria.
La teoria sui nomi vuoti di Krepke è piuttosto articolata. Egli distingue tra:
• Le occorrenze dei nomi che compaiono in opere di finzione;
• Le occorrenze degli stessi nomi che compaiono al di fuori di un’opera di finzione.
Egli sostiene che le occorrenze del primo tipo sono prive di riferimento e noi facciamo finta di riferirci
a qualcosa con quei nomi, le occorrenze del secondo tipo hanno invece un riferimento e si
riferiscono a entità astratte (personaggi/oggetti fittizi) dipendenti dalle azioni degli uomini che
creano opere di finzione. Per questa ragione k. viene considerato un difensore della teoria
creazionista dei personaggi fittizi.
Teoria del riferimento diretto:
Il testo più famoso di K. e probabilmente uno dei testi filosofici più famosi del XX secolo è Naming
and Necessity [traduzione italiana: Nome e necessità]. Il testo è la trascrizione di lezioni tenute nel
1970 all'università di Princeton dallo stesso kripke ed è stato pubblicato in inglese nel 1971 [la trad.
in italiano è del 1999].
Nel 1973, quando K. tiene le John Locke Lectures, egli ha già tenuto le lezioni di Nome e necessità tre
anni prima.

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In nome e necessità K. difende la teoria del riferimento diretto per i nomi propri, che contrappone
alla teoria descrittivista dei nomi, che viene attribuita (dallo stesso K.) a Frege e Russell.
La teoria descrittivista:
Idea alla base della teoria descrittivista (che K. attribuisce a Russell e Frege): i nomi non si riferiscono
direttamente a un oggetto, ma hanno bisogno della mediazione di un senso che associamo al nome
(come scrive Frege) o di una descrizione che il nome abbrevia (come scrive Russell. Ai nomi quindi è
associata una qualche connotazione, cioè un insieme di proprietà che sono associate al nome, e che
sono soddisfatte dall'oggetto che eventualmente il nome denota.
Teoria di riferimento diretto:
In base alla teoria del riferimento diretto, che è stata difesa prima di K. da John Stuart Mill, i nomi si
riferiscono direttamente agli oggetti senza mediazione di un senso (come sostiene Frege) e senza che
noi associamo al nome una qualche descrizione.
Secondo K., quando viene introdotto un nome per un particolare oggetto, entità o persona riceve
una sorta di battesimo. Da questo battesimo il nome si diffonde all'interno della comunità
linguistica…e chi usa quel nome ha l'intenzione di riferirsi a quell'oggetto per il quale era stato
originariamente introdotto.
Secondo K., anche i nomi di genere o specie naturale (come tigre, acqua, olmo, faggio) si riferiscono
senza la mediazione di una descrizioni e nel sostenere questa tesi egli si contrappone non solo a
Frege e Russell, ma anche a John Stuart Mill.
Prendiamo le ragioni che ha un filosofo per difendere la teoria descrittivista. Nel saggio Senso e
significato, Frege ritiene che esistano due ragioni principali per distinguere tra senso e significato dei
nomi:
1. enunciati di identità;
2. nomi senza riferimento.
La seconda spiegazione della necessità di una connotazione associata a un nome viene presa in
considerazione da K. nel saggio che leggiamo: l'obiettivo è appunto che possiamo usare nomi propri
e comprendere gli enunciati che li contengono senza assumere che a tali nomi sia associata una
descrizione (o connotazione).
Secondo Frege e Russell, è proprio perché noi associamo una descrizione a un nome proprio che
possiamo comprende un enunciato che contiene un nome vuoto. Kripke sostiene che noi non
associamo una descrizione a un nome proprio (lo possiamo anche fare)…ma egli dimostra che
distinguiamo nettamente un nome proprio a una qualunque descrizione definita anche quando il
nome non ha riferimento.
Un sostenitore della teoria descrittivista può obiettare a un sostenitore della teoria del riferimento
diretto quanto segue: se il nome "Mosè" ha riferimento, nel momento in cui ci chiediamo se Mosè è
effettivamente esistito, ci stiamo chiedendo di una particolare persona se è esistita. Ma tale
domanda, a parere di Frege e Russell è priva di senso. Non ha senso chiedersi se una particolare
persona esiste o è esistita, perché di fatto necessariamente tutte le persone a cui riferiamo esistono
o sono esistite [pag. 53].
La domanda sull'esistenza (Frege e Russell):
Come hanno riconosciuto Frege e Russell ci sono nomi vuoti, cioè nomi privi di riferimento. Se
esistono tali nomi ha senso chiedersi se esiste il presunto referente; e tale domanda è utile tanto se il

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referente c'è quanto se il referente non c'è. Prendiamo un esempio: il nome “Mosè” ha un
riferimento ma gli studiosi della Bibbia si sono chiesti se Mosè fosse effettivamente esistito.
La posizione di Frege e Russell:
Secondo Frege e Russell, quando ci interroghiamo sull'esistenza di qualcuno, noi di fatto ci stiamo
chiedendo se c'è qualcuno che soddisfa certe proprietà, quando ci chiediamo se Sherlock Holmes
esiste, ci stiamo chiedendo se esiste qualcuno che soddisfa tutte le proprietà che gli sono state
attribuite da Conan Doyle. E se ci chiediamo se è esistito Sherlock Holmes ci stiamo chiedendo se
esiste qualcuno che ha tutte le proprietà che gli sono attribuite nella Bibbia.
L’esistenza per Frege e Russell:
Per Frege e Russell, l'esistenza non è una proprietà di individui, ma è una proprietà di secondo livello
(cioè una proprietà di proprietà). Quando ci interroghiamo sull'esistenza di qualcuno o di qualcosa,
noi ci stiamo chiedendo se c'è qualcuno o qualcosa che soddisfa una proprietà (o un insieme di
proprietà). E questo tipo di analisi delle domande di esistenza viene ritenuta adeguata sia nel caso in
cui ci si interroga sull'esistenza di qualcosa in mondi possibili diversi dal nostro (domanda metafisica)
sia nel caso in cui ci si interroga sull'esistenza di qualcosa nel nostro mondo (domanda epistemica).
L'obiettivo di Kripke:
K. si propone di mostrare che i nomi propri non sono equivalenti a descrizioni definite e che le
domande di esistenza non mettono in discussione questa tesi sia quando ci si interroga sull'esistenza
di qualcuno o qualcosa in mondi possibili diversi dal nostro (domanda metafisica) che quando ci si
interroga sull’esistenza di qualcuno o qualcosa nel nostro mondo (domanda epistemica). Egli inoltre
ritiene che l'esistenza dia una proprietà di individui.
Distinzione importantissima:
• La distinzione tra domande metafisiche e domande epistemiche è una distinzione importante
nella filosofia contemporanea ed è stata introdotta proprio da Kripke in Nome e necessità.
L'idea di fondo è che occorre distinguere le domande che ci facciamo su mondi possibili
diversi dal nostro (domande metafisiche) e le domande che ci poniamo sul nostro mondo
(domande epistemiche).
La domanda metafisica di esistenza:
Consideriamo innanzitutto la domanda sull'esistenza di una persona in altri mondi possibili
(affrontiamo quindi la domanda metafisica). Secondo K. un nome non può essere equivalente a una
descrizione.
Supponiamo di voler sapere se Mosè esiste in un certo mondo possibile MP1 diverso dal nostro.
Supponiamo che in MP1 Mosè esiste, ma ha deciso di non guidare gli ebrei nella loro fuga dall’Egitto
e nessun altro l'ha fatto. In MP1 quindi: (1) “Mosè esiste” è vero, mentre (2) “La persona che ha
guidato gli ebrei nella fuga dall’Egitto esiste" è falso.
Oppure supponiamo che ci sia un mondo possibile MP2 in cui Mosè non è esistito, ma qualcun altro
si è preso la briga di guidare gli ebrei nella loro fuga dall’Egitto. In questo secondo mondo possibile:
(1) “Mosè esiste” è falso, ma (2) “La persona che ha guidato gli ebrei nella fuga in Egitto esiste" è
vero.
I nomi per K. sono designatori rigidi, ovvero quando un nome ha lo stesso riferimento in tutti i mondi
possibili. Mentre le descrizioni definite non sono designatori rigidi, sono designatori non rigidi.

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In sintesi:
In nome proprio: “Mosè”e la descrizione: “la persona che ha guidato gli ebrei nella loro fuga
dall’Egitto” non sono equivalenti quando consideriamo mondi possibili diversi dal nostro. Il nome
Mosè è, secondo K. un designatore rigido, designa cioè lo stesso oggetto in tutti i mondi possibili, la
descrizione definita invece designa oggetti diversi in mondi possibili diversi [pag. 54].
Se accettiamo l'analisi di K. i nomi propri non sono equivalenti a descrizioni e il predicato di esistenza
non è sempre un predicato di secondo livello, ma è talvolta un predicato di individui, contrariamente
a quanto avevano sostenuto Frege e Russell.
Obiezione di Frege e Russell (in particolare Russell): necessariamente tutti gli oggetti a cui facciamo
riferimento esistono.
L’affermazione è corretta secondo K. e tale affermazione può essere schematicamente espressa
secondo Kripke come segue:
(a) □(x)Ex
Che si legge “Necessariamente per ogni x, x esiste" o “In ogni mondo possibile, per ogni x a cui
facciamo riferimento in quel mondo x esiste" (in questo caso “□” si legge “Necessariamente” o “In
ogni mondo possibile” e “E" è un predicato di primo ordine ed equivale ad “esistere").
Secondo K. L'errore di Russell è quello di aver dedotto da (a) quanto segue:
(b) (x)□Ex
Che si legge “Per ogni x, x esiste necessariamente" o “Ogni oggetto a cui facciamo riferimento in
questo mondo esiste in ogni altro mondo possibile". (b) è chiaramente falso, gli oggetti del mondo
possibile sono contingenti, avrebbero potuto non esistere e quindi l'esistenza non è una proprietà
necessaria degli oggetti: non è necessario che ciò a cui facciamo riferimento esista. Tutto è
contingente dunque possono esistere anche mondi possibili in cui noi non esistiamo perché i nostri
genitori non si sono mai incontrati.

Lezione 21) 11/04/2019


La domanda epistemica:
Abbiamo visto che se ci interroghiamo sull’esistenza di qualcuno in un altro mondo possibile un
nome proprio e una descrizione definita non sono fra loro equivalenti. Consideriamo ora che cosa
succede se ci interroghiamo sull’esistenza di qualcuno in questo mondo.
Secondo K. neanche in questo caso un nome proprio è equivalente ad una descrizione definita.
Potrebbe infatti darsi il caso che Mosè sia effettivamente esistito, ma sia falso tutto quello che la
Bibbia gli attribuisce e che nessuno abbia guidato gli ebrei nella loro fuga dall’Egitto. Se così fosse
“Mosè esiste" sarebbe vero, mentre “la persona che ha guidato gli ebrei nella fuga dall'Egitto”
sarebbe falso.
Quello che ci permette di dire che Mosè è effettivamente esistito (sia che Mosè abbia compiuto
quello che gli attribuisce la Bibbia, sia che non l'abbia compiuto) è, secondo K., il fatto che una
persona sia stata effettivamente battezzata così e da questo battesimo si sia originata una catena
causale di usi per cui ciascuno intendeva utilizzare in none con il riferimento per cui è stato
originariamente introdotto e questa catena è giunta fino al parlante.

Sherlock Holmes è esistito? Consideriamo ora se qualcuno leggendo le storie di Conan Doyle si
chieda se Sherlock Holmes sia effettivamente esistito. Qualcuno potrebbe pensare che chiedersi se
S.H. sia effettivamente esistito equivalga a chiedersi se sia esistito qualcuno che possiede tutte le

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proprietà che gli sono state attribuite nei racconti di Conan Doyle. Se così fosse il nome proprio
sarebbe equivalente ad una descrizione definita.
Perché Sherlock Holmes non esiste: K. sottolinea che se anche ci fosse qualcuno nel nostro mondo
che ha tutte le proprietà che Conan Doyle attribuisce a Sherlock Holmes, l’esistenza di una persona
del genere non ci permetterebbe di concludere “Sherlock Holmes esiste". La ragione è che Conan
Doyle ha scritto le sue storie con l'intenzione di far finta di riferirsi a qualcuno e non con l’intenzione
di riferirsi effettivamente a qualcuno. L'uso di “Sherlock Holmes” da parte di Conan Doyle è privo di
qualsiasi di una qualche connessione causale con una persona che esiste effettivamente…e quindi
egli non si riferisce ad una persona che è esistita effettivamente.
Infatti se la persona che si chiama Sherlock Holmes e che ha tutte le proprietà che sono attribuite al
personaggio di Sherlock Holmes introdotto da Conan Doyle, facesse causa non avrebbe alcun
successo perché Conan Doyle non aveva l'intenzione di fare riferimento a qualcuno in questo
mondo.
In sintesi:
• Un nome non è equivalente ad una descrizione; né quando consideriamo l'esistenza di
qualcuno in mondi possibili diversi dal nostro (domanda metafisica); né quando consideriamo
l'esistenza di una persona in questo mondo (domanda epistemica); né quando consideriamo
i nomi vuoti.
Nomi con riferimento e nomi propri:
Cominciamo a considerare i nomi che hanno riferimento. Quando nomi che hanno riferimento
compaiono in un enunciato, l'enunciato esprime una proposizione, l'enunciato ha cioè un contenuto
che riguarda la particolare persona o il particolare oggetto denotato dal nome. Quando diciamo
veridicamente che Mosè è esistito o quando diciamo falsamene che Mosè non è esistito o quando ci
chiediamo che cosa sarebbe successo se Mosè non fosse esistito, in tutti questi casi esprimiamo una
proposizione che riguarda un uomo in particolare.
Consideriamo invece che cosa succede quando utilizziamo nomi vuoti in opere di finzione. In questo
caso il nome non si riferisce ad una persona o a un oggetto. Ad esempio quando parliamo di Sherlock
Holmes si fa finta di riferirsi ad una persona, ma non ci si riferisce effettivamente ad una persona.
Inoltre quando proferiamo un enunciato che contiene un nome come Sherlock Holmes noi non
riusciamo ad esprimere una proposizione su una particolare persona.
E quando prendiamo in considerazione mondi possibili diversi dal nostro e ci chiediamo se in quel
mondo esiste Sherlock Holmes, non abbiamo modo di rispondere alla domanda di esistenza perché
non c’è una persona di cui si potrebbe, in linea di principio dire se è o no Sherlock Holmesm il nome
semplicemente non designa alcuna persona (attenzione: differenza con Mosè).
Teoria di Kripke: una teoria uniforme
Ci sono casi in cui i nomi hanno riferimento e casi in cui i nomi non hanno riferimento, ma si fa finta
che ce l'abbiano.
La teoria del riferimento rimane la stessa per tutti i nomi: un nome designa un oggetto senza la
mediazione di un senso o di una descrizione (il riferimento è diretto) e mantiene lo stesso
riferimento in tutti i mondi possibili (per questo i nomi sono designatori rigidi). Queste
caratteristiche semantiche del nome proprio non cambiano, secondo K., da nome a nome, in alcuni
casi il nome ha riferimento e mantiene lo stesso riferimento in tutti i mondi possibili, in altri casi
(quando nomi vuoti compaiono nelle opere di finzione) si fa semplicemente finta che i nomi abbiamo

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riferimento e che siano designatori rigidi, in tal caso il nome non si riferisce a un oggetto concreto o a
una persona in alcun mondo possibile.
I nomi che compaiono nella finzione raramente si riferiscono a persone del nostro mondo (ma ci
sono delle eccezioni, come ad esempio il nome Napoleone in Guerra e pace), più frequentemente
non si riferiscono a persone del nostro mondo (nomi vuoti).
Nomi vuoti:
Quando usiamo nomi vuoti noi facciamo finta di riferirci a persone. Nella tragedia shakespeariana
Amleto, ci sembra vero e corretto dire che Amleto esiste, che nella strategia Amleto è un uomo, che
nella tragedia Amleto pensa.. Nell’Amleto viene messa in scena una commedia intitolata L'assassinio
di Gonzalo ed è corretto dire che Gonzalo non si riferisce a una persona, ma si riferisce ad un
personaggio fittizio.
In base alla tragedia Macbeth, il pugnale di Macbeth non esiste.
Non possiamo pertanto dire che all'interno della storia gli asserti sono veri o falsi, perché all'interno
della storia prendiamo in considerazione ciò che facciamo finta di esprimere [pag. 59].
C'è un altro uso dei nomi vuoti che compaiono nelle opere di finzione. L'uso che facciamo di tali nomi
al di fuori della finzione. In questo caso i nomi di finzione si riferiscono per lo più a personaggi fittizi.
Possiamo dunque correttamente dire che Amleto esiste, ma in questo caso non intendiamo dire che
esiste in quanto persona in carne ed ossa, ma in quanto personaggio fittizio. (Non esiste una persona
in carme ed ossa, ma un personaggio fittizio, Amleto appunto).
Kripke sottolinea che non sono fantasmi (o entità che ci sono ma non esistono come sostengono i
meinonghiani: critica) o entità possibili (come sostiene Lewis), ma entità astratte che popolano il
nostro mondo e la cui esistenza dipende dalle azioni degli uomini, cioè l'azione di produrre o
usufruire di opere di finzione. I personaggi fittizi sono oggetti di cui parliamo comunemente nella
nostra vita [pag. 62: passaggio molto importante].
Esempio che K. fa all'interno del saggio: dice di aver raccontato a una persona che nella Bibbia è
scritto che spesso gli israeliti erano puniti per aver sacrificato i bambini a una divinità “Moloch",
“Moloch" è il nome di una tipo di sacrificio umano. La persona a cui viene riportata questa
osservazione, reagisce dicendo: “Ma certo che Moloch non esiste, non crederai certo all'esistenza di
divinità pagane”. K. sottolinea che questa persona non ha capito che egli stava parlando di entità
mitiche che esistono sulla base di azioni umane, egli voleva dire che non è mai esistita un'entità
mitica come Moloch.
Allo stesso modo se noi ci chiediamo, al di fuori dell'opera Amleto, “Esiste il personaggio fittizio
Amleto?” noi dovremmo rispondere di sì, perché tale personaggio esiste effettivamente. Ma allo
stesso modo possiamo dire che, al di fuori dell’opera Amleto, Amleto, in quanto essere umano, non
esiste.
N.B. Ambiguità del predicato esistere.
Linguaggio ellittico: quello che K. dice è che quando usiamo nomi vuoti, dobbiamo chiarire se
stiamo parlando di ciò che avviene all'interno di un opera di finzione o di ciò che avviene al di fuori
dell'opera. Quando parliamo di ciò che avviene all'interno della finzione facciamo finta di riferirci a
persone in carne ed ossa e ciò che diciamo è adeguato se ci atteniamo a ciò che è scritto nell'opera
di finzione. E quando usiamo nomi vuoti al di fuori dell’opera di finzione deve essere chiaro se il
nostro intento è parlare di oggetti (o persone) del nostro mondo o di entità (o personaggi) fittizi,
perché il valore di verità di ciò che diciamo cambia a seconda della nostra intenzione.

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Lezione 22) 12/04/1019
L' idea di Kripke è che i nomi denotano gli oggetti senza una mediazione di una descrizione. Un nome
viene introdotto tramite un battesimo e poi diffuso all' interno di una comunità linguistica tramite
una catena causale. Kripke non nega che le persona possano associare ai nomi le descrizioni. Ma
quello che conta è l' intenzione con cui il nome è stato introdotto. I nomi vuoti per Kripke sono un
problema.
Con una teoria come quella di Frege e Russel il problema è risolvibile. Basta vedere se il nome Mosè
ha un certo numero di proprietà che gli sono associate.
La replica di Kripke: i nomi non sono descrizioni quando ci poniamo la domanda di esistenza. Ci sono
due modi diversi per porsi questa domanda. La domanda metafisica e la domanda epistemica.
Domanda metafisica: Chi adotta l’analisi semantica di Kripke "esiste Sherlock Holmes" stiamo
pensando a situazioni controfattuali, mondi possibili alternativi. I nomi e le descrizioni non sono
uguali quando guardiamo questi mondi alternativi. Il secondo punto che Kripke mette in rilievo, è la
critica a Russel quando K. dice che il teorico del riferimento diretto dice che ogni oggetto deve
esistere necessariamente. L'errore di Russel secondo Kripke è quello di...
Domanda epistemica:
Può succedere che la descrizione che noi associamo a un nome sia per qualche motivo sbagliata.
Possiamo arrivare a dire Giona è esistito, ma non ha nessuna delle qualità che gli sono state
attribuite.

Vale la pena di concentrarsi su i nomi che compaiono all'interno della finzione.


All’interno della finzione ci sono nomi introdotti per la prima volta all'interno della finzione. La
posizione di Kripke è che per questi nomi dobbiamo mantenere la stessa teoria che abbiamo per gli
altri nomi, la teoria del battesimo diretto. (Trasmissione della catena causale, senza la mediazione di
una descrizione). Nella finzione non c'è l'intenzione di riferirsi a qualcosa, ma c’è l' intenzione di
FINGERE DI RIFERIRSI A QUALCOSA. (Nella letteratura ci sono casi in cui c'è intenzione di riferirsi a
qualcosa ma si fallisce, per esempio quando vogliamo spiegare le cause di un fenomeno tramite un
corpo che pensiamo ne sia la causa, e poi si scopre non esserlo)
Differenza fondamentale tra nomi fittizi ed altri nomi:
Jack lo squartatore. C’era un numero di crimini efferati a Londra e si è introdotto Jack, pensando che
il colpevole fosse uno solo. Se così non fosse stato l’intenzione avrebbe fallito. Le domande
metafisiche di esistenza non sono domande sensate. Un nome che non ha riferimento nel nostro
mondo non può avere riferimento in nessun mondo possibile.
Dobbiamo distinguere gli usi di questi nomi all'interno della finzione e al di fuori. All’interno della
finzione i nomi non hanno riferimento. Questi nomi usati al di fuori della finzione si riferiscono ad
oggetti creati dall’intenzione degli uomini di fare finta.

Per Kripke i nomi di generi naturali sono designatori rigidi. Secondo Kripke ciò che è acqua non
dipende dalla nostra descrizione per ciò che è acqua ma dalle caratteristiche intrinseche per cui il
nome è stato originariamente introdotto. Ciò che conta di questi nomi è come sono stati introdotti
all'interno della comunità linguistica e come vengono usato. Nel caso dell’acqua possiamo pensare
che le caratteristiche intrinseche dell’acqua siano caratteristiche chimiche. Ovviamente queste
nozioni non erano note nel momento in cui le parole sono state introdotte. Però queste

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caratteristiche già esistevano quando il nome è stato introdotto. Quello che Kripke sostiene è che
quando usiamo nomi di genere naturale…

Pensiamo agli unicorni: parlandone non ci riferiamo ad una specie naturale del nostro mondo. Non
riusciamo a riferirci un nome o un genere naturale in nessun altro mondo possibile. Non abbiamo
riferimento nel nostro mondo né in nessun altro mondo possibile. Poniamoci la domanda di
esistenza su questi esseri. La domanda di esistenza metafisica: “potrebbero esistere unicorni in un
mondo diverso dal nostro?" No.
Potrebbero esistere unicorni a noi sconosciuti? Non sarebbero unicorni. [Pag. 66]
Quando diciamo S.H. non esiste intendiamo che il nome S.H. non esiste. La catena causale che ha
prodotto il nome S.H non ha origine in un oggetto particolare.
Quando parliamo di esistenza quindi parliamo di proprietà di nomi.

Mosè sarebbe potuto esistere senza essere stato chiamato Mosè? Quello che a noi interessa non è
l'uso del nome Mosè, ma quello che succede alla persona che noi chiamiamo Mosè in questo mondo.
Quello che a noi interessa è cosa accade a Mosè, quello del nostro mondo.
Quello che a noi interessa quando ci chiediamo, se Mosè avesse potuto non guidare gli ebrei fuori
dall' Egitto, è se il Mosè a cui ci riferiamo noi, avrebbe potuto non guidare gli ebrei fuori dall'Egitto.
Quando diciamo che Mosè non esiste significa che non riusciamo ad esprimere una proposizione con
“Mosè esiste”.
Quando diciamo che S.H. non esiste è perché non riusciamo ad esprimere una proposizione, che è
“S.H. esiste”.
Dicendo “Mosè esiste” vuol dire che riusciamo a esprimere una proposizione "Mosè esiste".
La domanda di esistenza epistemica è diversa per Kripke dalla domanda di esistenza metafisica.

Lezione 23) 15/04/2019


Per K., quando usiamo termini di finzione noi facciamo finta di riferirci a oggetti e non riusciamo ad
esprimere proposizioni. Possiamo tuttavia parlare di verità nella finzione, ma si tratta di un uso
traslato, è vero nella finzione ciò che facciamo finta di accettare.
Nella filosofia della finzione, alcuni filosofi (gli irrealisti) hanno sostenuto che quando noi leggiamo o
usufruiamo di un qualche testo di finzione (1) in un certo senso (da precisare) accettiamo quello che
viene scritto o rappresentato (2) ma la nostra accettazione non dipende né dalla verità di ciò che è
accettato, né dalla credenza nel contenuto di ciò che è accettato.
I due filosofi irrealisti che noi prendiamo in considerazione sono Kendall Walton e Stuart Brock. Poi
concluderemo con una filosofa realista. Walton e Brock ritengono che noi possiamo accettare
coerentemente enunciati sulle opere di finzione senza doverci impegnare alla loro verità e al loro
contenuto letterale. Inoltre sia Walton che Brock si propongono di mostrare che non dobbiamo
impegnarci all'esistenza di oggetti fittizi. Ancora una volta questa non deve essere considerata una
prova che gli oggetti fittizi non esistono, ma solo del fatto che non ne abbiamo bisogno.
Mimesis as Make-Believe: Walton ha scritto questo testo pubblicato nel 1990. È un testo molto
importante, uno dei testi filosofici più rappresentativi dell'estetica contemporanea. L’obiettivo del
testo è molto ampio: fornire un resoconto della natura della finzione.
Una conseguenza che Walton ritiene derivi dalla sua nozione di finzione è che possiamo adottare la
posizione irrealista (cioè possiamo accettare certi asserti di opere letterarie, ad esempio, senza dover

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assumere che siano veri e senza dover credere in essi e non ci dobbiamo impegnare in alcun modo
all’esistenza di oggetti fittizi).
Sebbene il nostro obiettivo principale sia quello di comprendere la posizione irrealista di Walton, non
possiamo comprenderla senza avere almeno un'idea approssimativa della sua concezione della
natura della finzione. Verrà quindi fornita prima una presentazione generale della sua concezione
della natura della finzione, e poi si prenderà in considerazione più in dettaglio la sua posizione
irrealista.
Secondo Walton, un'opera fittizia (o finzione) è qualunque opera d'arte rappresentazionale (o
qualunque rappresentazione, sia essa artistica o no). Per W. sono opere di finzione:
• opere letterarie (come I promessi sposi);
• dipinti (come Guernica di Pablo Picasso);
• incisioni (come Il sonno della ragione genera mostri di Francisco Goya)
• sculture (come i Prigioni di Michelangelo);
• fumetti (come Le avventure della Pimpa di Altan)
• e altro ancora.
Uno dei aspetti che W. sottolinea sin dalle prime pagine è che per comprendere un’opera di finzione
noi dobbiamo considerare come giocano i bambini. I giochi dei bambini manifestano alcune
caratteristiche che vengono conservate anche dagli adulti nella loro interazione con le opere di
finzione.
I bambini di tutte le culture passano gran parte del loro tempo a giocare e, secondo Walton, è
impensabile che questa attività si perda completamente nell'adulto; a suo avviso permane anche se
in modo più sofisticato, meno aperto. Il gioco dei bambini è più semplice da capire quindi, secondo
Walton, è un utile strumento per capire come gli adulti proseguano questa attività in modi più
sofisticati.
I bambini utilizzano bambole, cavallucci, peluche, macchinine. Tutti questi oggetti sono supporti (in
inglese: prop) per far finta nei loro giochi. Ad esempio, le bambole sono supporti per far finta che
siano neonati, le macchinine sono supporti per far finta che siano automobili vere ecc. Allo stesso
modo le opere di finzione fungono da supporti nel “far finta” e un certo modo di “far finta”
contraddistingue la fruizione delle opere di finzione da parte degli adulti.
L’importanza del gioco:
Il gioco dei bambini deve essere interpretato come un’attività molto importante e non un semplice
passatempo. Il gioco serve al bambino per confrontarsi con la realtà che lo circonda. Nel campo di
concentramento di Auschwitz, i bambini giocavano ad un gioco chiamato “andare nella camera a
gas" e questo gioco serviva ai bambini per confrontarsi con la realtà raccapricciante del genocidio.
L'idea portante del lavoro di W. è che come i bambini usano supporti nei loro giochi per far finta,
anche gli adulti quando si confrontano con opere di finzione, usano queste opere come supporti in
un’attività di far finta un po' più sofisticata di quella dei bambini.
Si tratta di capire ora che cosa contraddistingue la finzione. Secondo W. Quando noi ci facciamo
coinvolgere da un'opera di finzione e ovviamente far finta coinvolge l’immaginazione. Ad esempio
quando guardiamo il dipinto Una domenica sull’isola della Grand Jatte di Seurat (un quadro
conservato al The Art Institute di Chicaco), noi immaginiamo una coppia che passeggia sul prato, o se
leggiamo La Metamorfosi di Kafka immaginiamo quello che avviene al protagonista Gregor Samsa.

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Sebbene quando noi ci facciamo coinvolgere da un'opera d’arte immaginiamo qualcosa, W. ci mette
in guardia dall’identificare finzione e immaginazione. Egli ci invita a riconoscere che talvolta ciò che è
finzione non è immaginato e ciò che è immaginato talvolta non è fittizio. Per W. è molto importante
distinguere nettamente tra finzione e immaginazione.
L'immaginazione è in parte soggettiva, mentre ciò che è fittizio risponde a delle regole (così come
giocano i bambini rispettano delle regole, così ciò che è finzione sta a delle regole).
Esempio: prendiamo in considerazione il gioco dei bambini Eric e Gregory che decisono di
considerare i ceppi di legno come orsi. S’imbattono in un ceppo di legno e dicono “Ehi c'è un orso
qui". Susan, che non sa del gioco si spaventa, ma se le dicono che è solo per gioco che c’è un orso,
Susan si tranquillizza…e riconosce che l’asserto è vero nella finzione.
Le opere di finzione sono supporti per le verità fittizie. Ad esempio le macchie di colore sulla tela de
La grand Jatte rendono fittizio che ci sia un coppia che passeggia sul prato. Le parole nel testo I
viaggi di Gulliver rendono fittizio che ci sia una società con persone altre 15 cm che vanno in guerra a
seconda di come si rompono le uova. Le opere di finzione quindi generano generano verità di
finzione indipendentemente da quello che chiunque immagina. Ma le opere di finzione, in quanto
supporti, non generano le verità di finzione da sole, hanno bisogno di una realtà umana e sociale che
stabilisce una correlazione tra certe caratteristiche dell'opera di finzione e le verità fittizie generate.
Questa connessione tra opere di finzione e verità fittizie generate è chiamata “principio di
generazione”.
Il principio di generazione può essere esplicitamente formulato come ad esempio fanno i due
bambini Eric e Gregory quando dicono “Facciamo che i ceppi di legno siano orsi". Ma in molti casi
non c'è alcuna formulazione esplicita di questi principi e molti di coloro che fruiscono le opere d’arte
possono essere completamente inconsapevoli di tali principi, nel senso che non saprebbero
formularli neppure che gli fosse chiesto esplicitamente. Ciò che rende i principi di generazione
adeguati per certe opere di finzione è che sono in vigore, che di fatto ci si attiene ad esse [pag. 38].
Occorre tener presente che un supporto genera immaginazione solo se è accompagnato dal principio
di generazione, se non c’è principio di generazione, ogni immaginazione non è governata da regole e
quindi non dipende da supporti e principi di generazione. Ad esempio se Eric associa le fragole
all'edera velenosa perché ha avuto un'eruzione cutanea allergica da edera velenosa proprio dopo
aver mangiato fragole, questo non vuol dire che ci sia un principio di generazione che produce la sua
immaginazione, la sua immaginazione procede da sola.
N.B. Tesi dell'irrealismo: possiamo accettare certi tipi di asserti senza doverci impegnare alla loro
verità o al loro contenuto.

Lezione 24) 29/04/2019


Riepilogo: Walton primo filosofo irrelista sulle entità fittizie. Dal saggio Mimesis emerge come W.
caratterizza la finzione. Per W. sono opere di finzione qualsiasi cosa abbia natura rappresentazionale.
Secondo W. per comprendere la finzione dobbiamo comprendere come giocano i bambini…i bambini
usano supporti…e associano a questi supporti delle regole..
Un aspetto su cui Walton insiste è la differenza tra finzione e immaginazione.. N.B. Bisogna
distinguere tra ciò per cui c'è una prescrizione ad immaginare (finzione) e ciò che e immaginato
(immaginazione).

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Abbiamo visto che una verità di finzione non è ciò che è immaginato, e inoltre abbiamo considerato
come alcune verità di finzione sono generate da supporti insieme a principi di generazione. La verità
di finzione sono prescrizioni ad immaginare qualcosa. Quindi la verità di finzione non coincide con
ciò che di fatto è immaginato, la verità di finzione coincide con ciò per cui c’è una prescrizione ad
immaginare. E la prescrizione è determinata dal principio di generazione insieme ai supporti che di
volta in volta si presentano.
Questa definizione rende l'immaginazione un po' diversa da come normalmente la si pensa.
Generalmente si pensa che l'immaginazione sia libera di spaziare come si vuole, mentre la credenza
ha come aspirazione quella di cogliere la verità. Occorre solo e soltanto ciò che è vero, non siamo
liberi di credere quello che vogliamo. Pensiamo quindi di essere liberi di immaginare quello che
vogliamo, ma non di essere credere quello che vogliamo. Se invece accettiamo la definizione di
Walton, dobbiamo riconoscere che l'immaginazione è costretta da regole (o principi di generazione)
che agiscono in concomitanza con certi supporti. Chiunque di rifiuti di immaginare in base alle
regole, si rifiuta di giocare o gioca in modo inappropriato.
Prescrizioni ad immaginare:
Una proposizione deve essere immaginata se si pone attenzione ad un certo supporto accompagnata
da principi di generazione. Ad esempio, Eric e Gregory, non sanno del ceppo che è nel bosco alle loro
spalle, quindi non immagino che ci sia un orso lì ma sono costretti ad immaginare un orso ogni volta
che si presenta un ceppo di fronte a loro. I principi di generazione costituiscono pertanto prescrizioni
riguardo a ciò che deve essere immaginato in certe circostanze e queste prescrizioni coincidono con
la verità di finzione
Verità è verità nella finzione:
C’è una forte tentazione a considerare la funzionalità (cioè le verità di finzione), come una specie di
verità. In un certo senso noi diciamo che certe proposizioni sono vere in un mondo fittizio (o sono
verità di finzione) e quindi possiamo pensare che si tratti di una specie di verità. Tuttavia Walton
distingue esplicitamente fra verità di finzione e verità. Le verità di finzione sono prescrizioni ad
immaginare in un certo modo. Asserire “C'è una prescrizione ad immaginare che p”, non significa
dire che “p è vero”. Le tue nozioni sono pertanto da tenere nettamente distinte secondo Walton.
Perché tendiamo ad assimilare verità e verità nella finzione? La ragione è da trovarsi nel fatto che
così come nella ricerca della verità noi cerchiamo di conoscere qualcosa di oggettivo e indipendente
dall'esistenza e dai desideri del soggetto, allo stesso modo le verità di finzione (in quanto dipendenti
da supporti) sono in un certo senso oggettivo, cioè sono indipendenti dall’esistenza e dalle
esperienze del soggetto…e proprio questa oggettività contribuisce all’interesse che suscitano in
coloro che ne usufruiscono.
L'irrealismo:
Secondo Walton noi possiamo fruire di un'opera di finzione letteraria senza doverci impegnare
all'esistenza di oggetti fittizi. Accettare il contenuto di un'opera di finzione non vuol dire accettare
che quel contenuto sia vero, vuol dire solo accettare certe regole che ci prescrivono di immaginare i
supporti in un certo modo. Accettare il principio di generazione e i supporti non vuol dire accettare la
verità di ciò che viene asserito, vuol dire accettare regole e supporti e essere disposti a seguire le
regole per usare i supporti nel modo indicato.

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Fare a meno degli oggetti fittizi:
Molti filosofi prima di Walton hanno ritenuto che ci si dovesse impegnare all'esistenza di oggetti
fittizi (ci sono delle eccezioni: come Frege e Russell), ma Walton ritiene che le ragioni avanzate dai
filosofi suoi predecessori non siano convincenti e vuole mostrare che chi adotta la sua teoria fa a
meno degli oggetti fittizi. Il capitolo 10 del libro di Walton è dedicato proprio a mostrare che chi
adotta la sua teoria può fare almeno degli oggetti fittizi, ed è su questo capitolo che ci
concentreremo.
N.B. Walton è il primo a sostenere questa tesi!
Secondo W. il problema degli oggetti fittizi deriva dalla nostra accettazione pre-teorica di due tesi:
(1) non esistono persone come re Lear nel mondo reale;
(2) esistono personaggi fittizi come Re Lear.
Il problema è rendere compatibile queste due tesi che noi accettiamo in modo pre-teorico.
Le strategie dei predecessori: le strategie che a suo avviso sono state adottate per cercare di
rendere compatibili queste due tesi sono due:
1) Prima strategia: alcuni filosofi (soprattutto i meinonghiani) hanno pensato di distinguere fra
essere e esistenza, o fra esistenza e realtà.
L’idea è che c’è re Lear, anche se non esiste o che re Lear resiste, anche se non esiste nel
nostro mondo.
2) Seconda strategia: altri filosofi (soprattutto Margolis) hann sostenuto che dobbiamo negare
essere ed esistenza agli oggetti fittizi, ma sebbene tali oggetti non esistano, noi possiamo
riferirci ad essi.
La seconda strategia viene velocemente confutata da W., dal momento che non si capisce
come possa avvenire il riferimento ad oggetti che non ci sono. La maggior parte dei filosofi ha
pertanto ritenuto che gli oggetti fittizi ci siano, anche se non c’è accordo su come questi
oggetti debbano essere interpretati.

Modi di sviluppare la 1) strategia:


• Alcuni accettano che gli oggetti fittizi siano incompleti, che non devono sottostare alla
legge del terzo escluso (ad esempio, Lady Macbeth non ha né la proprietà di avere più
di due figli, né la proprietà di non avere più di due figli).
• Per evitare difficoltà di tipo logico (come il rifiuto della legge del terzo escluso), alcuni
ritengono che gli oggetti fittizi non possono avere proprietà ordinarie, come essere
una persona e avere tre figli, ma solo proprietà come quella di avere una personalità
in base a una particolare storia.
• Alcuni ritengono che le entità fittizie siano oggetti astratti (tipi o generi o insieme di
proprietà), altri ritengono che siano oggetti che esistono necessariamente ed
eternamente.
La replica di Walton: tutte queste concezioni degli oggetti fittizi si scontrano con la nostra
concezione ordinaria di essi, noi parliamo di essi così come parliamo degli oggetti ordinari che hanno
esistenza fisica e contingente, che hanno proprietà normali e che sottostanno alle regole della logica.
Le teorie dei sostenitori degli oggetti fittizi non riescono pertanto a rendere conto del nostro modo
pre-teorico di parlare di essi.

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I requisiti di una teoria della verità nella finzione:
Molti filosofi hanno cercato di parafrasare gli asserti sugli oggetti fittizi che non possiamo accettare
per quello che dicono letteralmente per mostrare come devono essere effettivamente intesi.
Tuttavia questa strategia non è sufficiente occorre riuscire a soddisfare i seguenti 3 requisiti:
1. Dobbiamo sapere che cosa effettivamente diciamo quando parliamo di entità fittizie (e
questo viene proposto appunto dalla parafrasi);
2. Dobbiamo sapere perché ci esprimiamo in modo fuorviante e non preferiamo direttamente la
parafrasi proposta;
3. Dobbiamo avere un modo per stabilire in modo sistematico e uniforme che cosa diciamo sulla
finzione e non dobbiamo avere una procedura ad hoc per fornire la parafrasi.
Prima osservazione preliminare:
Prima di presentare la sua teoria, egli fa due osservazioni preliminari. Innanzitutto desidera mettere
in luce quello che a suo avviso è l’errore delle teorie che accettano gli oggetti fittizi. Tali teorie
prendono l'avvio dall'assunzione che ci sono entità fittizie e ne caratterizzano lo statuto ontologico, e
solo successivamente si interrogano sul tipo di atteggiamento che noi abbiamo nei loro confronti.
Secondo Walton occorre invece adottare la prospettiva opposta: occorre innanzitutto prendere
l'avvio dal nostro atteggiamento di “far finta” e alla luce di tale atteggiamento occorre considerare
che cosa sono e se ci sono le entità fittizie.
La seconda osservazione preliminare:
La seconda osservazione preliminare di W. riguarda il suo atteggiamento nei confronti delle entità
astratte in generale. Alcuni filosofi sono diffidenti nei confronti di tutte le entità astratte e
considerano le entità fittizie un tipo particolare di entità astratte. Walton invece ritiene che occorra
distinguere fra entità fittizie e altre entità astratte. La principale ragione di fare questa distinzione
dipende dall’atteggiamento pre-teorico di molti parlanti: mentre la maggior parte sono concordi
nell’affermare che non esistano re Lear, Don Abbondio ecc…la maggior parte non pensa che non
esistono i numeri e le proprietà.
[Idea di Walton secondo la quale noi siamo in grado di riconoscere quando siamo di fronte ad
un’opera di finzione accompagnata da principi di generazione…mentre quando abbiamo numeri o
proprietà non entrano in gioco questi principi e dunque non si pone il quesito…(criterio per
riconoscere entità astratte da entità di finzione)].

Le nostre asserzioni fittizie:


Sebbene si dia spesso per scontato che noi facciamo asserzioni su oggetti fittizi, questa assunzione è
sbagliata a parere di Walton. I presunti asserti su oggetti fittizi sono in realtà “asserti simulati”, atti
di partecipazione in giochi di far finta.
Esempio: L'esempio che fa Walton è quello di una persona che puntando ad un particolare del
dipinto di Van de Velde – La costa di Schevening (conservato al National Gallery di Londra) dice:
“Questa è una nave”. Prendiamo in considerazione il dimostrativo “questa”, a che cosa si riferisce?
Non si riferisce certo ad una macchia colorata, una macchia colorata non è una nave. Il riferimento
del dimostrativo non è un particolare oggetto su cui poi si agisce facendo finta, il dimostrativo ha un
riferimento soltanto all'interno di un gioco di far finta. La persona può solo simulare di riferirsi a
qualcosa (non si riferisce effettivamente a qualcosa) col dimostrativo all'interno di un gioco di far
finta.

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N.B. Quello che diciamo del quadro è solo interno ad un gioco di finzione. Facciamo riferimento non
ad una nave o ad una persona…
Esempio: Allo stesso modo, secondo Walton, quando diciamo che “Gulliver è stato catturato dai
Lillipuziani” il nome “Gulliver” non ha un riferimento al di fuori della simulazione generata dal gioco
di far finta.
Quando Walton parla di simulazione intende un’azione di partecipazione in un atto di far finta.
Quando un bambino gioca a “Guardia e ladri” e urla “Fermo o ti sparo!”, sta compiendo un’azione
(sta parlando effettivamente), ma la sua azione è compiuta all’interno di un gioco di far finta. Allo
stesso modo le asserzioni che noi facciamo su opere letterarie o su opere pittoriche sono da
intendersi come azioni compiute all’interno di un gioco di far finta. Il parlante quindi agisce
all’interno di un mondo fittizio e contribuisce alla sua esistenza.
Il ruolo del critico: si può pensare che l’azione del critico, che commenta un dipinto o un’opera
letteraria, sia un’azione dall’esterno, che non lo coinvolge nell’azione di far finta, ma Walton ritiene
che questa sia un’interpretazione scorretta. Il critico non può parlare di un’opera di finzione se non si
fa a catturare nel gioco di far finta.
Esempio: Supponiamo che un critico intenda commentare le tristi vicende di Willy Loman (il
protagonista dell’opera teatrale Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller), probabilmente
simulerà di descrivere una tragedia umana reale facendosi coinvolgere e facendo osservazioni sul
mondo dell’opera teatrale (immergendosi quindi fittiziamente in quella realtà sociale).
L'obiezione e la replica: si può qui dubitare che il critico si faccia veramente coinvolgere nel gioco di
far finta. Come facciamo a sapere che il critico simula e non asserisce effettivamente? Per poter fare
la distinzione tra asserire e far finta (o simulare) di asserire, occorre una definizione di “asserzione”
da distinguere dalla definizione di “far finta” che Walton si rifiuta di dare. Si può cercare di insistere
che il critico non si fa coinvolgere, che rimane all’esterno del gioco di far finta. Ma anche se così
fosse, Walton osserva che le parole del critico potrebbero essere supporti per altri giochi di far finta
compiuti dai suoi ascoltatori e quindi il critico potrebbe essere inserito in un gioco di far finta suo
malgrado.

L'atteggiamento con cui facciamo asserzioni:


L’obiettivo a cui tende Walton è sostenere che quando noi facciamo asserzioni sulle opere di
pensione come ad esempio “Tom Sawyer ha partecipato al suo funerale”, stiamo compiendo un atto
linguistico all’interno di un gioco di far finta, non abbiamo quindi ragione di supporre che ci sia
alcuna persona a cui ci riferiamo con il nome “Tom Sawyer” e non dobbiamo supporre che ci sia una
proposizione che viene espressa dall’asserto “Tom Sawyer ha partecipato al suo funerale”. È solo
all’interno della finzione che ci si riferisce a una persona e che si esprime una proposizione. Per
comprendere quindi quelle che sembrano asserzioni su entità fittizie dobbiamo innanzitutto
considerare l'atteggiamento con cui vengono compiute e l'atteggiamento deve essere compresa
all'interno di un gioco di far finta.

N.B. Nella maggior parte dei casi non siamo neanche in grado di esplicitare quale siano i principi di
generazione: se ce lo chiedessero non saremmo in grado di esplicitarli…ciò che importa a Walton è
che siano in uso!

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Lezione 25) 2/05/2019
Riepilogo: Kripke: realista.
Walton è un irrealista: non abbiamo bisogno degli oggetti fittizi. La posizione di W. Propone quindi
una parafrasi di tutti gli asserti che contengono gli oggetti fittizi; non è nuova come cosa, anche
Lewis…la novità è che fornire una parafrasi non è sufficiente, per Walton, bisogna anche fornire una
spiegazione del perché parliamo in maniera forviante e dobbiamo inoltre trovare un criterio
uniforme di parafrasi.
Punto di partenza: partire da come noi parliamo degli oggetti fittizi.
Secondo Walton anche il critico assume un atteggiamento che può essere assimilabile a quello
utilizzato nella finzione.

L'obiettivo di Walton è argomentare: quelle che sembrano asserzioni sugli oggetti fittizi sono atti di
simulazione all’interno di un gioco di far finta. Walton sostiene che sebbene questa asserzioni non
siano asserzioni su oggetti fittizi, sono comunque asserzioni e si propone di spiegare quali sono le
condizioni di verità e il contenuto di tali asserzioni.
I requisiti di una teoria della verità nella finzione:
• Dobbiamo sapere che cosa effettivamente diciamo quando parliamo di entità fittizie (e
questo viene proposto appunto dalla parafrasi);
• Dobbiamo sapere perché ci esprimiamo in modo fuorviante e non preferiamo direttamente la
parafrasi proposta;
• Dobbiamo avere un modo per stabilire in modo sistematico e uniforme che cosa diciamo di
volta in volta sulla finzione, e non dobbiamo di volta in volta avere una procedura ad hoc per
fornire la parafrasi.
Le asserzioni in esame:
Quelle che sembrano asserzioni su oggetti fittizi sono asserzioni seguenti:
1) Tom Sawyer ha assistito al suo funerale;
2) L’assassino ha nascosto il cadavere sotto le assi del pavimento (detto a proposito di Il
cuore rivelatore di Edgar Allan Poe);
3) Quello è un unicorno (detto mentre si punta il dito verso un uno degli arazzi medievali con
gli unicorni – si possono trovare sia in Francia che al Metropolitan Museum di New York).

1. Prima ipotesi (da scartare): uno potrebbe pensare che per comprendere quello che viene
effettivamente asserito con questi enunciati basti aggiungere una frase come “In Le
avventure di Tom Sawyer” o “Nel racconto” o “Nel mondo dei dipinti” in base a questo
interpretazione, il primo asserto sarebbe equivalente al seguente: “In Le avventure di Tom
Sawyer, Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” e all'interno della finzione si fa riferimento a
oggetti o persone fittizie.
Problemi:
Ma non tutti gli asserti che riportano ciò che viene detto in un'opera di finzione contengono
riferimenti apparenti a oggetti fittizi, alcuni contengono riferimenti a oggetti reali o a oggetti
generici. Per un esempio, si prenda in considerazione il seguente asserto:
• Cesare è stato messo in guardia sulle Idi di marzo (detto riguardo alla tragedia di
Shakespeare Giulio Cesare).

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In questo caso il nome “Cesare” si riferisce a una persona effettivamente esistita. Si prenda inoltre in
considerazione il seguente asserto:
• Insetti giganti cresciuti a Nord Wood furono usati per trivellare pozzi in Arizona (detto
riguardo alle storie di Paul Burnyan, storie piuttosto popolari negli Stati Uniti)
In questo caso non c’è un riferimento a un particolare personaggio o insetto.
La posizione di Walton: secondo Walton non si può sostenere che tutti gli asserti in opere di finzione
facciano riferimento anche solo apparentemente ad oggetti di finzione, alcuni non fanno riferimento
ad oggetti fittizi. Quello che contraddistingue invece tutte queste asserzioni è la partecipazione a
giochi autorizzati di far finta.
Giochi autorizzati e giochi non autorizzati:
È bene distinguere fra giochi autorizzati e giochi non autorizzati. Sebbene non ci siano giochi in
assoluto non autorizzati, alcuni sono di fatto non autorizzati. Se ad esempio qualcuno vuole far finta
che le parole di Alla ricerca del tempo perduto siano impronte di piccoli marziani lo può fare, ma
questo non è un gioco di far finta che è in uso e pertanto non è autorizzato. Un gioco non
autorizzato è semplicemente un gioco che non è in uso, mentre un gioco autorizzato è un gioco che
è di fatto praticato.
La distinzione tra giochi autorizzati e giochi non autorizzati è funzionale a capire perché non tutte le
asserzioni fatte all’interno di un gioco di far finta sono accettate e appropriate. Ad esempio
l’asserzione “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” è accettata e appropriata, mentre l’asserzione
“Tom Sawyer non ha mai marinato la scuola” non lo è. Gli atti di simulazione possono essere
appropriati o non appropriati a seconda dei giochi di far finta che sono di fatto praticati e non di ciò
che è vero o falso. Quando qualcuno asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” sta
rendendo fittizio di sé stesso in un particolare gioco di far finta autorizzato che sta dicendo la verità
invece che la falsità.
E quando una persona asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” non solo rende fittizio di
sé stesso in un particolare gioco di finzione che sta dicendo la verità, ma mostra anche agli altri che
quello che sta compiendo è un gioco di simulazione autorizzato. E non è fittizio, nello stesso gioco di
simulazione, che gli dica la verità se dice “Tom Sawyer non ha mai marinato la scuola”.
Atto di simulazione e asserzione”
Sebbene, secondo Walton, quando uno asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” sta
compiendo un atto di simulazione, egli sta facendo anche un’asserzione. E un'asserzione ha un
contenuto che è vero o falso. Si pone quindi la questione di stabilire che cosa viene asserito quando
qualcuno preferisce quelle parole in un atto di simulazione e quali sono le sue condizioni di verità.
Le condizioni di verità: Walton specifica innanzitutto quali sono le condizioni di verità di ciò che
viene asserito in generale, e poi ci propone le condizioni di verità di un’asserzione fittizia. Le
condizioni di verità di un asserto sono quelle condizioni che deve soddisfare il mondo affinché
l’asserto sia vero. Ora, secondo walton, quando uno asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo
funerale” ciò che rende la sua asserzione vera è che è fittizio nel gioco autorizzato adottato dal
parlante che egli parli in modo veritiero.
Esempio: Ad esempio se Susanna asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” ciò che
asserisce è vero se e solo sé è fittizio nel gioco autorizzato che Susanna adotta che essa parli in modo
veritiero.

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È bene tenere presente che tutto ciò che serve per stabilire le condizioni di verità di ciò che è
asserito dipende dalla natura dell’opera di finzione (nel caso specifico Le avventure di Tom Sawyer) e
dai principi di generazione adottati nel gioco autorizzato per la specifica opera di finzione. Non è
quindi necessario postulare oggetti fittizi per stabilire quali sono le condizioni di verità di ciò che è
asserito.

La parafrasi:
Dal momento che la simulazione che essi adottano è la stessa, possiamo chiamare la simulazione
adottata da entrambi K e specificare la parafrasi di ciò che viene asserito come segue:
(1b) Le avventure di Tom Sawyer è tale che uno che adotta una simulazione di tipo K in un gioco
autorizzato per quell’opera di finzione fa finta di parlare veridicamente in quel gioco dicendo
“Tom Sawyer ha partecipato al suo funerale”.
La parafrasi può essere anche espressa nel modo seguente:
(1c) Le avventure di Tom Sawyer è tale che uno che asserisce fittiziamente che Tom Sawyer ha
partecipato al suo funerale in un gioco autorizzato per quest'opera, finge di sé stesso che sta
parlando veridicamente.
È molto importante notare che ciò che viene asserito riguarda un atto di simulazione e la seconda
parafrasi (1c) nasconde questo aspetto, che è invece cruciale per Walton. Ciò che viene asserito da
chi dice “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” non riguarda un mondo di finzione, ma riguarda
una simulazione autorizzata da un gioco di far finta. La prima parafrasi (1b) è quindi preferibile alla
parafrasi (1c).
N.B. Walton preferisce (1b) ad (1c). Secondo Walton la prima parafrasi è migliore perché rende
esplicito questo atto di simulazione che è cruciale per W.

Un atto di simulazione non è un particolare atto, ma è un tipo di atto e può essere adottato almeno
in linea di principio ed altre persone. L’atto di simulazione viene mostrato direttamente da chi si fa
coinvolgere in opere di finzione e fa asserzioni. Ed è al tipo di atto di simulazione a cui si fa
riferimento quando si fa una funzione apparentemente su oggetti fittizi.
N.B. Secondo W. esistono diversi tipi di atti di simulazione

I requisiti di una teoria della verità nella finzione >> requisiti soddisfatti:
• Il primo requisito è soddisfatto dalla parafrasi.
• La seconda richiesta è chiarita una volta che si comprende che noi ci facciamo coinvolgere in
atti di simulazioni in giochi di far finta. All’interno del gioco di far finta, ciò che ci interessa è
ciò in cui ci facciamo coinvolgere nella simulazione e quindi ciò che assumiamo-sotto-
simulazione.
• Resta in sospeso il terzo requisito.

I giochi non autorizzati:


In molti casi noi non giochiamo giochi autorizzati dalle opere di finzione, ma giochiamo giochi speciali
e non ufficiali. Si potrebbe credere che per questi giochi non ufficiali servano stipulazioni particolari,
ma in molti casi non è necessaria alcuna stipulazione dei principi di generazioni, i giochi non ufficiali
si comprendono facilmente.

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Esempio: Ad esempio quando qualcuno accarezza una scultura sta simulando di accarezzare la
persona raffigurata; quando qualcuno si mette a tirare frecce a un ritratto sta simulando di tirare
frecce alla persona rappresentata.

Giochi non ufficiali:


• L’orchestra è sull’acqua (detto nel caso in cui si simula che la pedana dell’orchestra sul ponte
della nave è l’acqua dell’oceano).
• La piccola Annie ha 8 anni da 40 anni (in cui il gioco dipende dal fatto che il fumetto sulla
piccola Annie è stato prodotto per 40 anni).
• È morta 9 volte nelle ultime due settimane (in cui il gioco di prende dal fatto che un’attrice ha
recitato 9 volte la morte di un certo personaggio).
• Robinson Crusoe è più intraprendente di Gulliver (in cui si simula che due opere letterarie
facciano parte di uno stesso gioco di finzione).
• Odisseo è Ulisse (in cui, ancora una volta, si simula che due opere letterarie l’Odissea di
Omero e il poema Ulisse di Tennyson facciano parte di uno stesso gioco, e che il protagonista
delle due opere possa essere identificato).
Le condizioni di verità:
Che cosa asserisce chi simula in un gioco non ufficiale? La risposta è analoga per certi versi a quella
data nel caso dei giochi ufficiali. Le condizioni di verità sono caratterizzate come segue: quello che
viene asserito è vero se solo se è fittizio, nel gioco non ufficiale, che quello che viene asserito è vero.
Le regole per comprendere i giochi non ufficiali:
Ci sono secondo Walton tre regole da tener presente.
• Innanzitutto bisogna presupporre che gli asserti siano ordinati, fino a prova contraria.
• Quando gli assenti non sono ordinari occorre mettere in pratica un principio di carità. Bisogna
assumere che chi parla non dica cose senza senso e quindi bisogna cercare un gioco non
ufficiale che renda sensato quello che viene detto. Quando ascoltiamo “Robinson Crusoe è
stato più intraprendente di Gulliver” il modo per rendere raggiungibile l’asserzione è che due
opere di funzioni siano supporti di un unico gioco di finzione.
• Inoltre bisogna tener presente i precedenti. Molti giochi di finzione non ufficiali sono ormai
molto diffusi, ad esempio è diffuso il gioco di considerare due opere di finzione supporti di
uno stesso gioco, o è diffuso ritenere l'autore di un personaggio il suo creatore.
In generale: secondo Walton, la differenza tra i giochi non ufficiali con precedenti e quelli senza
precedenti può essere assimilata alla differenza tra metafore morte e metafore nuove. I giochi non
ufficiali presi in considerazione, sebbene non autorizzati dalle opere di finzioni, sono ispirati alle
stesse opere di finzione e sono facilmente comprensibili come variazioni di giochi ufficiali.
Esempi:
• Oscar Wilde ha ucciso Dorian Gray trafiggendo il suo cuore con un coltello;
• Molti bambini amano E.T. più di Topolino
• Sherlock Holmes è più famoso di qualunque detective;
• Sconfitto dalla realtà e dalla Spagna, Don Chisciotte è morto nel villaggio nativo nel 1614. Gli
è sopravvissuto di poco Miguel de Cervantes;
• Jane Austen ha creato Emma Woodhouse;
• I convitati dell’Ultima cena (di Leonardo) stanno gradualmente svanendo.

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N.B. Quello che Walton ci sta dicendo è che tutte le asserzioni che noi facciamo sulla finzione sono
compiute all'interno di un gioco..

Lezione 26) 3/05/2019


Stuart Brock, Funzionalismo sui personaggi fittizi
Nel testo che leggiamo, Stuart Brock confronta i realisti sugli oggetti fittizi con i finzionalisti. I realisti
sostengono che abbiamo bisogno di postulare l’esistenza di oggetti fittizi per rendere conto delle
nostre affermazioni sulla finzione, i funzionalisti sostengono invece che non ne abbiamo bisogno.
Stuart Brock è un finzionalista e l’obiettivo del suo saggio è mostrare che il funzionalista può evitare
di postulare le entità fittizie e fornire un resoconto adeguato e uniforme degli asserti sulla finzione.
N.B. Il saggio di Brock non è molto preciso in molte parti e descrive i realisti in modo grossolano e
stereotipato. Ha il pregio di presentare la posizione finzionalista in modo piuttosto chiaro.

Realismo sui personaggi fittizi:


Nel primo paragrafo del suo saggio, Stuart Brock considera il suo bersaglio polemico: i realisti sugli
oggetti fittizi. Sebbene egli riconosca che la posizione realista non sia uniforme e che ci siano grosse
differenze tra i sostenitori del realismo, egli individua due tesi che contraddistinguono i realisti:
1. La tesi ontologica: ci sono oggetti fittizi. Un personaggio fittizio è un individuo (o un ruolo)
selezionato da un nome o una descrizione che:
(1) è introdotta per la prima volta in un’opera di finzione e
(2) non si riferisce a un individuo del mondo reale.
2. Principio di pianezza: c’è abbondanza di personaggi fittizi.
La tesi ontologica:
Innanzitutto vale la pena tener presente che nelle opere di finzione si fa talvolta riferimento a
persone effettivamente esistite nel mondo reale (ad esempio si fa riferimento a Napoleone in Guerra
e Pace di Tolstoj, o si fa riferimento a Giulio Cesare nel Giulio Cesare di Shakespeare). Il riferimento a
oggetti del mondo reale non è messo in discussione dei filosofi irrealisti sulle entità fittizie e quindi
quello che contraddistingue la tesi ontologica dei filosofi realisti è che i termini introdotti nei testi
letterari, che non si riferiscono ad oggetti del mondo reale, hanno comunque riferimento.
Principio di pienezza:
Inoltre, vale la pena di precisare che coloro che credono negli oggetti fittizi, non si accontentano di
ritenere che i nomi o le descrizioni in un’opera di finzione abbiano un qualche riferimento (magari lo
stesso per tutti i nomi e le descrizioni di oggetti fittizi), ma occorre che tali nomi o descrizioni
individuino oggetti distinti.
Frege in Senso e significato: si potrebbe stipulare un linguaggio ideale (ideografia) in cui ogni nome
designi un oggetto; la descrizione “la serie meno convergente” non ha un significato, ma si potrebbe
supporre che espressioni del genere disegnino tutte lo stesso oggetto; ad esempio il numero 0. Chi fa
questa assunzione non è un realista sugli oggetti fittizi.
Il principale problema per i realisti (secondo Brock):
1. Gli enunciati esistenziali negativi: sono enunciati come “Sherlock Holmes non esiste”,
enunciati che le persone comuni accettano come adeguati, e che un anti-realista (o irrealista)
accetta come adeguati, ma che un realista sugli oggetti fittizi non può accettare così come si
presentano.

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Per valutare quindi la posizione del realista, Brock si propone di valutare il modo in cui rende
conto di tale enunciati, e l’obiettivo è mostrare che le analisi proposte dai realisti sono
inadeguate.

I realisti concreti:
I realisti concreti accettano (oltre alle due tesi precedenti) le seguenti tesi:
1. La tesi della concretezza: i personaggi fittizi sono di diverso tipo, talvolta concreti (come
Scarlett O’Hara e Robin Hood) e talvolta astratti (come l’insieme che contiene Scarlett O’Hara
e la lealtà del piccolo John a Robin Hood).
2. Non-attualisti: i personaggi fittizi esistono, ma non sono nel mondo possibile in cui ci
troviamo (non sono attuali).
Queste tesi sono condivise, a parere di Brock, sia da un meinonghiano (come Parsons), che da una
possibilista come Lewis. Tuttavia c'è una differenza nel modo in cui interpretiamo la tesi del non-
attualismo. Per Pearson, la distinzione tra esistenza e realtà (o attualità) è di tipo antologico e, per
Lewis non è una distinzione ontologica, ma il termine “attuale” deve essere considerato un indicale,
il cui riferimento dipende dal mondo in cui è preferito.
Gli asserti esistenziali negativi:
Consideriamo ora come interpretiamo l'enunciato esistenziale negativo “Sherlock Holmes non
esiste”. A loro avviso il quantificatore esistenziale ha un’applicazione ristretta in questo caso, come
nella maggior parte dei casi in cui usiamo il predicato di esistenza; supponiamo che qualcuno dica
“non c’è più cibo”, quello che presumibilmente intende è “non c’è più cibo in casa” o “non c’è più
cibo nelle vicinanze”, allo stesso modo quando noi diciamo “Sherlock Holmes non esiste” intendiamo
“Sherlock Holmes non esiste nel mondo che abitiamo”.
Le due varianti: anche il realismo astratto presenta due varianti.
1) La prima variante viene definita “realismo individuale” ed è la tesi che i personaggi fittizi sono
individui astratti che esistono nel nostro mondo (è la tesi che viene attribuita ad esempio a
Kripke e ai cosiddetti creazionisti).
2) La seconda variante viene definita “realismo del ruolo” e sostiene che i personaggi fittizi non
sono individui, ma ruoli (o regole) definite o costituite da insieme di proprietà (è la tesi che
viene attribuita ai cosiddetti platonisti non creazionisti).

I realisti astratti:
Sostengono che gli oggetti fittizi siano entità astratte (tesi dell'astrattismo) e che gli oggetti fittizi
siano oggetti del nostro mondo (tesi del realismo).
Gli asserti esistenziali negativi:
Poiché il realista astratto è un sostenitore della tesi attualista (o realista) non può distinguere fra ciò
che esiste e ciò che è reale come fa il realista concreto. Il realista astratto interpreta l'enunciato
“Sherlock Holmes non esiste” come esprimente la proposizione che nulla ha le proprietà attribuite a
Holmes, o la proposizione che non c’è nulla che occupa il ruolo di Holmes.

Le ragioni del realista:


Il realista per difendere la sua posizione deve fornire argomenti per dimostrare che noi abbiamo
bisogno degli oggetti fittizi. L’argomento che viene di solito utilizzato dal sostenitore degli oggetti
fittizi è che la verità di alcuni enunciati ci impegna l’esistenza di oggetti fittizi.

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Per comprendere gli argomenti dei realisti è utile distinguere tre tipi di enunciati che sembrano
impegnarci all’esistenze di oggetti fittizi, che vengono così denominati:
1. asserti fittizi;
2. asserti critici;
3. asserti esistenziali.
L’obiettivo degli irrealisti è mostrare che per i primi due tipi di asserti la loro posizione è preferibile a
quella dei realisti.
1. Asserti fittizi:
• C’è un famoso detective che vive a 221b Baker Street;
• Heathcliff fu perseguitato da un fantasma nelle brughiere ventose;
• Scarlett O’Hara è una donna.
2. Asserti critici:
• Scarlett O’Hara è un personaggio fittizio;
• Romeo è stato analizzato criticamente da molti studiosi di Shakespeare;
• Holmes è ammirato da molti membri della polizia inglese;
• Holmes non avrebbe avuto bisogno di cassette registrate per scoprire i segreti di
Nixon (Lewis);
• Holmes simboleggia l'umana ricerca incessante della verità (Lewis);
• Anna Karenina è meno nevrotica di Caterina Ivanovna (Howell);
• Il personaggio di Odisseo che compare nell’Odissea, è identico al personaggio che
compare nell’Inferno, canto 26, con il nome Ulisse (Howell).
• Ci sono personaggi nei romanzi del XIX secolo che sono presentati con più dettagli
fisici di qualunque personaggio in un qualunque romanzo del XVIII secolo (Van
Inwagen).
• Giacché i romanzieri inglesi del XIX secolo furono per lo più persone convenzionali,
possiamo aspettarci che nella maggior parte dei romanzi del periodo compaiono buffi
stereotipi di italiani o francesi; ma pochi di tali personaggi sono esistiti (Van Inwagen).
• Un certo detective fittizio è più famoso di qualunque detective reale (Pearson).
• Le cose andrebbero meglio se certi politici che, sfortunatamente, esistono solo nella
finzione governassero questo paese al posto di quelli che lo fanno (Pearson).
1. Asserti fittizi:
Prima obiezione: l’anti-realista non può accettare gli asserti fittizi per come si presentano,
ha bisogno di fornire una parafrasi.
Consideriamo innanzitutto gli asserti fittizi. Secondo Brock, il realista li può accettare per
quello che sono, mentre l’anti-realista deve fornire una parafrasi di tali asserti per poter
rendere conto del loro contenuto compatibile con la sua teoria. In base al teorico anti-
realista, dobbiamo interpretare questi asserti come asserti ellittici, abbreviati, in cui c’è un
prefisso che è rimasto implicito. Il prefisso implicito è qualcosa come “In base all’opera di
finzione così-e-così”. L'asserto è vero quando viene aggiunto il prefisso, ma la anti-realista
deve dire che l’asserto è falso senza il prefisso.

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Il confronto:
Il realista può manifestare la sua insoddisfazione sottolineando che l'anti-realista deve spiegare
perché parliamo in modo fuorviante e non diciamo direttamente quello che intendiamo. L’anti-
realista ha a disposizione la risposta “tu quoque”. Infatti, se la anti-realista è costretto a fornire una
parafrasi degli asserti fittizi, il realista è costretto a fornire una parafrasi degli asserti esistenziali
negativi. Brock osserva, inoltre, che il realista astratto non può accettare gli atti fittizi per quello che
sono. Infatti gli oggetti astratti non hanno la proprietà di essere donne o di abitare al 221b di Baker
Street. Pertanto il realista astratto deve fornire una parafrasi anche degli asserti fittizi e non solo di
quelli esistenziali, trovandosi in una posizione più svantaggiosa di quella della anti-realista.
2. Asserti critici:
Seconda obiezione: l’anti-realista non può fornire per gli asserti critici la stessa parafrasi che
offre per gli assenti fittizi e deve quindi accettare di impegnarsi agli oggetti fittizi.
Gli asserti critici creano un problema in più per l’anti-realista. Non solo non li può accettare
così come sono, ma non può neanche offrire una parafrasi paragonabile a quella che offre per
gli asserti fittizi. Questa è un’obiezione che si trova ripetuta più volte nella letteratura. La
posizione di Brock verso questa obiezione è duplice. Da una parte cerca di difendersi
dall’accusa, dall’altra parte riconosce la validità dell’accusa e propone una strategia
alternativa che l’anti-realista può adottare per non incorrere nella difficoltà sollevata dalla
seconda obiezione.
Come cerca di difendersi:
Cerca una strategia uniforme. Egli sostiene che non è vero che per tutti gli asserti critici non sia
possibile fornire una parafrasi che fa appello al prefisso “Nell'opera di finzione così-e-così", in alcuni
casi questo è possibile e fornisce i seguenti esempi:
(4*) Scarlett O’Hora non esiste, ma c’è un’opera di finzione in base alla quale esiste
(9*) In base al romanzo Anna Karenina, Anna Karenina è nevrotica al grado x, e in base al romanzo I
fratelli Karamazov Katerina Ivanova è nevrotica al grado y, e x < y.
(12*) Giacché i romanzieri inglesi del XIX secolo furono per lo più persone convenzionali, possiamo
aspettarci che in base alla maggior parte dei romanzi del periodo ci fossero buffi stereotipi di italiani
o francesi; ma questo è vero di pochissimi romanzi del periodo.
(14*) Le cose andrebbero meglio se certi politici attuali non governassero questo paese, e al
contrario, certe parti rilevanti di alcuni romanzi (in base ai quali ci sono alcuni politici ammirevoli che
governano questo paese) fossero vere.
Perché accetta la sconfitta:
Sebbene in alcuni casi si possa fornire una parafrasi degli asserti critici che adotta la stessa strategia
adottata nel caso degli asserti fittizi, non è certo che una tale strategia possa essere usata per tutti gli
asserti critici. Ed è dopo aver fatto questa osservazione, che Brock accetta la critica del realista e
accetta che l'anti-realista deve fornire una semantica degli asserti critici che:
1. non presuppone un'ontologia di personaggi fittizi e;
2. fornisce un resoconto uniforme di tutti gli asserti critici.
Questo è l'obiettivo che si pone nella terza parte del saggio (e che prenderemo in considerazione
della prossima lezione).

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Lezione 27) 6/04/2019
Ricapitoliamo:
Stuart Brock: ha come obiettivo quello di mostrare che i realisti sono in posizione di vantaggio nei
confronti degli anti-realisti (o finzionalisti).
La tesi dei realisti: tesi ontologica e tesi della pienezza.
Il problema principale dei realisti: gli asserti esistenziali negativi.
I realisti concreti: tesi della concretezza e del non attualismo.
I realisti astratti: astrattismo e realismo (sostengono che le entità fittizie siano astratte).
I problemi degli anti-realisti: gli asserti fittizi e gli asserti critici.
La replica sugli oggetti fittizi.
Il tentativo di difesa sugli asserti critici e la resa.
L'obiettivo di Brock è proporre una nuova strategia per far fronte all'obiezione presentata nella
lezione precedente riguardo alla parafrasi degli aspetti critici. Egli vuole cioè proporre una semantica
degli aspetti critici che:
(1) non presuppone un'ontologia di personaggi fittizi e;
(2) fornisce un resoconto uniforme di tutti gli eserciti critici.
La strategia del realista: prima di presentare la strategia, vale la pena di osservare che il realista
propone per ogni asserto critico C una parafrasi P, in alcuni casi la parafrasi P coincide con l'asserto
critico C, in altri no, e in ogni caso inevitabilmente ci impegna all'esistenza di oggetti fittizi.
La proposta di Brock è questa: prendere a prestito la parafrasi P proposta dal realista per ogni
asserto critico C e di parafrasare C (invece che con P come fa il realista) con “In base all'ipotesi
realista P".
Perché non è realista:
Abbiamo visto che nel caso degli asserti fittizi, la parafrasi che propone il finzionalista è quella che
permette all’asserto il prefisso “In base alla storia così-e-così”. Prendiamo in considerazione un
qualsiasi asserto fittizio come per esempio “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” che ci impegna
all’esistenza di un oggetto fittizio” (cioè all’esistenza del personaggio fittizio Tom Sawyer).
Prendiamo ora la parafrasi che propone il finzionalista “In base a Le avventure di Tom Sawyer, Tom
Sawyer ha assistito al suo funerale” in questo caso dal momento che si fa appello a ciò che viene
postulato all’interno di un testo non ci si impegna all’esistenza di oggetti fittizi come Tom Sawyer.
Allo stesso modo se si accetta la parafrasi proposta da B. per gli asserti C, cioè “In base all'ipotesi
realista, P" non ci si impegna all'esistenza di alcun oggetti fittizio a cui invece fa riferimenti la
parafrasi P presa isolatamente. L'aggiunta del prefisso fa in modo che non si debba impegnare
ontologicamente ad alcun oggetto fittizio.
Esempio: Per comprendere la differenza, può esser utile tener presente la differenza tra l'asserto “Ci
sono fantasmi” (che impegna chiunque l’asserisca all'esistenza di fantasmi) e l'asserto “In base a
quello che dice Mario, ci sono fantasmi” (che ovviamente non impegna all’esistenza di fantasmi
chiunque lo asserisca).
La proposta di Brock in sintesi:
La proposta del funzionalista Brock è quindi di considerare gli aspetti esistenziali così come sono, gli
asserti fittizii come esserti abbreviati in cui è sottinteso il prefisso “In base alla storia così-e-così”, e
gli asserti critici come asserti che prendono a prestito la parafrasi proposta dal realista P e sono
parafrasati con “In base alla teoria realista, P"

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Finzionalismo e finzionalismo:
Una volta presentata la strategia finzionalista, B. confronta la strategia finzionalista sugli oggetti
fittizi con la strategia finzionalista in altri ambiti per mostrare i vantaggi del finzionalismo sugli
oggetti fittizi. Il finzionalismo è una tesi che si applica generalmente a una teoria T e la tesi è che la
teoria T è una finzione, una storia che è probabilmente falsa, ma che ha una qualche utilità. Il
finzionalista non s'impegna alla falsità della teoria T, il finzionalista sostiene semplicemente che non
ci si deve impegnare alla verità di ciò che la teoria sostiene. Il finzionalismo ci dice che “In base alla
teoria T,P” è qualcosa che noi possiamo accettare:
(1) senza impegnarci ontologicamente all’esistenza di qualunque oggetto a cui la teoria T si
impegna e;
(2) mettendo in luce i vantaggi pratici della teoria T.
1. Primo pregio del finzionalismo sugli oggetti fittizi:
Il finzionalista sugli oggetti fittizi non ha vantaggi pratici. La teoria finzionalista sugli oggetti
fittizi non ha alcun vantaggio pratico, non ci aiuta a fare predizioni sulla realtà, e quindi il
finzionalista sugli oggetti di finzione non può essere accusato di essere finzionalista per
sfruttare i vantaggi pratici della teoria realista senza pagarne i costi perché in questo caso non
ci sono vantaggi pratici.
2. Secondo pregio del finzionalismo dagli oggetti fittizi:
La teoria finzionalista sugli oggetti fittizi è un prerequisito per ogni altra teoria finzionalista F.
Uno non può essere cioè realista sugli oggetti fittizi e funzionalità F in altri ambiti. Per
rendercene conto, occorre fare un ragionamento per assurdo: supponiamo che ci sia una
persona che sia realista sulle entità di finzione, ma sia finzionalista riguardo a qualche altra.
Che cosa può dire il funzionalista su queste entità su cui adotta una teoria funzionalista? Non
può dire altro che sono entità fittizie. Infatti, dal momento che egli ritiene che esistano le
entità fittizie, se dicesse che l’entità in discussione sono entità fittizie, sarebbe costretto a
essere un realista su questa entità.
N.B. Questo mette in luce che però non si tratta di un vero vantaggio (osservazione della
Paganini).
Un problema per il finzionalista:
Abbiamo detto che secondo Brock, un finzionalista sugli oggetti fittizi deve dire che ogni asserto
critico C deve essere parafrasato in “In base alla teoria realista, P". Tuttavia, come sappiamo, le
teorie realiste sono diverse e si presenta quindi il problema di stabilire quale teoria realista deve
essere adottata. Nella scelta della realista Brock propone di adottare due criteri:
1. la teoria realista non deve essere troppo revisionista e;
2. la teoria realista deve fornire un trattamento uniforme degli asserti critici.
Prima proposta: realista astratto
Iniziamo a considerare il realista astratto, la parafrasi che offre di certi asserti è lunga e molto
articolata. Per rendercene conto consideriamo l'asserto seguente:
(7) Holmes non avrebbe avuto bisogno delle cassette registrate per scoprire i segreti di Nixon;
La teoria deve parafrasare questo asserto più o meno come segue:
(7*) A Holmes sono attribuite (o Holmes è costituito parzialmente da) certe proprietà, e chiunque
abbia tali proprietà, non ha bisogno di cassette registrate per scoprire i segreti di Nixon.

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È evidente che questa parafrasi non soddisfa il primo requisito (è una parafrasi chiaramente
revisionista) e pertanto la posizione del realista concreto è preferibile perché accetta un tale asserto
per quello che è e non è pertanto revisionista.
Seconda proposta: realista concreto
Tuttavia anche la posizione del realista concreto è revisionista in un certo senso: innanzitutto il
realista concreto è un non-attualista (non in questo mondo) e il non-attualismo è contrario al senso
comune e quindi è revisionista. Inoltre il realista concreto deve assumere che certi asserti sulle entità
fittizie sono falsi, mentre si assume comunemente che sono veri. Si prendono in considerazione
questi due asserti:
(13) Un certo detective fittizio è più famoso di qualunque detective reale;
(13*) Un certo detective fittizio attuale è più famoso di qualunque detective reale.
intuitivamente (13) e (13*) hanno lo stesso valore di verità, ma un realista concreto è costretta a dire
che (13) è vero, ma (13*) non lo è (perché per un realista concreto gli oggetti fittizi non sono attuali).
La proposta di Brock:
Il realista deve quindi adottare o la tesi non-attualista o la tesi astrattista. Il finzionalista non è così
vincolato perché non ritiene che la teoria realista sia una teoria su come stanno le cose. La proposta
di Brock è quindi di adottare una teoria ibrida: la teoria ibrida accetterà la tesi ontologica e il
principio di pienezza, inoltre per soddisfare il requisito di uniformità, adotterà la teoria realista
concreta, quando però la teoria realista concreta si rivela revisionista, allora adotterà la teoria
realista astratta per soddisfare il requisito di uniformità. È appunto per soddisfare i due requisiti che
la teoria migliore da adottare secondo Brock è la teoria realista ibrida.

N.B. Secondo il realista astratto le entità fittizie sono costruite a partire dal nostro sistema
linguistico.

Lezione 28) 9/05/2019


Ricapitoliamo:
Stuart Brock: l'obiettivo è mostrare che i realisti non sono in posizione che vantaggio nei confronti
degli anti-realisti (o finzionalisti).
La tesi dei realisti: tesi ontologica (ci sono entità realiste e fittizie), tesi della pienezza (non solo ce ne
sono ma anche in abbondanza).
Il problema principale dei realisti: gli asserti esistenziali negativi.
I realisti concreti: tesi della concretezza e del non attualismo.
I realisti astratti: astrattismo (sono entità astratte e per tanto non hanno le proprietà che gli
attribuiamo nel nostro mondo) e realismo.
Il problema degli antirealisti: gli asserti fittizi e gli asserti critici.
La replica sugli oggetti fittizi.
Il tentativo di difesa sugli asserti critici e la resa.
Asserti critici: sono gli asserti che generalmente i realisti accettano per come si presentano, mentre il
finzionalista deve presentare una parafrasi anche per questi.
Brock fa una proposta per mantenere l’uniformità della parafrasi degli asserti critici. N.B. La
soluzione di Brock non è realista.
I vantaggi del finzionalismo sugli oggetti fittizi rispetto agli altri finzionalismi: non ha vantaggi pratici
e la tesi del finzionalismo sugli oggetti fittizi è un presupposto di qualunque altro finzionalismo.

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Un problema per la teoria finzionalista: quale teoria realista adattare alla parafrasi (tutte le teorie
realiste sono revisioniste, o si accetta il non-attualismo o si accetta l'astrattismo).
La soluzione al problema: la teoria ibrida realista, cioè adottare, di volta in volta, la teoria realista
meno revisionista. Di default utilizziamo la teoria realista concreta, quando questa è revisionista
adottiamo quella realista astratta.
[Domanda: Perché le teorie realiste sono revisioniste? Sono tutte revisioniste se accettiamo la
definizione che ne dà Brock. Quelle realiste concrete perché, secondo Brock, ogni teoria concreta è
non-attualista ed è revisionista perché nel nostro senso comune le entità fittizie sono entità del
nostro mondo. Quella realista astratta è revisionista perché secondo questa teoria gli oggetti fittizi
sono astratti, mentre nel senso comune noi li vediamo come concreti..].

Asserti esistenziali negativi:


Fin dall’inizio del saggio di Brock sostiene che uno dei pregi dei del finzionalismo sugli oggetti fittizi è
che può accettare gli assenti esistenziali negativi così come sono, senza revisioni, mentre la teoria
realista è costretta a fornire una parafrasi degli asserti esistenziali negativi.
Un problema: tuttavia egli riconosce che c'è un argomento che può essere usato per mostrare che
nessun asserto esistenziale negativo può essere accettato per come si presenta. Questo argomento
può ovviamente essere usato dal realista contro il finzionalista. Nell’ultimo paragrafo del suo saggio,
Brock prende in considerazione questo argomento e propone due strategie che possono essere
adottate dal finzionalista per far fronte alla difficoltà.
L'argomento: ha 4 premesse:
(P1) Gli asserti esistenziali negativi sono della forma soggetto-predicato.
(P2) Se gli asserti esistenziali negativi sono accettati per come si presentano, la proposizione
espressa ha la forma soggetto-predicato.
(P3) Una proposizione che ha la forma soggetto-predicato è vera se e solo se l'oggetto denotato
gode della proprietà espressa dal predicato (ed è falsa se e solo se l'oggetto denotato dal soggetto
non gode della proprietà espressa dal predicato).
(P4) Nessun oggetto ha la proprietà di non esistere.
(C ) Se gli esistenziali negativi sono accettati per come si presentano, non ci può essere alcun
esistenziale negativo vero.
1. Prima strategia:
Il funzionalista accetta l'argomento del realista è valido e corretto e propone una parafrasi
per interpretare gli esistenziali negativi. Questa strategia è stata di fatto adottata da alcuni
finzionalisti e le parafrasi che possono essere fornite sono di tre tipi.
• Prima parafrasi: si adotta la stessa parafrasi fornita dai realisti concreti e si assume
che negli esistenziali negativi il quantificatore è ristretto agli oggetti che non sono
fittizi. (N.B. Lo stesso Walton fornisce una parafrasi degli esistenziali negativi).
• Seconda parafrasi: si ritiene che, contrariamente alle apparenze, gli esistenziali
negativi esprimono proposizioni metalinguistiche (cioè, esprimono un contenuto che
riguarda le espressioni linguistiche coinvolte). Ad esempio, un annunciato della forma
“x non esiste” ha lo stesso significato di un enunciato della forma il nome “il nome x
non ha riferimento”. (Kripke).

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• Terza parafrasi: si assume che i presunti termini singolari vuoti siano equivalenti a
descrizione e le si analizza come ha proposto Russell (realisti astratti).
Attenzione: può essere difficile capire la differenza tra la parafrasi 1 (che richiede che il
quantificatore esistenziale sia ristretto agli oggetti non fittizi) e la parafrasi 3 (che richiede
l’analisi russelliana). Cerchiamo di capire la differenza.
• La parafrasi 1 consideriamo l’enunciato “Ebenezer Scrooge non esiste”, chi adotta la
prima parafrasi può tradurre il nome proprio “Ebenezer Scrooge” con una costante
individuale (supponiamo che sia s) e propone la seguente traduzione dell'enunciato:
~Ex(x=s). Il quantificatore esistenziale si applica solo a un dominio ristretto di oggetti,
fra cui non c’è Scrooge, l’enunciato così tradotto e interpretato è vero.
• La parafrasi 3: in base a questa parafrasi, si tradurrebbe il nome con una descrizione,
e quindi si tradurrebbe “Ebenezer Scrooge" con una descrizione equivalente, qualcosa
come “l'individuo che si chiama Ebenezer Scrooge”. Per tradurre l'enunciato si ha
bisogno di una costante predicativa (supponiamo che sia S = chiamarsi Ebenezer
Scrooge) e si traduce l'enunciato con ~Ex(Sx), che risulta essere vero perché non esiste
qualcosa nel mondo che soddisfa la descrizione.
Bilancio sulla prima strategia:
Aldilà della differenza fra le diverse opzioni vale la pena di considerare se la prima alternativa
è adeguata. Stuart Brock rileva che il realista può sostenere di avere un vantaggio sull’anti-
realista perché può accettare alcuni asserti (gli assetti fittizi) per come si presentano, mentre
l’anti-realista (che accetta la prima alternativa) non può accettare alcun asserto sugli oggetti
fittizi per come si presentano, deve presentare una parafrasi per tutti gli asserti
apparentemente su oggetti di finzione. L'anti-realista può sostenere tuttavia che la sua
parafrasi è preferibile perché non impegna colui che la adotta all’esistenza degli oggetti fittizi.
2. Seconda strategia:
L’anti-realista può tuttavia essere più ambizioso e cercare di criticare l’argomento presentato
dal realista. L’argomento ha 4 premesse, se si riesce a dimostrare che una delle premesse non
è vera, l’argomento non è corretto. La seconda strategia consiste nel sostenere che la prima
premessa (P1) e la terza premessa (P3) non sono vere.
Consideriamo la terza premessa: la terza premessa (P3) dice che una proposizione della
forma soggetto-predicato è vera se e solo se l’oggetto denotato dal soggetto gode della
proprietà denotata dal predicato ed è falsa se solo se l’oggetto denotato dal soggetto non
gode della proprietà denotata dal predicato. Perché è falsa? Brock ritiene che il secondo
congiunto sia falso, egli ritiene che sia falsa l’assunzione seguente:
(P) Una proposizione della forma soggetto-predicato è falsa se e solo se l’oggetto denotato
dal soggetto non gode della proprietà denotata dal predicato.
Secondo Brock, per un finzionalista una proposizione della forma soggetto-predicato è falsa
se e solo se l’oggetto denotato dal soggetto non gode della proprietà espressa dal predicato,
ma anche se il soggetto dell’enunciato non denota alcunché.
Esempi a supporto: per rendersene conto basta prendere in considerazione i seguenti asserti
che comunemente riteniamo falsi:
• Oliver Twist ha ucciso il principe del Galles ieri;
• Anna Karenina ha cenato con Hillary Clinton la scorsa settimana;

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• Bart Simpson è il capitano della squadra di cricket australiana.
Revisione della posizione di Frege: in questo modo, Brock prende le distanze dalla logica di
Frege (logica classica) in base alla quale un enunciato che contiene un nome senza
riferimento è privo di valore di verità. Secondo Brock invece, gli asserti che contengono nomi
privi di riferimento hanno un valore di verità e sono falsi.
Asserto esistenziale:
Prendiamo ora in considerazione un enunciato esistenziale come: (26) “Ebenezer Scrooge
esiste". L’asserto esprime una proposizione che ha la forma soggetto-predicato ed è falso
secondo Stuart Brock perché il nome non si riferisce ad alcunché.
La negazione di un asserto esistenziale:
La negazione dell’asserto (26) non esprime una proposizione che ha la forma soggetto-
predicato, perché oltre al soggetto e al predico compare anche la negazione. E la negazione di
un asserto falso è ovviamente vera, quindi secondo Stuart Brock l’enunciato (16) “Elizabeth
Scrooge non esiste” non esprime una proposizione della forma soggetto-predicato
contrariamente alla premessa (P1) ed è vero perché è la negazione di un asserto falso.
[Se accettiamo questo sistema logico ovviamente gli esistenziali negativi sono tutto
veri…quello che non dice è che non va adottata una parafrasi non va accettata la logica
classica, cioè quella di Frege (per lui è scontato)].
È interessante notare che Brock non ritiene di aver difeso il finzionalismo da qualsiasi critica, ma che
spera di aver dato maggiore plausibilità a questa teoria. È inoltre interessante notare che per Brock il
realista mantiene almeno un vantaggio sul funzionalista, può accettare alcuni asserti sugli oggetti
fittizi per come si presentano (cosa che non è possibile per il finzionalista).

Ricapitoliamo:
Gli asserti esistenziali negativi: all'inizio del saggio di Brock vengono presentati come casi in cui il
finzionalista può accettare l’asserto per come si presenta, nell'ultima parte del saggio Brock
riconosce che anche sugli asserti esistenziali negativi il finzionalista può essere in difficoltà.
L'argomento contro il finzionalista.
1. La prima strategia: occorre parafrasi (senza impegnarsi all'esistenza degli oggetti fittizi).
2. La seconda strategia: l'argomento è scorretto (gli asserti della forma soggetto-predicato sono
falsi..).

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Lezione 29) 10/05/2019
Amie Thomasson
Testo in esame: Fictionalism about Fictional Characters, del 2015
La tesi: Amie Thomasson difende la teoria artefattualista (o creazionista) degli oggetti fittizi. La sua
teoria è paragonabile per molti versi è quella di Kripke: gli oggetti fittizi sono oggetti astratti creati
sulla base dell’azione degli uomini.
Questa tesi si presta principalmente a due obiezioni:
1. La prima riguarda gli asserti esistenziali negativi (in base alla teoria artefattualista gli oggetti
fittizi esistono ed è quindi un problema rendere conto degli asserti comunemente accettati
come ad esempio “Sherlock Holmes non esiste”).
2. La seconda obiezione è una preoccupazione ontologica che si può formulare semplicemente
così: se possiamo fare a meno degli oggetti fittizi (come sostengono i teorici finzionalisti)
perché dobbiamo accettare la tesi realista in base alla quale ci sono davvero gli oggetti fittizi?
Il saggio di Amie Thomasson si concentra sul secondo problema e si propone di difendere l’antologia
artefattualista contro le obiezioni dei finalisti.
Il contesto storico:
L'autrice esordisce presentando come la sua tesi si sia inserita nel panorama filosofico tra la fine
degli anni ’90 del ‘900 e il primo decennio del 2000. A quei tempi il dibattito coinvolgeva:
• Da una parte gli anti-realisti (come Walton e Brock), in base ai quali noi non ci riferiamo mai
ad oggetti fittizi, ma facciamo finta di riferirti ad essi o tutt’al più ci limitiamo a riportare
quanto è vero in base ad una storia.
• E dall’altra parte i neo-Meinonghiani (come Parsons), per i quali i nostri discorsi all’interno
della storia devono essere presi letteralmente e noi ci riferiamo ad oggetti fittizi quando
parliamo all'interno della storia.
La teoria: Amie Thomasson sviluppa un'alternativa alle due teorie precedenti (già presente in
letteratura nei lavori di Searle e Van Inwagen, e nei lavori allora inediti di Kripke) in base alla quale
occorre distinguere fra discorsi all’interno della finzione e discorsi al di fuori della funzione.
All'interno della finzione e all'esterno della finzione:
• Per quanto riguarda i discorsi all’interno della finzione, la sua posizione è analoga a quella
dei finzionalisti (o anti-realisti): noi non ci impegniamo a quello che diciamo letteralmente,
ma facciamo solo finta di riferirci a qualcosa.
• Nei discorsi al di fuori della finzione c’è invece una differenza fondamentale fra gli anti-
realisti ai creazionisti: per i creazionisti noi ci impegniamo al significato letterale di quello che
diciamo e dobbiamo accettare l’esistenza di oggetti astratti creati con l’opera di finzione; per
i finzionalisti invece noi non abbiamo bisogno di impegnarci all’esistenza di oggetti fittizi.

Contro i neo-meinonghiani:
In passato, Thomasson ha difeso la teoria artefattualista (o creazionista) rispetto alla teoria neo-
meinonghiana sostenendo che ha una maggiore aderenza alla nostra nozione intuitiva di oggetto
fittizio, in base alla quale gli oggetti fittizi sono creati ed esistono sulla base delle nostre pratiche
finzionali. N.B. Non approfondisce questi aspetti in questo saggio.

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Contro i finzionalisti:
In passato ha inoltre difeso la teoria artefattualista rispetto alla teoria anti-realista. Il maggior pregio
che ha la teoria artefattualista rispetto alla teoria finzionalista è il fatto di essere meno revisionista
sul linguaggio comune. La teoria artefattualista e la teoria finzionalista trattano i discorsi all'interno
della finzione nello stesso modo: o come inseriti all'interno di un operatore che introduce il contesto
di una storia o come esprimenti un gioco di finzione autorizzato dalla storia. La differenza tra la
teoria artefattualista e la teoria anti-realista riguarda i discorsi al di fuori della funzione: per i teorici
anti-realisti questi discorsi non devono essere accettati per il loro contenuto letterale, mentre per i
sostenitori della teoria artefattualista devono essere accettati per il loro contenuto letterale.

• II funzionalismo alla Walton:


I teorici anti-realisti rifiutano esplicitamente il contenuto letterale di qualunque asserto che
contenga termini fittizi. Walton legge gli asserti al di fuori della finzione e quelli all’interno
della funzione come asserti da interpretare all’interno di un gioco di far finta. I giochi di
finzione al di fuori della funzione sono nuovi giochi di far finta in cui si finge, ad esempio, che
l’autore di finzione crei un personaggio fittizio, e che esistano i personaggi fittizi.
• Il finzionalismo alla Brock:
Secondo Stuart Brock, mentre gli asserti all'interno della finzione devono essere interpretati
all’interno di un operatore “In base alla storia così-e-così”, gli asserti esterni alla finzione sono
asserti sul contenuto delle teorie realiste, l’idea è che un asserto al di fuori della finzione,
come “Scarlett O’Hara è un personaggio fittizio”, deve essere interpretato come “In base alla
teoria realista, Scarlett O’Hara è un personaggio fittizio”. Brock riconosce che non tutte le
teorie realiste adottano la stessa strategia, egli sostiene che bisogna di volta in volta scegliere
la teoria realista più plausibile.
• Il finzionalismo in sintesi: al di là delle differenze fra le teorie anti-realiste, l’idea generale
delle teorie anti-realiste è che gli asserti interni, così come gli asserti esterni, sugli oggetti
fittizi devono essere intesi all’interno di una forma di finzione.

L’obiezione ontologica: nonostante la teoria artefattualista sia meno revisionista della teoria anti-
realista, molti filosofi hanno ritenuto che accettare la teoria funzionalista valesse comunque la pena
perché evitava l’adozione di oggetti fittizi, che costituiscono un costo ontologico (bisogna cioè
accettare che il numero di oggetti è maggiore di quello che assume un teorico finzionalista).

La divisione del saggio:


• Nella sezione 1, Amie Thomasson spiega come il filosofo artefattualista risponde all’obiezione
ontologica, distinguendo fra l'artefattualismo al prim'ordine e una meta-ontologia
deflazionista.
• Nella sezione 2, presenta una nuova obiezione che può essere sollevata dal finzionalista
tenendo presente la precedente replica all’obiezione ontologica.
• Nella sezione 3, mostra che questa nuova obiezione non è adeguata.
• Nella sezione 4, presenta un problema per le teorie funzionaliste; l’esito di queste riflessioni
metterà in luce che i sostenitori delle teorie artefattualiste non devono preoccuparsi
dell’obiezione ontologica e che occorre invece essere diffidenti verso le teorie finzionaliste.
Nell’ultima parte attacca i finzionalisti, mentre nelle prime parti difende la teoria creazionista.

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Affrontare la preoccupazione ontologica:
In base alla teoria artefattualista, gli oggetti fittizi on sono sono diversi dalle opere letterarie, dai
contratti e dalle leggi. Tutto ciò che è richiesto affinché ci sia un oggetto fittizio N è che ci sia un
autore letterario che usa il nome “N” fingendo di riferirsi a qualcosa. Allo stesso modo tutto ciò che è
richiesto per l'esistenza di una legge o di un contratto è che persone nel giusto ruolo si comportino in
un certo modo. Le entità fittizia quindi sono ontologicamente minimali e tutto ciò che è richiesto per
la loro esistenza sono certe azioni degli autori.

Teoria del prim'ordine: questo rende conto della teoria artefattualista del prim’ordine, in base alla
quale le entità fittizie non sono entità speciali, ovvero oggetti immaginari e non esistenti, ma sono
creazioni culturali così come le opere letterarie, le leggi e i contratti. Noi accettiamo che se un autore
scrive adottando un atteggiamento di finzione produce un’opera letteraria e se i legislatori si
comportano un certo modo, una legge è creata.
Strategia del prim'ordine: questa strategia per sostenere l'esistenza di oggetti fittizi è stata usata in
altri dibattiti ontologici. Ad esempio i neo-Fregeani hanno sostenuto che da un enunciato come “ le
tazze i piattini sono equinumerosi”, possiamo inferire “il numero delle tazze è equivalente al numero
dei piattini” e da questo possiamo inferire “ci sono numeri”. Stephen Schiffer ha sostenuto che
argomenti analoghi sono stati proposti per impegnarci all’esistenza di proprietà, proposizioni, eventi
e altri oggetti su cui i filosofi discutono.
Esempio 1: si prende l'avvio da un asserto indiscutibile:
• La ciotola è blu;
Si adotta un principio di inferenza:
• Se x è Q, allora x ha la proprietà di essere Q;
Si deriva la seguente asserzione:
• La ciotola ha proprietà di essere blu;
Da cui si deriva (un asserto ontologicamente impegnativo):
• C’è una proprietà (cioè essere blu).
N.B. L’esistenza di entità quindi non dipende da nient'altro che dall’accettazione di certi asserti
linguistici.
Esempio 2: si prende l'avvio da un asserto indiscutibile:
• Ci sono 5 ceppi nel boschetto;
Si adotta un principio di inferenza:
• Se ci sono N oggetti x, allora il numero degli x è N;
Si deriva la seguente asserzione:
• Il numero dei ceppi e 5;
Da cui si deriva:
• C’è un numero
Esempio 3: si prende l'avvio da un asserto indiscutibile:
• Jane Austen ha scritto un romanzo usando il nome "Emma" facendo finta di riferirsi ad una
donna;
Si adotta un principio di inferenza:
• Se un autore scrive un romanzo usando un nome N fingendo di riferirsi a qualcuno, allora
l’autore crea un personaggio fittizio;

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Si deriva la seguente asserzione:
• Jane Austen ha creato un personaggio fittizio;
Da cui si deriva un asserto ontologicamente impegnativo:
• C’è un personaggio fittizio.

La deflazione meta-ontologica:
Amie Thomasson sottolinea che l'inferenza usata ci porta ad affermare la piena esistenza delle entità
problematiche. Ma segnala inoltre che l’esistenza di queste entità deve essere affrontata con un
atteggiamento deflazionista. Molti dibattiti recenti si sono concentrati su quali tipi di entità occorre
accettare nell'ontologia, questi dibattiti rientrano nella meta-ontologia e si preoccupano di sondare i
metodi adottati dai filosofi per avanzare tesi ontologiche. Dal punto di vista meta-ontologico,
Thomasson sottolinea che il suo approccio è deflazionista. Ritiene infatti che tutti i battiti che
riguardano quante entità esistano si preoccupano eccessivamente dei metodi dell'ontologia, quando
l'unico metodo usato per postulare l'esistenza degli oggetti fittizi è l'uso del linguaggio affiancato a
regole di inferenza banali.
• L’obiezione di Brock: di fronte a questi argomenti un finzionalista come Brock (in un testo
diverso da quello in programma) ha sostenuto che un artefattualista deve spiegare dove,
quando e come gli oggetti fittizi sono creati.
• Di fronte a questa obiezione, Amie Thomasson ritiene che non si sia fatta sufficiente
attenzione all’approccio deflazionista dal punto di vista metà-ontologico. Secondo la tesi della
Thomasson e di Schiffer non è che c’è qualcosa che causa gli oggetti fittizi, così come c’è
qualcosa che causa la formazione di una nuova sostanza chimica, come il prometeo. Tutto ciò
che ci permette di inserire l’esistenza di oggetti fittizi dipende da com’è usato il linguaggio, a
partire da asserzioni incontrovertibili attraverso inferenze banali.
La replica artefattualistica:
Le regole di inferenza usate prevedono aree di vaghezza e indeterminatezza che ci possono impedire
di fornire condizioni necessarie e sufficienti per la creazione di oggetti fittizi. Ciò che è essenziale dal
punto di vista di Amie Thomasson non è che l’artefattulista non si impegna a nulla di più che a
contestare l’uso del linguaggio e a fare semplici inferenze, senza dover dare risposte sull’origine e la
produzione degli oggetti fittizi che prescinda da osservazioni di tipo prettamente linguistico.
L’obiezione al deflazionismo:
Thomasson non ha sostenuto che ci sono argomenti semplici che ci portano a inferire l’esistenza di
oggetti fittizi. I finzionalisti hanno però sottoposto questi argomenti a un'importante critica. L'idea è
che sebbene le persone comuni possono accettare argomenti come quelli proposti la conclusione
ontologica degli argomenti non è un'affermazione seria di esistenza, ma deve essere interpretata
all'interno della finzione. L'argomento semplice non ci porta semplicemente alla conclusione
ontologica che vuole il realista, ma solo alla finzione di una tesi.
Sugli oggetti fittizi: allo stesso modo, sebbene le persone comuni possano accettare che ci sono
oggetti fittizi sulla base degli argomenti precedenti, tuttavia, se partiamo da assunti che sono da
interpretarsi per i funzionalisti all’interno di un gioco di far finta, dobbiamo accettare che le
conclusioni siano da intendersi all’interno del gioco di far finta. A partire da asserti che vanno
interpretati all’interno della finzione, perveniamo a conclusioni da interpretarsi sempre all’interno
della finzione.

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La tesi di Yablo: le osservazioni di Yablo fanno esplicitamente riferimento al lavoro di Walton. I
bambini che giocano all’interno di un gioco di finzione possono far finta che i ceppi di legno siano
orsi, e all’interno della finzione un bambino può dire “Guarda, ci sono 5 orsi”. Tutto ciò che noi
possiamo inferire da un asserto proferito all’interno della funzione deve essere interpretato esso
stesso all’interno della finzione, come ad esempio dall’asserto fittizio “Ci sono 5 orsi", possiamo
dedurre l’asserto fittizio “C’è un numero, il 5”.

Lezione 30) 13/05/2019


Ampliamento della tesi di Yablo: allo stesso modo, secondo il finzionalista, ogni volta che noi
adottiamo un argomento semplice per conclusioni antologicamente impegnative su proprietà,
proposizioni, modi possibili, ecc noi ci non stiamo impegnando ad asserti seri ed accettare
letteralmente, sono analoghi a quelli che facciamo all'interno della funzione.
La prospettiva dell’artefattualista: secondo T., c'è una differenza importante fra i principi
inferenziali che presiedono alle inferenze semplici di portata ontologica e i principi di generazione di
cui parlano Walton è Yablo. Nel fare questa dimostrazione, l’intento della Thomasson è spiegare
perché l’artefattualista non ritiene che l’obiezione del finzionalista sia convincente.
Il suggerimento di Austin:
Al riguardo, il filosofo John Langshaw Austen ha sostenuto che il termine “reale” ha bisogno di un
termine di paragone e di contrasto, per parlare di un’anatra reale, noi dobbiamo sapere che cos’è un
anatra non reale (ad esempio un’anatra giocattolo o un'anatra fittizia). Allo stesso modo Thomasson
osserva che il termine “far finta” ha bisogno di un termine di confronto e di contrapposizione. Per
comprendere che cosa significa far finta che P dobbiamo sapere che differenza c'è tra far finta che P
e asserire che si dà effettivamente il caso che P. Un parlante può far finta che P perché esclude che P
sia vero.
La forza della teoria finzionalista alla Walton: la vera forza della teoria finzionalista alla Walton è
che uno può proferire un asserto senza impegnarsi alla sua verità letterale, ma ci deve essere
qualcosa sulla cui verità deve impegnarsi (che per Walton sono i supporti e le regole di generazione).
Ad esempio se uno asserisce all’interno del gioco che considera i ceppi orsi “ci sono 5 orsi”, si sta
impegnando alla seguente verità sui supporti: “ci sono 5 ceppi”. Questa seconda asserzione viene
accettata letteralmente.
La finzione presuppone la non-funzione:
È evidente che chi asserisce nella finzione “ci sono 5 orsi” si sta impegnando ontologicamente in
modo diverso da chi sinceramente dice “ci sono 5 orsi”. Allo stesso modo nel caso del discorso
fittizio, è chiaro che c’è una netta differenza tra impegnarsi al fatto che c’è una donna che si chiama
Anna e che è stata travolta da un treno, e semplicemente far finta che ci sia una donna che si chiama
Anna che è stata travolta da un treno. Noi cioè riusciamo a capire che cosa significa “far finta” perché
possiamo confrontarlo con ciò che significa impegnarsi effettivamente all’assistenza di qualcosa.
Il problema: il problema che solleva T. è che non è affatto chiaro che possiamo effettuare un
contrasto analogo nei discorsi dei finzionalisti al di fuori della finzione, quando sostengono che noi
facciamo solo finta che ci siano numeri, che ci siano proprietà o che ci siano oggetti fittizi.
Far finta: allo stesso modo, secondo T., non possiamo dire che un principio con il seguente: “se un
autore scrive una storia usando un nome N facendo finta di riferirsi a una persona, allora crea un
personaggio fittizio” genera semplicemente la finzione che ci dia un personaggio fittizio, perché

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questa affermazione non è accompagnata da un'adeguata affermazione di che cosa significa che ci
sia veramente un personaggio fittizio.
Far finta e l'esistenza di oggetti fittizi: secondo T, tutto ciò che fa sì che un oggetto fittizio sia creato
è che l'autore si faccia coinvolgere in un tipo di finzione. Per un artefattualista quindi l'asserzione che
un autore si è fatto coinvolgere da un tipo adeguato di far finta e l'asserzione che esiste un oggetto
fittizio sono due asserzioni equivalenti.
Verità e finzione:
Amie Thomasson rileva che anche un funzionalista come Walton è disposto a riconoscere che
l’asserzione nella finzione “ci sono 5 orsi” dipende dalla verità sui supporti “ci sono 5 ceppi”. E per
l’artefattualista, dall'asserto al di fuori della finzione “ci sono 5 ceppi” si può dedurre che c’è
affettivamente il numero 5.
Il finzionalista e l'artefattualista:
Il problema è generale ed è un problema che gli artefattualisti rilevano in ogni caso in cui il finalista
cerca di rendere vane le inferenze semplici. Per un artefattualista ha senso far finta che ci siano i
numeri solo perché è chiaro che cosa significa che ci sono numeri davvero. Per un funzionalista tutte
le nostre affermazioni sui numeri sono fatte all’interno della finzione, per Yablo chi dice che ci sono 5
ceppi nel giardino fa solo finta che ci sia un numero.
Per un artefattualista tutti i termini utilizzati nella finzione hanno un uso ben definito al di fuori della
finzione, permettendo il contrasto fra uso nella finzione e uso assertivo. Per il funzionalista, invece,
tutti i termini ontologicamente problematici sono usati unicamente all’interno della finzione.
Uno letterale e uso nella finzione:
Inoltre l’artefattualista critica il finzionalista per non fare un adeguato confronto fra l’uso letterale e
l’uso all’interno della finzione. Secondo la artefattualista l’impegno all’asserzione veritiera che ci
sono 5 ceppi è sufficiente a concludere, senza ulteriori impegni, che c’è il numero 5 e l’asserzione
veritiera che un autore usa un nome facendo finta di riferirsi a qualcuno è sufficiente a concludere
che ci sono personaggi fittizi, senza ulteriori impegni ontologici.
In sintesi: se quindi consideriamo gli asserti all’interno della finzione, noi capiamo che cosa significa
farli per finta perché sappiamo cosa vorrebbe dire farli per davvero. Per quanto riguarda le asserti al
di fuori della finzione, secondo l’artefattualista noi non capiamo che cosa vuol dire farli per finta
(come propone il finzionalista) perché non sappiamo cosa vorrebbe dire farli per davvero.
Facciamo il punto:
• Secondo l’artefattualista l’impegno ontologico è accompagnato da un atteggiamento
deflazionista.
• Il funzionalista critica il realista perché invece dell’impegno ontologico si può adottare un
atteggiamento di far finta.
• Secondo l’artefattualista non si capisce che cosa significa fare per finta, se non si sa anche
cosa voglia dire fare per davvero (lo sappiamo per gli assenti all'interno della finzione, ma
non lo sappiamo per gli assenti al di fuori della finzione).
• Si può a questo punto ritenere che le due teorie siano due teorie ugualmente accettabili.
Thomasson vuole invece mostrare che la teoria finzionalista va considerata con sospetto.
La linea di attacco: secondo Thomasson, il finzionalista non spaventa la artefattualista quando gli
dice che i suoi impegni ontologici sono eccessivi, perché per l'artefattualista l'esistenza di oggetti
fittizi non è qualcosa di diverso da certi atti compiuti dagli autori di romanzi che tutti accettano.

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L'impegno ontologico è un impegno deflazionista secondo l'artefattualista. Ma se il finalista vuole
convincere l’artefattuaista che le inferenze che fa sono ontologicamente problematiche, deve
convincerlo che c’è differenza tra le asserzioni ontologicamente serie e quelle deflazionistiche
proposte dall’artefattualista. Per convincere l’artefattualista, il finzionalista gli deve mostrare che
nell’accettare le entità fittizie sta facendo qualcosa di più impegnativo di accettare asserti veritieri e
questo qualcosa in più è ciò che lo impegna a entità veramente esistenti.
Che cosa sono gli oggetti: a questo proposito la Thomasson ipotizza che cosa sarebbe richiesto dal
punto di vista ontologico per posturale l’esistenza di oggetti problematici. Formula 4 ipotesi Re le
scarta.
• Prima ipotesi: si potrebbe pensare che postulare l’esistenza di oggetti richieda l’esistenza di
oggetti immaginari di un qualche tipo. Ma questo non è quello che postula l'artefattualista.
Se il finzionalista pensa che per postulare gli oggetti occorra un regno di oggetti immaginari, il
funzionalista prende il discorso esterno sugli oggetti fittizi più seriamente dell’artefattualista.
• Seconda ipotesi: si potrebbe pensare che richiedere l’esistenza di oggetti richieda l’esistenza
di qualcosa che è causalmente rilevante per gli oggetti spazio-temporalmente estesi e di cui si
può tener traccia percettivamente. Ma queste sono richieste irrilevanti e presupposte per
l’esistenza di oggetti fittizie o numeri che non hanno evidentemente queste proprietà.
• Terza ipotesi: qualcuno potrebbe ritenere che l'oggetto è qualunque agglomerato di materia
che si distacca da altri agglomerati e di cui si può tenere traccia percettiva dal suo movimento
su uno sfondo. Ma questo concetto sortale ovviamente non si applica a numeri oggetti fittizi
e quindi non può essere la ragione per accettare questo tipo di oggetti.
N.B. L’oggetto per Thomasson: c’è un altro senso di oggetto in base al quale esiste un
oggetto ogni qualvolta un predicato sortale è adeguatamente applicato. Se si adotta questa
definizione (accettata da Thomasson) l’esistenza degli oggetti dipende semplicemente dalla
corretta applicazione di un predicato che individua un sortale, e quindi l’esistenza degli
oggetti dipende unicamente dalla corretta applicazione dei predicati “essere oggetto fittizio”
o “essere numero”.
• Quarta ipotesi: infine uno potrebbe sostenere che il termine “oggetto” usato senza
condizioni di applicazione non è un asserto ben formato e non ha condizione di verità.
Adottare questa definizione di oggetto non è però molto utile al finzionalista che critica
l’artefattualista, perché non rende conto del fatto che c’è una nozione di oggetto
ontologicamente impegnativa.
In sintesi: la posizione della Thomasson è che il finzionalista non è riuscita a mostrare che
l’artefattualista non può adottare la linea realista e deflazionista. Inoltre la Thomasson ha mostrato
che il finzionalista si trova in difficoltà a criticare l’artefattualista perché nel sostenere che l’impegno
ontologico a cui l’artefattualista si impegna è problematico: egli deve mostrare che c’è differenza fra
ciò a cui il parlante si impegna asserendo il contenuto di un asserto e ciò a cui invece si
impegnerebbe per fare un’asserzione ontologicamente impegnativa. In questo modo la Thomasson
ritiene che l’obiezione ontologica non sia preoccupante per l'artefattualista e che occorre essere
sospettosi nei confronti della posizione finzionalista che tratta sia i discorsi interni che quelli esterni
alla finzione come esprimenti un atteggiamento di finzione.

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