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“INTRODUZIONE ALLA LINGUISTICA STORICA” – FANCIULLO

Abbiamo constatato in più di un'occorrenza che le lingue cambiano con lo scorrere del tempo, ovvero in
diacronia; studiarne l'evolversi diacronico è ciò che la linguistica storica (o diacronica) fa, differenziandosi
dalla linguistica sincronica (che studia un fenomeno all'interno del momento cronologico selezionato).
Il cambiamento può essere studiato anche secondo il parametro diatopico o geografico (l'italiano parlato a
Torino oggi è diverso da quello parlato a Palermo oggi). Es. parole in suffisso "-aro" (come paninaro,
metallaro...), di provenienza centromeridionale, sono entrate nell'italiano degli ultimi anni del Novecento.
Ma possiamo risalire diacronicamente ad individuare parole con questi suffissi sia nel Novecento (come
magliaro, venditore ambulante di maglie), sia nel Cinquecento (notaio presenta la forma notaro, sino a
risalire al suffisso latino - ARIUS che serviva in questa lingua a formare nomi di mestiere).
La linguistica storica non si limita ad esaminare singoli esempi: la disciplina nasce verso la fine del '700
come spiegazione delle affinità che si scoprono legare un numero sorprendentemente ampio di lingue antiche
e moderne parlate in un'area che va dall'Europa atlantica fino al subcontinente indiano, ovvero della famiglia
linguistica indoeuropea.

1 - LA PARENTELA LINGUISTICA

Parlare di famiglia linguistica presuppone che ci sia linguisticamente una parentela, uno dei criteri
genealogici secondo i quali le lingue possono essere classificate. Nel caso delle lingue indoeuropee parlate
oggi in Europa, lingue figlie di "ultima generazione", sono le lingue derivate dal latino dette neolatine o
romanze: portoghese, spagnolo, catalano, francese, ecc...

Lessico condiviso e corrispondenze fonetiche

Come esempio di lingue imparentate consideriamo l'italiano e il francese. Tra le due la somiglianza è
presente a livello grafico (ciel – cielo; pied – piede; mari – marito) più che a livello fonetico. Questo perché
l'attuale grafia del francese è attardata di alcuni secoli rispetto alla pronuncia effettiva. La somiglianza tra le
due lingue è data da quello che possiamo chiamare lessico condiviso, ossia quella percentuale di lessico che
due o più lingue-figlie condividono per averlo ereditato dalla comune lingua madre (es. it. Occhio e fr. Oeil
derivano dalla comune base lat. Oculum). Prendiamo alcune parole come esempi selezionando le parole
italiane che contengono l'occlusiva velare sorda [k] e confrontandole con le corrispettive francesi: chanter
cantare, chasse caccia, collection collezione, court corto. Tutte le volte che in italiano abbiamo una sequenza
[k] + [a], in francese abbiamo la sequenza [š] + [a]; se invece la sequenza è di tipo [k] + [o] oppure [k] + [u]
allora anche in francese abbiamo [k]. Quindi entrambe le lingue hanno avuto un medesimo punto di partenza,
rispetto al quale una delle 2 ha preso a divergere.

Lessico condiviso e corrispondenze morfologiche

È chiaro che in qualche lontana fase della sua storia, il francese deve aver conosciuto una struttura sillabica
assai simile a quella che ancora oggi si riscontra in italiano.
Il francese ha imboccato la deriva che lo ha portato ad allontanarsi dall'italiano con un forte indebolimento
delle vocali di fine parola, e ha sovvertito la struttura sillabica che condivideva con l'italiano. Così oggi
vache 'vacca', esibisce ['a] benché oggi la vocale accentata sia in sillaba libera, mentre mer 'mare' mostra
palatalizzata (palatale: suono articolato con il dorso della lingua appoggiato al palato duro; in ita. le vocali
palatali sono 'i', 'e') benché oggi compaia in sillaba chiusa. Prendiamo ora alcuni altri esempi di it. [-t-] e fr.
zero: marito, catena, ruota, vita  mari, chaine, roue, vie. Dove in italiano vediamo [-t-], il francese non
mostra più alcun tipo di articolazione consonantica in generale. Riscontriamo ancora una sistematicità che
possiamo applicare alla parola 'mercato'  latino italiano francese -ATU -ato -é, MERCATU mercato
marché.
Altre corrispondenze tra le due lingue che ci portano a sospettare una medesima forma di partenza sono: la
[y] francese che corrisponde alla [u] italiana [lune, luna]. Possiamo intendere la [y] fr come il corrispettivo
italiano di -uto (participio passato), e la [-'i] fr. come -ito italiano: voulu voluto, battu battuto, lu letto, dormi
dormito, fini finito, réussi riuscito, ecc...
Il ruolo della morfologia

Una conferma di quanto argomentato viene dalla morfologia:


1) fr. -é = it. -ato
2) fr. -u = it. –uto
3) fr. -i = -ito
Lungo l'arco diacronico delle lingue, i morfemi sono fra gli elementi meno soggetti a cambiamenti. Invece il
lessico può mutare con facilità, si modifica a seconda dell'orientamento culturale dei parlanti, per motivi
politici, sociali, ecc.
Il fatto che all'interno della medesima lingua i morfemi tendono a conservarsi su lunghissimi periodi e da una
lingua all'altra non migrano affatto, o se migrano lo fanno in misura ridotta, fa sì che le concordanze
morfologiche bastino a indiziare la comune origine di due lingue, anche quando esse non presentino più
lessico in comune. Così l'assunzione che in qualche sua lontana fase, il francese debba aver conosciuto una
struttura sillabica simile o uguale a quella dell'italiano è giustificabile dalla struttura sillabica della lingua
madre latina ereditata e conservata sino a oggi dall'italiano, ereditata ma abbandonata dal francese.

La parentela linguistica "verticale"

È quella che lega diacronicamente una o più lingue a una lingua-madre comune. Come per risalire alla
parentela tra lingue "sorelle" (in senso "orizzontale", quando le lingue coinvolte sono filiazioni a partire da
un antenato linguistico comune) si constata se vi è lessico condiviso, morfologia condivisa e corrispondenze
fonetiche-fonologiche, così per il verso "verticale" (cioè la lingua madre, il latino per il caso di italiano e
francese). Tra italiano e latino le corrispondenze lessicali sono abbondanti ed evidenti, così come la
sistematicità delle corrispondenze: PLUMA > piuma, PLUS > più, VULPE > volpe, TURRE > torre,
CRUCE > croce. Ma non sempre la sistematicità delle corrispondenze rende risultati quali noi ci aspettiamo:
la parola 'pluvia', significato 'pioggia'. A dispetto delle apparenze insomma 'pioggia' non è in rapporto di
filiazione con PLUVIA, dal quale ci saremmo aspettati un *piòbbia. 'Pioggia' presuppone un non attestato
latino *PLOJIA, forma che sarà stata popolare mentre PLUBIA è la forma del registro elevato. Prendiamo
ora un confronto tra alcune parole che rappresentano, nel loro tentativo di spiegare il loro mutamento
diacronico dal latino all'italiano, uno dei più spinosi problemi di fonologia diacronica dell'italiano. PATRE >
padre, MATRE > madre, PETRA > pietra, VITA > vita, CATENA > catena. Problema: a latino -tr l'italiano
risponde con [d(r)] o con [t(r)]. E ancora: CAPRA > capra, CAPUT > capo, PR latino dà in ita [p(r)] o [v(r)].
Inoltre: FOCU > fuoco, LOCU > luogo, ACRU > agro, -C- seguito da -r o da voc nom palatale dà in ita
[k(r)] o [g(r)].

Possiamo aiutarci con la morfologia flessiva: alcune desinenze verbali dell'italiano sono caratterizzate dalla
presenza di un [-t-] intervocalica, che continua l’articolazione del latino: es. participio passato -ATU > -ato,
ITU > -ito, UTU > -uto, oppure pres indicativo - ATIS > -ate, ETIS > -ete, ITIS > -ite.
Da ciò deduciamo che, se all'interno dei morfemi a lat. -t- corrisponde invariabilmente italiano -t-, la
prosecuzione italiana delle occlusive sorde intervocaliche del latino è l'esito sordo; quello sonoro andrà
spiegato in altro modo.

I morfemi flessivi (grammaticali) passano con estrema difficoltà da una lingua A a una lingua B
perché: da una parte, il parlante la lingua B, che ignori la lingua A, non sarà in grado di riconoscere (e quindi
segmentare ed eventualmente prenderli in prestito) i morfemi flessivi della lingua A. Dall’altra, se un
morfema si giustifica come morfema dotato d’un certo significato in quanto si oppone a tutti gli altri
morfemi della lingua a cui appartiene, ne consegue che prendere un dato morfema proprio della lingua A e
trasportarlo così com’è nella lingua B equivale a prendere un dato ingranaggio dal motore di un’auto per
utilizzarlo nel motore di un aereo, o viceversa. Se due o più lingue hanno un certo numero di morfemi
flessivi in comune, vuol dire in preferenza che i morfemi flessivi condivisi costituiscono l’eredità di un
antenato linguistico comune.

STRATIFICAZIONE DEL LESSICO


Nella costituzione del lessico (ci riferiamo virtualmente a ogni lingua) possiamo individuare sostanzialmente
4 strati:
1) strato ereditario;
2) strato dei prestiti;
3) strato delle formazioni onomatopeiche e fonosimboliche;
4) strato di neoformazioni, quelle derivate per mezzo di regole sincronicamente produttive

Lo strato ereditario è quella percentuale di lessico che ogni lingua riceve dal suo immediato antecedente
(lingua-madre). Sappiamo che esistono settori lessicali più stabili di altri: i numerali, la terminologia
parentale, i nomi delle parti del corpo. Non si possono scombussolare questi nomi senza ripercussioni su
tutto il loro gruppo. Se confrontiamo i numerali delle lingue romanze ci accorgiamo infatti delle loro
somiglianze. Prendiamo un altro esempio. latino = domus, sardo = domu, italiano= duomo.
Indipendentemente dalla percentuale cui può arrivare, lo strato ereditario svolge il ruolo di fornire la
morfologia flessiva (cioè le "marche grammaticali") a tutto il lessico (prestiti, onomatopee, neoformazioni).

Le corrispondenze fonetiche fra due lingue A e B si dicono sistematiche quando ad ogni X della lingua A,
nella lingua B può corrispondere X o Y o Z, ma in modo tale che la corrispondenza sia riconducibile a regole
tali da non entrare reciprocamente in concorrenza.

Strato dei prestiti è quello costituito dalle voci che una data lingua assume dalle lingue con le quali è a più
contatto. Il maggior numero di prestiti si ha quando due lingue vengono a trovarsi in contatto e una delle due
è dotata di un prestigio superiore all'altra: la lingua di minor prestigio si apre a prestiti dalla lingua più
prestigiosa, non soltanto per necessità ma per un intento "mimetico", ossia dal desiderio di partecipare al
prestigio sociale (si pensi ai tecnicismi angloamericani come b&b).
I prestiti possono avvenire a vari livelli: se il contatto è fortemente squilibrato e il flusso di prestiti è a senso
unico, si creano le condizioni in cui lo strato ereditario non riesce più a imporre la sua morfologia alle voci di
prestito: poniamo una lingua B che riversi in una lingua A, le voci di prestito diverranno sempre più
numerose, rifiuteranno di adeguarsi alla morfologia di A e si costituiranno anche al resto del lessico di A. La
lingua A finirà per diventare una variante della lingua B quando i prestiti da B ad A si porteranno dietro
le regole morfologiche proprie di B e tenderanno a imporle anche alle voci di A.
Ma il cambio di lingua può seguire altre strade ancora: quella più frequente è la decisione dei genitori di
non trasmettere ai figli una data lingua perché considerata inutile o addirittura dannosa: ciò avviene
quando ad una lingua si affianca via via un'altra di maggior prestigio, i parlanti divengono bilingui e infine i
genitori decidono di trasmettere ai figli solo la lingua più prestigiosa. È così che il latino è riuscito a
soppiantare l'Etrusco ed è così che l'Italiano sta soppiantando i vari dialetti.
Una lingua che ha rischiato di divenire un'altra lingua è il maltese, dal 1964 lingua ufficiale di Malta. Questa
è l'unica varietà di arabo ancora parlata in Europa e l’unica che utilizzi l'alfabeto latino. L'attuale maltese
conserva nel grosso il suo carattere di lingua semitica, ma il lessico è in grossa misura italiano-siciliano.
Parliamo poi della funzione di serbatoio lessicale che greco e latino hanno svolto per secoli nelle lingue
europee occidentali per incrementare il loro lessico col progredire delle arti, delle scienze, ecc.

Calco linguistico: processo per cui una voce di una lingua "x" viene scomposta nei suoi elementi costitutivi
e "tradotta" pezzo per pezzo in una lingua "y" ricevente: Hinter (dietro/retro) + land (terra) > retroterra (tutto
il territorio che fa capo a un porto).

Calco semantico: una voce di una lingua "y" già esistente e dotata di un suo significato assume un secondo
significato, perché condizionata dalla voce corrispondente di una lingua "x" (che ha di per sé entrambi i
significati): realizzare fino ai primi del 1900 significava 'rendere tale, effettuare', poi acquista anche il
significato di 'capire, rendersi conto', per imitazione dall'inglese 'to realize'.

Calco formale: è il già citato esempio di 'Hinterland' oppure anche pellerossa, tradotto dall'inglese 'redskin'.
Si faccia attenzione: i calchi semantici non aumentano il numero delle unità lessicali della lingua che effettua
il calco, ma aumentano la gamma dei significati di forme già esistenti. I calchi formali invece "combinano"
forme lessicali nuove portatrici di nuovi significati (pellerossa: indigeno dell'America del nord).
Lo strato onomatopeico e fonosimbolico comprendono quelle formazioni che nella loro successione
fonetica tentano di riprodurre suoni e rumori, oppure cercano di suggerire in qualche modo l'idea di quello
che si vuole indicare (come il fonosimbolo "zigzag"). Nella parola "sbam" c'è un legame stretto tra il
significato a cui si vuole rimandare ('rumore forte e improvviso') e il significante (/s/ + /b/ + /a/ + /m/) che
veicola il significato detto riproducendo l'effetto acustico del rumore.
Le formazioni onomatopeico-fonosimboliche possono presentarsi sia come puri ideofoni (bum: esplosione,
din don: rintocco di campana), sia come vere e proprie parole (ticchettare, ticchettio). Ricordiamo che
l'evoluzione fonetica può oscurare precedenti formazioni onomatopeiche (pipio, pipionis: uccellino che
pigola - piccione: colombo), e rimotivare su base onomatopeico-fonosimbolica elementi di tutt'altra origine
(toscano "succiare" > "succhiare" favorito dalla rappresentazione onomatopeica dell'atto del succhiare).
Nel caso di “bau” e “abbaiare”, se ne vanno ciascuno per conto suo e, nello specifico, “abbaiare” è indizio
di un’onomatopea “bai” (per indicare il verso del cane) oggi non più utilizzata.

Strato delle neoformazioni: riguarda regole sincronicamente produttive, che si applicano a voci
provenienti da tutti e tre gli strati, che in un dato momento cronologico il parlante di una qualunque lingua
riconosce come regole e usa normalmente. Così se ci riferiamo all'italiano del III millennio sono regole
sincronicamente produttive:
a) la formazione del femminile a mezzo del suffisso -èssa: principe > principessa, poeta > poetessa;
(regola che si è sviluppata nel periodo tardo-latino e da allora è rimasto sino ai giorni nostri).
b) la formazione del femminile a mezzo dell'uso ambigenere del maschile: presidente m. >
presidente f.; vigile m. > vigile f. (regola estranea all'italiano sino alla fine del '900).
c) formazione del femminile a mezzo del suffisso -ina: gallo > gallina; re > regina;

Lessema (in opposizione a morfema) è l’unità più piccola che veicola il significato lessicale, es. cant-are,
cant-icchiare, cant-o, cant-ante ecc. Anche se in certi casi può esserci coincidenza tra parola e lessema (es.
città, virtù o re, non ulteriormente scomponibili), in una lingua come l’italiano la parola nella sua forma
“normale” è costituita da un lessema che viene “completato” da informazioni morfologiche. Così, “cantare”
è scomponibile in “cant” (lessema) più “are” (morfema di infinito).

2 – IL MUTAMENTO

Noi non disponiamo di nessun esempio di lingua che sia rimasta isolata totalmente e possiamo affermare che
tutte le lingue cambiano. Il cambiamento che si percepisce meglio è quello a livello fonetico/fonologico.

Foni e fonemi

Livello fonetico: riguarda la produzione concreta dei nomi o foni, vale a dire, in che modo i suoni vengono
articolati, in quale punto dell'apparato fonatorio, con l'intervento di quali organi articolatori (labbra, denti,
ecc...).

Livello fonologico o fonematico: riguarda quei foni che ciascuna lingua si sceglie per farne i "mattoni" con
cui costruire le sequenze dei significati, cioè le sequenze foniche in grado di veicolare i significati: it mare,
sequenza fonica costituita dagli elementi > /m/+/a/+/r/+/e/: distesa di acqua salata, ecc... Con termine più
tecnico, quelli che abbiamo chiamato "mattoni" si dicono fonemi.
I foni sono segnati convenzionalmente tra parentesi graffe e si collocano al livello della concretezza
articolatoria. I fonemi segnati tra sbarre oblique si collocano invece a livello soprattutto mentale: sono gli
elementi che un parlante di una data lingua sa di dover utilizzare se, in quella lingua, vuole costruire un certo
significante (stringa fonica). Così per costituire la stringa fonica che veicoli la nozione di “distesa di acqua
salata…”, il parlante italiano "sa" che in prima posizione deve mettere una /m/, ecc...

Fonema: l'unità fonica più piccola, che pur non avendo di per sé un significato permette di distinguere tra
significati diversi.
Coppie minime: coppie di parole che si distinguono perché differiscono in un unico punto di una sequenza.
Differenziandosi in un solo punto della catena di elementi fonici che le compongono, risultano due parole
semanticamente diverse. Es. mare, care; pazzo, pizzo; cupo, cubo; giusto, fusto; fusto, gusto; giusto, gusto;
Varianti contestuali (o combinatorie o allofoni contestuali o combinatori): diversi modi, determinati dal
contesto, di realizzare uno stesso fonema. Es. [n] si realizza con nasale dentale come in [vino]; nasale velare
[ŋ] quando è condizionato dall'articolazione consonantica velare che viene dopo, come in [vinco].
Quando le varianti di fonema (combinatorie) sono determinate dal contesto si dice che presentano
distribuzione complementare.
Se gli allofoni che si riscontrano più frequentemente sono quelli contestuali, non mancano neppure i
cosiddetti allofoni liberi (o varianti libere), ossia indipendenti dal contesto. Come per esempio la [R] uvulare
francese.

ESERCIZIO: i fonemi sono le unità minime distintive, non significative; e allora, come si potrà spiegare che,
in italiano, ad es. /E/ vuol dire “è”, /a/ vuol dire “ha”, ecc? RISPOSTA: negli esempi citati, le parole
vengono del tutto casualmente a essere costituite da un singolo fonema. Ciò non significa che in italiano il
fonema /E/ abbia di per sé il significato “egli è”, o che il fonema /a/ abbia di per sé il significato di “egli ha”.
Ciò significa semplicemente che per dire “3 singolare del presente indicativo del verbo essere” si utilizza il
solo fonema /E/.

ESERCIZIO 2: in spagnolo, nessuna parola può cominciare per sC-, cioè per s- seguita da consonante.
Qualunque voce etimologicamente caratterizzata da una sequenza sC- iniziale presenta obbligatoriamente
un’iniziale e-. Es. escribir (lat. SCRIBERE), espejo (SPECULU), estar (STARE), estrecho (STRICTUM),
ecc. Questa e- che compare davanti alla sequenza etimologica sC- a inizio di parola non può avere alcun
valore fonologico, ma deve intendersi come facente parte della *s- iniziale anteconsonantica che viene subito
dopo. In altre parole, in spagnolo il fonema /s/ ha almeno due realizzazioni diverse: una [s] in qualunque
posizione eccetto quella a inizio di parola e seguita da consonante; e una, [es], limitata alla posizione iniziale
di parola seguita da consonante.

Tipologia dei mutamenti fonetici

Possiamo distinguere tra mutamenti che riguardano il piano fonetico e mutamenti che riguardano il piano
fonologico. Mutamenti fonetici e fonologici sono mutamenti considerati sul piano della mera esecuzione, a
prescindere dal fatto che possano avere o no conseguenze sul piano funzionale.

Mutamenti a livello fonologico: rilevanti per quel che attiene al sistema di opposizioni secondo cui, in ogni
lingua, si organizzano le unità distintive minime.

Mutamenti a livello fonetico: sfuggono alla consapevolezza del parlante

L'assimilazione prevede che due elementi fonici contigui si avvicinino dal punto di vista articolatorio o in
parte (assimilazione parziale) o completamente (assimilazione totale).
Es. rispetto al latino CREPARE, nello spagnolo QUEBRAR riscontriamo la sonorizzazione e
fricativizzazione di -P- che passa a -B-. fenomeno di assimilazione perché una consonante occlusiva e sorda
come -P-, passa a fricativa e sonora poiché si viene a trovare fra due vocali. Abbiamo anche la metatesi di R
dalla prima nella seconda sillaba.
La metafonia è un fenomeno fonologico assimilatorio a distanza che riguarda solo una parte dei dialetti
italiani. Consiste nella modificazione del suono di una parola per l’influenza della vocale finale sulla vocale
tonica, in un processo di assimilazione.

La dissimulazione prevede che due elementi contigui e articolatoriamente uguali si diversifichino in misura
maggiore o minore. La gamma dei fenomeni assimilatori è vastissima:
 assimilazione regressiva: il secondo elemento condiziona il primo: lat factu > ita fatto
 assimilazione progressiva: il primo elemento che condiziona il secondo: lat mundu > nap múnn
 assimilazione bidirezionale: lat amicu> spa amigo per azione congiunta di due vocali, quella prima
e quella dopo l'elemento modificato

Sono molti i fenomeni dissimulatori: lat peregrinus > pellegrino > fr. pèlerin ([r-r] > [l-r].

Fenomeni opposti sono:


 Inserzione: aggiunta di materiale fonico etimologicamente ingiustificato. Lat caule> it. ca[v]olo; lat
schola> sp escuela. Rappresentano due diversi casi di inserzione l'elemento consonantico [p] che in
latino si sviluppa tra m e, rispettivamente, s, t, l: sumo: io prendo; sumpsi: io presi; sumptus: preso; e
dall'altra l'elemento [g]: lat pono > it io pongo.
 Cancellazione: sottrazione di materiale fonico che dovrebbe essere presente. Lat calido > ita caldo.
Lat saeculu > sp. siglo.

Il gioco combinato delle cancellazioni e delle inserzioni è responsabile del latino marmore > marmo.
Analogo ciò che accade nel nome dell'isola di Ischia, risalente al latino insula e perciò essa era 'l'isola per
eccellenza': lat insula >*isula (cancellazione di [n] nel gruppo [ns] come in mense > mese) > isla
cancellazione della vocale postonica di parola accentata in terzultima sillaba > iscla (inserzione
dell'occlusiva velare nel gruppo [s] + [l] > Ischia.

La metatesi consiste nello spostamento di materiale fonico in un punto della catena diverso da quello in cui
dovrebbe trovarsi in base all'etimologia. Come l'it. dial. c[r]apa (capra) usato in italiano con sfumatura
gergale per indicare persona di scarso comprendonio, rispetto al punto di partenza latino capra.

Per coalescenza si intende la fusione di due elementi fonici contigui in un terzo elemento, diverso dai primi
ma che di solito presenta caratteristiche di ciascuno degli elementi di partenza. Es it vi[ňň]a: vigna, il fono
nasale palatale risulta dalla fusione della nasale dentale [n] con legamento palatale [j] presente nel latino
"parlato" *vinja per il classico vinea.
Es. in sardo pi[sc]e “pesce” si realizza come pi[çç]e. due elementi diversi “s” e “c” si fondono in “çç”,
fricativa mediopalatale sorda.

La scissione è il fenomeno opposto alla coalescenza per cui un elemento fonico si scinde in due elementi
distinti. Un esempio è la dittongazione italiana: [ε] e [ͻ] se sotto accento e in sillaba aperta, diventano
rispettivamente [jε] e [wͻ]: lat. leve > lieve. lat bonu > buono.

Frequente è la scissione come mezzo col quale la lingua ricevente adatta suoni, che le sono estranei, di
un'altra lingua. Es: la [y] francese, vocale alta, anteriore arrotondata assente in it., in questa lingua viene
scissa nelle sue due componenti (vocale alta anteriore (i) e vocale alta arrotondata (u) e vengono articolate
non simultaneamente ma in successione: men['ju] > men[y] in fr.

L’armonia vocalica del turco è il fenomeno per cui la vocale del suffisso “si armonizza” all’unica vocale, o
alla vocale finale, della parola.

ESERCIZIO: premesso che, in italiano, una [j] può derivare da una L postconsonantica del latino (lat. PLUS
> it. p[j]ù); nel passaggio da lat. FÁBULA all’it. f[j]aba, quali sono i mutamenti fonetici intercorsi?
RISPOSTA: lat. FÁBULA > (per cancellazione della vocale postonica) *FABLA > (per metatesi) *FLABA
> it. f[j]aba

Analogia, etimologia popolare, tabù linguistico

Esistono mutamenti che non sono spiegabili in termini meramente fonotattici (cioè in conseguenza delle
particolari combinazioni in cui si vengono a trovare i vari elementi all'interno della stringa fonetica) ma
presuppongono condizionamenti di altra natura.

Paretimologia: o etimologia popolare, consiste nella modificazione fonetica d'un certo significante per
effetto di un altro significante, al quale il parlante associa il primo dei due significati. Processo per cui il
parlante linguisticamente incolto avvicina una parola per lui “nuova” a una parola con cui ha maggiore
familiarità.
Es: l'it. vedetta: luogo elevato dal quale si può vigilare; chi sorveglia essendo alla vedetta. Questa parola
verrebbe istintivo collegare al verbo "vedere" ma essa in realtà nasce dalla modificazione dell'antica parola
"veletta": 'vela più piccola dell'albero di maestra', alla cui altezza si issava, per vigilare, il marinaio durante il
suo turno di guardia. Poiché in ambito non marinaresco, l'espressione essere alla / di veletta risultava poco
perspicua, il parlante di "terra" ha pensato di correggere 'veletta' in un chiaro 'vedetta' più comprensibile ai
parlanti comuni. Ad essere coinvolti nella paretimologia sono in prima istanza quei significati coi quali il
parlante medio ha scarsa, se non nulla, dimestichezza sia perché sono prestiti da altre lingue o perché sono
usciti dall'uso normale o provengono da settori specialistici.

Interdizione o tabù linguistico: processo per cui i significanti ben noti al parlante vengono distorti o alterati
consapevolmente perché per un qualche motivo il parlante non vuole articolarli in maniera corretta:
pensiamo all'it. accidémboli, acciderba, accipicchia; sono tutte esclamazioni possibili in situazioni anche di
una certa formalità, mentre non lo è più il più crudo 'accidenti', di cui le altre sono chiare deformazioni.
Si assiste o alla modificazione della parola anche in piccole parti, oppure la voce non viene direttamente
pronunciata e rimpiazzata da un sostituto "inoffensivo", ovvero un eufemismo. È quindi il processo secondo
cui, per motivi di volta in volta diversi, una sequenza significante viene modificata volontariamente . Per es la
parola orso in tedesco è Bär, ing. bear, che significa 'il grigio', dal colore della pelle dell'animale; nelle lingue
slave, per orso, si usa una parola che vale come 'mangiatore di miele'. Nel greco cristiano per indicare il
diavolo si è adottata una forma 'diàbolos' che vuol dire 'mentitore', 'calunniatore'. Così in medicina la parola
'neoplasia' (nuova formazione) è meno conturbante (turbante) di 'tumore' o 'cancro'.

Tipologia dei mutamenti fonologici

Fonologizzazione: si ha quando realizzazioni diverse del medesimo fonema, condizionate dal contesto, si
svincolano dal condizionamento testuale e diventano fonemi distinti. Un es. è offerto dal sanscrito in cui la
labiovelare sorda [*kw] (come in 'cinque': cin[kw]e), si sviluppava in una velare semplice, che restava tale
davanti a vocale non palatale, ma si palatalizzava secondariamente davanti a vocale palatale: i.e. *kwos 'chi'
> sscr. *kos. A un certo punto della storia del sanscrito però, tutte le *e tutte le *o ereditate dall' i. e. sono
divenute 'a': sscr. *kos si presenta ora come 'kas'. La scelta tra [k] e [č] non è rapportabile al contesto. Ciò
che fa la differenza semantica, e si configura come fonologico, è la contrapposizione tra la [k] e la [č] per
esempio di 'karati' e 'čarati', ormai non più varianti contestuali di 'k', ma fonemi autonomi /k/, /č/.

Defonologizzazione: antitetico rispetto al primo, si ha quando due o più fonemi diversi finiscono col disporsi
in un rapporto di complementarità contestuale e divengono varianti combinatorie d'uno stesso fonema (è il
contesto fonico a stabilire quando compare un elemento e quando invece l'altro). Es. in latino le vocali breve
e lunga funzionavano come fonemi: l'opposizione di lunghezza vocalica aveva valore fonologico sia in
sillaba aperta: - lĕvĭs: lieve, leggero; -lēvĭs: lisciato, levigato, che in sillaba chiusa: - ŏs: osso; ōs: bocca.
In italiano al contrario, la vocale si presenta lunga solo se: - è accentata; - è in sillaba aperta; - è in penultima
sillaba. Inc['i:]so; c['a:]ro; l['u:]na. In tutti gli altri casi, la vocale, si presenta obbligatoriamente breve.
Dunque, in italiano:
a) l'opposizione di lunghezza vocalica dipende strettamente dal contesto;
b) in quanto dipendente dal contesto, tale opposizione non può avere valore fonologico. In confronto al
latino, l'italiano mostra una defonologizzazione: se in latino qualsiasi vocale breve poteva opporsi
fonologicamente alla corrispettiva lunga senza alcun riguardo al contesto, in italiano abbiamo un solo
fonema, che si realizza come lungo o breve a seconda del contesto.

Rifonologizzazione: (o transfonologizzazione): caso in cui non c'è né incremento né riduzione del numero
dei fonemi, ma cambia la sostanza fonica con cui i fonemi sono realizzati. Ne è un esempio la "legge di
Grimm" che descrive i mutamenti subiti dalle occlusive, i.e. nel passaggio dal germanico comune e di
conseguenza alle lingue germaniche.
Indoeuropeo germanico *p, *t, *k > f, þ, h (occlusive sorde > fricative sorde)
*b, *d, *g > p, t, k (occlusive sonore > occlusive sorde)
*bh, *dh, *gh > b, d, g (occlusive sonore aspirate > occlusive sonore non aspirate)
La sostanza fonica è cambiata, ma il numero di fonemi, in partenza e in arrivo, è rimasto invariato.

Diversa visibilità dei mutamenti

Oggi sappiamo che il mutamento fonetico non è né ineccepibile (senza eccezioni, nel senso che in una data
lingua, se x passa a y allora virtualmente ogni x deve fare la stessa cosa), né istantaneo (nel momento in cui
la lingua si rivolge al passaggio da x a y virtualmente ogni x di quella lingua può considerarsi divenuto y in
quel momento). Il mutamento può sorgere in un punto qualunque della lingua e di qui diffondersi
progressivamente nel resto del sistema, di solito generalizzandosi (arrivando a coinvolgere ogni punto
suscettibile d'essere coinvolto), ma a volte interrompendo la sua espansione e dunque mancando di
raggiungere la totalità dei casi.

Un es di mutamento bloccato e parzialmente regredito è la sonorizzazione toscana e italiana delle occlusive


sorde poste tra vocali: ripa > riva; lito > lido; aco > ago, innescata dall'imitazione dei più prestigiosi (un
tempo) modelli fonetici settentrionali, provenzali e francesi.
Questa regola di sonorizzazione, poco per volta, si è estesa anche a voci contenenti un'occlusiva sorda in
posizione intervocalica ma prive di modelli ispiratori settentrionali.
La regola tuttavia non è riuscita a generalizzarsi: Latino > Italiano
-P- Caput > capo; capitium > cavezza
-T- Laetu > lieto; scutu > scudo
-C- Amicum > amico; Lacu > lago

Vediamo un esempio: la *j i.e. in posizione iniziale di parola ha avuto un doppio esito: uno preponderante in
[h], e un esito minoritario in [dz]. I due esiti sono antitetici, il primo è un caso di azzeramento, l'altro di
rafforzamento.

3 – CORRISPONDENZE FONOLOGICHE TRA LE LINGUE EUROPEE

Per conoscere una lingua nulla può sostituire il contatto diretto coi parlanti o coi documenti linguistici
superstiti; perché di una lingua di cui non abbiamo documentazione, la ricostruzione di essa tramite lo studio
delle sole lingue-figlie non ci restituisce la lingua nella sua interezza e ci mostrerà solo quegli elementi che e
lingue-figlie hanno ereditato, tralasciando quelli che non hanno ereditato.
Latino – lingue romanze: se per qualche motivo non conoscessimo il latino e andassimo a cercare di
ricostruire il verbo latino per “parlare” analizzando come esso risulta nelle lingue-figlie (“parlare”, “parler”,
“hablar” e “falar”) si ipotizzerebbe una forma latina “*parlare” o “*faulare” e non si arriverebbe mai al vero
verbo latino “loqui” perché non si è trasmesso in nessuna delle lingue figlie.

Un esempio di corrispondenze nella ricostruzione sono i numerali:


 3: in latino “tria”, in greco “tria”, in sanscrito “tri”, in gotico “brija”
 6: in latino “sex”, in greco “heks”, in sanscrito “sas”, in gotico “sehs”
 8: in latino “octo”, in greco “okto”, in sanscrito “astau”, in gotico “ahtau”
 100: in latino “centum”, in greco “ekaton”, in sanscrito “satàm”, in gotico “hund”

Corrispondenze:
LATINO a/e/o, GRECO a/e/o, SANSCRITO a, GOTICO, e/o
LATINO k, GRECO k, SANSCRITO s, GOTICO x (=h)
LATINO t, GRECO t, SANSCRITO t, GOTICO b
LATINO p, GRECO p, SANSCRITO p, GOTICO f

*Il gotico è utilizzato in rappresentanza delle lingue germaniche perché fra queste è la lingua di attestazione
di gran lunga più antica (IV sec d.C.)

Se in sanscrito abbiamo sempre “a”, in latino e greco talvolta troviamo “a” talvolta “e, o”; la situazione
originaria è quella rappresentata dal latino e greco; il sanscrito ha subito un mutamento che ha portato
“a, e, o” > “a”. Se prendiamo in considerazione la “k” greca e latina, vediamo che in gotico essa è sostituita
con “x” (velare fricativa), mentre in sanscrito troviamo una sibilante che può essere palatale o retroflessa
(nella pronuncia la punta della lingua [corona] si rovescia contro il palato duro).

Cosa succede se abbiamo elementi diversi? Qual era quello dell’indoeuropeo?


LATINO septem, SANSCRITO saptà, GOTICO sibun, GRECO hepta
LATINO sex, SANSCRITO sas, GOTICO sehs, GRECO heks
Latino, sanscrito, gotico  S, greco  H
Come vediamo, laddove le altre tre lingue presentano “s”, in greco abbiamo “h”; questa corrispondenza si
ritrova in altre voci come “sale” (“hals” [grec], “sal” [lat] e “salt” [got]) o “mezzo” (“hemi” [grec], “semi”
[lat] e “sami” [sansc]). Ci viene da chiederci, allora, quale delle due sia la variante presente in indoeuropeo;
la domanda da farsi in queste situazioni è: nelle lingue che conosciamo è più probabile trovare “s” o “h”? La
risposta in questo caso è “s”, per cui è maggiormente probabile che nell’indoeuropeo si avesse “s”.

Lingue "centum" e lingue "satem"

Le lingue indoeuropee sono divise in due blocchi:


- Lingue centum: chiamate così perché in latino “centum” si pronuncia con la velare [k]; lingue
caratterizzate da articolazioni velari. [K] o [x] (= “h”) entrambe velari.
- Lingue satem: alle articolazioni velari delle lingue centum corrispondono articolazioni anteriorizzate
(affricate palatali) o nettamente anteriori (sibilanti, interdentali). [S]
Dal punto di vista geografico la scissione è lineare: le lingue centum si trovano ad ovest (lingue germaniche,
celtiche, italiche, greco e latino), quelle satem si trovano ad est, tra Europa occidentale e Asia (lingue
baltiche, slave, indoiraniche, albanese e rumeno).
All’inizio si riteneva che questa bipartizione fosse già presente nell’indoeuropeo, poi nel ‘900 sono stati
trovati in Cina testi in due lingue sconosciute, chiamate “tocario a” e “tocario b”, che appartengono al ramo
delle lingue centum:

8: TOCARIO A “okat”, TOCARIO B “okt”, CENTUM “k/x”, SATEM “s”


100: TOCARIO A “kant”, TOCARIO B “kante”, CENTUM “k/x”, SATEM “s”

Ciò fa arrivare alla conclusione che inizialmente le lingue fossero tutte lingue centum e che, ad un certo
punto, le lingue indoeuropee centro-orientali abbiano anteriorizzato in vario modo le occlusive velari, da
lingue centum divenendo lingue satem. Quest’innovazione però non si è estesa anche alle lingue dell’estremo
oriente e dell’occidente.

Velari "palatalizzate" e velari "pure"

Abbiamo detto che le velari delle lingue centum corrispondono alle sibilanti delle lingue satem, allora perché
ci sono casi in cui si hanno velari sia in lingue centum che in lingue satem?

LINGUE CENTUM: latino “cruor”, greco “krévas”, gotico “hro”


LINGUE SATEM: lituano “kraujas”, russo “krov”, sanscrito “kravis”

Si è ipotizzato che l’indoeuropeo avesse in realtà due tipi di velari:


- velari palatalizzate, che si sono conservate nelle lingue centum e anteriorizzate nelle lingue satem;
- velari pure, che si sono conservate sia nelle lingue centum che in quelle satem;

Le labiovelari (“qu” e “gu”)

Sono articolazioni consonantiche complesse. Chiusura completa dell’apparato fonatorio da parte della lingua
che va a schiacciarsi sul velo palatino, il tutto arricciando le labbra. È l’unione dell’ occlusiva velare [k, g]
con l’appendice semivocalica [w].
[kw] = “qu” cinque
[gw] = “gu” lingua

Le labiovelari sono state attribuite alle lingue indoeuropee sia perché sono presenti in alcune lingue
indoeuropee antiche, sia perché, laddove si sono semplificate, sono diventate o velari o labiali e ciò è
possibile solo se alla base abbiamo un elemento fonico formato da una velare e una labiale. Ritroviamo le
labiovelari in latino, ma anche in ittita, in greco miceno e nelle fasi più antiche delle lingue celtiche; esistono
anche nelle lingue germaniche ma sono scisse nei suoi elementi (velare – labiale)

[kw] (lat) = [kw], [k]: [kw] latina tende a conservarsi, ma ci sono casi in cui si riduce a [k]: - se seguito da
un’altra consonante (linquo > lictus); - per dissimilazione davanti a [j] (socius < * sokwjos).
[gw] (lat) = [gw], [gwh]: [gw] tende a conservarsi se preceduta da nasale (inguen) altrimenti di semplifica in
[w] (u, v = venio < gwenjo).
[gwh] (labiovelare sonora aspirata) si ritrova nei suoi esiti:
- [f] a inizio parola (formus < *gwhormus);
- [w] intervocalica all’interno di parola (nivem < *nigwhem);
- [gw] all’interno di parola, dopo nasale (pingui <*ningwhjt).
In latino gli esiti della labiovelare sonora e della labiovelare sonora aspirata coincidono all’interno di parola,
ma sono diversi ad inizio parola: la sonora di semplifica in [w], mentre la sonora aspirata si semplifica in [f].

Gli esiti delle labiovelari

Ad eccezione del greco, le labiovelari nell’indoeuropeo si sono semplificate o come elemento velare o come
elemento labiale.
- Labiovelare > velare (lingue baltiche, slave, armene, indoiraniche); la velare ottenuta coincide con gli esiti
della velare pura. Panca (sans) < *pence < *penke < *penkwe
-Labiovelare > labiale (lingue P del celtico = gallico)
Petorritum (carro a 4 ruote) < petor; petor < quattuor kw > P
Si aveva l’elemento labiale anche nelle lingue italiche. Essendo, poi, il latino e le lingue italiche in stretto
contatto, si sono influenzate a vicenda. (osco > lat) pis > quis, bius > vivi

- Greco: per quanto riguarda il greco va fatta una distinzione tra:


* greco miceneo (1500 – 1200 a.c.): definito anche greco del II millennio, scritto nell’alfabeto chiamato
“lineare b”. Nel greco miceneo le labiovelari risultano conservate:
qasireus (= basileus) < gwasileus
Va sottolineato che la grafia del greco miceneo non distingueva tra sorde e sonore per cui “l” o “r” diventava
“r”.
La labiovelare, però, perde la sua appendice [w] e si semplifica in velare, se nelle vicinanze c’è una “u”:
quokoro (boukolos) < gwoukolos.

* greco (VIII sec a.c – oggi): scritto nell’alfabeto tradizionale. La labiovelare ha 3 esiti:
a) esito labiale davanti a “a, o”;
b) esito dentale davanti a “e, i”;
c) esito velare nelle vicinanze di “u”.

Sviluppi dialettali divergenti: bisogna tenere di conto che il greco antico corrispondeva ad un’enorme
varietà di dialetti differenti fra loro. I dialetti eolici, ad esempio, risolvevano le labiovelari, ereditare
dall’indoeuropeo, sempre in labiali: si aveva “pempe” al posto di “pente”.

L'interazione tra velari palatalizzate, pure, e labiovelari.

Nella ricostruzione dell'indoeuropeo si è solito attribuire:


- le occlusive labiali (sorda, sonora, sonora aspirata);
- le occlusive dentali (sorda, sonora, sonora aspirata);
- le occlusive velari "palatalizzate" (sorda, sonora, sonora aspirata);
- le occlusive velari "pure" (sorda, sonora, sonora aspirata);
- le occlusive labiovelari (sorda, sonora, sonora aspirata).

Qui ci limitiamo alla serie delle occlusive sorde: *p *t *k’ *k *k dove k’ indica la velare palatalizzata e k la
velare pura.
Possiamo notare che vi sono tre articolazioni nella zona posteriore dell'apparato fonatorio contro due nella
zona anteriore. Nelle lingue satem le labiovelari compaiono di solito delabializzate (prive dell’elemento
labiale) e si comportano come le velari pure; nelle lingue centum le labiovelari arrivano di solito fino a epoca
storica e quando si modificano non coincidono con le velari pure.
Supponiamo infatti che l’indoeuropeo abbia avuto solo le velari e le labiovelari. Queste ultime, essendo
molto complesse, tendono alla semplificazione, come abbiamo visto in parecchie lingue (anche se non è
detto che ciò avvenga sempre).

A queste condizioni è possibile supporre che:


- in un periodo abbastanza antico, certe lingue indoeuropee abbiano manifestato la tendenza a ridurre le
labiovelari a semplici velari;
- nello stesso momento, secondo un tipico esempio di mutamento a catena, il passaggio delle labiovelari a
semplici velari abbia spinto le "vecchie" velari (quelle ereditarie) a mutare luogo di articolazione e ad
anteriorizzarsi.

labiovelari > velari semplici


("nuove" velari)

velari originarie
("vecchie" velari) > articolazioni anteriori o anteriorizzate

Questo sarebbe avvenuto nelle lingue satem.

Viceversa, nelle lingue centum le labiovelari si sono conservate assai più a lungo, evitando alle velari
originarie di doversi spostare. E anche quando più avanti si sono semplificate, non hanno seguito l'esito delle
lingue satem, ma si sono labializzate, passando ad articolazioni dentali o labiali, scindendosi nei due
elementi (labiale+velare).

E le velari che valgono come velari tanto nelle lingue centum che nelle satem? Nelle centum le velari danno
gli stessi esiti sia che derivino da velari supposte "palatalizzate", sia che derivino da velari supposte "pure".
Per le satem, possiamo immaginare un periodo di transizione durante il quale tutte o quasi le labiovelari si
erano già semplificate in (nuove) velari, ma nello stesso tempo non tutte le nuove velari (quelle originarie) si
erano modificate in consonanti anteriori: con la conseguenza che alcune velari originarie potevano trovarsi a
confluire con le nuove velari (cioè quelle ottenute per delabializzazione delle antiche labiovelari).

Quindi possiamo supporre due tipi di velari nell'indoeuropeo:


- nelle lingue centum, le labiovelari e le velari originarie sarebbero rimaste in linea di massima distinte
- nelle lingue satem, le labiovelari, semplificandosi in velari, avrebbero spinto le velari originarie ad
anteriorizzarsi per distinguersi dalle nuove velari
- sempre nelle lingue satem e nella fase del "cambio della casella" singole velari originarie potrebbero essere
state aggregate alle nuove velari seguendone la sorte.

labiovelari > "nuove velari"


"vecchie velari" > palatali/dentali

Di qui l'impressione finale di:


1) velari indoeuropee che, in proseguo del tempo, nelle lingue satem si sarebbero anteriorizzate (cioè le
velari palatalizzate della spiegazione tradizionale);
2) velari indoeuropee che, in proseguo del tempo, nelle lingue satem non si sarebbero anteriorizzate ma
sarebbero rimaste velari;
3) labiovelari: destinate a delabializzarsi, nelle lingue satem, in semplici velari.

Naturalmente vi sono le eccezioni per cui in una lingua satem abbiamo esiti centum e viceversa. Per le velari
abbiamo così l'alternativa che segue:
- ammettere che, in fase i.e. non solo esistessero velari pure e velari palatalizzate ma, anche, che le velari
pure potessero, in certi casi, alternare liberamente con le velari palatalizzate
- ammettere, per l'i.e. un solo tipo di velari che mantenutesi tali nelle lingue centum, nelle lingue satem si
sarebbero viceversa palatalizzate, ma non tutte indistintamente e neppure tutte allo stesso modo, sì
lasciandosi dietro una scia di casi sfuggiti al processo di anteriorizzazione.
Occlusive sorde, sonore e sonore aspirate

La ricostruzione tradizionale attribuisce all'indoeuropeo occlusive sorde, sonore e sonore aspirate. Il


sanscrito presenta tutte e tre le occlusive e anche la serie sorda aspirata. Le sorde aspirate non sono presenti
in abbastanza esiti di svariate lingue per poter dire che discendano dall'i.e.; esse potrebbero essere state
un'innovazione dell'indiano, così come altre lingue i.e. hanno eliminato, in vari modi, le occlusive sonore
aspirate.

Gli esiti delle occlusive sonore aspirate

Passando ora ai modi con cui le varie lingue i.e. si sono sbarazzate delle sonore aspirate, semplice e piuttosto
frequente è il sistema di de-aspirarle e farle confluire con le corrispettive sonore non aspirate.

La legge di Grassman

Se due aspirate ricorrono in sillabe contigue, per dissimulazione la prima delle 2 si deaspira (perde
l'aspirazione). In caso in cui l'elemento soggetto a deaspirazione sia semplicemente [h], la soppressione
dell'aspirazione non può che comportare la soppressione di [h]. Le occlusive sonore aspirate di gr. e sscr.
sono soggette a questa legge.
Il fenomeno si coglie soprattutto nelle forme verbali dette a raddoppiamento: composte con un prefisso
formato da una copia della consonante iniziale della radice, seguita da una vocale specifica (forme del
perfetto e del presente). Se la consonante iniziale della radice è una non aspirata, il raddoppiamento non pone
problemi. Se invece la consonante iniziale della radice è un’aspirata, allora nel raddoppiamento la sua copia
si manifesta come non-aspirata.

In assenza di forme a raddoppiamento, gli effetti della legge di Grassman sono meno evidenti in quanto, per
essere apprezzati, hanno bisogno del confronto interlinguistico.

La teoria delle consonanti glottali (o eiettive = detto di suono la cui articolazione è egressiva, ovvero
provoca uscita di aria). Venne avanzata dai linguisti sovietici Gamkrelidze e Ivanov (ma anche
dall'americano Hopper) negli anni 70 del '900. Osservando le lingue del mondo il sistema di occlusive
normalmente attribuito all'i.e. si configura come notevolmente raro, dal momento che avrebbe compreso le
serie sorda, sonora, e sonora aspirata, ma non la serie sorda aspirata. Sulla base di questo dato Gamkrelidze e
Ivanov si sono chiesti se il sistema tripartito abitualmente ammesso per l'i.e. non nasca invece dalla
trasformazione di un sistema diverso, meglio attestato nelle lingue del mondo.
La trafila proposta è la seguente:
• le occlusive sorde tradizionalmente attribuite all'i.e. continuerebbero delle occlusive sorde originarie;
• al contrario, le occlusive sonore tradizionalmente attribuite all'i.e. continuerebbero delle occlusive sorde
glottali, notate con un apice in alto a destra
• infine, le occlusive sonore aspirate tradizionalmente attribuite all'i.e. continuerebbero delle originali
occlusive sonore.

Quello che viene postulato pertanto da Gamkrelidze e Ivanov è un sistema originario del tipo:
- sorde semplici
- sorde eiettive (o glottidali, uguali alle sorde semplici ma contraddistinte in più dalla contrazione della
laringe)
- sonore semplici (uguali anch'esse alle sorde semplici ma in più la vibrazione delle corde vocali, che danno
la sonorità)

Tuttavia, la teoria di G e I non spiega come mai, tolti armeno e germ. tutte le altre lingue i.e. fanno evolvere
le supposte sorde glottidali non in sorde semplici come sarebbe più ovvio, ma in sonore.

Le sonanti

Esistono articolazioni intermedie che non sono classificabili né consonanti né vocali e sono dette legamenti,
essi sono:
• semivocale palatale j (come in italiano “jeri” ieri)
• semivocale velare w (come in italiano “womo” uomo)
• fricativa laringale [h] (come in inglese “to have”)
• occlusiva laringale [?] (maltese).

Parliamo ora di nasali (m e n) e liquide (l e r): esse hanno un'apertura dell'apparato fonatorio inferiore a
quella delle vocali, ma superiore a quella di tutte le altre consonanti; le nasali e le liquide possono trovarsi a
fungere da elemento più aperto della sillaba quando in essa non vi sono vocali vere e proprie. In quel caso le
nasali e liquide vengono dette sonanti e sono contraddistinte, in alfabeto scientifico, da un cerchietto
sottoscritto.
Ai fini della ricostruzione dell'ipotetico punto di partenza le possibilità sono:
1.un elemento originariamente solo vocalico, cui certe lingue avrebbero aggiunto un elemento nasale (ma ciò
non spiega quale fosse l'elemento vocalico di partenza, né perché alcune lingue dovrebbero sviluppare questo
elemento accessorio nasale);
2. una sequenza originaria vocale + nasale, che poi in alcune lingue, si sarebbe ridotta alla sola vocale (non
chiarisce perché in certe lingue la nasale sia sparita solo in certe sequenze di vocale + nasale e non in altre);
3. un elemento esclusivamente nasale, cui certe lingue avrebbero aggiunto una vocale, in alcune di esse
destinata a svilupparsi tanto da prendere il sopravvento sulla vocale (questa soluzione pone di fronte ad una
domanda: è giustificabile, e se sì, in quale modo che un elemento nasale sviluppi una vocale d'appoggio?).

Quindi potremmo ipotizzare che:


- l'i.e. abbia posseduto delle sonanti;
- dopo la frammentazione dell'unità dell'i.e., nelle varie lingue le sonanti abbiano preso a sviluppare delle
vocali d'appoggio, diverse da lingua a lingua o da gruppo a gruppo;
- in certe lingue o in certi casi, le vocali d'appoggio possano essersi sviluppate fino al punto d'assorbire le
sonanti che le avevano originate.

Il vocalismo dell'indoeuropeo

All'i.e. si attribuisce un sistema vocalico costituito dalle 5 vocali brevi e delle corrispettive lunghe. Gli
studiosi sono concordi nel ritenere la *i e la *u le realizzazioni vocaliche dei legamenti *j e *w; la *o si
pensa comparisse come partner di *e nelle alternanze innescate dal meccanismo apofonico, mentre la *a ha
solitamente un peso statistico molto basso. Inoltre, si pensa che la *e fosse la vocale che comparisse in
maggior misura in quanto nelle basi lessicali ricostruibili per l'i.e. essa è la vocale che compare con
frequenza maggiore. Il motivo del passaggio da [i] > [j] e di [u] > [w] è da cercare in una ottimizzazione
delle risorse fonatorie, poiché a fare da nucleo (elemento più aperto della sillaba) è di norma sufficiente un
solo elemento vocalico, e questo passaggio non fa che sottolineare la distanza articolatoria fra l'elemento
(vocalico) che costituisce il nucleo della sillaba e tutti gli altri elementi che appartengono alla medesima
sillaba, e che dunque, o sono consonantici, ovvero (è il caso di j e w) devono configurarsi come non vocalici.

Il meccanismo apofonico

Per apofonia intendiamo un complesso gioco di alternanze vocaliche, che possono coinvolgere tanto i
lessemi quanto i morfemi e nelle quali la vocale “e” può scambiarsi con la vocale “o” oppure con zero, così
originando l’apofonia qualitativa. Può scambiarsi con “e” lunga oppure con “o” lunga, originando l’apofonia
quantitativa.

È preferibile considerare il meccanismo apofonico come non condizionato, in linea di massa, dal contesto.
Alternanze vocaliche dipendenti dal contesto si trovano facilmente nelle lingue del mondo, alternanze come
quelle apofoniche, e svolgono ruolo morfologico o morfosemantico.
Il meccanismo apofonico che attribuiamo all'i.e., è plausibile fosse per lo più manifestazione di morfologia
non concatenativa. Ci viene difficile stabilire quale potesse essere il valore morfologico e più in generale la
funzione delle alternanze apofoniche a livello di i.e. Tuttavia, possiamo notare che una stessa radice lessicale
può ricorrere, in due o più lingue i.e., con uguale significato ma con vocalismo apofonico diverso: e così per
indicare 'ginocchio' lat. utilizza grado 'e': genuculum, mentre il greco parte dalla stessa base ma utilizza il
grado 'o': gony. In base a questi elementi potremmo dire che a livello i.e. la scelta delle alternanze
apofoniche doveva dipendere unicamente dalla libera iniziativa del parlante, che per dire 'ginocchio' poteva
optare per *gen o *gon. Solo dopo che le varietà dell'i.e. si erano create si optò per una selezione.

La teoria degli "švà", la teoria delle laringali

Sia ă che ĭ sono originarie ma derivino entrambe da una terza vocale, una vocale dalla quale si possa
giungere ad entrambi gli esiti, ed essa è col termine di origine ebraico lo š(e)và che è l'elemento vocalico che
può evolvere nei modi più disparati. Tuttavia, il greco a volte esibisce una ě e a volte una ŏ laddove il latino
e le altre lingue indoarie continua a presentare ă e il gruppo indoiranico presenta ĭ.
I dati del greco ci inducono a pensare che in i.e. esistessero ben tre vocali "sva", una tendente alla 'a', una alla
'e' e una alla 'o'. Tutte le altre lingue invece avrebbero confuso le tre vocali in un unico svà, a sua volta
continuatosi in ă in certe lingue (latino e lingue germaniche) e come in ĭ in altre (gruppo indoiranico).

4 – ESORDI E PRIMI SVILUPPI DELLA LINGUISTICA STORICA

Gli esordi della grammatica comparata


1786: nascita della linguistica storica. Sir William Jones tiene una conferenza sulle corrispondenze tra
latino-greco-sanscrito e avanza l’idea che queste tre lingue, insieme a celtico-gotico-persiano, discendano da
un antenato comune.
La nascita della linguistica storica si colloca al centro di una serie di circostanze favorevoli:
- grandi scoperte geografiche e colonialismo portano l’uomo a confrontarsi con altre lingue. Da questo
contatto scaturisce curiosità;
- il movimento culturale romantico del periodo, favorendo il gusto per l’esotico e il remoto, spinge allo
studio delle lingue orientali.

Dopo Jones, l’interesse per la comparazione delle lingue e per la ricerca di un antenato comune si sposta
nelle università tedesche, dove Friedrich von Schlegel afferma che la lingua madre delle lingue indoeuropee
non è una lingua ipotetica, ma il sanscrito. Schlegel getta così le basi di una grammatica/linguistica
comparata.
A livello fonetico, Grimm e Rask sono i primi a individuare corrispondenze fonetiche tra le lingue
indoeuropee; mentre Bopp si interessa al confronto dei morfemi, soprattutto a livello di morfologia verbale.

L’albero genealogico e la teoria delle onde

Fu August Schleicher, botanico che trasferì la rigidità dello studio scientifico nello studio della lingua, a
strutturare la teoria dell’albero genealogico. Vede la lingua come un organismo naturale che, essendo
fornito all’uomo dalla natura, è sottoposto a leggi immutabili. Nel creare la teoria dell’albero genealogico
riprende quanto detto da Jones, cioè che le lingue derivano da un’antica lingua originaria attingibile mediante
ricostruzione, e postula che da una lingua madre siano discese tutte le altre lingue.
Classifica le lingue come:
- Flessive: fanno uso di marche morfologiche che, oltre a completare il lessema ( la “o” di “gatto”), sono
anche polifunzionali (veicolano più informazioni grammaticali contemporaneamente. Latino e italiano.
- Agglutinanti: ogni marca morfologica, perfettamente isolabile, veicola un’unica informazione
grammaticale; si può aggiungere o togliere senza intaccare autonomia del lessema. Turco.
- isolanti: lingue quasi del tutto prive di marche morfologiche. Le relazioni morfosintattiche sono espresse
dall’ordine delle parole. Cinese.
Questo tipo di teoria coglie il legame tra lingue-madri e lingue-figlie in senso verticale, ma non mostra
relazioni in senso orizzontale (tra lingue-figlie).

La differenza tra pronome soggetto e pronome oggetto è data solo dalla collocazione nella frase, il verbo non
è coniugato e 'noi' e 'voi' nasce da una pluralizzazione (mediante la parola grammaticale 'men') di 'io' e 'tu'. In
realtà nessuna lingua è totalmente aggl, is o fles, ma lo è prevalentemente: caratteristiche dell'una possiamo
trovarle in altre lingue. Inoltre, l'evoluzione tipologica può procedere da un tipo qualunque in direzione di
qualunque altro tipo.
La visione un po' troppo meccanica dello Schleicher viene contestata dai suoi allievi, Schuchardt e Schmidt,
il quale riprendendo in parte un'idea del collega, risponde alla teoria del maestro con la teoria delle onde:
mostra come le innovazioni linguistiche possono nascere da centri sempre diversi e di diffondono nello
spazio geografico circostante attenuandosi gradualmente (effetto sasso nell’acqua). Si rende la lingua da
prodotto astorico (esistente al di fuori dei parlanti) a prodotto storico (innovazioni frutto dei parlanti) + si
introduce il riferimento al fattore spaziale. Elementi comuni più numerosi in lingue spaziali vicine.
Schuchardt sposta l’attenzione sullo studio delle fasi linguistiche di una lingua (fa riferimento al latino
volgare) e intende la lingua come un incessante divenire.
Quanto a Schuchardt sposterà l'attenzione verso tematiche concernenti lo studio di fasi linguistiche, come il
cosiddetto latino volgare di cui creò un dizionario, di cui possediamo un certo grado di documentazione e su
cui possiamo di conseguenza permetterci argomentazioni meglio controllabili. Inoltre, pone l'accento sulla
specificità sociale e storica dell'oggetto-lingua, intesa come incessante divenire in un continuo incrociarsi e
sovrapporsi di correnti.

I neogrammatici: l'ineccepibilità̀ delle leggi fonetiche

I neogrammatici sono un gruppo di studiosi creato da Osthoff e Brugmann. Sono strettamente collegati con
il concetto di “ineccepibilità delle leggi fonetiche” se in una data lingua, “a” diventa “b” in un contesto “x”,
ogni altra “a” che troviamo nel contesto “x” dovrà dare “b”, senza eccezioni, in ogni parlante di quella
lingua. Si giustifica l’ineccepibilità con le abitudini articolatorie e con la conformazione della glottide, per
cui apparati fonatori abituati per generazioni a certe produzioni fonetiche tenderanno intrinsecamente a
perpetuarle.
Una particolare applicazione del “principio di abitudine articolatoria” porta alla formulazione della teoria
del sostrato: ogni rappresentazione fonetica, che va contro le abitudini articolatorie, è spiegata come frutto
del condizionamento articolatorio da lingue precedenti (sostrato).
Il concetto di “legge fonetica” serve a prendere atto dell’uniformità e della regolarità che i fenomeni
dell’evoluzione fonetica presentano; il rendere queste leggi ineccepibili è problematico perché esistono delle
eccezioni e vanno spiegate.

Leggi fonetiche:

- Legge di Grimm (mutazione consonantica delle lingue germaniche):


Le occlusive sonore non aspirate e le occlusive sorde tendono a restare invariate; eccezione fatta per “d > l”
latino (odor > olere). La situazione delle lingue germaniche è diversa:
* occlusive sorde (i.e) > fricative sorde germaniche  P, T, K  F, Ø, H
*occlusive sonore (i.e) > occlusive sorde  B, D, G  P, T, K
* occlusive sonore aspirate > occlusive sonore  BH, DH, GH  B, D, G

Processo convalidato da prestiti dal celtico, risalenti al V secolo a.C., ma non più presenti in prestiti più
lontani dal latino; si suppone fosse operativo nel periodo compreso tra V e II sec. a. C.
La validità della legge di Grimm va a cadere, se si accetta per vera la teoria delle glottali (glottidali)
ipotizzata da Gamkrelidze e Ivanov negli anni ’70 del ‘900. Cercano di spiegare il problema del “sistema
zoppicante”: occlusiva può essere sorda o sonora, ma l’occlusiva aspirata è solo sonora.
Ciò risulta strano perché, in un sistema, laddove si trovi un dato marcato si ha anche l’esistenza del
corrispettivo non marcato. I due studiosi cercano di risolvere il problema creando un sistema in cui:
* l’occlusiva sorda (i.e) continuerebbe l’occlusiva sorda originaria;
* l’occlusiva sonora aspirata (i.e) continuerebbe l’occlusiva sonora originaria;
* l’occlusiva sonora (i.e) continuerebbe le occlusive sorde glottali (glottidali) = P’, T’, K’
Per cui si avrebbe un sistema originario con: sorde semplice + sorde glottali + sonore.

Nella produzione delle occlusive sorde glottali, il flusso d’aria necessario non proviene dai polmoni, ma dalla
compressione dell’aria presente nel canale fonatorio tramite la contrazione e spinta verso l’alto della laringe.
C’è da dire però che questa teoria lascia più problemi irrisoli di quanti ne risolva.

- Legge di Grassman: se due aspirate ricorrono in sillabe contigue, per dissimilazione, la prima delle due si
deaspira (perde l’aspirazione). Le occlusive sonore aspirate di greco e sanscrito sono sottoposte a questa
legge.
raddoppiamento con consonante con radice non aspirata: didomi (d = radice)
raddoppiamento con consonante con radice aspirata: tithesi < dhidheti (la seconda resta “th”, ma la prima
diventa “t”).
Kh + s = K In condizioni sfavorevoli (posizione anticonsonantica o fine parola) si ha la Ph + s = P
semplificazione del suono marcato in suono non marcato.

- Legge di Verner: si presenta come eccezione alla legge di Grimm. * Un’occlusiva sorda, preceduta da
fricativa, resta occlusiva: (i.e) esti > ist (germ) invece di isth. “s” è fricativa.
* occlusiva sorda (i.e) diventa, non una fricativa sorda, ma una fricativa sonora: fater > fadar invece di
fathar. Questa anomalia fu spiegata da Verner stesso nella seconda metà dell’800; Verner evidenziò che per
diversificare gli esiti (sorda/sonora) devo guardare la posizione in cui in origine le antiche occlusive si
trovavano e l’accento mobile (accento che non si trova nella stessa posizione in ogni termine, ma varia di
parola in parola. La sede dell’accento i.e., se dubbia, è data dalla posizione dell’accento comune in greco e
sanscrito). L’occlusiva sorda si evolve in fricativa sonora se:
a) in origine, l’occlusiva sorda si trovava tra 2 elementi sonori (vocali, nasali/liquida + vocale).
B) le occlusive sorde non erano immediatamente precedute dall’accento i.e.

- Legge di Collitz – de Saussure: dimostrano, separatamente, l’esistenza nel sanscrito e nell’indoeuropeo


del sistema vocalico a 3 timbri (e, a, o), rimasti più o meno conservati in latino e greco. Timbri posseduti
anche dal sanscrito arcaico e che, in una sua versione più recente, sono stati fusi in un unico timbro “a”, ma
solo dopo che “e” aveva palatalizzato la labiovelare e la velare pura. kw > k + e > ce.
Per spiegare le eccezioni i neogrammatici usano il:
- prestito: parola di una lingua che entra a far parte del patrimonio lessicale di un’altra lingua, mantenendo le
caratteristiche fonetiche della lingua di partenza.
- analogia: processo di regolarizzazione per cui, al posto della forma attesa, ne troviamo un’altra che può
essere:
a) modellata su forme concorrenti all’interno dello stesso paradigma.
b) ottenute tramite allineamento a moduli, inizialmente estranei, che hanno riscontrato il favore dei parlanti.
“Pono, ponunt” (lat) > “pongo, pongono” (ita) = La “g” viene spiegata, allineando il paradigma di
“pono” a quello di vb con “venio”. Per cui se “viene, veniamo” equivale a “pone, poniamo”, “vengo,
vengono” darà “pongo, pongono”.

5 – GEOLINGUISTICA E SOCIOLINGUISTICA: LA VARIABILITÀ

Gli atlanti linguistici

La geografia linguistica, implicita nella “teoria delle onde”, nasce con gli atlanti linguistici, atlanti in cui per
date località sono riportate su una carta specifica una serie di forme scelte, in modo da dare un’idea della
parlata di ciascuna località.
Il primo atlante linguistico riguarda le parlate tedesche ed è stato sviluppato negli anni ’70 dell’800; creato
da Wenker, che raccolse materiale inviando agli interlocutori un questionario in cui chiedeva la traduzione di
alcune frasi nella lingua usata in quel luogo. Seguono l’“Atlas linguistique de la France” di Gilleron e
l’“Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera Meridionale” di Jeber e Jud. In questi casi si
manda direttamente il ricercatore sul luogo della lingua da studiare. Più tardi, invece, è l’atlante “Atlante
linguistico etnografico italiano della Corsica” di Bottiglioni (1933).
Gli atlanti linguistici ci mostrano che i confini linguistici non sono netti come ci aspetteremmo, secondo il
principio di ineccepibilità delle leggi fonetiche, ma presentano sfumature. Possiamo trovare mutamenti
fonetici in aree dove non dovrebbero esserci. Se abbiamo due lingue (L1 e L2), entrambe discendenti da L0,
il mutamento fonetico di L0 (A0) si svilupperà in L1 e L2 in maniera diversa (L1 > A1, L2 > A2). Quindi
laddove abbiamo L1 avremo A1 e dove abbiamo L2 avremo A2, ma non dovrebbero esserci zone che le
presentano entrambe, invece esistono.

Geografia linguistica

Corrente linguistica che studia l’estensione e la distribuzione nello spazio di fenomeni linguistici comuni alle
diverse varietà di dialetto. Ha per oggetto, attraverso l’analisi della distribuzione geografica dei fenomeni
linguistici, lo studio delle vicende storiche e delle correnti culturali che innovano il nostro linguaggio.
Isoglossa: linea immaginaria che, su una carta linguistica, delimita le aree aventi in comune uno stesso
fenomeno linguistico.
Confine linguistico: si ha quando più isoglosse vengono a coincidere in uno stesso tracciato.

Caso Tedesco: si fa l’esempio della distinzione tra alto tedesco, parlato nelle zone del sud, e basso tedesco,
parlato nelle zone del nord; le due varietà si differenziano per la presenza-assenza della seconda rotazione
consonantica: anch’essa scoperta da Grimm, laddove in basso tedesco abbiamo l’occlusiva sorda, in alto
tedesco abbiamo:
- affricate, ad inizio parola o dopo nasali/liquide p > pf, t > tz, k > x
- fricative, negli altri casi p > ff, t > ss, k > ç

Ci si aspetta, geograficamente, una coincidenza di 3 confini:


- quelli che conservano “p” e quelli che lo modificano
- quelli che conservano “t” e quelli che lo modificano
- quelli che conservano “d” e quelli che lo modificano

Effettivamente questa coincidenza si ha nel cosiddetto “ventaglio renario”: lungo il corso del Reno i 3
confini si allontanano aprendosi a ventaglio; avremo mutamento “p” a sud, mutamento “t” al centro e
mutamento “k” a nord. Mutazione collocabile tra V e VI sec d.C.

Caso Maltese: dialetto arabo caratterizzato da elementi fonetici, morfologici e grammaticali proprie del
siciliano.
‘200: l’allontanamento degli arabi dalla Sicilia, ad opera di Federico II, comporta un crollo dell’arabo in
Sicilia, che sopravvive però nelle isole di Malta e Pantelleria. Successivamente, Pantelleria perderà l’arabo in
favore del siciliano (‘600/’700), mentre rimarrà presente a Malta, dove resiste tuttora (pur con modificazioni)
come lingua ufficiale dell’isola. Questa differenza di risultato è determinata anche dal diverso ruolo
sociopolitico che hanno avuto le due isole: Pantelleria è un’appendice della Sicilia; Malta è diventata nel
1530 sede dei Cavalieri dell’ordine di Malta, è stata promossa a baluardo della cristianità e sviluppa identità
propria.
Caratteristiche grammaticali:
- aggettivi seguono il nome e prendono articolo determinativo;
- verbi seguono schema di radici triconsonantiche a cui si aggiungono affissi che indicano tempo, persona e
numero;
- sostantivi hanno plurale regolare e plurale fratto (modifica struttura interna della parola)

Linguistica storica e linguistica romanza

La geografia linguistica può essere usata solo con le lingue vive, osservabili grazie a contatto diretto coi
parlanti (che ci permette di stabilire se accanto a forme “normali”, non esistano anche forme alternative).
Con le lingue morte questo non è possibile; anche quelle documentate da più testi si basano comunque su
elementi costruiti con forme standardizzate che escludono le variabili più colloquiali o popolari e non
tengono conto della complessa stratificazione linguistica su base geografica e sociale.
Analizzando il latino dai testi che abbiamo, notiamo che non sappiamo nulla della variabilità diatopica
(vari tipi di latino parlati nelle varie località) e della variabilità diastratica (vari tipi di latino parlati nella
stessa località, diversi a seconda dello status sociale di appartenenza); non sapremmo nemmeno affermare se
il latino era l’unica lingua usata in un dato luogo, in un dato momento storico.

Quello che sappiamo (ed è poco) delle due variabilità, ci è arrivato:

- per puro caso: perché quel dato elemento geo/sociolinguistico occorre a quel dato autore per quella data
opera. Cicerone usa “nobiscum” per dire “con noi” perché “cum nobis” gli suona sconcio. Questo ci fa
capire che molto probabilmente, nel I sec. a. C. si tendeva a pronunciare “cum nobis” senza pause,
generando assimilazione che porta ad avere “cunnobis” e che questa pronuncia ricordasse qualcosa di
malizioso per assonanza con “cunnus” (termine latino per l’organo femminile).
- in modo frammentario: sappiamo da Sant’Agostino che nel IV-V sec d.C. i contadini delle zone rurali di
Cartagine non parlavano latino, ma solo punico. Non sappiamo però com’era la situazione linguistica del
sud-Italia, dov’era fiorita la civiltà magno greca.
- con distribuzione lungo un arco di mezzo millennio: non usabili per avere un quadro sincronico degli usi
del latino.

Le lingue vive si mostrano a noi nel loro continuo variare; le lingue morte come fisse, senza irregolarità.

Un problema di fonologia romanza – occlusive sorde latine nel tosco-italiano:


Le occlusive sorde latine, in posizione intervocalica o tra vocale e “r”, possono avere, nel tosco-italiano, esiti
sia sordi che sonori.
P > p (lupum > lupo)
> v (ripam > riva)

T > t (acetum > aceto)


> d (litum > lido)

K > k (iocum > gioco)


> g (acum > ago)

Questa duplicità attira l’interesse dei linguisti che ne propongono varie soluzioni:

- ‘800 Graziadio Isaia Ascoli: attribuiva casi come “padre/strada” ad un effetto sonorizzante di “a”
accentata e in penultima sillaba, posta prima dell’occlusiva. Riconduce contrapposizione
sorda/sonora “g/k” ad un diverso punto di partenza fono-morfologico.
- Wilhelm Meyer-Lubke: elabora la “teoria degli accenti” per cui le occlusive sorde restano sorde se
si trovano dopo vocale tonica, in parole accentate sulla penultima sillaba, e diventano sonore se si
trovano prima della vocale tonica, in parole accentate su penultima sillaba, o dopo vocale tonica in
parole accentate su terzultima sillaba. Considerando, però, che non sono rari i casi in cui, in tosco-
italiano, abbiamo dalla stessa base latina entrambi gli esiti (sordo e sonoro), possiamo affermare che
il doppio esito non può essere causato da condizionamenti esercitati dal contesto.
- ‘900 Clemente Merlo: considera schiettamente toscano l’esito sonoro e spiega l’esito sordo come
una pressione colta, esercitata dal latino.
- Gerhard Rohlfs: giudica esito sordo prettamente toscano e spiega l’esito sonoro come influenzato
dalle parlate del nord-Italia, francese e provenzale. Le occlusive sorde latine si sono prima
sonorizzate, poi sono diventate fricative e, infine, sono scomparse.
Si studia allora ogni parola come se fosse un prestito galloromanzo o gallo italico, ma spesso le fonti
non sono state rinvenute. Possiamo supporre, però, che questa alternanza sia iniziata con un tot di
prestiti lessicali e quando i doppioni (ripa/riva) sono diventati troppi, si è ricorsi alla “regola di
sonorizzazione”: si sonorizza ogni occlusiva sorda intervocalica o tra vocale e “r”. Questo spiega
anche perché i casi di sonorizzazione toscano hanno coinvolto anche parole colte.

Linguistica spaziale (le norme areali)

possiamo affermare che, fino alla metà del ‘900, ogni novità/variazione linguistica partiva dal centro delle
città per poi espandersi a onda nelle periferie. È possibile quindi collegare la conservazione/innovazione al
come si dispongono le forme linguistiche nello spazio geografico. È quello che ha fatto Matteo Bartoli con
la formulazione delle 4 norme areali; dei 4 principi che, in presenza di 2 o più forme concorrenti,
permettono di stabilire in linea di massima quale delle due forme è più arcaica:
1. la forma conservata nell’area meno esposta alle comunicazioni. Se è vero che le novità si
diffondono seguendo le grandi vie di comunicazione, è anche logico che nelle aree escluse dalla
comunicazione queste novità faticheranno ad arrivare
2. la forma conservata nelle aree laterali (periferiche rispetto al centro del territorio). Se in due aree
laterali, periferiche e distanti, troviamo la stessa variante linguistica in contrapposizione con quella
sviluppatasi nella zona centrale, allora sarà ovvio che quella delle zone periferiche rappresenta la
variazione più arcaica
3. la forma conservata nell’area maggiore (nella gran parte del territorio preso in esame)
4. la forma conservata nell’area seriore (laddove la data varietà linguistica è arrivata più tardi
rispetto al momento in cui è arrivata nel territorio a cui è collegata). Se un gruppo di coloni si
spostano in un altro territorio, le innovazioni della lingua madre arriveranno a loro più tardi o mai.

Le norme si applicano nell’ordine in cui sono state inserite sopra, se la prima norma non è quella giusta, si
passa la seconda (e così via) finché non troviamo quella applicabile.

Dalla variabile diatopica a quella diastratica – stratificazione sociale dei parlanti

Nello studio del latino, Bartoli prende in considerazione i comparativi “magis altu” e “plus altu” e determina
che “magis altu” sia il termine più arcaico, poiché è presente nelle zone periferiche dell’impero, mentre
“plus altu” non si trova. In realtà “magis” e “plus” sono termini che sono stati usati contemporaneamente,
solo che “magis” è la versione colta e “plus” quella popolare. Da questo possiamo eccepire che la lingua non
è solo sensibile alle coordinate spazio-temporali, ma varia anche in base alla stratificazione dei parlanti,
che non formano un gruppo omogeneo, ma si distribuiscono per fasce, ciascuna delle quali usa in prevalenza
uno specifico registro (una varietà specifica della lingua stessa).

Questo elemento diverrà poi oggetto di studio di William Labov, fondatore della sociolinguistica, branca
della linguistica che studia il rapporto tra usi linguistici e profilo sociologico dei parlanti (che si suddividono
per status sociale, età e genere) e come questi fattori condizionino le scelte linguistiche.

Variabile “r” a New York: “r”, in inglese, è pronunciata se antevocalica (rose), si cancella (vocalizza) se
ante consonantica o in posizione finale (car = caa; park = paak). La cancellazione di “r” non è
generalizzata, però, e varia a seconda del variare delle occasioni (maggiore è la formalità della situazione,
maggiore è il mantenimento) e dello status sociale dei parlanti (più alto è lo status sociale, più si ha il
mantenimento).
Fino agli anni ’30, “r” non era pronunciata; poi, col cambiamento di classe che porta al potere la classe
borghese (che pronuncia “r”), si inizia a pronunciarla. Se “r” è usata dalla classe di potere, si avrà un
bisogno di adeguarsi, cambiando l’uso linguistico.

6 – GLI INDOEUROPEI

Come usare i dati linguistici per ricostruire il quadro ambientale, sociale e culturale degli indoeuropei

Per quanto riguarda gli Indoeuropei siamo di fronte ad una mancanza di documentazione diretta, quindi per
la sua ricostruzione dobbiamo affidarci ai dati forniti dalle lingue indoeuropee stesse. Qualunque lingua,
però, se esaminata nell’ottica opportuna può fornirci un certo numero di indicazioni relative ai propri
parlanti: si prenda ad esempio l’inglese del II millennio, se non sapessi nulla della storia di questo popolo
potrei comunque scoprire che in quel periodo gli animali domestici avevano due denominazioni (una per
quando erano vivi, l’altro per quando erano stati macellati):
ovino  sheep  mutton
maiale  pig  pork

Non sarà difficile rendersi conto, poi, che i termini inglesi relativi all’animale macellato sono derivanti dal
francese: “pork” < “porc” e “mutton” < “mouton”. Avremo invece difficoltà a capire qual è il rapporto che
collega Francia e Inghilterra, e delle varie idee che ci possono venire in mente (francesi che vendono animali
macellati in Inghilterra, o che gli inglesi andassero a comprare la carne in Francia, o che i francesi avessero
insegnato le tecniche di macellazione agli inglesi), raramente potrebbe venire in mente che nel 1066 i
normanni francofoni conquistarono l’Inghilterra e che questo comportò l’arrivo nell’inglese di termini
francesi che andarono ad indicare o parole con significato nuovo o significati che si affiancano a quello che
si aveva già in inglese.

Quando i prestiti di una lingua entrano in conflitto con quelli della lingua madre, si possono avere 3 casi:
a) si mantengono le voci della lingua madre a discapito del prestito;
b) i prestiti rimpiazzano i termini della lingua madre;
c) si ha una polarizzazione lessicale: le voci indigene e i prestiti istaurano una forma di convivenza,
dividendosi i compiti semantici;

Il problema per l’indoeuropeo è che ne conosciamo solo un riflesso tramite le altre lingue indoeuropee.

Latino  fagus  faggio


Greco  fegos  quercia
Russo  buzina  sambuco
In tutte e tre queste parole possiamo vedere la radice indoeuropea “bhawg” / “bhug”; ma qual è il suo
significato? Si pensava fosse “faggio” perché è il significato più attribuito ai discendenti da quella radice e in
quel caso si limiterebbe l’area di origine dell’indoeuropeo alle zone in cui il faggio cresce (in Europa e, nello
specifico, nell’area nord-europea corrispondente alla Prussia orientale), ma si presenta sia il problema di
conciliare il significato di “faggio” con quello di “quercia” (greco) e di “sambuco” (russo) sia c’è da
considerare il caso dell’etimologia popolare (zenzero e peperone sono piante diversissime e con nomi
diversi, ma in toscana “zenzero” viene usato per definire “peperoncino”). L’unico elemento che accomuna
queste tre piante (faggio, quercia e sambuco) è il fatto che tutti e tre producono frutti usati per
l’alimentazione umana; quindi è probabile che il significato di “bhawg/bhug” sia in realtà “pianta il cui frutto
è stato utilizzato per primo”.

Metodo lessicale e metodo testuale

- metodo lessicale: è lo studio del lessico delle lingue i.e. finalizzato alla ricostruzione della cultura i.e.;
alcune basi dell’indoeuropeo ci fanno pensare che fossero un popolo di allevatori.
Es. ovino: indoeuropeo “owis”, latino “ovis”, sanscrito “avi”, gotico “awi-star”, greco “ois”
Es. bue/mucca: indoeuropeo “gwous”, latino “bos, bovis”, sanscrito “gauh, gaus”, gotico “kuh”, greco
“bous”
Questo viene confermato se analizzo “peku” (bestiame) e i suoi derivati:
es. indoeuropeo “peku” (bestiame), latino “pecu” (bestiame) e “pecunia” (denaro), sanscrito “pasu”
(bestiame), gotico “faihu” (ricchezza). Si deduce che la ricchezza per gli indoeuropei era possedere bestiame.

- metodo testuale: si mettono a confronto i contenuti semantici che troviamo nelle tradizioni scritte delle
varie lingue per risalire all’ideologia che li ha prodotti. È il confronto di testi in varie lingue indoeuropee per
estrapolarne miti, leggende, modi di dire e di relazionarsi al mondo circostante, in quanto eredità rimasta
nelle varie lingue della “visione del mondo” indoeuropea. Si fa l’esempio della metafora del toro e della
vacca nelle varie tradizioni letterarie: spesso nell’antichità si tende ad usare “toro” come metafora per
“uomo/marito” e “vacca” per “donna/moglie”. Questa metafora è comprensibile solo in una società di
allevatori o, comunque, imperniata sull’allevamento di bovini; questo è confermato dall’uso dell’epiteto
“boopide” (dall’occhio bovino) per le divinità femminili.

Utilizzando questi due metodi siamo arrivati ad ipotizzare che gli indoeuropei fossero un popolo nomade,
patriarcale, dedito all’allevamento, religioso (religiosità celeste = per i nomadi il cielo è l’unico elemento che
rimane costante; la terra cambia, per questo non sono di religiosità ctonia), organizzato in tribù e sottomesso
ad un re (autorità politica, militare e religiosa).

Europa, mediterraneo e l’area di origine degli indoeuropei

Considerazioni su base linguistica ci hanno consentito di farci un’idea della geografia degli indoeuropei.
Ipotizziamo che gli Indoeuropei venissero dall’Europa: essendo l’Europa circondata dal mare su 3 lati, è
considerata un continente con forte vocazione marittima, ma se andiamo ad analizzare come si dice “mare”
nelle lingue indoeuropee parlate nel continente, ci accorgiamo che manca un accordo di fondo: es. latino,
slavo, germanico e celtico “mare”, lituano “marios” (laguna), tedesco e inglese “moor” (palude), francese
“marais” (terreno paludoso). Se ne ricava che il significato di “mare” mostrato dai continuatori di
“*mar/mor” del primo gruppo (latino, slavo, germanico e celtico) deve essere nato da “superficie d’acqua più
o meno grande, ma chiusa”, per poi passare a “superficie d’acqua in generale” e a “mare”. Inoltre, va fatto
notare che in Europa abbiamo altri due tipi lessicali per dire “mare”:
- “see” (tedesco), “sea” (inglese) e “zee” (olandese), derivante da una forma “*saiwa” che i germani sembra
abbiano preso in prestito da sostrato già esistente sul luogo;
- talassa (greco), di cui non sappiamo l’etimologia e possiamo dedurre si tratti di prestito dal sostrato già
presente in loco, + “pelagos” e “pontos” derivanti dall’indoeuropeo, ma con slittamenti di significato (il
primo “spazio/distesa” il secondo “passaggio verso altre terre”).

Il fatto che non esiste una terminologia comune per “mare” fa dedurre che gli indoeuropei non avessero una
specifica denominazione perché i parlanti non conoscevano il mare in tal caso gli indoeuropei devono
essere ritenuti originari di zone interne (non vicino al mare): steppe dell’Eurasia.
Oppure si deve ipotizzare che l’indoeuropeo avesse una denominazione specifica che poi è andata perduta
nelle lingue-figlie e che è stata sostituita con i termini che abbiamo attualmente; ipotesi eliminata dal fatto
che, nelle lingue indoeuropee d’Europa, molti nomi di piante mediterranee hanno origine non indoeuropea,
il che vuol dire che agli indoeuropei l’ambiente mediterraneo (temperato) era sconosciuto.
Diverso è il caso della mancanza di tracce di terminologia funeraria comune: inizialmente si potrebbe
supporre che non si hanno perché gli indoeuropei si sono separati prima che si instaurassero le prime forme
di culto dei morti; in realtà questa mancanza può essere ricondotta a un tabù linguistico che porta al non
nominare o al nominare tramite allusioni ciò di cui si ha paura.

Indoeuropei e “indomediterranei”

Degli indoeuropei sappiamo che:


- non conoscono il mare; originari di luoghi extraeuropei lontani dal mare
- non avevano piante marittime; caratterizzati da clima rigido.
- quando, espandendosi, dovevano dare il nome a nuove realtà, allargavano la portata semantica di loro
parole o ricorrevano a prestiti di lingue non indoeuropee, parlate in loco. Ciò comporta che nell’espandersi
abbiano trovato non luoghi disabitati, ma luoghi abitati da tribù preesistenti, che parlavano lingue proprie.

Nelle lingue indoeuropee mediterranee si hanno termini con origine preindoeuropea che sono caratterizzati
da determinati elementi a livello fonologico e morfologico: “Kiparissos” (greco) e “cipressus” (latino) sono
entrambe formate con “ss”, che ritroviamo anche nel toponimo greco “Parnassos” (Monte Parnaso), che non
è riscontrato all’interno dell’indoeuropeo. Ciò non stupisce se considero che spesso i nuovi arrivati sul
territorio tendono a mantenere i nomi dei luoghi dati dalle popolazioni locali. Questo permette di dire che
laddove si trovi gruppo di “ss” siamo di fronte a termini di sostrato non indoeuropeo e, visto che questo
elemento si trova nella toponomastica greca (Parnassos) – italica (Suessa) e ispanica (Tartessos), di farsi
un’idea dell’estensione geografica della lingua (o gruppo di lingue) cui è riconducibile “ss”.

Arrivando in Europa, gli indoeuropei hanno trovato una civiltà sedentaria, dedita all’agricoltura, praticante
religione di tipo ctonio (terrestre). L’unico nome di divinità che sia documentato in molte delle lingue i.e. è
latino “deus” (dio), irlandese antico “dia”, lituano “dievas”, sanscrito “devá-”. Si aggiungono come nome di
una divinità specifica germanico “Teiwaz” e con slittamento semantico “divinità  demonio”. Tutte queste
forme, riconducibili a un “deiwós celeste” ci dicono appunto che la loro religione è celeste, non ctonia.
L’unico elemento che per loro restava sempre uguale a se stesso era il cielo, essendo nomadi. Le complesse
religioni indiana, greca, latina nascono dall’incontro fra la religione “celeste” indoeuropea e tipi di religione
diversi, spesso ctoni, e caratteristici di popolazioni stanziali.

È da questa cultura che si ricava buona parte della terminologia per i comfort domestici, “ plintos” (mattone)
- “asamintos” (vasca da bagno) – “keramos” (utensile in terracotta) – “catinus” (catino), e per i toponimi,
“Korintos” (Corinto) – “Zakintos” (Zacinto). Queste terminologie non indoeuropee non riguardano solo il
Mediterraneo, ma coinvolgono anche lingue semitiche: il sanscrito “kathina” (< “catinus” = pentola di
coccio).
Queste terminologie non si limitano nemmeno solo ai termini di comfort domestico, un esempio sono i
termini come “prostituta o concubina” in greco (“pallakis”), in latino (“paelex”) e in armeno (“atio”).
Sia nel Mediterraneo che nel Medio Oriente gli indoeuropei si sono sovrapposti a preesistenti popolazioni
con elementi linguistici comuni, tra i quali spicca il mettere vocale di fronte a parole inizianti con liquida
(“r”) o nasale. Si tratta di sostrato indo-mediterraneo.
Datazioni indoeuropee di minima e massima

Com’è possibile che una popolazione nomade, inferiore per numero e cultura, sia riuscita a conquistare
anche culturalmente popolazioni sedentarie, superiori per numero e cultura? Tra gli elementi che hanno
assicurato il successo degli indoeuropei c’è l’addomesticazione del cavallo, che ha prodotto un incremento
nella velocità di locomozione, la possibilità di controllare tratti di terreno più ampi e una maggiore forza
nelle azioni militari. La centralità della figura del cavallo si ha nel fatto che il termine indoeuropeo con cui è
designato, “*ekwos” si ritrova nel grosso delle lingue-figlie: “hippos” (greco), “equus” (latino).

Quand’è che gli indoeuropei sono giunti in Europa?


Datazione minima: non essendoci manufatti scritti dell’epoca indoeuropea, possiamo affermare che sono
arrivati in Europa prima dell’avvento della scrittura.
Datazione massima: dobbiamo rifarci a manufatti archeologici. Gimbutas li ricollega alla cultura Kurgàn
(particolari tumuli funerari) nel VI-V millennio a.C. in un’area del mar Nero/ mar Caspio. Alinei - “teoria
della comunità” - identifica gli indoeuropei con i primi rappresentanti dell’homo sapiens arrivati in Europa,
ritenendo questo continente come indoeuropeo da sempre.

7 – L’EUROPA LINGUISTICA E LE LINGUE INDOEUROPEE FUORI D’EUROPA

Europa linguistica

Per comprendere il quadro linguistico dell’Europa attuale dobbiamo prendere in considerazione un


importante evento, maturato tra III e IV sec. d. C. e concluso nel 395: la separazione dell’Impero Romano
in Impero Romano d’Oriente e Impero Romano d’Occidente. Questa scissione dà vita a un profondo
dualismo economico-linguistico e culturale-religioso.

Occidente: cattolici, lingua religiosa latina, alfabeto latino, durata 395-476, Roma mai conquistata da
“infedeli”, ingloba lingue germaniche.

Oriente: ortodossi, lingua religiosa greca, alfabeto greco/cirillico, durata 395-1453, Costantinopoli cadde in
mano Islamica (1453), ingloba lingue slave.

Non tutto naturalmente si è svolto in completo parallelismo, anzi i due imperi dimostrano di avere forti
differenze, non solo religiose.

Oggi le aree del continente sono monolingui: ciò potrebbe far pensare che sia una scelta naturale (che
l’homo sapiens sia programmato per parlare una lingua soltanto); in realtà, la scelta europea di essere
monolingui è puramente politica (prova dovuta al fatto che nel modo extraeuropeo ci sono più stati
plurilingui che monolingui): si usa la lingua come collante nazionale. Questo uso politico della lingua
spianerà la strada al processo romantico che comporta l’identificazione spirituale di lingua – nazione –
patria.

Le lingue indoeuropee d’Europa

Le lingue d’Europa appartengono ad una grande macro-famiglia indoeuropea e possono essere raggruppate
in:
- 3 grandi sottofamiglie: * lingue romanze/neolatine
* lingue germaniche
* lingue slave

- 3 piccole sottofamiglie: * lingue celtiche


* lingue baltiche
* lingue zingariche

- 2 lingue isolate: * neogreco


* albanese
“grandi” / “piccole” fa riferimento al numero di parlanti e “isolate” al fatto che sono “figlie uniche”.
Creare un elenco di lingue è un processo problematico per la problematica dialetto-lingua: es. corso visto
come dialetto toscano, mentre la popolazione lo vorrebbe come lingua ufficiale + franco-provenzale
ritenuto lingua ufficiale, mentre per la popolazione è un dialetto della lingua francese. Non si ha ancora un
criterio universalmente valido per distinguere tra “lingua” e “dialetto”.

a) Lingue romanze: lingue di cui conosciamo l’antecedente diretto: LATINO. È una lingua centum.
Un’altra varietà romanza a metà tra l’italo-romanzo e il balcano-romanzo è l’Istrioto.
Con Romània si intende tutto il territorio in cui si sono sviluppate le lingue romanze, evoluzioni in
loco del latino. La linea di demarcazione tra Romània Occidentale e Romània Orientale si ha in
Italia lungo l’asse Spezia- Rimini. Fanno parte dunque della parte Orientale: l’italiano (compreso
toscano e corso e dialetti centro-meridionali), rumeno e dalmatico (estinto); le altre sono tutte
Occidentali. Il sardo mantiene caratteristiche di entrambe.
Tipica della Romània Occidentale è la conservazione di “s” finale latina con conseguenze sia nel
sistema verbale che in quello nominale: “plicas” (pieghi) infatti diventa “llegas” (Spagnolo) e
“pieghi” (italiano).
Tipica della Romània Orientale è la conservazione dell’occlusiva sorda latina in posizione
intervocalica, all’interno di parola: “rotam” > “ruota” vs “rueda”.
Romània nuova: intende tutti i territori extraeuropei in cui sono state portate e sono in uso le lingue
romanze: Brasile, Cile, Argentina, Perù.
Romània sommersa: intende quelle aree in cui una lingua romanza è stata sopraffatta dall’arrivo di
altre lingue: Africa – Marocco dove l’afro-romanzo è stato sostituito col berbero e con l’arabo. Per
determinare questo tipo di Romània occorrono:
* testimonianze dirette;
* prestiti passati dalle romanze alle nuove lingue;
* toponomastica;
Italiano lingua centum perché l’articolazione si mantiene velare davanti a vocale non palatale e
davanti a consonante (casa, gola, grande…), mentre per le lingue satem si ha l’anteriorizzazione
nell’articolazione delle velari in qualunque contesto, compreso quello anteconsonantico.
b) Lingue germaniche: derivano dal germanico comune di cui non abbiamo documentazione.
Yiddish: varietà di alto tedesco adottata dagli ebrei.
Afrikaans: Repubblica sud-Africana.
Feringio: isola di Faer, Danimarca.
Tutte le lingue germaniche hanno subito la legge di Grimm:
latino: occlusive sorde  lingue germaniche: fricative sorde
latino: occlusive sonore  lingue germaniche: occlusive sorde
latino: occlusiva sonora aspirata  lingue germaniche occlusive sonore
c) lingue slave: derivano da slavo comune, lingua satem
Eccetto il polacco, le lingue slave si differenziano più per motivazioni politiche che linguistiche. In
Italia si ha minoranza croata in Molise e slovena in Gorizia e a Trieste. L’antico bulgaro è importante
perché è la prima lingua slava messa per iscritto (Bibbia – IX sec. ad opera di Cirillo e Metodio) ed è
stata l’unica lingua letteraria per gli slavi per molto tempo.
d) lingue celtiche: derivano dal celtico comune. Lingua un tempo parlata dalla Turchia alla penisola
Iberica, oggi è rimasto solo in una piccola parte delle isole britanniche. È in via d’estinzione anche
l’irlandese (lingua ufficiale dell’Irlanda).
e) Lingue baltiche: derivano dal baltico comune, sono lingue satem. Sono le lingue indoeuropee di
più recente documentazione (1500).
f) lingue zingariche: parlate dagli zingari (rom). Famiglia di tipo indoario, arrivata in Europa per
importazione. Gli zingari sono originari dell’India, da cui si spostarono nel 1000 d.C. e viaggiarono
fino ad arrivare in Europa nel 1200. Non si sono mai integrati. Sono lingue satem.
g) lingue isolate:
- albanese: attestato dalla metà del ‘500. Lingua ufficiale dell’Albania; parlato anche in Italia e nella
penisola balcanica. Lingua Satem.
- neogreco: unico erede del greco antico e in particolare della koinè dialektos (varietà greca).
Divaricazione tra lingua scritta e parlata.
Mentre in Occidente la caduta dell’impero porta le lingue romanze ad emanciparsi dal latino, in
Oriente l’impero rimane più unitario: alle diverse varietà di greco parlato (demotikè), la burocrazia e
la chiesa affiancano una lingua scritta perfezionata (katharenuosa). Quando l’impero si sgretolò,
non ci fu l’emancipazione greca perché in alcuni posti orientali si parlava la lingua occidentale. Nel
1830, però, l’indipendenza crea un problema: quale lingua usare? Alla scelta si aggiunge anche un
problema politico perché la demotikè era la lingua appoggiata dalla sinistra, la katharenuosa era
appoggiata dalla destra. Nel 1976, la caduta della dittatura fascista porta a rendere ufficiale la
demotikè.

Europa linguistica all’inizio dell’era cristiana

Europa e Mediterraneo, all’inizio dell’era cristiana, avevano situazioni linguistiche diverse. Il mondo
civilizzato era riunito in un grande impero (romano) multietnico e multilingue, avente come baricentro il mar
Mediterraneo. In Occidente si usava il latino come lingua dell’esercito e dell’amministrazione; in Oriente si
usava il greco. Si parlavano però anche altre lingue (indoeuropee o meno): - celtico - iberico - celtiberico –
trace - punico - aramaico – egiziano.
Per quanto riguarda l’Italia: a fianco del latino abbiamo nel centro-sud un fascio di lingue italiche, derivate
da una madre comune, detta italico: veneto (nord), greco (Sicilia, sud), etrusco (Toscana, Lazio
settentrionale), messapico (penisola salentina), lingue non indoeuropee in Sardegna e Corsica, osco e
umbro (Italia centrale).

*GRECO ANTICO: Lingua di più antica attestazione, si distingue in: miceneo, greco del II millennio
lineare b e minoico, lingua pregreca lineare a. La “lineare b” è considerata un adattamento operato dai greci
per mettere per iscritto il greco della “lineare a”.
Greco del I millennio: dopo un intervallo di 4 secoli, il greco riemerge nel I millennio suddiviso in 5
varietà: eolico, dorico (presente anche in Sicilia e sud-Italia), ionico-attico, arcadico-cipriota, panfilio.
Queste varietà andarono scemando fino ad annullarsi nella KOINE, varietà linguistica su base antica che
divenne comune a tutto il mondo greco.

*LATINO: di attestazione recente rispetto al greco, documentato a partire dal VI-V sec. a.C. Passò da essere
la lingua di un territorio limitato (Tevere) a lingua di pastori/agricoltori, a lingua di Roma e dell’impero di
Occidente, a lingua dell’umanità (grazie al cristianesimo). Si distingue tra: latino scritto (standardizzato) e
latino parlato (dal quale hanno avuto origine le lingue romanze).

Lingue non indoeuropee d’Europa

a) macrofamiglia uralica > lappone


> finlandese
> estone
> ungherese
b) macrofamiglia uralo-altaica > lingue turciche > turco
> lingue mongoliche > calmucco (bacino basso Volga)
c) macrofamiglia semitica > maltese (varietà di arabo occidentale)
> ebraico (lingua religiosa)
d) Basco: lingua isolatissima, parlata sui Pirenei tra Francia e Spagna

Arabo in Europa: portato in Spagna nel VIII secolo e in Sicilia nel IX secolo dalla grande espansione
islamica.
In Spagna rimase fino al 1942 quando, dopo aver conquistato l’ultimo regno arabo, Ferdinando e Isabella
lasciarono scegliere agli arabi se convertirsi o andarsene.
In Sicilia rimasero fino alla conquista da parte dei normanni, quando Federico II li spostò a Lucera (1220-
1240) e rimasero là fino a che gli angioini non sconfissero il figlio di Federico II e distrussero l’isola
arabofona in Puglia. In Sicilia rimase parlato a Malta /che lo conserva tuttora) e a Pantelleria.
Molte parole italiane derivano dall’arabo: Caltanissetta < qalcat an-nisa (la rocca delle donne).
Ebraico in Europa: l’ebraico non è mai stato concretamente parlato in Europa; ma è stato usato come lingua
di religione. Alcuni termini sono comunque giunti alle varie lingue nazionali: “togo” (bello) < “tobh”
(buono).

Lingue indoeuropee fuori d’Europa

a) lingue anatoliche: ittita (XVII-XII a.C.) cuneiforme, palaico, luvio, licio (II-I millennio a.C.), lidio,
cario
b) Armeno (V d.C.) lingua satem
c) Lingue indoiraniche, lingue iraniche, antico persiano  medio persiano  persiano moderno, curdo,
lingue indoarie, sanscrito (lingua letteraria indiana per eccellenza), hindi (Nuova Deli) e urdu
(Pakistan).
Persiano: è diventato insieme a arabo e turco una delle 3 grandi lingue dell’Islam, ha adottato
l’alfabeto arabo e formicola di arabismi lessicali.
Urdu: alfabeto arabo.
d) Tocario: tocario a  La più orientale delle lingue indoeuropee, lingua centum
tocario b  datata metà e fine I millennio a.C.

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