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DOMANDE DI LINGUISTICA GENERALE E RISPOSTE

1. La linguistica fra sincronia e diacronia?


La linguistica è la disciplina che studia l’organizzazione e l’evoluzione del fenomeno linguistico. In
particolare troviamo due macro-categorie di analisi di quest’ultimo: la linguistica teorica o generale
che compie un’analisi sincronica e descrittiva, analizzando la funzione, gli elementi compositivi e
l’organizzazione interna della lingua. Lo studio della linguistica comparativa risale all’800 quando i
primi glottologi iniziarono a studiare le lingue. La linguistica storica o glottologia studia in modo
diacronico il fenomeno, studiandone cioè l’evoluzione nel tempo attraverso la comparazione tra
due diversi momenti della stessa lingua e ricercando i motivi di tale evoluzione, oltre ad analizzare il
rapporto fra lingue diverse e tra la lingua e la cultura.

2. Che cosa vuol dire comunicazione e quali sono i mezzi per i quali si realizza?
La comunicazione è la condivisione intenzionale di un messaggio da un mittente ad un ricevente.
Possiamo distinguere due tipi di comunicazione: verbale e non verbale. La prima ci permette di
comunicare attraverso il “verbo” appunto quindi la parola, ma esiste anche una comunicazione non
verbale che spesso si affida alla vista come organo di ricezione del messaggio piuttosto che
all’udito, per esempio come nel caso dei cartelli stradali, della messaggistica, ecc… Non sempre
però nella trasmissione del messaggio vi è volontarietà, infatti spesso potremmo far arrivare un
messaggio a chi ci sta davanti attraverso la mimica facciale, la gestualità, il linguaggio del corpo o
l’intonazione della voce involontariamente.

3. Di che cosa si occupa l’etimologia? Riguarda l’analisi sincronica o diacronica?


L’etimologia è lo studio della parola alle sue radici, per comprenderne il significato più profondo ed
originario. Essa studia l’evoluzione della parola dal è punto di vista semantico, morfologico e
fonetico per comprendere i processi che la portano alla sua forma finale, in un’analisi diacronica
quindi. Per esempio nel caso della parola italiana ‘lezione’ deriva dal verbo latino ‘lego’ ossia ‘dire’
da cui otteniamo l’intensivo ‘lectio’ con l’aggiunta della ‘t’ che appunto ne accresce l’intensità di
significato indicando qualcosa che viene ‘detto con convinzione/intensità’, quindi 'letto’.

4. La lingua in diacronia: conservazione ed innovazione?


Nella prospettiva diacronica della lingua viene osservata nel suo sviluppo, le varie lingue operano
scelte differenti a seconda dei casi, a volte innovano mentre altre conservano le forme originarie,
non solo in ambito fonetico ma anche morfologico. Guardando all’interno delle lingue neolatine
vediamo che le scelte operate dalle varie lingue che pure derivano da un unico progenitore, il
latino, sono differenti. Ad esempio per quanto riguarda la prospettiva diacronica della fonetica, il
latino ‘FOCUM’ in italiano dittonga in ‘fuoco’ mentre in spagnolo dittonga in ‘fuego’, in entrambe le
lingue cade la ‘m’ finale tipica del maschile singolare. Le due lingue dunque optano in questo caso
per l’innovazione anche se innovano in modo differente per quanto riguarda la dittongazione. Un
altro esempio può essere quello della scelta del plurale mentre l’italiano adotta un plurale vocalico,
quindi modificando la vocale finale. Invece lingue come il francese e lo spagnolo hanno adottato il
plurale sigmatico, che aggiunge la ‘sigma’ ossia il grafema ‘s’ alla fine delle parole per indicare il
plurale. Dal punto di vista morfologico invece troviamo per esempio la scomparsa dei casi in favore
delle preposizioni per indicare determinate funzioni delle parole, un’innovazione adottata dalla
quasi totalità delle lingue romanze fatta eccezione per il rumeno che conserva un sistema casuale
più sintetico rispetto a quello latino ma rispondente. In questo caso l’innovazione non è arrivata al
rumeno proprio per la sua caratteristica di lingua isolata in un’area dominata dalle lingue slave, che
gli ha permesso di svilupparsi in autonomia.

5. Quali sono i livelli di analisi della lingua?


Il termine ‘lingua’ deriva proprio dal principale organo che ci permette la fonazione e quindi la
comunicazione verbale, ossia la lingua. Essa può essere sciolta nei suoi elementi compositivi, quindi
analizzata, attraverso quattro livelli: la fonetica e la fonologia in particolare la fonetica è la scienza
che studia l’aspetto fisico dei suoni mentre la fonologia si occupa di distinguere i suoni. Poi
troviamo la morfologia, termine coniato nell’800 per indicare quella materia che studia la forma,
quindi la struttura della parola, la cui unità minima è il morfema costituito da morfema lessicale e
flessione. Ad esempio la parola italiana ‘canto’, è costituita a livello fonetico di 5 fonemi, mentre in
ambito morfologico è costituito da due parti: il morfema lessicale ‘cant’ e la flessione ‘o’. A seguire
troviamo la sintassi che studia l’ordine in cui le parole vengono disposte all’interno di una frase e le
regole che lo determinano. In ultima analisi abbiamo la semantica, ossia la ricerca il significato più
profondo ed originario della parola anche attraverso l’etimologia.

6. Qual è la differenza tra langue e parole?


A stabilire la differenza fra ‘langue’ e ‘parole’, due termini di derivazione francese, fu Ferdinand de
Saussure, nel suo corso di linguistica generale presso l’università di Ginevra agli inizi del ‘900; egli
definì la dicotomia tra i due termini come la differenza fra l’idea di lingua nella sua teorizzazione,
con schemi mentali e convenzioni assimilate, dunque il codice linguistico, mentre la
concretizzazione di quest’idea, la sua più completa realizzazione, sta nella ‘parole’.

7. Qual è la differenza tra fonetica e fonologia?


Fonetica e fonologia sono due parole di derivazione greca dal termine ‘phoné’ ossia ‘voce, suono’
infatti entrambe si occupano dell’analisi di diversi aspetti del suono. Questa distinzione venne
sancita dalla scuola di linguistica di Praga dove si stabilì la differenza tra fonema, l’unità minima che
organizza la fonologia e fono, l’unità minima che organizza la fonetica. La fonetica è la scienza che
studia l’aspetto fisico dei suoni, in particolare troviamo 3 tipi di analisi fonetica: la fonetica
articolatoria che riguarda il modo in cui vengono prodotti i suoni, la fonetica uditiva che riguarda la
loro percezione, e la fonetica acustica che analizza la natura del suono, la sua consistenza fisica e la
sua trasmissione. La fonologia invece opera per contrasto e si occupa di come distinguere un
suono, da un altro determinando quali siano i fonemi appartenenti ad una determinata lingua, essa
ha pertanto una funzione più astratta. Per individuare i fonemi della lingua la fonologia si avvale del
metodo delle coppie minime, che permette di valutare suoni con caratteristiche estremamente
simili ma che mantengono il loro val ore individuale.

8. Che cos’è la morfologia?


Il termine morfologia deriva dal greco ‘morphé’ che vuol dire ‘forma’ e da ‘logos’ cioè ‘discorso’ ed
è il secondo livello di analisi della lingua. Consiste nello studio della ‘forma’ appunto della parola,
quindi della sua struttura e dei suoi elementi compositivi e della loro organizzazione. Ad esempio
nelle lingue flessive le parole sono composte di una radice che indica il campo semantico della
parola ed una desinenza che flettendosi aggiunge varie informazioni alla parola. Per esempio dalla
flessione possiamo determinare genere, numero, caso. Oltre alla desinenza abbiamo altri elementi
modificatori come prefissi e suffissi che possono cambiare il significato e la funzione della parola.
Gli elementi modificatori possono stare sia a destra che a sinistra dell’elemento che modificano a
seconda delle lingue e dei casi. Il latino ad esempio aveva un complesso sistema di casi, oltre ad
utilizzare i prefissi, che si perde nelle lingue neolatine ad eccezione del rumeno che si sviluppa
isolatamente. I prefissi dunque assumono un ruolo sempre più importante. Nell’analisi morfologica
ad esempio dell’italiano, si studiano ed analizzano tutti quei fenomeni che concernono la parola in
prospettiva diacronica. Rispetto al latino per esempio l’italiano ha sono due generi e cancella il
neutro. Il rumeno invece decide di mantenerlo. Per quanto riguarda il numero invece, vediamo che
l’italiano adotta il plurale vocali mentre altre lingue romanze come lo spagnolo ed il francese
adottano quello sigmatico, entrambe le forme coesistevano nel latino. O ancora per quanto
riguarda gli aggettivi comparativi e superlativi, notiamo che il latino prediligeva le forme sintetiche,
dunque esprimeva la quantità dell’aggettivo in una sola forma, in un unico elemento modificatore,
mentre le lingue neolatine e non solo come nel caso dell’inglese ad esempio, prediligono forme
analitiche.

9. Qual è il modo ed il luogo di articolazione delle consonanti?


All’interno della fonetica troviamo la definizione di modo e luogo di articolazione delle consonanti
di una lingua. All’interno dei modi di articolazione in italiano possiamo distinguere tra: occlusive
(nasali o orali), fricative, affricative, liquide (all’interno delle quali abbiamo laterali e vibranti) ed
approssimanti. Ognuno di questi modi ha poi i suoi luoghi di articolazione che, sempre nel caso
dell’italiano, sono: labiali o bilabiali, dentali, labiodentali e alveolari, palatali, velari. A questi in altre
lingue si aggiungono: uvulari, faringali e glottoidali o laringali, che sono meno usati perché vengono
prodotti ancora più indietro all’interno della bocca. Ogni lingua sceglie la propria combinazione di
modi e luoghi di articolazione, nessuna li usa tutti. Nello specifico le combinazioni scelte
dall’italiano sono:

 Le occlusive orali sono quelle consonanti momentanee nelle quali il fiato si interrompe, ad
esempio ‘T’ e ‘D’. I suoi luoghi di articolazione sono:
 le bilabiali -> es penna, bello
 le dentali -> es tema, dove
 le velari -> es casa, gola

o Le nasali appartengono alla categoria delle occlusive e sono quelle consonanti il


cui suono viene prodotto con l’occlusione anche della cavità nasale. I suoi luoghi di
articolazione sono:
 Bilabiale es. mamma
 Dentale es. nero
 Labiodentale es. invito
 Palatale es. gnomo (digramma ‘gn’)
 Velare es. ancora

 le fricative sono quelle consonanti continue invece nelle quali il suono è prodotto dalla
frizione degli organi come ad esempio nelle consonanti ‘S’ o ‘Z’. I suoi luoghi di
articolazione sono:
 labiodentali: es ferro, vino
 dentali: es sole slavo
 palatali: es scena
 Infine abbiamo le affricative ossia quelle consonanti che sono composte dall’unione di
un’occlusiva ed una fricativa e trovano come luoghi di articolazione:
 Dentali es. pezzo, zenit
 Palatali es. cena, gelo
 Le liquide all’interno delle quali riuniamo i due modi di articolazione delle laterali e delle
vibranti:

o Le laterali nelle quali il suono viene prodotto dalla vibrazione dei margini della
lingua posta contro i denti che permettono al fiato di uscire lateralmente. I luoghi
dell’articolazione sono:
 Dentale es. lana
 Palatale es. gli (giglio)

o Le vibranti sono quelle consonanti in cui la lingua vibra per produrre le consonanti
 Dentale es. rosso

 le approssimanti sono quelle consonanti prodotte dall’approssimarsi della lingua al palato


come nel caso del digramma ‘GL’. Esse possono essere semiconsonanti [j], [w] o semivocali
[i], [u] in quanto questo fono si trova al confine tra l’articolazione consonantica e quella
vocalica. Hanno il loro luogo di articolazione in:
 palatali

10. Cosa vuol dire ‘palatalizzazione’?


La palatalizzazione è un fenomeno linguistico che riguarda la diacronia per cui si rende palatale
appunto l’articolazione di un certo suono, la consonante viene ‘assimilata’ dal luogo di articolazione
della vocale che la segue. Questo fenomeno si verifica spesso nelle lingue romanze per esempio
quando l’occlusiva velare incontra una vocale palatale: quindi ‘i’, ‘e' ma anche ‘a’ in alcuni casi che,
come ad esempio nel friulano, nel francese e nel ladino, seppure sia una vocale centrale, palatalizza
comunque la consonante che la precede. È il caso di ‘CABALLUM’ da cui si ottiene la forma ‘cheval’
del francese in cui da velare la ‘c’ diviene fricativa palatale in ‘ch’. Un altro esempio è il caso di
‘CENTUM’ latino che viene palatalizzato nel ‘cento’ italiano, questo perché la ‘e’ è vocale palatale
preceduta dalla ‘c’, un’occlusiva velare, che si trasforma in affricata palatale nella forma italiana.
Questo fenomeno viene definito come assimilazione parziale basata sul principio linguistico di
economia dell’articolazione, che permette alla lingua di essere più scorrevole e semplice nella
pronuncia.

Un altro caso è quello della palatalizzazione della ‘muta cum liquida’ ossia del nesso consonantico
composto da consonante seguita da ‘liquida’ quindi da ‘L’. Questo nesso consonantico può o
palatalizzarsi o conservarsi a seconda dei casi. Ad esempio la parola latina ‘CLAVEM’ viene
palatalizzata nelle forme dell’italiano (chiave), del veneto (ciave) e del rumeno (Chieve) ma
conservata nel francese (Clé) e nel friulano (claf).

Infine abbiamo il caso della ‘N’ e della ‘L’ che si palatalizzano quando incontrano una semivocale
palatale. Ad esempio la parola latina ‘FAMILIA’ si palatalizza nell’italiano ‘famiglia’: la laterale
dentale ‘L’ diviene la palatale ‘GL’ a contatto con la semivocale palatale ‘J’.

11. Che cosa vuol dire ‘lenizione’?


La lenizione è un indebolimento delle consonanti intervocaliche, ossia che si trovano in una
posizione di maggiore debolezza della consonante perché essa è circondata da 2 vocali (sonore) che
sonorizzano l’articolazione della consonante. La prospettiva è sempre quella diacronica. In questo
caso l’occlusiva diviene fricativa che essendo un suono più debole richiede meno sforzo nell’essere
pronunciata. Ad esempio nella parola latina ‘CABALLUM’ la ‘b’ è una consonante intervocalica, in
particolare un’occlusiva labiale che viene lenita nell’italiano ‘cavallo’ con la fricativa labiale ‘v’. La
sonorizzazione è un caso di lenizione in cui un’occlusiva velare sorda diviene sonora. In questo caso
il suono sordo si assimila alle vocali sonore che lo circondano, infatti anche la lenizione come la
palatalizzazione fa parte dell’assimilazione, ossia di quel fenomeno fonetico che risponde al
principio dell’economia dell’articolazione.

12. Che cos’è la dittongazione? E la monottongazione?


Entrambi i fenomeni si verificano nel passaggio da latino a neolatino ed interessano il vocalismo.
La monottongazione è quel fenomeno fonetico che consiste nella riduzione dei dittonghi latini ‘ae’,
‘oe’ ed ‘au’ ad un’unica vocale la cui altezza si assesta in una posizione media fra le due. Ad
esempio nel caso di ‘TAURUM’ il dittongo ‘au’ monottonga in ‘o’ perché tra la ‘a’ che è vocale bassa
e la ‘u’ che è vocale alta resta la vocale media ‘o’ portando alla forma italiana di ‘toro’.
Contrapposta alla monottongazione è la dittongazione fenomeno fonetico nella quale una vocale
viene trasformata in un dittongo, esso interessa le vocali medie che presentano una maggiore
incertezza nel luogo di articolazione proprio per la loro altezza: quindi la ‘e’ per le vocali anteriori e
la ‘o’ per le vocali posteriori che dittongano quando sono toniche in sillaba aperta. Vi sono vari casi
di dittongazione con esiti differenti a seconda della lingua romanza di arrivo, per esempio nel caso
di ‘FOCUM’ l’italiano dittonga la ‘o’ in ‘uo’ con la forma finale ‘fuoco’ mentre lo spagnolo, che
presenta le stesse condizione di dittongazione, giunge ad un esito differente con l’uso del dittongo
‘eu’ ottenendo così ‘fuego’. In italiano la vocale viene per regola anticipata dalla semivocale
corrispondente quando si trova in sillaba aperta; quindi la ‘o’ viene anticipata dalla corrispondente
semivocale ‘u’. Similarmente avviene per la vocale anteriore ‘e’ che viene anticipata dalla sua
rispettiva semivocale ‘i’ nel dittongo ‘ie’ come nell’esempio di ‘PETRAM’ che dittonga in ‘pietra’ in
italiano, in questo caso anche lo spagnolo opera la stessa scelta linguistica ottenendo col dittongo
‘ie’ la parola ‘piedra’.

13. Qual è la differenza tra consonante fricativa ed occlusiva?


Le consonanti occlusive sono prodotte attraverso una momentanea e totale occlusione del canale
fonatorio, alla quale segue il passaggio dell’aria. Le fricative invece sono consonanti prodotte con
una chiusura parziale dell’apparato fonatorio che al passaggio dell’aria provoca una specie di
‘frizione’ da cui deriva appunto il nome di questo modo di articolazione. Questi al contrario delle
occlusive possono essere suoni prolungati, per questo le fricative sono dette continue, mentre le
occlusive ‘momentanee’. Ad esempio vediamo che il fonema ‘D’ rispetto alla ‘Z’ occlude totalmente
il canale fonatorio. Seppure entrambi abbiamo lo stesso luogo di articolazione, il passaggio dell’aria
avviene in modo differente. Nel caso invece ad esempio del fonema ‘S’ quest’ultimo assume suoni
differenti ad inizio parole rispetto per esempio a quando è intervocalico. Ad esempio ‘sole’ è
fonema sordo, mentre ‘asino’ è sonoro, un’eccezione è rappresentata dalla parola ‘slavo’ in cui pur
essendo iniziale la ‘s’ risulta sono.

14. Le vocali dell’italiano?


Le vocali sono quei suoni dall’articolazione ampia, prodotti senza che il fiato incontri ostacoli nella
cavità orale. Per la produzione delle vocali sono fondamentali due fattori: la posizione della lingua
che può essere avanzata o arretrata suddividendo le vocali in: anteriori o palatali (i,e,ԑ), posteriori o
velari (ᴐ,o,u) e centrali (a); e l’altezza della lingua che distingue fra vocali: alte, medio-alte, medie,
medio-basse e basse. Un altro fattore determinante è l’arrotondamento o meno delle labbra, che
suddivide le vocali in procheile (arrotondate) ed aprocheile (non arrotondate). Infine troviamo le
vocali nasali in cui partecipa anche l’occlusione della cavità nasale, tipiche del francese, che però
nell’italiano non sono presenti.
Le vocali dell’italiano sono schematizzate all’interno del triangolo vocalico e sono 7 in posizione
tonica, 5 in posizione atona. Il latino invece presentava 10 vocali di cui 5 lunghe e 5 brevi, la
lunghezza delle vocali si è persa nelle lingue neolatine, l’italiano ha in compenso guadagnato
rispetto al latino un ulteriore grado di altezza.

15. Quali sono gli alfabeti?


La parola ‘alfabeto’ deriva dalle prime due lettere (‘alfa’ e ‘beta) di uno dei più antichi alfabeti,
quello greco ed indica un sistema convenzionale di rappresentazione della lingua attraverso dei
segni grafici. Esistono varie tipologie di alfabeto. Uno dei più noti è l’alfabeto fonetico a cui
appartiene l’italiano e che traduce i suoni in grafemi, digrammi, trigrammi e segni diacritici che si
aggiungono ai grafemi alterandone il valore adattandosi meglio alle esigenze della lingua, questo
alfabeto fissano il suono della parola, alcuni elementi particolari significativi dell’espressione
verbale in contrapposizione ideologica con gli alfabeti ideografici e pittografici che invece scelgono
di rappresentare l’idea. Ad esempio gli accenti o la dieresi sulle vocali ma anche la cediglia, in
francese, sulle consonanti. L’alfabeto fonetico spesso deriva da quello sillabico che rappresenta
solo le consonanti ed aggiunge le vocali come segni diacritici, è il caso dell’alfabeto arabo, fenicio e
minoico, saranno poi i greci ad introdurre le vocali. Gli alfabeti ideografici invece rappresentano
una grandissima varietà di soggetti attraverso dei simboli che richiamano ad un’idea’ appunto.
L’esempio più importante al giorno d’oggi di questo alfabeto è il cinese con i suoi oltre 5000
ideogrammi. L’alfabeto pittografico trova la sua più grande realizzazione nel sistema dell’antico
Egitto che prevedeva piccoli disegni per rappresentare un’idea. Sia l’alfabeto ideografico che quello
pittografico sono più naturali ma molto meno efficaci rispetto a quello fonetico pur restando tutti
validi nella comunicazione. L’elemento comune a tutti è la scrittura. Altre tipologie di alfabeto sono
il Breil per i ciechi, un sistema costituito da punti in sovrimpressione su un foglio, l’alfabeto Morse
utilizzato tramite telegrafo per inviare brevi messaggi con un sistema di punti e linee e l’alfabeto
LIS, ossia la lingua dei segni, che cambia da paese a paese per permettere la comunicazione con i
sordi. Gli alfabeti sono una convenzione, in grado di modificarsi secondo le esigenze della lingua per
rappresentare al meglio la realtà in cui si vive. Un chiaro esempio di questo è il caso della Moldavia
che a seguito della 2° guerra mondiale venne spartita in due e la parte orientale entra a far parte
della Unione Sovietica russa. A seguito di queste modifiche politiche, essa decise di adottare
l’alfabeto cirillico pur mantenendo la lingua intatta semplicemente traslitterando le parole.

16. Che cos’è un grafema?


Il grafema è l’unità grafica elementare della scrittura, consta per esempio della lettera negli alfabeti
fonetici, e l’insieme di tutti i grafemi di una lingua ne costituisce l’alfabeto. Ad esempio nella lingua
italiana i grafemi sono 21 e derivano dai grafemi latini che erano 23. Dal latino si perdono x,y,k e si
acquisisce invece la ‘u’. Inoltre oggi in italiano abbiamo oltre alle 21 lettere italiane anche 5 lettere
straniere k,j,x,y,w che vengono usate nella lingua per via dei frequenti fenomeni di prestiti
linguistici. I grafemi, combinati fra loro in un’infinta serie di possibilità, ci permettono di formare
parole anche nuove per rappresentare concetti nuovi. Ad alcuni grafemi possono corrispondere più
fonemi come nel caso del grafema ‘s’ che corrisponde sia al fonema /z/, una sibilante sorda, che al
fonema /s/. Un altro caso particolare è quello del grafema ‘c’ che indica il suono /k/ che però può
essere rappresentato anche dal digramma ‘ch’.

17. Cos’è un digramma?


Il digramma è l’unione di due grafemi, per permettere di venire in contro ad una specifica necessità
della lingua di produrre suoni differenti. L’italiano con le sue evoluzione trova ed adotta alcune di
queste soluzioni per rappresentare suoni che prima non esistevano in latino. Un esempio di
digrammi nella lingua italiana è la forma ‘ch’ frutto della palatalizzazione di parole latine come nel
caso di ‘Clabem’ che diventa ‘chiave’. Un altro esempio è ‘gl’ che si forma dalla palatalizzazione
della liquida latina ‘L’ come nell’esempio della parola ‘familia’ che diviene in italiano ‘famiglia’.

18. L’evoluzione dell’alfabeto da latino a italiano? Perché l’alfabeto cambia?


L’italiano prende molti dei suoi grafemi dal latino giacché deriva da esso ma le due lingue pur
avendo un legame di parentela sono distinte e pertanto rispondo a necessità differenti con
differenti alfabeti. Mentre l’italiano presenta 21 grafemi più 5 grafemi stranieri ormai entrati nel
nostro alfabeto a causa dei frequenti prestiti linguistici soprattutto, il latino 23. Dal latino vengono
elisi i grafemi x, y e k, in compenso si aggiunge la vocale ‘u’ che non era presente. L’alfabeto cambia
perché cambia la lingua e cambiano le sue necessità dunque le servono nuovi strumenti per
rappresentare una realtà linguistica differente. L’alfabeto è una semplice convenzione di
rappresentazione adottata dalla lingua. È la lingua stessa a stabilire in termini di economia della
lingua quali scelte operare in base a cosa risulti più adeguato a rappresentare quel contesto sociale
e culturale.

19. Come si rappresenta in italiano l’occlusiva velare sorda?


L’occlusiva velare sorda viene rappresentata nell’alfabeto fonetico internazionale come [k] e ha
varie possibilità di rappresentazione in italiano: col grafema ‘c’ davanti alle vocali posteriori ‘o’ ,‘u’
ma anche ‘a’, come nell’esempio di ‘cane’; ma anche col digramma ‘ch’ quando invece è seguita da
vocale palatale quindi ‘e’ oppure ‘i’ come nella parola italiana ‘chiave’ che rispetto alla sua forma
originaria latina ‘CLABEM’ ha palatalizzato la ‘c’ proprio per recuperare il suono dell’occlusiva
velare-. Inoltre con i prestiti linguistici, soprattutto dalla lingua inglese, abbiamo introdotto anche
l’uso della ‘k’ o del digramma ‘ck’ per parole come ‘check-in’ oggi di uso molto comune. Un
ulteriore modo di rappresentare l’occlusiva velare sorda è con la ‘q’ seguita dalla ‘u’, che è una
grafia storica, etimologica derivata dal latino che troviamo ad esempio nella parola italiana
‘quadro’. Tutti queste possibili rappresentazioni di uno stesso suono sono il chiaro segno
dell’evoluzione e delle scelte evolutive operate dalla lingua dalle grafie etimologiche che rimangono
insediate nella lingua a quelle acquisite a seguito dei più recenti prestiti linguistici passando per le
innovazioni apportate alle forme originarie latine tramite la palatalizzazione in questo caso.

20. Esempi di grafemi polivalenti in italiano?


I grafemi polivalenti sono quei grafemi che posso assumere più valori, ad esempio abbiamo visto
come il grafema ‘c’ possa assumere valore di occlusiva velare sorda davanti alle vocali ‘a’, ‘o’ ed ‘u’
e di affricata palatale sempre sorda davanti alla ‘i’ ed alla ‘e’. Un altro esempio di grafema
polivalente è il caso della vocale media che può essere sia medio-alta o medio-bassa a seconda
delle occasioni come nel caso della parola ‘botte’ che può assumere due differenti significati a
seconda che la ‘o’ sia O ancora il caso del grafema ‘s’ a cui corrispondono sia il fonema /z/ che il
fonema /s/, può dunque assumere valore di sorda o sonora a seconda della posizione che occupa.
Quando si trova ad essere intervocalica come nel caso della parola ‘caso’ essa è sonoro mentre in
‘posta’ è sordo.

21. Che cos’è la coppia minima?


La coppia minima in fonologia è una coppia di parole che attraverso la modifica di un solo fonema
al suo interno cambiano di significato. La coppia minima viene introdotta nella fonologia da
<<Trubeckoj per distinguere i fonemi fra loro differenti secondo la regola per cui questi si
definiscono differenti se nella stessa posizione in una parola ne alternano il significato. Ad esempio
è il caso di seta che diviene sera assumendo un significato totalmente diverso, perché il fonema ‘t’
si distingue dal fonema ‘r’. Un esempio corrispondente con le vocali è il caso della ‘o’ e della ‘ᴐ’
nella parola ‘botte’ che assume significato o di contenitore, o di percosse a seconda del fonema che
scegliamo di utilizzare. La prova delle coppie minime può avvenire soltanto fra fonemi con tratti
fonetici molto simili se non per una o due caratteristiche.

22. La sillaba?
La sillaba è un fonema o un insieme di fonemi che costituiscono gruppi stabili nella catena parlata.
Essa può essere aperta, anche detta libera, quando esce in vocale ad esempio nella parola “Friu-li”
la prima sillaba è aperta perché esce in ‘u’; oppure chiusa, anche detta implicata, quando la sillaba
esce in consonante ad esempio nella parola “stal-la” la prima sillaba è chiusa perché esce in ‘l’.
Sempre nell’esempio di ‘stal-la’ vediamo che nel caso di un nesso consonantico, in questo caso
formato da una liquida geminata, esso si divide fra due sillabe differenti. Ciò che foneticamente è
un ‘nesso’ un insieme di foni, dal punto di vista grafico è invece separato, dunque abbiamo un
contrasto tra fonetica e grafia. Possiamo classificare una parola in base al numero di sillabe presenti
in essa in: monosillabo (es. quiz), bisillabo (es. stella), trisillabo (es. quaderno), quadrisillabo (es.
capitano) e polisillabo (es. preposizione, paragonabile, ecc …).

23. L’accento?
L’accento è un segno diacritico posto sulle vocali per segnalare che essa sostiene la forza espiratoria
della parola, ci aiuta quindi a stabilire come pronunciare una parola giacché la sillaba contente
l’accento ha maggiore rilievo rispetto alle altre. L’accento può essere distinto per il modo in cui
mettono in rilievo la sillaba in:

 Accento espiratorio: nel caso dell’italiano e non solo, e consiste nell’aumento dell’intensità
della voce. L’accento ci permette di distinguere le parole omografe, come nel caso ad esempio
di ancòra e àncora.
 Accento musicale o melodico: ad esempio nel cinese, nel serbo-croato e nel greco antico, esso
che cambia l’intonazione ed il significato delle parole aumentando l’altezza della voce.

Oppure possiamo suddividere le tipologie di accento in base alla posizione di quest’ultimo all’interno della
parola ci permette di distinguere fra varie tipologie di accento adottate dalle diverse lingue indoeuropee:

 accento libero: usato in italiano, in cui esso si può posizionare su varie sillabe, più di frequente sulla
penultima.
 Accento relativamente libero: in cui l’accento, pur non essendo determinabile a priori, cade
sempre in uno stesso ambito sillabico, questo sì, determinabile a priori come nel caso dello
spagnolo in cui l’accento può cadere solo sulle ultime 3 sillabe.
 Accento condizionato: quando la posizione dell’accento è legata alle caratteristiche fonologiche del
vocabolo, come nel latino, ad esempio.
 accento fisso: tipico di altre lingue, come il caso del francese in cui l’accendo tende a cadere sulla
sillaba finale o del ceco in cui cade sulla sillaba iniziale. In questo caso l’accento perde il suo valore
distintivo o lo riduce nettamente.
 accento assolutamente libero: in cui tende a cadere non secondo regole grammaticali ma secondo
la tradizione linguistica, come nel caso del russo.

Possiamo inoltre distinguere le parole in base alla sillaba in cui esso cade in:

 vocaboli ossitoni o tronchi: l’accento cade sull’ultima sillaba es. partirà, ciò …
 vocaboli parossitoni o piani: in cui l’accento cade sulla penultima sillaba, caso
più diffuso nell’italiano, come ad esempio: stampante, andare, ecc…
 vocaboli proparossitoni o sdruccioli: quando l’accento cade sulla terzultima
sillaba come in: alimentano, mettere, ecc…
 vocaboli bisdruccioli, trisdruccioli e quadrisdruccioli: in cui l’accento cade
rispettivamente sulla quartultima, quintultima e sestultima sillaba come ad
esempio in: considerano, comunicamelo, fabbrichiamocelo. Queste forme sono
possibili solo prendendo voci verbali con l’aggiunta di pronomi enclitici, dunque
posti dopo il verbo e privi di accento.

24. Lunghezza dei foni? Differenze fra latino e italiano?


La quantità di vocali e consonanti può alterarne il significato. Nell’italiano non troviamo vocali
lunghe che invece erano presenti nel latino, ma possiamo trovare consonanti lunghe nel caso delle
consonanti geminate, contrapposte alle scempie. Le vocali lunghe del latino erano veri e propri
fonemi con valore distintivo non solo a livello semantico ma anche per distinguere le diverse
funzioni della parola. Se il latino vedeva il contrapporsi di vocali lunghe e brevi l’italiano invece
contrappone consonanti scempie e geminate. Un esempio di geminata è il caso di ‘fato’ e ‘fatto’
che hanno come unica differenza morfologico-fonetica la lunghezza della consonante ‘t’ che ne
altera completamente il significato. Nel latino invece possiamo trovare l’esempio di ‘MALUM’ che a
seconda della lunghezza della ‘a’ può indicare sia la ‘mela’ che il ‘male’.

25. Classificazione delle lingue?


Gli scienziati non hanno raggiunto un accordo sul numero ufficiale delle lingue mondiali perché i
criteri di classificazione delle lingue possono essere vari. Le prime classificazioni iniziarono agli inizi
dell’800 da parte dei glottologi che iniziarono a classificare le lingue antiche, quindi latino, greco,
gotico e sanscrito, per poi passare a quelle moderne che da esse derivavano. La scelta di partire
proprio dalle lingue classiche non fu casuale, queste infatti oltre ad essere le prime lingue a
sistematizzare la natura e la conoscenza e quindi ad essere progenitrici delle lingue moderne, sono
anche dotate di un corpus ben definito e chiuso giacché non vengono più parlate e per tanto la loro
analisi era molto più chiara e duratura rispetto a quella delle lingue moderne in continua
evoluzione con l’uomo stesso. Oggi possiamo classificare le lingue in 3 modi:

 Classificazione genealogica: che ricostruisce i rapporti di parentela storici ed evolutivi fra le


lingue come ad esempio le lingue romanze che sono ‘figlie’ del latino. In questo caso si
adotta una prospettiva diacronica, una riflessione storica.
 Classificazione tipologica: volta a descrivere il funzionamento di una determinata lingua in
base alle sue strutture. Ad esempio l’italiano rientra nella tipologia delle lingue flessive
(composta dunque da radici e desinenze che flettendosi specificano determinate
caratteristiche ad esempio nel caso dei nomi io posso indicare genere e numero attraverso
la flessione), contrapposta a quella delle lingue agglutinanti, come l’ungherese, che
aggiungono invece una serie di suffissi alle parole per aggiungere informazioni. Qui la
prospettiva è sincronica, e dato che questa classificazione si basa sulle categorie che
compongono la lingua, ci permette di comparare qualunque lingua anche se non hanno una
storia comune o alcun legame di parentela.
 Classificazione areale: essa è indipendente sia dalla storia che dalla struttura della lingua e
si concentra sull’analisi delle lingue parlate in una determinata area geografica,
analizzandone le interazioni a prescindere che esse abbiano o meno origini comuni.

26. La famiglia delle lingue indoeuropee?


All’interno della classificazione genealogica troviamo la famiglia delle lingue indoeuropee ossia di
tutte quelle lingue che derivano dall’indoeuropeo una lingua antica da cui deriverebbero tutte o
quasi le lingue parlare nell’area europea, e non solo, esso infatti è l’unica lingua di cui si trovano
presenze in tutti i continenti della Terra. All’interno di questa famiglia troviamo vari gruppi:
 Il gruppo indo-iranico: che comprende a sua volta due macro categorie al suo interno che
sono Indiano ed Iranico.
 Il gruppo tocario: che comprende due lingue estinte il ‘Tocario A’ ed il ‘Tocario B’ diffuso in
una regione cinese nel I millennio
 L’armeno: considerata come lingua a sé stante, isolata.
 Albanese: considerato a sé stante, isolata, continua la lingua degli illiri che si erano stanziati
sulle coste della Dalmazia e dell’Epiro, l’area oggi corrispondente all’Albania. Essi ebbero
vari contatti con l’Italia ed in particolare con Venezia e con i messapi in Puglia. I turchi
influenzarono nei loro tentativi di conquista e con le loro pressioni la lingua. L’odierno
albanese venne consolidato soltanto dopo la prima guerra mondiale in maniera definitiva
partendo dalla varietà dell’area sud dell’Albania in cui si parlava il ‘Tosco’, mentre nell’area
settentrionale si parlava il ‘Ghego’.
 Il gruppo slavo: che comprende russo, bielorusso, ucraino, polacco, ceco e slavo, bulgaro,
macedone, serbo-croato, sloveno vedi domanda 30.
 il gruppo baltico: che comprende lituano, lettone ed antico prussiano.
 Il Greco: ed i suoi dialetti antichi, come per esempio la comunità grecofona del salento
nella così detta ‘Gricia’. Il greco oggi è lingua ufficiale anche di Cipro che attualmente ospita
l’ultima cortina di ferro europea ed è divisa in parte nord di dominazione turca e parte sud
di dominazione greca, anche e soprattutto nel sentimento popolare.
 Il gruppo germanico: vedi domanda 28
 Il gruppo celtico: vedi domanda 29
 Il gruppo italico: dell’Italia antica che comprendeva l’area dagli appennini in giù, giacché
sopra vi erano i celti. Possiamo qui distinguere vari gruppi interni:
 Gruppo italico orientale: con le lingue dell’Italia antica come umbro, tosco
e sannita
 Gruppo italico occidentale: con il LATINO che darà origine alle lingue
romanze di tutta l’area europea.

27. Cos’è l’indoeuropeistica? Che metodi di ricerca utilizza?


Il romanticismo europeo nell’ ‘800 abbiamo un nuovo interesse per le lingue e la cultura locale che
da l’avvio agli studi glottologici coi quali si scoprono le varie caratteristiche comuni alle lingue
europee e non solo e si ipotizza l’esistenza dell’indoeuropeo, ossia di un’unica lingua da cui derivino
le lingue classiche: il latino, il greco, il gotico ed il sanscrito, partendo dai loro tratti linguistici
comuni, dalle rispondenze nel funzionamento fra queste lingue. Il metodo di ricerca è quello storico
comparativo dunque, che guarda alla storia della lingua nella sua evoluzione e ne compara i vari
aspetti dal punto di vista genealogico. Tutte le lingue scelgono modi differenti di innovarsi anche in
base alle esigenze a cui esse devono rispondere.

28. Le lingue germaniche?


Sempre all’interno delle lingue indoeuropee troviamo le lingue germaniche suddivise in:

 germanico orientale: col gotico, oggi estinto, lingua in cui venne perfino tradotta la Bibbia.
 germanico settentrionale: con lo svedese, il danese, il norvegese, l’islandese.
 germanico occidentale: che si divide in due rami:

 Ramo anglo-frisone: inglese e frisone (in Frisia)


 Ramo neerlando-tedesco: tedesco, yiddish, neerlandese (parlato nei Paesi
Bassi e nelle Fiandre in Belgio), afrikans (parlato dai boeri olandesi in africa)

29. Le lingue celtiche?


Sempre all’interno delle lingue indoeuropee troviamo il gruppo celtico, ossia di quella popolazione
che venne poi chiamata dai romani ‘gallica’ e conquistata da questi ultimi. Un tempo questi
occupavano tutta l’Europa occidentale quindi penisola iberica e Gallia, oggi gli unici celti
continentali sono i bretoni nella Francia del nord. Anch’esso può essere suddiviso in due
sottogruppi:
i. Gaelico: irlandese, che è l’unica lingua celtica ad essere anche lingua ufficiale di
uno stato, scozzese, mannese e gaelico
ii. Britannico: gallese, cornico (parlato in Cornovaglia ed oggi estinto), bretone

30. Le lingue slave?


Il gruppo slavo presenta molti tratti linguistici comuni e parte dalla lingua madre del russo che
contra circa 150 milioni di parlanti oggi. Esso comprende circa 20 lingue e che possiamo suddividere
in 3 sottogruppi principali:

 Slavo orientale: russo, bielorusso, ucraino


 Slavo occidentale: polacco, ceco, slavo
 Slavo meridionale: bulgaro, macedone, serbo-croato, sloveno

31. Le lingue non indoeuropee dell’Europa?


In Europa troviamo divere lingue non indoeuropee. Prima fra tutte il Basco, unica lingua
preindoeuropea ancora presente in Europa, parlato principalmente in Spagna, conta circa 1 milione
di parlanti. Questa varietà presenta tratti delle lingue mediterranee più antiche. Essa è il vessillo dei
Paesi Baschi nella loro lotta all’indipendenza, sui Pirenei occidentali. Le popolazioni uraliche con le
lingue ugro-finniche sono un altro rappresentante importante di questa categoria, esse vengono
parlate nell’Europa orientale e sono: ungherese, finnico ed estone. In particolare ricordiamo che le
comunità ungheresi si trovano anche al di fuori dei confini nazionali in Transilvania, nell’area dei
Carpazi, ed ancora la comunità dei Cianghi, sita nel Mar Nero. Inoltre troviamo il Turco, ed il
Maltese, unico rappresentante dell’arabo in Europa, non indoeuropeo.

32. Quali sono le lingue della penisola iberica?


Nell’area della penisola iberica vengono parlate tantissime lingue e varietà differenti, tuttavia, le
lingue dominanti sono naturalmente il Portoghese, lingua ufficiale del Portogallo, ed il Castigliano,
lingua ufficiale della Spagna. La Castiglia nei secoli ha avuto un ruolo fondamentale come fattore
unificatore per la penisola, Portogallo escluso naturalmente, oltre ad aver condotto la ‘reconquista’
delle aree sotto la dominazione araba. La Castiglia oggi corrisponde soltanto all’area settentrionale
della Spagna:

 Portoghese: lingua che avrà fortuna anche grazie alle colonie che questo piccolo ma
potente stato costruirà in Africa, e soprattutto in Brasile.
 Gallego o Galiziano: varietà ‘ponte’ molto vicina al portoghese linguisticamente, ma
politicamente, la Galizia è sempre stata spagnola, con circa 3 milioni di parlanti.
 Asturiano: parlato nel principato di Asturia, schiacciato sulla costa settentrionale, da
sull’Oceano, è una regione di circa 1 milione di abitanti.
 Catalano: parlato non solo in Catalogna, ma anche nel ‘paese valenziano’ ed alle Baleari.
Queste 3 regioni hanno complessivamente 10 milioni di parlanti su 40 milioni di
popolazione spagnola complessiva. Oltre alla questione politico vi è l’accesa e tutt’ora in
atto una questione politica, ad essa strettamente connessa. Questa lingua è una varietà
ponte fra il Castigliano ed il Francese. È la lingua ufficiale del principato di Andorra e viene
parlato anche ad Alghero da una piccola comunità, nella fascia pirenaica.
 Basco: circa 1 milione su 3 milioni di abitanti della regione lo parla ancora, questa è una
lingua preindoeuropea dai tratti mediterranei. Simbolo dell’indipendenza dei Paesi Baschi.

Insomma le varietà regionali che in Spagna hanno lo statuto di lingue co-ufficiali accanto al Castigliano, che
garantisce l’uso pubblico tramite statuti regionali.

33. Quali sono le lingue della Francia?


Nell’area Gallo- romanza troviamo altrettanta varietà che però viene spesso repressa dal
sentimento nazionalista francese che tende a prediligere la lingua nazionale ed a non riconoscere
varietà secondarie, al contrario della Spagna. In Francia troviamo:

 lingua d’oil: che corrisponde al Francese ufficiale dell’ile de France e delle aree limitrofe.
 Provenzale o varietà occitana: parlata nel Sud della Francia ebbe una straordinaria
importanza nel medioevo con la letteratura dei poemi cavallereschi che nascono proprio
qui. Si calcolano oggi circa 6 milioni di parlanti.
 Basco: parlato sui Pirenei Occidentali al confine col Paese Basco.
 Catalano: parlato in una piccola area di confine sui Pirenei
 Bretone: parlato in Britannia, una regione della Francia del nord, ultima rappresentanza
della lingua celtica nel continente.
 Aree germanofone: nelle comunità di confine con la Germania in Alsazia e Lorena in
particolar modo, regioni che per secoli sono passati ad appartenere ora alla Francia ora alla
Germania.
 Franco-provenzale: varietà che condivide tratti del francese settentrionale e del provenzale
parlato nell’area sud del Paese, parlata in Borgogna ed in Valle d’Aosta, quindi nelle alpi
occidentali.
 Corso: parlato in Corsica, varietà riconosciuta come a cavallo fra toscano e sardo. È fra le
pochissime varietà che conservano la ‘u’ finale dal latino, oltre al sardo ed al rumeno. Ha
circa 300 mila parlanti. Seppure linguisticamente il corso non sia una varietà che appartiene
all’area galloromanza, vi appartiene politicamente e per questo viene compresa in questa
macro-area.

34. Lingue e dialetti in Italia?


Il quadro linguistico italiano è talmente complesso e ricco da essere un laboratorio pregiato per
l’osservazione di fenomeni come la diglossia ed il bilinguismo, si ritiene che ci sia più varietà nella
sola Italia che nella intera Romània. Nell’area italo-romanza troviamo una moltitudine di lingue,
dialetti e varietà locali.

Nel nord Italia sono infinite troviamo il provenzale parlato nelle vallate piemontesi, il franco-provenzale in
Valle d’Aosta e nelle vallate piemontesi. Abbiamo poi l’area dei dialetti gallo-italici nella quale ai tempi
delle espansioni romane, l’Italia finiva con gli appennini e sopra, tutta l’area del attuale nord Italia era di
competenza dei Celti, che giungevano fino a sotto Rimini e parte delle marche, escluso il Veneto. Abbiamo il
ladino parlato nell’area cadorina, in Alto-Adige ed in Trentino. Le varietà tirolesi diffuse in Sud Tirolo, che
appartengono alle varietà tedescofone, giacché erano aree di pertinenza austriaca. Le comunità
germanofone delle alpi settentrionali che costituiscono una costellazione di isole linguistiche sparse per
tutta quest’area, come ad esempio il Saurino parlato in un piccolo paese del Friuli, Sauri appunto, costituito
da circa 500 parlanti. Più importante è il Friuliano una varietà storica e protetta dalla legge 482, che conta
oltre 500 000 parlanti. Varietà slovene parlate nell’area orientale del Friuli al confine con la Slovenia,
queste varietà tendono a prendere le distanze dallo Sloveno e a considerarsi varietà a sé stanti. Anche qui
troviamo una serie di micro-comunità molto legate però alla loro tradizione locale in contrapposizione con
la comunità slovena di Gorizia, periferia di Trieste e Corona che conta circa 50 mila parlanti e che viene
anch’essa protetta dalla legge 482. In Veneto troviamo l’omonimo dialetto che vanta 4 milioni di parlanti,
oltre ad una serie di varietà venete quali il cingolo dei comuni veronesi e le varietà cadorine nell’area di
Belluno e Cadore, oltre al ladino. Queste varietà subiscono molto meno l’influenza dei Celti non
appartenendo al loro dominio, ed essendo invece alleato di Roma.

Nel centro e sud Italia troviamo altrettante varietà, prima fra tutte la varietà Toscana che ebbe un ruolo
fondamentale nella storia linguistica italiana, dal Toscano del ‘300 si sviluppa infatti la base grammaticale
da cui si elabora lo standard italiano, grazie soprattutto all’opera di Dante. Abbiamo poi le parlate centrali
del Lazio settentrionale, dell’Umbria e delle Marche. A questa si aggiungono i vari dialetti della fascia
intermedia come il campano, il lucano ed il pugliese, ed i dialetti meridionali estremi: salentino, calabrese,
siciliano dai tratti molto particolari. Un caso a parte è rappresentato dalle varietà sarde: troviamo il sardo
settentrionale con Sassarese e Gallurese con influenze dal Corso, il lugudorese una varietà conservativa
dell’area settentrionale ed il campidanese sardo parlato nell’area meridionale dell’isola.

Infine abbiamo le comunità alloglotte, ossia di ‘lingua diversa’ quali il Catalano parlato ad Alghero, il Serbo-
croato in Abruzzo, l’arbereshe, ossia l’albanese di Italia, parlato in varie regioni del sud Italia, ed infine il
Grico, una varietà di origine greco-bizantina parlata nella provincia di Lecce.

35. Minoranze linguistiche alloglotte?


L’Italia come altri Paesi, è dotata di una normativa nazionale per il riconoscimento, la tutela e la
promozione delle comunità minoritarie, di ceppo linguistico differente, presenti sul Paese. Le
comunità alloglotte quindi di ‘lingua diversa’ sono in Italia:
1. la comunità tedesca del Sud Tirolo, una minoranza molto compatta di 150 mila parlanti circa
molto legata alle sue origini trova nella provincia di Bolzano una tutela completa
2. la comunità francese della valle d’Aosta in cui questa viene riconosciuta come lingua ufficiale, in
quanto varietà scritta, dell’ufficialità: dei provvedimenti, delle leggi e delle questioni
amministrative; mentre la quotidianità e la lingua parlata sono affidati alla varietà del franco-
provenzale.
3. lo Sloveno riconosciuto alle provincie di Gorizia e Trieste, di circa 50 mila parlanti la tutela
legava un tempo l’Italia con la Iugoslavia mentre oggi con le repubbliche eredi della Iugoslavia
(Slovenia e Croazia) in una tutela reciproca ed in una vicendevole promozione della lingua
alloglotta nei paesi, anche qui la tutela è molto alta.

Queste comunità alloglotte vengono tutelate dalla stessa costituzione con l’art. 6 che dice chiaramente che
“la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.” L’Italia è legata agli altri Paesi da
trattati internazionali e spesso vicendevoli in cui si impegna a tutelare queste realtà linguistiche.

36. Quali sono le lingue regionali minoritarie riconosciute in Italia? perché sono definite storiche?
In Italia dal 1999, con la legge statale 482 e lo statuto autonomo della provincia di Bolzano,
vengono tutelate 12 minoranze linguistiche: albanese (arbereshe), catalano, croato, francese,
franco-provenzale, friulano, grico, ladino, occitano, sardo e sloveno, tedesco. Alcune di queste
come il friulano e il sardo hanno una diffusione molto più ristretta, una dimensione più compatta
mentre altre comunità hanno una diffusione molto più ampia sul territorio, ed anche più sparsa
tante volte come la comunità arbereshe da anni stanziati in tutto il sud Italia in piccole comunità.
Troviamo anche delle isole linguistiche. Queste lingue vengono definite come ‘storiche’ perché
hanno rilevanza storica all’interno del patrimonio linguistico di un’area, essendosi da tempo
insediate in un determinato territorio. Tutte le ‘nuove minoranze’ frutto delle recenti immigrazioni,
come senegalesi, arabi, rumeni, albanesi, ecc… sono quindi escluse da questa categoria. Questa
legge non solo riconosce e tutela le minoranze ma le promuove all’interno delle varie comunità
stanziando anche dei fondi per permettere, ad esempio, il suo insegnamento nelle scuole, il suo uso
in amministrazione pubblica, e via dicendo.

37. Sono tutelate le lingue dei rom e dei sinti in Italia? Perché?
Le lingue dei rom e dei sinti non vengono tutelate in Italia perché oltre al fattore della rilevanza
storica, che queste comunità linguistiche presentano, esse mancano di un altro importante fattore
per rendere possibile la promozione e la tutela di una minoranza linguistica: la territorialità, la
connessione di una varietà locale con il territorio in cui si diffonde e viene parlata. La territorialità
implica la stanzialità, condizione necessaria per permettere allo Stato la promozione della lingua e
per affidarle un ruolo ufficiale, in ambito pubblico, scolastico, amministrativo e via dicendo. Questa
caratteristica chiaramente manca a queste comunità che sono note per essere nomadi.

38. Dove si trovano gli arbereshe?


La comunità arbereshe ossia gli “albanesi d’Italia” sono una comunità di isole linguistiche sparse per
tutto il sud Italia, in particolar modo in Calabria, ma se ne trovano anche in Campania ed in Sicilia e
Puglia. Questa minoranza etnico-linguistica si stabilì in Italia fra XV – XVIII secolo per sfuggire alla
conquista dell’Albania da parte dei turchi ottomani, inoltre tanti albanesi avevano militato nelle
compagnie di venutra e venivano compensati dai signori dell’Italia meridionale dell’epoca con delle
terre, un notevole incentivo alla migrazione. La loro cultura è stata gelosamente protetta e
conservata nel tempo. Essi hanno costituito una Chiesa sui Iuris di tradizione bizantina. La loro
lingua è l’Albanese nella variante meridionale ‘Tosca’. Si stima che siano circa 100 mila persone e
costituiscono una delle principali minoranze etniche storiche linguistiche d’Italia.

39. Dove si parla il Franco- provenzale?


Il Franco-Provenzale è una varietà che condivide tratti del francese settentrionale e del provenzale
parlato invece nell’area meridionale della Francia, viene parlata in Borgogna ed in Valle d’Aosta,
oltre che in alcune vallate piemontesi, quindi nelle alpi occidentali ed in particolar modo in
Borgogna. Nella Valle d’Aosta dove essa costituiva la lingua popolare, mentre la lingua
dell’ufficialità era il Francese, proprio per questo motivo oggi il Francese è riconosciuto come lingua
della Valle d’Aosta mentre il Franco-Provenzale, no, sebbene avesse una più ampia diffusione. Lo
studioso Graziadio Isaia Ascoli, importante glottologo, scrisse nel 1878 un volume sul franco-
provenzale, in cui analizza questa varietà.

40. Dove si parla il Catalano?


Il Catalano è oggi una delle lingue co-ufficiali della spagna e vanta 10 milioni di parlanti su un totale
di 40 milioni di popolazione spagnola. Esso ovviamente trova la sua patria nella Catalogna, una
delle 3 comunità autonome di Spagna, la regione spagnola al confine coi Pirenei, ma viene anche
parlato nel Paese Valenziano ed alle isole Baleari. Questa lingua ha una forte valenza anche in
ambito politico nella lotta ad oggi irrisolta della regione per ottenere l’indipendenza dalla Spagna. Il
catalano dunque è un forte elemento di identificazione per i suoi parlanti. Questa lingua viene
considerata una varietà ponte fra Castigliano e Francese data la collocazione geografica in cui nasce
la stessa lingua. Il Catalano è anche la lingua ufficiale dello Stato di Andorra, e viene parlato inoltre
da una piccola comunità sarda di Alghero e da alcune comunità francesi dall’altra parte dei Pirenei.
41. La lega linguistica dei Balcani (libro lingue d’Europa, rumeno, albanese, bulgaro, macedone,
ungherese)
La lega linguistica balcanica o  Balkansprachbund è l’insieme dei tratti linguistici comuni sia lessicali
che strutturali fra le lingue dell’area balcanica definita così per la prima volta da  linguista rumeno
Alexandru Rosetti nel 1958. È un esempio di interazione culturale dovuta alla condivisione degli
stessi spazi linguistici da parte di lingue che non presentano legami genealogici. Le lingue per loro
tendenza naturale si avvicinano e si influenzano a vicenda generando tratti culturali comuni o simili.
Le lingue appartenenti a quest’area sono: rumeno, albanese, bulgaro-macedone, greco, serbo-
croato oltre al turco e l’ungherese che si trovano nell’area balcanico-danubiana, che presenta
soltanto pochi tratti comuni però rispetto alle altre lingue. Notiamo inoltre la forte influenza
comune del greco antico in quanto lingua originaria parlata in tutta l’area balcanica ed il greco-
bizantino in quanto lingua della chiesa ortodossa. Non solo un legame linguistico dunque ma anche
culturale, religioso, geografico.

42. Il Veneziano è una lingua o un dialetto?


Il Veneziano viene considerato un dialetto perché esso non è riconosciuto come lingua dallo stato
italiano. Esso infatti non rientra in quelle 12 minoranze protette dalla legge 482 e dunque, per una
questione socio-linguistica e non qualitativa o quantitativa della varietà, esso viene considerato
dialetto. Seppure anche i dialetti abbiano lessico, struttura e anche in ambito sociale e possano
trovare la loro realizzazione addirittura in opere scritte, nel teatro, nella musica ecc, essi non
vengono usati nell’ufficialità, nell’amministrazione, nelle questioni pubbliche. Sebbene in passato
svolgesse anche queste funzioni, in particolar modo come lingua dei commerci nell’area del
mediterraneo orientale, ad oggi non è più così.

43. Il genovese è una lingua o un dialetto?


Stesso discorso della domanda precedente, è sempre un dialetto anche se il genovese un tempo
fosse una lingua assai diffusa ed usata anche in ambito ufficiale e commerciale oggi non più.

44. I tipi morfologici?


La morfologia si occupa dell’organizzazione dell’informazione, quindi della parola, del suo
significato e delle funzioni che ha che ci consentono di collocarla all’interno della frase. I tipi
morfologici sono:

 Tipo flessivo: qui le diverse relazioni grammaticali sono normalmente espresse da un unico
suffisso. Le parole attraverso la flessione interna, appunto, indica le diverse funzioni
grammaticali. Questo tipo è molto diffuso e produttivo. All’interno della categoria del tipo
flessivo riconosciamo due sottocategorie:

 Tipo flessivo sintetico: è il caso del latino in cui le relazioni


grammaticali si realizzano in una parola sola
 Tipo flessivo analitico: in cui le relazioni grammaticali possono
essere realizzate anche mediante più parole. È il caso dell’italiano.

 Tipo agglutinante: in questo caso ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni
grammaticali che devono essere indicate. Il turco è un tipico esempio di lingua
agglutinante, come anche l’ungherese.
 Tipo isolante: la morfologia in questo caso è quasi del tutto assente, sono assenti
distinzioni per genere numero caso o modo e tempo nel caso dei verbi. L’ordine delle
parole stesse è cruciale per indicare le relazioni fra esse. Ad esempio è il caso del
Vietnamita.
 Tipo polisintetico: una sola parola è in grado di esprimere tutte le relazioni che in altre
lingue necessitano di un’intera frase per realizzarsi. È il caso dell’eschimese

45. Differenza tra lingue flessive ed agglutinanti?


Una lingua flessiva è composta da radici e da desinenze, queste ultime flettendosi specificano varie
funzioni della parola. È il caso dell’italiano ed in generale delle lingue neolatine. Le lingue
agglutinanti invece aggiungono una serie di suffissi ognuno corrispondente ad un’unica
informazione, come nel caso dell’ungherese. Possiamo riconoscere pertanto una maggiore
trasparenza alle lingue agglutinanti rispetto a quelle flessive che per altro possono far
corrispondere più di una categoria ad una sola desinenza. Ad esempio la ‘o’ finale indica sia il
maschile singola nel sostantivo che la prima persona dell’indicativo nei verbi.

46. Tipi sintattici?


I tipi sintattici analizzano e classificano le lingue in base all’ordine in cui i suoi costituenti si
dispongono all’interno della frase dichiarativa, in particolar modo per quanto riguarda: soggetto,
oggetto e verbo. Dalla loro combinazione si ottengono sei soluzioni naturali, fra queste le più
frequenti sono:

1. Sogg+ ogg + verbo: tipico ordine della lingua latina, ma anche delle lingue indoeuropee
orientali ed altaiche (turco e giapponese)
2. Sogg + verbo + oggetto: l’ordine tipico delle lingue romanze
3. Verbo+ sogg + oggetto: ordine usato dalle lingue celtiche.

47. Differenza tra Romània antiqua e Romània Nova?

Con ‘Romania’ si indica l’estensione linguistica del latino che non coincide necessariamente con
l’estensione geografica dell’Impero romano. Esistono 3 tipi di romania:

 la romania antiqua: ossia il latino dell’epoca classica/imperiale nella sua più vasta espansione
che arrivò a comprendere: l’europa occidentale fino alla Grecia, la cui cultura si affiancò a
quella latina senza che vi fossero sovrapposizioni, l’africa settentrionale,
 La romania nova: ossia quei territori in cui si parlano lingue neolatine seppure i latini non vi
siano mai giunti, tramite successive conquiste da parte degli europei, come nel caso
dell’America latina in cui si parlano portoghese e spagnolo, due varietà neolatine.

 La romania submersa infine: che corrisponde a quelle aree un tempo di lingua latina che poi
sono state conquistate, linguisticamente, da altre varietà come nel caso dell’Inghilterra, dove
oggi si parla l’inglese, una lingua di ceppo germanico, o ancora l’Africa del nord in cui oggi si
parla arabo o berbero e della Dalmazia in cui le lingue slave hanno avuto la meglio su quelle
neolatine.

48. Frammentazione della Romània?


La romània corrisponde al mondo linguistico romano, quindi all’estensione del latino in epoca
classica, e la sua evoluzione differente in aree differenti in base all’influenza delle varietà già
presenti nelle varie aree conquistate. Il valore unificante del latino tende dunque a perdersi in
favore di una frammentazione linguistica che possiamo riunire sotto quattro aree linguistiche della
romania continua:
 L’area iberoromanza: che comprende penisola iberica: castigliano, catalano, portoghese,
galiziano, basco, asturiano, ecc…
 L’area galloromanza: che comprende l’odierna Francia, anticamente popolata dai Galli da
cui prende il nome la famiglia linguistica, con le varietà di: francese, provenzale, gallo-
provenzale, ecc…
 L’area italoromanza: che comprende le varietà parlate nella penisola italica, culla del
latino e della cultura romana, e ricchissima di varietà regionali e locali. Oltre all’italiano, il
toscano, i dialetti del sud, il veneto, il friulano, ecc…
 L’area dacoromanza o balcano-romanza: che comprende il rumeno e tutte le varietà ad
esso collegate.

49. Che cos’è il latino? Quanti tipi se ne conoscono?


Il latino è la lingua parlata in epoca classica dai romani, e per secoli rimane in Europa come lingua
ufficiale sopra alle varie lingue e parlate locali e come lingua della scienza e della cultura, tante che
ancora ad oggi molti termini scientifici, come i nomi degli animali e delle piante hanno una loro
nomenclatura in latino, dalla connotazione universale quindi. Il latino può essere suddiviso in tre
tipologie:
1. il latino arcaico: per indicare la forma più antica di latino, originaria, nato con la
fondazione di Roma.
2. Il latino classico: che viene oggi studiato a scuola, la forma più nota di latino
3. Il latino volgare o protoromanzo: che subisce l’influenza delle lingue volgari che vanno
via via acquisendo importanza.

Il passaggio da una forma all’altra di latino è sempre lento, un processo di evoluzione che dura per secoli.

50. Il latino parlato e il latino scritto?

Il latino parlato era quello usato nella quotidianità dal popolo, che si è poi evoluto nei secoli in volgare fino
a giungere alle forme moderne di lingue neolatine, quello scritto è invece sopravvissuto fino a tempi
relativamente recenti, come lingua della cultura, della religione e lingua dell’ufficialità per esempio usato
per l’amministrazione pubblica e la politica. È importante sottolineare l’elemento unificatore che
rappresentava il latino nell’area europea dove seppure si fossero sviluppate una miriade di varietà parlate a
livello locale, il latino rimase l’unica lingua scritta fino al ‘300. Il complesso e instabile mosaico delle varietà
linguistiche in area europea rendevano necessario l’utilizzo di una lingua ‘super partes’ che non fosse
soggetta a cambiamenti e che non appartenesse ad un’area geografica o uno stato nel particolare, ma che
fosse invece veicolo della cultura chiusa e destinata alla comunicazione colta. Nella sua forma scritta il
latino presentava, proprio come le lingue moderne, vari registri linguistici in base al contesto, per esempio
troviamo testi d’autore con caratteri differenti a seconda della materia trattata, e troviamo:

 Opere d’autore: fra cui troviamo autori quali Cicerone scriveva orazioni, Cesare scriveva
cronache militari, Plauto commedie, ecc…
 iscrizioni come testi votivi, epigrafi, graffiti caratterizzati da una lingua più viva e spontanea
che ci mostra anche la sua evoluzione nel tempo
 autori cristiani: dal I° secolo, costituisce una rivoluzione culturale oltre alla traduzione, tutti
gli autori che discutono sulle sacre scritture e le vite dei santi come San Girolamo,
Sant’Agostino, ecc… questi testi ci sono giunti grazie ai copisti medievali, spesso monaci,
come anche per i testi di autori classici.
 Testi post-imperiali: sono testi che narrano l’attualità o la storia (cronache) dopo la caduta
dell’Impero. Alcuni autori che possiamo ricordare sono Gregorio di Tours, Paolo Diacono.
 Grammatiche: come l’Appendix Probi (Probo ne era l’autore) risalente al IV secolo circa, un
elenco di 227 parole che venivano spesso scritte in modo errato.

51. Sostrato, adstrato e superstrato?


Il sostrato si presenta quando una lingua si innesta su una lingua precedentemente esistente ad
esempio il latino che con le espansioni romane si innesta sulle lingue delle aree conquistate
entrando in contatto con esse e modificandosi in funzione di queste. Il sostrato è costituito dalla
lingua originaria su cui se ne innesta una nuova, che influenza.
Il superstrato è il concetto contrario al sostrato, ossia, nell’esempio di prima sarebbe il latino,
dunque la lingua che si sovrappone a quella originaria.
L’adstrato infine è il contatto di lingue differenti che si contaminano vicendevolmente come nel
caso delle popolazioni barbariche che cambiano il lessico dei nostri colori, fra le altre cose.

52. Funzione del latino dopo la caduta dell’Impero?

A seguito della caduta dell’Impero romano nel 476 d.c., dovuta anche alle pressioni delle popolazioni
germaniche, sopravvisse soltanto la parte di Impero più occidentale che al latino prediligeva altre
lingue, mentre nella ‘romània’ si lasciava spazio alle lingue proto-romanze. Da questo momento in poi il
latino come lingua parlata non esisterà più e resisterà soltanto la forma scritta come lingua della cultura
e della scienza.

53. A che cosa serviva il latino quando non veniva più parlato?
Sostituito da altre varietà nel parlato, il latino rimase comunque come in quanto unica lingua scritta
fino al ‘300, epoca a cui risalgono i primi scritti in volgare, vedi Dante in Italia. Esso sopravvisse in
area europea come lingua della cultura, della religione e lingua dell’ufficialità, usata per esempio
per l’amministrazione pubblica e la politica. Il rapporto oggi rappresentato dalla lingua in relazione
con il dialetto era un tempo rappresentato dalla coesistenza fra latino e varietà locali. Il complesso
e instabile mosaico delle varietà linguistiche europea rendevano necessario l’utilizzo di una lingua
‘super partes’ che non fosse soggetta a cambiamenti e che non appartenesse ad un’area geografica
o uno stato nel particolare, ma che fosse invece veicolo della cultura e delle scienze, comprensibile
da tutti i membri della comunità scientifica, religiosa e culturale. Conoscere il latino per molti secoli
fu anche sinonimo di ricchezza e cultura giacché soltanto le persone appartenenti alle classi sociali
più alte e gli alti membri della chiesa potevano permettersi il lusso di studiarlo.

54. Parole di origine germanica nelle lingue neolatine?


Il latino ha subito nei secoli svariate influenze da parte di altre popolazioni soprattutto abbiamo
visto l’influenza delle popolazioni germaniche che hanno condizionato il latin in varie fasi della sua
evoluzione come lingua. La prima influenza significativa è quella dei paleogermanismi, il contatto
col mondo germanico venne descritto già da Tacito, e sono precedenti alla caduta dell’Impero.
Queste parole si sono insediate nel lessico patrimoniale italiano, come nel caso di ‘sapone’ o
‘vanga’. Questi prestiti proprio come quelli moderni potevano essere prestiti di necessità come nel
caso della parola ‘alce’, animale sconosciuto ai romani, ma anche sostituire parole già esistenti in
latino, come nel caso di ‘vanga’ che andò a sostituire il latino ‘BIPALIUM’. Con la caduta dell’impero
e le invasioni delle popolazioni barbariche in Italia arrivano i colori così come sono poi rimasti nelle
lingue romanze ed in quelle successive che sostituiscono forme latine come ‘albus’ col germanico
‘blank’ nel V° secolo d.c. Gli elementi acquisiti vengono suddivisi generalmente in ‘gotismi’,
‘franconismi’ e ‘longobardismi’. Ai gotismi attribuiamo soprattutto l’acquisizione di elementi militari
come ‘elmo’ e ‘guardia’ ma anche di elementi più quotidiani come ‘nastro’ e ‘rocca’. Ai
‘longobardismi’ appartiene la maggior parte del lessico di ceppo germanico che ci è stato prestato
come nei casi di ‘russare’, ‘scaffale’ o ‘balcone’ o ancora ‘bara’. Per i franconismi invece identificare
le parole che ci sono arrivate è più complesso perché i Franchi che arrivano in Italia dalla Gallia
erano già bilingui se non già romanizzati. Tuttavia identifichiamo parole come ‘feudo’ dal franco
‘fehu’ e ‘frontiera’ dal franco ‘marcka’.

55. Il vocalismo tonico dal latino all’italiano?


Il vocalismo tonico consta dell’assetto delle vocali che portano l’accento all’interno della lingua.
Rispetto al latino, che presentava 10 vocali di cui 5 lunghe e 5 brevi, le vocali italiane sono 7 toniche
e 5 atone. Nel passaggio vi sono 3 innovazioni fondamentali:

 Innanzitutto le vocali perdono la loro lunghezza, caratteristica che era già svanita nel tardo
latino. La lunghezza delle vocali permetteva di distinguere a livello semantico due parole
come nel caso di ‘MALUM’ che a seconda della lunghezza della ‘a’ può significare sia ‘mela’
che ‘male’. In italiano si acquisisce un ulteriore grado di altezza.

 Oltre a questo vengono monottongati i dittonghi latini ‘AE’, ‘AU’ ed ‘UE’ in favore della
vocale media fra le due. Ad esempio: COENA -> cena, CAESARE -> Cesare, TAURUM-> toro.

 Si inseriscono poi nella lingua delle nuove dittongazioni romanze, con esiti diversi in ogni
lingua, ad esempio in italiano la vocale media ‘o’ come anche la ‘e’ quando sono toniche
vengono precedute dalla loro semivocale corrispondente. Ad esempio dal latino ‘FOCUM’
abbiamo ‘fuoco’ mentre dal latino ‘PEDEM’ abbiamo ‘piede’. Lo spagnolo seguendo lo
stesso principio giungerà però a conclusioni differenti nel primo caso ‘fuego’ e simili nel
secondo ‘pie’

56. Che cosa sono i nessi muta cum liquida? Che esiti danno le lingue neolatine?
Il nome ‘muta cum liquida’ deriva dallo studio dei primi glottologi che lo coniarono per indicare
appunto un nesso consonanti composto da una consonante seguita da una ‘liquida’ quindi dalla ‘L’
come in ‘GL’,’CL’, ‘FL’, ‘DL’, ecc... Le parole che presentano questo nesso in latino possono o
conservarlo oppure palatalizzarlo, a seconda delle scelte linguistiche e dei casi. Ad esempio
l’italiano tende a palatalizzare questo nesso, come nel caso della parola ‘clabe’ in cui la velare ‘c’
viene palatalizzata nella forma finale ‘chiave’, il francese invece opera una scelta opposta a quella
dell’italiano conservando la muta cum liquida nella forma ‘clé’, come anche il friulano ‘claf’.

57. Genere naturale e genere grammaticale?


Il genere naturale è quello che ci permette di distinguere fra esemplari maschio e femmina nel
mondo animale, che combinati possono procreare. Il genere grammaticale invece viene attribuito
ad elementi privi di un genere proprio, come gli oggetti, i concetti, le parole in generale.
L’attribuzione del genere non è pertanto correlata alla natura della cosa, né a nessun suo elemento
distintivo, ma una semplice convenzione che ci permette di legare le parole fra loro all’interno della
frase. Ad esempio le parole che terminano in ‘a’ sono generalmente femminili in italiano, mentre
quelle che terminano in ‘o’ sono generalmente maschili.

58. La riduzione dei generi dal latino al neolatino?


Nell’indoeuropeo arcaico esistevano due generi: quello animato, proprio degli esseri viventi e
quello inanimato, proprio degli oggetti. I latini successivamente fecero un ulteriore distinzione
all’interno del genere animato, distinguendo fra maschile e femminile, mentre al genere inanimato
venne affidato il neutro. Questa tripartizione tipica delle lingue indoeuropee si perde nelle lingue
neolatine ad eccezione del rumeno che si sviluppa in modo autonomo ed isolato rispetto alle altre
lingue romanze. Ciò che determinò la sua scomparsa fu un fattore fonetico, dato che il maschile in
latino terminava genericamente in ‘-US’ mentre il neutro in ‘-UM’, con il dileguarsi della ‘s’ e della
‘n’ finali di parola, le due forme si trovano a coincidere. Tuttavia nelle lingue romanze rimane una
traccia del genere eliso in alcune forme di plurale irregolare come ‘osso’ che al plurale diviene
femminile in ‘ossa, ed acquisisce la ‘a’ finale, tipica caratteristica del plurale neutro latino.

59. Tracce del genere neutro nell’Italiano?


Il neutro ha lasciato le sue tracce nelle lingue neolatine, sebbene queste oggi non presentino più
questo genere. Ad esempio nel caso dell’italiano ne troviamo i residui in alcune forme che al plurale
adottano come lettera finale la ‘a’, tipica del plurale del neutro latino, come nella parola ‘osso’ che
diviene ‘ossa’, ed ancora in ‘dito’, ‘braccio’, ed altri. Queste parole oltre ad avere una forma di
plurale irregolare, nel cambiare numero cambiano anche genere dal maschile al femminile, e di
conseguenza anche il genere degli articoli a loro riferiti, come ad esempio ‘il braccio’ che diviene ‘le
braccia’.

60. Il rumeno: una lingua neolatina particolare?


Il rumeno è sicuramente una lingua dalle caratteristiche anomale per essere una lingua neolatina
sotto molti punti di vista, primo fra tutti quello geografico. Egli infatti rappresenta l’unica lingua
neolatina di tutta l’area balcanica, si sviluppa in modo isolato rispetto alle altre lingue neolatine ed
essendo poi così vicino alle varietà slave, il suo lessico ha subito questa importante ed eccezionale
influenza che non possiamo riscontrare nelle lingue romanze, influenzate invece dalle popolazioni
germaniche.

Oggi riconosciamo molte varietà di rumeno, che viene parlato principalmente in Romania e
Moldavia che appartiene storicamente ai principati rumeni. Comprende circa 20 milioni di parlanti
diffusi in moltissimi paesi d’Europa grazie ai flussi migratori, prima fra tutti l’Italia. Nell’area
balcanica centrale, fra Grecia e Bulgaria, troviamo la varietà dell’arumeno con una comunità sparsa
e frammentata seppure consistente (500 mila parlanti). Un'altra varietà è quella del Meglenitico
parlato alle spalle di Salonicco in Grecia, fra Macedonia e la Tracia settentrionale. Infine troviamo
l’istrorumeno parlato in alcuni paesi nel cuore dell’Istria, questa varietà da pochi decenni si è
estinta ed i suoi membri sono stati totalmente inglobati dal più forte croato, pur mantenendo un
ricordo linguistico di questa varietà.

Dal punto di vista strutturale, è l’unica lingua che conserva il neutro del latino utilizzando per
formarlo la forma maschile al singolare e quella femminile al plurale. Inoltre egli conserva anche
alcuni casi del latino: un primo caso che racchiude nominativo ed accusativo insieme, un secondo
che comprende genitivo e dativo ed infine un ultimo caso vocativo. In ultima istanza il rumeno fa
eccezione anche rispetto agli articoli determinativi che se in tutte le lingue europee di derivazione
latina sono preposti, nel rumeno vengono invece posposti.

61. Il superlativo tra forme sintetiche ed analitiche?

Il latino presentava delle forme sintetiche, chiamate così perché in una parola si indicava sia la
qualità che la misura di quest’ultima. All’aggettivo veniva applicato un modificatore che indicava se
la forma del suddetto fosse di grado positivo, comparativo o superlativo. Ad esempio per l’aggettivo
latino ‘forte’ troviamo le tre forme ‘FORTIS’, ‘FORTIOR’ e ‘FORTISSIMUS’. Nelle lingue romanze
prevalgono invece le forme analitiche, ossia forme binarie composte da un elemento che indica la
qualità ed uno che indica la quantità, a quelle sintetiche che pure sono presenti. Ad esempio per il
superlativo di forte troviamo sia la forma sintetica e conservatrice ‘fortissimo’ che varie forme
analitiche come ‘assai forte’, ‘molto forte’, ‘super forte’, ‘stra forte, ecc … Questa tensione tra
forme analitiche e sintetiche degli aggettivi non è propria solo dell’italiano ma di molte lingue
anche non neolatine, come nel caso dell’inglese, lingua di ceppo germanico. Inoltre notiamo che
mentre nel caso della forma sintetica del latino l’elemento modificatore sta a destra, nella forma
analitica neolatina, l’elemento modificatore si sposta a sinistra, in coerenza con il cambio
dell’ordine delle parole nel passaggio da latino a neolatino.

62. Cosa sono gli oronimi e gli idronomi?


Gli oronimi e gli idronimi appartengono alla categoria dei nomi propri, dunque di quei nomi che
identificano un soggetto specifico all’interno di una categoria o di una specie. Essi sono dei
particolari toponimi, fondamentali nella descrizione del territorio, rilevanti anche dal punto di vista
linguistico in quanto sono fra gli elementi di più antica conservazione a prescindere dalle
dominazioni ed invasioni nei vari territori essi tendono a conservarsi. Oronimi e idronomi
corrispondono rispettivamente ai nomi delle montagne ed a quelli delle acque. Ad esempio
‘Cervino’ è un oronimo, mentre ‘Adige’ è un idronomo.

63. Come si realizza l’alternanza di genere in italiano?


L’italiano presenta soltanto due generi: maschile e femminile che si possono alternare
principalmente tramite suffissazione per esempio nel caso delle parole che formano il femminile in
‘essa’ come ‘dottore/dottoressa’, la suffissazione può anche avvenire con suffissi valutativi che oltre
a cambiare genere, aggiungono una specificità al significato della parola come nel caso di ‘finestra’
che nella forma maschile diviene ‘finestrino’ indicando sia una finestra piccola che la specifica
finestra all’interno di un veicolo. Un altro caso è quello dell’aggiunta di un elemento specificatore
come ‘maschio’ o ‘femmina’ come nel caso degli animali che non hanno un nome corrispondente
per l’altro sesso, ad esempio ‘la volpe’ al maschile diviene la ‘volpe maschio ’. Vi sono poi casi di
omofonia nell’alternanza da radici diverse come nel caso di ‘tappo’ e ‘tappa’, e casi invece di
diacronia da radice uguale come nel caso di ‘re’ e ‘regina’, ma anche casi di omonimia che assume
significati differenti in base al genere come per ‘il/la fronte’. Nei casi invece di alternanza
indipendente, come per le parole ‘fratello’ e ‘sorella’ l’alternanza addirittura non si affida alla
morfologia ma al lessico stesso.

64. Suffisso valutativo e cambio di genere?


I suffissi valutativi sono quei suffissi: diminutivi ed accrescitivi, che ci danno un’informazione sulla
qualità del nome o dell’aggettivo, una valutazione dello stesso. Tramite l’applicazione dei suffissi
possiamo anche trovare dei casi di cambio di genere nei quali il termine a cui viene applicato si
specifica nel significato, come ad esempio nel caso di ‘camera’ e ‘camerino’ in cui il maschile pur
svolgendo la stessa funzione del nome femminile si intende come specifica stanza di un negozio.

65. Il genere costituisce un universale linguistico?


No, il genere è una marca linguistica tipica delle lingue indoeuropee che fanno questa distinzione
ma esistono infatti lingue che non presentano genere.

66. Come si esprime il plurale in latino e nelle lingue neolatine?


Il numero del nome, come il genere è indicato in italiano ed in generale nelle lingue flessive da
un’unica desinenza. Sappiamo che vi sono lingue che presentano più forme per indicare il numero
rispetto alle lingue flessive, come il ‘duale’ che indica la coppia o il ‘triale’. In italiano come nelle
lingue romanze troviamo soltanto singolare e plurale, anche se alcune lingue presentano anche
altre forme come il ‘duale’ che indicano la coppia, il ‘triale’, ed altre forme ancora. Il latino aveva
svariate forme per esprimere il plurale dovute alla presenza di 5 tipi morfologici ognuno dei quali
poteva essere declinato in uno fra i 6 casi presenti. Ottenendo così un numero altissimo di
combinazioni di plurale per ogni elemento. Le due strategie principali, ereditate poi dalle lingue
neolatine, sono il plurale vocalico, adottato per esempio dall’italiano e dal rumeno, in cui il plurale è
reso dal cambio della vocale finale della parola ed il plurale sigmatico, costituito dall’aggiunta della
‘sigma’ finale, ossia della lettera ‘s’ come nel caso di Spagnolo e Francese ma anche in lingue di
ceppo differente come nel caso dell’inglese di ceppo germanico che pure adotta il plurale
sigmatico.

67. Quanti tipi abbiamo in italiano di plurale?


In italiano come nelle lingue romanze troviamo soltanto singolare e plurale. L’italiano eredita come
il rumeno, il plurale vocalico del latino che cambia la vocale finale per indicare il numero
dell’elemento. Oltre al plurale vocalico troviamo anche delle forme di plurale invariato per gli
ossitoni come ‘caffè’ e per le forme che appartengono al lessico patrimoniale come nel caso dei
nomi femminili in ‘tà’ e ‘tù’ ad esempio nelle parole ‘città’ e ‘virtù’, ma anche prestiti linguistici
acclimatati che spesso sono invariabili come per la parola inglese ‘film’ o ‘tram’ che resta invariata
al plurale, come anche le sigle tipo ‘fiat’. Alcuni nomi presentano poi più forme di plurale con
significati differenti come la parola ‘cervello’ che ha plurale sia in ‘cervella’ che in ‘cervelli’, qui alla
forma regolare di plurale si affianca la forma latina.

68. Che cosa sono i nomi composti? Come sono formati?


I nomi composti sono frutto di una strategia endogena della lingua per accrescere il lessico. Essi
sono formati elementi originariamente autonomi nel significato e già presenti nella lingua. Queste
parole presentano un alto grado di trasparenza sia morfologicamente che semanticamente.
Tuttavia la composizione può anche essere esogena ed utilizzare parole straniere assieme a quelle
proprie della lingua come nel caso della parola ‘burocrazia’ composta da parole greche che
significano rispettivamente ‘ufficio’ e ‘potere’. La trasparenza in queste forme si perde perché non
sempre si conosce il significato delle parole straniere che compongono la parola soprattutto se
vengono da lingue classiche o che non sono a noi vicine. Gli elementi utilizzati possono appartenere
a varie categorie grammaticali, il particolare: aggettivi, avverbi, verbi e sostantivi combinati nelle
forme più disparate. Ad esempio la parola ‘portabandiera’ è composta da un verbo ed un
sostantivo mentre ‘pianoforte’ è composta da due aggettivi addirittura in antitesi fra loro.

69. Quali sono le strategie di accrescimento del lessico della lingua?


La lingua adotta varie strategie per formare nuove parole. Queste possono essere sia endogene,
quindi strategie interne alla lingua che usano gli strumenti ed il lessico già presenti in essa per
produrre nuovi elementi; o esogene quando invece gli elementi vengono presi da altre lingue.
All’interno della produzione endogena troviamo varie strategie di produzione: la derivazione che
consiste nell’applicare affissi alle parole per derivare parole nuove da parole già esistenti che
spesso ne cambiano la categoria grammaticale; e la composizione che consiste nel combinare
parole già presenti nella lingua per crearne di nuove con un nuovo significato, queste parole
vengono infatti dette ‘composte’; infine abbiam i prefissoidi ossia quelle composizioni formate con
elementi prefissoidi, simili a prefissi ma quasi indipendenti nel significato come nel caso di ‘pan’ o
‘pseudo’ nelle parole ‘pansessuale’ e ‘pseudoprofeta’. Nel caso invece delle formazioni esogene
abbiamo i prestiti linguistici ed i calchi linguistici che prendono le parole da una lingua straniera così
come sono, per necessità o per lusso, o che ne calcano la struttura ed il significato.
70. Quali sono le strategie di formazione delle parole nuove?
La lingua adotta varie strategie per formare nuove parole. Queste possono essere sia endogene,
quindi strategie interne alla lingua che usano gli strumenti ed il lessico già presenti in essa per
produrre nuovi elementi; o esogene quando invece gli elementi vengono presi da altre lingue.
All’interno della produzione endogena troviamo varie strategie di produzione: la derivazione che
consiste nell’applicare affissi alle parole per derivare parole nuove da parole già esistenti che
spesso ne cambiano la categoria grammaticale; e la composizione che consiste nel combinare
parole già presenti nella lingua per crearne di nuove con un nuovo significato, queste parole
vengono infatti dette ‘composte’; infine abbiam i prefissoidi ossia quelle composizioni formate con
elementi prefissoidi, simili a prefissi ma quasi indipendenti nel significato come nel caso di ‘pan’ o
‘pseudo’ nelle parole ‘pansessuale’ e ‘pseudoprofeta’. Nel caso invece delle formazioni esogene
abbiamo i prestiti linguistici ed i calchi linguistici che prendono le parole da una lingua straniera così
come sono, per necessità o per lusso, o che ne calcano la struttura ed il significato.

71. Strategie della derivazione?

La derivazione è quella strategia endogena di accrescimento del lessico della lingua che ci permette di
derivare una parola da un’altra già esistente. Essa adotta varie strategie per ampliare il lessico della
lingua: la suffissazione, quindi l’aggiunta di un elemento modificatore a destra per creare nuovi
elementi, la prefissazione che produce nuovi elementi tramite un elemento modificatore a sinistra,
l’alterazione che applica suffissi valutativi alle parole ed infine le formazioni parasintetiche che
applicano contemporaneamente sia un prefisso che un suffisso alla stessa parola per crearne una
nuova.

72. Differenza fra suffissi produttivi e non produttivi?


I suffissi possono essere o meno produttivi a seconda che essi siano o meno ancora in grado di
produrre nuove parole. I suffissi non produttivi spesso non vengono nemmeno identificati come
suffissi in quanto si sono stati perfettamente assorbiti dalla lingua e non vengono più percepiti
come tali. Solo un’analisi etimologica più attenta porta alla luce queste caratteristiche della parola
come ad esempio nel caso della parola ‘dinamitardo’ in cui il suffisso germanico ‘ardo’ indica
qualcosa di forte e che risulta fossilizzato ormai nella lingua, mentre invece nel caso del suffisso
‘ista’ la produttività è tutt’ora molto alta, come nella parola ‘autostoppista’

73. Nel processo derivativo la categoria grammaticale si conserva o muta?


La derivazione è quel processo che ci consente di creare nuovi elementi all’interno della lingua
tramite l’applicazione di affissi alla parola che ci permettono di creare nuove forme sintetiche che
esprimano un nuovo concetto. Gli affissi possono essersi fossilizzati nel tempo quindi aver perso la
loro capacità di produrre nuove parole al punto da non venire neanche riconosciuti
immediatamente come tali e da necessitare un’analisi diacronica più approfondita mentre altri
invece sono tutt’ora molto produttivi e ci permettono di creare ancora parole nuove come nel caso
per suffisso ‘ista’ che ha prodotto neologismi quali ‘autostoppista’. La derivazione in italiano
avviene generalmente tramite suffissi che pongono l’elemento modificatore a destra rispetto
all’oggetto e relativamente poco a sinistra, con prefissi. Nell’applicazione degli affissi la categoria
grammaticale può cambiare generando nuovi elementi che suddividiamo in: denominali, deverbali,
deaggettivali e deavverbiali a seconda della categoria d’appartenenza della parola da cui derivano.
Ad esempio la parola ‘giornale’ è un sostantivo denominale che deriva da ‘giorno’ conservando la
sua categoria grammaticale. La categoria grammatica a cui appartiene l’elemento di partenza da cui
poi si deriva il nuovo elemento può conservarsi o meno a seconda dei casi. Un caso particolare di
derivazione è quello dei verbi ottenuti tramite formazioni parasintetiche ossia con l’applicazione
contemporanea sia di un prefisso che di un suffisso, generalmente quest’ultimo è la desinenza
verbale dell’infinito ‘are’, ‘ere’ o ‘ire’ che indica la funzione verbale svolta dal nuovo elemento
derivato, come nell’esempio di ‘sbarcare’ o ‘ingrandire’. Possiamo anche trovare di derivazione per
alterazione tramite l’applicazione di suffissi valutativi che possono essere diminutivi o accrescitivi
come nel caso di ‘cucciolo’ che diventa ‘cucciolino’ o ‘cucciolone’. Nel caso dell’alterazione la
categoria grammaticale resta invariata. Non tutte le parole ottenute per derivazione hanno lo
stesso grado di trasparenza, ad esempio nel caso dell’italiano gli affissi latini risultano spesso più
trasparenti di quelli greci come nel caso della parola ‘contemporaneo’ che ha un grado di
trasparenza maggiore rispetto a ‘sincronico’.

74. Prefissi dell’italiano di origine greca? E latina?


L’italiano in quanto lingua flessiva fa un ampio uso degli affissi, che si dividono in prefissi e suffissi a
seconda della posizione assunta dagli elementi modificatori. Nei prefissi l’elemento modificatore
sta a sinistra dell’oggetto mentre nei suffissi a destra. Molti di questi sono di origine greca e latina. I
prefissi possono essere nominali o aggettivali a seconda delle parole a cui si legano. Una prima
macro-categoria è quella dei nominali o aggettivali di spazio e tempo che descrivono elementi di
spazio e tempo come per esempio ‘con’ prefisso latino che indica l’unione, come nel caso di ‘
contemporaneo’, il suo corrispondente greco è il prefisso ‘sin’ come nella parola ‘sincronia’ che
vuol dire ‘allo stesso tempo’. Un altro esempio lo possiamo trovare nei prefissi che indicano
qualcosa che sta ‘sotto’, in cui troviamo sia la forma latina ‘sub’ come ‘subacqueo’ sotto l’acqua, sia
la forma greca ‘ipo’ come nella parola ‘ipocalorico’ che ha poche calorie, sotto la media calorica, ma
anche una forma italiana ‘sotto’ appunto, come nella parola ‘sottovalutare. Un’altra categoria di
prefissi è quella dei valutativi, ossia quei che ci permettono di comporre superlativi assoluti.
Abbiamo visto il caso dei prefissi latini ‘bene’ ‘male’ usati per esempio nelle parole ‘benevolo’ e
‘malevolo’ contrapposte ai prefissi greci con lo stesso significato ossia ‘eu’ e ‘caco’ come nelle
parole ‘eufonico’ e ‘cacofonico’. Troviamo infine la categoria dei prefissi verbali che sono per la
maggior parte latini e vengono applicati ai verbi come nel caso di ‘straparlare’ o di ‘contraddire’, in
cui ai verbi ‘parlare’ e ‘dire’ vengono applicati i suffissi latini ‘stra’ e ‘contra’. Questa è
indubbiamente la categoria che più si è impoverita nel passaggio dal latino all’italiano. La
trasparenza del latino e dei suoi prefissi verbali si perde nell’italiano. Vediamo l’esempio della
forma latina ‘exire’ che alla lettera significa ‘andare fuori’ in italiano divenuta ‘uscire’, per
specificare il significato espresso dal prefisso latino ‘ex’ in italiano bisogna ricorrere alla forma
analitica di ‘uscire fuori’.

75. Che cosa sono le formazioni parasintetiche? Vedi domanda 70 e 71


Le formazioni parasintetiche nascono dall’apposizione contemporanea di prefissi e suffissi che ci
consentono di derivare dei verbi nuovi da nomi o aggettivi come ad esempio da ‘barca’ abbiamo poi
‘imbarcare’.

76. Che cos’è la politica linguistica?


All’interno della macro area della socio linguistica, troviamo la politica linguistica ossia l’iniziativa di
misure attraverso cui le istituzioni esercitano un influsso sugli equilibri linguistici esistenti in un
Paese. È l’insieme di tutte quelle azioni dirette o esplicite che servono ad influenzare i
comportamenti linguistici delle persone per quanto concerne l’acquisizione, il corpus e lo status
(ossia la ripartizione) dei loro codici linguistici. Rientrano nella politica linguistica, questioni come
quella dell’ufficialità degli idiomi, ma anche le leggi per tutelare e promuovere minoranze
linguistiche sul territorio. Ad esempio abbiamo visto l’assai differente politica linguistica della
Francia rispetto alla Spagna. La prima fortemente nazionalista e legata all’idea politica di Paese,
tenta di preservare ed innovare attraverso strumenti endogeni alla lingua, in modo da corromperla
il meno possibile con prestiti stranieri, soprattutto inglesi, per vecchie questioni storico-politiche,
ma anche verso le stesse minoranze e varietà locali francesi che vengono considerate minoritarie.
La Spagna invece ha deciso di operare una politica linguistica di inclusione verso quelle comunità
che storicamente cercano l’indipendenza da Madrid concedendo a lingue come il Catalano, il Basco
ed il il grado di co-ufficialità. Queste lingue vengono infatti usate anche in ambito pubblico ed
amministrativo, vengono insegnate a scuola. Un altro esempio può essere quello dell’Italia dopo
l’unificazione che ha operato una politica linguistica di repressione verso i dialetti locali in favore
della diffusione dell’Italiano come lingua nazionale che all’epoca veniva parlato soltanto dal 5%
della popolazione, come fattore ed elemento unificante per la creazione di un sentimento nazionale
unico.

77. Che cos’è l’ingegneria linguistica?


L’ingegneria linguistica è quell’operazione eseguita dai lessicologi sulla lingua per sviluppare
neologismi, per arricchire dunque la lingua con elementi che rappresentino concetti e forme nuove.
Questa fa parte di un sistema che sfugge all’idioletto individuale in favore della massa di parlanti,
della società, che resta il vero protagonista dell’introduzione di termini nuovi. La lingua è infatti
anzitutto elemento che si evolve per natura con la società e da questa determinata e dipendente.
Essa non è che una convenzione e pertanto l’ingegneria linguistica non potrebbe prescindere dal
successo o meno.

78. L’italiano dei giornali?


La lingua adotta registri molto diversi a seconda delle occasioni che si pongono in essere. L’italiano
dei giornali è una lingua della periodicità perché che sia mensile, settimanale o quotidiano, esso
deve sempre rinnovare i propri contenuti con una certa cadenza. Le scelte sintattiche sono qui
dettate, soprattutto nel caso del quotidiano, dalla rapidità, dalla velocità nella rielaborazione delle
informazioni in tempi molto brevi. Spesso si fa uso di citazioni e del parlato per riportare le esatte
parole di politici e personaggi di rilievo che sarà poi il lettore ad interpretare. Queste attribuiscono
una certa freschezza oltre che un certo grado di veridicità a ciò che si scrive dando al lettore
l’impressione di una maggiore trasparenza ed affidabilità rispetto a ciò che legge. Infine il testo
viene organizzato in modo da rendere facile ritrovare le informazioni per esempio con l’uso di
titoletti o la suddivisione in colonne del testo.

79. L’italiano della pubblicità?


L’italiano delle pubblicità fa uso di un linguaggio che deve essere tanto conciso quanto persuasivo.
La comunicazione ha lo scopo di lasciare un’impressione positiva e facile da ricordare a chi legge o
ascolta per tanto la comunicazione deve essere estremamente efficace, fa uso di giochi di parole
come per esempio nel caso dello slogan ‘Mitzubishi mi stupisci ’, di richiami fonici come nel caso
dello slogan ‘brrrr…branca menta’ o addirittura si coniano nuovi termini che rendano l’idea delle
straordinarie qualità del prodotto venduto, e che possano colpire l’immaginario ricevente come nel
caso della ‘scioglievolezza’ del cioccolato. Questa comunicazione della persuasione punta a toccare
i desideri consumistici più profondi, che una volta appagati, ci renderanno felici, allegri e gioiosi. La
velocità e la sintesi dell’espressione, determinati dal piccolo spazio o tempo che chi fa pubblicità ha
a disposizione, sono un altro carattere distintivo. Infine si ricorre anche a strumenti retorici come
ellissi degli elementi di raccordo, asindeti quindi frasi prive di congiunzioni fra i termini e l’uso di
modi nominali del verbo come ad esempio gli infiniti che hanno valenza temporale assoluta, non
scadono mai.

80. L’italiano della televisione?


L’italiano della televisione ebbe un ruolo fondamentale nell’alfabetizzazione della popolazione
italiana, fu una vera e propria svolta. Esso utilizza molti registri diversi a seconda della qualità dei
programmi che si trasmettono. La lingua più ricercata sicuramente è quella delle trasmissioni
culturali e di informazione scientifica che usano un linguaggio ricercato, forbito ed impegnato,
spesso anche specifico. Il parlato colloquiale viene invece usato nei programmi televisivi più
d’intrattenimento come quiz e varietà nei quali si usa una lingua semplice, diretta più semplice che
permetta anche alle persone una visione meno impegnata e più rilassata. Abbiamo poi il parlato
trascurato dei talk show e dei reality che si rivolgono al pubblico più ignorante, spesso con una
lingua sgrammaticata e scorretta, con discussioni, urla e drammi. Infine abbiamo il parlato simulato
o sceneggiato tipico delle fiction in cui troviamo il linguaggio della quotidianità.

81. L’italiano del cinema? (varietà locali)


L’italiano del cinema rispetto alle serie tv ci racconta una storia in un tempo limitato e deve dunque
concentrare molti elementi come la presentazione dei personaggi e delle loro caratteristiche.
Spesso nel cinema interferiscono lingua e dialetto, soprattutto in quello neorealista che
rappresenta la realtà così come è anche dal punto di vista linguistico dunque. Il cinema italiano non
può che fare costantemente i conti col plurilinguismo assai diffuso nella penisola, anche soltanto
dall’accento con cui un attore parla in italiano è possibile riconoscerne la provenienza, tanto che
molti ne hanno fatto una caratteristica pregnante come Boldi come milanese, Pieraccioni come
fiorentino, Siani come napoletano, e via dicendo. Questo plurilinguismo rende il cinema vivace e
colorito, pieno di sfumature locali che sono tipiche anche del cinema romanesco. L’italiano del
cinema spesso è urbanizzato in dialettismi ormai panitaliani o attraverso l’immissione di anglicismi
e di varietà trascurate del parlato soprattutto quando si presenta la necessità nel doppiaggio di
tradurre la lingua più trascurata e lo slang più caratteristico di un luogo.

82. Italiano dei nuovi media?


L’italiano dei nuovi media, quindi digitato, è caratterizzato da una scrittura molto veloce, spesso
ricca per questo di errori di battitura e di ortografia. La correzione viene spesso affidata al mezzo
stesso, attraverso la correzione automatica. La lingua utilizzata fa uso di parole colloquiali e gergali.
Il livello di espressività con i nuovi mezzi cambia, ad esempio attraverso un uso vivace della
punteggiatura o del maiuscolo per indicar un tono di voce più alto.

83. Differenza tra lingua e dialetto?


La differenza tra lingua e dialetto è puramente socio-linguistica. Entrambi i codici infatti non
divergono per numero di parlanti, diffusione, presenza nella letteratura o rilevanza storica, ma
bensì per l’uso che se ne fa in ambito amministrativo. È dunque il grado di ufficialità, il
riconoscimento da parte dell’organo statale a fare da spartiacque. Oggi il dialetto è in una fase di
relativa ripresa dopo anni di repressione in favore dell’italiano come lingua nazionale che all’epoca
dell’unificazione italiana era parlato soltanto dal 5% della popolazione. L’alfabetizzazione della
penisola con la funzione non secondaria di elemento unificatore e simbolo di una patria unita sotto
la stessa lingua, fu di primaria importanza nella politica linguistica di questi anni. Oggi invece essa
rappresenta una scelta consapevole che si affianca all’italiano senza potere più essere un pericolo
per la sua sopravvivenza e soddisfa le più vivaci necessità espressive della lingua.

84. Diglossia?
La diglossia è quel fenomeno particolarmente diffuso in Italia in cui due codici linguistici con diversi
gradi di ufficialità coesistono in un’unica area geografica con funzioni e ruoli differenti. Ad esempio
la diglossia fra campano ed italiano, o fra veneto ed italiano, in generale fra dialetto e lingua in cui
alla prima sono affidate la quotidianità e la lingua parlata, mentre alla lingua ufficiale sono affidate
le questioni amministrative, gli atti ufficiali, è la lingua insegnata nelle scuole.

85. Bilinguismo?
Il bilinguismo come il plurilinguismo è quella condizione in cui si parlano due o più codici con lo
stesso grado di ufficialità all’interno di un’unica area. Ad esempio nel caso del Sud Tirolo abbiamo
un fenomeno di plurilinguismo perché vi si parlano 3 lingue differenti tutte riconosciute come
lingue ufficiali ed usate in ambito amministrativo, scolastico, politico, pubblico. Queste lingue sono
l’italiano, il tedesco ed il ladino. In Friuli invece troviamo un bilinguismo con la lingua slava
affiancata allo slavo.

86. Competenza attiva e passiva?


La competenza attiva è la capacità di chi parla di trasmettere informazioni al ricevente, dunque di
comunicare mentre quella passiva è la capacità complementare ossia quella di recepire un
messaggio. Non sempre le due capacità sono allo stesso livello soprattutto quando si comunica in
una lingua diversa dalla propria lingua madre e le competenze acquisite possono distanziarsi anche
molto. Ad esempio a chi parla italiano comprendere una lingua neolatina che condivide una buona
parte di lessico con la nostra lingua come lo spagnolo sarà indubbiamente più facile che parlarlo.

87. Esempi di espressioni dialettali entrate nel lessico della lingua italiana?
Le parole dialettali che oggi fanno parte della lingua italiana sono una moltitudine. Nel 1860 si
stimavano essere 2400 termini e da allora altri 1300 se ne sono aggiunti. Il lessico riguarda vari
campi semantici, per esempio ampi sono i prestiti in ambito gastronomico per via della diffusione
che alcuni piatti regionali hanno raggiunto a livello nazionale come i ‘tortellini’ o il ‘cotechino’
emiliani piuttosto che il ‘tiramisù friulano, la ‘grappa’ lombarda o la ‘caciotta’ abruzzese. Un altro
importante campo semantico è quello militare come nel caso della ‘naia’ piemontese, dell’illegalità
con la ‘mafia’ siciliana, delle arti e dei mestieri con il ‘bagarino’ romano. Infine il campo semantico
della burocrazia che da un altro importante contributo dalla ‘scartoffia’ lombarda al ‘questore’
piemontese.

88. Prestito linguistico (forestierismi)?


Il prestito linguistico è un meccanismo di accrescimento della lingua all’interno dell’innovazione
esogeno, dunque esterna alla lingua. I prestiti linguistici sono principalmente di due tipi: i prestiti di
necessità quando una parola o un concetto è assente nella lingua e si sceglie di adottare un termine
straniero per descriverlo, ed i prestiti di lusso quando la parola è già presente nella lingua ma si
introduce comunque un termine straniero generando solitamente una sfumatura di significato. Un
esempio è il caso di ‘chef’ prestito linguistico dal francese per esprimere l’italiano cuoco. Sebbene
la parola fosse già presente ‘chef’ si è radicato nella lingua italiana aggiungendo un senso di
raffinatezza, di eleganza e sofisticatezza maggiore alla parola rispetto a cuoco. Un caso invece di
prestito di necessità è il caso di ‘kiwi’ o di ‘computer’ due concetti recenti che sono entrati nella
lingua così come erano formulati in inglese. I prestiti possono essere ‘adattati’ quando la grafia del
vocabolo straniero si adatta alla grafia ed alla morfologia della lingua di arrivo come per esempio è
per la parola ‘cocchio’ adattato dall’ungherese ‘kocsi’. Nel caso invece dei prestiti integrali, le parole
si inseriscono nella lingua che li accoglie così come sono, secondo le caratteristiche grammaticali
della lingua da cui provengono come nel caso di ‘dossier’ prestito linguistico dal francese.

89. Prestiti di necessità e di lusso?


I prestiti di lusso aggiungono una sfumatura di significato come nel caso di chef e cuoco nel quale lo
chef è più raffinato. I prestiti di necessità invece sono scaturiti dall’assenza di una determinata
parola all’interno della lingua d’arrivo. Vedi domanda 88.

90. Il calco linguistico?


Fra le diverse tipologie di prestito il calco linguistico è la rappresentazione di un per mezzo di
elementi propri della lingua, non si acquisisce la parola ma l’idea. La parola o la frase viene
‘ricalcata’ strutturalmente nel caso del calco strutturale mentre nel caso del calco semantico la
parola riverbera tratti del suo significato su un termine analogo della lingua rimodellandone la
semantica. Un esempio di calco strutturale è la parola italiana ‘pallacanestro’ che replica l’inglese
‘basketball’ traducendone i singoli termini che la compongono nella lingua d’arrivo. Nel caso invece
del calco semantico possiamo trovare l’esempio del ‘caffè’ che per calco dal francese diviene la
‘bottega del caffè’. Il calco linguistico risponde a quella necessità dell’ingegneria linguistica di poter
esprimere nuovi concetti e realtà attraverso la lingua, alla necessità costante di innovazione cui la
lingua è soggetta.

91. Esempi di prestiti inglesi in italiano?


Dall’ 800 in poi l’inglese ha assunto il ruolo sempre più centrale di lingua internazionale, diffusasi
prima fuori e poi dentro l’Europa, anche e soprattutto a causa dell’importanza economica assunta
dagli Stati Uniti. I termini più antichi risalgono ai tempi delle colonie inglese come ‘milady, whisky,
bridge (come gioco di carte), colonizzare, pellerossa ecc… Più recenti sono invece i prestiti legati
all’ambito economico-informatico come manager, boss, smartphone, ma anche a situazioni della
quotidianità come shampoo, check-in, part-time, target, bar, hostess, ecc… In particolare molti
termini legati allo sport vengono importanti dall’inglese, infatti esso assume una forte rilevanza
all’interno del sistema scolastico statunitense in cui è strettamente legato alla carriera, l’eccellere
nello sport. Troviamo parole come basket, tennis, net, coach, ecc…

92. Esempi di prestiti francesi in italiano?


Il francese per la sua vicinanza geografica ha avuto per secoli una importante influenza rispetto al
lessico italiano. Dal galloromanzo, che riunisce una serie di varietà vicine al latino, poiché derivano
da esse, abbiamo una serie di termini oggi perfettamente acclimatati nella lingua italiana, come le
parole che terminano in ‘aggio’ ad esempio ‘coraggio dannaggio, ma anche le parole che terminano
in ‘anza/enza’ come credenza, speranza o erranza. In particolare dal francese e dal provenzale ci
arrivano moltissimi termini, dal primo parole come burro, giallo o mangiare alla base del lessico
italiano mentre dal secondo parole come corsetto, schiera, bugia, saggio, ecc… Molti termini legati
alla corte iniziano a subentrare nella nostra lingua dal XI secolo con parole come conte, marchese, e
ovviamente cavaliere. Più avanti intorno al XIV secolo questo campo semantico si infoltirà con
termini come dama, paladino e tutta una serie di parole legate al lessico cavalleresco, di guerra e di
corte. Dal rinascimento al settecento l’afflusso maggiore è dato da termini bellici come ‘trincea’ o
‘artiglieria’, lasciando spazio in materia di prestiti linguistici e non solo, alla dominante cultura
spagnola. Solo nel ‘600 con la così detta ‘gallomania’ avremo un nuovo fortissimo afflusso di termini
francesi nell’italiano. Molti legati al lessico bellico ancora, ma anche termini legati alla moda, alla
gastronomia ed all’arredamento, campi in cui la Francia ancora oggi si distingue come leader
mondiale. Abbiamo parole come gendarme, parrucchiera, giarrettiera, pasticceria, ecc… Nei secoli
successivi soprattutto dalla rivoluzione in poi troviamo molti prestiti di politico-intellettuali come
ghigliottina, abdicare e patriota. Accanto a questi troviamo i termini inglesi mediati dal francese per
i mezzi di trasporto come treno, deragliamento, parabrezza e carburante. Dal ‘900 i prestiti hanno
subito una battuta d’arresto seppur continuino ad esserci, le parole di ingresso più recente sono
calchi di termini politico-economici come terzo mondo e mondializzazione e terziario.

93. Esempi di prestiti germanici in italiano? Vedi domanda 54


Quello delle lingue germaniche è un filone lessicale storico fondamentale per noi, i suoi influssi
iniziano già prima della caduta dell’impero romano, come testimonia Tacito, sullo stesso latino da
cui poi avranno origine le lingue romanze, a loro volta fortemente influenzate da queste
popolazioni a livello linguistico. Le pressioni, politiche ma anche linguistiche, delle popolazioni
barbariche, concausa della caduta dell’Impero, iniziarono nel IV secolo con parole come sapone,
guerra, elmo, roba ma anche per esempio con l’apporto dei colori, all’ ‘ALBUS’ latino si sostituisce il
‘blank’ germanico. I prestiti linguistici tanto in epoca antica come oggi potevano essere sia di
necessità come nel caso della parola ‘alce’ che era un animale sconosciuto ai romani, sia di lusso,
andando prima da affiancarsi e spesso poi a sostituire termini latini precedenti come il ‘BIPALIUM’
che verrà sostituito dalla ‘vanga’ germanica. Queste parole si sono insediate nel lessico
patrimoniale italiano, passando prima da quello latino saranno poi oggetto delle stesse variazioni
fonetiche a cui sono sottoposti gli altri elementi della lingua che comporranno le lingue romanze e
le attuali lingue europee, acclimatandosi così tanto da rendere impossibile riconoscerne l’origine
straniera senza uno studio etimologico più approfondito. Le tre popolazioni barbariche ad
influenzare il latino furono i goti da cui abbiamo ereditato parole come ‘albero’ o anche arrancare
da ‘ranca’ che significava ‘zoppo’. Dai Longobardi invece abbiamo importi influenze soprattutto fra
VI e VIII secolo, quando sotto il loro dominio l’Italia trovo la sua prima unificazione. Da loro
abbiamo uno dei maggiori apporti linguistici come ad esempio il lessico legato ai cavalli con parole
come staffa, trottare, ecc… ed il lessico del corpo umano come guancia, schiena, anca, milza, stinco
ecc… Ai Franchi invece che fecero cadere il dominio longobardo attribuiamo parole come grigio,
bosco e guanto, riconoscere i franchismi si rileva difficile perché spesso questi erano già bilingui se
non del tutto romanizzati ed il lessico si confonde e si fonde in molti casi. Dal ‘700 in poi vennero
introdotti i nomi di molti minerali come il feldspato, il cobalto, ecc ... e lessico legato al cibo ed altri
fenomeni di moda che trovarono fortuna in Italia come Krapfen, vermut, walzer, calesse. Nel ‘900
abbiamo invece un lessico fortemente legato alla seconda guerra mondiale come Fuhrer, Kaiser,
Panzer, Lager, ecc ... ed anche termini legati al lessico intellettuale e filosofico in particolare grazie
all’apporto di Freud e della filosofia socialista con parole come non-io, superuomo, psicoanalisi,
non-essere, imperativo categorico, plusvalore, ecc… I prestiti più appartengono al campo medico, e
spesso derivano da forme latine, con parole come schizofrenia, gene e aspirina.

94. Esempi di prestiti italiani in altre lingue?


A partire dall’epoca medievale, in cui nasce e si sviluppa l’italiano come lingua, iniziano ad esserci i
primi prestiti linguistici dall’italiano ad altre lingue europee in particolare nell’ambito finanziario
grazie alle banche toscane che istituiscono un proto-sistema bancario. Troviamo parole come
fiorino, ducato, banco, bancarotta, collo (inteso come pacco), fallire. Ai secoli XVII ed XVIII
appartengono parole ancora più tecniche sempre all’interno dell’ambito finanziario come firma
franco, conto, fattura, storno, valuta, rischio, bilancio, cassa. Un altro importante contributo è dato
dal lessico marinaresco grazie all’azione delle repubbliche marinare ed ai commerci a loro
connesse, che oltre allo scambio di beni favorisce l’importante scambio lessicale con termini come
ammiraglio, darsena, corsaro, panfilo, arsenale, fregato. Infine il lessico militare, da sempre pilastro
per gli scambi linguistici con parole come soldato, caporale, colonnello, sentinella, casamatta. In
tempi più recenti intorno al XVIII e XIX secolo abbiamo il prestito di molti termini legati all’arte in
ogni sua espressione, soprattutto quella musicale con termini come opera, allegro, vivace, libretto,
soprano, tenore, aria, sinfonia, sonata, adagio, concerto, fagotto, violoncello, pianoforte,
mandolino. Oltre questi troviamo termini di teatro, pulcinella, pantalone, di architettura, balcone e
fresco (inteso come affresco), in ambito letterario con sonetto. Il calcio, sport a cui gli italiano sono
fortemente legati, è un altro campo semantico che genera prestiti verso le altre lingue con parole
come tifoso e libero, accanto ad alcuni noti stereotipi negativi diffusisi in tutto il mondo come la
mafia, piuttosto che tangentopoli. L’ambito per eccellenza dell’Italia è senza dubbio però la
gastronomia, in cui l’Italia è leader mondiale e che l’ha resa nota in tutto il globo. I piatti famosi nel
mondo ed esportati coi loro nomi originali sono infiniti, dalla pizza alla pasta nei suoi vari formati, in
particolare spaghetti e maccheroni, il parmigiano e la mozzarella, il cappuccino e l’espresso, la
rucola, la mortadella, il risotto, il pesto, la bruschetta, e molti altri ancora. Altri esempi possono
esseri nomi di automobili straniere come la ‘Concerto’ o la ‘corolla’ o anche il lessico del cinema
con parole come ‘paparazzi’. Inoltre l’italiano spesso ha fatto da tramite per parole di lingua araba
come ‘zucchero’, anche per l’importante presenza sul territorio.

95. Differenza tra soggetto Grammaticale e soggetto Logico?


Il soggetto coincide col tema della frase, ossia con la parte di informazione già nota al ricevente.
Esso può appartenere a due categorie all’interno dell’analisi sintattica della frase: può essere
soggetto grammaticale dunque quell’elemento sintattico che fa da riferimento per il predicato
oppure logico dunque l’agente reale dell’azione che potrebbe coincidere con il complemento
d’agente nel caso di frasi con verbi passivi. Ad esempio nella frase ‘Marco mangia la mela’ rispetto
alla frase ‘la mela è mangiata da Marco’ l’agente dell’azione è sempre ‘Marco’, semanticamente le
due frasi sono uguali ma l’ordine sintattico è cambiato. I due soggetti possono o meno coincidere a
seconda dei casi, nella seconda frase ad esempio non coincidono.

96. Che cos’è e a cosa serve l’art. determinativo?


L’articolo determinativo accompagna il nome, con cui concorda per genere e numero, e serve a
determinare l’oggetto che accompagna, che risulta già noto a chi ascolta. L’articolo nella
maggioranza dei casi è preposto, sta cioè a sinistra dell’oggetto, ma vi sono anche casi in cui esso è
post-posto e sta quindi a destra, come nel caso del: rumeno, dello svedese e dell’albanese. Esso
costituisce un’innovazione delle lingue neolatine giacché non esisteva nelle lingue classiche
sebbene esso derivi dal dimostrativo latino ‘ILLUM’ ossia ‘quello’. L’articolo è oggi presente nella
generalità delle lingue europee ad eccezione di quelle slave: in particolare Bulgaro e Macedone.
Seppure sia elemento comune a molte lingue romanze l’articolo tende ad assumere funzioni
diverse in ogni lingua. Ad esempio in inglese esso viene utilizzato molto meno spesso che in
italiano, ed in ungherese viene addirittura coniugato assieme col verbo che acquista una marca
definita o indefinita a seconda della sua presenza o meno.

97. Che cosa sono i casi nominali?


I casi sono quegli elementi che permettono di conoscere la funzione di un elemento della frase in
base alla sua flessione, i casi nominali sono quegli elementi modificatori della flessione che indicano
la funzione della parola, in particolare lo troviamo nel latino, nel greco e nelle lingue germaniche. In
latino i casi nominali sono quegli elementi che in indicano funzioni primarie come il soggetto,
l’oggetto diretto, il complemento d’agente, di specificazione ecc…) mentre le funzioni secondarie
venivano indicate già allora con preposizioni. Queste ultime con lo sviluppo delle lingue romanze,
ad eccezione del rumeno, si sostituiscono ai casi, acquisendo crescente importanza. I casi del latino
per motivi fonetici vengono prima ridotti ad un sistema bi-casuale nelle lingue neolatine medievali,
quindi iniziali, e poi elisi definitivamente per questioni fonetiche, in favore del latino.

98. Che cosa sono la testa ed il modificatore?


La testa è la radice di una parola, che ne porta il significato, mentre invece l’elemento modificatore
è la parte che modifica la parola sia nel suo significato che soprattutto nella sua funzione all’interno
della frase. Ad esempio la parola ‘giornale’ con l’aggiunta del suffisso ‘ista’ diviene ‘giornalista’,
cambia dunque il suo significato, ma non il suo ruolo all’interno della frase che resta quello di
sostantivo. Un altro esempio in cui invece quest’ultimo cambia è quello della parola ‘veloce’ che
diviene ‘velocemente’ col suffisso ‘mente’ che trasforma l’aggettivo in avverbio. Gli elementi
modificatori possono essere di vario tipo, possiamo avere i suffissi valutativi ad esempio, che
aggiungono un valore alla testa cui vengono aggiunti. Ad esempio nel caso di ‘camerino’ il suffisso
cambia genere, e si specifica nel suo significato. Gli elementi modificatori si trovano generalmente a
destra nelle lingue romanze anche se per esempio nel caso degli aggettivi superlativi alla forma
analitica esso si trova a sinistra, come nel caso di ‘molto forte’ ; nelle forme sintetiche invece,
predilette dal latino esso sta a destra ‘FORTISSIMUS’, esistente anche in italiano nella forma di
‘fortissimo’.

99. Che posizione occupa l’art. determinativo nelle lingue romanze?


L’articolo determinativo accompagna il nome, con cui concorda per genere e numero, e serve a
determinare l’oggetto che accompagna, che risulta già noto a chi ascolta. L’articolo nella
maggioranza dei casi è preposto, sta cioè a sinistra dell’oggetto, ma vi sono anche casi in cui esso è
post-posto e sta quindi a destra, come nel caso del: rumeno, dello svedese e dell’albanese. Esso
costituisce un’innovazione delle lingue neolatine giacché non esisteva nelle lingue classiche
sebbene esso derivi dal dimostrativo latino ‘ILLUM’ ossia ‘quello’. L’articolo è oggi presente nella
generalità delle lingue europee ad eccezione di quelle slave: in particolare Bulgaro e Macedone.
Seppure sia elemento comune a molte lingue romanze l’articolo tende ad assumere funzioni
diverse in ogni lingua. Ad esempio in inglese esso viene utilizzato molto meno spesso che in
italiano, ed in ungherese viene addirittura coniugato assieme col verbo che acquista una marca
definita o indefinita a seconda della sua presenza o meno.

100. Perché le lingue cambiano?


Le lingue cambiano per loro insita natura, proprio come gli elementi naturali esse si modificano e si
adattano al contesto che devono rispecchiare, interpretare e riproporre per rispondere nel modo
più efficace possibile alle necessità di rappresentare la contemporaneità dell’uomo. Essa procede
nel suo mutare congiuntamente alla società, in quanto prodotto di quest’ultima.

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