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MANUALE/ TEORIA DEL LINGUAGGIO E DELLA

COMUNICAZIONE CA
MODULO 2

LE ORIGINI DEL LINGUAGGIO NEL DIBATTITO


SETTECENTESCO
Tesi del continuismo. Da Locke a Condillac

Nell’Illuminismo europeo si impone la questione delle origini: si


cerca di ricostruire ipoteticamente (non si può accedere ad
eventuali fonti ad hoc) la genesi dello stato e della società civile,
dell’attività morale e conoscitiva. Il valore di questo tipo di
ricostruzione non è affatto storico: è un esperimento mentale che
consente agli intellettuali che se ne avvalgono di tentare di
spiegare i principi costitutivi della società civile, del
comportamento morale, dell’attività conoscitiva e, quindi, dello
stesso linguaggio.
Filosofi e scienziati cominciano ad interrogarsi sulle origini del
linguaggio fino a determinare un vero e proprio dibattito dalla
risonanza inaspettata.
Il dibattito settecentesco sull’origine del linguaggio diventa
l’occasione per comprendere meglio la funzione del linguaggio. Molti
aspetti sono stati confermati successivamente e sono ancora
presenti – con le dovute integrazioni e/o correzioni – nel dibattito
attuale.

La questione è connessa all’elaborazione teorica dell’Empirismo e a


John Locke che ne è il fondatore. Il suo Saggio sull’Intelligenza
umana del 1690 contiene le linee programmatiche dell’Empirismo e
riserva – novità per i trattati filosofici dell’epoca – al linguaggio un
libro specifico, il famoso “terzo libro”, dove però non viene sollevata
la questione delle origini. I primi 3 paragrafi del terzo libro possono
essere considerati come 3 premesse irrinunciabili:
Dio, avendo inteso che l’uomo fosse una creatura socievole (…) lo
ha anche fornito del linguaggio, destinato ad essere il grande
strumento e il comune legame della società. L’uomo, perciò, dalla
natura ha avuto gli organi suoi foggiati in tal modo da esser atti a
formare suoni articolati che chiamiamo parole. Ma questo non
bastava a produrre il linguaggio; poiché i pappagalli, e vari altri
uccelli, potranno venire istruiti a emettere suoni articolati
abbastanza distinti, benché tali animali non siano in alcun modo
capaci del linguaggio. (Saggio, III, par. 1, p. 453)

Chiaro è l’obiettivo di Locke di spiegare geneticamente il linguaggio


esplicitando ulteriormente il progetto di naturalizzazione della
mente umana e del linguaggio che ne è considerato sin da subito
un elemento integrante. La strutturazione corporea dell’uomo è
funzionale alla genesi del linguaggio ma non a partire
genericamente dagli organi fonatori che non fanno affatto la
differenza. Locke fa osservare che taluni uccelli possono essere
addestrati a emettere qualche catena fonica senza ciò legittimi la
presenza della facoltà del linguaggio che rimane una caratteristica
tipicamente umana malgrado le analogie con altri animali.
Locke procede con quella che è la seconda premessa:

Oltre i suoni articolati (…) era ancor necessario che egli fosse in
grado di servirsi di tali suoni come segni di concezioni interiori, e di
fissarli come contrassegni delle idee contenute nella sua mente:
contrassegni mediante i quali esse potessero venir notificate ad
altri, e i pensieri della mente degli uomini trasmessi dall’uno
all’altro.
(Saggio, III, par. 1, p. 453)
Fondamentale per l’uomo è propriamente il nesso che la mente
stabilisce tra i suoni e le “concezioni interiori”, vale a dire, i processi
cognitivi o idee; rispetto a queste ultime le parole assumono la
funzione di contrassegno, termine che ritroveremo anche in
Herder. Locke sottolinea la funzione che il contrassegno assume in
vista della comunicazione o trasmissione dei pensieri tra gli uomini.
Questa funzione si giustifica però soltanto in relazione all’attività
cognitiva sottostante che merita un’ulteriore precisazione che porta
il lettore dritto verso il nucleo centrale dell’analisi di Locke.

Ma nemmeno questo bastava a dare alle parole tutta l’utilità che


dovevano avere. Non basta, per la perfezione del linguaggio, che i
suoni vengano presi come segni delle idee, ove di tali segni non si
possa far uso tale da comprendere in essi varie cose particolari (…)
questo uso così vantaggioso dei suoni fu ottenuto soltanto
mediante la differenza delle idee delle quali essi vennero presi
come segni: diventando generali quei nomi che stanno per idee
generali (…). (Saggio, III, par. 1, pp. 453-454)

Decisiva è l’individuazione del processo cognitivo che determina di


fatto l’uso dei contrassegni: Locke sostiene che senza passare per i
processi cognitivi che presiedono all’attività di generalizzazione è
pressoché impossibile giustificare la facoltà del linguaggio. La sua
analisi dell’attività mentale e cognitiva non contribuisce di certo
all’individuazione delle fasi delle origini del linguaggio ma offre una
prospettiva che sarà l’indiscusso punto di riferimento per il
successivo dibattito sull’origine del linguaggio a partire dalla
posizione di Condillac.
L’Empirismo effettua un vero e proprio mutamento di prospettiva: il
linguaggio non viene ricondotto ad eventuali modelli logici ideali
bensì viene ricondotto alla sua natura concreta che non può non
coincidere con le lingue storico-naturali e, soprattutto, alle
condizioni psicologiche individuali che costituiscono in stricto sensu
condizioni concrete-fattuali. Interessante è la linea di continuità con
Hobbes che è stato il primo a ritenere che le parole dovessero
essere svincolate dagli oggetti e che dovessero essere valorizzate
per il rapporto con i concetti. L’analisi lockiana delle idee è al centro
di una riformulazione totale: le idee non hanno più una struttura
logico-oggettiva, come si riteneva nel dibattito medievale e, con le
necessarie integrazioni, nello stesso modello cartesiano, ma sono
considerate esclusivamente nella loro natura genetico-psicologico.
Progressivamente, si passa dalle idee semplici, scaturite
dall’impatto sensibile della mente con la realtà esterna, alle idee
complesse determinate dalla combinazione delle idee semplici. Tra
le idee complesse Locke colloca le idee astratte generali che la
mente umana elabora (combina) togliendo (separando) le proprietà
singolari e specifiche ed incentrandosi soltanto sulle proprietà
comuni e simili. Le idee astratte presentano una struttura
semiotica in quanto “STANNO PER” le idee particolari e per i casi
concreti intesi nella loro diversificazione; le idee astratte sono
SEGNI mentali e sono GENERALI: la loro è una vera e propria
funzione nominale (ESSENZE NOMINALI) che si realizza nella
formazione e nell’uso dei TERMINI LINGUISTICI. L’uso del termine
“uomo” si giustifica quindi in base al rapporto con l’idea astratta
generale di UOMO. Ovviamente, la genesi psicologica delle idee
astratte consente a Locke di raggiungere un duplice obiettivo:
1. confutare la tesi logica del linguaggio, la tesi secondo cui le
parole rinviano ad una struttura logica omogenea ed
universale;
2. affermare l’uso flessibile e pragmatico dei termini linguistici.

Il risultato più innovativo è inerente all’organizzazione del sapere


che cognitivamente raggiunge il suo massimo obiettivo nella
possibilità di realizzare la classificazione della realtà, intesa nella
sua dimensione oggettiva, in quella che oggi si definisce
propriamente CATEGORIZZAZIONE che in Locke necessariamente
rinvia alla preliminare formazione delle idee astratte generali
/essenze nominali. L’Empirismo lockiano giustifica, a partire
dall’esperienza sensibile, vale a dire, GENETICAMENTE il nesso che
intercorre tra linguaggio e conoscenza.
Ciò comporta un mutamento di prospettiva anche in relazione alla
nozione di verità: la stessa scienza fa propria l’universalità (senza
la quale ci sarebbero solo registrazioni di fatti singoli) che non può
realizzarsi che attraverso un solo ORGANO, il linguaggio: La verità
è nel linguaggio. I sistemi linguistici sono di fatto sistemi del
sapere che gestiscono le relazioni interne e lo stesso binomio
verità/falsità, malgrado la flessibilità e duttilità strutturali che
consentono correzioni- errori- correzioni.
CONDILLAC: LA TESI DEL CONTINUISMO
Nel Saggio sulle origini delle conoscenze umane Condillac integra il
modello lockiano proponendo un’analisi che, ad un tempo,
identifichi il linguaggio con la facoltà del linguaggio (e non con la
lingua!) e lo dispieghi geneticamente e diacronicamente — secondo
le tesi del continuismo —nelle sue maggiori fasi di sviluppo: il
linguaggio d’azione e il linguaggio articolato. In questa prospettiva
le lingue naturali rimangono del tutto marginali.
Secondo Condillac, spinto dal bisogno, l’uomo impara a predisporre
azioni che gli consentano di rispondere agli stimoli esterni in termini
sempre più coerenti definendo gradualmente i propri pensieri e
plasmandoli in vista della comunicazione. La prima forma di
linguaggio è il linguaggio d’azione che Condillac associa al bisogno:
esclamazioni, movimenti corporei, grida, emissione di suoni
inarticolati sono tutti elementi funzionali alla comunicazione di
situazioni piacevoli o spiacevoli.

(…) chi soffriva perché era privato di un oggetto necessario ai


propri bisogni, non si tratteneva dal gridare, faceva sforzi per
ottenerlo, agitava la testa, le braccia e tutte le parti del corpo.
L’altro, emozionato da questo spettacolo, fissava gli occhi sullo
stesso oggetto e, sentendo passare nell’anima sensazioni che non
riusciva ancora a spiegare, soffriva di vedere soffrire questo infelice
(…) si sente spinto a consolarlo, e obbedisce a questo impulso, per
quanto è in suo potere. Così, con il solo istinto, gli uomini si
chiedevano e si prestavano aiuto. (Saggio sulle origini, p. 209)

Il linguaggio d’azione è azione e reazione allo stesso tempo:


reazione a determinati stimoli ma, contestualmente, azione con cui
l’uomo avvisa, informa i suoi conspecifici relativamente a
determinati stimoli, oggetti o genericamente bisogni. Il dispositivo
che lo attiva ed alimenta è l’istinto che Condillac separa e distingue
perentoriamente dalla riflessione. L’istinto è il dispositivo del
linguaggio d’azione umano e animale; pertanto, in questa fase non
emergono elementi di differenziazione. Secondo la tesi del
continuismo, Condillac si adopera perché il passaggio dal linguaggio
d’azione a quello articolato sia motivato da elementi che non
comportino alcuna soluzione di continuità. Indubbia è quella fase in
cui l’emissione dei suoni tende ad una qualche forma minima di
articolazione contestualmente al fluire energico del linguaggio
d’azione dei gesti e dei movimenti corporei. Nel corso di alcune
generazioni – osserva Condillac – i suoni articolati si rivelano più
efficaci e stabili del linguaggio d’azione che di per sé non garantisce
sempre il raggiungimento dell’obiettivo.
Il linguaggio d’azione, allora così naturale, era un grosso ostacolo
da superare (…) Il linguaggio dei suoni articolati (…) sembrò allora
comodo quanto il linguaggio d’azione e ci si servì ugualmente
dell’uno e dell’altro, finché l’uso dei suoni articolati diventò così
facile che prevalse. (Saggio sull’origine delle conoscenze umane,
pp. 211-212)

Il linguaggio d’azione non consente una comunicazione stabile dal


punto di vista delle informazioni da trasmettere e viene in parte –
per molti aspetti che rimangono contestuali l’uno con l’altro -
rimpiazzato dal linguaggio dei suoni articolati che, pur rispondendo
sempre al principio del bisogno, ne definisce meglio i tratti interni -
bisogno, comunicazione ed informazione – configurandosi anche in
termini di maggiore unitarietà.
Decisiva è quindi l’articolazione dei suoni che, senza implicare una
soluzione di continuità con il linguaggio d’azione e, quindi, senza
compromettere i principi della naturalizzazione dei processi
cognitivi, assurge a quell’esperienza di perfettibilità cui si richiama
la capacità stessa della mente umana di analizzare i pensieri e
disporli gerarchicamente (sintatticamente) secondo il criterio della
successione lineare; un processo profondo che si realizza
materialmente con la disposizione gerarchica dei suoni articolati e
che può essere esaminato nella sua natura bifacciale: analisi dei
pensieri, da un lato, articolazione dei suoni, dall’altro; insomma,
un’analisi logica dei contenuti che si realizza esclusivamente
nell’articolazione della voce e dei suoni. Il linguaggio articolato
realizza così il rapporto con la realtà e ne predispone le proiezioni
future. Si tratta pertanto di un complesso sistema di azioni
cognitive cui Condillac assegna una funzione prevalentemente
logica, sebbene giustificata in base ai principi dell’empirismo
lockiano.
Il linguaggio articolato è all’origine della possibilità di analizzare
ulteriormente i pensieri sottraendoli alla simultaneità del linguaggio
d’azione e organizzandoli sintatticamente e linearmente secondo la
modalità della successione; la riduzione della simultaneità segna in
sostanza l’eliminazione delle componenti qualitative. Da questo
punto di vista, il linguaggio articolato e i diversi linguaggi articolati
rientrano nella categoria dei “metodi analitici” da cui dipendono i
processi di astrazione e le relative attività di categorizzazione della
realtà.

Si capirà facilmente come le lingue siano […] metodi analitici, se si


è compreso come lo stesso linguaggio d’azione sia un metodo
analitico. E se si è compreso che senza questo linguaggio gli uomini
sarebbero stati impotenti ad analizzare i loro pensieri, si
riconoscerà che, avendo smesso di parlarlo, non analizzerebbero i
propri pensieri se non avessero supplito alla mancanza del
linguaggio d’azione col linguaggio dei suoni articolati. L’analisi si fa
e si può fare soltanto con i segni. (Logica, p. 734)

Coerente con le premesse lockiane Condillac offre un interessante


quadro della naturalizzazione dei processi logico–linguistici e del
ruolo dei segni articolati nell’esplicitazione della facoltà cognitiva del
linguaggio. Contestualmente, fa ricorso, altresì, alla tradizione
post–cartesiana di Port–Royal valorizzandone soprattutto la
giustificazione della sintassi e delle cosiddette “parti del discorso”.

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