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Glottologia

La linguistica è una scienza abbastanza recente, nata nel 1916 con Ferdinand de Saussure, che studia il
modo in cui funziona il linguaggio ed i meccanismi intrinsechi ad una lingua. La nascita di questaQuesta
disciplina nasce come scienza storico-comparativa con la scoperta del sanscrito, che ha suscitato interesse
per la somiglianza che aveva con greco e latino. La linguistica sincronica nasce con carattere sincronico solo
con de Saussure; in realtà le questioni e riflessioni sulla lingua si hanno già in antichità con Dante, Platone,
Bembo, ecc.. La glottologia si oppone alla linguistica generale, perché la prima ha un carattere diacronico,
che quindi osservao il mutamento e non lnella variazione, le cui direttrici non sono sempre uguali.

La linguistica ha sia obiettivi teorici che pratici ed applicativi.

La differenza tra linguaggio e lingua storico naturale è che il primo è incancellabile, congenitota, universale,
immutabile e incancellabile; il la secondao può essere imparata senza addestramento esplicito, ma è
mutabile, cancellabile, non congenita ma data da un ambito culturale (metodo naturea ande culturea) e
singolare. In comunità diverse si parlano lingue diverse: perché? E perché è possibile riferirsi a oggetti con
diversi segni linguistici? Da cosa è dovuta questa arbitrarietà?

Le lingue sono quindi storico naturali e quindi si fondano su varie esigenze storiche, geografiche, culturali e
ambientali (si pensi alla distinzione che c’è in eschimese sui vari tipi di neve). Anche parole iconiche ed
onomatopeiche cambiano da lingua a lingua.

La forma di una parola cambia sempre anche se c’è un rapporto stretto tra significato e significante. Ogni
lingua ha il numero secondo un universale gerarchico (se c’è il paucale o il duale si ha anche il plurale:
esistono vari numeri quindi, anche il triale per esempio). Il linguaggio e lingua sono diversi: il linguaggio è
congenito, inapprendibile, universale, immutabile e incancellabile. Il linguaggio è sincronico ed anche
diacronico. Per esempio, l’esigenza di numero esiste in tutte le lingue, ma le lingue lo esprimono in maniera
completamente diversa: in greco esistono tre tipi di numeri, mentre in italiano ed in latino due. Quindi il
numero è tipico della facoltà di linguaggio, mentre le lingue storico naturali lo articolano in modo
completamente diverso.

Non si sa dove sia localizzata a livello biologico la facoltà di linguaggio.

Non solo le lingue cambiano da cultura a cultura, ma anche da individuo a individuo. La lingua individuale si
chiamano idioletti: quando un bambino acquisisce una lingua è esposto allod uno stimolo di tante
lingualingua individuali, che contribuirannoà a costruire un sistema complesso e generale di lingue
condiviso da tutti i parlanti di una determinata lingua. Gli idioletti comunque possono cambiare anche in
base ad altri parametri, di carattere sincronico. che possono essere anche sincronici.

Alcuni animali possiedono dei sistemi di comunicazione ed alcuni sono molto complessi (es api e formiche);
GLI ANIMALI usano vocalizzi diversi per segnalare nutrimento, pericoli o disponibilità di accoppiamento.
Nonostante ciò, gli argomenti sono limitati: non possono raccontare cose passate e future, non possono
mentire e fare promesse. Il linguaggio umano permette di parlare di cose secondo un numero limitato di
organizzazioni linguistiche (es: il gatto insegue il topo, il topo insegue il gatto); il linguaggio umano è
creativo e produttivo, arbitrario e semantico, sistematico e socialmente condiviso (idioletti). La
consapevolezza che le forme di comunicazione animali siano inferiorie è insita anche in modio di dire
(scimmiottare, ripetere a pappagallo).Il linguaggio umano ha vari vantaggi rispetto a quello animale: la
libertà da stimoli, il distanziamento, esprimere un pensiero, instaurare rapporti sociali, risolvere problemi e
creare modnimondi possibili. Tuttavia alcuni esperimenti dimostrano che alcuni animali comunicano di più
di altri: (il passero della corona bianca e lo storno sono in grado di comporre in modo creativo e produttivo
canti di accoppiamento); le balene megattere sanno presentarci attraverso il canto unità costitutive che a
loro volte costituiscono un testo (le varietà sono molteplici); i ratti e i cani sono in grado di associare
etichette verbali a oggetti; gli scimpanzè e i bonobo se addestrati riescono a comunicare semplici frasi con il
linguaggio dei segni; i cacatua australiani hanno dimostrato che due specie di verse possono imparare il
sistema comunicativo dell’altra; i pappagalli cinerini riescono ad imparare parole per descrivere la fisicità di
oggetti.

Il motivo per cui la lingua umana è superiore è grazie a specificjespecifiche precondizioni anatomico-
neurofisiologiche del corpo umano: un adeguato volume del cervello che permette la memorizzazione e la
conformazione del canale fonatorio a due canne

Quindi com’è emerso il linguaggio a livello filogenetico?

1) Vecchia ipotesi: pressione adattativa costante che negli ultimi milioni di anni avrebbe fatto
progredire i n modo liberare e graduare la facoltà umana del linguaggio (p.a.c= necessità
stringente). Per esempio, la necessità era quella di insegnare a cacciare meglio e riuscire a costruire
meglio dei gruppi sociali.
2) Traiettorie evolutive di caratteri anatomici de linguaggio: ultimamente analizzando codici genetici di
antenati si è visto che c’è un andamento spaiato tra caratteri anatomici e linguaggio. La nuova
ipotesi è che il linguaggio non sia la migliore risposta ad una pressione adattativa, ma è stato un
adattamento costoso ma produttivo: il periodo infantile viene allungato con l’insegnamento del
linguaggio (primo svantaggio); il fatto che il cibo possa ucciderti visto che può strozzarti (unica
specie che può morire cibandosi)-> sono tutti degli svantaggi.. Quindi probabilmente il linguaggio è
nato non da una pressione adattativa ma dall’evoluzione che ha portato a più sicurezza (tecnologia
litica, fuoco, cottura dei cibi, organizzazione sociali) e alla possibilità di nuove sperimentazioni
cognitive. Questo metodo è il nature and culture (i cambiamenti culturali possono diventare cruciali
di evoluzione biologica).

La lingua storica naturale ha anche una proprietà fondamentale: la transponibilità di mezzo. Una lingua
parlata può essere messa ipoteticamente sempre per iscritto. Bisogna segnalare a questo punto la priorità
che ha la lingua parlata rispetto a quella scritta. Innanzitutto la priorità è antropologica visto che tutte le
lingue scritte sono anche parlate e nessuno vieta ad una lingua parlata di essere fornita di un sistema scritto
da un momento all’altro; la priorità è ontogenetica siccome ogni individuo impara prima a parlare e poi a
scrivere; infine una priorità filogenetica visto che nella storia dell’uomo la scrittura si è sviluppata molto
dopo del parole: un embrione del linguaggio era già presente nell’homo abilis, mentre i primi pittogrammi
risalgono al 5000 a.C. (per un sistema di scrittura dovremmo aspettare i Sumeri nel 3500 a.C. e per un
alfabeto i Fenici nel 1300 a.C.). Dopotutto il canale fonico acustico ha un vantaggio rispetto a quello visivo:
può essere usato in qualsiasi circostanza, a distanza, permette una ricezione immediata e l’identificazione
dell’emittente, è evanescente e non occupa il passaggio di altri messaggi ed è meno faticoso, realizzabile in
concomitanza con la respirazione. Effettivamente il fatto che il messaggio orale sia evanescente non per
tutti rappresenta un vantaggio, come ci segnala il detto latino verba volant scripta manent; inoltre lo scritto
ha una priorità giuridico-sociale in questo periodo storico, come in molti altri; tuttavia possiamo comunque
dire che il linguaggio verbale abbia molti più vantaggi di quello scritto.

Quello che hanno in comune il linguaggio e i sistemi di comunicazione sono i sistemi di segni (aliquid stat
pro aliquo). Tutti i significati di segno hanno in comune una componente sensibile e una componente
mentale, che concettualizziamo con la mente. Il segno è un’entità costituita da un’espressione ed un
contenuto. Il segno ha un significante (grafemi e foni), il significato (l’idea di una cosa che conosciamo nella
realtà ma astratta), la referente (la cosa vera) -> triangolo semiotico creato da De Saussure. Questo è il
concetto della biplanarità dei segni

Elenchiamo di seguito altre caratteristiche tipiche del linguaggio:


- La doppia articolazione dei segni linguistici: attraverso unità prive di contenuto di seconda
articolazione (fonemi) si possono creare potenzialmente infinite unità di prima articolazione
(morfemi).
- La linearità (percepire su una linea i foni-> monodirezionalità del segno linguistico) e la discretezza
(differenza assoluta trai segni con un netto separatore: se diciamo CAAAAANE, esso non è più
“cane” di un cane)
- Onnipotenza semantica e plurifunzionalità (vd funzioni di Jakobson):
- La produttività e ricorsività (cfr con doppia articolazione): le strutture di una lingua possono
ricorrere in circostanze e combinazioni diverse, dando origine a diversi enunciati con significato
diverso. Per alcuni la ricorsività non sempre un vantaggio siccome geraziegrazie ad essa possiamo
generare potenzialmente infinite incassature di subordinate, che spesso fanno perdere il focus sulla
principale.
- Complessità sintattica: alto grado di elaborazione strutturale grazie all’ordine dei costituenti, le
relazioni strutturali e le dipendenze, le incassature, la presenza di congiunzioni e la possibilità di
discontinuità (in tedesco il verbo portatore di significato lessicale è alla fine)
- Equivocità: ad un significante possono essere associati forminnumerevoli significati¸ciò permette
anche di essere generici..

SEMIOTICA

Quello che hanno in comune il linguaggio e i sistemi di comunicazione sono i sistemi di segni (segno: aliquid
stat pro aliquo; un segno è qualcosa che sta per qualcos’altro). Tutti i significati di segno hanno in comune
una componente sensibile e una componente mentale, che concettualizziamo con la mente. Il segno è
un’entità costituita da un’espressione ed un contenuto. Il segno ha un significante (grafemi e foni), il
significato (l’idea di una cosa che conosciamo nella realtà ma astratta) ed il referente (la cosa vera) ->
triangolo semiotico creato da De Saussure. Questo è il concetto della biplanarità dei segni.

Tipi di segni:

 foglie gialle: sta arrivando l’autunno; colonna di fumo: c’è un incendio; impronte sulla neve: un
animale è passato. (indici) Il legame è naturale o causale; il fenomeno è di significazione, non
intenzionale
 segnali: sono motivati naturalmente ma usati intenzionalmente (sbadiglio per comunicare che sono
annoiato)
 ritratti e emoji (icone). Il legame è analogico.
 I simboli: solo dopo una convenzione sociale assumono un significato (semaforo, comunismo,
simbolo della pace). Il legame è quindi arbitrario.
 Segni in senso stretto: sono non motivati culturalmente e usati in maniera intenzionale. La divisione
tra simboli e segni in senso stretto non è molto felice; quindi, si userà semplicemente il termine
simbolo.

Per icone e simboli il fenomeno è di comunicazione, intenzionale.

I segnali stradali sono segni misti perché hanno una componente iconica (pedone) e una simbolica (vietato
per, solo per).

Un atto di significazione non è intenzionale (io che arrossisco quando mi sento in imbarazzo), mentre un
atto di comunicazione è intenzionale e a volte analogico. Per icone e simboli il fenomeno è di
comunicazione, intenzionale.
I sistemi di segni si chiamano codici. Le lingue naturali sono fatte prevalentemente da simboli. La struttura
dei segni linguistici è stata individuata da Louis Hjelmslev (2 piani, 2 strati); strati: forma
(significanti,fonemisignificanti, fonemi) sostanza (suoni, foni); piani: significati, sensi o .accezioni.

La forma dell’espressione è un insieme di fonemi che i parlanti rimandano all’entità astratta usata da quella
parola; sostanza dell’espressione: foni, quindi la concreta realizzazione di un suono; forma del contenuto:
riguarda effettivamente l’accezione che può avere una parola nel vocabolario (casa denota tutte le case
possibili); sostanza del contenuto: a cosa rimanda in un determinato contesto sociale in cui viene espresso
un enunciato (dove c’è Barilla c’è casa).

Saussure e Benveniste hanno articolato la nozione di arbitrarietà in tre tipi:

 -Assoluta: Rapporto tra forma e sostanza dell’espressione-> stesso contenuto espresso in forme
diverse o viceversa. Quindi parole che hanno lo stesso suono possono significare cose diverse.
 -Formale: rapporto tra forma e sostanza dell’espressione; data la stessa sostanza, le forme
cambiano. La distinzione di lunghezza vocalica, consonantica e anche variazione dell’apertura della
vocale. In latino per esempio la lunghezza vocalica distingue parole diverse o forme della stessa
parola. In alcune lingue dell’africa meridionale lo schiocco della lingua può distinguere parole delle
diverse (lingue click); ci sono dei click di vario tipo-> lingue khosa. Una di queste lingue è la khosa.
 -<Ssemantica: rapporto tra forma e sostanza del contenuto; ciascuna lingua ritaglia la materia del
contenuto formandola in maniera propria. In alcune lingue si distingue nipote di nonno e nipote di
zio; in francese un unico significante veicola il significato di bosco e legna.

L’arbitrarietà potrebbe sembrare uno svantaggio, in realtà offre dei vantaggi:

1) la genericità (es: albero racchiude tutte le specie; pioppo racchiude tutti i pioppi che incontro); 2)
2) economicità: se i segni fossero non arbitrari sarebbero ingestibili;
3) simbolicità: posso usare la parola senza la sua presenza fisica (intelligenza simbolica, parlare di una
cosa senza referente: raccontare del passato, mentire, fare promesse.)

I limiti dell’arbitrarietà: il codice del linguaggio è fatto principalmente da simboli, ma c’è anche una
componente di iconicità (es: i nomi di mestieri derivati da dei sostantivi hanno una loro motivazione;
benzina e benzinaio, giornalaio e giornale). Però è anche vero che “aio” non è l’unico modo di formare
nomi di lavoratori (es: edicolante). Anche il problema di composizione ha un limite di motivazione
(posacenere ,apribottiglieposacenere, apribottiglie, ecc….): al partire da due segni arbitrari e poco motivati
posso intuire il significato più motivato nel loro composto. Nonostante ciò, il termine non è del tutto
motivato (apribottiglie può essere anche un sinonimo connotato negativamente di sommelier). Quindi se
esistono segni più o meno motivati, bisogna interrogarsi sul come misurare la loro motivazione? Ci sono
due canoni:

1) La trasparenza: osservazione < osservare 😊; fusione < fondere ☹ (PIANO DELL’ESPRESSIONE)


Accendisigari 😊; accendino ☹ (PIANO DEL CONTENUTO) ->polifunzionalità di -ino
(orecchino, gattino, spazzino, trentino, ecc..)
2) La diagrammaticità: gr.ant. luw (io sciolgo) > e-lu-se (sciolse) 😊
Bainw (vado) > e-be (andò) ☹

Limiti dell’arbitrarietà:

- Le onomatopee sono più iconiche perché c’è un legame di somiglianza tra suono e contenuto
(come i versi degli animali); tuttavia le onomatopee hanno rese diverse in ogni lingua.
- Ideofoni (non si se siano considerate parole)
- Fonosimbolismo: è stato dimostrato che nelle lingue le lettere /i/ e /u/ sono presenti in oggetti che
identificano cose piccole, mentre /a/, /e/, /o/ per oggetti grandi. Questo fenomeno non esiste solo
nei testi poetici, ma sono stati fatti proprio degli esperimenti linguistici. [vd: fonosimbolismo
manovi, carocci, consiglio di lettura]. Questo fenomeno sradica teorie linguistiche secolari: a partire
dagli strutturalisti è stato detto che il morfema è il più piccolo segno linguistico dotato di significato
lessicale o grammaticale, mentre se le scompongo nei suoni questi non vengono ad individuare dei
significati; ma la scoperta del fonosimbolismo cambia le carte in regola: certi suoni indicano
effettivamente dei corrispettivi semantici Tuttavia queste corrispondenze non sono regolari; anzi
spesso suoni che dovrebbero identificare una dimensione, identificano quella opposta (es: big e
small).
- Le forme del plurale sono più lunghe del singolare solitamente a livello paralinguistico (ci sono dei
casi: se c’è disparità le forme del plurale sono in genere più lunghe; stessa cosa succede tra
superlativi e termini di grado positivo). Questo fenomeno è iconico perché il fonema aumenta
all’aumentare della quantità o qualità. Anche qui non c’è una regolarità: in italiano solo alcune
parole al plurale hanno maggiore materiale fonico
- Raddoppiamento: grande grande per dire grandissimo; udu udu per dire pecore invece che pecora
(udu). Quindi in alcune lingue in plurale o il superlativo si formano col raddoppiamento.
- Ordine delle parole e delle frasi: veni vidi dici (ordine cronologico); il rettore, i direttori del
dipartimento, i docenti (ordine gerarchico). I connettivi di solito conservano gli ordini degli eventi.
- Etimologia: un’associazione immotivata attraverso una ricostruzione etimologica si può spiegare.
(captivus “prigioniero”, cattivo “malvagio”>captivus diaboli) (iecur “fegato”, x una ricetta romana
iecur ficatum-> ficatum diventa fegato).

Trai segni linguistici ci sono rapporti

1) sintagmatici tra gli enunciati (catena lineare con rapporto orizzontale ed in prasentia): i rapporti
sintagmatici collegano elementi linguistici presenti negli enunciati (“la bella ragazza” ha dei rapporti
abbastanza stretti). Esistono dei rapporti però dei rapporti chiamati rapporti di costituenza che
legano i costituenti interni all’enunciato che cambiano il rapporto tra essi (l’accordo è
fondamentale per capire i rapporti sintattici nella frase). Noi di fatto ascoltiamo una catena di foni e
non un continuum: aggiunta di foni e, quindi di informazioni, possono variare il significato di ciò che
abbiamo compreso prima.
2) Esistono dei rapporti chiamati verticali, in absentia, che sono di tipo associativo, collegano quindi
rapporti tra elementi associati ma non compresenti nella stessa frase. All’interno dei rapporti
associativi ce ne sono altri (cane e abbaiare per esempio): se io uso un verbo come combattere,
questo trattiene un rapporto associativo con tutta la sfera semantica della guerra e del
combattimento; questo in linguistica si chiama frame (le parole fanno parte di una sfera
concettuale che noi richiamiamo alla mente ogni qual volta si parla di quel determinato tipo di
rapporto). Es: uno richiama due, tre, quattro, nessuno, ecc..
3) Rapporti paradigmatici (sottoinsieme dei rapporti associativi): posso sostituire una parola con altre
senza cambiarne la grammaticità (es. alcuni, i, dei, questi, molti). Questo tipo di rapporti sono
verticali.

Il sistema linguistico è astratto, sociale e condiviso ma la concreta realizzazione di questo sistema linguistico
sono gli enunciati: qui ritorniamo al concetto di idioletto. Le tre componenti sono: il sistema linguistico
astratto, gli enunciati e gli individui con le loro conoscenze linguistiche, che sono sempre in rapporto
febbrile tra loro. Queste dicotomie sono divise da Langue, sistema linguistico socialmente condiviso ed
immutabile, e Parole, il sistema dei concreti atti del parlare (enunciati) che sono sempre diversi (divisione di
Saussure). Noam Chomsky ha invece diviso in:
1) Competenza (conoscenza individuale delle regole della lingua in maniera inconscia che coincide
con il linguaggio di tutta la comunità; può essere grammaticale e pragmatica, ovvero che cambia dal
contesto). In pratica il parlante impara anche in maniera inconscia le regole della lingua a cui viene
esposto, estraendo la sua competenza di quella lingua. Quindi Chomsky tralascia tutta la parte del
valore sociale. La competenza può essere grammaticale (es: in italiano il verbo deve accordarsi col
soggetto) e pragmatica, ovvero la conoscenza di quanto un qualcosa sia adeguato in un
determinato contesto.
2) Esecuzione (effettiva esecuzione di enunciati compresi in maniera corretta).

Hjemslev divide tra sistema e uso.

LIVELI DI ANALISI LINGUISTICA

La fonetica è il livello relativo alla sostanza dell’espressione e identifica i modi in cui suoni sono prodotti. La
fonologia è un livello relativo alla forma dell’espressione ed analizza il significante nelle sue unità minime,
cioè i fonemi, che hanno valore distintivo. La morfologia è il livello definito dalla prima articolazione le cui
unità minime si chiamano morfemi, che hanno valore significativo, ed analizza la struttura delle parole
(primi tre livelli).

La sintassi è il livello definito dalla prima articolazione su un rango superiore, la cui unità minima è la parola
e la massima la frase; la semantica è relativa all’intero piano del contenuto in tutta la sua forma e la
sostanza; la pragmatica è il livello relativo agli usi del linguaggio ed alla funzione che assume nelle concrete
situazioni comunicative: esempio: ho due gatti (se faccio un’analisi semantica vuol dire che ho due gatti ma
potrei averne anche tre; se lo guardo dal punto di vista pragmatico capisco dal contesto comunicativo che
ne ho due e solo due)-> spesso quando si parla si usano degli enunciati diversi per ottenere una cosa che
con le nostre parole non stiamo comunicando direttamente. In realtà questi livelli sono interconnessi tra
loro sia in diacronia che in sincronia: i vari livelli sono poli di attrazione e le sovrapposizioni sono numerose
(macchina da lavare non è identificabile nella sintassi ma ancheo nella morfologia).

Esistono tre tipi di classificazione (genealogica, tipologica ed areale). La linguistica è nata il 2 febbraio 1786:
sir William Jones, con la scoperta del sanscrito: afferma che il sanscrito, il latinolatino, ed il greco, il celtico e
forse anche il persiano fanno parte della stessa famiglia. Con questa frase nasce la linguistica comparata. La
forma comune da cui derivano tutte le lingue indoeuropee è il protoindoeuropeo (quando leggiamo proto
vuol dire che la lingua non è attestata ma è stata ricostruita dai linguisti attraverso il metodo comparativo).
Le lingue per cui non siamo in grado di individuare una famiglia sono isolate.

LE LINGUE DEL MONDO

1) LINGUE INDOEUROPEE
- Il latino, le lingue romanze e le lingue dell’Italia antica: latino arcaico, classico, tardo-
volgare(volgare (varietà diastratica e diamesica. Da questo si sono formate le lingue
romanze (italiano, francese, portoghese, spagnolo, gallego, catalano, ladino, rumeno,
romancio, sardo, provenzale). Le lingue italiche sono l’osco (Sanniti- italia meridionale) e
umbro (italia centrale: conosciute grazie alle Tavole Iguvine (presso Gubbio).
- Il greco (miceneo, arcaico, classico, tardo-koinè, bizantino e neogreco).Varietà artifciale
moderna esistita fino a poco tempo fa: katharéousa.
- Le lingue germaniche (II d.C): germanico settentrionale (nordico> danese, svedese,
norvegese, islandese); germanico orientale (gotico); germanico occidentale (inglese,
tedesco, olandese, frisone, afrikaans)
- Le lingue celtiche: continentale, noto solo attraverso l’onomastica (gallico, celtiberico,
lepontico e galatico); insulare (gallese, irlandese, gaelico scozzese, cornico, bretone,
mannese). Prime iscrizioni di rilandese (IV d.c.: iscrizioni ogamiche)
- Lingue anatoliche (1800 a.C.): ittita, luvio cuneiforme e palaico (II millennio); licio, miliaco e
lidio (alfabetici) e luvio geroglifico.
- Albanese: tosco (meridone) e ghego (settentrione)
- Tocario (Turkestan): A e B
- L’indoiranico: lingue iraniche (avestico, dal poema L’Avesta di Zoroastro e persiano antico>
persiano moderno- farsi, curdo e pashtun) e indoarie (sanscrito, 1300 a.C., hindi, marathi,
gujarati, urdu)
- Lingue slave: meridionale (paleoslavo di Costantino e Metodio-> , sloveno, croato, bulgaro
e macedone), slavo orientale (russo, bielorusso e ucraino) e occidentale (ceco, slovacco e
polacco)
- Lingue baltiche: lituano antico, prussiano antico, lituano e lettone
- Armeno: grabar o armeno classico, varietà anatolica (cancellate) e caucasica.
2) Lingue afroasiatiche
 Lingue semitiche: egiziano, arabo, ugaritico, fenico, ebraico, aramaico (occidentale)
accadico (paleoaccadico: babilonese e assiro), etipico, sudarabico
 Lingue cuscitiche: somalo e oromo
 Lingue omotiche
 Lingue ciadiche: hausa
3) Lingue uraloaltaiche: lingue uraliche, che si dividono in ugrofinniche (finlandese, estone, lappone e
ungherese) e samoiede (sirieno), e altaiche (turco, mongolo, tunguso-manciurio)
4) Lingue caucasiche: nordoccidentale, nordorientale e cartvelico (gerogianogeorgiano)
5) Lingue nigercongolesi lingue bantu, dal protobantu, tra cui swahili, kwa e yoruba.
6) Lingue nilotiche
7) Lingue khoisan (schiocco)
8) Lingue sinotibetane
 Cinese: mandarino, wù, yuè, min, hakka.
 Tibetobirmano: tibetano
9) Coreano e giapponese
10) Lingue australiane e dell’area pacifica:
 Melanesiane
 Polinesiane: maori, tahitiano, hawaiano, samoano, tongay
11) Lingue amerindiane
 Utoazteco (nahuatol, maya, quechua)
 Eschimo-aleutino (apache, bavajo, souc, algonchino, cherokee-irochese)
12) Lingue e gruppi isolati: dravidico (tamil), thai; etrusco, hurrico, uratreo, basco, sumero.

Bisogna interrogarsi su quale sia il valor di queste forme ricostruite e su una rappresentazione linguistica ad
albero genealogico. Dixon infatti aveva teorizzato, studiando le lingue austronesiane, che un tipo di
rappresentazione così potesse essere utile solo per l’indoeuropeo, ma fuorviante per le altre famiglie
linguistiche; per la sua concezione bisognava quindi vedere l’indoeuropeo come una fascia di isoglosse tra
varie lingue che si sono influenzate da loro e di conseguenza non come una lingua allo stato embrionale,
ma come il risultato di molte influenze precedenti. Ci rendiamo conto che inoltre che attraverso la
ricostruzione non si arriva alla lingua originaria: se dovessimo mettere a confronto le lingue romanze senza
avere il latino, otterremo una forma ricostruita che avrà delle caratteristiche in comune col latino ma non
sarà identica a questo.
Ci sono dei limiti della variabilità linguistica? Se sì perché? Quali sono o meno i tipi attestati? La
classificazione tipologica serve a creare delle generalizzazioni: universali implicazionali (se una lingua ha il
verbo alla fine allora ha solo postposizioni-> falso), universali assoluti (ogni lingua ha vocali orale), universali
gerarchici (se esiste il duale esiste anche il plurale).

Classificazione areale: lingue non imparentate tra loro possono mettersi a contatto e sviluppare aree
linguistiche tra loro. Un’area linguistica (Sprachbund) di grande interesse è l’area balcanica (es: si usa una
forma ridotta del verbo volere per formare il futuro, l’articolo è postposto, il suffiso nt è diventato nt-> il
greco moderno per l’influenza balcanica si distingue dal suo antenato).

Le lingue pidgin e creoli sono nate in un contesto di schiavismo. Le lingue creoli hanno come caratteristica
avere alla base la lingua colonizzante (lessificatrice), mentre le lingue pidgin non hanno parlanti nativi e
sono lingue di contatto per il commercio, tra cui il russenorsk.

Qui ci addentriamo comunque in un problema enorme: cos’è una lingua? Una lingua morta è ancora una
lingua o una lunga che è variata così tanto rispetto al suo antenato è da considerarsi una lingua diversa?

Effettivamente anche con creoli e pidgins, lingue non soggette a mutamenti, ci si pone questo problema.
Una lingua può essere inventata artificialmente, come l’esperanto, che tuttavia non ha avuto successo e
non è stato adottato da una comunità grande di parlanti; una lingua può addirittura rinascere, come
l’ebraico.

Inoltre, secondo l’UNESCO la metà delle lingue che esistono attualmente è destinata a scomparire.
Vediamo anche come effettivamente in Italia, gradualmente, ci sia stata una scomparsa del dialetto e,
nonostante oggi esistono associazioni che tentino di mantenere la varietà linguistica, spesso per questioni
di prestigio una comunità di parlanti sceglie di non parlare più una lingua.

PRAGMATICA

Langue: sistema linguistico; parole: concreto uso del sistema; Benveniste dice che la realizzazione degli atti
di parole non è scindibile dal sistema; quindi, i due piani non possono essere tenuti strettamente separati.

In pragmatica un testo può essere sia scritto che parlato ed è un insieme di enunciati; un testo ha bisogno
un io ed un tu, che sono un binomio inscindibile determinato dal ruolo nel dialogo. Il lui si caratterizza per
una terzità ed un’esclusione nello scambio conversazionale e quindi non entra a far parte del discorso. I
pronomi personali devono essere messi in relazione ad un io ed un tu, anche i pronomi indeterminati
possono essere messi in relazione con gli interlocutori. “Questo” indica entità vicine a chi parla ma anche
identificabili da chi ascolta; così anche gli avverbi di luogo (deissi). Se pensiamo al tempo anche questo si
riferisce al momento in cui avviene il discorso. Il passato ed il futuro sono categorie deittiche perché
dipendono dal conversatore. Tutti questi elementi sono deittici/indicali/indessicali mettono in relazione gli
enunciati con coordinate spazio-temporali dell’atto di enunciazione-> la deissi mette in relazione le lingue
col contesto. La deissi è il modo in cui le lingue del mondo codificano gli aspetti dell’enunciato e dell’atto
comunicativo, creando una relazione tra lingua e contesto d’uso. La deissi può essere, macroscopicamente,
divisa in trasparente (che riguarda l’ego, l’hic e il nunc) e opaca (che ha bisogno di uno sforzo
extralinguistico del parlante: il giorno dopo ci sono (rispetto a che giorno?), questa giacca mi piace (il
parlante sta indicando una giacca?)

 Deissi personale: codifica il ruolo dei partecipanti (parlanti, riceventi, interlocutori) e viene
segnalata dai pronomi personali (io sto qua-> chi è “io”?)
 Deissi spaziale: codifica della collocazione spaziale dei parlanti nell’evento comunicativa (qui,
lì); i deittici spaziali si dividono in distali e prossimali. In realtà questa divisione in italiano è a tre
(questo, codesto e quello); codesto è prossimale rispetto al tu (iste indica vicinaznavicinanza al
tu ma solo se nella conversazione c’è un contrasto tra tu ed io). Es: “allontanati!”-> da dove?
 Deissi temporale: codifica della collocazione temporale relativa al momento in cui viene
enunciato un avverbio. “dovrò passare al supermercato” -> rispetto a quando?
 Deissi testuale, o del discorso: codifica del modo in cui l’enunciato si relaziona a porzioni
precedenti o successive del discorso. “Alessio è un bel ragazzo…. Comunque lui non è molto
intelligente”-> chi è “lui”?
 Deissi sociale: codifica delle differenze sociali tra i partecipanti-> il lei di cortesia; in un bar: “mi
scusi, posso avere un caffè?” / “un caffè grazie”/ “tesoro, il solito mi raccomando!”.
 Deissi empatica: codifica la distanza cognitiva rispetto a ciò che si dice e al proprio
interlocutore. L’uso dei dimostrativi può essere empatico anche per raccontare una storia con
vicinanza. “sono stato a questo paesino carinissimo! C’era una bellissimissima atmosfera di
festa” -> cosa vuokle esprimere un uso così marcato di diminutivi e accrescitivi?

Buoler formula questa teoria: la deissi ci concentra in un centro deittico o “origo” che corrisponde nella
sua realizzazione (prototipica ai valori di io, qui e adesso- ego, hic, nunc). Le lingue storico naturali sono
designate nell’interazione faccia a faccia, ma l’avvento dei nuovi media sta portando ad un abbandono
tra la corrispondenza parlato-parlato e scritto-scritto.

Benveniste distingue tra il piano della storia ed il piano del discorso; il piano della storia è privo di deissi
e non c’è nessun elemento autobiografico; il piano del discorso: i deittici ancorano attraverso degli
shifters il piano del contenuto a quella del contesto (ANCORAGGIO)->operazione tramite la quale mi
aggancio all’origo. Con la deissi si stabilisce un ancoraggio talmente evidente con la comunicazione
tantoché lo studio della pragmatica è stato spesso assimilato con le strutture deittiche; in realtà con
pragmatica si intende molto di più di ciò che sono le deissi. Per Charles Morris la pragmatica è il
rapporto trai segni e coloro che li utilizzano. La pragmatica studia il linguaggio nel contesto in cui viene
usato come strumento d’azione con cui il parlante può esprimere le proprie intenzioni e suscitare
reazioni nel proprio interlocutore. Ogni atto comunicativo è atto di comunicazione umana. Per Morris
la pragmatica era da intendersi come una delle tre parti della semiotica, che si divideva in: sintassi,
semantica, pragmatica. Quindi la pragmatica non studia solo la proprietà della frase ma l’intero sistema
comunicativo in cui essa è posta.

Le basi della pragmatica si collocano nella filosofia del linguaggio e nel secondo Wittgenstein (Ricerche
filosofiche): il linguaggio non serve solo a descrivere la realtà ma ha molte altre funzioni. La filosofia
analitica si occupa del linguaggio ordinario, non quello scientifico.

Non a tutti gli enunciati è attribuibile un vero e un falso: non si può attribuire verità a comandi,
promesse, domande, metonimie, ecc..

Gli enunciati dichiarativi (o constativi, o asserzioni) fanno informazione su cui è possibile dire la verità;
per molto tempo la filosofia del linguaggio studiava la verità o falsità di un enunciato, soprattutto per le
influenze della filosofia aristotelica, che osservava il Logos (discorso apofantico, fatto di enunciati
dichiarativi). Proprio per Wittgenstein: non a tutti gli enunciati è attribuibile valore di verità; per la
comprensione linguistica è importante conoscere il contesto e cotesto. Queste due osservazioni sono
evidenti in enunciati con espressioni deittiche, enunciati performativi, domande, ordini, atti linguistici
diretti, enunciati con metonimie o metafore. A questi enunciati sono attribuibili valori di felicità ed
efficacia (soddisfano la situazione comunicativa di chi li ha eseguiti): per esempio un atto performativo
non è felice se a dire vi dichiaro marito e moglie non è una persona adibita a quel compito (prete o
ufficiale)..

Anche il funzionalismo linguistico ha manifestato un costante interesse per le questioni di tipo


linguistico nella pragmatica; quindi, funzioni, uso e contesto comunicativo.
Buhler dice che lo scambio comunicativo comprende dei referenti, un emittente e un ricevente; esso
assegna ad ogni elemento una funzione. Se l’enunciato si concentra su oggetti e relazioni (referente) ha
una funzione rappresentativa e descrittiva; se è più importante l’emittente la funzione è espressiva; se
è legata al ricevente è una funzione di appello.

Jakobson: contesto (funzione referenziale), messaggio (funzione poetica, quando la forma


dell’espressione comunica e veicola un determinato contenuto), mittente (funzione emotiva),
destinatario (funzione conativa), canale o mezzo di comunicazione (funzione fatica), codice (funzione
metalinguistica, quando si chiede spiegazione sulla lingua attraverso la lingua stessa).

La funzione emotiva permette all’emittente di esprimere un suo stato d’animo e delle sue emozioni, la
funzione conativa è quella per cui il mittente si sforza di avere un effetto sul destinatario, la funzione
fatica è quella che rifletta sul canale comunicativo, la funzione referenziale permette di fare riferimento
a contesto e cotesto. Bisogna sottolineare che la funziona metalinguistica si sviluppa molto tardi
nell’individuo ma è caratteristica e portatrice di una delle più importanti caratteristiche della lingua
umana: la riflessività.

Halliday: funzione ideazionale (rappresentazione del mondo o di stati emotivi del parlante; unisci la
funzione referenziale di jakobsonJacobson a quella emotiva e si concentra più sul fatto che un
enunciato possa avere un referente che sul tipo di referente) distinta in esperienziale, che si concentra
sul mondo esterno ed interno al parlante, e logica, che si concentra sul modo in cui vengono organizzati
gli enunciati; interpersonale (relazione trai membri di una comunità linguistica, come ordini, domande,
esortazioni, promesse); funzione testuale (riferimento al contesto e al cotesto, simile alla funzione
metalinguistica).

Gli atti linguistici sono divisibili in:

- Locutivo o locutorio: enunciazione divisa in atto fonetico (produzione di una catena di suoni), fatico
(parole dotate di una struttura grammaticale) e rhetico (insieme di parole dotato di
senso).Locutorio: pronunciare una sequenza di foni (espressione del segno)
- Locutivo: esprimono significati in un certo contenuto referenziale
- Illocutivo: intenzione dell’enunciato
- Perlocutivo: provocazione di effetti sul destinatario

Austin divide gli atti illocutivi in verdittivi (giudizi, verbi come ritenere, ), esercitivi (esercizio di un
potere, verbi come dichiarare, proclamare, eleggere, ecc..), commissivi (assunzione di un impegno,
verbi come ), espositivi (espressioni di argomentazioni e punti di vista, verbi come negare, obiettare,
concludere), comportativi (reazioni a comportamenti altrui, verbi come scusarsi, felicitarsi, maledire);
Searle divide inIN dichiarativi (cambiamenti in stato di cose istituzionali, es: battezzare, dichiarare),
direttivi (volontà di indurre a fare qualcosa), commissivi (impegno), rappresentativi (impegnano il
parlante nei confronti della verità dell’enunciato, verbi come asserire, dedurre, ma in generale verbi che
rispondo alla domanda è vero o falso?), espressivi (esprimono uno stato psicologico).

Molto spesso quando parliamo facciamo atti linguistici indiretti (es: quanti anni hai detto d’avere?
Domanda che viene posta anche nel momento in cui non è stata detta l’età). Questi atti sono
constatazioni formalmente, ma hanno un’intenzione illocutiva e non locutiva. Da qui si arriva alla
distinzione tra linguaggio letterale e non letterale: un esempio sono metonimie, metafore, l’ironia ed
espressioni idiomatiche (nb: l’espressione idiomatica non è una metafora, ma è dovuta a determinati
fattori sociali e culturali). Searle ha studiato molto attentamente questi atti indiretti, usati più
frequentemente con funzione direttiva: enunciati direttivi vengono incassati in domande, in frasi
metalinguistiche o in frasi performative, per sembrare meno diretti.
Perché si continuano ad usare espressioni non letterarie se mettono in difficoltà il linguaggio? Questa
risposta ce la dà la sociologia: spesso non usiamo ordini per essere cortesi. La cortesia è un insieme di
strategie e procedure che mirano a non ledere la propria e l’altrui faccia soprattutto rispetto al rispetto
della distanza dal proprio interlocutore; la faccia è il rispetto della propria e altrui identità sociale; il
contesto/circostanze è un insieme di coordinate spazio-temporali in cui si verifica l’evento enunciativo.

Grice distingue tra significato dell’espressione (livello locutorio) e significato del parlante (livello
illocutivo), che negli atti linguistici sono diversi. Ci sono casi in cui a determinate espressioni sono
associati determinati scopi impliciti (es: Giovanni ha tre figli è vero anche se ne ha quattro, ma in quel
caso non sarebbe informativa). Ma come capiamo tutto ciò che di implicito c’è nelle conversazioni?
Attraverso quello che Grice ha chiamato principio di cooperazione.

1) Massima della quantità: dare un contributo appropriato sotto il profilo della quantità di
affermazioni
2) Massima della qualità: non dire cose che credi false o che non hai ragioni per credere vere
3) Massima della relazione: esprimersi in modo coerente
4) Massima del modo: esprimersi chiaramente e (più possibilmente) non ambiguo (l’ambiguità è
economica ed è tipica di ogni segno linguistico)

Spesso queste massime vengono violate per un chiaro intento comunicativo. Noi continuamente facciamo
presupposizioni all’interno della frase, ritenendo valido il principio di cooperazione, non sempre violando
massime e volendo comunicare un qualcosa di implicito. La presupposizione sta nell’organizzazione stessa
del sistema linguistico (Gianni legge: Gianni esiste e sa leggere): si notino i verbi fattivi (sapere, confessare,
rrimpiangererimpiangere) che veicolano sempre la verità della proposizione, pure negandola (se dico “non
so qualcosa” e “so qualcosa” entrambe le affermazioni possono essere vere). Infatti, per le a
presupposizioni è dondamentaklefondamentale il focus della negazione, che a seconda dell’interpretazione
può avere diversi significati (il gatto non insegue un topo o il gatto non insegue un topo).

Il meccanismo tramite il quale facciamo asserzioni su affermazioni, credenze non replicate dal parlante, si
chiamano implicature conversazionali. Tutto il meccanismo inferenziale si chiama implicatura; ci sono altri
tipi di implicature che sono sistematicamente associate a delle espressioni linguistiche.

Es: se dico di aver mangiato un po’ di torta, non è detto che non l’abbia mangiata tutta (è vero che ne ho
mangiata un po’ anche se l’ho mangiata tutta).

Queste si chiamano implicature scalari, quindi legate ad espressioni linguistiche (alcuni possono essere
tutti, un po’ può significare tutto, anche può essere non solo). Questa implicatura si usa perché non si
hanno abbastanza informazioni per determinare una precisa quantità di qualcosa.

Non è detto che tutte le implicature associate ed espressioni linguistiche siano associate a delle scale; ci
sono anche quelle convenzionali.

Es: L’Atalanta è tornata in serie A (ci è già stata); Giorgio è povero ma felice (di solito chi è povero non è
felice).

Molto spesso quando si legge “E” si pensa ad “e poi”; non è detto che “e” colleghi due elementi
asimmetrici, ma può collegare anche elementi simmetrici. Dunque, il connettivo “e” ha due significati o un
significato vago? La pragmatica in questo caso ci permette di avere un certo minimalismo semantico grazie
al rasoio di Okchccam, secondo cui i sensi non devono essere moltiplicati più del necessario.

Quando ci accorgiamo che una massima viene violata ci domandiamo il motivo per cui abbia voluto violarla
il parlante? Questa domanda ci fa passare dal senso dell’espressione, quello che viene detto, a quello del
parlante, quello che il mittente volevo realmente intendereto. SiI possono variare massime perché si esce
palesemente dal raggio di azione di queste massime (ordini sotto forme di richieste, ironia sulla massima
stessa). Ci I sono anche artifici conversazionali come l’ironia (massima della qualità), metafora (qualità e
modo), metonimia (modo).

SIGNIFICATI IMPLICITI E PERSUASIONE

Il “no, grazie” del Forza Italia non implica soltanto che quella forza non avrebbe attuato quelle decisioni, ma
anche che gli altri l’avrebbero fatto! Questo no grazie è tornato anche più recentemente con la lega di
Salvini. Anche “l’ulivo e la margherita” adottano lo stesso sistema comunicativo e manipolatorio, scrivendo
sui propri cartelloni dei messaggi evidenti e facilmente condivisibili, ma per lasciare il messaggio che altre
forze non rispetteranno quei pochi diritti umani (sanità, lavoro). I messaggi impliciti spesso contengono
contenuti scomodi, su cui gli emittenti non vogliono impegnarsi.

Le costruzioni a lista servono a riunire elementi con qualcosa in comune ed anche essa ha una carica
manipolatoria. Molto spesso si dice meno di quello che si intende (paolo beve: noi capiamo che è un
alcolista, non che beve acqua) -> implicazioni stereotipiche.

“Mentre” aveva un significato soltanto temporale che indicava simultaneità; ora il significato di mentre è
anche avversativo. Questo significaota si è sovrapposto niente perché nel mentre che una persona fa un
qualcosa, un’altra può fare l’opposto (mentre io lavoro, tu fai) -> il significato avversativo è emerso per la
centralizzazione di un implicatura (in diacronia). Quindi ora ha assunto un valore di connettivo polisemico.

Tutte le massime sono ugualmente importanti o c’è una gerarchia di massime? I prime due a ridurre le
massime sono Atlas e Levinson (1981, allievo di Grice) secondo il principio di informatività, che ritenevano
più importante; parlano allora di inferenze conversazionali generalizzate (processi inferenziali tipici di frasi);
operano una distinzione allora tra significato letterale e significato del parlante (all’interno fanno anche
un’altra divisione: utterence-token meaning)

1- Chiara mangia alcuni tipi di carne (sentence meaning)


2- Chiara mangia alcuni tipi di carne e non tutti (utterence-type meaning)
3- Chiara non è vegetariana (utterence-token meaning)

Un’altra osservazione che fanno: le massime del maestro possono produrre impiccature non adeguate.

Es: giro la chiave e il motore si accende.

Sto rispettando la massima del modo, ma non la massima della qualità poiché nella frase non implico che la
seconda coordinata sia associata alla prima secondo un legame di causalità. Quindi il principio di informalità
non rispetta mai la massima della qualità. Per verificare se la frase ha senso dobbiamo fare delle prove:

1- P e poi Q: se ha senso allora ok. (Giro la chiave e si accende la macchina-> ok)


2- P e perciò Q: se ha senso allora il significato è questo. (Giro la chiave e perciò si accende le
macchina-> quindi la chiave che sto girando è quella della macchina)

Siamo consapevoli dei significati impliciti? Sperber e Wilson aprono la teoria della pertinenza: le implicature
sono automatiche ed inconsapevoli. Questo genera il principio della pertinenza: massimizzare la pertinenza
di un inmput comunicativo è un atteggiamento automatico della specie umana (dire è quasi mezzogiorno,
invece che dire le 11.58). La teoria della pertinenza è stata verificata anche sperimentalmente. La
pertinenza è quindi una proprietà scalare e convive con input più o meno pertinenti. La pertinenza è un
riflesso cognitivo automatico che ci permette di produrre con minore sforzo un enunciato e di comunicare
quello che ci pare essenziale da farda fa recepire al nostro destinatario. Quindi il principio della pertinenza è
guidato da un’assunzione di pertinenza ottimale e l’enunciato è compreso attraverso due criteri: principio
del minimo sforzo, secondo cui l’enunciato non deve essere integrato dopo che si è raggiunti la soglia di
comprensione
Dopo Sperber e Wilson sono state fatte confutazioni sulla teoria della pertinenza; la loro teoria si concentra
sugli aspetti cognitivi ed enunciativi ma lasciano in disparte quelli sociali e di cortesia (che non hanno nulla a
che vedere col principio del minimo sforzo) -> in termini cognitivi girare in torno ad una frase per salvare la
propria ed altrui faccia è più dispendioso a livello cognitivo. In secondo luogo, non c’è un solo modoi di
essere pertinenti e questo non è l’unico scopo-> il significato spesso va molto oltre la pertinenza, con
enunciati volutamente ambigui (Varrone: hos piscis nemo cocus in ius vocare audet ‘nessun cuoco osa
chiamare questi pesci nello ius’, dove ius è sia la zuppa che la legge).

Quindi

Grice: inferenze razionali durante la conversazione; neo-griciani: le 4 massime sono ridotto al principio di
informatività e le implicature sono generalizzate; post-griceani: le inferenze sono prodotte
automaticamente e non razionalmente e tutto quanto è ridotto al principio di informatività.

Saussure notava che ogni espressione linguistica è determinata dai rapporti sintagmatici, cioè dalla sua
collocazione nella frase e dai suoi rapporti associativi. Il valore dell’espressione è delineato anche da altre
corrispondenze verticali e non orizzontali. La ricezione di un atto di parole comporta un processo
interpretativo. Ci sono delle frasi chiamate garden path che costringono a fare mentalmente un continuo
andirivieni: infatti ola percezione linguistica non è un mero fatto sensoriale passivo, ma un vero e proprio
atto non continuo che ci costringe a fare avanti e indietro dal testo al cotetso. Il ruolo del contesto in una
conversazione, o meglio dialogo, è fondamentale: due parlanti, in ogni turno conversazionale, non solo
riprendono quello che è stato asserito prima ma aggiungono del nuovo, in modo tale che la conversazione
assuma un andamento epicicloidale.

Per quanto riguarda il ruolo del contesto: Albani leoni ha fatto un esperimento, ovvero ha fatto ascoltare la
frase “Siamo cinque giornalisti”, che, estratta dal nastro completo, è sembrata ai destinatari
incomprensibile, mentre se contestualizzata ha avuto senso-> il segnale acustico è continuo e serve sapere
tutto per massimizzarne la comprensione. Il processo non si completa se non indaga anche il contesto, il
cotesto, l’infratesto, i suoi scopi, ecc..

Le etimologie popolari sono ricostruite attraverso rapporti associativi che non hanno nulla a che fare coi
rapporti della stessa forma, che sono diverse dall’etimologie scientifiche. Queste etimologie popolari sono
proposte da delle persone non dotte sulla base di rapporti associativo-fonici.

Es: scacco matto deriva dal persiano “il re è morto”, poi francesizzato e lessicalizzato in italiano.

Periculum-> si perde il rapporto con peritus ed experior ma associato al verbo perire

In epoche recenti alcuni linguisti si sono interrogati sul valore della linguistica popolare: va scartata?
Secondo Vittore Pisani questi sono degli atti di creazione associativi che determinati segni linguistici
generano nei parlanti. Non per forza, poi, le etimologie errate devono essere popolari: le pseudo-
etimologie sono, per esempio, organizzate attraverso accurati metodi di ricerca ma sono comunque
sbagliate.

Carnevale> carnem levare

L’essere umano, infatti, quando non è in grado di capire una stringa fonetica attiva il motore di innovazione
linguistica (risemantizzazione) per cercare di dare un senso a quello che è stato detto, visto che parte dal
presupposto che il suo interlocutore sia cooperativo.

Saussure dice che l’etimologia popolare non va confusa con l’analisi grammaticali giustae: la lingua non
sbaglia, è solo che il suo punto di vista è diverso e ciascuno ha un valore-> al linguista spetta sia il compito
descrivere che di interpretare.
Quando non si comprende una sequenza di foni si attivano tutte le connessioni e associazioni di possibili
perché alla base pensiamo che quello che il nostro parlante voglia dirci qualcosa di sensato-> questo sforzo
di comprendere qualcosa che non capisce genera nuove interpretazioni.

Quindi abbiamo compreso che è fondamentale il ruolo del contesto e del cotesto: questo si studia anche in
linguistica testuale, la cui scienza può essere suddivisa in linguaggio, singole lingue e testi. QuidniQuindi
questa scienza supera la linguistica strutturale di Saussure, ovvero la linguistica che studia la LANGUE; non
per questo, tuttavia, la linguistica testuale studia la “parole”, ovvero la singolele singole istanze
comunicative. Piuttosto la linguistica testuale analizza i principi generali che stanno dietro alle enunciazioni
testuali individuali, concentrandosi quindi sulla COMPETENZA NELL’ESECUZIONE.

I principi costitutivi della linguistica testuale sono:

- Coesione: principio costituente della organizzazione delle parole tra loro


- Coerenza: globale unità di senso, che appare in superficie attraverso i mezzi coesivi
- Intenzionalità: atteggiamento del mittente che vuole formare un testo coeso e coerente
- Accettabilità: atteggiamento del destinatario che si attende un testo coesivo e coerente, utile e
funzionale
- Informatività: dinamismo comunicativo, per cui gli elementi testuali sono inattesi o attesi dal
destinatario e dal mittente.
- Situazionalità: riguarda i fattori che rendono un testo rilevante per la situazione comunicativa in
cui ci si trova
- Intertestualità: fattori che fanno comprendere il testo in base all’esistenza di altri testi già
conosciuti.

Spesso ci sono elementi linguistici che suggeriscono unità di senso ma sono prive di coerenza tra loro
(funzione poetica della parola, cfr Jakobson): in questo caso non c’è un testo anche se ci sono elementi
esterni che suggeriscono coesione. Se invece abbiamo un enunciato coerente, anche se non
apparentemente, ma non coeso in quel caso possiamo parlare di testo.

Un insieme di enunciati è coerente quando il destinatario riesce ad attribuire ad esso una continuità di
senso semantica interna. La coesione invece è la proprietà che riguarda i dispositivi linguistici con cui viene
rappresentata la coerenza, quindi l’insieme di parole e scelte linguistiche che segnalano le relazioni tra
referenti. La coesione può essere garantita da connettivi (dunque, perciò, allora, ma, …), sinonimi,
ripetizione di interi sintagmi per copia o quasi copia, meronimi, iponimi, collocazioni (cfr. dopo->
SEMANTICA), anafore, catafore ed elissi di termini perché derivati dal cotesto o dal contesto.

L’informatività invece, si basa sullo status, l’origine ed il grado di condivisione (effettiva e presunta) delle
conoscenze (attive, inattive, accessibili, non accessibili e pregresse), ed è il grado in cui un testo da
un’informazione utile al destinatario.

La situazionalità, in senso lato, riguarda l’ambito della sociolinguistica, e riguarda il testo all’interno della
situazione sociale in cui viene detto: bisogna sapere riconoscere che la variazione generata dal parlante non
è qualcosa di aleatorio, ma di sistematico, gradiente e altamente informativo. Bisogna chiedersi cosa sia la
sociolinguistica e se effettivamente esista una linguistica non sociale: se consideriamo la lingua come
sistema della mente esiste una linguistica non sociale, ma se vediamo la lingua come risposta adattativa
migliore per la comunicazione-

InfattiInfatti, si parla di varietà di lingua che cooccorrono in concomitanza con certe caratteristiche della
società, dei suoi membri e dei costituenti con cui si trova ad agire: i dati linguistici di una determinata
varietà devono essere caratterizzati da omogeneità (es: *mi scusi, vieni qui-> non coocorre->
COOCCORRENNZA: i tratti linguistici di una stessa varietà devono essere dotati di omogeneità). Il
sociolinguista quindi studia il diasistema, ovvero la somma logica di varietà linguistiche che condividono gli
stessi tratti, e l’idioletto, ovvero il sistema di abitudini linguistiche di un singolo parlante.

Coseriu ha distinto tra:

1- Dialetti primari: idiomi coevi dal dialetto da cui si è sviluppata una lingua standard
2- Dialetti secondari: varietà geografiche di una lingua, risultanti dalla diffusione di una lingua
comune.
3- Dialetti terziari: varietà geografiche di una lingua, risultanti dalla diffusione di una lingua standard.

L’Italiano, dopo l’Unità d’Italia, di è diffuso secondo una lingua standard e letteraria che prendeva il suo
movente dal fiorentino.

Le lingue quindi hanno varie varietà:

- Diatopica: in italiaItalia esistono dialetti italo romanzi, varietà regionali che sono derivate
dall’italiano. I dialetti si possono classificare in primari, ovvero idiomi coevi del dialetto dal quale si
sviluppa una lingua standard, secondari, ovvero varietà geografiche sorte dalla diffusione di una
lingua comune, e terziari, risultanti dalla diffusione di una lingua standard.
- Diastratica: cambia in base ai parlanti della società. In questo caso si può parlare sia di socioletto
che di gergo, ovvero lingua parlata da gruppi sociali marginali, che favorisce la distinzione da altri
gruppi e l’unità all’interno del gruppo stesso.
- Diafasia: in base ai contesti

Comunque, la lingua è un continuum e collocarla su assi di variazione estremi non è esatto: tra due
categorie prototipiche di varietà ne esistono un gran numero che sono una via di mezzo (fuzzy sets).

Esistono vari parlanti di una lingua e vari nozioni di quanto si sappia parlare una lingua. Si parla di
plurilinguismo quando un individuo conosce da sé più lingue, mentre di multilinguismo quando in una
determinata area geografica sono riconosciute più varietà linguistiche.

SI parla di bilinguismo perfetto se si ha uguale competenza in entrambe le lingue che si parlano, mentre di
plurilinguismo non perfetto se la competenza è asimmetrica. Si parla di diglossia, o bilinguismo funzionale,
quando due lingue sono parlate da una comunità ma in ambiti diversi e complementarcomplementare:
quindi la lingua che è insegnata o scritta è diversa da quella parlata. Mentre si parla di dilalia nel caso in cui
due varietà linguistiche venissero usate entrambe come alternative, anche nello stesso contesto: per
esempio il dialetto e l’italiano possono essere entrambi usati nell’ambito quotidiano.

FONETICA E FONOLOGIA

La fonetica si suddivide in diverse branche: articolatoria, che studia il modo in cui vengono formulati i suoni,
acustuca, che studia la modalità di trasmissione del suono attraverso la loro consistenza fisica, e uditiva,
che studia il modo in cui i suoni vengono recepiti. Per la linguistica è utile la fonetica articolatoria.

Per comprendere meglio i meccanismi del linguaggio bisogna avere famigliarità con quello che è l’apparato
fonatorio umano. I suoni vengono prodotti mediante l’espirazione di aria che attraverso i bronchi, la
trachea e la laringe fuoriescono: questi foni sono egressivi, ma esistono anche ingressivi (ispirazione) e
avulsivi (senza la partecipazione dei polmoni). Il tratto vocale ha inizio nella laringe per poi passare nella
glottide, dove si trovano le pliche vocaliche, nella faringe e nella cavità boccale, costituita dal velo palatino,
dal palato duro, dagli alveoli, dai denti e dalle labbra (il suono può essere ostacolato completamente o
parzialmente in uno qualsiasi dei tratti a partire dalla glottide). Nella cavità orale partecipa anche la lingua,
che si divide in radice, dorso e apice. I parametri per cui indentificare un suono sono anche il luogo di
articolazione, il modo di articolazione e la presenza o meno di vibrazione delle corde vocali. Dal primo di
questo parametro si identifica la sostanziale differenza tra vocali e consonanti: le prime vengono prodotte
senza ostacoli, mentre le seconde possono essere prodotte attraverso un ostacolo parziale o totale.
L’assenza di vibrazione delle corde produce consonanti sorde mentre la loro presenza produce consonanti
sonore.

CONSONANTI

La consonantiLe consonanti possono essere distinte in primis dal modo di articolazione: occlusivo, ostacolo
completo, e fricativo, ostacolo parziale. Bisogna distinguere dalle fricative le approssimanti che non
generano un fruscio così percepibile; c’è bisogno di aggiungere le affricate, consonanti composte, il cui
modo di articolazione inizia come un’occlusiva e finisce come una fricativa. Partecipano al modo di
articolazione consonantico anche altri atteggiamenti della lingua: l’aria passa attraverso i lati della lingua
(laterali), la linguela lingua colpisce più volte un altro organo fonatorio (vibranti). InoltreInoltre, se l’aria
passa anche attraverso la cavità nasale si hanno consonanti nasali. Appare opportuno aggiungere due
parametri nel modo di articolazione: l’energia articolatoria e l’aspirazione.

Le consonanti possono essere ancora suddivise in base al loro luogo di articolazione: bilabiale, labiodentale,
dentale, alveolare, palatale, velare (sul velo palatino), uvulare (all’altezza dell’ugola), faringale e glottidale
(all’altezza della glottide e delle pliche vocaliche). Parti della lingua, a seconda del luogo di articolazione,
fanno contatto con gli altri organi articolatori: un esempio particolare è quello delle retroflesse, dove l’apice
della lingua tocca il velo palatino o in generale il palato.

VOCALI

Le vocali sono tutte sonore e non hanno un ostacolo che non ne permetta la fonazione completa. Perciò si
suddividono secondo altri parametri, rappresentati nel famoso trapezio vocalico.

1. Avanzamento o arretramento della lingua (anteriori, posteriori e centrali)


2. Innalzamento o abbassamento della lingua (alte, medio-alte, medio-basse, basse)
3. Arrotondamento o labializzazione (arrotondate o non arrotondate)

Può partecipare anche la cavità nasale, allora avremo vocali nasali.


SEMIVOCALI O SEMICONSONANTI

Queste sono approssimanti. Compaiono nei dittonghi o nei trittonghi:

 Vocale forte + approssimante: semivocale


 Approssimante + vocale forte: semiconsonante
 Approssimante+ vocale forte + approssimante: semiconsonante e semivocale
 Approssimante+ approssimante + vocale forte: semiconsonanti (il [w] si palatalizza e diventa [ɥ])

Vengono prodotte con un restringimento all’inizio del canale orale. Possono essere divise in anteriori
(palatali) o posteriori (velari)

La trascrizione fonetica si occupa di trascrivere secondo l’IPA (alfabeto fonetico internazionale) i suoni
presenti e concreti di una determinata lingua. Ci sono varie convenzioni per la rappresentazione di alcuni
suoni:

 L’uso del simbolo dell’allungamento (:) per le consonanti o la ripetizione di esse


 La vocale in sillaba tonica, aperta, non finale di parola viene pronunciata più lunga
 La nasale si assimila e articola in maniera diversa in base alla consonante che segue
 LA vocale seguita da nasale si nasalizza

La fonetica parla della realizzazione concreta di suono (la forma dell’espressione); la fonologia si occupa
delle unità astratte e distintive per un determinato sistema linguistico. Importante è introdurre il concetto
di allofono: un allofono di un fonema è un fono che, se sostituito a quello primario, non costituisce coppia
minima, ovvero una coppia di parole che si distingue di un solo fonema che ne cambi il significato.
Importante per riconoscere le coppie minime è la distribuzione complementare, quando due suoni possono
comparire negli stessi contesti, e contrastiva, quando due suoni non appaiono mai nello stesso contesto:
nell’ultimo caso si hanno allofono di uno stesso fonema. Per riconoscere coppie minime bisogna compiere
la prova di commutazione.

Ci sono fonemi a basso rendimento funzionale, ovvero che costituiscono poche coppie minime: questi sono
rispettivamente le vocali arrotondate e non arrotondate medio-alta e medio-bassa e le sibilanti sorde e
sonore.

Sono stati individuati dei tratti distintivi dei fonemi in italiano, di cui gli ultimi quattro sono solo per le
vocali:

 Sillabico: può costituire sillaba da solo


 Sonorante: passaggio relativamente libero dell’aria (non hanno corrispettivo sordo)
 Sonoro: presenza di vibrazione delle corde vocali
 Nasale: passaggio anche nella cavità nasale
 Laterale: passaggio di aria ai lati della lingua
 Consonantico
 Anteriore: ostruzione negli o dopo gli alveoli
 Rilascio ritardato: affricate
 Continuo: il suono può essere protratto nel tempo
 Coronale: parte anteriore della lingua sollevata rispetto alla posizione neutra
 Arretrato: corpo della lingua ritratto rispetto alla posizione neutaneutra
 Arrotondato: arrotondamento delle labbra
 Alto: innalzamento della lingua
 Basso: abbassamento della lingua

Ci sono inoltre fenomeni soprasegmentali, che non riguardano la produzione di fonemi o foni. Questi sono
l’accento, ovvero la vocale dove si innalza la voce (in italiano ha valore distintivo perché libero, mentre nelle
lingue ad accento fisso ha valore demarcativo), l’intonazione e il tono (in alcune lingue come il cinese
mandarino il tono ha valore distintivo). In greco l’accento, quindi tratto prosodico, è melodico: la sillaba
accentata pronunciata più alta delle altre (secondo Dionigi di Alicarnasso è più alta di un intervallo di
quinta). La mora è l’unità di misura: una mora vale una vocale breve, due more una vocale lunga o un
dittongo; il greco divide tre accenti: acuto (innalzamento della voce sulla vocale breve, mentre sulla vocale
lunga o il dittongo l’innalzamento si ha sulla seconda mora), circonflesso (solo su vocali lunghe, ha prima un
innalzamento e poi un abbassamento della voce) e grave (assenza di tono o accento basso). Anche la
lunghezza è un fenomeno soprasegmentale: la lunghezza consonantica in italiano è distintiva per 15
consonanti quando in posizione intervocalica (si escludono la fricativa palatale sonora, la nasale palatale, la
laterale palatale e le affricate alveolari sorda e sonora che sono sempre lunghe, e la sibilante sonora che è
sempre scempia in posizione intervocalica); la lunghezza vocalica in italiano è presente in sillabe accentate
aperte e non in ultima sillaba, ma non ha valore distintivo (in latino invece si).

Un fenomeno soprasegmentale di notevole importanza è la sillaba. La sillaba in italiano deve essere


costituita da una vocale, che sarà il nucleo, (in altre lingue possono costituire nucleo si sillaba anche le
nasali, laterali e vibranti) e potrà avere una consonante di attacco ed una di coda (la sua presenza distingue
fra consonanti aperte o chiuse). Il nucleo e la possibile coda costituiscono la rima.
INVENTARIO FONEMATICO GRECO

Vocali: 5 vocali brevi (le stesse dell’italiano) e cinque vocali lunghe (eta=lunga, omega=lunga)

Consonanti doppie: < ζ >, <ξ>, <ψ>

INVENTARIO FONEMATICO LATINO


MODICAZIONE DI FONI E DI FONEMI

Nella modificazione di foni si ha un mutamento di un determinato fono in un determinato contesto

Uno dei fenomeni maggior è la coarticolazione, ovvero la modificazione di un fono in base a quelli
immediatamente vicini o no. Un’esempioUn esempio è l’assimilazione, ovvero quando un suono si ha
assimila a quello precedente o sueccessivosuccessivo: nel primo caso avremo un’assimilazione regressiva,
nel secondasecondo una progressiva.

L’assimilazione può essere parziale o totale; facciamo degli esempi:

 [‘banka] -> ['baŋka]; sonorizzazione o desonorizzazione (lego> lectus per la /t/ sorda; sbarrare ha
una sibilante sonora per via della consonante succesiva; strada è sorda per lo stesso motivo); la
palatalizzazione delle consonanti in base alla vocale che segue, la spirantizzazione delle occlusive
per avvicinarsi al modo articolatorio delle vocali (gorgia toscana); la monottongazione o scomparsa
di dittonghi. Tutte queste sono assimilazioni regressive e parziali.
 La nasalizzazione delle vocali seguite da consonante nasale è un esempio di assimilazione
progressvia parziale
 In+logico> illogico; è un esempio di assimilazione consonantica regressiva totale
 Mundus> munno: assimilazione consonantica progressiva.
 Gotico: gast (singolare, ospite)-> gesti (plurale). Metafonesi, ovvero assimilazione regressiva a
distanza.

Ci sono anche esempi di dissimilazione: un esempio è quella aplologica dove, alla presenza di due suoni
troppo simili, si cambia uno di questi (arbor> albero). Un esempio ulteriore di dissimilazione (o
differenziazione) è il il dittongamento romanzoi (bonum> buono). Molto importante per la dissimilazione, in
greco soprattutto, è la legge di Grassmann: lo studioso ha osservato che, in presenza di due consonanti
aspirate in sillabe contigue, la prima perde l’aspirazione, mantenendola solo nei casi in cui la seconda la
perde per qualche altro motivo specifico (per esempio se seguita da /s/).

SI ha una fortizione consonantica se il gruppo interessato si trova in posizioni forti (dopo una pausa, dopo
un'altra consonante, dopo le consonanti lunghe, all'attacco della sillaba) o una lenizione se in posizione
debole (subito dopo una vocale, in posizione intervocalica, nella coda della sillaba). La scala di lenizione è
da occlusive sorde, a sonore, a fricative sonore principalmente.

Anche la sillaba ha un ruolo nella modificazione di foni: la sillaba accentata è più lunga ma a volte questa
lunghezza viene creata per la necessità di mantenere una stessa mora dopo la scomparsa di coda
consonantica. Esempio cardine è l’allungamento di compenso in greco (podos, pous). InoltreInoltre, molte
lingue pongono restrizioni sulla sillaba finale di parola: in tedesco e russo le consonanti possono essere solo
sorde, in italiano si hanno solo vocali, in greco possono essere finali solo /s/, /r/ e /n/.

In lingue come russo, tedesco sillabe atono riducono l’articolazione delle vocali, mentre altre, come il
francese, procede con la scomparsa propria della vocale atona

MUTAMENTO FONOLOGICO

Il mutamento fonologico si interessa di studiare nuovi tratti disintividistintivi che vengonivengono creati per
una lingua, quindi nuovi fono contrastivi e non complemnetaricomplementari che si formano in base a vari
mutamenti fonetici. Un primo caso è la fonologizzazione, ovvero la creazione di nuovi fonemi,
principalmente per la scompardascomparsa di altri foni: per esempio in inglese la scomparsa della velare in
fine di parola ha creato la nasale velare, che ha assunto un valore distintivo; anche in francese si è creata
una distiznionedistinzione tra vocali orali e nasali dopo la scomparsa della nasale adiacente. La
defonologizzazione è quando si perde invece un carattere distinitvodistintivo: pensiamo alla perdita della
quantità vocalica dall’italiano al latino o alla quasi completa scomparsa di distinzione tra la /s/ intervocalica.
Ultimo caso è la rifonologizzazione: c’è una sostituzione completa dell’allofono originale con un altro
fonema. Un esempio di questo fenomeno è quello che accede alle ostruenti al passaggio da indoeuropeo a
germanico: le opposizioni restano tre, ma c’è un cambio nelle opposizioni stesse. Questa è chiamata legge
di Grimm:

1. I.E. */p, t, k, kw/ > Germ. /f, θ, h, hw/ *occlusive sorde > fricative sorde

2. I.E. */b, d, g, gw/ > Germ. /p, t, k, kw/ *occlusive sonore > occlusive sorde

3. I.E. */bh, dh, gh, gwh/ > Germ. /b, d, g, gw/ *occlusive sonore aspirate > occlusive sonore

Questo fenomeno è conosciuto come prima rotazione consonantica.

Questa legge presenta un’eccezione che è spiegata dalla legge di Verner: in posizione interna di parola, fra
elementi sonori, non immediatamente preceduti dalla sillaba tonica, una occlusiva sorda diventa fricativa
sonora.

Il mutamento fonetico da una lingua all’altra: quando due lingue si sviluppano da un antenato comune,
presentano tipicamente delle corrispondenze fonetiche regolari, dovute a mutamenti che si sono verificati
nel processo di evoluzione dalla lingua madre (ovvero, un suono A della lingua madre può diventare B in
una delle lingue derivate e C in un’altra). Ad esempio, nell’imperfetto singolare del verbo ‘portare’ in greco
e sanscrito, due lingue derivate da un antenato comune, si possono osservare le seguenti corrispondenze

sanscrito /a/ = greco /e,o/

sanscrito /bh/ = greco /ph/

sanscrito /-m/ = greco /-n/

sanscrito /-t/ = greco /ø/

L’ipotesi della regolarità del mutamento fonetico (nella sua formulazione più forte): ◦ il mutamento
fonetico tra due lingue imparentate, o da una fase all’altra di una stessa lingua, è regolare ed opera senza
eccezioni, ovvero ad un particolare suono in determinata fase di una lingua corrisponde sempre lo stesso
suono in un’altra fase della stessa lingua, o in un’altra lingua appartenente alla stessa famiglia ◦ di
conseguenza, il mutamento fonetico può essere descritto mediante leggi fonetiche, ovvero proposizioni che
descrivono le corrispondenze fonetiche tra lingue diverse (ma appartenenti alla stessa famiglia) o tra
diverse fasi di una stessa lingua ◦ eventuali eccezioni alle leggi fonetiche sono motivate, ovvero possono
essere spiegate come l’effetto di leggi fonetiche concorrenti; le eccezioni che non possono essere spiegate
in questo modo sono sporadiche ◦

Rotacismo latino: tutte le s intervocaliche latine diventano r, eccetto che nelle seguenti condizioni:

a.. divisus: s < d + t

b. nisi: composto non ancora formato al tempo di applicazione della legge

c. asinus, casa, rosa: prestiti da altre lingue

d. miser: s se seguito da r (dissimilazione)

Spesso, non è possibile capire lo specifico periodo in cui si è verificato un mutamento fonetico (cronologia
assoluta del mutamento). Tuttavia, confrontando tra di loro diversi mutamenti, è possibile capire quali sono
avvenuti prima e quali sono avvenuti dopo (cronologia relativa): ◦
La legge di Grimm: ◦ Tra i mutamenti descritti dalla legge di Grimm, ci sono /t/ > /th/ e /d/ > /t/ ◦ Di questi
due mutamenti, /t/ > /th / precede /d/ > /t/, perché altrimenti a /d/ del protoindoeuropeo
corrisponderebbe /th / in germanico, ovvero il germanico non presenterebbe /t/ .◦

Il rotacismo latino: ◦ In latino, /s/ diventa /r/ in posizione intervocalica, e un gruppo consonantico /dt/
diventa /s/ (ad esempio *dividtus > divisus ‘diviso) ◦ Di questi due mutamenti, /s/ > /r/ precede l’altro,
perché altrimenti la forma per ‘diviso’ sarebbe *divirus

Come avviene quindi il mutamento fonologico? Secondo l’ipotesi tradizionale un mutamento fonetico si
realizza simultaneamente in tutte le parole che contengono i suoni interessati; secondo l’ipotesi della
diffusione lessicale, un mutamento fonetico ha origine in un numero limitato di parole, e successivamente
si diffonde in maniera graduale tra tutte le parole che contengono i suoni interessati. Un mutamento
fonetico non necessariamente giunge a compimento, ovvero non necessariamente si estende a tutte le
parole che contengono i suoni interessati, e colpisce prima le parole più frequenti.

I SISTEMI DI SCRITTURA

SI possono dividere tra sistemi semasiografici, che veicola significati ma non di un sistema linguisticcoi, e
glottografici. In questi ultimi si può distinguere tra sistemi logografici e fonografici (fonetici): i primi sono dei
sistemi in cui per ogni carattere si ha un morfema (cinese, sumerico, egiziano geroglifico). Ulteriormente si
po' distinguere le scritture logografiche morfemiche, che hanno un simbolo rappresentativo anche per
segni strutturali e non solo lessicali, e le scritture che sono basate su parole. I logogrammi non sono sempre
delle icone (pittogrammi) ma anche simboli (logogrammi in senso stretto): c’è un processo sidi astrazione
dei logogrammi.

I sistemi fonografici rappresentano in maniera grafica la forma dell’espressione di una lingua, ovvero i foni:
c’è un’eccezione riguardante un sistema di scrittura creata da un re coreano, in cui venivano rappresentati
solo i tratti distintivi. Le scritture sillabiche usano come unità la sillaba: nei sistemi sillabici puri non si può
scomporre il grafema (un esempio è la Lineare B); di solito questi sistemi si sono evoluti da sistemi
logografici. Nella lineare B è interessante che si distinguano i confini di parola (mentre in greco c’era la
scriptio continua) e che c’è un simbolo rappresentativo per la labiovelare (che in greco si è evoluta nel
connettivo “te”). Anche il sanscrito ha un sillabario: questo in realtà è un alfasillabario siccome le
componenti della sillaba sono meno arbitrarie ed in realtà le vocali non hanno lo stesso status delle
consonanti, ma sono solo dei diacritici; le sillabe senza diacritico vocalico sono considerate come aventi
vocale inerente (in questa la /a/) (confronta la brahmi indiana da cui derivano la devanagari e le altre
scritture dell’India).

Ancora diversi sono dei consonantari, ovvero sistemi quasi alfabetici dove però sono evidenziati solo le
consonanti (tipici dell’arabo, aramaico e ebraico). Il motivo per cui queste scritture non notavano le vocali è
per l’esistenza dei cosiddetti transfissi ( o morfemi a pettine o discontinuio): le consonanti rappresentano il
valore lessicale mentre le vocali un significatoa grammaticale.

L’alfabeto è stato inventato dai greci in adozione del consonantario fenicio: da questo derivano tutti gli
alfabeti occidentali, tra cui la scrittura latinica, mediata dagli etruschi.

La scrittura è nata in sei posti diversi di cui la maggiorate nel Vicino Oriente Antico (si esclude il maya e il
sinico). Per adesso noi annoveriamo solo questi sei luoghi di origine, ma non è detto che non si possano
annoverare altri sistemi. L’esempio citato prima dell’unico semisillabario fonetico per tratti, ovvero
L’Hankul, è stato inventato per precisi motivi culturali da un individuo. L’Hankul Coreano, creato nel 1444
de Seycong il Grande, ci fa capire che il re e la sua corte evevanoavevano delle conoscenzea immense della
fonetica articolatoria moderna: ogni grafema (o simbolo) di questo similsillabario è socmponibile e sembra
richiami un suono. Il re distingue i suoni tra continuanti ed occlusive, sulla base di tensione fonetica (deboli
o forti) e sulla base della presenza o meno dell’aspirazione. Questi segni rappresentano la posizione degli
organi fonatori attraverso il processo0 di fonazione: quello che viene rappresentaorappresentato
iconicamente non sono i concetti o i referenti, ma l’intero processo di fonazione.

Le lingue segnate sono formate effettivamente da simboli ed infatti ci sono diversi sistemi linguistici dei
segni: il legame è arbitrario. La LIS, per esempio, è SOV (mentre l’italiano è SVO). L’american sign language
a livello di segno è molto più vicino alla lingua dei segni francese: questo è per dire che le lingue segnate
usano il canale visivo e grafico, sono a sesé stanti dal paese in cui sono parlatei, hanno grammatiche ben
precise e sono lingue vere e proprie. Anche qui si possono ricostruire dei parametri fondamentali (cheremi,
dal greco cheir=mano) per distinguere coppie minime:

a. luogo dello spazio dove viene eseguito il segno: sul corpo o nello spazio

b. configurazione assunta da entrambe le mani

c. orientamento sia del palmo sia delle dita

d. movimento compiuto

Oltre a tre componenti non manuali: l’espressione facciale, la postura e le componenti orali. Il canale visivo
comunque è usato anche dalle lingue orali, ovvero i cosiddetti fenomeni paralinguistici:

Deittici: indicano un oggetto o una persona

◦ Iconici: raffigurano nell’aria la forma o imitano i movimenti di un oggetto, un animale, una

persona

◦ Batonici: le mani si muovono ritmicamente dall’alto in basso per scandire ed enfatizzare le

sillabe accentate in una frase (soprattutto nelle lingue dei segni)

◦ Simbolici: hanno un significato culturalmente condiviso: muovere su e giù davanti al busto la mano

con le dita in su riunite (o mano a tulipano; Poggi 2006), indice sulle labbra, mano a palmo in giù con le

dita che si abbassano ripetutamente, alzare il pugno chiuso, alzare la mano, ecc. ecc

DI questo campo si occupa anche la prossemica, ovvero la postura, e la distanza sociale che noi
intratteniamo durante una conversazione. Questi fenomeni paralinguistici cambiano da lingua a lingua: si
pensi al modo in cui si dice si in Grecia ed in Italia settentrionale.

MORFOLOGIA

La morfologia si occupa delle parole e più precisamente della loro forma e struttura. Ma cosa è una parola?
Cii sono vari criteri di classificazione di una parola:

 Fonologica: porta accento proprio


 Morfologica: può essere flessa
 Sintattica: può ricorrere solo in posizione ben definita ed è enucnaibile da sola
 Semantica: si riferisce ad un referente ben definito
 Grafica: si scrive tutta attaccata

Per esempio, i clitici non portano accento proprio, non possono essere retti da preposizioni, hanno
restrizioni sintattiche e non possono costituire un enunciato da soli. Ci sono anche esempio come la scriptio
continua di alcune lingue dove non si distingue la fine di parola (mancata unità grafica), parole composte
che possono trovarsi solo in un determinato ordine e non possono essere separate (ferro da stiro,
verdeacqua/ verde acqua/ *acqua verde; caposala [kapo’sala] anche al Nord dove la sibilante intervocalica
si sonorizza-> l’unità morfologica è arrivata prima di quella graficafonetica). Anche nelle lingue
polisintetiche (che tratteremo in seguito): un’unica parola può contenere moltissime unità di significato,
fino a formulare una frase.

Una parola può essere classificata in classe lessicali: in italiano, per esempio, si possono individuare il nome,
l’aggettivo, il verbo, la preposizione, la congiunzione, l’avverbio (alcuni distinguono anche la negazione), il
pronome e l’articolo. Come si individuano queste classi lessicali?

 Criterio morfologico: per quali categorie viene flessa una parola (la categoria del tempo è rilevante
per i verbi e non per i nomi, mentre la categoria del genere non è inerente al verbo). Questo
criterio è però problematico: i participi, i gerundi, gerundivi e gli aggettivi verbali non coprono una
categoria precisa.
 Criterio sintattico: quale funzione ha una parola all’interno della frase? Questa è la distinzione tra
onoma e rhema (soggetto e predicato e non nome e verbo<. L’aggettivo è originariamente un
rhema però si flette come un nome.
 Criterio semantico/referenziale: quale tipo di entità è denotata dalla parola? I nomi di solito
identificano degli oggetti, gli aggettivi delle qualità, gli avverbi una modalità (o qualità di eventi) e i
verbi degli eventi o degli stati. Tutte le forme denominalizzate (partenza, bellezza) sono
effettivamente problematiche perché sono flesse per un nome ma identificano referenti di verbi o
aggettivi (partenza denota un evento; bellezza una qualità: quando si individuano delle
categoriadella categoria è giusto pensare agli elementi prototipici e meno prototipici (il pinguino è
un uccello meno prototipico perché non vola).

Si può distinguere anche tra

 parti variabili ed invariabili del discorso (hanno o meno categorie grammaticali, possono o meno
essere flesse): il genere, per esempio, è inerente al nome e non distintivo per esso,
tantochètantoché esistono lingue conecome moltitudini di generi (non solo maschile, femminile e
neutro).
 classi chiuse o aperte: le prime possono essere articolate e creare parole nuove (nome, verbo,
aggettivo, avverbio), le seconde non possono essere ampliate liberamente e quando lo sono si ha
un mutamento nella grammatica della lingua. L’inventario delle classi di parole può cambiare nel
tempo (creazione dell’articolo in italiano dal pronome latino).
 Categorie lessicali o funzionali: le prime si riferiscono ad entità, proprietà, eventi appartenenti alla
realtà extralinguistica (nomi, verbi, pronomi, avverbi e aggettivi), mentre le secondole seconde
servono a costruirte sintagmi, frasi e periodi nel modo corretto (articoli, preposizioni, verbi ausiliari
e verbi modali).

La morfologia allora studia la struttura interna delle parole e il modo in cui tale struttura (forma) varia
sistematicamente in relazione alla variazione del significato (contenuto). La più piccola unità di prima
articolazione e di studio della morfologia è il morfema, a cui sono associati suoni ed un significato. I
segmenti che veicolano concretamente il significato del morfema sono i morfi. Per individuare i morfemi
bisogna fare confronti sistematici tra parole, vedendo dove singole espressioni ricorrono in contesti
circoscritti. Un termine che può ricorrere al posto di morfema è monema (scomposto in semantemi,
elementi lessicali, e morfemi, elementi grammaticali.

Ci sono due tipi di classificazione di morfemi: la prima è funzionale, che riguarda la funzione svolta, le
seconda è posizionale, basata su la posizione che assumono i morfemi all’interno di parola e su come essi
contribuiscano alla struttura di essa.
Nella classificazione funzionale possiamo dividere tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali,
divisibilidibile a loro volta in morfemi derivazionali e flessionali. I primi stanno nel lessico di una lingua,
mentre i secodnisecondi nella grammatica, ovvero una classe chiusa non suscettibile a cambiamenti. Di un
morfema grammaticale riconosciamo la ricorsività: ogni qual volta che quel morfema apparirà veicolerà lo
stesso significato. Questa distinzione è problematica siccome alcuni morfemi come articolo, congiunzioni e
preposizioni (parole funzionali), fanno parte di una classe chiusa ma non possono essere definiti morfemi
grammaticali: allora si distingue tra morfemi liberi e morfemi legati, che non posso comparire isolati in un
enunciato. Le parole funzionali, come congiunzioni e preposizioni, sono morfemi semiliberi.

La derivazione dà luogo alla parola e la flessione dà luogo a forme di parola già esistenti: infatti, la prima
precede sempre la seconda (motivo per cui il morfema flessionale è più lontano dalla radice lessicale nel
caso della presenza di un morfema derivazionale); inoltre la flessione è obbligatoria, non cambia classe
lessicale, ha un significato composizionale e serve la sintassi, mentre la derivazione non è obbligatoria, ha
un significato solo in parte composizione, cambia la classe lessicale della base e arricchisse il lessico. Ma
questo è sempre vero?

 “La flessione è obbligatoria”: i lessemi difettivi (splendere, soccombere) non possono essere flessi ai
tempi composti, i verbi meteorologici non possiedono il soggetto e hanno valore solo alla terza
persona singolare, i pluralia tantum (nozze, trousers, kalendae) e i nomi di massa o astratti sono
fossilizzati. Inoltre, al livello opposto di analisi, c’è la polimorfia, ovvero la possibilità di flettere
secondo due paradigmi diversi (perso/perduto; seppellito/sepolto; visto/veduto).
 “La flessione non cambia la classe lessicale della base”: se si osservano i particpiparticipi passati,
questi possono avere valoro di aggettivo e di sostantivo (stesse cosa per i presenti).
 “La derivazione cambia la classe lessicale della base”: i nomi alterati (o vezzeggiativi) non cambiano
la classe lessicale e nemmeno molti altri suffissi (giornale> giornalista; leone-> leonessa; dormire->
dormicchiare). I diminutivi inoltre possono servire all’accordo (Animula vagula blandula), formare
parole a sé stanti (Ne voglio una ina ina) e formare un valore del numero (singolativo). In questo
ultimo caso è un suffisso che forma da nomi di massa un referente numerabile (cioccolato >
cioccolatino).
 “La flessione serve la sintassi. La denotazione di due forme flesse è la stessa”: se io dico “gatto” e
“gatti” ci sono due referenti denotativi diversi. Quindi il numero serve alla sintassi, ma la faccenda è
problematica per la denotazione.
 Quando la flessione e la derivazione si fondono: il suffisso del participio -nte che originariamente
veniva applicato ai verbi passa alla flessione nominale (edicolante)
 “La derivazione arricchisce e motiva il lessico e la flessione serve la sintassi”: alcuni nomi derivati
(vincitore e vincitrice) svolgono una stessa funzione sintattica.
 Il cambio di genere sui nomi è più derivazionale che flessiva: banana>banano; muro>mura;
frutto>frutta; foglio-foglia, ecc..

N.B.: la vocale tematica è problematica-> morfema vuoto.

I morfemi derivazionali permettono la formazione di un numero potenzialmente infinito di parole e danno


luogo a delle famiglie di parole. Ci sono morfemi che per loro natura, tuttavia, sono sia lessicali che
derivazionali, ovvero i prefissoidi e i suffissoidi (-logia, -metro o metro-, -nomo): la maggior parte di queste
semiparole danno vita a composti neoclassici, visto che la maggioranza di essi derivano proprio dal greco e
dal latino. Un altro caso sono le parole composte che in italiano di solito seguono e l’ordine modificando-
modificatore: è centrale qui la nozione di testa di un composto, che assegna al compostoa la sua classe di
parola, il suo genere ed il suo numero. Composti che presentano una testa vengono chiamati endocentrici
(bassorilievo), mentre se la testa è assente avremo dei composti esocentrici (scolapasta, senzatetto); i
composti dvandva sono composti che presentano due teste (cassapanca, caffellatte). Si può ancora
classificare fra composti stretti dove le parole perdono la loro integrità fonetica (biancazzurro), nel caso
contrario si parlerà di composti larghi (agrodolce, tragicomico); tra subordinativi dove la relazione è
modificato/modificatore (pescespada, pescecane, capostazione) e coordinativi dove la relazione è di tipo
copulativo (sordomuto, caffellatte).

Detto ciò, i morfemi funzionali identificano parole vuote mentre un morfema lessicale può costituire
autonomamente una parola piena. Dal punto di vista posizionale i morfemi grammaticali si possono
chiamare affissi, dividibili in:

- Prefissi, collocati prima della radice


- Suffissi, collocato dopo la raadiceradice
- Infissi, collocati nella radice
- Circumfissi, formati da due sementi collegati rispettivamente prima e dopo la radice (ge-sag-t in
tedesco)
- Transiffisi, che si incassano alternativamente dentro la radice (morfemi a pettine dell’arabo)

La radice è il morfema legato lessicale ed il tema è la parte a cui concretamente si attaccano le desinenze.

Esistono anche altri tipi di morfemi:

- i morfemi sostitutivi non sono isolabili segmentalmente e si manifestano come sostituzione di un


suono con un altro (es: feet, men). Ci sono morfemi discontinui costituiti da una parte sostitutiva ed
una suffissale (Buch> Bycher: variazione della vocale della radice e aggiunta del suffisso del plurale).
- Il morfema zero, dove una determinata categoria o caratteristica non è notata da nessun morfema
(es: plurali invariabili in inglese o nomi della terza persona singolare in latino)
- I morfemi soprasegmentali, dove un valor morfologico si rappresenta con un fattore
soprasegmentale come l’accento o il tono (‘record e re’cord in inglese)
- Processi morfologici non riducibili come la reduplicazione in indonesiano (anak “bambino”, “anak
anak” bambini).
- Morfemi cumulativi: un morfema riporta più di un significato (-as: plurale, accusativo, prima
declinazione). Un caso particolare di morfema cumulativo è l’amalgama: in questi morfemi non è
possibile dividere i singoli morfemi perché si sono fusi foneticamente (preposizione articolo “i” in
italiano e “au” in francese).

Nella derivazione suffissale esiste il fenomeno dell’alterazione, che non cambia classe lesscialelessicale della
parola, ma aggiunge un valore qualitativo ad essa. Importante è anche la parasintesi, in cui processi di
composizione e derivazione avvengono insieme (imbottigliare, impagliare, intenerire). La conversione è un
caso di derivazione zero: un verbo e un nome o un aggettivo hanno la stessa radice lessicale con assenza di
suffissazione (cambio, gioco, calmo, rosso (n. e agg.)).

Occorre ancora nominare le unità lessicali plurilessematiche (o polirematiche) costiutiecostituite da


sintagmi fissi che costituiscono un’unica entità di significato (ferro da stiro, fare il bucato, essere al verde).
Funzione intermedia tra unità polirematiche e parole composte ce l’hanno le unità lessicali bimembri, che
non hanno raggiunto lo status di una vera e propria parola composta (parola chiave, sedia elettrica, nave
scuola, scuola guida). Meccanismi più marginali sono coperti da sigle, acronimi e parole macedonia (smog=
smoke+fog).

L’allomorfo è la variante formale di un morfema, che realizza lo stesso significato di un altro morfo con cui è
in distribuzione complementare. L’allomorfia è causata da caratteri di ordine diacronico: talvolta i morfi
variano a seconda dei suoni adiacenti (amici e amici, asparago e asparagi-> ALLOMORFIA FONETICAMENTE
CONDIZIONATA). In altri casi il morfo utilizzato dipende dagli specifici morfemi lessicali con cui il morfema si
combina (call-ed, eat-en; agricol-is, orator-ibus-> ALLOMORFIA LESSICALMENTE CONDIZIONATA).
L’allomorfia può essere creata da alcuni mutamenti che caratterizzano una lingua (dittongamento
romanzo); eppure esistono paradigmi che vengono livellati per analogia. Quindi se il mutamento fonetico è
regolare, l’analogia reagisce in maniere irregolare ma creando maggiore regolarità. Spesso l’allomorfia
viene invece estesa (paradigma di leggo, spengo, fuggo, salgo); il verbo fuggire avrebbe voluto alla prima
persona un suono palatale, ma per una consapevolezza inconscia del parlante che la seconda e la terza
coniugazione presentano più irregolarità essa si è creata. Si parla di allomorfia o suppletivismo: in italiano il
verbo andare presenta allomorfia-> in questo caso c’è suppletivismo siccome le forme vado e andiamo
derivano da due radici etimologiche diverse (VAD- e AMBUL-); per il caso di essere (s-, er-, f-u) le prime due
forme sono diacronicamente allomorfiche (rotacismo latino esam>eram), mentre la terza deriva dall’i.e.
*bhū-. Il frequente suppletivismo e allomorfia del verbo essere è dovuto probabilmente alla sua frequenza
e che quindi vengono percepite come lessemi e classi diverse.

Per analogia si intende un processo che fa sì che determinate forme o costruzioni vengano rimodellate sulla
base di altre: quindi disi base su sporadiche percezioni che i parlanti hanno di un determinato fenomeno.
L’analogia può essere proporzionale (il rapporto esistente tra due forme vengono ricostruite oerper altre
forme): il plurale in -s e l’alternanza vocalica dei paradigmi verbali in alcuni dialetti. L’analogia non
proporzionale (il processo analogico avviene sulla base di connessioni stabilite su singole forme): esempi
sono il livellamento di paradigmi, la contaminazione (la presenza della fricativa labiodentale sorda in four è
data dalla contaminazione con five) e l’etimologia popolare (yellow wine dal finlandese jalowina per causa
di una similarità fonetica).

I morfemi possono estendersi anche attraverso classi flessive diverse: la nasale sonante indoeuropea in
greco avrebbe dovuto dare esito /a/, col risultato della creazione delle uscite -n e -a per l’accusativo
singolare; successivamente l’allomorfo -n si estese anche nei contesti dove ci sarebbe dovuto essere -a; in
sanscrito l’esito della nasale sonante è /a/, ma non troviamo forme allomorfiche in -a e -am perché
l’estensione si è avuto in epoca preletteraria. Il caso della metafonia in tedesco è stato esteso perché
rianalizzato il cambiamento vocalico come morfema del plurale. La prima legge dell’analogia fu quella di
Kurylowicz, che teorizzò che data la presenza di un paradigma più semplice e più complesso, il secondo avrà
la meglio sulla prima, eliminando il primo anche nei contesti ad esso destinato.

Ci sono casi in cui un morfo esprime vari significati per omonimia (“sono”, “sia” all’interno di uno stesso
paradigma o hominibus, lupis, curribus in cui viene indicato sia il dativo che l’ablativo plurale). La causa del
mantenimento di forma omofone in questo caso può essere ritrovata nella diversa distribuzione delle
forme: il dativo di solito è riferito a referenti animati mente l’ablativo nella maggioranza dei casi si trova in
un sintagma preposizionale ed èp riferito a referenti inanimati.

Si prenda poi come esempio l’esito dell’imperfetto e del congiuntivo latino nell’italiano antico: il primo sia
nella prima che nella terza persona singolare ha avuto l’uscito in -va, mentre il congiuntivo ebbe la stessa
uscita per le prime tre persone. L’imperfetto è stato disambiguato, mentre il congiuntivo ha sviluppato una
strategia di marcatura che lo rende estraneo alla sintassi verbale italiana, ovvero l’espressione
disambiguante del soggetto. Questo probabilmente è dovuto alla minor frequenza del congiuntivo rispetto
all’imperfetto.

TIPOLOGIA MORFOLOGICA

Si distingue fra lingue analitiche e sintetiche, e all’interno di queste ultime tra fusive e agglutinanti. Molte
lingue presentapresentano sia costruzioni sintetiche che analitiche e quindi bisognerà parlare di indice di
sintesi di una lingua: per esempio in italiano i verbi semplici hanno forme sintetiche, mentre i verbi
composti e ii passivo ha forme analitiche. Sempre in italiano l’imperfetto e il passato remoto attivi
presentano forme sintetiche: il primo è più vicino alla tipologia agglutinante mentre il secondo a quella
fusiva.
Le lingue analitiche, o isolanti, hanno poca o nulla morfologia flessiva (cinese in cui le parole sono invariabili
e i significati grammaticali non sono espressi da parolea non lessicali). Le lingue agglutinanti sono lingue in
cui c’è una corrispondenza biunivoca tra morfema e significato; generalmente esse non hanno classi
flessive ed il grado di allomorfia è ridotto. Le lingue fusive hanno spesso classi flessive e ogni morfema è
portatore di più di un signifcatosignificati (anche qui bisogna parlare di indice di fusiionefusione e
indicieindice di agglutinazione). Tra le lingue fusive interessanti sono le lingue semitche, ovvero lingue
introflessive in cui il significato lessicla eèlessicale veicolato dalle consonati mentre il significato
grammaticale dalle vocali-(cfr. transfissi).

Un ulteriore tipo morfologico è rappresentato dalle lingue polisintetiche o incorporanti: in italiano questo
fenomeno esiste ma è di bassa produttività (mettimelo), mentre ci sono lingue come il tiwa che fanno uso
sistematico dell’incorporazione, soprattutto del complemento oggetto all’interno della parola.

Wilhelm van Humboldt aveva classificato in chiave ideologica le tipologie morfologiche, riservano alle
lingue fusive il primato. Le considerazioni dello studioso oltre a portare ad un determinato razzismo
linguistico, vedevano le lingue di una stessa famiglia come appartenenti ad un unico tipo morfologico. Oggi
sappiamo che le lingue rappresentative di un tipo puro non esistono e che il tipo morfologico cambia (di
solito verso un maggiore grado di analisi, e dall’agglutinante di solito si passa al flessivo, ma confronta lnto
l’armeno che per influenza del turco assume il tipo agglutinante). All’inizio si pensava che quindi il processo
di mutamento morfologico fosse direzionato verbo il tipo fusivo, proprio grazie alla reputazione di
perfezione del tipo fusivo del sanscrito; Bopp parlava di teoria dell’agglutinazione (analitico-agglutinante-
fusivo; il mutamento inverso è visto come decadenza). In estone, per esempio, si passa dall’agglutinazione
alla fusione, ma questo è soltanto un caso. Non esiste una unidirezionalità che veicola il cambio di classe
morfologica.

Come si creano gli affissi?

- Rianalisi: ricorre ogni qual volte i vari elementi vengano analizzati dai parlanti in maniera diversa
rispetto a quanto veniva fatto in precedenza. In francese, per esempio, il suffisso -tier è stato
rianalizzato come parte della desinenza e non della base (argent-DES> argen-tarius).
- Interazione tra analogia e rianalisi: una volta che una forma o una costruzione ha subito un
processo di rianalisi la struttura che deriva da tale processo può essere estesa per analogia ad altri
contesti in cui la forma o costruzione originario non veniva usata. Nel passaggio dal latino
all’italiano i nomi neutri come tempus ha avuto lo stesso plurale di lupus per analogia; in alcuni
dialetti meridionali il suffisso -ora del plurale neutro è stato rianalizzato come plurale e applicato ad
altri nomi (campora, ecc..).

La grammaticalizzazione serve a creare nuovi morfemi grammaticali da classi lessicali aperte. Un esempio
può essere la formazione del futuro romanzo, dove il verbo habeo inizialmente si è ausiliarizzato e,
perdendo il suo significato originario, e poi è diventato un clitico, perdendo così sua autonomia foneticao;
infine, l’ausiliare ha perso anche il suo caso statuto di parola morfologica. L’esempio del futuro romanzo è
interessante siccome questo tempo, non esistente nell’indoeuropeo, per alcuni in latino si è formato
attraverso la radice *bhu del verbo essere (laudabo, laudabis, laudabunt, ecc..)-> probabilmente anche il
futuro latino si è formato attraverso un processo di rianalisi e grammaticalizzazione. Accanto al futuro
romanzo c’è anche il condizionale, in cui la grammaticalizzazione non ha avuto l’effetto di sostituzione di
una categoria flessiva, ma quella di creazione di una nuova categoria inesistente precedentemente. La
grammaticalizzazione è in corso in alcune lingue: i clitisiclitici soggetto del francese derivano da relativi
pronomi tonici, ma è molto probabile, visto che l’omissione del soggetto in francese non è possibile, che si
creerà una nuova categoria grammaticale per il verbo, data dalla prefissazione e non dalla suffissazione.
DI solito la grammaticalizzazione causa transcategorizzazione, ovvero il cambiamento di classe lessicale
dalla base (da morfemi lessicali a morfemi grammaticali); tuttavia può causare effetti ancora più radicali,
come la creazione di una nuova classe lessicale, come nella creazione dell’articolo in italiano.

Anche nella morfologia derivazionale capita frequente che forme lessicali si grammaticalizzino per creare
morfemi derivazionali: un caso è quello degli avverbi di modo in -mente.

Spesso si ha lo sviluppo di costruzioni progressive a partire da costruzione locative; Questo è dovuto al fatto
che le costruzioni progressive si sviluppano normalmente da quelle locative attraverso processi metonimici.

Una questione molto dibattuta è se la grammaticalizzazione agisca solo in una direzione (da parola lessicale
ad affisso flessivo): un esempio è quello dei partiecipi presenti,e che diventano da i cui suffissi flessivi
diventano a flussivi derivazionali (degrammaticalizzazione); il passaggio dal morfema flessivo -s del
protogermanico a clitico è un caso di grammaticalizzazione (genitivo sassone); il suffisso -ino da morfema
legato è diventato un morfema slegato o addirittura un lessema (“ma proprio ino ino”).

Spesso si creano quindi nuove parole: durante diventa una preposizione in italiano e non obstante>
nonostante. Sono casi di lessicalizzazione che si verificano anche nei preverbi, la cui distribuzione è
lessicale: è vero che sviluppano un significato grammaticale ma non è esteso a tutti i casi.

I processi di grammaticalizzazione sono normalmente il frutto di meccanismi di rianalisi determinati dai


contesti in cui particolari costruzioni vengono utilizzate. Questo ha potenzialmente varie conseguenze per
l’analisi del linguaggio:

 Sincronia e diacronia: normalmente si stabilisce una distinzione tra studio delle lingue a livello
sincronico (ovvero, in un determinato momento storico a prescindere dai fenomeni di mutamento
verificatisi sino a quel momento) e a livello diacronico (ovvero, studio del mutamento linguistico).
Ma i parlanti possono continuamente interpretare determinate costruzioni in maniera diversa in
contesti diversi, di fatto dando avvio a dei mutamenti (ovvero, la lingua non è mai veramente
statica): questo suggerisce che la dicotomia tra sincronia e diacronia sia in realtà artificiale.
 ‘Grammatica emergente’ dall’uso: la grammatica delle lingue non è un insieme di regole
prestabilite e immutabili, ma piuttosto un sistema convenzionale che viene di volta in volta
modificato dai parlanti in base alle esigenze del processo comunicativo e alle caratteristiche di
contesti diversi.

Le categorie grammaticali sono l’insieme di opzioni obbligatorie per una certa classe di parole: ogni
categoria ha valori diversi che si esprimono con mezzi morfologico ma anche sintattici.

Il nome ha come categorie flessive in indoeuropeo il numero e il caso, mentre il genere è una categoria
inerente (in alcune lingue c’è anche la categoria di definitezza e di possesso); l’aggettivo invece si flette
anche per il genere e per il grado (comparativo e superlativo).

Il numero è una categoria del nome ma genera accordo con aggettivi e verbi. I valori sono singolare, plurale,
ma esistono anche il duale, (greco o sloveno), il triale, il quadrale ed il paucale. I tipologi hanno osservato
che non uttitutti questi valori compaiono con la stessa frequenza: di solito il singolare precede il plurale che
precede il duale. Un sintomo che il singolare sia più frequente lo vediamo dal sanscrito che 8 forme distinte
per i casi al singolare, 6 al plurale e 4 al duale (anche in greco il duale ci sono due forme per il duale, mentre
cinque per il singolare e quattro per il plurale). Il duale in greco rappresenta un valore residuale e resta
all’interno di coppie naturali.

Un altro valore del numero è il singolativo: alcune lingue il plurale è la forma di base su cui si applica un
suffisso e si forma il singolare:
 Gallese: adar ‘uccelli’ , ‘stormo di uccelli’ -> aderyn ‘uccello’ ; plant ‘bambini’ -> plentyn ‘bambino’ ;
coed ‘bosco’ -> coeden ‘albero’
 Russo: grad ‘grandine’ è gradina ‘un chicco di grandine’ ;ljod ‘ghiaccio’ è l’dina ‘cubetto di ghiaccio
 qamḥ ‘grano’ è qamḥa(t) ‘un chicco di grano’

Il suffisso -at in arabo serve per formare sia il valore singolativo che astratto che collettivo che i nomi
femminili: nel momento che c’è un suffisso che ha tutti questi valori, bisogna chiedersi se originariamente ci
fosse un collegamento tra questi valori.

Questo legame lo possiamo vedere anche in indoeuropeo: c’è un’interazione tra numero e genere perché
uno stesso suffisso in i.e. -a si usa per il femminile che per il neutro plurale. Originariamente si pensava
questo suffisso si usasse per nomi collettivi: un residuo si hanno nello schema atticoa, per cui verbi che
sono al plurale neutro si accordano con verbi al singolare (questo è un valore residuale del collettivo in i.e.)

Il suffisso che in indoeuropeo designava il collettivo aveva lo stesso ruolo anche per l’astratto:
effettivamente entrambi rimandano a qualcosa di meno individuato e la loro distribuzione è minore rispetto
a quello del singolare e del plurale. Siccome non si trovava un modo di articolazione per entità astratte e
per nomi femminili, si è deciso di creare un terzo genere con -a.

Il genere ha due funzioni principali: la prima è quella di classificare sostantivi, la seconda è quella di creare
accordo. Il genere non è una categoria universale, dato che molte lingue ne sono prive. In inglese il genere
è ristretto solo ai pronomi personali. CI sono anche lingue come lo swahili che ha sette generi e altre che ne
hanno venti; anche lingue come il tedesco che hanno un genere neutro, nonostante abbia questo genereil
neutro, classifica comunque alcuni nomi di referenti inanimati nel maschile e nel femminile, inoltre i
diminutivi, anche di referenti il cui sesso è riconoscibile, sono sempre di generi neutri.

Le lingue indoeuropee antiche identificano tre generi (tranne l’armeno che non ha generi e l’anatolico che
ne ha due). Il femminile ha natura derivazionale ed è più marcato morfologicamente rispetto agli altri due
generi: questo ci fa capire che è di più recente formazione. InoltreInoltre, se osserviamo la declinazione
atematica, che è la più antica, non troviamo distinzioni di genere: bisogna pensare a due generi, uno
animato ed uno non animato. La creazione del terzo genere derivazionale, col suffisso -h2, è dovuta
probabilmente al fatto che i nomi astratti avessero il potere di animare esseri umani: così allora sono stati
collocati in questo nuovo genere anche i nomi femminili, che sono una via di mezzo tra neutri e maschili.

In anatolico troviamo un genere comune ed un genere neutro: alcuni studiosi hanno ipotizzato che il
genere femminile fosse scomparso, mentre altri, ritenendo che il femminile fosse di più tarda creazione,
sono giunti alla conclusione che questo genere si fosse formato più tardi.

Le regole di assegnazione delle lingue si basano sia ad informazioni relative al significato ed altre al
significante; in base al tipo di regole prevalenti si parla di genere semantici e sistemi di genere formali (non
esistono generi solo semantici o solo formali). L’assegnazione di un genere p fatta da un bambino ad una L1
a tutti i nomi di L1, un parlante he acquisisce una L2 a tutti i nomi di L2, un linguista che scrive una
grammatica computazionale Lx a tutti i nomi di Lx e un parlante maturo di L1 ai nomi di Ll1 che devono
entrare in una costruzione in cui fungono da controllori di accordo di genere ma non hanno ancora, nel
lessico mentale di quel parlante, un valore per il genere. Questa condizione si verifica in un nome che
generalmente non ha concordanza (come nomi di città), in neologismi e nomi composti esocentrici o in
nome presi in prestito da altre lingue. Ci sono vari criteri in questo caso per cui si assegna il genere in
questo caso: per iperonimo (città è femminile allora i nomi di città sono femminili) -> criterio semantico.
L’opposizione di genere si può esprimere attraverso risorse lessicali (una tigre maschio), risorse
morfologiche (lui/lei), marche flessive in caso di coincidenza tra classe flessiva e genere o negli aggettivi
(macchinista, macchinisti), morfemi derivazionali (leone/leonessa) e l’accordo (la ragazza studiosa).

Il caso è la terza categoria del nome: in italiano elementi del caso si sono conservati nei pronomi personali,
nei pronomi relativi e nei clitici. La loro funzione è quella di indicare il ruolo semantico: in italiano questo
uso concreto dei casi è stato perso a vantaggio di un uso grammaticale. Comunque, il significato dei casi in
molte circostanze è spiegabile grazie al contesto o ai lessemi specifici utilizzati.

Oltre che a rappresentare il ruolo semantico, il caso individua anche la funzione sintattica; le maggiori sono:
soggetto,soggetto, oggetto diretto, oggetto indiretto, complemento di preposizione (di Maria),
modificatore di testa nominale (di Maria) e avverbiale (non indispensabile per la valenza di quel verbo).
Pe=. Per comprendere questi ruoli bisogna considerare che un verbo ha delle valenze: esistono verbi
zerovalenti, monovalenti (è necessario il soggetto), bivalenti (soggetto e oggetto diretto), trivalenti (sogg,
ogg dir e ogg indir.).

Ci sono molti casi in cui viene espresso un ruolo che è semanticamente vuoto (it rains: valore espletivo),
verbi in cui viene omesso il soggetto o l’oggetto (Chiara ha cominciato a mangiare), verbi che in cui ruoli
sono espressi nella semantica ma non a livello sintattico (tagliare) e verbi di luogo.

I ruoli semantici possono essere:

 ◦ agente: causa un evento intenzionalmente; è generalmente un essere umano: Giovanni mangia


un panino
 ◦ paziente: subisce un cambiamento di stato in un evento causato da un agente: Giovanni mangia
un panino
 ◦ ricevente: riceve un paziente da un agente in una transazione: Maria ha dato un regalo alla sorella
 ◦ strumento: è usato da un agente per generare un evento: Maria ha impacchettato il regalo con
un foglio di
 carta colorata
 ◦ causa: causa un evento, ma non agisce volontariamente: Il bambino tremava dal freddo
 ◦ beneficiario: un essere umano a favore del quale si svolge un evento: Ho comprato un regalo per
mio padre
 ◦ maleficiario: un essere umano a detrimento del quale si svolge un evento: Ho pronto per lui un
bello scherzetto
 ◦ fine: il fine che un agente persegue nel causare un evento: Sono uscito per comprare il regalo
 ◦ tempo: Al mattino vado a scuola
 ◦ direzione: Al mattino vado a scuola
 ◦ luogo: Sono stato tutto il giorno a scuola
 ◦ provenienza: Mio figlio non è ancora tornato da scuola
 ◦ esperiente (entità animata che prova un certo stato emotivo/cognitivo e percettivo): Mi piacciono
le mele
 ◦ stimolo (entità che suscita un certo stato emotivo/cognitivo): Mi piacciono le mele
 ◦ possessore: Il libro di mia sorella

Anche in questo caso c’è la problematicità: normalmente i verbi transitivi hanno un soggetto che è un
agente ed un oggetto che è un paziente, ma in “chiara ama Andrea” l’oggetto non riceve un cambiamento
di stato (è più uno stimolo) e il soggetto non controlla intenzionalmente amore (è più un esperiente); in
“chiara subisce continue angherie” il soggetto è paziente, in “la pistola l’ha uccisa” il soggetto è uno
strumento.
Un'altra questione è quella della granularità: fino a che punto redigo una lista dei ruoli semantici? Si
potrebbe dire che gli agenti non sono mai uguali in base al contesto in cui lo sono: se la funzione del ruolo
semantico è quella di dserciveredescrivere che tipo di ruolo degli elementi giocano nel contesto, allora si
potrebbe percepire un ruolo semantico per ogni evento che accade nella realtà. Sarà più alta la granularità
quando raggruppo categorie diverse in una sola, bassa se tendo a descrivere formalmente la realtà.

I casi in latino spesso hanno ruoli semantici più che sintattici, quando in assenza di preposizioni. In i.e. i casi
avevano un ruolo molto più semantico che nelle lingue storiche.

Il tipo di relazioni grammaticali che possiamo individuare da una lingua all’altra cambiano rispetto al ruolo
che alcuni agenti hanno rispetti al verbo.

 Soggetto di verbo intransitivo = S


 Soggetto di verbo transitivo = A
 Oggetto di verbo transitivo = P

Le relazioni tra il verbo della frase e i suoi argomenti (relazioni grammaticali) sono in molte lingue indicate
dalle desinenze di caso (ma anche, p.e. dall’ordine delle parole). Nonostante questo, non sono le stesse in
tutte lingue che presentano un sistema di desinenze di caso. ◦ In latino, si utilizza normalmente lo stesso
caso (nominativo) per soggetto transitivo (A) e soggetto intransitivo (S), e un caso diverso (accusativo) per il
complemento oggetto transitivo (P). Questo significa che è possibile individuare una relazione
grammaticale che comprende A ed S, ed un’altra che comprende P. I sistemi di questo tipo vanno sotto il
nome di sistemi nominativi/accusativi (tabella 1). ◦ In altre lingue, si utilizza lo stesso caso (assolutivo) per
soggetto intransitivo (S) e complemento oggetto transitivo (P), ma un caso diverso (ergativo) per il soggetto
transitivo (A). Questo significa che, come in latino, è possibile identificare due distinte relazioni
grammaticali, ma queste comprendono, rispettivamente, S e P da un lato, e A dall’altro. I sistemi di questo
tipo vanno sotto il nome di sistemi ergativi/assolutivi

In georgiano, lingua caucasica, vediamo che nel tempo presente si ha un sistema nominativo-accusativo,
mentre nel passato si ha un sistema ergativo-assolutivo: è un caso di ergatività scissa in questo caso
indicato dal tempo (non sempre è data dal tempo, ma a volte anche dall’uso di pronomi).

Esistono anche le cosiddette lingue attive: in questo caso cambia il ruolo semantico ricoperto da S (nel caso
di andare via è intenzionale, nel caso di cadere è non intenzionale). Quindi S non intenzionale= P (dopo il
verbo); S intenzionale = A (prima del verbo). InoltreInoltre, in queste lingue si divide tra verbi e sostantivi
attivi e inattivi (o stativi): i verbi attivi possono concordare solo con sostantivo di quel tipo, così come quelli
inattivi.

◦ In determinate costruzioni, verbi, nomi, ed occasionalmente avverbi direzionali possono essere


reinterpretati come adposizioni con significato connesso (spesso per via metonimica) a quello originario
(desemanticizzazione). Le adposizioni perdono progressivamente il loro accento autonomo, e si tramutano
in clitici e successivamente in affissi, ovvero marche di caso, sulle parole cui si riferiscono (erosione
fonetica, univerbazione). Sia le adposizioni che le marche di caso possono subire un ampliamento dei loro
usi (paradigmaticizzaizione): si tratta di una vera e propria grammaticalizzazione per la creazione di marche
di caso. In ewe, per esempio, il verbo dare e il dativo-benefattivo sono resi dalla stessa marca flessiva.
Questo perché il verbo fare da “fare X e darlo a qualcuno” è diventato “fare X per qualcuno/ a qualche
scopo”.

In persiano un nome che originariamente significa “ragione/scopo” passa ad indicare il tema della frase
(allo scopo di X> per quanto riguarda X) e, quando questo tema è un complemento oggetto, viene
reinterpretato come una marca di accusativo. Non è un caso che in greco e in latino l’accusativo svolga il
ruolo di relazione: si può presupporre in molteo linguea che l’accusativo identificasse il tema della frase.
Un linguista italiano Sergio Neri ha pensato che syn (adposizione greca) derivasse dal termine “mano”,
siccome è una delle poche preposizioni che non hanno valore locativo, accanto ad altri valori.

Per l’indoeuropeo si ricostruiscono otto casi: nominativo (soggetto), genitivo (caso della dipendenza
nominale), accusativo (oggetto diretto dei verbi intransitivi o direzione), dativo (oggetto indiretto),
strumentale, locativo (localizzazione nello spazio e nel tempo), ablativo (uprovenienza) e vocativo.

In ittita troviamo anche il caso direttivo, che ha delle similarità con alcuni avverbi di luogo di altre lingue
indoeuropee.

L’oggetto indiretto, se da un lato riempie la valenza di un verbo, dall’altro noen lascia tracce
morfosintattiche di questo: non è detto che i verbi trivalenti abbiano un soggetto indiretto e che solo i verbi
trivalenti abbiano l’oggetto indiretto (es: pareo in latino). Inoltre, il dativo era usato per indicare un tipo di
possesso inalienabile e per questo indicava soprattutto referenti inanimati: nel caso in cui non li indichi, si
ha un dativo di fine o scopo.

Il caso strumentale indoeuropeo ha principalmente il ruolo di indicare lo strumento usato dall’agente o la


causa: questi ruoli sono continuati dall’ablativo latino

Il vocativo ha come ruolo quello di costituire una frase a sé, incentrata sul destinatario: infatti è molto
vicino all’imperativo anche morfologicamente, siccome entrambi nella flessione atematica hanno il tema
puro.

La definitezza ha a che fare con l’estensione, una classe di entità a cui una certa espressione nominale è
applicabile, e la identificabilità, ovvero la capacità degli interlocutori di individuare il referente testuale a cui
un’espressione singolare si riferisce. In italiano la definitezza si esprime attraverso articolo definiti o articoli
indefinriindefiniti, oltre che ai pronomi e aggettivi definiti, a vari livelli. In russo la definitezza si esprime
attraverso l’ordine dei costituenti, in turco attraverso la marcatura differenziale dell’oggetto con
l’accusativo, in ungherese si hanno delle desinenze anche sul verbo che si accorda a dei c. oggetto che
possono essere o meno definiti (in turco se dico che compro un libro e lo leggo, il primo verbo avrà una
desinenza indeterminata, mentre il secondo una determinata).

Il verbo ha come caratteri flessivi il tempo, il modo, l’aspetto, l’azione, la diatesi, in parte la persona ed il
numero (con cui si accordano). Il tempo nella frase principale riveste una categoria deittica ed ancora il
verbo al momento dell’enunciazione, mentre nella frase subordinata riveste una categoria relativa. Nelle
lingue indoeuropee antiche è primario l’aspetto rispetto al tempo (che in greco è segnalato solo
all’indicativo). L’indoeuropeo distingueva tra aspetto perfettivo ed imperfettivo: il primo in italiano è una
categoria inerente al passato prossimo, mentre il secondo all’imperfetto e al presente. L’imperfettivo ha
anche un’idea di abitualità (interazione tra l’aspetto grammaticale e lessicale dell’evento-> azionalità):
quindi l’aspetto è obbligatorio nella grammatica, interagisce col tempo e col modo (l’imperfettività può
essere uscita con la controfattualità: “c’era una volta…”, “volevo un etto di cotto”). Il perfetto ersera un
tema speciale formato col raddoppiamento: non è definibile né come tempo né come apsettoaspetto in
realtà- In origine questo tenmpotempo denotava uno stato e rientrava forse nel sistema della diatesi : in
greco siviluppòsviluppo oltre che un significaatosignificato stativo anche uno resultativo. Il futuro invece
non è ricostruiilericostruibile in una rradice indoeuropea comune.

La modalità è l’atteggiamento che l’emittente ha rispetti a un datoun dato enunciato, possiamo distinguere
tra: asserzioni, ordine, desideri, domande, modalità potenzizalepotenziale, contraffattualecontrofattuale (o
irreale) ed evidenziale. Non tutte le modalità hanno un modo e non tutti modi indicano sempre una
modalità: per esempio i modi in frasi dipendenti segnalano solo la subordinazione.

Per l’indoeuropeo possiamo ricostruire sicuramente due modi: indicativo e imperativo. In base alle altre
lingue ricostruiamo anche l’ottativo e il congiuntivo. Ci sono anche valori del modo come il condizionale, il
potenziale e l’evidenziale (frase riportata). Inoltre, i modi indefiniti sono chiamati modi ma non
rappresentano una modalità: participi, gerundi e infiniti sono al bordo tra classe nominale e classe verbale.
Il suffisso -nt- si ricostruisce per tutte le lingue indoeuropee e ha sempre funzione di formare partecipi (in
ittita passati, tranne per verbi atelici come “vivere”). Anche i suffissi -to- e -no- sono attestati in molte
lingue indoeuropee ma non in tutte hanno la caratteristica di formare participi (in greco formano aggettivi
deverbali).

L’azione, o azionalitl’azionalità, non è propriamente una categoria grammaticale, ma riguarda le


caratteristiche dell’evento, dello stato di cose, della situazione (per alcuni questi termini non sono
sinonimi), indicati dal verbo. È inerente per i verbi, così come il genere lo è sui nomi.

Una prima distinzione è tra stativi e processi: i processi sono eventi dinamici (Il ghiaccio si scioglie-> è telico
e quindi ha un inizio e una fine; Chiara corre -> èè atelico, è atelico) e gli stativi-> sono statici e
inerentemente atelici. “chiara ha corso una gara” è un evento telico che implica un soggetto che lo
prevedeo (è un’azione in senso stretto); mentre “chiara sta correndo” è atelico, siccome non ha un suo
punto finale naturale, ma è durativo ed è implicato un agente che intenzionalmente svolge ciò (è
un’attività). Non tutti gli eventi che hanno un agente sono telici: “il ghiaccio si scioglie” non è controllato,
mentre gli esempi precedenti sono controllati. Quest’ultima distinzione è anche quella che sta dietro alle
lingue attive. Da qui si distingue tra verbi inaccusativi, in cui il soggetto ha le caratteristiche di un paziente (il
ghiaccio si scioglie), e inergativio, dove il soggetto è un agente (Le ragazze hanno corso): questi verbi in
italiano hanno anche caratteristiche sintattiche tipiche, oltre che semantiche (non possono mettere al
passivo i verbi inergativi, anche se hanno ausiliare avere; i verbi inaccusativi hanno solitamente ausiliare
essere e sono impersonali).

Verbi come “tossire” sono semelfattivi: dopo l’azione descritta del verbo il soggetto ritorna alla situazione di
prima. I verbi che possono assumere entrambe le funzioni sono detti labilie (affondare, finire, ingrassare,
migliorare, ecc..).

I parametri quindi che prendiamo in considerazione sono la durata (stativi e dinamici), l’estensione nel
tempo (durativi o puntuali) e i confini temporali naturali (telico o atelico). Questa è la classificazione di
Vendler:

Tipi di eventi caratteristiche Esempi


Stati stativi durativi atelici Lucia ama Mattia; Chiara ha gli
occhi azzurri
Attività dinamici durativi atelici Chiara ha corso per un’ora
Achievements dinamici puntuali telici Chiara è arrivata
Accomplishments dinamici durativi telici Chiara ha mangiato il panino

 Processi: stati vs. attività Cosa stai facendo? Sto correndo. *Sto amando Mattia.
 ◦ Eventi telici vs. a-telici *Lucia ama Mattia in un’ora; *Chiara ha corso in un’ora; Chiara è arrivata in
un’ora; Chiara ha mangiato il panino in un’ora
 Eventi telici: Achievements vs. Accomplishments *Chiara è arrivata per un’ora. Chiara ha mangiato
il panino per un’ora

Questi sono i mezzi/test secondo cui possiamo riconoscere quali siano tipi di eventi. Si può comunque
manipolare il tipo di evento in base alla costruzione grammaticale.

La diatesi in italiano divide l’attivo dal passivo e si considera che la forma base sia l’attivo siccome il passivo
si forma perifrasticamente. Ciò che la diatesi cambia è la prospettiva sull’evento: il focus si passa
dall’agente al paziente; un altro effetto è che dall’attivo al passivo c’è una riduzione della valenza, siccome
col passivo può essere omesso l’agente; anche a livello del discorso l’agente è marginale nel passivo e
quindi non gli viene data rilevanza.

L’attivo ed il passivo denotano comunque eventi che sono stati fatti da qualcuno, ma come si costruiscono
glie eventi spontanei? In italiano si costruiscono attraverso il riflessivo, che non ha però un valore riflessivo.
Il cosiddetto riflessivo ha molti valori, anche vicini a quelli del medio in greco. In questa lingua abbiamo ilò
medio che ha dei valori comuni col passivo greco: in effetti il passivo ha un proprio tema solo per alcuni
aspetti.

Sappiamo che il passivo si è formato dopo: in greco il passivo ha natura derivazionale (theta-eta, eta) e ha le
stesse desinenze dell’attivo. Quindi in indoeuropeo probabilmente si avevano solo medio e attivo, mentre il
passivo si è creato successivamente.

Cosa fa il riflessivo in italiano?

(a) Usi monovalenti

 ◦ Eventi spontanei: La malattia si è aggravata, il vaso si è rotto


 ◦ Passivo: Si è trovata una soluzione (= È stata trovata una soluzione; non si esprime l’agente)
 ◦ Impersonale: Di qui si va per la città dolente…

(b) Usi bivalenti

 ◦ Riflessivo: Mi guardo allo specchio


 ◦ Pseudoriflessivo: Mi lavo i denti
 ◦ Autobenefattivo (alto coinvolgimento del soggetto): Mi mangio un bel panino
 ◦ Reciproco: Gli amanti si baciano

Questi usi si possono ritrovare anche per il medio in greco, anche se alcuni (riflessivo e pseudoriflessivo)
sono espressi dal contesto, e perd il medio morfologico (passivo) in latino.

Nelle lingue indoeuropee troviamo numerosi verbi che chiamiamo deponenti, soprattutto in anatolico:
questo ci fa capire che la distinzione iniziale tra attivo e medio era lessicale e che probabilmente al medio
appartenevano verbi intransitivi, spontanei e stativi. Probabilmente si era formato un altro tipo di flessione:
il perfetto. Sappiamo questo perché le desinenze del medio e del perfetto sono affini e che alcuni verbi,
media tantum, sia in greco che in latino presentano forme attive al perfetto.

Anche alcune categorie verbali sono grammaticalizzate. Una classificazione più articolata di alcune nozioni
comprese nell’ambito della categoria di modalità:

 ◦ Abilità /possibilità interna al partecipante: un agente possiede la capacità di compiere una


determinata azione: Può andare avanti dormendo cinque ore per notte, So parlare inglese.
 ◦ Necessità interna all’agente o al partecipante: particolari condizioni fisiche o mentali obbligano un
agente a compiere una determinata azione: Deve dormire dieci ore per notte.
 ◦ Necessità esterna al partecipante: un agente è obbligato a compiere una determinata azione da
condizioni esterne: Per andare alla stazione, devi prendere l’autobus 6.
 ◦ Obbligo o necessità deontica: un agente è obbligato a compiere una determinata azione da
circostanze esterne legate ad una fonte di autorità: Adesso devi andare via.
 ◦ Possibilità di base o esterna al partecipante: determinate circostanze esterne mettono in grado un
agente di compiere (o meno) una determinata azione: Per andare alla stazione, puoi prendere
l’autobus 66.
 ◦ Possibilità deontica o permissivi: un agente è autorizzato a compiere una determinata azione da
una fonte di autorità: Lei può andare.
 ◦ Necessità epistemica o inferenza di certezza: il parlante presenta la realizzazione dell’evento
descritto dall’enunciato come certo: Giovanni dev’essere arrivato.
 ◦ Possibilità epistemica: il parlante presenta la realizzazione dell’evento descritto dall’enunciato
come possibile: Può essersi dimenticato.

Quali sono i meccanismi che, nelle varie lingue, portano all’associazione di una specifica gamma di
significati con una singola forma? Esistono delle somiglianze, da una lingua all’altra, tra questi meccanismi?
Quali considerazioni generali si possono trarre da questi meccanismi?

Esaminiamo il Must in inglese: inizialmente significava “essere capace” (*med-> radice indoeuropea per
abilità). Da possibilità interna si passa ad una possibilità esterna: se qualcuno è in grado di compiere una
determinata azione, si inferisce che le circostanze esterne lo mettono in grado di compiere questa azione.
Successivamente il verbo passa ad indicare che ha il permesso di fare un’azione (possibilità deontica); da
qui si passa all’obbligo di fare qualcosa, quindi una necessità esterna al partecipante. Infine, da necessità
deontica si passa ad una necessità epistemica: questo avviene sulla base di contesti dove dall’inevitabilità di
un certo evento (ovvero, dalla necessità che un certo evento accada) si deduce che l’evento avverrà
certamente.

“ought to” in inglese moderno ha significato da obbligo derivante da circostanze morali o sociali, o di
probabilità epistemica. La forma inizialmente ha origine da “agan” (avere, possedere): in alcuni casi, il verbo
è combinato con verbi non finiti che denotano anch’essi possesso ed obbligo (b). In questo caso, l’entità
posseduta è virtuale, e quindi il significato di possesso viene cancellato a favore di quello di obbligo.
Successivamente, si ha un’espansione di ought in contesti con significato di obbligo o necessità esterna al
partecipante, in cui l’aspetto del possesso è del tutto assente. Il significato epistemico si sviluppa molto più
tardi, a partire da contesti come quello in (d), in cui dal fatto che esistono delle condizioni che obbligano un
soggetto a compiere una determinata azione si inferisce che si può concludere che tale azione abbia avuto
luogo.

C’è un processo di progressiva soggettificazione: si passa dalla descrizione di circostanze oggettive alla
descrizione di meccanismi del ragionamento del parlante- Molto spesso il mutamento semantico ha a che
fare con un accordo diverso trai partecipanti: con una presenza massiccia del soggetto a volte è il soggetto
in sé a cambiare il significato a volte il destinatario in base a ciò che capisce (intersoggettificazione). Inoltre,
si parte da specifici contesti che per la loro ambiguità possono provocare processi di inferenze: il significato
viene centralizzato associato ad una nuova forma.

Di che tipologia sintattica sono le lingue indoeuropee: la maggior parte delle lingue indoeuropee antiche e
moderne hanno un sistema nominativo-accusativo. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che in una loro fase
molto antica ci fosse ergatività: alcuni hanno pensato che il fatto che la marcatura del caso nominativo sia
un segnale che esso deriva da un antico caso ergativo, visto che di norma nelle lingue nominativo-
accusative il nominativo non è marcato. L’ipotesi che invece fosse una lingua attiva è data da caratteri
lessicali: 1) coppie lessicali di cose inanimate ci possono far pensare che la divisione fosse tra nomi attivi ed
inattivi; 2) il fatto che inizialmente la distribuzione tra medio ed attivo fosse lessicale. Alcune lingue
presentano sistemi ergativi sviluppatisi più tardi, come l’hindi; le lingue anatoliche avevano un sistema
perer cui i nomi neutri non potevano essere soggetti di verbi transitivi: veniva applicato ad essi il suffisso -
ant- del genere comune (anche se alcuni pensano che -anza non sarebbe scomponibile e rappresentasse un
caso ergativo; quindiquindi, l’ittita sarebbe una lingua ad ergatività scissa).

SINTASSI

Le frasi sono composte da più parole combinate insieme. Si intendono per sintassi di una lingua le relazioni
e i meccanismi di combinazione che intercorrono tra le parole di una frase: ovvero, quali parole vanno con
quali altre, in che posizione si collocano determinate parole rispetto ad altre indipendentemente dal
significato. Tra le parole di una frase esistono rapporti sintattici, indipendenti dal significato di ogni singola
parola.

Come si individuano i costituenti? In linguistica si sono fatti vari test per la loro individuazione: la base sono
i fenomeni distribuzionali relativi a quali parole possono essere utilizzate in un determinato contesto.
L’ordine e la contiguità, o l’adiacenza delle parole (o mobilità) sono dei criteri fondamentali per individuare
i costituenti siccome al loro spostamento o si ha una frase agrammaticale o cambiata di interpretazione; il
secondo test è la possibilità di spostamento: alcune parole si possono spostare solo in blocco per creare
una frase che resti grammaticale, anche se cambia l’interpretazione complessiva della frase.

Il terzo test è la scissione della frase semplice in due frasi: la frase scissa èp una frase in cui un costituente
viene messo in rilievo attraverso la divisione di una frase principale con predicato nominale a sinistra e una
frase subordinata che mantiene il proprio verbo ed è introdotta da un pronome relativo (è con la bandiera
che il giudice fermò l’atleta). Un altro test è la possibilità di sostituzione: alcuni gruppi di parole possono
essere sostituiti in blocco da alcune parole, ma per altri gruppi di elementi condurrebbe ad una frase non
grammaticale. Altro criterio è la coordinabilità, che consente di riconoscere quando gruppi di parole
rappresentino uno stesso sintagma: attraverso l’uso di una congiunzione coordinante tra due sintagmi non
sempre si ha una frase grammaticale. Ulteriore criterio è quello dell’enunciabilità in isolamento: un
sintagma può essere enunciato in frase nominale; l’ellissi o il gapping: i costituenti possono essere omessi a
certe condizioni all’interno dell’enunciato, purché il loro contenuto sia recuperabile; l’accordo: la formela
forma di determinate parole varia a seconda dal variare della caratteristiche di altre parole (il verbo si
accorda con il soggetto in italiano); la reggenza: la forma di alcune parole è determinata da altre parole, ma
non riflette nessuna caratteristica di queste parole (in italiano si può dire Andrea mi sveglia ma non
*Andrea io sveglia).

L’esistenza di queste relazioni sintattiche indica che le frasi hanno un’architettura interna e quindi possono
essere scomposte in blocchi costituiti da gruppi legati da una relazione sintattica. All’interna di sintagmi
stessi alcuni elementi non possono occorrere autonomamente, la forma di alcuni elementi varia a seconda
delle caratteristiche o è determinata da questi e più in generale alcuni elementi modificano o specificano il
significato di altri. La testa controlla l’accordo, non può essere omessa e viene modificatao da altri sintagmi:
si tenga presenta che invece la testa del sintagma preposizionale non abbia queste caratteristiche. I sotto
costituenti dei sintagmi sono elementi che non devono necessariamente occorrere, non possono essere
autonomi e modificano il significato degli altri.

I tipi di costituenti sono nominati sulla base della testa. Nel caso in cui la testa determini la forma del
dipendente, si parla di sovra reggenza e di complementi; nel caso degli altri tipi di sintagmi il dipendente è
un modificatore, che non completa il significato della testa e si basa su un rapporto di accordo e non di
reggenza. In latino la relazione di dipendenza è segnalata sul dipendente; in italiano accade la stessa cosa,
anche se c’è l’assenza di casi. Ci sono altre lingue in cui questa relazione è segnalata sulla testa, come in
ungherese per quanto riguarda il possessivo; nelle lingue semitiche il caso costrutto è suallasulla testa. In
turco la segnalazione è sulla testa ma anche sui dipendenti, con modficatorimodificatori definiti: il
dipendente è marcato attraverso il genitivo mentre la testa col possessivo (nel caso di modificatori
determinati si comporta come il turco-> importanza della definitezza). L’uso del clitico ripetuto in italiano è
marcatoa e segnala una dipendenza sulla testa (Due legioni le=lasciò lí, le altre quattro le=ricondusse
nell’accampamento principale.). I sintagmi principali sono SV (verbale), SN (nominale), SAvv (avverbiale),
SPrep (preposizionale), SAgg (aggettivale); ci sono poi altri elementi che si ritrovano a far parte dei sintagmi,
come il pronome (Pro), i numerali (Num), i quantificatori (Quant), l’articolo (Det).

I costituenti si possono rappresentare attraverso alberi a due rami, a tre rami o attraverso parentesi.

In alcune lingue sono permessi i cosiddetti costiturenticostituenti discontinui, ovvero gruppi di elementi
legati da relazioni di significato ed eventualmente da relazioni di accordo o reggenza, non trovandosi
adiacentemente nella frase. Esistono costituenti nulli come il soggetto: esistono lingue pro-drop (soggetto
non obbligatorio) e non pro-drop (soggetto obbligatorio); in greco e latino se il soggetto è noto, l’omissione
è di default. In latino arcaico anche l’oggetto in risposte a domande polari può essere omesso (questa
caratteristica c’è anche in portoghese); in latino classico l’oggetto diretto viene omesso in frasi coordinate
se già espresso e se viene espresso nuovamente c’è uno scopo pragmatico e di enfasi. Nella Vulgata ormai
l’oggetto non viene più omesso. In italiano antico normalmente ci sono i pronomi oggetto, ma sono ancora
possibili i casi di omissione.

Altre lingue hanno delle regole precise per ciò che riguarda l’ordine delle parole e dei costituenti gli uni
rispetto agli altri, ma tali regole sono diverse da una lingua all’altra. Greenberg ha individuato tre tipi più
frequenti:

I tipo: VSO – NA, NG, NRel, Prep

II tipo: SVO – NA, NG, NRel, Prep (ma cfr inglese

III tipo: SOV – AN, GN, RelN, Posp

(G) indica il genitivo, perché normalmente questo caso funge per la dipendenza nominale.

Questi sarebbe degli universali tipologici di tipo implicazionale: non sempre però questi universali sono veri,
per il terzo tipo, per esempio, il latino possiede solo due postposizioni (causa o gratia) o in greco la
posizione di aggettivi e articoli hanno una vera e propria funzione comunicativa. L’irlandese antico e
l’ebraico biblico sono VSO, il giapponese ed il turco sono SOV. Comunque, per il secondo tipo c’è una
maggiore oscillazione. Questa formulazione è stata fatta da Greenberg, ma con la piena consapevolezza di
voler descrivere una tendenza, non una norma: Sandra Thompson ha dimostrato come l’ordine dei
costituenti possa variare per motivi pragmatici.

In inglese possiamo muovere l’oggetto ma l’ordine SV deve restare costante (I know John, John I know,
John know I*). In tedesco l’ordine è SVO, ma l’ordine dei costituenti può essere variato a condizione che il
verbo rimanga in seconda posizione: lingue come il tedesco sono lingue V2, che sfruttano a scopo
pragmatico il primo costituente.

Ci sono delle problematiche: quando parliamo di costituenti cosa intendiamo? I clitici sono costituenti, ma
sono parole? Il verbo composto ha più costituenti o più parole? Per la prima domanda possiamo pensare
che il clitico in molte lingue compare in posizioni ben definite

, a differenza della parola accentata. Per il secondo problema possiamo prendere come esempio il tedesco:
nel caso ci sia un verbo composto è l’ausiliare a prendere la seconda posizione, mentre il verbo portatore di
significato occupa la posizione più a destra: costituenti pesanti, complessi dal punto di vista categoriale e
che portano molto materiale fonologico, sono solitamente spostati a destra. Otto Behaghel ha notato come
i costituenti sono rodianti in base al loro peso fonologico e alla loro complessità, dimostrano come parole
più leggere vengano spostate a sinistra e parole più pesanti a destra; da questa legge si può ricavare anche
quella di Jacob Wachernagel, che ha notato come in alcune lingue indoeuropee i clitici, elementi leggeri,
comparissero in P2, ovvero seconda posizione (questo era regolare in ittita).

Per quanto riguarda i sistemi di clitici, che nelle lingue indoeuropee erano assenti, possiamo notare
determinate caratteristiche nelle lingue romanze moderne. In latino c’è la possibilità di spostare il verbo
alla fine della frase, mentre in italiano, con una curva internazionale costante, questo non è possibile. Il tipo
delle lingue romanza viene solitamente individuato come SVO, ma questo è l’ordine meno marcato: OSV è
un ordine possibile ma che comporta più materiale morfologico e fonologico, siccome viene ripetuto il
complemento oggetto sotto forma di clitico (in francese il soggetto deve essere sempre seguito dal verbo).
Tutti questi parametri (ordine delle parole libero o meno libero, costituenti discontinui, omissione libera di
costituenti, sostanziale non distinzione tra nome e aggettivi) possono essere osservati assieme e si piò
parlare di configurazionalità e non configurazionalità. Ken Hale ha detto che le lingue configurazionali
possiedono un ordine di costituente liberi, costituenti discontinui e costituenti nulli e referenziali: il latino
ed il greco sono lingue non configurazionali, con una struttura informativa più piatta. Nel corso del tempo
queste lingue hanno creato configurazionalità, come si è visto. Ci sono linguisti che ritengono che questi
parametri non possano essere osservati insieme; in realtà l’ordine delle parole libero e i costituenti
discontinui sono stati osservati a livello statistico.

La frase ha in sé anche una struttura pragmatico-informativa: da questo punto di vista possiamo distinguere
tipi di frasi (assertive, interrogative, esclamative, iussive). Possiamo allora distinguere tra:

 Tema e rema: il tema è ciò su cui si afferma qualcosa mentre il rema è la predicazione che viene
fatta intorno al tema (possono essere chiamati anche topic e comment). Esistono anche frasi
atematiche come le imperative.
 Dato e nuovo: il dato è l’elemento della frase noto perché giù introdotto nel discorso, il nuovo è
l’elemento portato come informazione non nota. Il dato spesso coincide con il tema, mentre il
nuovo con il rema.
 Il focus è il punto di maggior salienza comunicativa della frase e solitamente fa parte del rema.
Possiamo riconoscere il focus perché esso può essere contrastato.

Nelle frasi non marcate soggetto, agente, tema tendono a coincidere. La situazione cambia in frasi marcate
sintatticamente:

 Dislocazione a sinistra: permette di rematizzare il tema riprendendo un pronome clitico anaforico,


posto accanto al verbo (il televisore lo spegne Elena). In italiano, in caso di enunciazione del
soggetto, che sia privo di ripresa e di marca della funzione, si ha il tema sospeso o libero
(nominativus pendens), che dà luogo ad un anacoluto (Elena, le ho detto che mi manca).
 Dislocazione a destra: permette di tematizzare ciò che nell’ordine non marcato è un rema, come
quella a sinistra; a differenza di questa l’ordine è rema-tema e non tema-rema (Elena lo spegne il
televisore). Nel caso che la curva intonativa sia unitaria si ha un dato, nel caso in cui venga
interrotta si ha un nuovo (questo avviene se l’elemento dislocato a destra è il soggetto).
 Frase scissa: ha la funzione di mettere a focus un costituente separandolo dal resto della frase (è lei
che mi ha ferito; è Andra ad avermi fatto passare i guai).
 Rematizzazione a sinistra: si ha quando un costituente, di solito l’oggetto, viene messo a focus in
posizione preverbale (tipicamente succede con l’oggetto). A differenza della dislocazione a sinistra il
costituente anteposto non è un clitico ed è rematico; questo costrutto è tipicamente noto come
topicalizzazione contrastiva (te cercavo; Gianni, non viene-> curva intenzionale interrotta), data la
funzione che svolge (“te cercavo”-> e non altri; può avere anche valore aggiuntivo “anche te sei
qui” e restrittivo “solo questo sei per me”
 Enunciati tetici: sono interamente rematici. Usato per annunciare un evento o aprire un discorso (è
arrivato qualcuno…). Sono di questo genere le strutture VS e quelle che hanno il c’è presentativo
(c’è Andrea che ti cercava, c’è la camera che è in disordine)

Al di là della frase c’è il periodo. La coordinazione avviene quando proposizioni vengono accostate senza
che ci sia un rapporto di dipendenza tra esse, mentre la subordinazione prevede un grado di dipendenza:
questi due fenomeni vengono realizzati attraverso i connettivi (ma c’è anche l’asindeto per la coordinazione
e i modi non finiti per la subordinazione). Le frasi subordinate possono essere avverbiali o circostanziali, che
modificano l’intera frase da cui dipendono; completive (oggettive e soggettive), che costituiscono un
costituente nominale maggiore della frase o che riempiono una valenza o argomento del predicato verbale;
le relative, che sono subordinate che modificano un costituente nominale ed hanno sempre un nome come
testa. Non sempre la posizione del verbo in frase principale o dipendente è la stessa in tutte le lingue: in
tedesco se nelle principali il verbo è in P2, nelle subordinate è alla fine. In generale le subordinate hanno
meno dinamismo comunicativo delle principali, siccome ricoprono un ruolo di background rispetto al
foreground delle principali, e quindi non si ha il bisogno di mettere in risalto, per scopi comunicativi, un
elemento di esse.

Nel corso dell’evoluzione delle lingue possono cambiare:

 i fenomeni che indicano delle relazioni sintattiche: ad esempio in italiano si è perso sistema dei casi,
ma l’ordine delle parole è diventato dipendente dalle relazioni sintattiche, ovvero in italiano ci sono
delle regole specifiche relative all’ordine degli argomenti
 la natura dei fenomeni che indicano delle relazioni sintattiche: ad esempio alcune lingue possono
cambiare l’ordine delle parole
 il tipo di relazioni sintattiche, ad esempio quali elementi formano un costituente con quali altri.

In cinese mandarino l’ordine SVO è mutato in SOV ma come conseguenza di mutamento nelle relazioni
sintattiche; tuttavia, in costruzione come “prendere x e fare qualcosa ad x” il verbo prendere è stato
rianalizzato come marca del complemento oggetto (prendo l’acqua e la verso-> verso l’acqua->
GRAMMATICALIZZAZIONE da verbo lessicale a marca di accusativo).

SEMANTICA

La semantica è lo studio del significato delle espressioni linguistiche. Questo termine è stato coniato nel
1883 da Michel Breal ed è stato introdotto per la variazione del significato delle espressioni linguistiche:
può essere un allargamento, un restringimento oppure una trasformazione del significato. Per capire la
semantica bisogna definire il significato, che è concretamente l’informazione tramessa da un’espressione
linguistica: però l’informazione dipende dal contesto ed ha che fare col rapport tra il linguaggio, il pensiero
e la realtà (quindi ha a che fare con la semiotica, il funzionalismo linguistico e la pragmatica).

Nel Cratilo di Platone, un dialogo, vengono introdotti tre personaggi con tre posizioni diverse:

 Teoria sofistica del linguaggio (cfr. arbitrarietà) di Ermogene: ogni tipo di nome si adatta a seconda
delle condizioni poste dall’uso. Il termine «cavallo» è puramente convenzionale; non c’è nulla in
comune tra la parola «cavallo» ed il cavallo; tuttavia, l’uso comune ha permesso quest’accettazione
e si reputa corretto dire che quell’animale è un cavallo. Ugualmente bene andrebbe il termine
«scoiattolo» o il termine «cicala», giacché non sussiste nessuna somiglianza tra nome e cosa
nominata.
 ◦ Teoria naturalistica del linguaggio (nome = cosa) di Cratilo: esiste un’assoluta identità tra nome e
cosa nominata. Il nome è vero sempre, perché racchiude in sé la stessa natura che pervade la cosa
nominata (il nome è l’essenza della cosa).
 Teoria ontologica del linguaggio (cosa > nome; le cose vere producono discorsi veri, le cose false
producono discorsi falsi) di Socrate (e Platone): esiste un’altra realtà al di fuori del nome; è la realtà
stessa delle cose a cui i nomi si riferiscono. Bisogna infatti che esista una natura al di fuori del nome
perché esista una reale nominabilità. Senza questa natura, rimarrebbe inutile nominare, giacché
non si dovrebbe indicare nulla con il nome, perché non ci sarebbe nulla da indicare.

Per gli stoici il concetto è un segno che significa le cose. In ogni


segno bisogna distinguere la cosa che significa (il simbolo o
significante, ovvero la parola), l’idea e il pensiero che si forma
quando la pronunciamo (il significato o simbolo) e la cosa reale
a cui facciamo accezione (il referente).
Seconda una concezione mentalistica del significato a mediare tra il simbolo e il pensiero c’è l’idea del
referente (o denotato).

CI sono tre tipi di approcci alla semantica:

 ◦ Semantica referenziale: il significato scaturisce dalla relazione tra le espressioni linguistiche e la


realtà extralinguistica a cui si riferiscono (quindi esclude il fatto che tra referente e significato ci sia
l’idea mentale)
 ◦ Semantica strutturale: il significato si crea grazie all’azione ordinatrice della lingua; il pensiero è
amorfo, la lingua lo struttura
 ◦ Semantica cognitiva: il significato è il concetto (o l’insieme di concetti) al quale un’espressione
linguistica è legata nella nostra mente

La prima nasce all’interno della filosofia antica: ogni problema filosofico va affrontato analizzando il
linguaggio in cui è formulato; il linguaggio è il principale strumento del pensiero; l’analisi linguistica è
cruciale per capire come funziona il pensiero. I vertici del triangolo quindi di riducono a due: il significato ed
il referente. Ci sono vari problemi in questo approccio: come si fa a parlare di un referente non esistente,
come l’unicorno? Come è possibile che ci siano vari significati per identificare un referente (Dante Alighieri
può essere chiamato anche autore della Commedia)? Referenzialmente dire “Dante è Dante” e Dante è
l’autore della divina commedia” è la stessa cosa: i filosofi analitici si sono accorti di questo problema e per
questo Frege ha distinto da Sinn (senso) e Bedeutung (significato di denotazione, o significato, o referente).
Questa distinzione ha a che fare anche con la differenza introdotta da Leibniz tra estensione (insieme delle
entità a cui è applicabile un’espressione) ed intensione (insieme delle proprietà a che individuano
quell’entità). Un’altra coppia, introdotta da Mill, è quella di connotazione (informazione concettuale che un
termine esprime e che non è soggettiva: l’attenzione è posta sugli attributi di quanto denotato che di solito
sono condivisi socialmente) e denotazione (insieme degli oggetti che esso indica ed identificazione di un
referente da parte di un segno linguistico). I sinonimi hanno per esempio la stessa denotazione ma non
sempre la stessa connotazione.

Uno sviluppo della semantica referenziale è quella vero-condizionale, che approccia il significato sapendo
quali condizione rendono vera o falsa una frase. Il valore di verità (che abbiamo analizzato anche nella
pragmatica) è tipico solo delle asserzioni: le condizioni di verità dell’asserzione è determinata sia dalla
verità extralinguistica sia da connessioni logiche (qualcosa è vero solo se non è falso).

Il valore di verità di una proposizione complessa è costituita dalla somma dei valori dei suoi membri
(principio di composizionalità): questo tipo di semantica è formale e quindi si propone di dar conto alla
struttura logica e interpretativa di certe frasi indipendentemente dall’interpretazione particolare che
possiamo assegnare alle parole che costituiscono (il gatto è sul divano ed il libro è sul tavolo si riferiscono a
due diversi stati di cose, ma necessitano per la loro comprensione operazioni mentali simili)-> SEMANTICA
FORMALE (vs sostanziale).

La semantica strutturale ha una concezione anti-referenzialista: il significato è un fenomeno interno alla


lingua che permette l’organizzazione del pensiero. Coincide con il contenuto che è indissolubile
dall’espressione nella costituzione del segno linguistico. Sostanzialmente, quindi, la semantica strutturale
analizza il modo in cui una certa area di significato viene distribuita in diverse situazioni linguistiche ed in
cui determinate parole si delimitano vicendevolmente (cfr. arbitrarietà semantica: in italiano esistono
termini per identificare il bosco e la legna, mentre in francese entrambi i termini vengono identificati con
bois). Ciascuna lingua crea il proprio repertorio di significato articolando in maniera arbitraria la massa
amorfa del pensiero e quindi il contenuto è creato dal sistema linguistico. Questo tipo di semantica studia
anche i rapporti fra parole:
 Sinonimia: due lessemi sono sinonimi quando hanno stessa estensione ed intensione in teoria. La
sinonimia perfetta si ha quando i due termini sono interscambiabili in ogni contesto possibile
(quindi si ha sempre una sinonima parziale, siccome la connotazione cambia sempre in base, per
esempio, ai registri e ai luoghi). Inoltre, la sinonima è un importante di meccanismo di coesione
testuale per evitare la ripetitività: si permette di creare una catena, sequenza di elementi coesivi
che permettono di tenere assieme vari enunciati che formano un testo, riprendendo l’elemento
posto all’inizio della sequenza (anafore e catafore). Una sinonimia totale si ha in casi di allomorfia,
quindi non si può dire che sia pienamente corretto parlare di sinonimia (devo/debbo, tra/fra)
 Omonimia: più significati non correlati fra loro corrispondono ad un unico significato. A sua volta si
può distinguere tra omofonia e omografia.
 Polisemia: diversi significati associati ad un significante ma con una parentela tra loro e derivabili
l’uno dall’altro. Un caso speciale di polisemia è l’enantiosemia, che si ha quando significati opposti
derivano dallo stesso termine e sono associati ad un unico significante (es: tirare, ospite, spuntare).
 Tassonomie: un significato di un lessema può essere a sua volta compreso in un significato più
ampio e generico. Al vertice di questa tassonomia ci sono gli iperonimi che racchiudono molti
iponimi, che tra loro sono co-iponimi: esistono delle vere e proprie catene iponimiche siccome a
loro volte un iponimo può avere altri iponimi (animale>felino>gatto>persiano). Salendo di
genericità si arriva ad un livello di designazione talmente generale da non aver bisogno di un
termine singolo per indicarla (essere animato: unità plurilessematica). Quindi all’aumentare della
genericità aumenterà l’estensione, al suo diminuire aumenterà l’intensione.
 Meronimia: è il rapporto che si ha fra termini che designano una parte specifica di un tutto unico e
il termine che designa il tutto (secondo, minuto, giorno, mese, anno, ecc.)
 Solidarietà semantica: sono rapporti che, a differenza della sinonimia e l’iponimia, ricorrono
sull’asse sintagmatico e sono basti dalla cooccorrenza obbligatoria di un lessema con un altro.
Alcuni termini potranno comparire solo con altri (pane-raffermo, gatto-miagolare, lingua-leccare).
 Collocazioni: simile alla solidarietà semantica, ma l’associazione di due termine è più convenzionale
che non obbligata (bandire-concorso, porta-scorrevole, saluti-cordiali, ecc..)
 Antonimia: sono antonimi due lessemi dal significato opposto; il test per capire se si tratta di un
antonimo è “x è antonimo di y se x implica non-y, ma non-y non implica x” (caldo è antonimo di
freddo perché caldo implica che non sia freddo, ma non freddo non implica che sia caldo). Gli
antonimi, quindi, sono graduabili (abbastanza caldo, poco freddo, né caldo né freddo).
 Complementarità: sono complementari due lessemi di cui une nega l’altro; il test è “x implica non-y
e non-y implica x” (essere vivo implica non essere morto e non essere morto implica non essere
vivo). I complementari non sono graduabili (non si può essere meno vivi o meno morti,
un’informazione non può essere abbastanza vera o falsa)
 Inversione: sono inversi due lessemi che esprimono la stessa relazione semantica vista da
prospettiva diverse (madre-figlio, marito-moglie, sotto-sopra).
 Incompatibili: parole che entrano in opposizioni non binarie, che possono essere o ordinate su una
scala (freddo, fresco, tiepido, caldo) o non ordinate gerarchicamente (primavere, estate, autunno,
inverno).
 Campi semantici o lessicali: sono insiemi o sottoinsieme lessicali di co-iponimi diretti di uno stesso
iperonimo immediato.
 Sfera semantica: insieme di lessemi che hanno in comune un ambito semantico (le parole che
riguardano l’agricoltura, la moda, l’infanzia, ecc...)
 Famiglia semantica: insieme di parole imparentate nel significante e nel significato (socialismo,
società, naziolsocialismo, socio, ecc.…).
 Gerarchia semantica: insieme di termini regolati dalla meronimia.
Il concetto di campo lessicale ci fa capire che il significato non è atomista e può essere scomponibile in
elementi più piccoli. Viene applicata al lessico la stessa rappresentazione a tratti della fonologia. Il gatto,
per esempio, ha il tratto (+ANIMALE, +MASCHIO, -FEMMINA) e gattz (+ANIMALE, -MASCHIO, +FEMMINA).
Questa è l’analisi componenziale, fatta da tratti semantici che si pongono l’obiettivo di fornire il significato
denotativo di tutti i lessemi: questa analisi è problematica perché si deve tenere conto di quali siano i tratti
pertinenti ad ogni singolo lessema e se questi tratti non varino da lingua a lingua.

Le gerarchie tra tatti avvengono attraverso relazioni di gerarchia, che lega i tratti, considerati nel loro valore
positivo (+), da sinistra a destra, e relazioni di implicazione, che lega i tratti da destra verso sinistra,
considerano il percorso delle frecce e le parentesi graffe:

Quindi si vede come i caratteri


più generali siano quelli a sinistra e che quindi i tratti a destra implichino quelli a sinistra per essere descritti
(un umano è umano se animato, ma è animato se è concreto e numerabile). Anche la semantica verbale è
stata parcellizzata: morire (DIVENTARE NON VIVO) e uccidere (CAUSARE DIVENTARE NON VIVO); il
problema sorge nelle collocazioni: se scompongo in tratti il significato di padre avrà sicuramente +AVERE
FIGLI, ma il nome padre si ritrova anche in collocazioni come Santo Padre; anche quando dico “Quel uomo è
una volpe” metto in contrasto un tratto +umano e -umano.

La semantica cognitiva non esclude nessuno dei tre vertici, ma centralizza la concezione mentale del
referente. La rappresentazione che abbiamo nella mente cosa è? È il tipo più frequente e familiare che
vediamo di un determinato prototipo. Quindi il rapporto fra l’espressione linguistica ed il referente è
mediato da un’operazione mentale, ma coesiste comunque un rapporto tra segno linguistico e referente.

Quando ci troviamo a contatto con la realtà noi elaboriamo la realtà in strutture categoriali generalizzate: il
fatto che la conoscenza non avvenga come isolata, ma con una visione d’insieme. La categorizzazione è un
requisito fondamentale per il nostro pensiero, altrimenti dovremmo inventare termini all’infinito per ogni
contesto in cui ci si trova. Secondo il modello classico-aristotelico le categorie sono definite da una serie di
attributi necessari e sufficienti per definire l’appartenenza di un elemento alla categoria; tutti i membri
della categoria hanno un medesimo status (triangolo isoscele, rettangolo e scaleno sono ugualmente
triangolo). Questo modello classico è problematico: è facilmente applicabile ad un mondo di oggetti, ma
difficilmente ad un mondo sociale dove sono anche importanti i concetti astratti, che molto spesso hanno
una somiglianza di famiglia con le cose concrete; esistono inoltre anche categorie sfumate che sono difficili
da categorizzare (metonimie e metafore).

Il concetto di somiglianza di famiglia è stato introdotto da Wittgenstein: la relazione di inclusione ed


esclusione trai membri di una categoria si fonda sulla familiarità tra rappresentazione della categoria e le
caratteristiche dell’elemento, quindi è une relazione probabilistica. Alcuni membri della famiglia sono più
tipici di altri perché condividono un numero maggiore di caratteristiche con altri membri, mentre altri sono
atipici (il pinguino è un uccello atipico).

Il prototipo di una categoria occupa il suo punto focale, ma le categorie non sono definite da uno stesso
status: al di là del punto focale c’è la periferia del concetto dove si agglomerano tutti gli elementi meno
prototipici. Quindi a differenza della semantica referenziale, la semantica prototipica e cognitiva non si
pone come obiettivo quello di coniare dei criteri per identificare una categoria: si oppone ai tratti binari
(+/-) referenziali, una gradualità. Graduale è anche l’esemplarità di un termine una determinata categoria: è
stato chiesto ad un certo numero di persone quale fosse il frutto più tipico (in questo caso la mela). Ogni
elemento che quindi condivide più somiglianza col prototipo è considerato più tipico dai parlanti (alla mela
seguivano la susina, l’ananas e molto più tardi l’uva).

Le categorie possono essere organizzate su dei livelli, che rappresentano un determinato livello di
schematicità:

 Un livello sovraordinato: categorie generali che unificano le rappresentazioni generali, ma sono


generiche
 Un livello di base: maggior numero di attributi distintivi, centrale in svariate attività cognitive e
cambia in funzione dell’esperienze individuali. Questo è il livello che i bambini imparano più
velocemente (sviluppo ontogenetico del linguaggio).
 Livello subordinato: a cui corrispondono concetti specifici.

Il livello di base è quello che ci fa conoscere la realtà da cui individuiamo un livello superiore o inferiore. A
questo livello di base gli adulti danno spontaneamente un nome ed è anche il livello più informativo ed
economico. Il livello di base non sempre corrisponde con i termini intermedi di una categoria, poiché a
volte riflette il livello di esperienza che gli individui hanno con i referenti (quando vediamo una gallina non
la chiamiamo “uccello”).

I prototipi sono idee platoniche? No, le caratteristiche del prototipo, come abbiamo osservato, emergono, a
livello inconscio, dall’esperienza (si va dal basso verso l’alto-> BOTTOM-UP E NON TOP-DOWN).

Torniamo sulla metafora e la metonimia: attraverso questi mezzi descriviamo il nuovo dal vecchio. La
metafora coinvolge due domini concettuali, ovvero source, il dominio concettuale di partenza, e target, il
dominio concettuale di arrivo dove si perdono delle caratteristiche della source (l’oca è stupida-> anna è
un’oca-> anna è stupida) . Delle volte le metafore si organizzano su più elementi concettuali, senza le
necessità di esplicare il paragone: si pensi a come lessemi della guerra vengano usati direttamente nella
discussione (fazione opposta-> tesi opposta; la Germani si difende-> io mi sono difeso bene).

Nella metonimia è coinvolto un solo dominio concettuale in cui concetti sono contigui. Es: Ho letto Dante,
Dante è vissuto nel medioevo, era fiorentino, ha scritto la divina commedia, le opere di dante sono scritte in
libri-> ho letto un libro o dei libri di Dante.

“La Danimarca ha affondato il trattato di Maastricht” nasconde sia una metafora (affondare è una metafora
per determinare il fallimento) e una metonimia (Danimarca= elettori danesi). Come fa un ascoltatore
sapere che la frase non riguarda la guerra? Si parla di unità concettuale del dominio, ovvero che il
significato del tutto include tutte le sue parti e quindi al fine dell’interpretazione bisogna essere coerenti.

Il processo metonimico provoca degli slittamenti (iecur è fegato in latino e ficatus erano i fichi con cui si
riempiva il fegato d’anatra-> da qui appunto si sviluppa fegato in italiano e foie in francese). Altri esempi:

- Caput in latino significa testa, mentre testa significava vaso di coccio e veniva usata in una variante
diastratica bassa come noi usiamo “zucca”

Il dominio concettuale coincide col campo semantico: in generale i concetti sono raggruppati in domini
concettuali necessari per interpretare il significato. Charles Filmore ha parlato di cornici, entro cui va
interpretato il significato di singoli termini ed entro cui si ha accesso per via dei singoli termini (cfr. con i
frame): quindi la conseguenza è quella di farci interpretare la realtà entro quei termini (il covid veniva
descritto con termini che rimandavano alla sfera semantica della guerra). Un altro esempio: “La
Lombardia ospita degli immigranti”-> il verbo ospitare apre un frame che rimanda al fatto che la
permanenza sia provvisoria.

Il concetto di categorie prototipiche può essere usato anche di fuori dalla semantica: in morfologia i
clitici hanno caratteristiche prototipicamente simili ai nomi ma anche agli affissi; nella morfosintassi il
nome prototipico denota entità concrete cognitivamente semplici ed anche morfologicamente semplici
siccome non sono derivati (ICONICITA), mentre il nome non prototipico è cognitivamente e
morfologicamente complessi (astratti deverbali: comportamento, correzione, mangiata-> denotano
eventi e non entità; astratti deaggettivali: bellezza, intelligenza-> denotano qualità).

SPIEGAZIONI DEL MUTAMENTO

Il mutamento linguistico consta di due fasi:

- Innovazione: la creazione di una nuova variante


- Propagazione: la diffusione di queste varianti all’interno della comunità dei parlanti

Anche se la glottologia si occupa principalmente di linguistica diacronica, sono molto importanti anche gli
usi sincronici che si applicano nella lingua. Distingueremo in questi usi in varietà diafasiche (in base al
contesto), diastratiche (in base allo strato sociale), diamesica (in base al mezzo di comunicazione) e
diatopiche (in base al luogo). Quest’ultima varietà è molto importante siccome il mutamento ha inizio da
una scelta di varietà diatopiche (ma anche diastratiche o diafasiche) e alla loro successiva propagazione.
Comunque, nella lingua permane un ampio diasistema, ovvero l’insieme delle varietà e dei registri che un
parlante può usare in contesti diversi.

Le innovazioni morfologiche, sintattiche e semantiche avvengono per processi di rianalisi indotte dal
contesto oppure per processi di livellamento analogico. Per le innovazioni fonetiche ci sono invece altre
spiegazioni: per in neogrammatici derivano da variazioni nell’esecuzione dei suoni da parte dei singoli
parlanti, per facilitare l’articolazione; le innovazioni si attestano nella società se tutti i parlanti producono la
stessa variazione. In analisi moderne, invece, anche le innovazioni fonetiche sono una rianalisi delle
proprietà articolatorie di un suono determinato dal contesto, quindi:

- Assimilazione: determinati suoni hanno caratteristiche articolatorie diverse a seconda del suono
adiacente. Tali caratteristiche possono essere reinterpretate dai parlanti come inerenti ai suoni in
questione indipendentemente dal contesto (ad esempio, le vocali nasali hanno origine dalle varianti
nasalizzate di vocali non nasali, che sono prodotte quando la vocale è adiacente a un suono nasale).
- Dissimilazione: un suono viene interpretato come assimilato ad un altro e quindi il parlante lo
dissimila; ad esempio, protoindoeuropeo bhendh > sanscrito bandh ‘legare’; cfr legge di
Grassmann).

L’approccio strutturalista invece dice che lo scopo dei mutamenti fonetici è quello di ottimizzare dei sistemi
di opposizioni fonologiche all’interno di una lingua (LEGGE DI GRIMM). Quindi se alcuni suoni subiscono dei
mutamenti, lasciando delle caselle vuote nel sistema e sovraffollandone altre, altri mutamenti
interverranno per ricreare questi suoni (catena di trazione), oppure li sposteranno (catena di propulsione).
Prendiamo come esempio due approcci diversi alla legge di Grimm:

- Le occlusive sorde sono cominciate ad essere articolate come fricative sorde, lasciando una casella
vuota che è stata occupata dalle occlusive sonore, che sono state a loro volta sostituite dalle sonore
aspirate (catena di trazione)
- Le occlusive aspirate perdono l’aspirazione, allora le occlusive sonore si desonorizzano per non
confondersi e le occlusive sorde si spirantizzano per lo stesso motivo (catena di propulsione)
Le catene di trazione e di propulsione intervengono anche in semantica (uxor, mulier, domina> moglie,
donna, signora). I problemi principali riguardano il fatto che quest’analisi è teleologica, quindi si reputa che
il parlante percepisca la lingua come un sistema, e che molto spesso si creano asimmetrie, che sembrano
essere tollerate e frequenti (il greco, per esempio, non ha sonore aspirate,ma sorde aspirate, sonore e
sorde non aspirate). Altri esempi di analisi teleologica o no:

 l’eliminazione del sigma intervocalico in greco antico accade di norme, ma si manifesta


nell’indicativo futuro quando costituisce la sola marca del futuro (luw> luso,, ma kalew>kalò
siccome riusciamo a capire che è un futuro)
- approccio teleologico: il parlante ha conservato il sigma perché necessitava la necessità di
distinguere il futuro
- approccio non teleologico: il sigma cade ovunque, ma per analogia è stato ripristinato

I generativisti, degli anni Cinquanta del 1900, hanno dato rilevanza al concetto di regola: il mutamento
fonologico è spiegato come aggiunta, rimozione o riordino di regole. Il mutamento, secondo questo
approccio, avviene esclusivamente nello scambio generazionale: il bambino reinterpreta un imput
linguistico come distintivo in determinati contesti, che per l’adulto non vengono ancora reputati tali
(riformulazione di regole compatibili ma diverse-> APPROCCIO TOP-DOWN). Anche Paul, un secolo primo,
aveva teorizzato ciò: la lingua si ricrea completamente e la nuova creazione non corrisponde in tutto a
quella precedente. Tuttavia, questo approccio genera problemi: com’è possibile e plausibile che tutti i
bambini di una generazione compiano contemporaneamente ed indipendentemente un processo di
rianalisi, distaccandosi così tanto dalla competenza linguistica dei propri genitori? Questo infatti non è
possibile.

Il termina lingua, per Longobardi, è ambiguo siccome da un lato identifica l’idioletto, quindi l’insieme delle
conoscenze e competenze verbali presenti nella mente, dall’altro un oggetto sociale difficile da limitare.
Chomsky per questo ha diviso tra lingua-E(sterna) e lingua-I(nterna). Per Longobardi lo studio deve essere
fatto principalmente sulla lingua-I: questo approccio esclude quindi le varietà sincroniche. L’approccio in
effetti è simile a quello dei neogrammatici, che principalmente studiavano lingue antiche, in cui si può
rilevare la variazione diacronica, ma non i vari contesti pratici in cui questa lingua veniva utilizzata, siccome
la maggior parte dei testi era di natura letteraria.

Cosa determina la propagazione delle innovazioni linguistiche?

- Le innovazioni si diffondono in seguito all’azione autonoma e cumulative dei singoli parlanti,


ovvero i singoli parlanti producono le stesse innovazioni indipendentemente gli uni dagli altri,
finché tali innovazioni acquistano sufficiente frequenza da essere incorporate nella lingua
(approccio non selettivo: cfr. le ipotesi dei neogrammatici circa la diffusione delle innovazioni
fonetiche). Questo approccio si basa sul fatto che le innovazioni sono basate su principi
funzionali presumibilmente validi per tutti i parlanti.
- Le innovazioni vengono introdotte da singoli parlanti (presumibilmente in base a principi
funzionali), e vengono adottate dagli altri parlanti in seguito a contatto linguistico (approccio
selettivo)

Un esempio di approccio non selettivo è quello della mano invisibile di Keller: le innovazioni sono il frutto di
innovazioni intenzionali, non volte al sistema ma al singolo uso; ogni parlante inizierò ad usare
l’innovazione nelle stesse circostanze (condizioni ecologiche). Quindi in questo senso l’innovazione e è un
fenomeno di terzo tipo, ovvero un risultato involontario di un’azione volontaria. Es: in tedesco englisch vuol
dure sia angelico che inglese: la seconda era più usata della prima, che veniva percepita ambigua dal
parlante, e quindi si è cominciato ad usare un altro termine per identificare angelico.
Un altro approccio di questo tipo è l’approccio sociolinguistico-evoluzionistico: la propagazione è data dal
contatto tra parlanti, che imitano, per diversi fattori, il modo di parlare di altri parlanti; le innovazioni
selezionate riguardano quanto determinate caratteristiche linguistiche siano intrinseche e radicate nel
parlante. Fino agli anni ’60 la sociolinguistica si è interessata alla variazione dialettale e ha dimostrato come
singoli mutamenti non si verifichino non solo per le parole interessate, ma anche nei dialetti di una stessa
lingua; a partire dagli anni ’60 una serie di studi dimostrò come ci sono modelli sistematici di variazione
sincronica: in una comunità di parlanti coesisterà sincronicamente un gruppo di parlanti in cui è avvenuto il
mutamento e in cui non è avvenuto), tra cui prenderà sopravvento la comunità di più prestigio (piuttosto
che polivalente sta andando molto di moda a Milano attualmente). Un esempio che dimostra come il
mutamento non si verifica nelle stesse parole e nelle stesse varietà è la seconda rotazione consonantica
germanica: i suoni occlusivi *p,*t,*k del protogermanico sono diventati fricativi a fine parole e dopo vocali
nell’alto tedesco mentre si sono mantenuti nel basso tedesco; all’interno dello stesso dialetto però alcune
parole subiscono o meno il mutamento, affinché non esistano confini diretti tra le due varianti.

Schmidt pensa sempre che il mutamento avvenga da un centro di irradiazione e si diffonda a cerchi
concentrici: quindi il mutamento è più debole alla periferia del mutamento. Il fatto che il tocario,
nonostante sia la lingua più orientale della famiglia indoeuropea, abbia caratteristiche tipiche delle lingue
più occidentali: le lingue periferiche effettivamente di solito sono le più conservative. Questa, appena
illustrata, è l’importantissima teoria delle onde, che nel corso dell’Ottocento mise in crisi il modello
dell’albero genealogico.

Il contatto tra lingue è un altro importante fattore di mutamento; analizziamone alcuni fenomeni:

- Il prestito: lessemi di una lingua vengono importati in un'altra lingua per questioni di prestigio
di un determinato insieme di elementi (prestigio informatico dell’inglese, prestigio culinario
dell’italiano, ecc..). Possono essere integrati nella grammatica (palco) o no (computer)
- Calchi: riproduzione di parole o espressioni fatta utilizzando elementi preesistenti nelal lingua.
Può essere strutturale (grattacielo) o semantico, che amplia il significato orginario per un altro
significato che aveva nella lingua di partenza (digitale in inglese “relativo ad informazioni
numeriche” e in italiano precedentemente solo “relativo alle dita”-> AMPLIAMENTO DI
SIGNIFICATO).
- Prestiti non lessicali: alcuni morfemi, derivazionali o flessivi, vengono introdotti in una lingua (-
able dal francese all’inglese)

Il prestito o il calco non generano veri e propri mutamenti interni ad una lingua, ma ne ampliano il lessico.
Le cause del mutamento sono ben altre, anche se l’influenza di popolazioni parlanti una determinata lingua
è importante. Bisogna introdurre le seguenti nozioni per parlare per mutamento dovuto al contatto:

- Sostrato: la lingua di una popolazione conquistata scompare ma lascia tracce sulla lingua
conquistatrice
- Superstrato: una lingua di una popolazione che occupa temporaneamente il territorio di
un’altra lascia tracce nella lingua (invasione normanna in Inghilterra)
- Adstrato: più lingue che si trovano vicine geograficamente si influenzano a vicenda.

Secondo quest’ultimo tipo di influenza possiamo introdurre il concetto di area linguistica (o lega), ovvero
una zona geografica dove coesistono più famiglie linguistiche che si influenzano tra loro (abbiamo già
parlato dell’area balcanica e di come il greco ed il rumeno siano stati influenzati dalle lingue balcaniche),
Anche l’Europa può essere considerata un’area linguistica (Benjamin Lee Whorf).

Tra gli approcci selettivi invece possiamo parlare di fattori che intervengono alla propagazione di una
variante linguistica:
 Potere/ prestigio (prestigio aperto): la comunità meno potente adotta l’innovazione della
comunità potente
 Identificazione (prestigio scoperto): comunità adottano mutamenti della comunità con cui
vogliono identificarsi
 Ruolo all’interno della comunità: i parlanti meno integrati nella comunità introducono il
mutamento di solito, ma questo deve essere adottato anche da membri interni alla comunità
 Grado di esclusività della comunità: le comunità più esclusive sono meno propense all’adozione
di propagazione.

Quindi spesso un singolo individuo o una singola azione hanno portato alla diffusione di una nuova varietà
rispetto ad un’altra, come fu in Germania con Lutero e in Italia, in parte, per Dante.

Comunque, l’influenza linguistica e l’evoluzione, o meno, di singole parole in determinate varietà rispetto
ad altre, è causata da ragioni di tipo politico e culturale; ci sono però regole precise della linguistica areale,
come abbiamo anche accennato:

- Norma delle aree laterali: le aree più lontane dal centro di irradiazione sono quelle più
conservative (come abbiamo detto del tocario)
- Norma dell’aree isolate: le aree isolate sono più conservative (es: Sardo)
- Norma dell’area maggiore: se non in condizioni specifiche, l’area maggiore conserva la forma
più antica (es: *bʰréh₂tēr (“fratello”) in tutte le lingue indoeuropee, mentre ἀδελφός  in greco)
- Norma dell’area seriore: un’area conquistata da individui parlanti una seconda lingua di solito
tende ad essere più conservativa (pronuncia: inglese americano> inglese britannico)

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