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INTRODUZIONE A LEIBNIZ

1. Dalla Dissertazione preliminare al Dialogo

Simpatizza per prospettiva ontologica di tipo nominalista: i nominalisti


[scolastica] sostengono che <<a eccezione delle sostanze singolari, tutto si
riduce a meri nomi>> ed eliminano perciò completamente la realtà degli
astratti e degli universali.
Obiettivo polemico è Hobbes. Nominalismo estremo: la verità stessa
consiste nei nomi, e dipende dall’arbitrio umano —> dipende dalle
definizioni dei termini usati, che sono arbitrari umani.
Gli universali possono essere concepiti come somme di particolari
singolari, ma in due sensi: uno è quello che propone L.
1) singolari presi collettivamente - universale come somma collettiva dei
singolari esistenti
2) singolari presi distributivamente - quella scelta da L.
Perché è giusta? Perché deve includere i soggetti singolari possibili, non
solo gli esistenti. Altrimenti l’induzione non potrebbe mai generare
certezze per esempio di tipo morale (dovendosi attestare su infiniti casi
singolari, nessuno con potere ‘normativizzante’).
Per esempio “tutti gli uomini sono animali” è vera, e lo sarebbe anche in
caso di estinzione della razza umana, perché è come dire “se esistesse un
uomo, sarebbe un animale”: include un uomo possibile.
In realtà al potere di generare certezze morali dell’induzione, L. da
un’altra spiegazione: “Ogni fuoco brucia” è una generalizzazione che parte
dall’esperienza dei singoli fuochi. Alla generalizzazione però non si arriva
per pura induzione, ma con il ‘sostegno’ di enunciati universali (formali)
che non dipendono dall’esperienza, come “se la causa è la medesima o è
simile sotto ogni aspetto, identico o simile sotto ogni aspetto è l’effetto”.
Allora non devo toccare tutti i fuochi per generalizzare, ma applicare
questo.
Cioè Leibniz si dimostra sensibile alle intuizioni del
nominalismo, ma cerca di cautelarsi rispetto ad un
atteggiamento radicalmente empirista. [per non limitare la potenza
scientifica del linguaggio, che produce certezze in un certo modo, senza
pensare che gli universali esistano]

Sostantivi e aggettivi - sostantivi e aggettivi mancano di autonomia


ontologica: entrambi (l’uno esplicitamente, l’altro con un’allusione
ellittica) dipendono intrinsecamente da un oggetto concreto, portatore
della proprietà a questi nomi associata.

2. La concezione delle idee

L. divide idee e caratteri: le prime sono stabili, si presentano a tutti come


le stesse; i caratteri sono il linguaggio che si riferisce alle idee. E’ evidente
che esistano più lingue, e due diverse parole possono riferirsi ad una
stessa idea, concepita in modo identico.
Inoltre, la verità, ha una sua stabilità ed autonomia rispetto a linguaggio e
caratteri: pensiamo alla matematica, con verità riconosciute al di là dei
linguaggi.
Cosa ci dice:
- il contenuto concettuale di un pensiero è distinto dall’espressione di
quello stesso contenuto
- gli uomini non possono pensare senza l’uso di caratteri
- solo Dio può conoscere compiutamente e in modo diretto - senza
l’ausilio di segni - un’idea complessa
- se un’idea complessa contiene due idee semplici in contraddizione,
all’espressione considerata non corrisponde in realtà nessuna idea

Soprattutto per idee complesse, l’uomo, per mantenere l’attenzione senza


disperderla, deve usare i caratteri che stanno dietro (davanti?) le diverse
idee semplici che compongono quell’idea complessa.
La concessione anti-nominalistica è grande! —> il linguaggio è
indispensabile per poter pensare.
Grande, dice esattamente quello che penso io: il linguaggio è insieme un
vantaggio e uno svantaggio —>
a) vantaggio perché possiamo pensare cose complesse
b) svantaggio perché spesso, solo perché possiamo manipolare dei
caratteri, siamo automaticamente convinti che vi corrispondano dietro
delle idee autentiche e non contradditorie, ma non è così.

Allora, cos’è una verità di tipo linguistico? L. pensa che, siccome usiamo
caratteri per pensare, nelle relazioni tra questi caratteri, nell’ordine in cui
li uniamo, si possa rispecchiare un ordine di relazione reale, una certa
proporzione tra i caratteri e le cose, che rispecchia l’ordine reale. Ecco,
questo è fondamento della verità.
E cioè: se in un linguaggio produco enunciati con un ordine relazionale
vero, e riporto questo stesso ordine in un altro linguaggio, produrrò
un’altra verità formalmente identica.

Passo avanti: dal momento che le verità seguono dalle idee (rappresentate
formalmente dai caratteri), e questi ordini di verità fatti di idee sono
eterni [infatti sono “traducibili”, etc], ecco che idee e verità, nelle loro
“eternità” hanno una natura simile. Deve esistere un essere a sua volta
eterno che è “ricettacolo” delle idee e verità.
Però le idee, pur essendo “reali”, non hanno la consistenza ontologica
delle sostanze (stanno per esempio nel pensiero).
L. dice “Nature [a volte chiama così le IDEE] e verità sono modi”.
Questo richiama l’ontologia scolastica —> sono esistenze modali, cioè
dipendono dalla ontologia della sostanza (che per esistere, dipende dalla
sostanza divina!).
Per capire meglio, dividiamo i due tipi di idee che L. usa.
3. Le idee “in mente Dei”

Per quanto riguarda le idee, si dichiara debitore più di Platone che


Aristotele, e usa le espressioni “paese dei possibili” e “regione delle verità
eterne” per indicare l’intelletto divino. Cioè, è importante per L. la natura
condizionale della verità, cioè la verità è indipendente dall’esistenza dei
soggetti intorno ai quali si parla.
Quindi, necessità ed eternità delle idee. Da qui, importante che queste
caratteristiche delle idee postulino necessariamente l’esistenza di Dio [la
“stabilità” delle idee al di la dell’esistenza dei soggetti, la implica].
Eredita dalla scolastica anche la concezione che indica nelle idee o
essenze il risultato degli infiniti atti di riflessione compiuti da Dio su di sé:
cioè le idee procedono dalle perfezioni divine. Tutte le perfezioni possibili,
ovvero tutte le forme assolute, compongono l’Ente permettessimo.
Come l’uomo ha delle proprietà predicabili (“essere animale”, essere
razionale,…) così Dio ha delle forme semplici: le proprietà dell’ente
supremo.
Chiarifica la natura non sostanziale delle idee - anche divine: infatti
spesso le chiama “modi”, per sottolinearne la modalità di dipendenza
sostanziale. Le idee sono come i numeri, “morte” in sé: è la mente che
agisce.
Due punti fermi:
- Dio non ha creato le idee: cioè, non dipendono da un suo atto di volontà
e di arbitrio: egli le “vede” tutte insieme, non le deriva l’una dall’altra
- d’altro canto, le idee non sono indipendenti dall’esistenza di Dio.

4. le idee nella mente degli uomini

L. non ha l’idea di tabula rasa: c’è una specie di innatismo. Dice che le
idee sono disposizioni della nostra mente. Possiamo pensarne una anche
se non l’abbiamo mai pensata. Distingue il pensiero attuale di un’idea
dall’idea in sé: l’idea sussiste indipendentemente dai nostri atti di
pensiero.
Contrasta la concezione ‘statica’ della conoscenza - tabula rasa passiva -,
dicendo che le idee ‘strutturano’ i contenuti della conoscenza.
Fa una metafora: la mente non è come un blocco di marmo (tabula rasa)
ma come un bocco di marmo con delle venature che ‘prefigurano’ la
possibilità che l’esperienza tiri fuori da quel blocco la forma di Ercole
piuttosto che una forma ‘non esistente’.
E così passa alla distinzione tra “idee e verità” e “concetti e pensieri”: le
venature nel marmo sono idee e verità, mentre concetti e pensieri sono le
statue portate alla luce secondo venature. Cioè: distingue idee in sé e idee
pensate attualmente.
5. rapporto idee divine-idee umane

Sono le stesse. La differenza sta in perfezione ed estensione.


Soprattutto, importante la costante nei rapporti tra idee: se per esempio
abbiamo un rapporto ci contenimento tra due idee divine [l’idea A
‘contiene’ l’idea B], questo rapporto viene riconosciuto anche dall’uomo
quando pensa nei suoi limiti estensionali e perfettivi l’idea A e l’idea B.

Il concetto di ESPRESSIONE - torniamo sul rapporto di corrispondenza


strutturale —> perché io abbia idea di un determinato contenuto, è
necessario che io sappia esprimerlo. Perché ci sia espressione, è
necessario un rapporto di corrispondenza tra ciò che esprime e la cosa
espressa. Ovvero:
1) a determinate strutture di A corrispondono determinate strutture e
rapporti di B
2) mediante la considerazione di strutture e rapporti di A, è possibile
venire a conoscenza di rapporti e strutture di B

6. proprietà accidentali e sostanza

L. prospetta 3 soluzioni al problema del rapporto sussistente tra le


proprietà accidentali e la sostanza alla quale ineriscono:
1 - la realtà delle proprietà accidentali è parte della realtà della sostanza
2 - la realtà delle proprietà accidentali aggiunge nuova realtà alla sostanza
3 - le proprietà accidentali hanno una realtà puramente mentale, come le
relazioni.

Alla fine, però, mostra come questi presupposti, se sviluppati, portino a


problemi pressoché insolubili [esempio: non si capisce come la sostanza
possa ‘cambiare’ restando sé]. E quindi, coerentemente con la sua
prospettiva nominalista, ritiene finalmente che convenga “considerare gli
astratti non come cose ma come compendi del discorso”.
Che bello questo: dice che “i termini astratti possono essere impiegati per
ragionare più comodamente, come nell’algebra le radici immaginarie e
in geometria le linee infinite e infinitamente piccole”!!!

Cioè: dice esplicitamente che per ragionare è sufficiente che le sostanze


sole vengano poste come “cose”. E che queste sostanze siano soggette a
mutamente, pur senza “venire meno” [paradosso della Nave di Teseo],
poiché è evidente che mutano i loro attributi nel tempo. Senza specificare
di più - il resto va in contraddizione.
In seguito tenderà ad utilizzare le proprietà accidentali come
modificazioni individuali o modi d’essere.
<<E’ di mio gradimento questa divisione degli oggetti del nostro pensiero
in sostanze, modi e relazione. Ritengo infatti che le qualità non siano che
modificazioni delle sostanze, e che l’intelletto vi aggiunga le relazioni>>.
7. Astratti e astratti logici.
L. divide astratti tradizionali e ‘astratti logici’ - di sua invenzione.
Per esempio, “Socrate è saggio” —> al termine concerto saggio
corrisponde l’astratto reale di “SAGGEZZA”. L’astratto logico invece, è
“esser saggio”.

CAPITOLO TERZO - La teoria della conoscenza

Noi percepiamo con i 5 sensi. L. distingue il fatto del percepire - per


esempio un colore di una cosa - con l’ appercezione —> percezione
discreta e consapevole: io mi rendo conto di stare percependo quella
data proprietà.
Attraverso il concetto di causa, che è innato e perciò precede qualsiasi
esperienza, trattiamo le percezioni delle quali abbiamo consapevolezza
come effetti di cause poste “fuori di noi”.
Noi percepiamo, con l’appercezione, questi fenomeni ‘unitari’, come se
fossero “proprietà” di oggetti esterni.
Ma quando udiamo un suono, non sappiamo ricostruirne la forma
d’onda…
Queste proprietà che percepiamo, L. per questo le chiama proprietà
occulte.
Ma la conoscenza che ne abbiamo, la definisce chiara: perché noi le
distinguiamo bene le une dalle altre [una conoscenza ‘oscura’ si
contrapporrebbe semplicemente come una percezione non
sufficientemente chiara: come veder bestia quand’ombra].
Allora, noi abbiamo conoscenza chiara di proprietà occulte: questa, L. la
definisce confusa. Perché la capacità di distinguere queste percezioni le
une dalle altre non ha carattere analitico. Se percepisco il blu, non so
“spiegarlo”. Se devo spiegarlo, posso solo mostrarlo!
I sensi esterni però non ci fanno apprendere solo queste ‘qualità occulte’,
ma anche qualità “più manifeste”, che apprendiamo con il senso comune.
Il senso comune apprende le determinazioni di numero, quiete, figura,
grandezza.
Queste nozioni apprese col senso comune ci permettono un’analisi e
organizzazione dei dati —> conoscenza chiara e distinta.
Tutte queste percezioni sensoriali si trovano riunite poi in un senso
interno: l’immaginazione.
Questa, ribadiamo, comprende insieme le “nozioni dei sensi
particolari” (chiare ma confuse) e le “nozioni del senso comune” (chiare e
distinte).
L’immaginazione, situata tra i dati immediati dei sensi e le idee astratte,
costituisce un ponte tra la conoscenza garantita dai sensi e quella
intellettuale. Per esempio, permette di applicare i dati di grandezza e
numero ai dati dell’esperienza - e quindi la matematica.
Il contributo che l’immaginazione fornisce alla conoscenza viene
potenziato dalle idee dell’intelletto. L’intelletto porta alla massima
distinzione le idee elaborate dall’immaginazione.
L’intelletto svolge un ruolo decisivo in rapporto alla costituzione degli
oggetti dell’esperienza, mediante l’impiego di concetti come io e causa.
I concetti di io e di causa sono per Leibniz tipici concetti che l’intelletto
ricava mediante riflessione dal proprio interno”, senza estrarli dai sensi
né dall’immaginazione.
IO: pensiero che una data percezione mi appartiene. Questo concetto è la
base per l’elaborazione del concetto di sostanza.
Cioè, l’autocoscienza genera il carattere ‘sostanziale’ degli oggetti del
mondo esterno. Ciò mostra che per L. gli oggetti della nostra esperienza
sono vere e proprie costruzioni mentali. Sono apparenze, che
derivano il loro carattere unitario dall’attività del nostro intelletto.

3. Figura ed estensione. Altre nozioni del “senso comune”

Le percezioni dei sensi sono oscure ed indefinite. Ma le idee


dell’immaginazione riescono a ordinarle. Lo fanno attraverso la figura. I
bordi di un tavolo: li “vediamo” lisci e dritti, ma al microscopio…
La figura della “linea retta” è ciò che ordina la semplificazione della
nostra percezione del bordo.
Noi semplifichiamo la realtà in forme e figure determinate. Questo è
presupposto organizzativo delle nostre facoltà conoscitive: da questo, si
applica poi l’intelletto.
L. considera la figura una modificazione dell’estensione.
Rifiuta la tesi cartesiana che l’estensione sia primaria e sostanziale: L.
dice: è riducibile a pluralità, numero, continuità, coesistenza [che ha in
comune con cose non estese]; affinché ci sia estensione, deve esserci una
cosa che si ripeta continuamente, ovvero più cose che abbiano una
coesistenza continua.

Oltre a figura ed estensione, L. subordina anche le idee di massa e moto


al ‘senso comune’, e quindi all’immaginazione.
Perciò, i movimenti e le masse dei corpi che scorgiamo intorno a noi sono
mere apparenze fenomeniche. Noi percepiamo le proprietà e le
componiamo in unità; attraverso l’idea di causa, le conferiamo realtà
esterna. Attraverso l’appercezione dell’io, li organizziamo come sostanze.

Quindi, secondo L, le ‘cose’ che ci circondano son costruzioni mentali che


risultano da una sorta di adattamento reciproco di percezioni e idee.
Quando descriviamo il mondo, ci serviamo di concetti ma non
descriviamo percezioni e concetti, quando cerchiamo di riferirci a “il
mondo in sé”. Se non possiamo che percepirlo “filtrato”, non significa che
parlando ci concentriamo più sul filtro che sul mondo.
Quindi, si pone ancora il problema della “realtà del mondo in sé”.
L. da degli indizi, e dice che il più importante è la prevedibilità e
concatenazione dei fenomeni.
Poi aggiunge: un indizio importante è la differenza sostanziale fra le verità
dell’intelletto, che sono stabili, non dipendono dai presunti corpi esterni,
e la realtà dei corpi, della quale si può dubitare.
Allora, attraverso intelletto e giudizio, posso arrivare ad alcune verità
certe, e da queste procedere: ma i sensi da soli non provano nulla (non si
può escludere ipotesi di un sogno ordinato).

CAPITOLO QUARTO - Il concetto di sostanza

Il mondo delle cose intorno a noi viene descritto da L. come: meri


fenomeni; nostre costruzioni; aggregati di monadi (o sostanze
immateriali).
La monade è un “atomo spirituale”, gli elementi delle cose, senza
estensione né figura (quindi indivisibili). Non hanno rapporti diretti tra
loro (non agiscono le une sulle altre).
Cosa spinge L. alla teoria delle monadi?
1) l’ontologia delle relazioni
2) il problema del continuo fisico-matematico
2) la nozione di forza

1. ontologia delle relazioni


Il mondo leibnitiziano è composto da sostanze individuali e dalle
proprietà o modificazioni che a tali sostanze ineriscono.
Questa concezione ha un naturale correlato nell’analisi logico-linguistica:
le parti elementari del discorso sono soggetto predicato e verbo essere. Il
verbo essere esprime l’inerire del predicato nel soggetto.
Se il mondo è composto esclusivamente di enti individuali e delle
proprietà che in essi ineriscono, viene spontaneo domandarsi
dell’ontologia delle relazioni: non tipo “tutti gli uomini sono mortali”,
perché li riguarda ad uno ad uno; ma tipo “Giovanni è più alto di Paolo”,
che riguarda Giovanni e non Paolo, ma li mette in relazione.
Per capire come risponde L., dobbiamo analizzare le risposte della
scolastica da cui dipende.

Ontologia relazioni secondo scolastica - la relazione inerisce in due


proprietà simili, dei due ‘termini’ della relazione. Esempio: “Giovanni è
più alto di Paolo” —> i due fondamenti della relazione sono l’ “essere alto”
di Giovanni, e l’ “essere alto” di Paolo. In queste due proprietà, inerenti
alle due sostanze, si “innesta” la relazione.
In relazioni asimmetriche, invece, si procede con un passaggio ulteriore:
“X è il padre di Y” —> ma Y non ha una proprietà “paternità” che fa
esistere la relazione. In queste relazioni, i fondamenti sono di specie
diversa: allora, il secondo fondamento, instaura una relazione “conversa”:
essere figlio di.

Ontologia relazioni secondo Leibniz - dice che:


- le relazioni sono puramente mentali [procedono dall’essere “pensati
insieme” di due soggetti]
- le relazioni “risultano” dalle proprietà fondamentali dei soggetti
correlati

Insomma: riporta la verità delle relazioni a proprietà intrinseche dell’uno


e dell’altro soggetto. E, al contempo, de-ontologizza la relazione in sé
(fatto mentale).
Allora, le relazioni secondo L. hanno una duplice natura: oggettiva e
soggettiva.
Oggettiva per quel che concerne i loro fondamenti; soggettiva per il loro
essere afferrate dall’intelletto umano.

2. Relazioni e aggregati

L. dice che i corpi sono aggregati di sostanze. Quindi devono esistere le


sostanze di cui sono aggregati.
Ritiene che i corpi siano ‘esseri per aggregazione’: ovvero che ricevono
unità dalla mente che li considera, e hanno perciò una realtà semi-
mentale, come quella dell’arcobaleno.

E gli aggregati hanno la stessa ‘natura ontologica’ delle relazioni.


Allora, l’aggregato deriva da una relazione, che quindi ha duplice realtà:
oggettiva e soggettiva.
Soggettiva è quella del soggetto che la pensa, mettendo in relazione le sue
parti e conferendole su base di autocoscienza un “io” proiettivo; oggettiva:
ogni sostanza che compone l’aggregato, si relaziona alle altre in base a
proprietà realmente inerenti in questa sostanza, che le accomunano tutte.
Cioè, l’unità del corpo procede dalle singole proprietà delle sostanze
aggregate.
Quindi, sostanzialmente ciò che manca al corpo è LA relazione di unità
che “dice IO”, ma non si tratta di un aggregato arbitrario, perché fondato
su una serie di relazioni oggettive tra le varie sostanze che lo aggregano.

B. il labirinto del continuo

Nella Prefazione alla Teodicea, L. mette in rapporto la “giusta” concezione


della sostanza e materia con la soluzione dei problemi connessi al
“labirinto del continuo”.
Cos’è? —> due ‘labirinti’ famosi fanno smarrire tanti intelletti…
- la disputa su ciò che è libero e ciò che è necessario, specie in rapporto al
problema del male
- la continuità e gli indivisibili

Cioè, due problemi che mettono in gioco la concezione di infinito, per


esempio.
Al tempo di L, si teneva in gran conto la “spiegazione cartesiana dei
fenomeni”, fatta di ‘vortici e fluidi sottili’. Sostanzialmente, si cercava
risposta a “cosa è la materia”.
Noi osserviamo la forma dei corpi. Quindi, è introdotta in natura la
nozione di “confine”. Per avere un confine, bisogna che la materia - di per
sé fluida e continua - si limiti.
2 modelli di limiti, ovvero di discontinuità nella materia:
- o la materia limitata è contigua
- o la contiguità è eliminata
In sostanza: o c’è il “vuoto” tra i limiti, o no.
Se c’è il vuoto, “è necessario che alcune forme siano state create CON la
materia”;
se non c’è: “le forme sorgono mediante il moto - che produce la divisione,
e i confini delle parti, e quindi poi le figure”.
Tanto secondo Cartesio quanto secondo Aristotele, la “materia prima” - o
sottile secondo cartesio - è divisibile all’infinito, priva di forma e di moto,
e riceve forma mediante il moto.

Sostanzialmente, la concezione della materia di Leibniz è modulare: una


divisione identica e modulare che si ripete, verso il basso, all’infinito.
Suggestionato dalla nascente microscopia, che aveva trovato “animali
nelle gocce d’acqua”, e “rocce nella roccia”… Leibniz dice proprio di essere
convinto che ci siano infiniti mondi nel microscopico.
La materia originariamente fluida si “forma” e si dispone per moto
vorticoso: un solido, è materia originaria che per moto si è
momentaneamente “solidificata”.

Sulla questione della divisibilità all’infinito, L. per esempio riflette su: un


segmento di retta finito, è composto di finiti o infiniti punti?
La prende di petto… e conclude che entrambe le ipotesi non sono
sostenibili. In definitiva: una retta NON è composta di punti.
Sulla materia non è certo: tendenzialmente la vede come divisibile
all’infinito, ovvero non composta di elementi indivisibili, ma a volte
vacilla.
Poi arriva a dire: “in realtà la materia non è un continuo, ma un discreto
diviso in atto all’infinito”, cioè infinite parti che non sono continue
(altrimenti sarebbe un continuo, non ci sarebbero parti) ma contigue,
cioè la fine di una E’ l’inizio dell’altra. C’è una discrezione ma non vuoto, e
comunque va all’infinito.
IDEALE E REALE - la distinzione tra sfera reale e sfera ideale porterà
Leibniz a giudicare risolti i problemi posti dal labirinto del continuo -
causato da una confusione del continuo reale - in realtà come abbiamo
visto un contiGuo di parti - col continuo matematico, o ideale.

Ribadiamo: un corpo qualunque si compone dalla somma di infinite parti


di grandezza determinata, sebbene sempre più piccole. Tale somma
genera un aggregato, non una totalità compiuta e unitaria.
Ma cosa da vera unità a un corpo? Leibniz non si stanca di ripetere: “Se
non vogliamo che si dissolvano in un pulviscolo inconsistente, dobbiamo
postulare l’esistenza di qualcosa di non materiale, un elemento
unitario che tiene insieme le parti, come un magnete raccoglie attorno a
sé la limatura di ferro: TALI UNITA’ SONO LE SOSTANZE SPIRITUALI
O MONADI”.

Una cosa “molto leibniziana” è l’insistenza sulla differenza tra ciò che i
sensi percepiscono (per esempio, si può percepire un corpo e pensare che
la materia sia una CONTINUO di tipo matematico) con ciò che “in effetti
è” - e cioè un CONTIGUO reale, un divisibile, benché non possiamo
vedere questa divisibilità infinita in atto.
E c’è anche il lato di atteggiamento “filo-scientifico” della cosa: Leibniz
dice ‘infatti quando guardiamo MEGLIO, cioè al microscopio, vediamo
questa continuità ipotetica rompersi in cristalli, in contiguità…’

C. Il concetto di forza

C’era gran disputa su questo, a partire dai Principi di Cartesio. Cartesio


aveva codificato la legge del moto come massa x velocità; Leibniz corregge
le teorie correnti, in massa x velocità alla seconda. Sostanzialmente, L.
usa anche lo studio delle leggi del moto come “anticamera alla
metafisica”, postulando uno spostamento dall’ “in atto” al potenziale, di
cui si serve ancora per tornare alla teoria delle monadi come qualcosa che
è “oltre” a ciò che è in atto come forze o corpi.

CAPITOLO QUINTO - Corpi e sostanze corporee: fenomenismo e


realismo

1. Arena sine calce

La metafora della sabbia e del cemento (arena sine calce) è piuttosto


efficace nel suggerire che nell’aggregato delle parti costituito da un corpo
debba esserci un principio di unità.
Però se la si prende alla lettera, si rischia di confondere: L. si era
allontanato da posizione “atomistiche”, come abbiamo visto.
Sorgono due problemi, dai testi: il problema della “sincerità” di L.
[Russell: le dichiarazioni realiste e non fenomeniste di L, sembrano quasi
una concessione alla ‘diplomazia’]; nel carteggio con Des Bosses, sembra
sostenere posizioni contraddittorie, tanto fenomeniste quanto realiste…

2. “Forme sostanziali” e corpi - il carteggio con Arnauld

L. impiega l’espressione “monade” a partire dal 1690. Nel Discorso di


metafisica (1686), usava “forma sostanziale”, “vera unità”, e talvolta
“anima”, ma sottolineando il senso metaforico.
Ricordiamo: abbiamo due differenti concetti di unità:
1) unità che lo spirito (mente) conferisce agli aggregati
2) unità costitutiva degli aggregati [mmm io direi delle parti…]

Unendosi a un determinato corpo, una forma sostanziale dà luogo a un


complesso, che L. denomina sostanza corporea o sostanza completa.
Questo corpo è a sua volta concepito come ammasso di sostanze
corporee.

SCARTO IMPORTANTE [ma sarà vero??] —> due tipi di corpi


1 - meri aggregati, privi di forma sostanziale e quindi di vera unità -
mucchio di pietre, tavolo, cadavere
2 - aggregati dotati di unità sostanziale - tutti gli esseri organici

Gli aggregati del primo tipo ricevono unità mentale; gli altri hanno unità
indipendente.

Monadologia (1714) = “c’è un mondo di creature, di viventi, di entelechie,


di anime, nella minima parte della materia. Ciascuna porzione della
materia può essere concepita come un giardino pieno di piante e come
uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo della pianta, ciascun membro
dell’animale, ciascuna goccia dei suoi umori, è ancora un tale giardino o
tale stagno”.
Detta così è bella…
Sottolinea poi che la “forma sostanziale” è immortale: “si ritira in qualche
particella della materia fino al giorno del giudizio”.

Parallelo con la teoria della percezione: tra anima (forma sostanziale) e


corpo sussiste un rapporto analogo a quello tra caratteri e pensiero —>
come non possiamo pensare senza l’ausilio dei caratteri, così non
possiamo avere rapporti col mondo se non mediante il corpo. Ma come i
caratteri pur permettendo il pensiero ne ostacolano uno sviluppo libero,
così il corpo ci impedisce diretto accesso all’interiorità altrui.

Farà poi un passaggio cruciale: ad essere REALI non sono i


complessi di anima e corpo, ma le sostanze semplici, simili a
spiriti.
GLI UNICI ENTI REALI SONO LE SOSTANZE SEMPLICI O MONADI.
Gli aggregati sono di natura puramente fenomenica.

Sono molto deluso, ma


segue una serie di passaggi (evolve il suo pensiero in lettere) arriva a dire:
i corpi sono aggregati di monadi, su base materiale, però c’è una Monade
dominante che ne garantisce l’unità ultima dell’aggregato.
Questa non poggia su nessi reali delle varie monadi componenti, ma su
una unità di fini e comportamento conferita all’aggregato dalla Monade
dominante.
In ultima analisi, la monade dominante resta estrinseca dalla “colonia di
monadi” sulle quali domina e che ne costituiscono il corpo.
l'aggregato di monadi che è il corpo, riceve poi una unità sostanziale,
ontologicamente sussistente da una Monade Dominante, ESTRINSECA, e
questa "coppia" (monade dominante - aggregato di monadi) è voluta da
un' ARMONIA PRESTABILITA di matrice divina, che ne garantisce anche
l'immortalità in ordine alla sussistenza della monade dominante anche in
seguito alla dissoluzione (che dice essere “sempre parziale”) del corpo
come aggregato di monadi.

5. La ‘dinamica’ e la teoria delle forze: materia prima e seconda; il ruolo


del corpo: l’armonia prestabilita

Lo studio delle leggi del moto ha condotto L a riconoscere l’esistenza di


un’entità autonoma, la forza, non riconducibile alle categorie standard
del meccanicismo cartesiano. Questo riconoscimento ha contribuito L a
postulare l’esistenza di enti immateriali, puri concentrati di energia,
dietro le apparenze del mondo fenomenico: le sostanze semplici o
monadi.
TEORIA DELLE FORZE VITALI: L distingue due tipi di forza (vis) attiva
e passiva. E le divide ancora in “primitiva” o “derivata”.

1) forza attiva primitiva —> è l’entelechia prima della sostanza corporea,


la forma sostanziale

2) forza passiva primitiva —> è la materia prima degli scolastici; è ciò che
fa si che un corpo resista alla penetrazione di un altro, e che si muova solo
se spinto da forza superiore a quella che oppone. In pratica: è l’ esigenza
primaria della forza attiva [entelechia] di avere associato un corpo, ovvero
una massa.

Le forze derivate sono modificazioni di quelle primitive. Sono quelle


studiate dalle scienze naturali!!!
La materia prima sarebbe il corpo, la “massa estesa” senza la forma
sostanziale.
Attenzione però: è un’astrazione, perché non può sussistere senza la forza
attiva primitiva.

L dice: “distinguo dunque:


1) l’enetelechia primitiva, o anima
2) la materia prima, ossia la potenza passiva primitiva
3) la monade completa di entrambe

Alla matera prima affianca la “materia seconda” [o “massa”!!!]: un


risultato che deriva da innumerevoli sostanze complete, ciascuna delle
quali dotata della propria entelechia e della propria materia prima.
Ecco che qui riprende la sua idea modulare: la materia seconda è materia
prima organizzata nel suo infinito organizzarsi modularmente.

MENTE E CORPO
Alua, L pensa che la mente sia una Monade. E indovina un po? è
ovviamente la Monade dominante.
Sia il corpo che la mente quindi sono “fatti di monadi”.
Problema fondamentale della filosofia occidentale —> rapporti mente
corpo.
La risposta di L è un perfetto parallelismo tra fisico e pscichico: mente e
corpo sono stati regolati dalla armonia prestabilita da Dio, e a
determinati eventi nel corpo corrispondono necessariamente determinati
eventi nella mente.
Quindi evita la “doppia natura” Cartesiana, ma anche idealismo (scadere
del fisico nello psichico) o un materialismo (viceversa).
Ovviamente, deputa alla divinità: però evita anche l’ “interventismo
divino continuo”: i rapporti sono regolati in armonia, l’ “orologio”
meccanico procede di per sé.

6. Il nominalismo metodologico di Leibniz


è nominalista? lo è in modo discreto: non si devono moltiplicare gli enti.
Cioè: non si deve conferire esistenza a qualcosa fino a quando non risulti
necessario!
Questo lo pone a dire sempre che non si possono dimostrare i fenomeni
solo a partire dalla percezione, e che le “verità di ragione” sono le sole che
possono avere valore dimostrativo. Quindi perviene a un’ontologia
“austera”, dove non può percepire le monadi ma non di meno le usa.

Locazione delle monadi - Quando parliamo di ‘aggregato’ non dobbiamo


spazializzare troppo [pensa: era così avanti che parlava di relativizzazione
relazionale dello spazio!]. Le monadi non sono in un luogo, se non in virtù
dell’armonia, vale a dire che si relazionano con un corpo, ma solo
attraverso quello hanno un consenso col mondo fenomenico.
Quindi: nessuna monade esiste senza un corpo [eccetto DIO!]; ma le
monadi non sono “situate” l’una rispetto all’altra nello spazio, sono i loro
corpi ad esserlo.
Ancora: il mondo “fenomenico” esiste solo in virtù delle monadi che
aggregano. Quindi, la natura dei corpi è spirituale.
C’è un dualismo conoscitivo corrispondente: si può spiegare
meccanicamente il mondo dei corpi, ma i principi della meccanica non
bastano, perché dipendono da principi più sublimi, da rimandarsi
all’armonia.
L’ARMONIA PRESTABILITA MUOVE DA CRITERI DI CAUSA
FINALE.
L parla di “due regni”: quello delle cause efficienti, e quello delle cause
finali.
Critica Cartesio per avere escluso dalla scienza lo studio delle cause finali.

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