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25.03.

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CAPITOLO 1.
CHE COS’E’ IL LINGUAGGIO?
Il linguaggio è la caratteristica che ognuno ha di comunicare.
La lingua è il modo per poterlo fare; è uno dei tanti modi per poterlo fare,
perché io posso comunicare anche attraverso la musica, la pittura ecc.
CHE COS’E’ LA LINGUISTICA?
La linguistica è conoscere lo strumento (la lingua) per poterlo usare
meglio. La linguistica studia la lingua in modo scientifico. Metodo
scientifico significa avere un piano, avere un’ipotesi, avere delle
procedure dettagliate scritte e raggiungere delle conclusioni, ma
soprattutto è la possibilità che tutti gli altri applicando le stesse e
identiche procedure, sulle stesse ipotesi, raggiungono lo stesso e identico
risultato. Se così non è, lo studio non è scientifico, ma diventa
un’opinione. Inoltre lo studio scientifico, è uno studio molto rigoroso,
poiché bisogna individuare dei fenomeni, se ci sono delle ipotesi
verificabili, cercare se esistono delle leggi generali. Quindi dobbiamo
applicare un vero e proprio metodo scientifico quando andiamo a
studiare la lingua.
Inoltre la linguistica è uno studio descrittivo del linguaggio umano ovvero
capire il perché succedono determinate cose.
Nella linguistica non esiste una norma assoluta che vale per sempre, ma
le norme cambiano con il tempo e con le persone. Inoltre le regole non
sono universali, ovvero che valgono per tutte le culture, ma sono delle
regole che siccome cambiano con l’uomo dipendono dall’uomo.
Per linguaggio si intende tutto ciò che riguarda un sistema di
comunicazione; tutto ciò che riguarda un emittente e un destinatario, la
possibilità di far passare delle informazioni dall’emittente al destinatario.
Le informazioni all’interno di questo sistema di comunicazione possono
essere veicolate in mille modi, posso fare uno sguardo di un certo tipo ad
una persona e il destinatario deve decodificare questo sguardo; oppure
posso fare un disegno, posso comporre una musica ecc.
Il sistema di comunicazione che rientra nella definizione del linguaggio,
prevede che al proprio interno ci siano queste caratteristiche: emittente,
un messaggio e un destinatario.
Il messaggio inoltre può essere volontario o involontario, ad esempio
sbadigliare è un messaggio involontario, ma è comunque un messaggio
che il destinatario riceve. In alcuni libri viene riportato che l’emittente sia
la parte attiva, ovvero colui che comanda, che decide quali informazioni
dare, altri invece riportano che sia il destinatario la parte attiva, perché è
colui che decide quale informazione “trattenere”, oppure può ritenere
che ciò che dice l’emittente sia inutile.
Ci sono diversi tipi di linguaggio: Il linguaggio dei media, il linguaggio
animale, il linguaggio dei gesti, il linguaggio informatico, il linguaggio
dell’arte e il linguaggio naturale. Il linguaggio naturale in mezzo a questi
linguaggi, è la lingua naturale. Quindi in linguaggio è la capacità di
comunicare, di avere un sistema di comunicazione; a sua volta questa
capacità di comunicare si può esplicare attraverso diverse forme:
attraverso i gesti, i numeri, i fiori ecc.
DIGRESSIONE SULLA DEFINIZIONE DI LINGUA.
La lingua è una parte del linguaggio, è un modo per esplicitare il
linguaggio. La lingua si parla da sempre, o meglio prima si parlava con i
gesti, dopodiché si passò ai pittogrammi cioè ai primi disegni nelle
caverne, però è stato scoperto che l’uomo appena iniziò a parlare
l’evoluzione ebbe un salto di tipo esponenziale perché l’esperienza
dell’uomo attraverso la lingua, può essere trasmessa alle generazioni
successive. Questo è molto importante, perché senza la lingua ogni
generazione dovrebbe iniziare sempre da capo.
PLATONE (427-347 a.C.)
Cratilo nei discorsi dice che ci sono dei protagonisti: Cratilo, Ermogene e
Socrate.
-Ermogene sostiene che i nomi rappresentano l’oggetto solo per
convenzione umana;
-Cratilo invece, sostenitore di Eraclito, sostiene che vi sia una rispondenza
tra nome e cosa;
-Socrate critica sia l’uno che l’altro, sostenendo che il linguaggio è
convenzione ma non è arbitrio.
Questa discussione sta ad indicare che il nome delle cose è legato
direttamente alle cose. Quindi probabilmente, all’inizio della lingua, i
nomi erano strettamente legati alla cosa, cioè richiamavano la cosa la
stessa, e quindi oggi vengono definiti onomatopeici (ovvero quando il
nome e la cosa in qualche modo hanno un richiamo e sono collegate tra
di loro. Per esempio miagolare è un verbo che rifà esattamente al rumore
che noi sentiamo quando un gatto miagola), col passare del tempo si è
sempre più allontanato l’oggetto dal nome, tanto che adesso il nome è
convenzionale e culturale. Invece dentro questa discussione di Platone, si
pensa che il fatto di utilizzare determinati suoni sia in qualche modo
legato all’oggetto. Per esempio secondo Cratilo la vocale “i” esprimono
cose piccole e sottili.
ARISTOTELE (300 a.C.)
Aristotele dice che la lingua è un suono articolato, ma il suo contenuto
non appartiene a questa Koinè ma appartiene al pensiero. Per cui i segni
sono arbitrari, la lingua è strumento del pensiero, la linguistica è branca
della logica.
Nasce prima la lingua o prima il pensiero? Noi pensiamo perché abbiamo
la lingua e quindi i nostri pensieri possono avere un’etichetta o è
viceversa? Ancora oggi ci portiamo avanti questa domanda.
HUMBOLDT (1767)
È stato l’ispiratore di Ferdinand De Sussure (padre della linguistica), e
scrive “la base articolatoria della favella è comune a tutti gli uomini ma il
suono serve soltanto come materiale passivo per la costruzione o
struttura della lingua”. Quindi una parte uguale a tutti gli uomini
(astratta) e una acustica (concreta) che rende le lingue differenti. Questo
vuol dire che lingua è divisa in due parti: una parte astratta che sta nella
testa, e una parte concreta alle labbra. Due aspetti della stessa cosa,
ovvero la lingua ( Ad esempio quando io dico “tavolo” nella mia testa lo
posso immaginare di legno, o di marmo, con un solo piede ecc. ognuno di
noi lo immagina in maniera diversa).
Ciò porta a dire che la lingua e il pensiero di un popolo sono inseparabili.
“La lingua di un popolo è il suo spirito, e il suo spirito è la sua lingua”. La
lingua dunque è legata alla cultura.
HERDER
Nello stesso periodo si ritorna un po' indietro, sul fatto di bandire un
premio all’Accademia della Prussia a tutti gli studiosi che riescono a dare
una risposta, cioè “nasce prima il linguaggio o nasce prima il pensiero?”
Herder sostiene “il linguaggio e il pensiero hanno avuto origine comune e
l’umanità ha progredito in essi attraversando stadi uguali essendo ognuno
dei due dipendenti dall’altro”.
Da Platone ad Hitler l’idea che ci sia un intimo legame fra pensiero e
linguaggio esiste ancora adesso. Il linguaggio come lo specchio del
pensiero, è vero, perché il fatto di avere un linguaggio limitato, il fatto di
avere un vocabolario ristretto, limita anche il pensiero.
Werner scriveva “nelle società primitive il linguaggio è una parte
integrante delle attività quotidiane. Di conseguenza è inevitabile che i
nomi siano concreti e il lessico molto povero”. In tutte quelle comunità
dove non esiste la scrittura, le parole che vengono utilizzate sono solo
quelle necessarie alla prosecuzione, necessarie al lavoro, alla vita.
COSA NE PENSIAMO NOI, DI CHE COS’E’ LA LINGUA?
-Una lingua è una cosa talmente naturale che è difficile descrivere.
-Forse per poter descrivere che cos’è una lingua possiamo basarci sulla
distinzione rispetto agli altri codici. Perché dire che cos’è una cosa non è
facile, ma dire come è diversa questa, rispetto alle altre ci viene più facile.
CARATTERISTICHE DI TUTTI I LINGUAGGI
Dipendenza dalla struttura, discretezza, doppia articolazione, ricorsività.
La discretezza la possiamo trovare anche nel linguaggio matematico,
mentre invece la ricorsività, la doppia articolazione e la dipendenza della
struttura è propria del linguaggio naturale; queste caratteristiche non
sono presenti in altri tipi di linguaggio.
-DISCRETEZZA: il linguaggio è un sistema discreto (inteso come categoria)
e non continuo. È discreta perché nonostante le parole siano costituite da
più suoni, e tra di loro questi suoni sono molto simili, diventa discreto che
la sostituzione di un suono con un altro produce una differenza di
significato (esempio: pollo - bollo). La lingua è costituita da elementi
discreti che non hanno significato, ma che messi insieme hanno
un’etichetta.

26.03.21
–DOPPIA ARTICOLAZIONE: Il primo a parlarne fu Andre Martinè, il quale
nel suo corso di linguistica generale disse che esistono elementi di
seconda articolazione, cioè i singoli suoni (ad esempio le consonanti prese
singolarmente), privi di significato che DEVONO essere di numero
limitato, i quali possono comporsi tra di loro creando elementi di prima
articolazione che sono dotati di significato e di numero infinito.
Esempio: p, t, s, d, l  elementi di seconda articolazione.
Poste, toste, soste ecc elementi di prima articolazione.
La maggior parte delle lingue del mondo si muove intorno a 20/25
elementi di seconda articolazione.
-RICORSIVITA’: vuol dire che io avendo una frase di base (nucleare), a
questa frase posso attaccare dei significati a destra, a sinistra, o
subordinandoli.
*frase nucleare significa che è composta da un soggetto, un verbo e un
complemento. *
Esempio: Lorenzo ascolta buona musica (frase nucleare)
a questa frase posso aggiungere una “e” che mi consente di non ripetere
le informazioni già dette.
Lorenzo ascolta buona musica e legge molto,
e studia,
e fa sport,
e mangia sano ecc.
La funzione ricorsiva è una regola che può essere applicata un numero
teoricamente infinito di volte.
-DIPENDENZA DALLA STRUTTURA: è una caratteristica unica della lingua.
Abbiamo detto che il mio cervello è uguale a quello degli altri, quindi la
predisposizione al linguaggio è uguale per tutti, ciò che cambia sono le
regole di articolazione.
Esempio: Il regalo che mi ha portato Alessia è stato molto gradito.
La dipendenza della struttura vuol dire che ci sono parole che dipendono
da altre parole che non le vediamo subito se vediamo la frase, ma che
sappiamo che esistono perché dipendono da una struttura profonda.
La dipendenza dalla struttura è importante anche nelle espressioni
grammaticali e agrammaticali.
Esempio:
-Una fragola mangia Nicole  è un’espressione grammaticale perché
grammaticalmente è composta correttamente, perché il verbo
“mangiare” ha bisogno di due argomenti, uno che compie l’azione e uno
che riceve l’azione. Poi dovrebbe subentrare la semantica che sarebbe il
significato della frase. Con il verbo “mangiare” dovrebbe accostarsi un
soggetto animato.
-Nicole mangiate una fragola  è un’espressione agrammaticale
Perché nella struttura profonda se il soggetto è al singolare, il verbo non
può essere plurale, proprio perché il verbo si deve accordare con il
soggetto.
Questo rientra in quello che Chomsky definisce competenza.
Le differenze che abbiamo tra le lingue e gli altri codici sono: i codici
hanno un rapporto biunivoco.
Esempio: il semaforo. Quando è rosso sappiamo che dobbiamo fermarci,
quando è verde possiamo passare. Ma se il semaforo dovesse rompersi e
la luce il alto non dovesse emettere la luce rossa, capiremmo lo stesso
che dobbiamo fermarci, proprio perché il significato è univoco.
La lingua è una struttura molto più complessa rispetto a tutti gli altri
codici, la lingua non ha un unico livello, ma ha tanti livelli, ha un livello più
basso che è quello fonetico, poi c’ha quello fonologico, poi arriva al
morfologico, poi al sintattico ecc. ognuno di questi livelli funziona con
delle regole proprie.
*Che differenza c’è tra un linguaggio e una lingua? (possibile domanda di
esame) dobbiamo dire tutto dall’inizio, fino a qui. (lezione del 25 fino a
questo punto).*
Il linguaggio umano è la capacità che ha il cervello di comunicare. Questa
capacità di comunicare Chomsky dice che è innata. Chomsky non diceva
che la lingua è innata, ma è il linguaggio che è innato, inteso come la
capacità a comunicare.
Il linguaggio è innata, gestisce un sistema di comunicazione. La lingua è
una forma specifica assunta dal sistema di comunicazione nelle varie
comunità.
Ogni segno è costituito da come lo rappresentiamo e da come lo
interpretiamo. (SEGNO= ESPRESSIONE + CONTENUTO)
INDICI MOTIVATI NATURALMENTE NON INTENZIONALE
SEGNALI  MOTIVATI NATURALMENTE ED INTENZIONALI
ICONE  MOTIVATI ANALOGICAMENTE ED INTENZIONALI
SIMBOLI MOTIVATI CULTURALMENTE ED INTENZIONALI.
Quindi indici, segnali, icone, simboli rientrano nella comunicazione non
verbale, ognuno di questi codici dovrebbe essere studiato così come
studiamo la lingua, ovvero con delle regole, dei costituenti ecc.

SEGNI LINGUSTICI
Nella linguistica generale il costituente minimo è il segno linguistico, che
è l’unità fondamentale della comunicazione verbale. Il segno linguistico
non è motivato, è intenzionale.
CARATTERISTICHE DEL SEGNO LINGUISTICO
Il segno linguistico è stato introdotto da molti autori, ma la definizione
migliore è quella di Ferdinande De Sussure, lui dice di immaginare il
segno linguistico come una moneta, se la tagliamo in maniera sottile avrà
sempre due facce. Il segno linguistico ha sempre due facce, da una parte
ha un’etichetta che è il significante che può essere scritta o orale,
dall’altra parte c’è il significato. Ogni segno linguistico ha sempre un
significante e un significato. Per essere segno linguistico deve avere
CONTEMPORANEAMENTE sia il significante e il significato.
I segni linguistici hanno tre caratteristiche proprie:
Distintività, linearità e arbitrarietà.
-DISTINTIVITA’: stessa cosa della discretezza. Un segno linguistico è
formato da elementi di seconda articolazione, questi elementi devono
essere distintivi all’interno di un unico suono. Quindi è la caratteristica
attraverso la quale riesco ad identificare i singoli elementi che
compongono il segno.
Esempio: io dico Foglia, non dico F-O-GLI-A. La dico in un unico suono.
-LINEARITA’: il segno linguistico assume una maggiore specificità in base
al contesto, in base alla posizione in cui si trova. La linearità nello spazio
quando è scritta, nel tempo quando viene pronunciata (quando utilizzo la
voce) è una caratteristica molto importante. È importante anche quando
metto più segni linguistici uno vicino all’altro.
Esempio: nella sequenza gatto – miagola – il l’ordine lineare corretto
che produrrà una frase grammaticale sarà “il gatto miagola”.
-ARBITRARIETA’: qual è il legame che c’è tra significato e significante? Il
legame tra il significante e il significato è arbitrario, perché decido io di
dare un tipo di etichetta ad una certa idea. La relazione tra il significato e
il significante per tutte le lingue del mondo è SEMPRE arbitraria, non c’è
nessun legame che indichi nel significante il significato o viceversa. A
questa relazione di arbitrarietà fanno eccezione due gruppi di parole: le
parole onomatopeiche, che sono quelle parole che richiamano in qualche
modo il significato, quindi vi è un legame di significante e significato; e gli
ideofoni che non sono dei veri e propri segni linguistici, perché il
significante è costruito cercando di imitare il rumore. Noi normalmente gli
ideofoni li troviamo nei fumetti, non sono altro che ricopiare attraverso la
lingua un rumore. (sbaam, smack, grrr)
DIGRESSIONE 1:
E’ importante non lasciarsi trarre in inganno dalla somiglianza acquisita da
alcuni segni fra lingue diverse. Il fatto che molte lingue dicano nello stesso
modo una cosa, (ad esempio la parola “libro”) ci sta solo ad indicare che
queste lingue tra di loro sono imparentate, o magari che derivano dalla
stessa lingua che si sono differenziate nel tempo.
DIGRESSIONE 2:
Questo livello di arbitrarietà che abbiamo definito fino ad ora come la
caratteristica del segno linguistico, arriva fino a Ferdinandee De Saussure,
da li in poi ci sono autori che hanno complicato la questione. Alcuni non
hanno fatto l’arbitrarietà solo tra il significante e il significato, ma ha
pensato che i livelli di arbitrarietà non devono essere due (tra significante
e significato), ma bensì devono essere 4.
Secondo Hjelmslev (Hiemsliu):
-Primo livello: è tra il segno e il referente. Tipo tra l’oggetto sedia e il
segno sedia, quindi potremmo definirlo questo primo livello come lo ha
definito Ferdinandee De Saussure.
-Secondo livello: è arbitrario il rapporto fra significato e significante. Il
significante sedia, come sequenza di lettere e suoni non ha nulla a che
vedere con il significato “oggetto d’arredamento per sedersi”.
-Terzo livello: è arbitrario il rapporto tra forma e sostanza. Ogni lingua
ritaglia in modo che le è proprio un certo spazio di significato. Non solo è
arbitrario il rapporto tra il significante e il significato, ma c’è
un’arbitrarietà tra il significato di una stessa lingua nella sua forma e nella
sua sostanza.
-Quarto livello: è arbitrario il rapporto fra forma e sostanza del
significante. Ogni lingua organizza secondo propri criteri la scelta dei suoi
pertinenti, le entità della materia fonica.
DIGRESSIONE 3:
ci sono altre relazioni tra il significante e il significato oltre all’arbitrarietà
e le relazioni di tipo onomatopeico?
Relazioni trasparenti o relazioni diagrammatiche.
-Sarà ad esempio in relazione trasparente se dicessimo “posacenere”,
perché nel significante abbiamo in qualche modo il significato.
Invece ad esempio “accendino” non ha una relazione trasparente, perché
il suffisso –ino vuol dire il diminutivo di quello che mettiamo prima.
Oppure abbiamo altre parole come “panino”, orecchino” che non sono
però il diminutivo ad esempio di “pane” o “orecchio”.
-Le relazioni diagrammatiche invece sono quelle che rispettano le regole
della grammaticità. In italiano il plurale si fa con la lettera “i” per quanto
riguarda il maschile, con la lettera “e” per quanto riguarda il femminile. Ci
sono però delle parole che sono meno diagrammatiche, cioè che sono
delle “eccezioni” che è per esempio “uova”, finisce con la lettera “a” ma è
maschile e la parola “uova” è il plurale di un maschile che è “uovo”.
Diverso è il caso di “radio”, è singolare ma anche plurale.
Quindi i segni sono più diagrammatici quando rispettano le regole,
diventano meno diagrammatici quando si allontanano dalle regole
generali.
Quindi la relazione che c’è tra il significante e il significato può essere una
relazione del tutto arbitraria, può essere una relazione onomatopeica,
può essere un ideofono, ed in più questo tipo di arbitrarietà può avere
delle relazioni trasparenti o diagrammatiche.

08-04-21
CARATTERISTICHE DELLA LINGUA
-Trasponibilità di mezzo: vuol dire che io posso trasporre, tradurre lo
stesso concetto che ho espresso con la lingua su canali differenti. Posso
per esempio dire una cosa a voce e poi posso scriverla.
-Produttività: con la lingua è sempre possibile creare messaggi nuovi,
quindi questo codice lingua è un codice sempre aperto, non solo nelle
creazioni di parole, ma anche forme nuove di morfologia, ma anche di
segnali.
-Onnipotenza semantica: con la lingua posso parlare di tutto, anche di
cose che non esistono, di cose che non si toccano, posso inventarmi una
storia. Posso parlare del presente del passato e del futuro, posso
esprimere dei pensieri che sono solo miei, posso parlare e dire cose che
non hanno un vero e proprio significato ma solo per creare dei rapporti,
posso dire anche le bugie, so che non è vera una cosa ma posso dirla
facendoti credere che quella cosa sia vera.
-Trasmissibilità culturale: la lingua non si insegna, ma il bambino la
apprende vivendo in quel contesto, tramite le persone che gli stanno
intorno. La trasmissibilità culturale è la lingua che viene tramandata da
genitore in figlio, le regole della lingua ci vengono insegnati a scuola.
-Riflessività o meta linguistica: con la lingua si può parlare della lingua
stessa. Per poterti insegnare la lingua, utilizzo la lingua.
-Complessità sintattica: dal punto di vista sintattico la lingua è molto
complessa perché ha tante regole al proprio interno. L’ordine è una delle
regole della complessità, perché una frase in base all’ordine che assume
può cambiare di significato. Poi abbiamo le incassature, ovvero posso
costruire delle frasi e mettergli dentro le subordinate. Poi abbiamo la
dipendenza. La dipendenza dalla struttura vuol dire che non
necessariamente due cose devono stare vicine perché debbano essere
accordate, ma possono stare anche lontane. Questo vuol dire che sono
accordate nella struttura profonda.
-Equivocità: codice funziona bene quando c’è poca interpretazione.
(semaforo rosso significa che ti devi fermare, non ci sono altre
interpretazione) la lingua invece è un codice equivoco, che dà la possibilità
di creare la comicità ad esempio, le barzellette, la poesia ecc. quindi il
codice equivoco si fa di polisemie, sinonimie (una stessa cosa può essere
espressa da parole diverse) o omonimie (una parola può voler dire più
cose e quindi essere omonima).
-Distanziamento e libertà da stimoli: la lingua può fare riferimento al
passato, al futuro, ma può usare il condizionale, quindi può immaginare
un futuro possibile. Esempio: Se dovessi vincere alla lotteria potrei
comprarmi una barca a vela.
COMUNICAZIONE: LE FUNZIONI DELLA LINGUA.
La lingua ha delle funzioni che sono state definite da un linguista che è
Jakobson, si pose questo problema, per raccontare com’è arrivato alle
funzioni della lingua. Jakobson, a differenza di Ferdinandee De Saussure
che prende in considerazione un emittente, un canale e un riceve,
aggiunge altri 3 elementi. Jakobson dice che per avere un atto
comunicativo bisogna avere un parlante, un canale, un messaggio, un
codice, un referente e un ascoltatore. Ad ognuno di questo elemento
associa una funzione.
-Il parlante ha la funzione emotiva, ovvero non solo da delle informazioni
ma il modo in cui vengono espresse dicono molto di lui.
-Il canale ha una funzione fatica, è quella funzione che serve al parlante
per capire se il canale è aperto oppure no. Il canale è aperto quando ad
esempio colui con il quale parli ti guarda negli occhi, o risponde in modo
da farti capire che è attento a ciò che stai dicendo, o annuisce. Tutte le
informazioni nel messaggio acustico ci sono i miei sentimenti, le mie
emozioni.
-Il codice è la lingua. Posso parlare del codice parlando del codice stesso.
La funzione del codice è la metalinguistica.
-Il referente è quando io uso la lingua per delle funzioni referenziali,
ovvero per inviare delle informazioni.
-La funzione poetica sono tutte quelle frasi dette che richiedono
all’ascoltatore una riflessione. Il messaggio attiva una funzione poetica
quando il ricevente deve tornare più volte sul messaggio per poterlo
capire.
-L’ascoltatore ha una funzione conativa, vuol dire che esistono dei
messaggi che il parlante produce per cambiare o modificare il
comportamento dell’ascoltatore. (esempio il galateo, o i 10
comandamenti, o i cartelli “vietato fumare” tutti quei messaggi che
modificano il nostro comportamento hanno una funzione conativa).
Le funzioni e le componenti del modello sono state presentate per la
prima volta da Jakobson.
CHE COS’E’ UNA LINGUA?
La lingua non è un sistema o un oggetto, ma è un sistema di sistemi,
perché ha tanti livelli.
La lingua ha tanti livelli che noi definiamo superficiali ovvero quello che si
vedono (i suoni ad esempio, l’acustica della parola).
I livelli linguistici sono:
-Quello dei suoni  fonologia.
-Quello delle parole (semplici, complesse, composte), studia la struttura
interna delle parole.  morfologia -
Quello delle frasi  sintassi
-Quello dei significati  semantica.

ASSI DI STUDIO.
Scritto e parlato:
Lo scritto ha le proprie regole, viene insegnato a scuola quando sappiamo
già parlare. La scrittura ha delle regole proprie. Nella scrittura posso usare
il grassetto, le virgolette ecc.
Il parlato è una riduzione, si impara da sola. Per noi la lingua parlata è
una lingua scritta e viceversa, perché noi non conosciamo una lingua solo
scritta, o solo parlata. Non esiste una lingua prima scritta e poi parlata.
Una lingua, nelle società a noi più vicine, è sia scritta che parlata.
La linguistica privilegia l’espressione orale per diversi motivi:
-esistono (e sono esistite) lingue solo parlate e non solo scritte.
-il bambino impara prima a parlare che a scrivere, e lo fa in modo del
tutto naturale, senza insegnamento specifico.
-le lingue cambiano nel corso del tempo. Ma ciò che cambia prima è la
lingua parlata, e solo più tardi la scrittura registra questi cambiamenti.
DIACRONIA E SINCRONIA:
Diacronia vuol dire studiare una lingua lungo l’asse del tempo. Ad
esempio l’italiano deriva dal latino. Come si è arrivati dal latino
all’italiano? (ad esempio parto da una parola che può essere “domus” e
arrivo a “duomo”. Domus->domum->domu->duomo). Inoltre posso fare
anche lo studio del significato. Della diacronia se ne occupa la linguistica
storica.
Sincronia: studiare sincronicamente una lingua, senza andare indietro nel
tempo. Ad esempio che differenza c’è tra la parola libro in italiano e livre
in francese. Della sincronia se ne occupa la linguistica sincronica.
Ferdinandee De Saussure dice che questi due tipi di studi non possono
essere fatti insieme. Se voglio fare uno studio storico della lingua faccio
uno studio in diacronia. Se voglio fare uno studio della lingua in un
preciso momento è uno studio sincronico. Non posso fare uno studio
diacronico e sincronico insieme.
SINTAGMATICO E PARADIGMATICO:
Sintagmatico significa nello stesso momento, abbiamo un rapporto
sintagmatico quando siamo in presenza, quando vediamo le cose.
Ad esempio: il gatto magia. Non posso dire “la gatto” perché “il” e “gatto”
sintagmaticamente sono in presenza accordati. Se ho deciso di mettere
“gatto”, il verbo dovrà essere al singolare.
Sintagmatico quindi significa che io accordo le parole una con l’altra sullo
stesso piano, in presenza.
Nella parola come “stolto” vi è un rapporto sintagmatico perché la “s”
viene influenzata dalla “t” in presenza. La “s” è sorda quando c’è una “t”
sorda, la “s” sonora c’è quando c’è una consonante sonora. In questo
caso il rapporto è di tipo paradigmatico perché o c’è una o c’è l’altra. O
c’è la “s” sorda o c’è la “s” sonora. Però noi diciamo anche che è di tipo
sintagmatico perché la “s” viene influenzata dall’elemento che sta
affianco, dall’elemento che sta vicino.
Paradigmatico: in absentia, in relazione al paradigma e quindi al sistema.
Nella frase il gatto magia, posso sostituire a “gatto” o a “mangia” alcune
altre parole, che si trovano NON in presenza, ma in absentia, ovvero che
si trovano da qualche parte nella mia testa, o nel vocabolario. Ad esempio
posso dire “il topo mangia”. Questo rapporto è paradigmatico, perché o
c’è “gatto”, o c’è “topo”, stessa cosa può avvenire con il verbo. Posso dire
anche “il topo corre”, o c’è “corre”, o c’è “mangia”. I rapporti
paradigmatici sono con le unità assenti che avrebbero potuto essere
realizzate al suo posto. Questo rapporto paradigmatico avviene anche con
i verbi. Ad esempio “amavo- amavi-amavamo” o metto una desinenza o
ne metto un’altra, non ne posso mettere due insieme.

09.04.21
ASTRATTO E CONCRETO:
-FERDINANDEE DE SAUSSURRE:
La langue è la lingua astratta che si trova nel cervello, ed è la lingua non
realizzata. Secondo Ferdinandee De Saussure esiste una lingua astratta
che è fatta dalle opposizioni, da elementi discreti.
La parole invece, è la parte della lingua che ognuno di noi realizza, ed è la
parte concreta, è la realizzazione della lingua, è individuale, cioè ognuno
di noi ha la propria parole, ma nello stesso tempo, ognuno di noi avendo
una parole diversa dall’altra, condivide la langue che sta nella testa.
La langue è collettiva, la parole è individuale e soggettiva. Affinché due
persone possano capirsi non devono parlare nello stesso modo, ma
devono condividere la stessa langue.
Esistono lingue che hanno solo la langue? No, perché non può esistere
una lingua che sia soltanto astratta.
Lingue con solo atti di parole? No.
Una lingua deve avere sia un sistema di riferimento sia gli atti di parole
individuali, quindi sia la langue che la parole.
Saussure è il primo a fare queste differenze, facendo due esempi:
Uno sull’orchestra, (facciamo finta di suonare una canzone di Lucio
Battisti, se per esempio la suona Valentina in maniera diversa, ad esempio
in modo lento, in modo un po' stonato, riesco comunque a capire di che
testo si tratta attraverso la langue).
L’altro esempio è sugli scacchi, la cosa importante è conoscere la regola
degli scacchi, poi ognuno decide di portare avanti la partita in maniera
differente rispetto agli altri. La regola degli scacchi sono condivise da tutti
(langue), se voglio muore il cavallo piuttosto che un altro pezzo, è un atto
di parole, perché decidiamo noi cosa vogliamo muovere.
JAKOBSON
Inizia a fare una grande differenza tra codice e messaggio. Che sarebbe la
stessa cosa di langue e parole.
HIELMSLEV
Stessa cosa vale per Hjelmslev che identifica un sistema e uso, che
sarebbe la stessa cosa di langue e parole.
COSERIU
Coseriu parla di norma. La norma è quella cosa che i parlanti accettano.
La norma la possiamo paragonare alla moda, fino ad un certo punto
andavano i pantaloni stretti, a sigaretta, il fatto stesso che la maggior
parte delle persone usasse quel tipo di pantalone, fa si che la regola fosse
quella. Se un altro non li usava, era fuori dalla norma.
CHOMSKY
Chomsky dice che la competenza non è collettiva, ma individuale,
nonostante faccia parte dell’astratto. Il parlante quando impara a parlare,
accorda l’articolo con il nome, non perché conosce la grammatica o le
regole, ma solo perché ha sentito parlare in un determinato modo (se ha
sentito dire sempre “il gatto”, non dirà mai “la gatto”)
Questo tipo di competenza è individuale, è propria, e la realizza
attraverso esecuzioni di tipo linguistico. In Chomsky la parte astratta è
individuale, mentre per gli altri è collettiva. L’esecuzione invece è
collettiva.
ASTRATTO(collettivo) CONCRETO(individuale
)
SAUSSURRE Langue Parole
JAKOBSON Codice Messaggio
HIELMSLEV Sistema Uso
CHOMSKY Competenza Esecuzione (collettiva)
(individuale)

ASTRATTO E CONCRETO.
A livello astratto io avrò solo una vocale.
-Esempio: casa e papà. Io quando vado a pronunciare dirò sempre la
stessa “a”.
A livello concreto quando vado a realizzare questa vocale se voglio
realizzare un accento, devo caricare questa vocale di qualche
informazione in più rispetto all’altra.
-Esempio nella parola “papà” vuol dire che la seconda “a” è uguale alla
prima, più qualcosa; che può essere la durata, o l’intensità.
Quindi a livello astratto ho solo una “a” ma nello stesso tempo ho delle
regole che mi definiscono come dal punto di vista acustico la “a” si
modifica se viene accentata oppure se non viene accentata.

Cosa intendeva Chomsky per competenza.


Chomsky dice che il bambino senza che nessuno glielo spiega, ha una
competenza fonologica (dei suoni). Ad esempio sa che se pronuncio una
parola italiana, deve finire per vocale. Oppure so che se voglio delle
consonanti messe insieme e ne ho tre, s-t-r, devono avere esattamente
quest’ordine, altrimenti non è una parola italiano se metto insieme
queste consonanti al contrario.
Poi abbiamo una competenza morfologica di come sono costruite le
parole, se ad esempio sono parole composte, se sono parole modificate
ecc. se ad esempio dico “ex marito” so che “ex” è stata una parola
aggiunta.
La competenza sintattica vado a proporre delle frasi nella maniera che
ascolto sempre, perché in qualche modo sono entrate nella mia testa.
La competenza semantica ad esempio so che “alto e basso” sono due
termini uno contrapposto all’altro, perché una persona non può essere
sia alta che bassa. So anche che ci sono delle contrapposizioni che
possono essere graduali o oppositive. Il “alto e basso” posso dire che c’è
una certa gradualità perché c’è “più alto, meno basso” ecc. oppure ci
sono delle opposizioni come ad esempio” vivo o morto”, in questo caso
non c’è una via di mezzo, non c’è una gradualità.
Tutte queste competenze non le apprendo quando vado a scuola, ma
inizio ad apprenderle quando inizio ad apprendere la lingua. Chomsky
quindi dice che è vero che c’è una grammatica nella testa, che ci sono
delle regole, ma queste regole il bambino se le fa per esperienza, se le fa
perché ascolta chi ha intorno, quindi autodefinisce la propria grammatica,
quindi questa grammatica è individuale.
Dunque un asse importante è dividere due cose: una parte la lingua
astratta quella che sta nella testa, quella che è fatta da relazioni funzionali
(langue). Mentre invece gli atti di parole sono la realizzazione concreta
della langue, sono la parte pratica della lingua. Nel passaggio tra langue e
parole nascono gli equivoci, le contraddizioni.
Quindi noi possiamo studiare la lingua guardando la parte funzionale cioè
astratta, che sta nella testa, oppure la parte concreta che è quella della
realizzazione.
15.04.21
Le lingue del mondo possono essere classificate attraverso 4 criteri:
CLASSIFICAZIONE NUMERICA:
non esiste un unico studio che ci dice esattamente quanti parlanti ci sono
di una singola lingua. Lo possiamo dire in grandi linee, ad esempio che il
cinese è la lingua più parlata del mondo, sullo stesso piano si trovano
l’inglese, lo spagnolo e l’arabo ecc. dobbiamo differenziare le lingue madri
(parlate dei parlanti della nazione), dalle lingue transnazionali che
vengono parlate da una nazione.
CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA
Genealogia significa qualcosa che deriva da qualcos’altro. Dunque studia
l’origine delle lingue come e se sono collegate fra loro.
Probabilmente prima in Europa si parlava una sola lingua che era
l’Indoeuropeo, e l’Europa non era l’Europa di adesso, ma era l’Europa che
addirittura abbracciava l’India, ad un certo punto i gruppi si sono separati
e hanno formato ognuno la propria lingua, alcuni hanno parlato una
lingua diversa che poi è stata chiamata germanica, si sono ulteriormente
separati e sono stati chiamati inglesi ecc.
La classificazione genealogica fa sì che tutte le lingue del mondo si
dividono in famiglie, la famiglia dell’indoeuropeo ha tutte le lingue al
proprio interno, dentro la famiglia ci sono i gruppi, dentro i gruppi
abbiamo i tipi, poi abbiamo le lingue romanze, poi abbiamo le lingue.
Possiamo differenziare tutte le lingue del mondo, in base alla propria
lingua madre.
CLASSIFICAZIONE AREALE
Potrebbe essere quasi una classificazione di tipo geografico. Quando due
lingue si trovano vicine da tanto tempo, anche se derivano da lingue
madri diverse, iniziano ad avere qualcosa in comune. Quindi quando
abbiamo lingue diverse ma che condivido delle stesse caratteristiche, le
definiamo “leghe linguistiche”.
CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
È una classificazione che non va a vedere le differenze, ma tutte le
somiglianze tra le varie lingue del mondo.
Abbiamo due tipi di classificazione
Classificazione di tipo morfologico: è il livello della parola.
Classificazione di tipo sintattico: è il livello della frase.
(questa non si trova sul libro) Classificazione fonologica: si occupa degli
accenti. Esistono delle lingue dove l’accento differenziano le parole.
CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA MORFOLOGICA.
La morfologia studia la struttura interna delle parole. Le parole sono un
segno linguistico caratterizzate da significato e significante. Si suddividono
in semplici e complesse.
Abbiamo circa 9 mila lingue, dipende poi dai diversi manuali cosa
intendono; infatti il numero oscilla da 6 a 9 mila.
Le lingue del mondo possono essere di 4 tipi:
Tipo isolante: sono quelle lingue che hanno solo parole semplici, non ci
sono parole complesse o composte, utilizzano solo parole basi. In questo
tipo isolante abbiamo un certo numero di lingue.
Tipo agglutinante: è l’esatto contrario del tipo isolante, abbiamo una
parola molto complessa, perché è costituita da una base che porta il
significato, e dall’aggiunta di suffisso, dove però ogni suffisso contiene al
proprio interno una e una sola categoria grammaticale. Ogni suffisso ha
una sola caratteristica grammaticale.
Ad esempio: se voglio fare il plurale di ragazzo devo togliere la “o” e
mettere un suffisso che è la “i”. La “i” vuol dire plurale maschile. Quindi
con un unico suffisso, due categorie grammaticali
Quindi, le lingue agglutinanti hanno un suffisso per ogni categoria
grammaticale.

Tipo flessivo: hanno una base, e può aggiungere un suffisso, il quale può
portare più di un elemento grammaticale. Un unico suffisso può
contenere al suo interno più informazioni.
LO CHIEDE ALL’ESAME QUESTO ESEMPIO:
IRREMOVIBILMENTE è una parola molto complessa. La base, quindi il
significato, è MUOVERE. “Muov” è la base, “e” è una vocale tematica,“e-
re” sono dei suffissi. Questo verbo per poterlo modificare, lo devo
trasformare in aggettivo, attraverso il processo deverbale aggettivale, cioè
aggiungo il suffisso “abile” al verbo, rendendolo aggettivo. (esempio:
muovere+ abile= movibile oppure possiamo fare altri esempi come
mangiare+ abile=mangiabile, oppure leggere+ abile= leggibile)
Ora che è diventato aggettivo, posso complicarlo aggiungendo:
un prefisso: “re” removibile
oppure posso aggiungere il prefisso “in” irremovibile
questo aggettivo posso complicarlo ancora di più aggiungendo un altro
suffisso, il quale fa sì che da aggettivo, la parola mi diventa avverbio. Non
mi cambia il significato, ma mi cambia la categoria grammaticale.
Ovvero posso aggiungere “mente”irremovibilmente (avverbio)
quindi questa parola è costituita da: verbo “mov”, dal suffisso che lo
rende aggettivo “abile”, dal prefisso “re”, dal prefisso “in”, e dal suffisso
“mente”. In definitiva abbiamo 1 base e 4 affissi.
Tipo polisintetico: non abbiamo proprio la parola, perché si mettono
insieme per costruire delle frasi. Non abbiamo delle parole singole, tipo
soggetto, verbo ecc. la parola è così tanto complessa che può essere
paragonata ad una frase che contiene tutti i vari tipi (isolante,
agglutinante, flessivo)
Non ci sono suffissi, affissi o prefissi, ma sono tanti segni linguistici messi
insieme.

CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA SINTATTICA.


SINTASSI.
La sintassi studia la struttura interna delle frasi. La frase è costituita da un
verbo. Il verbo è un’azione, che è compiuta da qualcuno (un essere
animato, quindi un soggetto). Oltre al verbo, deve avere un argomento.
Tutte le lingue del mondo quindi devono avere: un soggetto, un verbo e
l’oggetto.
Le lingue possono organizzare l’ordine per cui scegliere se mettere prima
l’oggetto o il verbo o il complemento soggetto. Le lingue possono essere
di tanti tipi in base alla disposizione di verbo-soggetto-oggetto. La
maggior parte delle lingue hanno prima il soggetto dell’oggetto. Questa
regola viene chiamata “universale implicazionale”. Esiste sempre
l’universale che il soggetto preceda sempre l’oggetto. E inoltre che
l’oggetto e il verbo stanno sempre vicini.
-Quando ho il tipo linguistico SVO o VSO, preferisco avere sempre delle
preposizioni, quindi preferisco che sia un possessivo prima.
Ad esempio: mio fratello – mio padre ecc.
-Quando invece ho il tipo SOV, preferisco la posposizione, quindi dirò
fratello mio, padre mio ecc.
Sintatticamente le lingue le possiamo dividere in 3 tipi linguistici: SVO-
SOV- VSO.
16.04.21
LINGUE E DIALETTI.
In Italia è la terra dove ci sono più dialetti e sono veri e propri dialetti.
Nelle altre parti del mondo spesso modificano solo delle parole, ma non
sono veri e propri dialetti. I dialetti veri e propri hanno delle differenze
strutturali.
Il dialetto è una lingua che ha una propria grammatica, tutti i dialetti
fanno parte delle 9 mila lingua. La differenza tra la lingua e il dialetto è
una differenza politica. La lingua è la lingua dello Stato, della bandiera,
utilizzata per scrivere la costituzione, nelle scuole ecc. Il dialetto è una
lingua, ma è parlata in un ambito geografico più ristretto, ma non c’è
nessuna differenza tra la lingua e il dialetto.
L’italiano che noi parliamo, non è una lingua che è nata in tutta l’itala. Ma
l’italiano è un dialetto di una precisa città.
Ognuno di noi parla due lingue perché nasciamo con il dialetto e
impariamo l’italiano a scuola, oppure l’italiano a casa e parliamo il
dialetto con i nostri amici, quindi nasciamo tutti bilingue.
LINGUE E DIALETTI IN ITALIA.
PRE-IMPERO ROMANO
Nel pre-impero romano, vi era una zona centrale dove si parlava in latino,
mentre nella parte nord si parlava il folisco, mentre dalla Campania in giù
si parlava l’osco umbro. Ad un certo punto comincia ad imporsi Roma con
la sua lingua scritta ovvero il latino. La lingua ufficiale dell’impero romano
quindi divenne il latino, ma la gente che stava nei campi non parlava di
certo il latino, ma la propria lingua. Vero è che sentendo sempre parlare il
latino, l’osco umbro inizia a mischiarsi con il latino. Esistono infatti tanti
tipi di latini diversi, ognuno “sporcato” con la lingua che prima stava
sotto, e questi tipi di latini noi li chiamiamo “volgari”. Quindi esiste un
latino classico e un latino volgare parlata dalla gente del posto.

22.04.21
Come potremmo dividere l’Italia in base ai dialetti? Noi sappiamo che in
Italia ogni città ha il proprio dialetto. Ma dividiamo in base alle
caratteristiche che accomunano le diverse zone.
Nel nord Italia ci sono dialetti su base francesi, gallo-italici. Poi abbiamo il
toscano, abbiamo una parte dei dialetti chiamati centrali, una parte di
dialetti meridionali che arrivano fino alla città di Cosenza, e poi abbiamo
un’ultima parte ovvero il meridione estremo che prende un po' della
Puglia, la parte della Calabria Sud da Lamezia a scendere fino alla Sicilia.
Ad Aosta ha una base completamente francese.
Nel 343 a.c. avevamo l’osco umbro, nel 476 d.c. abbiamo già il latino,
quello che succede da questo momento in poi è che prima che arrivi il
latino, l’Italia era occupata da queste popolazioni: c’erano i liguri, i Celti
che prendevano tutta la parte fino ad arrivare alla Gallia, gli etruschi che
sono l’attuale Toscana, e poi più in giù l’Osco Umbro prende dalla parte
dell’Italia centrale fino ad arrivare in giù. La parte relativa ai Calabresi
viene definita la popolazione dei Bruzi. Ad un certo punto nel 343 a.C.
Roma comincia ad espandersi, si espande e va dalla parte centrale fino ad
arrivare al territorio degli osco umbri. Nel 293 a.C. ha preso tutta la parte
meridionale fino ad arrivare nella parte della Sicilia.
Nella parte meridionale c’è la Magna Grecia, quindi ci sono i greci, e i
latini hanno avuto sempre un certo rispetto nei confronti dei Greci.
Quindi è vero che hanno imposto il latino su tutti i loro territori, ma
quando si trovarono di fronte i Greci fecero un passo indietro.
Cosenza è latina, tutta la parte del sud della Calabria che faceva parte
della Magna Grecia si continua a parlare il greco. Questo vuol dire che
abbiamo una lingua che sta sotto che è di sostrato, e una lingua che sta
sopra che è di substrato. Il sostrato erano i Bruzi, mentre invece nella
parte meridionale erano i Greci, il superstrato è il latino, il latino che si va
ad imporre su Cosenza.

IN CALABRIA
Abbiamo gli Enotri, poi abbiamo i Bruzi, poi abbiamo una parte Sud con i
Greci, poi nell’epoca imperiale arrivano i Latini, nel Medioevo abbiamo di
nuovo i Greci ma non gli stessi di prima perché sono i Bizantini, poi
abbiamo i Normanni, poi i Valdesi, poi gli Angioini, poi gli Aragonesi, poi il
Regno di Spagna, i Borboni nell’Illuminismo, poi tornano i francesi con
Napoleone Bonaparte e Murat a Pizzo, poi tornano i Borboni dopo aver
sedato la rivoluzione da parte di Murat, il Romanticismo invece, con la
spedizione dei mille, fine 1800/1861, si unisce e si decide ai Calabresi di
far parlare l’Italiano.
In tutto ciò è successa una sovrapposizione di una lingua sull’altra, fino ad
arrivare ad oggi che abbiamo l’Italiano. È ovvio che quello che parliamo
noi oggi, il nostro italiano è necessariamente frutto di questo miscuglio
che esiste tra l’italiano di Firenze e di tutte le lingue che abbiamo dietro
noi (francese, spagnolo ecc) e questo miscuglio sarà diverso in Sicilia che
avranno avuto altre dominazioni (ci sono stati gli Arabi), sarà diverso nelle
Puglie. Quindi l’italiano che parliamo noi oggi, non è uguale per tutti, ma è
un italiano frutto di una miscela nato dalle lingue che ci stanno sotto e
dalle lingue che ci stanno sopra.
Nel 1861 si forma l’Italia.
Si decide che bisogna parlare italiano. Al contrario si scrive l’italiano, i
documenti, le leggi, i matrimoni, i contratti sono in italiano, ma il parlato
continua ad essere in dialetto.
Se dobbiamo arrivare a questo italiano, dal latino imperiale, che cosa
succede nel Medioevo? Abbiamo un codice scritto con i primi documenti
che si allontanano un po’ dal latino e cominciano a diventare i primi
documenti scritti che chiamiamo per esempio il volgare italiano. Il primo
documento in assoluto è l’indovinello veronese che viene trovato scritto
su una tavola, dopodiché, sempre nella cultura scritta abbiamo delle
scuole di grandi letterati. Abbiamo la scuola siciliana con Federico II di
Svevia; queste scuole nascono intorno a degli uomini potenti che
diventano dei Mecenati. Noi abbiamo avuto Firenze che è una cosa unica
al mondo, la cultura che nasce e che si concentra su Firenze dalla
architettura, la pittura, la letteratura, la scultura, tutte le arti possibili e
immaginabili, noi le troviamo nello stesso e identico periodo concentrate
a Firenze. Mentre al sud abbiamo Federico II, a Firenze abbiamo De
Medici, gli autori che scrivono ovviamente sono importanti per tutte e
due le scuole, a Firenze abbiamo Dante, Petrarca, Boccaccio, ma anche in
Sicilia abbiamo dei grandi scrittori in quel periodo con Federico di Svevia,
quindi in teoria l’italiano può nascere da queste due scuole. Quando dal
Medioevo si arriverà al 1861, in teoria abbiamo queste due possibilità, ci
prendiamo il Siciliano e lo facciamo diventare lingua nazionale o ci
prendiamo il fiorentino e lo facciamo diventare lingua nazionale? È anche
un fatto di casualità, perché ad un certo punto la famiglia dei Medici,
produce ben 3 papi, quindi vuol dire che questo fiorentino comincia ad
allargarsi a farsi strade in Italia, e a occupare non solo il mondo culturale,
ma occupare anche del mondo politico quindi con la Chiesa, il papato ecc.
questo in qualche modo ha favorito lo sviluppo ulteriore più della scuola
fiorentina che della scuola siciliana.
Che cosa succede nell’orale? Succede che abbiamo il latino volgare che si
parlava nei singoli posti, comincia a perdersi e a subire grandi influenze di
chi domina queste popolazioni. Alla caduta dell’obbligo di parlare il latino,
ogni singola popolazione ha cominciato a parlare la lingua che voleva. Ed
è proprio in questo preciso istante che nascono tutti i dialetti o le lingue
romanze, quindi si parleranno il fiorentino a Firenze, il Siciliano, il
Romano, il Calabrese; sono delle lingue che nascono dai volgari latini
influenzati dalle dominazioni che sono i superstrati, e dalle lingue che
hanno sotto che sono lingue come sostrato. A questo punto in Europa,
alla caduta di Roma, cominciano a nascere il castigliano, il portoghese che
non sono altro che i volgari che nascono dal latino e che vengono
influenzati da quello che sta sotto. Per esempio in Sicilia ci sarà il siciliano,
in Calabria il calabrese, ma avremo il portoghese, il castigliano ecc anche
in Francia ne avremo due, perché avremo la lingua d’Oc che si parla a
Nord, la lingua doc che si parla d’Oc che si parla al sud, e la lingua d’Oil
che si parla a Nord. Quindi abbiamo questo fiorire di lingue romanze, cioè
di lingue che hanno come lingua madre il latino ma che poi a mano a
mano, si stanno differenziando l’una dall’altra per avere un’identità unica.
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI.
Prima di arrivare alle lingue, come possiamo catalogare i dialetti italiani?
Possiamo fare lo stesso ragionamento che abbiamo fatto per la
classificazione linguistica, ovvero per esempio:
Possiamo utilizzare una classificazione di tipo geografico (geomorfologia
del territorio), oppure possiamo utilizzare una classificazione basato sui
parlanti (varietà urbane vs. rurali), sul numero dei parlanti, oppure fare
una classificazione di tipo storico (evoluzione rispetto alla lingua madre),
oppure una classificazione genealogico (famiglia linguistica di
appartenenza), e poi ci può essere una classificazione interna (analisi
linguistica sui diversi livelli) la più importante, con un criterio linguistico.
CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI ITALIANI PIU’ IMPORTANTI.
Il primo a fare una classificazione di dialetti fu Dante Alighieri, parliamo
del 1300 e lui scrive un libro “De Vulgari Eloquentia”, lui comincia a capire
che si parlano diversi tipi di lingue in Italia, vuole sottolineare il fatto che
dal punto di vista qualitativo la lingua più bella e armoniosa è quella di
Firenze. Tutti gli altri dialetti li descrive attraverso un criterio di tipo
geografico, l’Italia è divisa dagli appennini fino ad arrivare
all’Aspromonte, e lui non fa altro che dire che esistono dei dialetti che si
trovano a sinistra dell’appennino e dei dialetti che si trovano a destra
dell’appennino.
In sequenza, un’altra classificazione dopo Dante Alighieri, fu fatta da
Ascoli Isaia, padre della dialettologia. Nasce nel 1885 “l’archivio
glottologico italiano” con Ascoli, le prime mappature con gli atlanti. Il
criterio che utilizza è di tipo storico-comparativo, cioè parte dal latino, o
meglio dal volgare del latino che si trova a Firenze, prende come punto di
riferimento il toscano, e misura matematicamente con delle formule la
distanza che c’è tra tutti i dialetti parlati in Italia rispetto al toscano,
distanza in termini di lessico, di parole ecc.
Subito dopo Ascoli, viene invece la classificazione di Clemente Merlo,
anch’egli è un linguista e quindi un dialettologo, nel 1924 scrive “l’Italia
dialettale”, una raccolta grande con anche delle registrazioni all’interno
fatte su mappa, e la classificazione è in base al sostrato, quindi ci sono
dialetti che hanno sostrati latini, celtici ecc. è una classificazione con
criterio di tipo diacronico e interno, sia dal punto di vista genealogico e
sia dal punto di vista del tipo di lingua che ci sta sotto.
La classificazione che a noi interessa di più è quella di Gerhard Rohlfs,
perché da un certo punto gli studiosi di dialetto diventano gli stranieri.
Egli fa una classificazione con criterio di tipo tipologico, cioè linguistico,
identifica delle isoglosse: delle linee immaginarie caratterizzate da
variabili di tipo linguistico e delle differenze a nord e a sud di questa linea.
ASCOLI 1880
Ascoli, dice che si possono classificare i dialetti in sincronia e in diacronia.
-Sincronia vuol dire che possiamo differenziare i dialetti che si parlano
oggi.
-Diacronia vuol dire che li possiamo differenziare in base al dialetto che si
parlava prima. Quindi fa uno studio sull’attuale e uno studio un po’ più
storico.
1.I dialetti che dipendono in maggiore o minore misura da sistemi neo-
latini;
2.I dialetti che si distinguono dal sistema italiano vero e proprio, ma che
non entrano nel sistema neo-latino;
3.I dialetti che possono entrare a formare con il toscano uno specifico
sistema di dialetti neo-latini.
4.E poi abbiamo il toscano.
Quindi la classificazione che fa Ascoli è misurare la distanza che c’è tra il
toscano e tutti gli altri dialetti. Per poterla misurare definisce 4 criteri,
partendo dal toscano, i criteri possono essere più o meno vicini, con 4
gradazioni.

MERLO 1925
Merlo fa una classificazione dal punto di vista storico lavorando sul
sostrato, andando a vedere quello che succede ai dialetti che vediamo
oggi, rispetto a quello che stava sotto prima. Anche in questo caso i
dialetti vengono divise in tre grandi famiglie:
1.I dialetti settentrionali che hanno un sostrato di tipo celtico che
includono i gallo-italici e il veneziano;
2. i dialetti toscani di sostrato etrusco;
3.I dialetti centro-meridionali di sostrato italico o umbro-sannita.
A parte ci sono i dialetti sardi e della Corsica (sostrato mediterraneo). Un
gruppo a se è costituito da dialetti ladini e dal dalmatico. Inoltre, i sostrati
spiegano la differenza tra il veneziano (sostrato venetico) e il lombardo e
tra il ligure (antico sostrato ligure) e il piemontese e tra il calabrese, il
pugliese e il siciliano (sostrato mediterraneo) e il resto del Mezzogiorno.
ROHLFS 193
Fa una classificazione molto più linguistica. Innanzitutto definisce cos’è
un’isoglossa: linea immaginaria che divide due territori in base a delle
variabili che possono essere di tipo linguistico.
Prendiamo per esempio un’isoglossa lessicale: molti dei dialetti italiani
dicono “capu” o “capa” per intendere “testa”, molti altri dialetti dicono
“testa”. Allora io traccerò una linea e dirò che aldi sopra di questa linea
tutti i dialetti per testa diranno “testa”, aldi sotto di questa linea per tutti i
dialetti che ci sono per “testa” diranno “capu”o “capa”. La linea che ho
tracciato, che divide dal punto di vista lessicale tutti i dialetti al nord e
tutti i dialetti al sud. ciò vuol dire che non ci sarà un paese aldi sotto di
questa linea che dirà “testa”, perché non è possibile. Tutti i dialetti al sud
diranno “capa”, tutti i dialetti al nord diranno “testa”.
Rohlfs dice che se trovo tante isoglosse, e se queste isoglosse si
sovrappongono l’una all’altra, non è più questione di “testa” o di “capu”
ma si prende in considerazione il pronome, o l’articolo, o il soggetto,
quindi se tante variabili si vanno a sovrapporre proprio su quella linea,
allora io avrò creato un fascio di isoglosse, e questo fascio più è grosso
più mi divide i dialetti che stanno a nord e a sud di questo fascio.
Facendo questo tipo di studio lui ha identificato due grandi linee, una
linea è La Spezia-Rimini, che taglia l’Italia in due dalla La Spezia (dalla
Liguria) e arriva a Rimini (Emilia Romagna) e divide tutti i dialetti a nord di
questa linea e tutti i dialetti a sud.
L’altra linea è quella che va da Roma-Ancona tagliando l’Italia in due, e
vediamo che da Roma ad Ancona, quella che ne viene fuori è la Toscana,
quindi abbiamo tutti i dialetti a nord della Toscana, poi abbiamo la
Toscana e poi tutti i dialetti al Sud della Toscana. I dialetti vengono divisi
quindi in 3 parti: settentrionali, centrali e meridionali.
Trumper introduce il concetto di corridoio di transizione ovvero esiste
una parte a sud dove noi avremo “capa”, una parte a nord dove noi
avremo “testa”, e una parte al centro che si chiama corridoio di
transizione dove un parlante dice “testa” e un parlante dice “capa”,
insomma non si capisce molto bene.
Questo perché è impossibile fermare la lingua con un muro, non ci sarà
una linea netta dove finisce la frontiera italiana oltre la quale non si parla
più l’italiano. Non ci sono delle linee nette e definite, ci saranno sempre
dei corridoi di transizione, ovvero degli spazi in cui le variabili si
confondono.
QUALI POSSONO ESSERE LE VARIABILI CHE STANNO DENTRO UN
ISOGLOSSA?
-Lessicale (esempio: capa/testa)
-Fonetiche: sono dei suoni. Quasi in ogni città, in ogni paesino abbiamo un
esito differente della doppia “LL” latina nei dialetti che si vanno a parlare.
-Morfologiche: costruzione delle parole (esempio: dove si mette il
possessivo, alcuni dicono: me+matre, me+frate, me+sore, altri invece:
mamma+ma, frate+ma, sore+ma)
Le isoglosse quindi possono essere di tutti i tipi linguistici che noi
conosciamo, che vanno dal fonetico, al sintattico.
PELLEGRINI 1977
Abbiamo un lavoro di Pellegrini, che insegnava dialettologia a Padova, che
divideva i dialetti settentrionali, friuliani, toscani, ma se prendiamo in
considerazione il punto 4 possiamo notare che per esempio la Calabria
viene divisa attraverso delle isoglosse, cioè abbiamo la Calabria
settentrionale che fa parte della parte dei dialetti meridionali, e poi
abbiamo i meridionali estremi dove ci sono dialetti che possono essere
messi insieme a quelli siciliani e a quelli del Salento (Puglia), insieme ad
un’altra isoglossa che da Taranto taglia fino a Brindisi. Pellegrini nel 1977
comincia a dividere la Calabria in due parti attraverso un’isoglossa, perché
divide la parte settentrionale della Calabria e la parte meridionale della
Calabria che appartiene ai dialetti meridionali estremi.
Esistono degli altri lavori, che sono del 1988 e del 2016, che dividono la
Calabria non più in due parti coloro che hanno utilizzato davvero le
isoglosse sono Trumper & Maddalon dell’88 e Trumper del 2016, che
dicono che esistono 4/5 Calabrie, attraverso delle variabili che sono molto
precise. Per esempio una variabile che utilizza Trumper è quello del
sistema vocalico. Ci sono dialetti dove il passaggio dal latino al dialetto
utilizza un tipo di sistema vocalico (ad esempio dove la “e” diventa “i”,
“cera” diventa “cira”, “croce” diventa “cruce”) e altri dialetti dove queste
vocali rimangono uguali, ma cambiano le altre perché si dittongano
(esempio: “bellum” diventa “biallu”, “pedem” diventa “piede”).
Un’altra differenza fondamentale è che i dialetti che si trovano fino ad
arrivare in Calabria hanno un’occlusiva omorganica, cioè quando io ho
due consonanti occlusive una all’altra, invece che produrle come diverse,
le produco come uguali (ad esempio “mondo” si dice “munnu”, “gamba”
diventa “gamma” ecc). Poi abbiamo una parte centrale dove le variabili
sono l’assenza dell’infinito, oppure la glottalizzazione della “F”
intervocalica (esempio: “nu caè” anziché “un caffè”), poi abbiamo la
parte ancora più meridionale dove abbiamo il raddoppiamento della “r” ,
e poi abbiamo tutto il passaggio della “F-L” latina.

FONETICA ARTICOLATORIA: LE VOCALI.


Vi è una digressione del sistema vocalico.
I sistemi vocalici di tutte le lingue del mondo, vengono rappresentate
attraverso un triangolo. Il triangolo non è solo un modo di presentare le
vocali, ma in qualche modo ricalca l’impostazione articolatoria della bocca
durante la produzione di queste vocali. Le vocali si dividono in vocali
anteriori, cioè prodotte con la lingua in avanti, e vocali posteriori, cioè
prodotti con la lingua indietro. Le vocali, inoltre, hanno un diverso grado
di apertura, perché la vocale “a” è la più bassa, la vocale “i” e “u” sono le
vocali più alte, in mezzo ci saranno le vocali medio-basse e medio-alte,
che sono la “e” aperta e la “e” chiusa.
Per esempio: l’asse in basso è la lingua, la lingua nelle vocali che vengono
prodotte a sinistra (i, è, è) viene sempre ad essere posizionata in avanti,
mentre invece a destra delle “a”, la lingua viene posizionata indietro, in
una posizione posteriore. Inoltre nell’asse delle Y, la “i” viene prodotta
con la lingua alta, mentre invece la “a” è una lingua che viene prodotta
con la lingua bassa.
Quindi se io voglio produrre la vocale “a” e poi voglio salire a produrre “e”
aperta e la “e” chiusa e la “i”, non devo fare altro che prendere questa
lingua spostarla piano piano in alto e in avanti. Quindi vuol dire che la “i”
e la “u” sono due vocali che vengono prodotte con la lingua alta, però la
“i” la lingua è tutta avanti, “u” la lingua è tutta dietro; stessa cosa vale per
la “e” che la lingua è avanti, con la “o” la lingua è dietro.
PERCHE’ NASCONO TANTI DIALETTI IN ITALIA E SOPRATTUTTO IN
CALABRIA?
Il latino aveva 10 vocali, perché il latino anziché differenziare con la lingua
avanti e indietro, alta e bassa, differenziava con la durata. In italiano oggi
la durata la usiamo sulle consonanti (esempio: posso dire “sete” oppure
“sette”), se allungo la consonante cambio la parola, invece prima nel
altino la consonante non poteva essere lunga, ma poteva essere lunga la
vocale, quindi io potevo avere parole del tipo “os” oppure “oos” che vuol
dire “bocca”. Con la vocale breve “os” dico “osso”, con la vocale lunga
“oos” dico “bocca”.
Appena il latino cade, nel senso che l’Impero romano non è più potente
come lo era prima e quindi viene sconfitto, che cosa succede a tutte le
lingue d’Italia? Continuano a utilizzare la durata vocalica oppure
cambiano in base a quello che avevano sotto? Quello che succede è che in
base a quello che avevano sotto, cioè l’Oscro, e tutti gli altri dialetti che
c’erano prima del latino, nessuno di questi dialetti usava la lunghezza
vocalica, quindi appena il latino viene sconfitto, tutti tornano indietro ad
utilizzare le parole latine ma con le vocali che parlavano prima.
Ogni paesino che si trova in Italia, comincia a mettere queste vocali come
meglio crede e soprattutto come quelle che aveva prima, creando una
differenza enorme nei dialetti che vengono parlati in ogni città italiana.
Inoltre, un altro punto fondamentale è che non esiste un modello, mentre
per esempio in Inghilterra esiste la regina che parla l’inglese, in Francia ho
il modello Parigi, in Italia non è così perché non abbiamo dei modelli di
riferimento. Abbiamo Roma che è una grande città importante e una
capitale, ma dal punto di vista culturale vince Firenze, ma dal punto di
vista economico la città più importante è Milano, quindi quale modello
ho? Chi devo copiare per avere un italiano? Ecco perché noi oggi abbiamo
tanti tipi di italiano che si parlano al centro, al nord e al sud.
COME POSSONO ESSERE FATTE LE DIFFERENZE DELLE VOCALI?
Quando passiamo dal latino ai dialetti. (vocali anteriori)
-Dal latino ai dialetti abbiamo che nella Calabria del Nord, la “i” lunga
diventa “i”, la “i” breve e la “e” lunga tutte e due insieme diventano “e”
(i+e=e).
La parola “fidem” diventa “fede”.
-La “O” breve e la “O” lunga si dittongano quando si trovano in sillaba
aperta. La parola “pedem” diventa “piede”
Quando si trovano in sillaba chiusa, diventano vocali aperte. Ad esempio:
“terram” diventa “terra”.
-La “A” in tutti i dialetti rimangono “a” sia la breve che la lunga.

-La “U” lunga resta “U”. Mentre la “U” breve e la “O” lunga, diventano
tutte e due “O”. Ad esempio: “solum” diventa “solo”.
LATINO ITALIANO LE CONSONANTI.
-Tutti i suoni P T K, quando si trovano tra due vocali, diventano B D G. Ad
esempio: spicam  spiga, lacus lago, stratam strada.
Tutte le volte che in una parola latina trovo una consonante sorda, ovvero
P T K, se la vado a cercare in italiano troverò le consonanti sonore, B D G.
-Quando invece ho delle sonore (B D G) sempre tra due vocali, è molto
probabile che questa sonora diventi una fricativa.
Ad esempio Tenebat teneva.
Un altro passaggio importante del latino è quella che viene chiamata la
“palatalizzazione”. Quando la K si trova tra una E o una I diventa C. Stessa
cosa diventa con la GH.
Ad esempio: Kentum cento, Ghestum gesto.
Nelle altre lingue del mondo funziona nello stesso modo? No.
Ad esempio da noi, quando c’ho la vocale “A” in italiano, la consonante
resta comunque occlusiva.
In francese invece, anche davanti la “A” la “C” diventa “ch” (letto “sc”) ad
esempio: cantare chater.

Nell’italiano tutte le doppie consonanti che c’erano nel latino, sono


diventate consonanti lunghe. Ad esempio octo otto, septe sette.
Inoltre l’italiano ha cancellato tutte le consonanti finali, perde il ruolo dei
casi, perché in latino la consonante poteva distinguere un genitivo da un
ablativo ad esempio. Ogni parola italiana finisce per vocale. Ad esempio
amabat amava. Sia perché per la regola precedente la “b” si trasforma
in “v” e sia perché viene eliminata la “t” finale.
LATINO ITALIANO LA MORFOLOGIA
L’italiano decide di utilizzare il maschile e il femminile, non usa il neutro.
In italiano inoltre compare l’articolo che in latino non era presente.
LATINO ITALIANO IL LESSICO
Il lessico che noi troviamo in italiano una parte deriva dal latino volgare,
una parte deriva dal latino classico.
In latino classico il cavallo si chiamava “equus”, mentre il cavallo da lavoro
che utilizzavano i contadini veniva chiamato “caballus”. Noi oggi ci
ritroviamo ad utilizzare il termine volgare “cavallo”, però per esempio
resta nell’italiano una parte del latino classico, quando ad esempio
diciamo “una corsa equestre” oppure quando diciamo “gli equini”.
In alcuni casi nel passaggio dal latino all’italiano abbiamo anche degli
spostamenti di significato, degli spostamenti semantici. Ad esempio:
“captivus” che significa “prigioniero del diavolo”, noi lo usiamo come
“cattivo” inteso come “malvagio”.
Quali sono le differenze che possiamo andare a vedere, concentrando la
nostra attenzione solo sull’italiano?
Alcune peculiarità
Cosa differenzia la lingua italiana del nord dalla lingua italiana del sud?
Il nord differenzia la “s” dalla “z”. inoltre quando la “s” si trova tra due
vocali diventa “sz”. La casa la casa (diversa pronuncia). Questo avviene
per il Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia.
Tutto il Nord ha 7 vocali, tutto il sud ne ha 5.
Queste 7 vocali non sono uguali in tutto il nord, in alcuni casi ci sono le
vocali aperte in sillaba aperta, in altre regioni ci sono in sillaba aperta
abbiamo la vocale chiusa.
Il Piemonte, Lombardia e Alto Adige ha la “e” chiusa in sillaba aperta, la
Toscana ha esattamente il contrario, in sillaba aperta la “e” aperta, e in
sillaba chiusa la “e” chiusa.
TOSCANA
La Toscana, ha un effetto chiamato gorgia , cioè mentre la “s” nelle
regioni del nord diventa sonora, in Toscana quando abbiamo le occlusive
tra due vocali queste si spirantizzano. (casa hasa, così come la “p”, la
“t”, la “d”, tutte le occlusive)
Inoltre in Toscana, non riescono a pronunciare le parole che terminano
per consonanti, anche quelle straniere. Questa viene definita anaptissi
(bus busse, frak frake).
Inoltre non amano molto i dittonghi, quindi ad esempio nuovo novo,
buonobono.
ROMA
-A Roma quando la “l” si trova davanti ad alcune affricate, questa diventa
“r”. In alcuni casi lo facciamo anche noi in Calabria.
Alzare arzare al chilo ar chilo
-Inoltre a Roma la “c” diventa “sc”
Dammi un bacio dammi un bascio.
-Poi abbiamo la riduzione delle doppie, rendendole scempie (una sola).
Birra bira
-riduzione dei dittonghi.
SUD.
-Raddoppiamo tutte le consonanti tra vocali (robarobba, abileabbile).
-Non abbiamo le vocali aperte e le vocali chiuse, sono tutte vocali molto
aperte.
-Si assimila la “r” con la “c”. (per me pe me)
-non abbiamo i pronomi complemento oggetto. Non usiamo il “me” o il
“te” come soggetto.
- affricazione di “s”, mentre Cosenza sonorizza, l’altra parte del sud dice
ad esempio “penzo, salsa, borza”.
23.04.21
DAL FIORENTINO ALL’ITALIANO
Come si fa a passare dal fiorentino, direttamente all’italiano? abbiamo
visto che c’erano due scuole di cultura, la scuola siciliana e la scuola
fiorentina, ma successivamente si è arrivato ad avere come lingua
dell’Italia l’italiano; l’italiano scritto nella Costituzione.
LA STORIA.
Abbiamo nel 1859 tutte le divisioni dialettali;
nel 1861 abbiamo quasi un’Italia fatta, al centro abbiamo ancora il
papato, quindi il Vaticano con il proprio Stato, ma ci siamo quasi ad avere
tutta l’Italia. Nel 1918 dopo la Prima Guerra Mondiale anche la Dalmazia
fa parte dell’Italia.
Quindi prima dell’Unità d’Italia, l’Italia era un regno, il regno era di
Umberto I di Savoia, il quale era re della Sardegna ed era Duca di Savoia
(in Piemonte). Il regno d’Italia, prima del 1861 era fatto gran parte del
Piemonte e della Sardegna.
Che cosa succede subito dopo l’Unità d’Italia? Innanzitutto nel 1900 viene
ucciso il re, e divenne re Vittorio Emanuele III, però a partire già dai primi
anni del 1900 prende piede il fascismo, quello che viene chiamato il
ventennio fascista (1922-1943). Dal 1922 in poi, piano piano fin quando
poi non si ha la Seconda Guerra Mondiale, il fascismo si impone in Italia
con tutte una serie di politiche portate avanti da Mussolini. Per esempio
ci sono forti crisi economiche quindi la politica di Mussolini è quella
dell’autarchia cioè quella di riuscire a mantenersi non comprando
dell’estero, e quest’autarchia non era solo di tipo economico, ma lo
divenne anche dal punto di vista linguistico. Gran parte delle pubblicità
sulle riviste, sui muri delle città erano “acquistate prodotti italiani, non
togliete il pane ai figli dei nostri lavoratori acquistate prodotti italiani,
acquistate prodotti italiani siatene fieri” quindi la spinta a favorire
un’economia interna in modo tale da indebitarsi il meno possibile.
Quest’autarchia di tipo economico inizia prima basata appunto
sull’economia, ma poi pian piano divenne anche linguistica, cioè l’identità
del popolo italiano la si deve creare anche attraverso la lingua. Quindi
siccome fino a quel momento non c’era un italiano parlato da tutti,
perché non solo c’era un potere da parte dei dialetti, ma addirittura
utilizzavano dei termini che provenivano da altre lingue, che provenivano
dal francese ad esempio. Quindi Mussolini iniziò a fare propaganda. La
propaganda linguistica è quella di fare una vera e propria lotta alle
parole straniere, alle minoranze linguistiche che ci sono soprattutto in
nord Italia, ma anche una lotta ai dialetti, perché i dialetti vengono
interpretati come arretratezza.
Le minoranze linguistiche che si parlavano in Italia erano: Dalmazia, Friuli
Venezia Giulia, Istria, Zara. Così inizia una vera e propria campagna
attraverso alcuni decreti come quello del 1923 che vengono pubblicati
sulla gazzetta ufficiali, i quali impongono il cambio del cognome a tutti
quelli che sono residenti sul territorio nazionale. Inoltre si iniziava a
diffondere il fatto che a scuola si doveva parlare l’italiano.
Iniziano pure a cambiare il nome delle città, come ad esempio Bozen
Bolzano ecc.
Cosa succede ai dialetti?
I dialetti davano fastidio perché rallentavano la propaganda, bisogna
parlare un'unica lingua compresa da tutti, quindi nei suoi discorsi
Mussolini parlava appunto l’italiano.
Siccome era visto come un ostacolo, iniziano addirittura i divieti ovvero:
non era più possibile fare eventi teatrali, scrivere in dialetto antico ecc.
All’interno delle scuole, vi era la Riforma Gentile del 1923, che in qualche
modo ha un aspetto di tipo linguistico, perché non era possibile passare
subito dal dialetto all’italiano. Quindi Gentile propose di creare una lingua
ponte, intermedia, come ad esempio scrivere un libro sia in dialetto e a
fianco in italiano, in modo tale che gli insegnanti riescono a passare da
una lingua all’altra. Questo però non dura molto, perché Mussolini vuole
velocizzare il passaggio, e inizia a imporre il libro di testo, ovvero un libro
unico in tutta la nazione.
Cosa succede a tutte quelle parole straniere che vengono chiamate
“forestierismi”?
Nel 1923 viene imposta una tassa, se si faceva una pubblicità in lingua
straniera, si poteva fare ma si doveva pagare una tassa 4 volte di più di
quanto si pagava se avessero utilizzato parole italiane. Nel 1937 si pagava
25 volte di più, quindi la gente era quasi obbligata a non utilizzare le
parole straniere. Nel 1942 vengono vietate, quindi non si potevano più
utilizzare parole straniere. Nella vita quotidiana questa cosa era molto
difficile da attuare perché nel parlato vi erano parole straniere; a tal
proposito le mura delle città erano piene di frasi come “qui si parla
soltanto italiano”. Fu dato in carico a Tommaso Torrini di prendere le
parole più frequenti utilizzate dagli italiani, parole straniere, e di farne
una traduzione. Tutto ciò venne pubblicato su tutti i giornali italiani. Ci fu
un’altra lotta “a lei”, soprattutto noi meridionali abbiamo ancora difficolta
ad utilizzare il “lei” come terza persona, infatti ci rivolgiamo utilizzando il
“voi”. Il “voi” è un’introduzione di Mussolini, perché “lei” veniva
interpretato non come italiano, ma come proveniente dalla lingua
spagnola, quindi ci fu una vera e propria lotta contro l’uso del “lei” e a
favore del “voi”. La rivista Anna Bella, prima veniva chiamata “lei”, ma gli
fu imposto di cambiare nome proprio per il motivo di prima. Caduto
l’Impero tornarono direttamente a “lei”.
LA TELEVISIONE.
Negli anni ’50, i 2/3 due terzi della popolazione italiana, parla solo ed
esclusivamente il dialetto, mentre i 4/5 quarto quinti erano bilingue. Tutta
la propaganda fascista, tutta la lotta ai forestierismi ai dialetti ecc non è
riuscito nel suo intento a far parlare la lingua italiana.
Chi riuscì nell’intento fu la radio e la televisione. Prima la radio e poi la
televisione entrò nella casa degli italiani e nel 1958, uno dei più grandi
presentatori televisivi era uno straniero Mike Bongiorno, il quale parlava
l’italiano con nessuna influenza. Fino ad allora chi andava in televisione e
parlava l’italiano e magari proveniva da Torino, si sentiva che era un
italiano torinese, quindi la gente non lo accettava. Invece sentire uno
straniero, parlare l’italiano senza nessuna influenza, questo rende
l’italiano (inteso come cittadino italiano) accettabile da tutti. Quindi
quello che succede subito dopo il 1958 è che vengono introdotte nella rai
le signorine buonasera, cioè quelle che introducono le trasmissioni, e a
queste persone viene insegnato un italiano che è un italiano con base
fiorentina, ma pulito dalle variabili fiorentine.
Questa fu una scelta vincente. L’italiano nasce non tanto dalle
imposizioni dei decreti, ma nasce grazie a Mike Bongiorno e alla
televisione.

Quale sarà l’italiano che parleremo domani? Dipenderà da diversi fattori


come: l’influenza di internet, chat, nuovi immigrati, politica, religione ecc.
Quindi quale sarà l’italiano che parleremo domani? Innanzitutto
dobbiamo capire se resta questo italiano, se diventa un dialetto o ci
ritroveremo a parlare inglese ad esempio.
In questo preciso istante ognuno di noi parla almeno due lingue: dialetto
e italiano. Queste due lingue non sono così distanti tra di loro, ma hanno
un continuo. Il dialetto può essere alto o basso, può essere il dialetto che
utilizzo con i miei amici, oppure un dialetto che utilizzo con dei
conoscenti, quindi abbiamo un dialetto più formale e uno meno formale.
Esiste una forma di variante che va dalla lingua più bassa in assoluto alla
lingua più alta in assoluto.
Ogni parlante non ha una o due lingue, ma ha un repertorio linguistico: è
un insieme di codici e delle varietà che un parlante di una comunità
padroneggia.
Posso introdurre delle frasi dialettali all’interno di una frase italiana,
oppure introdurre parole inglesi. Quindi possono muovermi attraverso le
lingue che io conosco.
Esistono quattro variazioni mentre parlo. Più varianti di italiano conosco,
più posso muovermi in maniera ampia.
Variazione diafasica: la utilizzo in base al contesto e alla persona che ho
difronte. Ogni volta che noi parliamo, ci muoviamo lungo il registro della
variazione diafasica.
Variazione diastratica: riguarda la variazione che ognuno di noi attua
legata al proprio posizionamento lungo la scala sociale. Questa variazione
legata agli strati sociali è molto importante perché in base a come si parla,
si riesce a capire da quale strato sociale derivi.
Variazione diamesica: è il registro che utilizzo nel canale. Per dire la
stessa cosa posso utilizzare canali differenti, sono io che decido.
Variazione diatopica: è più difficile da controllare perché vuol dire che è
legata al luogo geografico in cui siamo nati. Ad esempio quando io parlo
italiano, si capisce che magari non provengo dal Lazio, dalla Lombardia
ecc.
Quindi variazioni diatopiche  da dove vengo;
variazioni diastratiche  la mia classe sociale;
variazioni diamesiche  il mezzo che utilizzo;
variazioni diafasiche  il contesto e la persona che ho difronte.

Se io parlo l’italiano e il dialetto come posso considerarmi? Posso


considerarmi bilingue? Si, ma dobbiamo fare una differenza tra parlare
due lingue, ed essere bilingue. Il bilingue è colui che parla due lingue, ma
le due lingue sono posizionate esattamente sullo stesso piano, quindi vuol
dire che io posso decidere se utilizzare una lingua o l’altra.
Negli altri casi invece i bilingue devono essere definiti diglottici cioè
quando le due lingue non si trovano sullo stesso piano, ma una delle due
è ritenuta più importante. Noi
infatti siamo ritenuti diglottici perché l’italiano è ritenuto più importante
del dialetto.
29.04.21
FONETICA E FONOLOGIA
La fonetica è importante perché tratta dei suoni della lingua, bisogna
quindi conoscere lo strumento e le note anche se la lingua noi la auto
apprendiamo attraverso quello che ascoltiamo e poi li riproduciamo senza
magari saperlo, proprio per parlare le altre lingue quindi non solo
l’italiano, dobbiamo imparare anche le altre note.
La fonologia si trova nella langue, è astratta, mentre invece la fonetica è
concreta e si trova nella parole.
-La fonetica articolatoria riguarda la produzione dei suoni che avvengono
attraverso l’apparato fonatorio. Non c’è nessuna cosa che si trova dentro
di noi che è nata o si è sviluppata per favorire la voce. Noi usiamo i
polmoni, le labbra, la lingua ecc. per fare altro, niente di questo serve per
parlare, però io utilizzo queste cose nella fase dello scarto, per esempio io
respiro, metto dentro ossigeno quando butto fuori anidride carbonica,
piuttosto che buttarla fuori senza alcun senso, in questo movimento io
utilizzo l’aria per poter produrre le parole, i suoni.
Possiamo dividere l’apparato fonatorio in 3 o 4 parti: la prima parte è il
meccanismo pneumatico, poi abbiamo il meccanismo glottidale, poi un
meccanismo articolatorio che comprende sia la bocca che il naso.
-Per meccanismo pneumatico intendiamo che per poter parlare ho
bisogno di aria e l’aria la prendo dai polmoni. Quindi la prima cosa
importante è che io ho bisogno di energia che mi dia la possibilità di
produrre i suoni della lingua. Noi utilizziamo spesso l’aria che da dentro va
verso fuori e viene chiamata egressiva, ma questo dipende dalle lingue,
perché ci sono lingue che invece utilizzano l’aria che da fuori va verso
dentro in questo caso il modo viene chiamato ingressivo (tipo le lingue
africane). Anche noi però utilizziamo a volte dei suoni ingressivi nei nostri
dialetti, solo che la differenza è: mentre nelle lingue africane il suono è un
suono che si può mettere all’interno di una parola, nel nostro caso invece
il suono diventa una parola intera.
Poi abbiamo il meccanismo glottidale che riguarda i modi di fonazione.
Per poter tradurre l’aria in suono mi serve qualcosa che vibri, ovvero le
corde vocali che si trovano nella glottide.

La glottide in quante posizioni può stare? Può stare in tante posizioni.


Quando produciamo dei suoni sordi, l’aria esce senza che le corde vocali
vibrino; anche se nel suono sordo non c’è una vera e propria vibrazione,
ma semplicemente non c’è una sequenza di apertura e di chiusura della
glottide. Nei suoni sonori invece la sequenza è piena. Nei suoni
mormorati o bisbigliati in cui le corde vocali sono chiuse, dove l’aria che
viene spinta è molto bassa. Quindi parlo senza una completa apertura e
chiusura delle corde vocali. Poi abbiamo la laringalizzazione, ovvero
quando chiudo talmente tanto le corde vocali che quando parlo, parlo
quasi con una voce gracchiata.
Quindi il suono viene definito attraverso il meccanismo pneumatico tra
egressivo e ingressivo, attraverso i modi di fonazione e poi attraverso il
meccanismo articolatorio e oro-nasale.

Mentre i polmoni sono l’energia, la glottide è la sorgente sonora, quello


che modifica il suono è il meccanismo boccale. Come faccio a produrre
tutti questi suoni diversi soltanto attraverso questo strumento? La lingua
si può muovere all’interno della bocca creando tanti tipi di spazi, così
come le labbra e la mandibola, si possono muovere in mille modi diversi,
e ogni singola posizione produrrà un suono diverso dall’altro. Per poter
differenziare tutti i suoni della lingua, conviene ragione su come il suono
viene prodotto ovvero il modo articolatorio (significa quale ostacolo
impongo al passaggio dell’aria dai polmoni alle labbra). I suoni li possiamo
definire quindi in base all’ostacolo che viene posto nel passaggio. Inoltre
posso identificare il suono attraverso il luogo, cioè dove viene fatto
questo ostacolo. Quindi bisogna identificare quali solo gli articolatori che
possono produrre l’ostacolo, e quindi abbiamo
Articolatori mobili: lingua, la mandibola, le labbra e il velo palatino.
Articolatori fissi: denti soprattutto quelli dell’arcata superiore, alveoli e
palato.
Come faccio ad indentificare un suono in maniera univoca? Attraverso i
meccanismi di: direzione del flusso dell’aria, stato della glottide o modo
di fonazione, modo di articolazione cioè ostacoli incontrati dal flusso
dell’aria, e il luogo di articolazione cioè la posizione assunta dagli
articolatori.
30.04.21
I MODI DI ARTICOLAZIONE
Le classi dei suoni sono:
-Consonanti: sono quelle cose che per essere prodotte devono essere
prodotte insieme alle sonanti (vocali). Le consonanti sono dei rumori.
-Vocali: in realtà si chiamano sonanti, perché producono dei suoni. Sono
dei veri e propri suoni della lingua.
-Semi-consonanti: alcuni suoni che si trovano tra le consonanti e le vocali.
Sono un po’ dei rumori e un po’ dei suoni (ad esempio: ieri).
*Articolatori mobili: labbra, velo palatino, la lingua e la mandibola
Articolatori fissi: Denti, alveoli, palato e fosse nasali.*
I SUONI OCCLUSIVI
Completa chiusura, ovvero il modo occlusivo.
I suoni occlusivi sono quei suoni che non permettono la fuoriuscita
dell’aria, ostacolano completamente il passaggio dell’aria.
Le fasi del suono sono 3:
-La prima fase riguarda la preparazione del suono, detta CATASTASI: è
quel momento in cui dalla completa apertura, piano piano vado a
produrre la completa chiusura. Quando chiudiamo completamente sono
nella fase centrale del suono, ovvero sono nella tenuta.
-la fase più importante del suono è detta TENUTA, che è la fase del suono
vero e proprio.
-Una volta che ho prodotto la tenuta, quello che devo fare è tornare alla
completa apertura, quindi devo aprire di nuovo la bocca. Questa fase
viene chiamata METASTASI.
Nei suoni occlusivi, mentre ho la fase della tenuta, quella con le labbra
chiuse, l’aria che viene spinta dal diaframma, non si ferma, ma l’aria
continua ad essere pompata. Se l’aria trova tutto il tubo chiuso, si
accumula dentro la bocca. Quando si arriva nella fase della metastasi,
l’aria viene buttata verso l’esterno.
Quando pronunciamo una parola con delle doppie, sarà più lunga la fase
della tenuta, si accumula più aria. Quando abbiamo una consonante,
questa è detta scempia, quando invece sono due consonanti, sono dette
geminate.

LUOGHI DI ARTIOLAZIONE
Il luogo può essere: alle labbra, ai denti o al velo. Quindi la chiusura è
sempre totale (modo di articolazione), ma la chiusura può avvenire in
luoghi diversi all’interno della bocca.
*per ricordarci esattamente il luogo, formalmente il nome del luogo
dovrebbe essere l’articolatore mobile che va sull’articolatore fisso.*
-Chiusura alle labbra: p/b. Nel caso della “p” la glottide è aperta, nel caso
di “b” la glottide è chiusa.
-Chiusura ai denti: con la punta della lingua sui denti. Abbiamo la t/d. nel
caso della “t” è un suono sordo e la glottide sarà aperta. Nel caso della
“d” è suono sonoro e la glottide sarà chiusa.
-Chiusura verso il velo: abbiamo k/g. (k di cane, g di gatto). Nel caso di
“k” avrà la glottide aperta, nel caso di “g” avrà la glottide chiusa.
Quindi “p-t-k” suoni sordi. “b-d-g”  suoni sonori.
La metastasi nei suoni occlusivi può avere diverse strade, può essere
laterale (esempio quando io dico: atleta), può essere nasale (esempio:
Etna) ecc.

06.05.21
I SUONI FRICATIVI
Chiusura parziale.
Con i suoni fricativi la chiusura deve essere parziale, l’aria fuoriesce ma
attraverso un canale stretto e sottile. Fricativa deriva da frizione, l’aria
uscendo strofina contro le pareti, dandoci l’impressione di suono come se
fosse un fischio.
Questi suoni vengono o detti suoni sibilanti, che sono proprio quei suoni
che emettono un sibilo (prestano attenzione al suono), oppure suoni
fricativi (prestano più attenzione all’articolazione). Fricativo è l’aria
che strofina, sibilante è l’effetto acustico dell’aria che esce attraverso
questa piccola stretta.
Fare la fricativa non è semplice, è uno dei suoni più difficili. Perché per
fare questo fischio, io devo mantenere con il mio cervello sotto controllo i
muscoli dell’aria, e la stretta che deve modificarsi durante la produzione
per poter raggiungere sempre lo stesso identico sibilo.
Inoltre, i suoni fricativi possono essere divisi in due modi:
-Suoni fricativi a lingua piatta: il luogo di articolazione è li dove avviene la
stretta (f di fiore, v di vino)
-Suoni fricativi a lingua solcata: il fruscio non avviene dove c’è la stretta,
ma il luogo di articolazione avviene più avanti rispetto alla stretta, dove ci
sono i denti. (s,z).
Il luogo di articolazione quindi può essere dalle labbra fino alla glottide.
Stato della glottide: posso avere lo stesso suono, sia sordo con le corde
vocali aperte e sia sonoro con le corde vocali chiuse.
*Nomeriguarda il MODO: ovvero come l’aria viene ostacola
Cognome il LUOGO: ovvero dove viene ostacolata
Codice fiscaleStato della glottide, suono sonoro o sordo.
Con questi 3 parametri differenzio tutti i nomi.*
Qual è il modo successivo? Viene definito affricato.
Il modo affricato è un suono che non troviamo nelle lingue europee, ma
solo in italiano. È un suono/modo complesso e sono presenti nelle aree
mediterranee. Il suono occlusivo è “c” di “ciao” “laccio”, oppure di g
gelato, o il suo di “z” zio
I suoni affricati sono complessi perché non hanno un unico modo di
articolazione, ma mettono insieme due modi di articolazione. Sono
l’insieme di due modi semplici: modo occlusivo e il modo fricativo.
-La prima fase è quella dell’occlusione: in cui ho insieme la metastasi, la
catastasi e la tenuta, quindi come se fosse un’occlusiva.
-L’ultima fase, che dovrebbe essere quella della metastasi, nell’occlusiva
gli articolatori si allontanano repentinamente e l’aria viene sparata verso
fuori. Nell’affricato, invece, l’aria che ho accumulato, esce con il fruscio;
inizia come se fosse un’occlusiva e muore come se fosse una fricativa.
I luoghi di articolazione saranno quelli della tenuta, cioè del suono,
quindi avremo luoghi: dentali o alveolari, palatali.
-Abbiamo un altro modo che viene definito modo liquido: la definizione di
“liquido” è una definizione molto antica; Aristotele diceva che ci sono dei
suoni che quando vengono prodotti, gocciolano nella bocca. Noi oggi li
chiamiamo laterali: ovvero quei suoni che hanno una chiusura all’interno
della bocca parziale. Perché chiudono in una zona, ma è completamente
aperta da un’altra parte.
Quindi quando abbiamo un suono laterale, ho una chiusura in un posto
del palato, ma l’aria non viene bloccata ma anzi deve uscire liberamente.
Ad esempio quando produciamo la “l”o la “gl”
Il luogo di articolazione è alveolare (tra i denti e il palato)
È possibile produrre i suoni liquidi sordi? No. I suoni sono solo sonori. Si
definiscono infatti naturalmente sonori. Quindi i suoni liquidi e in
particolare i suoni laterali sono naturalmente sonori.
Poi abbiamo i suoni vibranti, che viene prodotto quando pronunciamo la
“r” di “caro”.
La “r” non è altro che la “l” fatta di una sequenza di aperture e chiusure. Il
luogo di articolazione sarà alveolare.
Nel caso di un suono doppio, tipo “palla” aumenta il numero di aperture e
di chiusure.
Abbiamo un altro modo di articolazione, ovvero il modo nasale. Le nasali
sono sempre dei suoni occlusivi. In questo caso il velo è aperto, quindi
l’aria entra nella bocca, vede che è chiusa, torna dietro, trova la strada
delle fosse nasali ed esce dal naso. (ad esempio quando pronunciamo la
“m” di mamma). Il luogo di articolazione sarà dove avviene la chiusura e
quindi nel caso della “m” la chiusura avviene alle labbra. Gli altri luoghi
dei suoni nasali sono: ai denti quindi alveolare (ad esempio quando
pronuncio la “n”). In italiano inoltre posso avere il palatale (ad esempio:
gnomo). Anche in questo caso non vi sono suoni sordi, ma sono
naturalmente sonori.
Quindi in definitiva i suoni nasali dell’italiano sono: nasali occlusivi,
bilabiale, alveolare, palatale.

Poi abbiamo il modo retroflesso, che non è modo diverso di articolare ma


semplicemente produco questi suoni con la lingua piegata. Ad esempio
quando pronunciamo la “d”, la “n” ecc.
APPROSSIMANTI (O SEMI-CONSONANTI)
Sono delle fricative più aperte, o più chiuse. Io sto facendo una vocale
però un po' più chiusa, oppure una consonante ma un po' più aperta. I
luoghi di articolazione possono essere palatali o velari.
07.05.2021
CLASSI DI SUONI
I suoni possono essere:
Ostruenti: occlusive, fricative e affricate possono essere sia sonore che
sorde.
Sonoranti: suoni che possono essere solo sonori e sono continui, c’è un
ostacolo al passaggio dell’aria ma non c’è frizione. Sono le liquide, le
nasali e le approssimanti. Nel gruppo delle sonoranti ne fanno parte
anche le vocali che sono completamente aperte e possono essere solo
sonore.

LE VOCALI
Per poter classificare i suoni abbiamo bisogno del modo, il luogo e lo stato
della glottide.
Modo: vocalico
Stato della glottide: sempre sonore.
Luogo: attraverso il luogo non possiamo differenziare tutte le vocali
quindi abbiamo bisogno di 3 parametri.
3 PARAMETRI:
innanzitutto dobbiamo definire lo spazio all’interno della bocca, ovvero
spazio vocalico, che si trova muovendo la lingua all’interno della bocca
fino a quando l’aria esce dalla bocca producendo un suono. Lo spazio
vocalico non si può misurare. Posso dire che esiste una vocale che è la più
alta e la più anteriore possibile, che è la “i”. oppure posso produrre una
“u”, che è la più alta e più posteriore possibile. Invece andando in basso
con la lingua andiamo a produrre la vocale “a”.
All’interno della bocca si crea un triangolo:
-la vocale più bassa è la A
-la vocale più alta avanti è la I
-la più alta indietro è la U.
quindi ho creato uno spazio vocalico. All’interno di questo spazio vocalico
qualunque posizione avrà la lingua, io produrrò una vocale all’interno del
triangolo. Se esco fuori dal triangolo sono nelle approssimanti.

Per differenziare tutte le vocali sono: altezza della lingua e alla sua
posizione avanti e indietro.
Le vocali dell’italiano settentrionale sono 7.
La tabella dell’alfabeto fonetico internazionale ci dice che i suoni sono
riconosciuti nello stesso modo in tutte le lingue del mondo,
indipendentemente dal modo in cui sono scritti. Quindi la tabella delle
consonanti è composta da un lato in cui troviamo i modi, mentre sulle
righe troviamo i luoghi. I modi vanno dal plosivo (da quello più chiuso,
che sarebbe l’occlusivo italiano), fino al più aperto cioè le approssimanti.
I luoghi invece, vanno dal più anteriore cioè le labbra, fino al velo o la
glottide. L’incrocio di questi dati (modo con il luogo) ci da la coppia di
suoni. Il primo suono sarà sordo, il secondo sarà sonoro. Nelle lingue del
mondo vi è una differenza tra il vibrato vero e il tappo. Altra differenza è
che non ci sono i suoni complessi.
Inoltre, abbiamo il quadrilatero elle vocali. Ogni sistema vocalico di ogni
lingua del mondo, li posso classificare in base ai gradi di apertura, e ai
rami. Nel caso dell’italiano meridionale abbiamo 3 gradi di apertura,
perché la “a” è bassa, la “e” e la “o” sono medie, la “i” e la “u” sono alte. I
rami invece sono due: anteriori “i” “e”, posteriori “u” e “o”.
Nell’italiano settentrionale invece i gradi di apertura sono 4: “a” bassa,
“e” “o” medie, “i” “u” alte. I gradi sono: chiuso, semichiuso, semiaperto e
aperto.
UNITA’ MINIME
Il suono realizzato foneticamente, viene definito fono. I foni della lingua,
sono quindi i suoni realmente prodotti e fanno parte della parole. I suoni
della lingua che stanno nella langue che non sono prodotti, ma sono
sistematizzati, si chiamano fonemi. Il fonema possiamo definirlo come
un’entità astratta che ha un valore distintivo. O meglio potremmo dire
che il fonema è la parte più piccola, priva di significato, caratterizzata solo
ed esclusivamente da tratti distintivi. È priva di significato perché il
fonema è il singolo suono, di conseguenza se io dico “a” “k”, non ha
senso. Ma se dicessi “k-a-sa” la parola casa ha un senso, ed è un fono.
Un suono ha valore distintivo quando, sostituito con un altro, produce
una differenza di significato.
Se prendo la parola “casa” e sostituiscono la “s” con la “r”, diventa “cara”.
La “s” e la “r” se sostituiti nella stessa e identica posizione producono una
differenza di significato, allora sono dei fonemi della lingua italiana. (I
fonemi sono la “s” e la “r”)
Poi abbiamo gli allofoni che sono varianti del fonema. Gli allofoni non
producono differenze di significato (per esempio pronunciare la lettera
“n” in contesti differenti, in parole diverse, fanno parte degli allofoni).

Quando parlo di fonema (che sta nella testa e quindi nella langue), devo
utilizzare le barre oblique, ovvero “//”.
Quando parlo di fono (quello che realizzo che sta nella parole) utilizzo le
parentesi quadre.
Esempio: scrivi in trascrizione fonetica la parola “pronto”.
In questo caso io scrivo sotto forma di fonema, ovvero  /p/r/o/n/t/o/.
Quando la pronunciamo, e quindi voglio trascrivere ciò che ho detto, non
di come si deve dire, apro le parentesi.
REGOLE DI TRUBECKOJ
1.Se ho due suoni e si trovano nella stessa posizione e non possono
essere scambiati perché produco differenza di significato, allora questi
due suoni saranno 2 fonemi. (per capire meglio: se ho due suoni e li
sostituisco, e sostituendoli produco differenze di significato, allora mi
troverò di fronte a due fonemi della lingua italiana.)
*Se non producono differenza di significato allora parleremo di varianti
del fonema, ovvero di allofoni. Le varianti del fonema sono due: varianti
libere, varianti combinatorie.*
2.Quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle medesime
posizioni e si possono scambiare fra loro senza causare variazione di
significato della parola, questi due suoni sono soltanto varianti libere, di
un unico fonema.
Le varianti libere sono personali. Sono quelle variabili che noi non
riusciamo a prevedere, perché ad esempio c’è chi dice “caro” ma c’è chi
può pronunciare questa “r”, con la r moscia.
3.quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio,
non ricorrono mai nelle stesse posizioni, esse sono due varianti
combinatorie dello stesso fonema.
Le varianti combinatorie sono quelle variabili che io so già che tu
produrrai, perché non si può fare diversamente. È il contesto che ci
obbliga a produrre in quel modo.
13.05.2021
TRATTI DISTINTIVI
Il fonema è la parte più piccola priva di significato caratterizzata solo ed
esclusivamente da tratti distintivi, ciò significa che ci sono dei tratti che
differenziano un suono rispetto ad un altro.
Qual è la differenza che c’è tra il suono “p” e il suono “b”? quali sono i
tratti distintivi? Il tratto distintivo della “p” sta nel fatto che è occlusiva,
bilabiale e sorda, la “b” è anche occlusiva, bilabiale ma è sonora.
Oppure, qual è la differenza tra la “b” e la “m”? la “b” è occlusiva,
bilabiale, sonora, la “m” è nasale, bilabiale, solo sonora. In questo caso ciò
che li distingue è il modo.
Quindi c’è solo una cosa che differenzia un suono dall’altro. (quindi il
tratto distintivo, altro non è che il nome tecnico di quando abbiamo
parlato di “nome, cognome e codice fiscale”, i quali ci consentono di
individuare le caratteristiche di un suono).
Stessa cosa vale per le vocali, ad esempio, che differenza c’è tra la “a” e la
“e”? la “a” è bassa, mentre la “e” è media (nelle vocali si prende in
considerazione la posizione della lingua).
I tratti distintivi sono universali, cioè valgano per tutte le lingue del
mondo, servono per identificare il singolo elemento, e possono essere
articolatori (introdotto da Chomsky) o acustici (introdotti da Jakobson). I
tratti distintivi sono binari, vuol dire che quando io do un tratto, questo
tratto può essere: positivo o negativo.
Esempio: Carmen è alta. In questo caso posso dare un valore positivo se è
davvero alta, o posso dare un valore negativo se invece non lo è davvero.
Dunque la binarietà ci consente di non prendere in considerazione la
gradualità (quindi dire è meno alta, è meno bassa ecc); o è alta o non lo è.
Quindi noi possiamo avere dei tratti distintivi adeguati in base alle cose
che noi vogliamo definire. Se io ad esempio voglio differenziare la “b”
dalla vocale “a”, mi basta il tratto consonantico. Perché la “b” sarà più
consonantica, la “a” sarà meno consonantica. Se voglio differenziare la
“b” dalla “p” potrò utilizzare il tratto sonoro, perché la “b” sarà più
sonora, la “p” sarà meno sonora.
Quindi ogni tratto distintivo binario, può avere o il segno “+” o il segno
“-“. Nel caso del segno “+” diciamo che è un segmento marcato, nel caso
del segno “-“ diciamo che non è un segmento marcato (per segmento si
intende il fonema).
LE MATRICI DELL’ITALIANO
Possiamo costruire delle matrici per ogni singola lingua. Le vocali sono 7,
le caratteristiche delle vocali sono 4, perché si è deciso di prendere in
considerazione la caratteristica (o tratto distintivo) arrotondato, alto,
basso e arretrato.
Se prendo la caratteristica arrotondato, e prendo in considerazione la “i”,
mi domando “ è arrotondata? No, quindi segno una meno “-“. La “o” è
arrotondata? Si, allora segno la “+” ecc.

I fonemi sono caratterizzati da tratti distintivi, ecco perché ogni colonna


sarà diversa dall’altra.
Inoltre ci sono diversi tipi di tratti distintivi, ci sono dei tratti distintivi
classificatori, tratti composizionali.
REGOLE FONOLOGICHE
Noi abbiamo la regola fonologica che ci dice: il segmento “A” diventa “B”
quando è seguito dal segmento “C”.

(la “” significa “diventa”, “/__” significa “quando c’è l’elemento).


La regola fonologica è quella regola che il mio cervello applica per
modificare i suoni durante la produzione, e lo fa per rendere più veloce il
parlato, e per creare meno confusione possibile e per consumare meno
energia. La regola fonologica sta tra la langue e la parole. Inoltre le regole
fonologiche sono linguo-specifiche, cioè ogni lingua ha le proprie regole
fonologiche.
Esempio:
I due punti (:) stanno ad indicare la lunghezza, quindi quando abbiamo
una doppia, la prima si scrive, la seconda viene scritta attraverso i due
punti.
La lettera “N” diventerà “M”, quando ci saranno gli elementi “P,B,M”.
Quando la “N” diventa “M”, cambia il luogo, perché la lingua non posa più
sui denti, ma sulle labbra. Quindi potremmo dire, attraverso i tratti
distintivi, che abbiamo una nasale, che diventa bilabiale quando dopo c’è
una bilabiale.

PROCESSI
1.ASSIMILAZIONE/DISSIMILAZIONE.
Assimilazione vuol dire un adeguamento dei segmenti vicini, un processo
di similitudine dei segmenti vicini. Quindi rendere il più simili possibili
suoni diversi che si trovano vicini. Ciò viene fatto perché agevola la
produzione. Per esempio, se prendiamo il passaggio dal latino all’italiano,
prima ad esempio i numeri erano costituiti da due occlusive “octo, septe”
ecc. storicamente la prima cosa che si è fatta è quella di rendere questi
due segmenti uguali.
Octo otto septe sette.
Suoni diversi che si trovano vicini, attaccati, sarà un’assimilazione per
contatto, ma è possibile avere anche assimilazioni per distanza, cioè
rendere simili elementi che non si trovano vicini. Ad esempio denaro
danaro.
L’assimilazione può essere di tanti tipi:
-per contatto: elementi che si trovano uno vicino all’altro.
-a distanza: elementi che si trovano uno distante dall’altro.
Inoltre l’assimilazione può essere:
-totale: cioè quando il suono cambia completamente. Ad esempio:
ragionevole, se aggiungo il prefisso –in, diventa irragionevole. Quindi la
“n” e la “r” che si trovano vicini, a contatto, la “n” diventa esattamente
uguale alla “r”. in questo caso cambia il modo di articolazione.
-parziali: cambia un po' il suono ma non cambia completamente. Ad
esempio: ancora, la “n” diventa velare, ma rimane comunque “n”. In
questo caso cambia il luogo di articolazione.
Inoltre posso avere delle assimilazioni per contatto:
-progressive: il segmento che viene prima influenza quello dopo.
-regressive: il segmento che viene dopo influenza quello prima.
-bidirezionale: il segmento che viene prima e quello che viene dopo
influenza.
2.ASSIMILAZIONE TOTALI A DISTANZA
L’assimilazione a distanza l’abbiamo nei dialetti meridionali e si chiama
metafonia.
La metafonia si ha quando la vocale finale influenza la vocale che porta
l’accento, ma non diventa tonica, la fa alzare di un grado di apertura. (se
ho una “a” diventa una “e”, se ho una “e” diventa una “i”)
Esempio: Se dico bella, e la vocale finale diventa “i”, la vocale che porta
l’accento diventa “i”, quindi diventa “billi”.
Oppure abbiamo l’armonia vocalica (si utilizza nella lingua turca), in cui la
vocale che porta l’accento influenza la vocale finale.
DISSIMILAZIONE
La dissimilazione rende diversi due suoni.
La dissimilazione può essere:
-per contatto che a sua volta può essere sia progressiva che regressiva.
15.05.21
3.CANCELLAZIONE/INSERZIONE
La cancellazione si ha tutte le volte che si incontrano due vocali ed
entrambe sono atone, cioè che non portano l’accento. Quando succede
ciò, nella lingua italiana, una delle due se ne va, cade. Altrimenti mi
troverei con due vocali.
-Quindi ogni volta che abbiamo una parola che finisce con vocale e un
suffisso o un’altra parola aggiunta vicina, ed entrambe non sono
accentate, la vocale finale della parola cadrà.
Esempio: tavolo+ino tavol(o)ino
-Nel caso in cui invece, la parola finisce con una vocale accentata e subito
dopo abbiamo un suffisso, non bisogna far cadere la vocale, proprio
perché la parola è accentata.
Esempio: caffè+ina caffeina
-Invece se dovessi attaccare un suffisso che inizia per consonante, in quel
caso resta, non cadrà nessuna vocale.
Esempio: bevi+bile bevibile
All’interno della cancellazione, noi possiamo nominare in maniera
differente le cose.
Esempio: questo uomo quest’uomo.
-Questo processo viene chiamato ELISIONE.
-Quando cancello una vocale all’interno della parola, abbiamo le
SINCOPE. In italiano non utilizziamo molto questo processo.
-Quando cade la vocale della parola successiva, abbiamo un’AFERESI.
La estate la ‘state.
-Quando si cancella tutta la sillaba dopo la vocale accentata, abbiamo un
APOCOPE.
Santo san Professore professò

4.INSERZIONE
L’inserzione è il contrario della cancellazione. Si ha quando nella lingua
italiana, mi trovo di fronte a dei nessi, a delle regole, che non
corrispondono a quelle della lingua italiana.
In italiano qualunque tipo di consonante può stare all’inizio di parola. Ma
così non è se all’inizio di parola abbiamo due consonanti. Non possiamo
mettere ad esempio (p con b pb, oppure m con n ecc)
Esempio: psicologia- atmosfera. Pneumatico ecc sono parole che ci viene
difficoltoso pronunciare, perché rompono le regole dell’italiano. Quindi
per articolarle in maniera più semplice, le rendo italiane. Quindi nel caso
di “psicologia”, l’insieme “p con s” non è ammissibile in italiano, perciò tra
le due consonanti inserisco una vocale.
Psicologia  pissicologia.
All’interno dell’inserzione possiamo avere:
-la PROSTESI. Ad esempio: in Spagna In Ispagna
- l’EPITESI, ovvero aggiungere vocali finali.
Ad esempio: cognac cognacche
-l’EPENTESI, che sarebbe il contrario dell’epitesi.
5.RIDUZIONE/LENIZIONE
Riduzione e lenizione sono sinonimi, e sono un processo di
indebolimento, un segmento si indebolisce quindi viene prodotto con
meno forza.
Il processo che si verifica di più è la DEGEMINAZIONE/ SCEMPIAMENTO,
ovvero quando le doppie diventano singole.
Poi abbiamo un altro processo di SPIRANTIZZAZIONE/
FRICATIVIZZAZIONE in cui, alcuni segmenti occlusivi (p-t) quando si
riducono diventano fricativi, poi diventano un approssimante, poi una
vocale e dopo si cancella.
Poi abbiamo la SONORIZZAZIONE.

6.RAFFORZAMENTO: RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO


Il contrario della riduzione, è il rafforzamento/raddoppiamento in cui si
applica più forza. Abbiamo dunque la geminazione, ovvero il
raddoppiamento di tutte le consonanti scempie. Lungo la scala di forza, la
vocale diventerà approssimante, l’approssimante diventerà fricativa, e la
fricativa diventerà occlusiva.
Quando due vocali si trovano vicine come sillaba accentata, io devo
distanziare queste vocali allungando la consonante.
Esempio: vado a casa: viene pronunciata con una doppia “c”, vado a
ccasa.
Quindi esiste una geminazione che mi porta ad avere un rafforzamento,
che può avere motivi:
- fonetici, come ad esempio: rubbare, metto due “r”
-fonologici, per distanziare due vocali accentate
-e poi posso avere dei rafforzamenti per paura di “perdere” una
consonante.
7.COALESCENZA
La coalescenza è quel processo dove due segmenti che si trovano vicini, si
fondono in un unico segmento. Questo nuovo segmento avrà le
caratteristiche sia del primo che del secondo, perché questi due elementi
si fondono. (ad esempio se io ho il colore arancione e quello blu,
miscelandoli diventa verde. Questo colore che ho attenuto, contiene sia
l’arancione che il blu).
Esempio: scelgo per fare la seconda persona singolare, teoricamente
dovrebbe essere scelgi.
Ma è sbagliato, perciò subentra il processo della coalescenza. Se prendo
la “l” e l’affricata “g”, e le metto insieme, ottengono che: la “l” è laterale,
la “g” è palatale, se prendo queste due cose e le metto insieme,
ottengono una laterale palatale, ovvero la “gli” di “figlio”. Questa “gl”
porta il modo di articolazione del primo elemento, ovvero laterale, il
luogo del secondo elemento che è palatale.
LA SILLABA
La sillaba è l’organizzazione un po' più complessa rispetto ai fonemi, un
po' meno complessa invece rispetto alle parole.
La sillaba ha una serie di definizioni. A livello fonologico è un’unità
prosodica di organizzazione dei suoni.
A livello fonetico è un’unità prosodica costituita da uno o più foni
agglomerati intorno a un picco di intensità.
La sillaba inoltre ha delle regole precise. Una cosa fondamentale è che
dentro la sillaba ci deve essere sempre un nucleo e questo nucleo deve
essere fatto da una vocale (nucleo vocalico). Quindi l’elemento minimo
della sillaba è la vocale, non può mai mancare. Il nucleo deve essere fatto
sempre e solo da vocale.
Esempio: quando dico amare, a-ma-re. Questa parola è costituita da 3
sillabe, perché sono presenti 3 vocali.
LA STRUTTURA SILLABICA
La struttura della sillaba potrebbe essere vocale, e poi da questa vocale
avere un attacco e una coda. La rima si ha dalla vocale accentata in poi.
Quindi la sillaba è strutturata da un:
-attacco: che può esserci oppure no
-rima: che è costituita da un nucleo e una coda.
Prendiamo in considerazione la parola “salto”.
La “s” farà parte dell’attacco, la “a” il nucleo, la “l” la coda. Poi abbiamo la
“t” che fa parte dell’attacco, e la “o” che fa parte del nucleo; la coda è
libera. La sillaba viene definita sillaba chiusa quando finisce per
consonante. Se una sillaba finisce per vocale si definisce sillaba aperta.

Se prendiamo in considerazione “eco”


Nel caso di “pianta”, il nucleo deve essere formato sempre e solo da
vocale, quindi la “a” la sistemiamo come nucleo. Nella coda siccome non
può starci qualunque tipo di consonante, ci possono stare solo
consonanti liquide, quindi solo la “n-l-r”. Nell’attacco qualunque tipo.
Nel caso di “entra” abbiamo:
e nucleo
n coda (sillaba chiusa)
tr attacco
a nucleo (sillaba aperta)

20.05.21
Possono esistere delle sillabe che hanno solo il nucleo, delle sillabe che
hanno nucleo e attacco, delle sillabe che hanno nucleo e coda, delle
sillabe che hanno nucleo, attacco e coda. Il nucleo ci vuole sempre.
Come possiamo differenziare queste sillabe? Non guardiamo l’attacco, ma
guardiamo la coda e quindi possiamo differenziare le sillabe in:
-sillabe aperte: quando la coda è vuota, cioè quando non c’è consonante.
-sillabe chiuse: quando la coda è piena, cioè quando avrò la consonante.
Nelle vocali accentate di sillaba aperta, la vocale sarà lunga.
Nelle vocali accentate di sillaba chiusa, la vocale sarà breve.
Quali sono gli attacchi?
Gli attacchi sono se contiene due consonanti, la seconda sarà una liquida
(le laterali e le vibranti, quindi una “l” o una “r”). se contiene due
consonanti, queste devo costituire un possibile inizio di parola.
Se ho tre consonanti, io so per certo che la prima deve essere la “s” e la
terza deve essere una “r”, che è una liquida.
La coda invece sappiamo che può essere solo “l, r, m, n”.
Nel caso di “tutto” o “cassa” la doppia “t” o la “s” una si scrive nella coda
e si dice che la coda è irregolare.
Una parola con le doppie, foneticamente è un elemento lungo, perché
abbiamo detto che si allunga la fase della tenuta.
Fonologicamente sono due elementi, uno farà parte dell’attacco l’altro
della coda.
DITTONGHI E TRITTONGHI
I dittonghi si hanno quando abbiamo una vocale vicino all’altra. In questo
modo le situazioni che si possono realizzare sono 3:
-ho uno iato, ovvero ci sono due vocali che si trovano vicino ma che si
comportano come vocali (mai-poi ecc)
-dittongo, che può essere di due tipi, perché può avere prima
l’approssimante e poi la vocale, oppure prima la vocale e poi
l’approssimante.
Chiameremo dittongo ascendente quando vado dall’approssimante alla
vocale (pieno, uomo, uovo, buono ecc). In questo caso l’approssimante
starà nell’attacco.
Chiameremo invece, dittongo discendente quando vado dalla vocale
all’approssimante (auto). In questo caso l’approssimante starà nella coda.
-trittonghi, ovvero quando abbiamo 3 vocali vicine (aiula). Dunque
abbiamo due approssimanti e una vocale.

FATTI SOPRASEGMENTALI
I fatti soprasegmentali sono quelle caratteristiche che non fanno parte dei
tratti distintivi dei fonemi, ma possono essere associate/assegnate ai
singoli fonemi durante la produzione di una parola. L’accento non può far
parte del fonema, perché altrimenti dovrei avere le vocali accentate e le
vocali non accentate. Quindi l’accento sta sopra i segmenti, non dentro,
perché non è una caratteristica dell’elemento/segmento, ma una
caratteristica in più, e viene assegnato da una regola.
Quindi i soprasegmenti sono: l’accento, la lunghezza/durata, il tono e
l’intonazione.
Questi fatti soprasegmentali sono delle regole di passaggio, mentre parlo
inserisco questi soprasegmenti.
LUNGHEZZA
La durata è distintiva nelle consonanti (in italiano), nelle altre lingue è
distintiva sulle vocali, in altre è distintiva sia sulle consonanti che sulle
vocali. Distintiva vuol dire che quindi è un tratto fonologico.
Mentre invece la durata non è distintiva nelle vocali.
ACCENTO
In italiano può cadere su qualunque sillaba, mentre in altre lingue
l’accento è fisso. In questo caso l’accento ha più un valore demarcativo
(ad esempio alcune lingue hanno l’accento che cade sempre a fine di
parola). Invece le lingue con l’accento libero, l’accento può avere valore
distintivo.
La sillaba accentata si definisce tonica, la sillaba non accentata si
definisce atona. In italiano in una parola ci potrà essere solo una sillaba
accentata, di conseguenza avremo solo una sillaba tonica, tutte le altre
saranno atone. Nel caso invece delle parole composte, dovrei avere due
accenti perché ogni parola ha un accento; allora vorrà dire che uno dei
due viene degradato, viene utilizzato di livello inferiore, e diventa
accento secondario. Nella trascrizione fonetica, l’accento secondario
viene scritto sotto, l’accento primario viene scritto sopra. (vedi esempio)

21.05.21
L’accento inoltre può essere contrastivo, ovvero mettere in evidenza una
cosa rispetto ad un’altra. L’accento non ha un rapporto paradigmatico.
Molte lingue africane invece hanno l’accento su ogni sillaba, quindi vuol
dire che possono esistere sillabe accentate e sillabe non accentate. in
queste lingue africane posso avere la prima sillaba accentata e la seconda
pure, oppure la prima accentata e la seconda no, la seconda si e la prima
no , oppure entrambe le sillabe non accentate; quindi in questo caso
l’accento è paradigmatico perché posso scegliere come produrre una
sillaba se in maniera accentata oppure no.
TONO
Esistono inoltre lingue tonali. Quindi esistono lingue in cui l’accento è
messo su una sillaba e noi le chiamiamo lingue accentuali, cioè dove la
sillaba o ha l’accento o non ce l’ha. Le lingue tonali invece, all’interno
della stessa sillaba l’accento può cambiare. Nella stessa sillaba quindi
posso avere un tono alto-basso, oppure basso-alto, alto ascendente
oppure basso discendente ecc.
Una delle differenze sostanziali quindi, tra le lingue tonali e le lingue
accentuali è il fatto che nelle lingue tonali l’accento può cambiare di stato,
nelle lingue accentuali invece in ogni sillaba, l’accento o c’è o non c’è.
Le lingue tonali sono ad esempio: il cinese mandarino che è la lingua per
eccellenza, poi abbiamo le lingue orientali ecc.
INTONAZIONE
L’intonazione ci consente di individuare i “picchi” e gli “avvallamenti”
nell’altezza dei suoni.
Se l’andamento è discendente, avremo una frase dichiarativa, in questo
caso mollo le corde vocali.
Se l’andamento è ascendente, avremo una frase interrogativa, in questo
caso tiro le corde vocali.
ESERCITAZIONE TRASCRIZIONE
Pane [‘pa:ne] Somma [‘som:a] Fieno [‘fjꜪ:no]
Abete [a’be:te] [a’be:te] [ab’be:te] Avvitare [av:i’ta:re]
Informare [imfor’ma:re] Tentare [ten’ta:re]
Chiesa  [‘KjꜪ:za] [‘kjꜪ:sa] Gusto [‘gu:sto]
Ghigno  [‘gin:o] Uncino [un’tfi:no]
Carro [‘kar:o] Stomaco [‘sto:mako]
Sdentato [zden’ta:to] Slegato [zle’ga:to]
Rosa [‘ro:za] [‘ro:sa] Ascia [‘a :a]
Scienza [‘ :Ꜫntsa] Aiuto [a’ju:to]
Quando [‘kwando] Leale [le’a:le]
Alto [‘alto] Aglio [‘aj:o]
Tazza [‘tat:sa] Zaino[‘d:zaino]
Sfizio [‘sfit:sjo] Cucina  [ku’t i:na]
Azzardo [ad’dzardo] Laccio [‘lat: o]
Raggiro [ra’d: i:ro]
25.05.21
CAPITOLO 5
LA MORFOLOGIA
La morfologia tratta le parole e studia la struttura interna delle singole
parole. Il costituente minimo della morfologia è il morfema. La parte più
piccola della morfologia è dotata di significato.
Esempio: decongestionamento formata da 18 fonemi
De+congest+ion+ment+o. La base di questa parola è “congest”, a questa
parola sono stati aggiunti altri morfemi. Questi morfemi che sono stati
aggiunti, non vanno bene per qualsiasi parola e soprattutto hanno un
ordine. Tutto ciò fa parte della grammatica.
La grammatica è l’insieme delle regole che ci permette di costruire parole
corrette e frasi corrette e molte complesse.
CHE COS’E’ LA MORFOLOGIA?
È la parte della grammatica che studia le parole e la loro formazione.
Le parole e le parti delle parole sono registrate nel nostro dizionario
mentale o meglio nel lessico.
Ci sono dei morfemi liberi che possono stare da soli (morfema lessicale
che porta il significato). Ci sono dei morfemi legati (morfema
grammticale), che soli non possono stare ma che legati ad un morfema
libero hanno un significato.
Quindi la morfologia mi dice se la parola è fatta bene, se è possibile, a
quale categoria appartiene, quale prefissi e suffissi può ricevere.
Le parole possono essere:
-Semplici (senza struttura interna)
nella lingua italiana, le parole semplici, cioè monomorfemiche sono
pochissime (ciao, ieri, oggi, domani) perché è una lingua flessiva.
La parola “amaro” non è una parola semplice perché se tolgo ad esempio
la “o”, posso mettere la “i”.
-Complesse: possono essere di 2 tipi derivate quando ad una base ad
un morfema lessicale, aggiungo un morfema libero, cioè un suffisso.
Quindi le parole derivate saranno costituite da: Morfema lessicale (che
porta il significato) + 1 o più prefissi/suffissi liberi di tipo grammaticale.
Composte costituite 2 o più morfemi lessicali, all’interno dei quali ci
possono essere dei morfemi liberi.
Le parole semplici e le parole complesse possono essere flesse. Cioè
posso usare il maschile o il femminile, il singolare o il plurale.
Processi morfologici di formazione delle parole:
1. Flessione quando cambio la categoria, ovvero numero, genere o
verbo;
2. Derivazione quando metto un suffisso, che può essere messo primo
della parola e diventa prefisso. Dopo la parola, suffisso e all’interno
della parola e diventa infisso.
3. Composizione mette insieme due parole, due morfemi lessicali.
(Sali+scendi, cassa+forte ecc)
Con questi tre processi faccio tutte le parole della lingua italiana.
LA NOZIONE DI PAROLA
Una parola è lo spazio tra due rispiri. Ma dal punto morfologico una
parola è quella parte che ci da il significato. Esistono delle parti di parlato
all’interno delle quali non posso aggiungere nient’altro.
Definizione: la parola è quella parte di parlato che ci definisce il
significato.
FORMA DI CITAZIONE
La forma di citazione è quel morfema lessicale che io prendo come base,
sul quale costruire nuove parole; È quel morfema base che io trovo nei
dizionari.
Le forme di citazione NON sono uguali per tutte le lingue del mondo.
IL TEMA
Il tema è quella forme del verbo senza la desinenza flessiva. Nel verbo
amare, la desinenza è –re. Il tema è –ama. Il tema è uguale al morfema
lessicale. Parlo di “tema” solo nel caso dei verbi.
LA RADICE
Quando parlo di verbi, parlo anche di radice. La radice è quella parte del
tema, esclusa la vocale tematica. La vocale tematica mi definisce la
coniugazione. La base di un verbo quindi, in realtà è la radice.
Esempio: “amare” noi sappiamo che è un verbo di prima coniugazione,
ma lo capiamo attraverso la vocale tematica che è “a”.
CLASSI DI PAROLE
Le parole di una lingua sono tradizionalmente raggruppate in classi o parti
del discorso, dette anche categorie lessicali.
Secondo le grammatiche tradizionali dell’italiano, le parti del discorso
sono:
-Nomi
-Verbi
-Aggettivi
-Pronomi, Articoli, Avverbi, Preposizioni , Congiunzioni , Interiezioni (cose
aggiuntive).
PARTE VARIABILE: nome, verbo, aggettivo, pronome, articolo
PARTE INVARIABILE: avverbio, preposizione, coniugazione e interiezione.
ARTICOLI
L’articolo si mette sempre prima del nome.
ARTICOLO: può precedere un nome ma non un verbo
NOME: può precedere un verbo ma non un articolo.
Ogni parola ha dei tratti distintivi, che vengono indicati con “+” oppure
“-“, ovvero hanno rapporti biunivoci. Questi tratti distintivi ci servono per
definire in maniera corretta le frasi.
MORFEMA
Il morfema è la parte più piccola di una lingua dotata di significato.
CLASSIFICAZIONE MORFEMI
I morfemi possono essere:
-lessicali (danno il significato)
-grammaticale (informazione grammaticale)
Inoltre possono essere:
-Liberi (possono stare da soli)
-Legati (non possono stare da soli)

Le parole in inglese sono monomorfemiche.


Le parole in italiano sono minimo bimorfemiche.
I verbi in italiano sono minimo trimorfemici, perché hanno la radice, la
vocale tematica e la desinenza.
Il morfema è quindi è la parte più piccola che contiene il significato. Il
morfema è astratto, quando diventa parole, diventa un morfo.
quindi la realizzazione pratica, concreta di un morfema, viene definita
morfo.
Poi abbiamo anche gli allomorfi: sono le diverse forme che un morfema
assume e che non determinano cambiamenti nel suo significato.
Il ragazzo “il” identifica il maschile singolare.
Studente si dice “lo studente”. Quindi “il” e “lo” sono degli allomorfi
contestuali, perché “il” si mette tutte le volte che avremo una parola che
inizia per consonante, mentre “lo” si mette quando una parola inizia per
vocale oppure per “s”+ consonante.

FLESSIONE, DERIVAZIONE E COMPOSIZIONE


La derivazione è prendere una forma libera e legare un affisso, il quale
può essere messo prima, dopo o all’interno delle parole.
La composizione due forme libere messe insieme per formare una parola.
La flessione è dare ad ogni parola dell’italiano attraverso il morfema
grammaticale, il genere, il numero, il tempo, il modo ecc.
MORFOLOGIA COME “PROCESSO”
--La prefissazione non cambia mai la categoria grammaticale della parola.
Quando costruisco delle nuove parole, queste nuove parole devono
comunque avere una categoria grammaticale in italiano.
Esempio: se io metto “presidente” che è un nome, e aggiungo “ex”, la
parola che verrà fuori sarà sempre “ex presidente”.
-Se io metto invece un suffisso, io lo metto per cambiare la categoria
grammaticale.
Esempio: calpestare, lo trasformo in aggettivo, ovvero “calpestabile”,
aggiungo il prefisso “in” e diventa “incalpestabile”.
LA FLESSIONE
La flessione sarebbe maschile, femminile, singolare o plurale.
SUFFISSAZIONE
La suffissazione consiste nell’aggiunta di un morfema legato grammaticale
alla destra della base. Utilizzo i suffissi quando voglio cambiare la
categoria grammaticale.
Abbiamo diversi tipi di suffissi:
-suffissi detti nominali denominali (-aio; -iato, -ista) aggiunti a sostantivi.
È un suffisso che si mette al nome, per togliergli la categoria del nome.
birra birraio scienza scienziato opinioneopinionista.
-suffissi detti nominali deaggettivale (-izia, -ezza) ad aggettivi. Quando
aggiungere questi suffissi ad un aggettivo, questo diventerà nome.
Avaro avarizia durodurezza bello bellezza.
-suffissi detti deavverbiali (-ismo) aggiunti ad avverbi:
-pressappoco pressappochismo
-suffissi detti nominali deverbali (-aggio, -mento, -enza, -azione) aggiunti
a verbi. Aggiungendo questi suffissi ad un verbo, lo faccio diventare un
nome.
fissare fissaggio cambiare cambiamento conoscere conoscenza

FORMAZIONE DI VERBI PARASINTETICI


Composto derivato da un nome o da un aggettivo con l’aggiunta
simultanea di un prefisso e di un suffisso.
Voglia invogliare (lo faccio diventare verbo, “vogliare”, ma non esiste.
Metto “in” e diventa “invogliare”)
Dolce addolcire
Occhio adocchiare
Bianco sbiancare
SUFFISSI E PAROLE ALTERATE (su nomi e aggettivi)
-la febbre il febbrone
La villa il villino
Il sapone la saponetta
SU AGGETTIVI (anche se più raro)
-lungo lunghetto
-dolce dolciastro
A VOLTE POSSONO CAMBIARE DI SIGNIFICATO
-carta cartone

Mentre il prefisso cambia sempre il significato della parola e mai la


categoria grammaticale, il suffisso invece cambia la categoria
grammaticale ma mai il significato della parola. L’infisso non cambia la
categoria grammaticale, non cambia il significato, ma lo modifica. Ad
esempio: se cantare diventa canticchiare, hanno lo stesso significato, ma
con canticchiare intendiamo “cantare sotto voce”.

ECCEZIONI
Nella formazione di aggettivi provenienti da nomi, si ricorre a una base
latina o greca.
1.Attraverso l’uso della stessa base dalla quale deriva il nome:
Fiore floreale (dal latino florem)
Occhio oculare (dal latino oculum
2.Attraverso l’uso di una base diversa
Guerra bellico (dal latino bellum)
Fegato epatico (dal greco hepar)
Mi fai l’analisi morfologica della parola catenaccio? (DOMANDA ESAME)
La prima cosa da fare è individuare il morfema lessicale, ovvero CATEN.
ACCIO è un morfema che si aggiunge, nominale denominale e il suo
valore è dispregiativo, che significa una brutta catena.
TENEREZZA=tener(o)+ezza
Il morfema lessicale è: TENER
EZZA: morfema nominale deaggettivale.
Significato di nome di qualità, tenerezza, qualità d’esser tenero.

COME SI FA L’ANALISI MORFOLOGICA?


Prendiamo la parola: incontestabilmente
Iniziamo col dire che è una parola complessa, derivata perché esiste un
morfema lessicale e tanti suffissi.
-Qual è il morfema lessicale? “Contestare”. La radice è “contest”, ed è
questo che mi da il significato
[contest]v (la “v” sta ad indicare che è un verbo.
-Poi devo aggiungere il suffisso “abile” ovvero il suffisso che mi rende il
verbo aggettivo
[contest]v +abil]a
-A questo punto posso aggiungere il prefisso “in”, perché adesso è
aggettivo.
[[in + [contest]v + abil]A]
-prendo questo aggettivo e lo rendo avverbio, aggiungendo “mente”
[[in+ [contest]v + abil]a]a +mente]avv
28.05.21

Quali sono i processi di formazione delle parole? come si costruiscono le


parole? sono quelli della flessione, della derivazione e della composizione.
ALTRI PROCESSI
Conversione: cambiamento di categoria senza che sia stato aggiunto alla
base un affisso manifesto. I verbi non possono avere l’articolo.
Reduplicazione o raddoppiamento: non lo mettiamo in atto nello scritto,
ma nel parlato. Ad esempio: ti voglio bene assai assai
Parasintesi: una base più un preffisso ed un suffisso, ma la sequenza
“prefisso+base” non è una parola e nemmeno la sequenza
“base+suffisso” lo è. Ad esempio: ingiallire, non posso dire solo ingiallo,
oppure giallire ma devo mettere entrambi, sia il suffisso che il prefisso.
Retroformazione e ideofoni.
SUPPLETIVISMO
Anziché cambiare il morfema grammaticale, cambia il morfema lessicale
durante la flessione.
Nel caso dei verbi: io vado, tu vai, egli va, noi andiamo. Non possiamo dire
noi vandiamo.
Ciò significa che io ho un morfema lessicale che è il verbo “andare”, che in
alcune voci anziché avere “and” come radice, ho “vad”.
I fenomeni di suppletivismo non sono prevedibili e devono essere
esplicitamente rappresentati nel lessico.
TESTA IN DERIVIAZIONE
La testa nella linguistica è importante, perché sia nella morfologia, sia
nella sintassi, avremo sempre il concetto di testa. Avremo un insieme di
cose che viene rappresentato da una testa.
Nei suffissi la testa è il suffisso stesso, cioè l’elemento che sta a destra.
Bar barista la testa è “ista”
COMPOSIZIONE
La composizione si fa tra due morfemi lessicali. Quale sarà quindi la testa?
Quale sarà la parte che darà l’informazione della categoria grammaticale
alla nuova parola che io sto creando?
Se ho due nomi, il risultato sarà un nome.
Se ho due aggettivi, il risultato sarà tendenzialmente un aggettivo.
Se ho due verbi, ottengo normalmente un nome.
Se ho due proposizioni, in italiano non si fa.
Se ho due avverbi, ottengo un avverbio.
Se ho un nome e un verbo, ottengo un nome.
Ecc ecc

TESTA IN COMPOSIZIONE
La testa in composizione sarà il morfema lessicale tra i morfemi
componenti che da la categoria grammaticale.
Composanto
-In inglese la testa, tendenzialmente è sempre a destra
-In italiano invece è più complesso
Se ho ad esempio: pescecane è un pesce non un cane
Se ho terremoto è un moto non una terra ecc.

CLASSIFICAZIONE DEI COMPOSTI


Abbiamo detto che ogni composto deve avere una testa.
Ma dobbiamo anche dire, la testa c’è sempre? Può essere sempre solo
una? A tal proposito dobbiamo dividere i composti in subordinati,
coordinati e attributivi, quindi possiamo dire che ci sono dei composti
che hanno la testa e dei composti che non ne hanno, oppure hanno due
teste (nave traghetto). Se non hanno una testa, non possono flettere, non
possono fare il plurale.
Quindi i composti possono essere endocentrici se hanno la testa, o
esocentrici se non hanno la testa.
LA SINTASSI
CAPITOLO 7
La sintassi studia la struttura delle frasi. Non ci sono lingue costituite da
singole parole, ma ci sono lingue costituite da frasi. Le frasi devono essere
costruite in un certo modo per poter essere grammaticali. La
grammaticità non ha a che vedere con il significato, ma a livello di regole.
In una frase la parte più importante è il verbo.
VALENZA VERBALE
La valenza è un legame. Il verbo sta al centro della frase e stabilisce dei
legami con alcuni argomenti per tenerli ben uniti, e per costruire una
frase che sia grammaticale e che abbia un significato.
-I verbi posso stare da soli, possono avere valenza zero, cioè non aver
bisogno di argomenti. In questo caso il verbo si chiamerà avalente.
-Poi abbiamo i verbi monovalenti (quelli che a scuola chiamiamo
intransitivi), cioè quelli che hanno un solo legame, non posso stare soli e
devono avere necessariamente un legame. Esempio: Maria studia.
-Poi abbiamo i verbi bivalenti (verbi transitivi), cioè hanno bisogno di due
legami, quindi di due argomenti, uno che compie l’azione e l’altro che la
riceve. Esempio: Maria mangia un panino.
-Poi abbiamo i verbi trivalenti, cioè hanno bisogno di tre argomenti.
Esempio: Gianni ha dato un libro a Maria.
Nella frase ci possono essere degli altri argomenti che però non sono
obbligatori, ma sono definiti argomenti circostanziali.
L’argomento è un insieme di parole e questo insieme di parole, che è il
costituente minimo della sintassi, si chiama sintagma.
Criteri per determinare se un gruppo di parole è un sintagma:
1.movimento: le parole che fanno parte di un sintagma si “spostano
insieme” all’interno della frase. “Il poliziotto anziano” si sposta insieme
all’interno di una frase.
2.enunciabilità in isolamento: posso pronunciare questo sintagma e
quando lo produco deve avere un significato. Esempio: “chi ha catturato il
ladro? Il poliziotto” il poliziotto posso dirlo da solo.
3.coordinabilità: cioè all’interno del sintagma le cose che stanno dentro
devono essere tutte accordate.
I sintagmi inoltre possono essere nominali e verbali.
Esempio: il poliziotto catturò il ladro. Il poliziotto sintagma nominale
catturò sintagma verbale (e in questo caso deve avere due argomenti,
quindi anche il sintagma nominale)
Anche in questo caso è importante individuare la testa perché ci dice la
categoria del sintagma. Nel caso di poliziotto è un sintagma nominale. Nel
caso di “a mezzanotte” il sintagma sarà “a” e sarà un sintagma di tipo
preposizionale.
Una frase è un insieme di parole, e deve avere un significato di senso
compiuto. Possono inoltre essere frasi semplici o frasi complesse.
La frase semplice è formata solo da elementi essenziali (verbo + n. di
argomenti).
La frase complessa contiene più cose, in rapporti di:
-coordinazione: due o più frasi semplici sullo stesso piano.
Esempio: Gianni è partito e Maria è a casa.
-subordinazione: due o più frasi semplici che non stanno sullo stesso
piano. Abbiamo la frase principale che può stare da sola e la frase
dipendente o secondaria che non può stare da sola ed è definita
agrammaticale se enunciata da sola.
CLASSIFICAZIONE DELLE FRASI
Cinque punti di vista che si applicano a ogni frase:
-dipendenza
–modalità: dichiarativa/ interrogativa oppure esclamative e imperative.
–polarità: affermativa o negativa
–diatesi: attiva o passiva
–segmentazione

SEMANTICA
CAPITOLO 8
La semantica studia il significato delle parole.
Verità vuol dire che una frase può essere corretta dal punto di vista
grammaticale e dal punto di vista semantico, ma non vera.
RELAZIONI DI SIGNIFICATO
Nel significante possiamo avere diverse idee di significato, nel senso che
una stessa “realtà” può essere indicata in modi diversi.
Il significato è relazione propria che c’è tra l’etichetta e il significato e poi
avremo delle altre relazioni, legate ai riferimenti.
Ambiguità: alcuni lessemi hanno più di un significato.
Polisemia: lo stesso significante ha significati diversi.
Omonimia: il significante è lo stesso ma i significati sono completamente
diversi.

La polisemia può essere anche una metafora quando io utilizzo un


significante per significati diversi. Nella metafora posso utilizzare la
somiglianza di qualcosa.
Metonimia invece estendiamo il significato ad un’altra cosa che gli sta
affianco. Esempio: fare una mano di pittura.
Sinonimia: significanti diversi ma con lo stesso significato.
Antonimia: un significante con un significato opposto. E possono essere
graduali o contraddittori.
Iponimia : quando il significato è incluso in un altro significato
Iperonimia: quando il significato include quello di un altro significato.

TRATTI DISTINTIVI
Che ci danno la possibilità di catalogare una cosa.
Uccello +animato –umano +che vola
Aeroplano –animato –umano +che vola

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