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Il linguaggio verbale
La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia una lingua. Esistono due
sottocampi principali: la linguistica generale, che studia cosa sono, come sono fatte
e come funzionano le lingue; la linguistica storica che si occupa dell’evoluzione delle
lingue nel tempo e dei rapporti fra le lingue e fra lingua e cultura.
Oggetto della linguistica sono dunque le lingue storico-naturali, ovvero quelle lingue
nate spontaneamente durante il corso della storia umana. Tutte queste lingue sono
espressione di ciò che viene chiamato linguaggio verbale umano.
Il linguaggio verbale umano, essendosi sviluppato autonomamente, è acquisito e
posseduto da ogni individuo umano. Questo è basato su canali sensoriali diversi: visivi
o uditivi; e su modalità diverse: canale visivo (mimica, gestualità, postura, ecc.);
canale acustico (suoni verbali e non verbali).
Dal punto di vista antropologico, le lingue vengono trasmesse per trasmissione culturale
all’interno di una società, tuttavia, questo non vuol dire che la componente innata
non sia importante. Nel linguaggio distinguiamo quindi; una componente culturale-
ambientale e una componente innata, cioè la predisposizione a comunicare
mediante una lingua. L’interazione fra questi due componenti fa sì che abbia un ruolo
particolare nel processo sia l’età dell’infanzia sia l’età della prepubertà linguistica.
Se entro gli 11-12 anni un essere umano non è stato esposto a stimoli linguistici lo
sviluppo della lingua è praticamente bloccato.
Infine, proviamo a dare una definizione a ciò che è la lingua. Potremmo dire che la
lingua è:
“un codice che organizza un sistema di segni dal significante primariamente fonico-
acustico, fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello e doppiamente posseduti
come conoscenza interiorizzata che permette di produrre infinite frasi a partire da
un numero finito di elementi.”
Bisogna infine ricordare che il linguaggio verbale è posseduto solamente dall’uomo
per due motivi:
1. Adeguato volume del cervello, che rende possibile la memorizzazione,
l’elaborazione e la processazione di un sistema così complesso;
2. Conformazione del canale fonatorio “a due canne”, che consente le sottili
distinzioni articolatorie e sfumature nella produzione fonica necessarie per la
comunicazione orale.
Segni, codice
Trasponibilità di mezzo
Il significante dei segni linguistici possiede un’altra proprietà importante: può essere
trasmesso o realizzato sia attraverso il mezzo aria, il canale fonico-acustico, sia
attraverso il mezzo luce, il canale visivo-grafico. Questa proprietà prende il nome di
transponibilità di mezzo.
Il parlato in passato rappresentava il mezzo prioritario. Ancora oggi, in realtà si
preferisce, infatti, quotidianamente parliamo molto più di quanto scriviamo. Per questo
distinguiamo la priorità ontogenetica (relativa al singolo individuo) del parlato,
ovvero, prima di scrivere ogni individuo umano impara a parlare. E una priorità
filogenetica (relativa alla specie umana), lo scritto è stato storicamente introdotto
molto dopo rispetto al parlato.
Box 1.1
Per una classificazione dei sistemi di scrittura, occorre distinguere prima di tutto sistemi
semiografici e sistemi glottografici. La differenza fra questi è che i primi non fanno uso di
simboli linguistici, i secondi sì. I sistemi glottografici si dividono poi in altre categorie: sistemi
non fonetici (logografici), e sistemi fonetici (fonografici). I primi non hanno, se non
parzialmente, basi fonetiche; fanno riferimento in genere a unità minime di prima
articolazione, i morfemi. I secondi rappresentano invece i suoni del linguaggio, fanno quindi
riferimento alle unità minime di seconda articolazione. Qualunque sistema, logografico o
fonografico, potrà poi fornire una rappresentazione più o meno completa, o più e meno
coerente, di tutte le unità rilevanti per la propria lingua di riferimento.
Elenchiamo adesso tutti i sistemi di scrittura glottografici:
- Logografia: ogni carattere sta ad un morfema, cioè è composto da un elemento di
scrittura che indica l’area concettuale a cui appartiene una parola (es. cinese e
giapponese).
- Sillabografia: ogni carattere sta per una sillaba, cioè, rappresenta una combinazione
di fonemi diversa, quindi una sillaba diversa (es. giapponese).
- Abjad: ogni carattere sta per una consonante (es. arabo)
- Abugida: ogni carattere sta per una combinazione sillabica di consonante e vocale. A
differenza della sillabografia, gli elementi grafici che rappresentano le consonanti e le
vocali sono ancora distinguibili tra loro.
- Alfabeto: ogni carattere (o grafema) sta o per una consonante o per una vocale
- Grafia di tratti: ogni carattere rappresenta, e riproduce in parte anche nella forma,
una certa conformazione articolatoria, e sta per il fono o i foni prodotti da tale
conformazione.
Linearità e discretezza
Un’altra proprietà dei segni linguistici è la linearità, questa significa che il significante
viene prodotto in successione tempo e/o nello spazio. Non possiamo decodificare il
segno se non dopo che siano stati attualizzati l’uno dopo l’altro tutti gli elementi che lo
costituiscono. La linearità implica anche monodimensionalità, perché il significante si
sviluppa in una sola direzione; e discretezza cioè le unità di una lingua non
costituiscono materia continua, ma c’è un confine fra un elemento e l’altro.
Produttività e ricorsività
Un’altra proprietà della lingua è la produttività, ovvero, il fatto che con la lingua è
sempre possibile creare nuovi messaggi e di parlare di cose nuove e nuove esperienze
mai sperimentate prima. La produttività del sistema linguistico prende la forma di
creatività regolare, ovvero una produttività infinita basata su un numero limitato di
princìpi e regole applicabili ricorsivamente. È proprio qui che viene in gioco la
ricorsività, e significa che uno stesso procedimento è riapplicabile un numero
teoricamente illimitato di volte.
Complessità sintattica
Vi sono infine due proprietà. Una di queste consiste nel fatto che i messaggi linguistici
possono presentare un alto grado di elaborazione strutturale, con una ricca
gerarchia di rapporti di concatenazione e funzionali fra gli elementi disposti linearmente.
Questa proprietà può definirsi complessità sintattica. Fra gli elementi che hanno
rilevanza nella trama sintattica vi sono:
a. L’ordine degli elementi contigui
b. Le relazioni strutturale e le dipendenze
c. Le incassature
d. La ricorsività
e. La presenza di parti del messaggio che danno informazioni sulla sua
strutturazione sintattica
f. La possibilità di discontinuità nella strutturazione sintattica
Equivocità
Possiamo concludere questo elenco di proprietà notando che la lingua possiede una
proprietà molto interessante. La lingua è infatti un codice tipicamente equivoco, ovvero
pone corrispondenze plurivoche fra gli elementi di una lista dei significanti e la lista dei
significati.
Sincronia e diacronia
I termini sincronia e diacronia si impiegano per indicare due diverse condizioni con le
quali si può guardare alle lingue in relazione all’asse del tempo. Per diacronia si intende
la considerazione delle lingue lungo lo sviluppo temporale; per sincronia si intende
invece la considerazione delle lingue facendo un “taglio” sull’asse del tempo,
guardando a come queste si presentano in un dato momento. Descrivere il significato
che hanno oggi le parole in italiano, o studiare com’è la struttura sintattica delle frasi
semplici in una lingua, sono operazioni tipicamente di linguistica sincronica.
Langue e parole
Paradigmatico e sintagmatico
La terza distinzione è quella fra asse paradigmatico e asse sintagmatico. Si può
dire che l’asse paradigmatico riguarda le relazioni al livello del sistema; l’asse
sintagmatico riguarda le relazioni al livello delle strutture che realizzano le
potenzialità del sistema.
Livelli d’analisi
Esistono nella lingua quattro livelli di analisi, che identificano tre strati diversi del
segno linguistico: strato del significante inteso come mero significante, strato
del significante in quanto portatore di significato e lo strato del significato. Tre
livelli di analisi sono relativi al piano del significante: uno per la seconda articolazione,
ovvero la fonetica e fonologia; due per la prima articolazione, cioè morfologia e
sintassi. E un ulteriore livello è relativo solo al piano del significato e consiste nella
semantica.
Morfologia
Parole e morfemi
Tipi di morfemi
Esistono due punti di vista principale per individuare differenti tipi di morfemi: la prima
è una classificazione funzionale, in base alla funzione svolta; la seconda è una
classificazione posizionale, basata sulla posizione che questi occupano.
Classificazione funzionale
Nella classificazione funzionale si distinguono due tipi di morfemi: i morfemi lessicali
e i morfemi grammaticali. Questi ultimi si dividono poi in morfemi derivativi e
morfemi flessivi.
I morfemi lessicali stanno nel lessico, nel vocabolario, e costituiscono una classe
aperta, continuamente arricchita di elementi; mentre i morfemi grammaticali stanno
nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, che non accoglie nuove unità. Non
sempre la distinzione fra questi è chiara, in italiano ad esempio è il caso delle “parole
funzionali” come gli articoli, i pronomi personali, le preposizioni, le congiunzioni, che
formano classi chiuse ma difficilmente si possono definire morfemi grammaticali. Alcuni
elementi di queste parole sono scomponibili in morfemi, come per esempio l’articolo “lo”
(l[radice]-o[maschile singolare]). Una distinzione che in questi casi si fa e che può
essere utile è quella fra morfemi liberi e morfemi legati, i secondi non possono mai
comparire in isolamento.
La derivazione dà luogo a parole regolandone i processi di formazione; la flessione
dà luogo a forme di una parola regolandone il modo in cui si attualizzano nelle frasi. La
derivazione agisce prima della flessione, prima costruiamo parole a cui poi applichiamo
le dovute flessioni.
Classificazione posizionale
Nella classificazione posizionale troviamo gli affissi. Gli affissi che nella struttura della
parola si trovano prima della radice si chiamano prefissi, quelli che stanno dopo
suffissi. In altre lingue del mondo distinguiamo poi anche gli infissi, che sono quegli
affissi che sono inseriti dentro la radice; e i circonfissi, cioè affissi formati da due parti,
una che sta prima della radice e l’altra che sta dopo. In alcune lingue esistono poi degli
affissi che si incastrano alternativamente dentro la radice, dando luogo a quelli che
chiamiamo transfissi, questi sono molto presenti nell’arabo.
I morfemi derivazionali, come abbiamo visto, mutano il significato della base cui si
applicano, aggiungendo nuove informazioni rilevanti, integrandolo, modificando la
classe di appartenenza della parola e la sua funzione semantica, o sfumandone il senso:
è il caso di dormire -> dormitorio.
I morfemi derivazionali svolgono una funzione molto importante, quella di permettere
la formazione di un numero teoricamente infinito di parole a partire da una certa
base lessicale. In ogni lingua esiste una lista finita di moduli di derivazione che danno
vita a famiglie di parole. Una famiglia è formata da tutte le parole derivate da una
stessa radice lessicale. Prendiamo per esempio la radice socio, da questa troviamo
numerosissime derivazioni: sociale, socializzare, società, asociale, sociologia, consocio,
associare, sociolinguistica, socialismo, nazionalsocialismo, ecc.
Fra le parole del gruppo qua sopra descritto meritano un’analisi approfondita le parole
sociologia e nazionalsocialismo. A prima vista, diremmo che i morfemi che formano la
parola sociologia sono due, socio- logia (con valore di “studio di”). Occorre notare che
sociologia non vuol dire “studio dei soci” ma “studio della società”; in questo caso socio
viene dal greco (società) e quindi rappresenta una radice lessicale che si comporta
come prefisso. Possiamo chiamare morfemi di questa natura prefissoidi. Esistono
anche i suffissoidi, cioè i morfemi con significato lessicale come le radici ma che si
comportano come suffissi nella formazione delle parole. Prefissoidi e suffissoidi
provengono maggiormente da parole delle lingue classiche.
In nazionalsocialismo abbiamo invece un caso che sembra simile a quello di sociologia,
ma in cui le due radici lessicali che coesistono nella parola mantengono entrambe il
valore che avrebbero se utilizzate come parole autonome. Si tratta di parole
composte; nell’italiano segue nella composizione delle parole principalmente l’ordine
modificato-modificatore. Non vanno confuse con le parole composte le unità
plurilessematiche, che consistono in sintagmi fissi che rappresentano un’unica entità
di significato, non corrispondente alla semplice somma di significati delle parole che la
compongono. Fra le parole composte e le unità plurilessematiche, si collocano le unità
lessicali bimembri, ovvero il rapporto tra due parole che non hanno raggiunto un
grado di fusione tipico delle parole composte, ma che portano comunque un unico
significato (es. nave scuola, scuola guida, ufficio concorsi).
Box 3.2
Come la derivazione, la composizione permette la formazione di parole nuove a partire da una
certa radice lessicale. Ciò che la distingue dalla derivazione è che mentre una parola derivata
contiene una sola radice lessicale, una parola composta contiene più radici lessicali, ciascuna
suscettibile di comparire come parola autonoma. In italiano la maggioranza delle parole
composte appartiene alla classe di parola dei nomi. Nella gran parte dei casi la composizione
di due parole di qualsiasi classe che possa partecipare alla composizione (nome, aggettivo,
verbo, preposizione, avverbio) dà un nome: es. pescespada (N+N), camera oscura (N+Agg),
bassorilievo (Agg+N), scolapasta (V+N).
Si ha invece un aggettivo quando entrambe le parole della composizione sono aggettivi:
agrodolce, sordomuto, pianoforte. È centrale nei discorsi sulla composizione il concetto di
testa di un composto. Il costituente che funziona da testa assegna al composto la propria
classe di parola e gli conferisce le proprie caratteristiche, oltre ai tratti di flessione. Esistono
anche composti senza testa (es. bagnasciuga, buttafuori). Composti che presentano una testa
vengono chiamati endocentrici, i composti senza testa esocentrici. Se consideriamo poi il
rapporto interno tra i costituenti, i composti si possono classificare in subordinativi e
coordinativi. Sono subordinativi quei composti i cui costituenti sono legati tra di loro da una
relazione di tipo modificato/modificatore. Sono coordinativi quei composti in cui non sussiste
una relazione di tipo modificato/modificatore tra i costituenti.
Altri meccanismi più marginali che formano parole sono le sigle o acronimi (es. CGIL
(Confederazione Generale Italiana del Lavoro), FS (Ferrovie dello Stato), SMS (Short
Message Service)).
In italiano, il più importante e produttivo dei procedimenti di formazione di parole è
comunque la suffissazione. Assai produttiva risulta poi essere la prefissazione, che
al contrario della suffissazione non muta la classe grammaticale di appartenenza
di una parola. Abbiamo poi l’alterazione, molto diffuso in italiano, che altera il
significato della base lessicale con un valore generalmente valutativo, ne sono esempi:
gattino, gattaccio, finestrella, affaruccio.
Nell’inventario dei morfemi derivazionali dell’italiano non sono rari casi di omonimia
(per esempio il prefisso in- può avere valore di negazione o di avvicinamento, ingresso,
direzione).
Le parole derivate si possono definire in maniera da tener conto a) del procedimento di
derivazione, b) della classe lessicale della base da cui derivano, e c) della classe lessicale
a cui appartiene il risultato.
Nei meccanismi della formazione di parola rientra anche il fenomeno della conversione
(o derivazione zero o suffissazione zero), ovvero la presenza di coppie di parole
aventi la stessa radice lessicale ed entrambi privi di suffisso, fra i quali quindi in termini
meramente derivazionali non è possibile stabilire quale sia la parola primitiva e quale la
parola derivata: lavoro, lavoratore; stanco, stancare; fiore, fiorire. Tuttavia, quando la
coppia è costituita da un verbo e da un nome è spesso da assumere che la base sia il
verbo.
I morfemi flessionali non modificano il significato della radice lessicale su cui operano:
la attualizzano nel contesto di enunciazione, specificandone la concretizzazione in quel
particolare contesto. I morfemi flessionali intervengono solamente nelle parole che
possono assumere tali specificazioni: operano cioè sulle classi “variabili” delle parole.
Fra le categorie grammaticali vi sono anzitutto quelle più propriamente flessionali,
che riguardano il livello dei morfemi stessi. In generale, si distinguono le categorie
flessionali in due grandi classi: quelle che operano sui nomi (sostantivi, aggettivi,
pronomi, ecc.) e quelle che operano sui verbi. In lingue come l’italiano, la morfologia
nominale ha come categorie fondamentali genere e numero. In altre lingue non esiste
il genere, o il genere può essere marcato per più valori (es. maschile, femminile e
neutro).
La categoria del numero è marcata in italiano con i due morfemi del singolare e del
plurale, alcuni nomi presentano solo la forma plurale. Un’altra categoria flessionale
molto rilevante per i nominali è il caso, che svolge l’importante funzione di mettere in
relazione la forma della parola con la funzione sintattica che essa ricopre nella frase. In
italiano rimangono dei resti di flessione causale nel sistema dei pronomi personali, dove
per esempio tu e te sono appunto distinti per essere l’uno soggetto e l’altro oggetto.
Il processo attraverso il quale un verbo assegna il caso al suo complemento viene
chiamato reggenza.
In molte lingue gli aggettivi possono poi essere marcati per grado: comparativo o
superlativo. L’italiano affida alla flessione solo l’espressione del superlativo.
Altre lingue poi marcano con morfemi appositi la definitezza (es.arab. “almaktabatu”
“la libreria”; “maktabatun” “libreria”) o il possesso (es.turco “kardeşim” “mio
fratello”; “kardeşi” “fratello”).
La morfologia verbale ha cinque categorie flessionali principali:
- Modo: esprime la modalità, cioè la maniera nella quale il parlante si pone nei
confronti del contenuto di quanto viene detto;
- Tempo: colloca nel tempo assoluto e relativo quanto viene detto;
- Aspetto: riguarda la maniera in cui vengono osservati e presentati in reazione
al loro svolgimento l’azione o l’evento o il processo espressi dal verbo;
- Diatesi: esprime il rapporto in cui viene rappresentata l’azione o l’evento rispetto
ai partecipanti e in particolare rispetto al soggetto;
- Persona: indica chi compie l’azione o più in generale riferisce e collega la forma
verbale al suo soggetto.
Sintassi
Analisi in costituenti
La sintassi è il livello di analisi che si occupa della struttura delle frasi: il suo oggetto
di studio è come si combinano fra loro le parole e come sono organizzate in frasi (o
proposizioni). La frase è quindi il costrutto che fa da unità di misura per la sintassi.
Come la nozione di parola questa è molto difficile da definire: in generale diremo che la
frase è l’entità linguistica che funziona come un’unità comunicativa, cioè
costituisce un messaggio autosufficiente nel discorso. Una frase è identificata dal
contenere una predicazione, cioè dice qualcosa, la predica. Poiché il genere il valore
di predicare qualcosa è affidata ai verbi, esistono frasi senza verbo, dette “frasi
nominali”.
Il principio generale dell’analisi delle frasi è basato sulla scomposizione o
segmentazione. Il metodo di rappresentazione più diffuso è quello degli alberi
etichettati. Un albero è un grafo costruito da nodi da cui partono dei rami; ogni nodo
rappresenta un sottolivello di analisi della sintassi.
Il concetto di distribuzione, ovvero l’insieme dei contesti in cui gli elementi possono
comparire nelle frasi, è un criterio importante per distinguere diverse classi di elementi
rilevanti per la sintassi. I determinanti sono tutti gli elementi che occorrono davanti a
un nome e svolgono la funzione di determinare il referente da esso indicato. Ogni frase
è dunque rappresentabile con un indicatore sintagmatico che ne fornisce la struttura in
costituenti.
Sintagmi
Così come la parola è la minima combinazione di morfemi usabile come unità lessicale
autonoma, il sintagma è definibile come la minima combinazione di parole che funzioni
come un’unità della struttura frasale. I sintagmi sono costruiti attorno ad una testa, in
base a cui vengono classificati. Testa è la classe di parole che rappresenta il minimo
elemento che da sono possa costituire un sintagma. Un sintagma nominale è dunque
un sintagma costruito attorno ad un nome, che ne è quindi la testa. Testa del sintagma
verbale è invece è il verbo, del sintagma preposizionale, la preposizione, anche se
quest’ultima pone degli altri problemi, come quello che la preposizione non condivide la
proprietà che hanno le altre teste di un sintagma di poter rappresentare da sole il
sintagma.
Il principio generale delle corrette rappresentazioni sintagmatiche è che, in un albero,
ogni elemento sul ramo di destra modifica l’elemento di sinistra. Un nodo esterno
a F (frase) può essere occupata anche da un avverbio che modifica l’intera frase.
Funzioni sintattiche
Schemi valenziali
Quando noi dobbiamo enunciare qualcosa sotto forma di frase, è ragionevole pensare
che partiamo dalla selezione di un verbo, questo è associato a delle valenze. Ogni
predicato ha quindi un certo schema valenziale. I verbi possono essere quindi
monovalenti, bivalenti, trivalenti e tetravalenti. Esistono anche i verbi
zerovalenti come piovere o nevicare. Sulla base degli schemi valenziali il soggetto si
potrebbe definire come la prima valenza. In una frase, oltre ai costituenti che rendono
le funzioni sintattiche previste dalla struttura argomentale, si possono trovare anche
costituenti che non fanno parte dello schema valenziale: i circostanziali.
Ruoli semantici
Un altro ordine di princìpi è quello dei ruoli semantici. La frase non viene più guardata
dalla prospettiva del significante dotato di significato, ma dalla prospettiva del
significato, la frase si configura come una sorta di “scena” dove le entità presenti
recitano delle parti. Non esistono né un procedimento formale di definizione e
individuazione né una lista completa e condivisa dei possibili ruoli semantici.
- Agente: è il ruolo semantico dell’entità animata che si fa parte attiva, cioè
provoca ciò che accade nella frase;
- Paziente: è il ruolo che nell’evento rappresentato è coinvolta senza intervento
attivo;
- Sperimentatore: che è il ruolo semantico dell’entità toccata da, o che prova un
certo stato o processo psicologici (es. A Luisa piacciono i gelati);
- Beneficiario: che trae beneficio dall’azione
- Strumento: è l’entità inanimata mediante la quale avviene ciò che accade.
Altri ruoli semantici sono: la località (entità in cui sono situate l’azione, lo stato, il
processo), la provenienza (entità dalla quale un’entità si muove in relazione all’attività
espressa dal predicato), la dimensione (entità che indica una determinata estensione
nel tempo, nello spazio, nella massa) e il comitativo (entità che partecipa all’attività
svolta dall’agente).
Tra le funzioni sintattiche e ruoli semantici ci sono rapporti preferenziali, per cui per es.
ciò che ha il ruolo di agente in struttura semantica tende a comparire come soggetto in
struttura sintattica. In una frase passiva, rispetto alla corrispondente attiva è diversa
la distribuzione del rapporto fra ruoli semantici e funzioni sintattiche: l’agente, che
normalmente fa da soggetto, è mandato a complemento d’agente, mentre il paziente,
che normalmente è oggetto, diventa soggetto.
Sono passivizzabili sono i verbi transitivi, i verbi non passivizzabili sono intransitivi.
All’interno di questi ultimi ci sono anche i verbi inaccusativi, ovvero quelli che
richiedono come ausiliare essere.
Struttura pragmatico-informativa
Nel governare la strutturazione del prodotto finale della sintassi esiste ancora un altro
piano, quello dell’organizzazione pragmatico-informativa. Secondo questo sistema
si distinguono cinque tipi di frasi:
- Frasi dichiarative: che fanno un’affermazione generica che può avere più valori
specifici;
- Frasi interrogative: che pongono una domanda; queste si distinguono in
interrogative totali (anche dette chiuse) o parziali (anche dette aperte)
- Frasi esclamative: che esprimono un’esclamazione, marcate dall’intonazione;
- Frasi iussive: chiamate anche imperative, esprimono un ordine;
- Frasi ottative: chiamate anche desiderative, esprimono un desiderio o un
auspicio, vengono marcate dalla posizione iniziale del verbo al congiuntivo.
Frasi complesse
Il livello dei testi viene riconosciuto al di sopra dell’unità “frase”. Un testo è definibile
grosso modo come una combinazione di frasi più il contesto in cui essa funziona da
unità comunicativa. Per “contesto” si deve intendere sia il contesto linguistico, sia
il contesto extralinguistico, la situazione specifica in cui la combinazione di frasi è
prodotta.
Entriamo qui nell’ambito della linguistica testuale. Un caso di questo genere è
solitamente la pronominalizzazione, cioè l’impiego e il comportamento dei
pronomi, in particolare i pronomi cosiddetti personali.
Il cane abbaia. Maria si affaccia alla finestra. Lo vede tutto infuriato (…)
Fonetica e fonologia
Fonetica
I fonemi dell’italiano
Gli inventari fonematici delle diverse lingue del mondo sono in genere formati da alcune
decine di fonemi. L’italiano standard ha 30 fonemi. I problemi generali della fonologia
dell’italiano sono divese:
- Consonanti lunghe: es. [‘kane] [‘kanne]
- Differenze regionali: opposizioni fra [s] e [z], fra [ts] e [dz], fra [j] e [i] e fra
[w] e [u]
- Opposizione fra vocali medio-alte e medio-basse: [e] o [ɛ] e fra [o] e [ɔ]
- Raddoppiamento fonosintattico: allungamento della consonante iniziale della
parola quando questa è preceduta da una delle parole che provocano questo
fenomeno
Un ruolo decisivo nella costituzione delle parole di una lingua hanno le minime
combinazioni di fonemi. In italiano, una sillaba è sempre costruita attorno a una vocale:
una consonante o un’approssimante ha sempre bisogno di appoggiarsi a un nucleo
fonico, in genere una vocale. Ogni sillaba è formata da almeno una, e non più di una,
vocale. Una vocale da sola può pertanto costituire una sillaba. In una sillaba, la parte
che eventualmente precede la vocale è detta attacco o input; la vocale stessa è il
nucleo e la parte che eventualmente la segue è la coda. Le sillabe che finiscono con la
coda vengono dette “chiuse” quelle che non ce l’hanno sono chiamate “aperte”. In
recenti teorie fonologiche basate sulla sillaba, nucleo e coda assieme costituiscono la
rima, questa determina il “peso” della sillaba. Una combinazione interessante di fonemi,
che può essere considerato come una sillaba a se stante sono i dittonghi. Si possono
dare anche combinazioni fra due semivocali e una vocale e formare un trittongo.
Vi sono una serie di fenomeni fonetici e fonologici che riguardano non i singoli segmenti,
ma la catena parlata nella sua successione lineare. All’insieme di questi fenomeni si da
il nome di tratti soprasegmentali. Il tratto soprasegmentale per eccellenza è l’accento.
In italiano l’accento è fondamentalmente dinamico o intensivo, dipendente dalla forza
con cui sono pronunciate le sillabe: la sillaba tonica è tale soprattutto a un aumento del
volume della voce. In altre lingue l’accento è connesso soprattutto con la durata della
parola. La posizione dell’accento all’interno di una parola può essere libera o fissa.
In italiano l’accento è tipicamente libero e può trovarsi sull’ultima sillaba di una parola,
sulla penultima, sulla terzultima, sulla quartultima o addirittura sulla quintultipla.
La successione nella catena parlata di sillabe atone e sillabe toniche, cioè il susseguirsi
di elementi forti e deboli dà luogo al ritmo. L’italiano è una lingua fondamentalmente
a isocronismo sillabico cioè in una parola viene assegnata durata analoga alle sillabe
atone.
Tono e intonazione
Lunghezza
La lunghezza riguarda l’estensione temporale relativa con cui i foni e le sillabe sono
prodotti. La quantità delle vocali o delle consonanti può avere valore distintivo. In
italiano, la quantità delle consonanti non ha funzione distintiva. Anche per le vocali, la
durata in italiano non è pertinente.
Lingue del mondo
La tipologia linguistica si occupa di individuare che cose c’è di uguale e che cosa c’è
di diverso nel modo in cui le diverse lingue storico-naturali sono organizzate e
strutturate. La tipologia è dunque strettamente connessa con lo studio degli universali
linguistici, ovvero proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue. Questi si distinguono
in universali assoluti (che non conoscono eccezioni in nessuna lingua), universali
implicazionali (se A, allora B), gerarchie implicazionali (se A allora B, se B allora C,
se C allora D, ecc.).
Tipologia morfologica