Sei sulla pagina 1di 15

1

CORSO ISTITUZIONALE DI GLOTTOLOGIA E LINGUISTICA


I – Definizione della disciplina. Cenni storici
La Glottologia, cioè la scienza che studia la lingua, è una disciplina che ha le sue radici all’inizio
del
XIX secolo.
Fattore importante per questo studio è stato la scoperta e l’analisi del sanscrito, cioè della lingua
classica dell’India (come latino in Europa). Alcuni studiosi rilevarono una stretta affinità
grammaticale di questa lingua con il greco e il latino, dimostrando come rispecchiavano un
originario modello grammaticale rispetto al quale avevano subito un’evoluzione fonetica regolare,
e che possedevano anche un cospicuo patrimonio lessicale comune.
Si riuscì a dimostrare inoltre che anche altre famiglie linguistiche (germaniche, slave, celtiche,
baltiche, ecc) appartenevano alla famiglia delle lingue europee.
Le prime opere di grammatica comparata si devono a Bopp e Rask, anche se in realtà la prima
grammatica comparativa è del 1799 e riguarda le lingue ugrofinniche (estone, finlandese russo,
norvegese, ecc).
Tra la metà dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento si identifica il periodo della
linguistica storica, nel quale si approfondì lo studio dell’evoluzione delle lingue (fu data
particolare
attenzione allo studio comparativo delle lingue e parlate romanze o neolatine con il latino).
Dal primo Novecento, inoltre, grazie allo svizzero Saussure si affrontò anche lo studio della
struttura della lingua in generale (linguistica strutturale).
II – Nozioni propedeutiche di Linguistica Generale
I linguisti non credono che esista a priori un “modello” di lingua, ma ritengono che dal confronto
delle tante lingue storicamente esistenti si possano mettere in evidenza alcuni principi comuni.
Bisogna inoltre dire che il problema dell’origine del linguaggio non rientra nel campo della
Glottologia.
Saussure, per analizzare l’attività linguistica dei parlanti usa i termini:
 langage (linguaggio) equivalente alla facoltà di parlare comune a tutti gli uomini;
2
 langue (lingua) con cui si intende l’aspetto sociale dell’attività linguistica di una comunità
di parlanti che utilizza lo stesso codice per comunicare;
 parole (non traducibile in italiano) per identificare la produzione di una serie di atti
linguistici quando si parla.
Dobbiamo a lui anche il termine segno linguistico, ossia un’unità del linguaggio umano che
corrisponde pressapoco a quello che noi definiamo “una parola”, e la dimostrazione che esso è
completamente psichico e non fisico (esempio: abre, cioè albero, ha due elementi fisici: vedere e
toccare l’albero e analizzare con strumenti acustici i suoni che compongono la parola abre. Il segno
linguistico però è costituito da altri due elementi: il concetto dell’albero e l’immagine acustica dei
suoni che compongono la parola abre. Tra persone che parlano la stessa lingua questi due
elementi si compongono nella mente umana e ne permettono la comprensione reciproca).
Saussure chiama signifié – cosa significata– il concetto, e signifiant – elemento significante – la
successione dei fonemi che compongono il segno linguistico. Per far si che esista il segno
linguistico, senza il quale manca la comprensione, è essenziale l’unione del signifiant e delsignifié,
e la linearità del signifiant (successione degli elementi fonetici che segue un ordine fisso, cambiato
il quale causerebbe l’incomprensione del segno).
Per l’analisi di una lingua possiamo fare due tipi di studi:
 Studio sincronico della lingua, cioè l’analisi dei dati linguistici di una lingua in una
determinata epoca, evidenziando e descrivendo la struttura (come epoca è consigliata
per lo più quella attuale poiché solo nella lingua contemporanea si possono raccogliere
tutti i dati dell’espressione orale e scritta, nonché le differenze dovute alla struttura
sociale, le caratteristiche della lingua letteraria e tecnica);
 Studio diacronico della lingua, cioè l’analisi di tutti i documenti che possediamo di una
lingua lungo il corso della sua storia, mirando dunque a ricostruirnee la storia, la sue
evoluzione fonetica, morfologica, ecc.
In entrambi i casi usiamo il metodo comparativo, che nel primo caso avviene per opposizione di
strutture (linguistica contrastiva) mentre nel secondo si vale degli elementi che le lingue della
stessa famiglia linguistica ci offrono, essendo molto utili per ovviare alle lacune della
documentazione. Saussure affermava che non bisogna confondere i piani sincronico e diacronico
nel corso di una ricerca linguistica.
3
Una parola, secondo Saussure, può avere con altre parole della stessa lingua un duplice rapporto:
sintagmatico e paradigmatico. Esaminando la frase “La porta è aperta” vediamo che la parola
“porta” è in rapporto con le altre della frase perché soltanto in questo determinato contesto
concorre ad esprimere una certa idea:
il rapporto che lega “porta” a “è”, “aperta”, è un rapporto sintagmatico.
“Porta” può essere messo però in rapporto con “porte” (opposizione singolare/plurale),
come “aperto” con “aperta” (opposizione maschile/femminile), come “è” con “sei,
siamo, era, fu, sia” (opposizione di persona/tempo/modo); il rapporto che lega questi
gruppi di parole che appartengono allo stesso paradigma (serie di forme che si
differenziano mediante elementi con funzione grammaticale) è un rapporto
paradigmatico.
Saussure parla anche di arbitrarietà del segno linguistico. Per esempio sulla base del confronto tra
formaggio/cheese e cane/dog possiamo affermare che non vi è alcun rapporto di necessità tra il
concetto che la parola esprime e i suoni che la compongono nelle varie lingue: il segno linguistico è
quindi soggettivo.
In merito al rapporto che intercorre tra i parlanti e la lingua, Saussure rileva che la lingua è
creazione dei parlanti (creazione inconsapevole), mentre è evidente che a livello di paroleil
parlante subisce la lingua, cioè ne deve accettare il codice, pena l’impossibilità di comunicare con
gli altri membri della comunità a cui appartiene.
Come si spiegano l’intervento creativo del parlante e i mutamenti della lingua? Il parlante
producendo atti linguistici intende riprodurre il codice che ha appreso per imitazione dai parlanti
della generazione precedente, ma in realtà la sua parole presenta numerose modificazioni
individuali rispetto alla langue (difetti di apprendimento, modificazioni di pronuncia, scelta
individuale tra le varianti dell’espressione di un concetto presenti nell’uso, ecc). Il parlante
introduce delle innovazioni che possono essere accolte o respinte dalla lingua. Se accolte avviene
un mutamento che può essere fonetico, morfologico, lessicale. A proposito del processo di
diffusione dell’innovazione è importante rilevare lo stato dell’innovazione nelle varie generazioni
(vecchi, adulti e bambini). Tra i vecchi l’innovazione è rara e limitata a singole parole, ma tra gli
adulti l’innovazione appare più generalizzata.
4
III – Classificazione delle Lingue
Ci sono due criteri per classificare le lingue: il criterio tipologico ed il criterio genealogico:
1. Per il primo si procede alla classificazione prendendo in considerazione una lingua in un
determinato stadio (es. inglese moderno che è diverso dall’inglese antico) e si studiano
caratteristiche di struttura; dal confronto con la struttura di altre lingue si stabiliscono
affinità e differenze tipologiche. La classificazione tipologica è questa:
 Lingue isolanti (es. cinese e inglese moderno; parole monosillabiche e invariabili,
ogni parola rende un concetto e la sua funzione nel contesto sintattico è resa
attraverso l’aggiunta di parole autonome oppure mediante l’ordine fisso delle
parole);
 Lingue agglutinanti (es. ungherese e turco; presentano una specie di flessione, cioè
nelle parole possiamo distinguere la radice con valore lessicale e prefissi e suffissi
con valore grammaticale);
 Lingue flessive (es. latino, italiano; usano dei prefissi e soprattutto suffissi che
modificano la parola esprimendo funzioni grammaticali);
 Lingue incorporanti (es. lingue indiane d’America; fondono in un’unità fonetica,
pressappoco una “parola”, concetti e funzioni che le lingue flessive esprimono in
parole separate. Il criterio di distribuzione e di raggruppamento dei concetti e delle
funzioni grammaticali è profondamente diverso da quello a cui siamo abituati per le
lingue indoeuropee).
2. Il criterio genealogico invece raggruppa le lingue secondo una loro precedente unità
(storica – ricostruita per via di comparazione –, gruppi, sottogruppi, ecc.). Esempio le lingue
indoeuropee che comprendono il gruppo germanico, slavo, ecc.
IV – Posizione geografica e documentazione storica delle Lingue Indoeuropee
Le lingue indoeuropee hanno raggiunto una grandissima estensione (vedi lo spagnolo e l’inglese
nelle Americhe, in Africa, ecc). Per la descrizione geografica della diffusione delle lingue
indoeuropee e la loro classificazione in gruppi linguistici, prendiamo come punto di inizio l’era
cristiana (età di Augusto tra il 31 a.C. e il 14 d.C.).
5
In quel periodo era in atto il processo di romanizzazione e il latino stava sostituendosi alle lingue
indigene, la maggior parte delle quali apparteneva ai gruppi:
 celtico (penisola iberica, Francia, Italia settentrionale, arcipelago britannico e la zona
austriaca, svizzera e della Germania meridionale)
 venetico (Italia nordorientale)
 messapico (Puglia)
 illirico (penisola balcanica)
 italico (Italia centromeridionale)
 germanico (che in quel periodo iniziava a scendere dalla Scandinavia – Jutland, Svezia e
Norvegia meridionali)
 baltico (a partire dalla sponda meridionale e orientale del Mar Baltico)
 slavo (fino ai Carpazi e ad est fino al Dnipro e l’alto Don)
 iranico (nel bassopiano sarmatico o pianura russa, parlato dai popoli seminomadi Sarmati e
Sciiti)
 greco (lingua ufficiale dell’Impero Romano)
 armeno (che confinava a est con il territorio delle lingue iraniche, l’altopiano dell’Iran)
 indoiranico (comprendente le lingue iraniche e indoeuropee dell’India)
 tocario (conosciuta per documenti pervenuti e che doveva occupare il Turkestan
orientale).
Questa disposizione geografica non muta sostanzialmente col passare dei secoli, se non a causa:
a. dell’espansione di alcuni gruppi linguistici a danno di altri (lingue germaniche e slave a
danno del latino, greco e celtico)
b. il dissolvimento del latino nelle lingue romanze e neolatine da esso derivate.
Oggi in Europa si parlano solo lingue indoeuropee, salvo il basco, l’ungherese e il finnico.
Alcune lingue IE (IE = indoeuropee), presentano nel corso della loro storia un processo di
differenziazione:
 Indiano, con 3 fasi storiche: antico indiano (con lingue letterarie: védico, lingua degli inni
religiosi e sanscrito, lingua letteraria parlata, usata nei grandi poemi epici indiani e come
lingua di cultura delle classi elevate indiane fino ad oggi); medio indiano (lingua parlata
6
popolare che ha assunto il carattere di lingua letteraria e dei testi religiosi buddistici);
neoindiano (anch’esso sviluppato dalla lingua popolare che oggi comprende numerose
lingue viventi tra cui l’hindi in India e l’urdù in Pakistan, e il bengali).
 Iranico con molti tratti comuni con le lingue IE dell’India; comprende l’antico iranico,
l’antico persiano, il medio iranico, il persiano moderno;
 Greco con il periodo delle tavolette micenee, il greco omerico (Iliade e Odissea) e i dialetti
greci storici (in cui spicca l’attico di Atene), il greco cristiano e il greco bizantino (a
quest’ultimo si rifà il greco moderno lingua ufficiale della Grecia).
 Lingue italiche, documentate da testi risalenti a 3 secoli a.C., a nord troviamo l’umbro
(tavole di Gubbio), a sud l’osco (sanniti e campani della pianura costiera), e lingue al centro
dei Sabini e Peligni.
 Baltico che comprende il lituano, il lettone, l’antico prussiano (rinvenuti dizionario e testi
religiosi del Protestantesimo luterano).
 Lingue slave che formano il gruppo orientale (russo, bielorusso, ucraino), meridionale
(serbo, croato, sloveno, macedone, bulgaro) e occidentale (ceco, slovacco, polacco). Il
vangelo scritto in antico bulgaro nel IX secolo è il documento più antico.
 Lingue germaniche che formano il gruppo orientale (gotico, ostrogotico, burgundico e
forse il vandalo), settentrionale / nordico (svedese, norvegese, danese che comprende
l’antico islandese), occidentale (anglofrisone – anglosassone, frisone nel litorale olandese e
penisola danese –, basso tedesco –antico sassone e i dialetti tedesche del nord –, alto
tedesco – alamannico e bavarese, franco in Francia, svevo in Portogallo e il longobardo in
Italia). L’attuale tedesco presenta caratteristiche predominanti di tipo alto tedesco.
 Lingue celtiche occupavano pruma dell’espansione romana e della discesa dei Germani
tutta l’Europa centro occidentale, Italia settentrionale, penisola iberica e le isole
britanniche. Si suddividono in celtico continentale / gallico, celtico insulare (antico irlandese
e scozzese) e il ramo britannico (gallese, cornico della Cornovaglia, bretone della Bretagna
in Francia).
Elenco cronologico dei più antichi documenti delle lingue IE
Vedere pagina 9.
7
Non è vero che le lingue IE documentate più tardi si presentino sempre in forma alterata rispetto
all’IE preistorico; i mutamenti fonetici e morfologici dipendono da mutate condizioni storiche (in
particolare dall’acquisizione della lingua da parte di altre popolazioni assoggettate) che
determinano alterazioni della struttura della lingua stessa (es. modifica accenti, costituzione della
sillaba, ecc.).
V – Nozioni propedeutiche di Fonetica
Per le unità fonetiche del linguaggio umano si usa il termine fono. Se durante il passaggio dell’aria
lungo la trachea si incontrano le corde vocali che vibrano, possiamo dire che il fono è sonoro; nel
secondo caso in cui non vibra il fono rimane sordo.
Le consonanti e le vocali che vengono articolate con risonanza nasale si chiamano nasali.
I movimenti della lingua, delle labbra e della mandibola possono diminuire l’apertura della cavità
boccale, determinando la vibrazione al passaggio dell’aria, consonanti fricative, o una
momentanea chiusura completa, consonanti occlusive. Le consonanti affricate si producono in
due fasi successive: una fase occlusiva e una fase fricativa, benché aventi lo stesso punto di
articolazione.
I foni si possono anche classificare secondo:
1. Il modo di articolazione (partendo dalla massima apertura e andando verso la massima
chiusura):
 Foni di apertura massima: le vocali e le sonanti con funzione vocalica (fr. Arbre /
ing. Little, hanno la seconda sillaba con apice r e l sonanti, cioè in funzione di
vocali). Vocale di apertura massima a, vocali di apertura media e / o, vocali di
apertura minima i, u + r, l sonanti.
 Foni di apertura media: le sonanti in funzione consonantica. Sono i, u “semivocali”
cioè che non costituiscono apice di sillaba (it. Ieri / uomo), le “liquide” l laterale / r
rotata, le nasali m, n, ɲ (nasale palatale: it. segno, ragno / ing. Thing, song).
 Foni di apertura minore: le consonanti fricative, determinate dalle vibrazioni della
corrente d’aria espiratoria che passa attraverso la stretta prodotta dalle labbra o
lingua a contatto con denti e/o palato (f, v, s, z, θ, ð, ʃ, ʒ, x).
8
 Foni di apertura minima: le consonanti occlusive prodotte da occlusione con gli
stessi elementi delle fricative (p, b, t, d, k, g) seguita dall’apertura di una vocale o
sonante. Le occlusive sono momentanee, le fricative sono durative. Una posizione
intermedia viene occupata dalle affricate ( , , ʃ, ʒ, pf).
2. Il luogo di articolazione:
a) Nelle articolazioni delle consonanti abbiamo:
 Linguale (Apicale con l’apice della lingua che a sua volta può essere
interdentale, alveo–dentale – lingua dietro ai denti – , invertita – l’ apice è
retroflesso contro il palato anteriore. Dorsale con il dorso della lingua, che
può essere anteriore o palatale, posteriore o velare).
 Labiale (bilabiale o labio–dentale).
b) Nelle articolazioni delle vocali intervengono due elementi:
Le labbra che possono essere aperte (a), protruse (o / u), a fessura (e / i).
La lingua che può essere apicale (vocale anteriore e / i) oppure dorsale
(vocale posteriore o / u).
Si può procedere anche a classificare e descrivere il fono per mezzo di un’analisi acustica con
apparecchi che registrano e fotografano l’onda sonora emessa nel pronunciare i vari foni (spettro).
VI – L’Accento e la Sillaba
La maggior parte delle parole ha una sillaba che viene pronunciata con particolare rilievo,che è
dovuto da vari elementi: maggior forza nell’articolazione, elevazione o mutamento di tono e una
maggiore durata. Di norma prevale però l’elemento intensivo (accento intensivo) o l’elemento
musicale (accento musicale). A parte lo svedese, alcuni dialetti serbo–croati e il lituano, quasi
tutte le lingue hanno un accento intensivo. In italiano abbiamo l’accento musicale di frase, non di
parola (pronunciamo con elevazioni o abbassamenti di tono le frasi affermative, interrogative ed
esclamative).
Per la posizione di accento abbiamo:
Lingue con l’accento libero: parole foneticamente uguali ma con significato e posizione
dell’accento diverso (es. italiano e russo – càpito, capìto, capitò).
9
Lingue ad accento fisso (es. francese che accenta sempre l’ultima sillaba, ungherese e ceco
la prima, il polacco la penultima).
Lingue ad accento mobile condizionato (in latino l’accento oscilla tra la penultima e la
terzultima sillaba).
L’accento si chiama anche prosodema. In italiano anche l’intensità delle consonanti e la lunghezza
delle vocali sono un prosodema, perché si condizionano a vicenda: se ad una vocale segue una
consonante intensa o gruppo consonantico, essa si pronuncia breve, e se al contrario segue una
consonante semplice la vocale si pronuncia lunga (es. cane / canne – si parla di isocronismo
sillabico, tendenza propria dell'italiano e di altre lingue romanze a parificare la quantità delle
sillabe accentate).
Per quanto riguarda la sillaba, nella parola che è costituita da un insieme di foni, possiamo
raggruppare i foni stessi in modo che siano riuniti attorno ad apici sonori (foni più sonori degli altri,
in genere vocali); il gruppo formato dall’apice sonoro e dai foni consonantici che si raggruppano
intorno ad esso costituisce la sillaba.
VII – L’analisi strutturale della lingua. Cenni di fonologia
La fonetica studia i “suoni” nella loro entità fisica e come sono articolati, mentre la fonologia
studia l’immagine acustica dei “suoni” e la loro funzione distintiva nella lingua.
“La porta è aperta”:
- 1) La 2) porta 3) è 4) aperta = 4 monemi
- Lessemi: port– , apert–
- Morfemi: –a ( cfr. pl. –e / cfr. masch. –o )
- Port– = 4 fonemi (p, o, r, t)
Un fono può essere fonema in una lingua e non in un’altra. Prendiamo come esempio la n
velare dell’italiano sangue o panca: essa non è un fonema poiché è condizionata dalla qualità
velare della consonante successiva. In inglese invece è diverso: prendiamo come esempio la
coppia sing / sin (siɲ / sin), in questo caso la n dentale e la ɲ velare sono fonemi.
10
L’insieme dei rapporti che intercorrono tra i fonemi di una lingua ne costituisce il sistema
fonologico. Si dice infine stemma la figura che rende evidente il rapporto gerarchico dei TDI
(tratti distintivi intrinseci) nel sistema fonologico di una lingua.
I TDI sono espressi da una coppia di caratteristiche opposte: il fonema può rispondere
affermativamente o negativamente ad uno dei due termini:
1. Vocalico vs non vocalico (usato dal sistema fonologico italiano)
2. Consonantico vs non consonantico (usato dal sistema fonologico italiano)
3. Compatto vs diffuso (usato dal sistema fonologico italiano)
4. Teso vs rilassato (usato dal sistema fonologico italiano)
5. Sonoro vs non sonoro (usato dal sistema fonologico italiano)
6. Nasalizzato vs non nasalizzato (usato dal sistema fonologico italiano)
7. Continuo vs discontinuo (usato dal sistema fonologico italiano)
8. Stridulo vs morbido (usato dal sistema fonologico italiano)
9. Glottalizzato vs non glottalizzato
10. Grave vs acuto (usato dal sistema fonologico italiano)
11. Bemollizzato vs non bemollizzato
12. Diesizzato vs non diesizzato
VIII – Concetto di Indoeuropeo – Possibilità e limiti di ricostruzione
Per dimostrare che due o più lingue sono geneticamente affini o che appartengono ad una
“famiglia” (es. indoeuropea), dobbiamo compararle verificando che esistano:
1. Un insieme di tratti morfologici originariamente identici (a livello di signifié e signifiant);
2. Una serie di corrispondenze fonetiche che ci permettano di dimostrare l’identità originaria
di un morfema al di là dei mutamenti fonetici successivi alla “diaspora” (separazione di
singole lingue);
3. Un patrimonio lessicale comune che comprenda termini di vita concreta e quotidiana.
Sono tanti e così precisi e coerenti i tratti morfologici comuni delle lingue di origine IE che
possiamo ammettere che vi è stato un periodo unitario, anche se in epoche/periodi diversi.
11
IX – Metodologia della ricostruzione linguistica
Per considerare IE un morfema non è necessario che sia attestato in tutte le lingue IE, ma basta
che si trovi in due o più di esse non contigue in una certa epoca storica (le lingue che non
presentano più quel morfema, lo avranno perduto nel corso della loro storia).
Di particolare importanza per la ricostruzione dell’IE comune sono i documenti più antichi delle
lingue attestate fin dal II millennio a.C. (greco, vedico, ittito – anche se alcuni documenti con atti
amministrativi, di legge, religiosi limitano la varietà del lessico, della sintassi e della morfologia
verbale), e di quelle che sono molto conservative perché non hanno subito profondi mutamenti
fonetici (es. lituano). Lingue come l’albanese, il gallese e l’armeno sono così alterate da non
risultare utili per la ricostruzione.
Per spiegare il processo di diffusione dei mutamenti linguistici sono state formulate diverse
teorie:
 Teoria dell’albero genealogico (o dello Schleicher): l’IE unitario è come un tronco dal
quale si dipartono diversi rami (grandi sottogruppi linguistici), i quali si suddividono in
rami minori arrivando alle singole lingue. Il punto debole della teoria è il preconcetto che
le lingue vadano sempre più differenziandosi tra di loro non riavvicinandosi mai (al
contrario si sono registrate innovazioni comuni a più lingue anche se geneticamente non
affini ma vicine territorialmente).
 Teoria delle onde (o dello Schmidt): l’innovazione linguistica è un fenomeno naturale che
può avere origine in qualsiasi punto del territorio. Da questo “centro di innovazione” si
diffonde l’innovazione linguistica, come le onde che si allontanano dal punto di uno
stagno dove è stato gettato un sasso (avremo così una zona che ha accolto l’innovazione,
la cui linea di delimitazione si chiama isoglossa). I sottogruppi linguistici e le singole lingue
IE si definiscono per un certo numero di isoglosse comuni.
Attraverso gli studi di Schmidt e di Bartoli sulla genesi dei mutamenti linguistici , si sono avuti
ottimi risultati tanto in ambito di studio di lingua IE tanto in quello di linguistica romanza; questo
metodo è detto della geografia linguistica, e si basa sul principio che a fasi cronologiche di un
fenomeno linguistico possono corrispondere differenze geografiche nello status attuale delle
lingue geneticamente affini. Bartoli ha inoltre constatato che la conservatività delle lingue era
12
legata a determinate condizioni storiche e geografiche, ed ha formulato quattro norme (norme
areali), per stabilire se un’area linguistica è conservativa o innovante.
X – Fonetica storica Indoeuropea
Sulle basi delle corrispondenze fonetiche regolari possiamo ricostruire i fonemi dell’IE.
L’IE possedeva sei vocali: tre lunghe (a, e, o) e tre brevi (a, e, o). Possedeva inoltre delle sonanti,
cioè consonanti che secondo la posizione assumevano funzione di vocale, ed erano sette (i, u; l, r;
m, n; seva ( ) – vocale atona finale del napoletano e tipo la e muta del francese).
Il sistema delle consonanti comprendeva una sola fricativa (s). Tutte le altre consonanti erano
occlusive sorde, sonore e sonore aspirate (p, t, k – b, d, g – bh, dh, dh).
Le lingue IE conservano alternanze apofoniche (mutamento della vocale di una sillaba che sia
incondizionato dal contesto fonetico e che sia utilizzato in funzione morfologica); ad esempio,
nella lingua greca antica l’alternanza può essere qualitativa o quantitativa: nel primo caso si ha un
mutamento nel timbro della vocale, mentre nel secondo si ha un cambiamento di quantità della
vocale, che muta da lunga a breve. Esempi dell’inglese possono essere sing, sang, sung, song,
mentre dell’italiano dovere, devo.
La considerazione del numero e della regolarità delle alternanze apofoniche nei verbi forti
germanici ci porta a supporre che non tutti i modelli con apofonia risalgano all’epoca IE unitaria.
Probabilmente molti verbi forti germanici sono creazioni nuove su modello IE, poiché molti di
questi verbi non hanno etimologia IE. Si può dunque dedurre che un modello ereditato se va
incontro a particolari esigenze del sistema morfologico di una lingua può avere fortuna, ossia
produrre nuove forme.
La tendenza a regolarizzare la coniugazione verbale secondo schemi fissi è comune a tutte le
lingue IE.
I dittonghi IE erano gruppi di due fonemi: una vocale e una sonante.
Le liquide e nasali sonanti IE si sono generalmente vocalizzate in modo diverso nelle singole lingue
IE (es. germanico m, n, r, l = um, un, ur, ul VS baltico e slavo im, in, ir, il).
13
Le lingue IE si dividono in due gruppi:
1. Centum [kentum], (gruppo occidentale /cosi chiamate dalla diversa resa del suono palatale
k che nelle lingue satem e' diventato fricativo mentre in queste è rimasto palatale)
unificazione delle palatali e velari tenendo distinte le labiovelari (greco, latino, lingue
italiche, celtico, germanico, venetico, ittito e tocario);
2. Satem, (gruppo orientale) assibilazione delle palatali e unione delle velari e labiovelari
(indiano, iraniano, armeno, trace, baltico, slavo).
XI – Fonetica storica Indoeuropea
Vedere pagina 18/19.
Le mutazioni consonantiche del Germanico
Ci sono due tipi di mutazione consonantica:
I. Prima mutazione consonantica (legge di Grimm, legge di Verner). Per quanto riguarda la
prima legge:
Le occlusive sorde IE diventano in germanico fricative sorde ( p → f / t → ts /
k → χ ).
Le occlusive sonore IE diventano in germanico occlusive sorde ( b → p / d → t /
g → k ).
Le occlusive sonore aspirate IE diventano in germanico occlusive sonore (bh → b /
dh → d / gh → g )
Ne risultata che scompaiono dal sistema consonantico germanico le occlusive sonore aspirate e se
ne crea una nuova delle fricative sorde. Per quanto riguarda la seconda legge, Verner dice che le
occlusive sorde IE (p, t, k) in posizione intersonantica (cioè tra due vocali e due sonanti o tra una
vocale e una sonante), se non erano precedute dall’accento IE, dopo essere diventate fricative
sorde, passavano ulteriormente a fricative sonore e in alcune lingue germaniche a occlusive
sonore. Inoltre descrive il passaggio in dalle occlusive b, d, z, g e gʷ alle fricative f, θ(trascritta
"þ"), s, h e hʷ.
II. Seconda mutazione consonantica investe esclusivamente i dialetti alto–tedeschi, cioè in
Germania meridionale, Svizzera e Austria. Si tratta di una trasformazione di fonemi
14
occlusivi sordi condizionata dalla loro posizione all'interno della parola: posizione iniziale, o
finale dopo consonante; posizione intervocalica, o finale dopo vocale; posizione interna
quando in germanico la consonante era rappresentata da un fonema rafforzato
(raddoppiato). E’ meno sistematica della prima mutazione, poiché non coinvolge tutti i
fonemi né tutte le parole del tedesco standard:
Le occlusive sonore IE diventano in germanico occlusive sorde ( b → p / d → t /
g → k ). Es. inglese deep → tedesco tief (profondo)
Le occlusive sorde diventano affricate/fricative sorde ( p → pf ,→ f / t → ts , → s /
k → χ ). Es. inglese ten → tedesco zehn, inglese make → tedesco machen /maxən/
Le aspirate interdentali sorde diventano occlusive sonore (θ → d ). Inglese think →
tedesco denken.
Ci sono esempi di trasformazione anche in alcune parole italiane (es. tappo, zaffata,
aggrappare, graffiare).
XII – Nozioni di grammatica indoeuropea
In tutte le lingue IE i morfemi grammaticali si raggruppano in morfologia nominale e morfologia
verbale. Questa opposizione tra nome e verbo presenta nelle lingue IE soltanto due eccezioni:
1. Verbi impersonali (it. Piove, nevica, grandina, tuona) che contengono nella radice anche
l’espressione del soggetto (elemento nominale che è in rapporto con il verbo e con il
quale verbo concorda).
2. Participi (it. Lodato, amato) che esprimono con la stessa parola funzioni proprie della
morfologia nominale (il genere e il caso) e categorie proprie della morfologia verbale (il
tempo, l’aspetto).
Morfologia Nominale
All’interno della morfologia nominale occorre distinguere a livello di signifiant (cioè l’uso di
morfemi diversi), una flessione propria dei sostantivi e degli aggettivi qualificativi, ed una flessione
propria dei pronomi e degli aggettivi determinativi. Categorie nominali dell’IE:
 Numero ( singolare / duale /plurale /collettivo)
 Genere (grammaticale, maschile o femminile – genere animato – , neutro – genere
inanimato –).
15
 Casi, indicano un rapporto del sostantivo con il verbo o con un altro sostantivo e possono
essere di tipo:
- Nominativo (determina il soggetto della III persona del verbo, perché se fosse di I e
II il soggetto è determinato dalla desinenza verbale).
- Genitivo (appartenenza, possesso, provenienza).
- Dativo (rapporto oggettivo indiretto).
- Accusativo (rapporto oggettivo diretto e punto di arrivo).
- Ablativo (il punto di partenza).
- Strumentale (il mezzo).
- Locativo (il luogo dove si svolge l’azione).
- Vocativo.
Schema della declinazione nominale IE
Vedere pagina 24.
Abbiamo desinenze del singolare, del plurale e del duale.
Le desinenze si uniscono alla parte invariabile del nome, che si chiama tema. Qualche volta il tema
si identifica con la radice o lessema di base e abbiamo nomi radicali (es. latino lex). Spesso il tema
è costituito dall’unione della radice che può essere verbale o nominale con uno o più suffissi (nomi
derivati).
C’è da dire comunque che molte formazioni tematiche non sono ereditate dall’IE, bensì sono state
create più tardi all’interno di una lingua o di un sottogruppo.
Sincretismo dei casi e semplificazione dei temi nominali
In IE salvo i temi in o, le funzioni dell’ablativo erano espresse dal genitivo. Nel plurale si
ricostruisce un solo morfema per il dativo e per l’ablativo; nel duale un morfema per il genitivo e il
locativo, per il dativo, l’ablativo e lo strumentale. Se ne deduce che neppure per l’epoca IE
unitaria possiamo supporre che ad ogni signifié grammaticale corrispondesse un signifiant, cioè
un morfema distinto: era già in atto la tendenza verso il sincretismo dei casi, cioè la riduzione del
loro numero e l’uso di un morfema solo per più funzioni.
16
Questa tendenza si sviluppa in quasi tutte le lingue storiche IE. A parte il greco miceneo, nei
documenti più antichi i casi in greco sono 5 (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo). Il
latino ha un caso in più, l’ablativo, che ha assorbito lo strumentale e qualche traccia del locativo.
Soltanto l’antico indiano, il baltico (soprattutto il lituano) e lo slavo conservano tutti i casi delle
declinazioni IE.
Il sincretismo dei casi porta alla distruzione della declinazione: per l’espressione dei rapporti
sintattici le lingue romanze e l’inglese usano le preposizioni anziché le desinenze dei casi.
Formazione dell’Aggettivo Qualificativo
Nei temi in o prevale il genere maschile e neutro, mentre il tema in a è caratterizzato dai nomi
femminili (lat. lupus / lupa; bonus, bona, bonum). Anche se in alcuni gruppi linguistici (germanico,
baltico, slavo) tendono a confondere i timbri vocalici a e o, la distinzione fra i due temi viene
mantenuta (in germanico i temi in o diventano temi in a e viceversa).
Forma Determinata e Indeterminata dell’Aggettivo
Le lingue germaniche e slave sviluppano ulteriormente la declinazione dell’aggettivo per
distinguere la funzione determinata da quella indeterminata (l’italiano esprime questa differenza
con i due articoli “Un buon cane” vs “Il buon cane”). Perciò hanno un doppio paradigma (modello
di riferimento) dell’aggettivo, ma usano dei morfemi diversi per esprimere l’opposizione.
1. Forma determinata (lingue germaniche = modello dei temi in nasale; lingue slave =
posposizione del pronome anaforico – il pronome che serve per richiamare un concetto
precedentemente espresso – in modo che l’aggettivo determinativo è posposto).
2. Forma indeterminata (le lingue germaniche/slave usano la forma ereditata dell’aggettivo
IE).
I Pronomi Indoeuropei
Attraverso la comparazione possiamo attribuire all’IE una ricca serie di temi pronominali, ma non
riusciamo a stabilire se un tema originariamente era di pronome dimostrativo, anaforico, relativo,
interrogativo o indefinito.
17
E’ probabile che nell’IE l’espressione pronominale ammettesse numerose varianti ma che non si
distinguessero ancora certe opposizioni che nella lingua IE moderne sono fondamentali (es.
dimostrativo/relativo, indefinito/interrogativo/relativo).
I pronomi sono usati con alta frequenza nell’espressione orale e spesso con funzione rafforzativa,
e subiscono un’usura maggiore che i nomi. La lingua esige, dunque, che siano chiaramente
differenziati e foneticamente forti. Costatiamo che i pronomi hanno subìto un processo di
ringiovanimento che si ripete nel tempo. Ad esempio il pronome relativo latino iste risulta formato
da due temi pronominali IE: i– (che si ritrova in latino is, id) e te– (che si ritrova in greco to, in
inglese the). Analogamente in italiano abbiamo il pronome dimostrativo questo che risale ad una
forma del latino parlato eccum + istum, cioè iste rafforzato con l’avverbio eccum.
XIII – Categorie e Morfemi del verbo IE
Categorie del verbo IE:
 Persona (I = il parlante; II = l’interlocutore; III = un altro diverso dai due).
 Numero (singolare = 1; duale = la coppia; plurale = più elementi numerabili).
 Modo (rapporto soggettivo tra il parlante e l’azione): indicativo, congiuntivo, ottativo,
ingiuntivo, imperativo.
 Aspetto (considerazione oggettiva dell’azione): presente, aoristo (tempo verbale non–
definito), perfetto.
 Tempo (presente, passato; manca per l’IE una considerazione del futuro che prescinda
dall’idea della possibilità = congiuntivo).
 Diatesi (rapporto tra soggetto e azione): attivo (= transitivo) e medio (= intransitivo).
L’IE aveva sviluppato di più l’aspetto, a differenza delle lingue IE moderne che hanno sviluppato di
più il tempo.
In merito al modo, le lingue IE storiche non concordano tra loro e ciascuna ha valorizzato l’uno o
l’altro elemento: il greco ha attuato la distinzione tra congiuntivo (espressione delle possibilità) e
l’ottativo (espressione del desiderio); il latino ha mescolato morfemi di ottativo e di congiuntivo in
un unico modo, il congiuntivo; il germanico ha soltanto l’ottativo.
18
L’idea del passivo, cioè dell’azione ricevuta dal soggetto, si è sviluppata più tardi dell’epoca
unitaria e, infatti, ciascuna lingua IE ha trovato un modo diverso di esprimerla: il greco ha esteso al
senso passivo le forme del medio; le lingue germaniche e romanze usano perifrastiche con
l’ausiliare essere e il participio del preterito. E’ infatti nel participio che si manifesta il senso del
“passivo” . Però si può arrivare al significato passivo anche attraverso un’espressione impersonale
(es. it. si vede = fr. on vit).
Morfemi verbali dell’IE:
Si tratta di prefissi, suffissi, variazioni apofoniche della radice e di desinenze personali.
I prefissi sono l’aumento che indica il passato (in greco vocale e–) e il raddoppiamento, di cui si
trovano tracce anche in latino e gotico.
I suffissi servono per formare dalla radice i vari temi verbali caratteristici dei vari tempi e modi.
Per formare i temi dei diversi “tempi” (aspetti), si ricorre anche ad alternanze apofoniche della
radice. In genere è caratteristico del presente il vocalismo e, del perfetto il vocalismo o,
dell’aoristo il grado O.
Prospetto delle desinenze personali IE:
Sulla scorta del greco e dell’antico indiano possiamo ricostruire un quadro delle desinenze IE
(primarie del presente, secondarie del passato). Vedere pagina 29.
Le lingue IE storiche presentano notevoli diversità rispetto al verbo IE, anche alcune (es. lingue
slave o lituano) che conservano bene la flessione nominale. I mutamenti rispondono ad alcune
tendenze:
a. Una semplificazione e regolarizzazione del sistema verbale, per cui le forme che non sono
dell’uso quotidiano vengono abbandonate e le forme nuove si modellano su tipi più
regolari.
b. Diminuisce l’importanza dell’aspetto in favore di una più precisa espressione dei rapporti
temporali assoluti e relativi.
c. Si sviluppano forme perifrastiche.
19
XIV – Classificazione delle lingue neolatine e criteri di differenziazione.
Il latino parlato come antecedente delle parlate romanze
Nel territorio dell’Impero Romano attualmente non si parlano soltanto lingue derivate dal latino,
bensì le lingue di derivazione germanica, slava e greca che si sono sovrapposte al latino tra il IV e
VI secolo. Le lingue neolatine o romanze si parlano nell’attuale penisola iberica, la regione
francese (salvo la Bretagna per i Celti e l’Alsazia-Lorena per i dialetti tedeschi), la penisola italiana,
buona parte della Svizzera e la Romania. Dal punto di vista linguistico le differenze più importanti
per la classificazione delle lingue neolatine sono i mutamenti fonetici o morfologici(vocalismo
tonico, dittongazione romanza, lenizione, indebolimento delle vocali atone anteriori – e / i–
davanti ad a).
L’antecedente delle parlate romanze non è il latino letterario bensì il latino parlato (volgare). Il
latino parlato è ricostruito attraverso la comparazione delle parlate romanze storiche (come si
procede per l’IE partendo dai documenti delle lingue IE storiche).
XV – Note di fonetica storica romanza
Suddividiamo le lingue romanze in due aree:
1. Aree conservative (sardo logudorese, rumeno e penisola iberica).
2. Aree romanze innovanti (francese).
Le principali caratteristiche fonetiche di queste aree sono:
 Palatizzazione di k / g (occlusive velari in latino) davanti alle vocali anteriori e, i.
 Vocalismo tonico:
1. Tipo sardo (5 vocali a, e, i, o, u che corrispondono ciascuna alla rispettiva vocale
breve e lunga del latino.
2. Tipo rumeno (la serie delle vocali anteriori ha tre gradi di apertura).
20
3. Tipo a sette vocali (che si estende alla maggior parte della Romània).
 Lenizione (forma di mutazione delle consonanti ed economia dello sforzo articolatorio – è
un rilassamento dell’articolazione che può dare come effetto il passaggio da occlusiva
sonora a fricativa (b > v, ecc.), da occlusiva sorda a occlusiva sonora (t > d, ecc.), sia la
perdita completa della consonante.
 Indebolimento delle vocali atone (sono colpite tutte le vocali finali oltre la e / o).
 Dittongazione romanza (è provocata da diversi fattori: metafonia – modifica del suono – di
i / u finali, la sillaba aperta, una consonanza palatale, e ha colpito zone come quella
francese, dei dialetti italiani settentrionali e lo spagnolo con i dittonghi di e / o aperte).
 Palatizzazione di ka-, ga-, a tonica in sillaba libera (area francese settentrionale e franco-
provenzale).
 Fenomeni di sostrato (mutamenti fonetici che possono risalire alle condizioni fonetiche
dell’epoca in cui le lingue preromane stavano cedendo al latino durante il processo di
romanizzazione linguistica). Strato linguistico al quale si è sovrapposto e sostituito, a
seguito della conquista o del predominio politico e culturale di un altro popolo, uno strato
linguistico diverso, e che ha provocato nella lingua sovrappostasi particolari cambiamenti
grammaticali e lessicali.
XVI – La struttura grammaticale dell’Italiano
Le funzioni grammaticali possono essere espresse in modo:
 Sintetico: formazione del comparativo latino (positivo solidus, comparativo solid-ior).
 Analitico: formazione del comparativo italiano (solido / più solido)
Mentre il latino ha una sola parola (tema dell’aggettivo + suffisso del comparativo), l’italiano ne
usa due (aggettivo positivo preceduto dall’avverbio di comparazione).
Un’altra differenza di struttura tra latino e italiano:
- Lat. Petrus Paulum laudat - It. Pietro loda Paolo
La differenza tra soggetto e oggetto in latino è data da una desinenza (nom. –s; acc. -m). Il
soggetto e l’oggetto non possono confondersi tra loro e la loro posizione nella frase può essere
libera.
21
In italiano invece l’ordine delle parole è fisso in questo tipo di frase perché in sé la parola Pietro
non indica se è oggetto o soggetto.
Il latino si vale dunque di elementi sintetici (modifica la parola attraverso suffissi e desinenze)
mentre l’italiano usa elementi analitici (aggiunge altre parole che funzionano da determinativi ed
esprimono funzioni grammaticali – avverbi, preposizioni, congiunzioni).
Il latino però non è completamente sintetico (si veda l’espressione dei complementi di luogo, ove
si ricorre già all’uso di preposizioni a sussidio dei casi – per portam, ad portam). Perciò l’italiano
ha
solamente sviluppato una tendenza che era già sorta in latino, ma estende l’uso delle preposizioni
all’espressione del genitivo (sostituito dalla preposizione di = lat. de, seguita originariamente
dall’ablativo) e dal dativo (sostituito dalla preposizione a = lat. ad, seguita originariamente
dall’accusativo).
Analogamente in merito alla coniugazione del passivo il latino aveva già un sistema analitico del
perfetto (laudatus sum, eram, ero, sim, essem, laudatum esse) accanto a un sistema sintetico del
presente (laudor, laudabar, laudabor, lauder, laudarer, laudari). L’italiano ha generalizzato il tipo
analitico anche al presente (sono/ero lodato, sono/ero stato lodato).
In italiano c’è una profonda differenza tra il sistema nominale (nomi, aggettivi, pronomi – quasi
completamente analitico per l’assenza di desinenza) e il sistema verbale (in gran parte sintetico
perché le determinazioni di tempo, modo, persona vengono ancora espresse con suffissi e
desinenze – am-o, am-i, amav-o).
Le lingue romanze dunque hanno una struttura grammaticale molto simile: hanno conservato
molti elementi latini e hanno sviluppato le stesse tendenze che già si manifestavano in latino.
L’affinità di struttura grammaticale è minore tra le lingue romanze, germaniche e slave, ed è
invece maggiore tra gli stadi più antichi delle lingue germaniche e slave, il latino e il greco (gruppo
linguistico IE).
Il forte distacco tra il latino e le lingue romanze è dovuto al modo in cui il latino si è diffuso
nell’attuale Romània: il processo di romanizzazione si è sviluppato attraverso l’apprendimento del
latino parlato (non letterario) e l’enorme estensione raggiunta da una lingua che originariamente
era la lingua di una città, Roma, ha portato alla semplificazione delle strutture grammaticali che il
latino aveva ereditato dall’IE.

Potrebbero piacerti anche