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2. Che cosa vuol dire comunicazione e quali sono i mezzi per i quali si realizza?
La comunicazione è la condivisione intenzionale di un messaggio da un mittente ad un ricevente.
Possiamo distinguere due tipi di comunicazione: verbale e non verbale. La prima ci permette di
comunicare attraverso il “verbo” appunto quindi la parola, ma esiste anche una comunicazione non
verbale che spesso si affida alla vista come organo di ricezione del messaggio piuttosto che
all’udito, per esempio come nel caso dei cartelli stradali, della messaggistica, ecc… Non sempre
però nella trasmissione del messaggio vi è volontarietà, infatti spesso potremmo far arrivare un
messaggio a chi ci sta davanti attraverso la mimica facciale, la gestualità, il linguaggio del corpo o
l’intonazione della voce involontariamente.
Le occlusive orali sono quelle consonanti momentanee nelle quali il fiato si interrompe, ad
esempio ‘T’ e ‘D’. I suoi luoghi di articolazione sono:
le bilabiali -> es penna, bello
le dentali -> es tema, dove
le velari -> es casa, gola
le fricative sono quelle consonanti continue invece nelle quali il suono è prodotto dalla
frizione degli organi come ad esempio nelle consonanti ‘S’ o ‘Z’. I suoi luoghi di
articolazione sono:
labiodentali: es ferro, vino
dentali: es sole slavo
palatali: es scena
Infine abbiamo le affricative ossia quelle consonanti che sono composte dall’unione di
un’occlusiva ed una fricativa e trovano come luoghi di articolazione:
Dentali es. pezzo, zenit
Palatali es. cena, gelo
Le liquide all’interno delle quali riuniamo i due modi di articolazione delle laterali e delle
vibranti:
o Le laterali nelle quali il suono viene prodotto dalla vibrazione dei margini della
lingua posta contro i denti che permettono al fiato di uscire lateralmente. I luoghi
dell’articolazione sono:
Dentale es. lana
Palatale es. gli (giglio)
o Le vibranti sono quelle consonanti in cui la lingua vibra per produrre le consonanti
Dentale es. rosso
Un altro caso è quello della palatalizzazione della ‘muta cum liquida’ ossia del nesso consonantico
composto da consonante seguita da ‘liquida’ quindi da ‘L’. Questo nesso consonantico può o
palatalizzarsi o conservarsi a seconda dei casi. Ad esempio la parola latina ‘CLAVEM’ viene
palatalizzata nelle forme dell’italiano (chiave), del veneto (ciave) e del rumeno (Chieve) ma
conservata nel francese (Clé) e nel friulano (claf).
Infine abbiamo il caso della ‘N’ e della ‘L’ che si palatalizzano quando incontrano una semivocale
palatale. Ad esempio la parola latina ‘FAMILIA’ si palatalizza nell’italiano ‘famiglia’: la laterale
dentale ‘L’ diviene la palatale ‘GL’ a contatto con la semivocale palatale ‘J’.
22. La sillaba?
La sillaba è un fonema o un insieme di fonemi che costituiscono gruppi stabili nella catena parlata.
Essa può essere aperta, anche detta libera, quando esce in vocale ad esempio nella parola “Friu-li”
la prima sillaba è aperta perché esce in ‘u’; oppure chiusa, anche detta implicata, quando la sillaba
esce in consonante ad esempio nella parola “stal-la” la prima sillaba è chiusa perché esce in ‘l’.
Sempre nell’esempio di ‘stal-la’ vediamo che nel caso di un nesso consonantico, in questo caso
formato da una liquida geminata, esso si divide fra due sillabe differenti. Ciò che foneticamente è
un ‘nesso’ un insieme di foni, dal punto di vista grafico è invece separato, dunque abbiamo un
contrasto tra fonetica e grafia. Possiamo classificare una parola in base al numero di sillabe presenti
in essa in: monosillabo (es. quiz), bisillabo (es. stella), trisillabo (es. quaderno), quadrisillabo (es.
capitano) e polisillabo (es. preposizione, paragonabile, ecc …).
23. L’accento?
L’accento è un segno diacritico posto sulle vocali per segnalare che essa sostiene la forza espiratoria
della parola, ci aiuta quindi a stabilire come pronunciare una parola giacché la sillaba contente
l’accento ha maggiore rilievo rispetto alle altre. L’accento può essere distinto per il modo in cui
mettono in rilievo la sillaba in:
Accento espiratorio: nel caso dell’italiano e non solo, e consiste nell’aumento dell’intensità
della voce. L’accento ci permette di distinguere le parole omografe, come nel caso ad esempio
di ancòra e àncora.
Accento musicale o melodico: ad esempio nel cinese, nel serbo-croato e nel greco antico, esso
che cambia l’intonazione ed il significato delle parole aumentando l’altezza della voce.
Oppure possiamo suddividere le tipologie di accento in base alla posizione di quest’ultimo all’interno della
parola ci permette di distinguere fra varie tipologie di accento adottate dalle diverse lingue indoeuropee:
accento libero: usato in italiano, in cui esso si può posizionare su varie sillabe, più di frequente sulla
penultima.
Accento relativamente libero: in cui l’accento, pur non essendo determinabile a priori, cade
sempre in uno stesso ambito sillabico, questo sì, determinabile a priori come nel caso dello
spagnolo in cui l’accento può cadere solo sulle ultime 3 sillabe.
Accento condizionato: quando la posizione dell’accento è legata alle caratteristiche fonologiche del
vocabolo, come nel latino, ad esempio.
accento fisso: tipico di altre lingue, come il caso del francese in cui l’accendo tende a cadere sulla
sillaba finale o del ceco in cui cade sulla sillaba iniziale. In questo caso l’accento perde il suo valore
distintivo o lo riduce nettamente.
accento assolutamente libero: in cui tende a cadere non secondo regole grammaticali ma secondo
la tradizione linguistica, come nel caso del russo.
Possiamo inoltre distinguere le parole in base alla sillaba in cui esso cade in:
vocaboli ossitoni o tronchi: l’accento cade sull’ultima sillaba es. partirà, ciò …
vocaboli parossitoni o piani: in cui l’accento cade sulla penultima sillaba, caso
più diffuso nell’italiano, come ad esempio: stampante, andare, ecc…
vocaboli proparossitoni o sdruccioli: quando l’accento cade sulla terzultima
sillaba come in: alimentano, mettere, ecc…
vocaboli bisdruccioli, trisdruccioli e quadrisdruccioli: in cui l’accento cade
rispettivamente sulla quartultima, quintultima e sestultima sillaba come ad
esempio in: considerano, comunicamelo, fabbrichiamocelo. Queste forme sono
possibili solo prendendo voci verbali con l’aggiunta di pronomi enclitici, dunque
posti dopo il verbo e privi di accento.
germanico orientale: col gotico, oggi estinto, lingua in cui venne perfino tradotta la Bibbia.
germanico settentrionale: con lo svedese, il danese, il norvegese, l’islandese.
germanico occidentale: che si divide in due rami:
Portoghese: lingua che avrà fortuna anche grazie alle colonie che questo piccolo ma
potente stato costruirà in Africa, e soprattutto in Brasile.
Gallego o Galiziano: varietà ‘ponte’ molto vicina al portoghese linguisticamente, ma
politicamente, la Galizia è sempre stata spagnola, con circa 3 milioni di parlanti.
Asturiano: parlato nel principato di Asturia, schiacciato sulla costa settentrionale, da
sull’Oceano, è una regione di circa 1 milione di abitanti.
Catalano: parlato non solo in Catalogna, ma anche nel ‘paese valenziano’ ed alle Baleari.
Queste 3 regioni hanno complessivamente 10 milioni di parlanti su 40 milioni di
popolazione spagnola complessiva. Oltre alla questione politico vi è l’accesa e tutt’ora in
atto una questione politica, ad essa strettamente connessa. Questa lingua è una varietà
ponte fra il Castigliano ed il Francese. È la lingua ufficiale del principato di Andorra e viene
parlato anche ad Alghero da una piccola comunità, nella fascia pirenaica.
Basco: circa 1 milione su 3 milioni di abitanti della regione lo parla ancora, questa è una
lingua preindoeuropea dai tratti mediterranei. Simbolo dell’indipendenza dei Paesi Baschi.
Insomma le varietà regionali che in Spagna hanno lo statuto di lingue co-ufficiali accanto al Castigliano, che
garantisce l’uso pubblico tramite statuti regionali.
lingua d’oil: che corrisponde al Francese ufficiale dell’ile de France e delle aree limitrofe.
Provenzale o varietà occitana: parlata nel Sud della Francia ebbe una straordinaria
importanza nel medioevo con la letteratura dei poemi cavallereschi che nascono proprio
qui. Si calcolano oggi circa 6 milioni di parlanti.
Basco: parlato sui Pirenei Occidentali al confine col Paese Basco.
Catalano: parlato in una piccola area di confine sui Pirenei
Bretone: parlato in Britannia, una regione della Francia del nord, ultima rappresentanza
della lingua celtica nel continente.
Aree germanofone: nelle comunità di confine con la Germania in Alsazia e Lorena in
particolar modo, regioni che per secoli sono passati ad appartenere ora alla Francia ora alla
Germania.
Franco-provenzale: varietà che condivide tratti del francese settentrionale e del provenzale
parlato nell’area sud del Paese, parlata in Borgogna ed in Valle d’Aosta, quindi nelle alpi
occidentali.
Corso: parlato in Corsica, varietà riconosciuta come a cavallo fra toscano e sardo. È fra le
pochissime varietà che conservano la ‘u’ finale dal latino, oltre al sardo ed al rumeno. Ha
circa 300 mila parlanti. Seppure linguisticamente il corso non sia una varietà che appartiene
all’area galloromanza, vi appartiene politicamente e per questo viene compresa in questa
macro-area.
Nel nord Italia sono infinite troviamo il provenzale parlato nelle vallate piemontesi, il franco-provenzale in
Valle d’Aosta e nelle vallate piemontesi. Abbiamo poi l’area dei dialetti gallo-italici nella quale ai tempi
delle espansioni romane, l’Italia finiva con gli appennini e sopra, tutta l’area del attuale nord Italia era di
competenza dei Celti, che giungevano fino a sotto Rimini e parte delle marche, escluso il Veneto. Abbiamo il
ladino parlato nell’area cadorina, in Alto-Adige ed in Trentino. Le varietà tirolesi diffuse in Sud Tirolo, che
appartengono alle varietà tedescofone, giacché erano aree di pertinenza austriaca. Le comunità
germanofone delle alpi settentrionali che costituiscono una costellazione di isole linguistiche sparse per
tutta quest’area, come ad esempio il Saurino parlato in un piccolo paese del Friuli, Sauri appunto, costituito
da circa 500 parlanti. Più importante è il Friuliano una varietà storica e protetta dalla legge 482, che conta
oltre 500 000 parlanti. Varietà slovene parlate nell’area orientale del Friuli al confine con la Slovenia,
queste varietà tendono a prendere le distanze dallo Sloveno e a considerarsi varietà a sé stanti. Anche qui
troviamo una serie di micro-comunità molto legate però alla loro tradizione locale in contrapposizione con
la comunità slovena di Gorizia, periferia di Trieste e Corona che conta circa 50 mila parlanti e che viene
anch’essa protetta dalla legge 482. In Veneto troviamo l’omonimo dialetto che vanta 4 milioni di parlanti,
oltre ad una serie di varietà venete quali il cingolo dei comuni veronesi e le varietà cadorine nell’area di
Belluno e Cadore, oltre al ladino. Queste varietà subiscono molto meno l’influenza dei Celti non
appartenendo al loro dominio, ed essendo invece alleato di Roma.
Nel centro e sud Italia troviamo altrettante varietà, prima fra tutte la varietà Toscana che ebbe un ruolo
fondamentale nella storia linguistica italiana, dal Toscano del ‘300 si sviluppa infatti la base grammaticale
da cui si elabora lo standard italiano, grazie soprattutto all’opera di Dante. Abbiamo poi le parlate centrali
del Lazio settentrionale, dell’Umbria e delle Marche. A questa si aggiungono i vari dialetti della fascia
intermedia come il campano, il lucano ed il pugliese, ed i dialetti meridionali estremi: salentino, calabrese,
siciliano dai tratti molto particolari. Un caso a parte è rappresentato dalle varietà sarde: troviamo il sardo
settentrionale con Sassarese e Gallurese con influenze dal Corso, il lugudorese una varietà conservativa
dell’area settentrionale ed il campidanese sardo parlato nell’area meridionale dell’isola.
Infine abbiamo le comunità alloglotte, ossia di ‘lingua diversa’ quali il Catalano parlato ad Alghero, il Serbo-
croato in Abruzzo, l’arbereshe, ossia l’albanese di Italia, parlato in varie regioni del sud Italia, ed infine il
Grico, una varietà di origine greco-bizantina parlata nella provincia di Lecce.
Queste comunità alloglotte vengono tutelate dalla stessa costituzione con l’art. 6 che dice chiaramente che
“la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.” L’Italia è legata agli altri Paesi da
trattati internazionali e spesso vicendevoli in cui si impegna a tutelare queste realtà linguistiche.
36. Quali sono le lingue regionali minoritarie riconosciute in Italia? perché sono definite storiche?
In Italia dal 1999, con la legge statale 482 e lo statuto autonomo della provincia di Bolzano,
vengono tutelate 12 minoranze linguistiche: albanese (arbereshe), catalano, croato, francese,
franco-provenzale, friulano, grico, ladino, occitano, sardo e sloveno, tedesco. Alcune di queste
come il friulano e il sardo hanno una diffusione molto più ristretta, una dimensione più compatta
mentre altre comunità hanno una diffusione molto più ampia sul territorio, ed anche più sparsa
tante volte come la comunità arbereshe da anni stanziati in tutto il sud Italia in piccole comunità.
Troviamo anche delle isole linguistiche. Queste lingue vengono definite come ‘storiche’ perché
hanno rilevanza storica all’interno del patrimonio linguistico di un’area, essendosi da tempo
insediate in un determinato territorio. Tutte le ‘nuove minoranze’ frutto delle recenti immigrazioni,
come senegalesi, arabi, rumeni, albanesi, ecc… sono quindi escluse da questa categoria. Questa
legge non solo riconosce e tutela le minoranze ma le promuove all’interno delle varie comunità
stanziando anche dei fondi per permettere, ad esempio, il suo insegnamento nelle scuole, il suo uso
in amministrazione pubblica, e via dicendo.
37. Sono tutelate le lingue dei rom e dei sinti in Italia? Perché?
Le lingue dei rom e dei sinti non vengono tutelate in Italia perché oltre al fattore della rilevanza
storica, che queste comunità linguistiche presentano, esse mancano di un altro importante fattore
per rendere possibile la promozione e la tutela di una minoranza linguistica: la territorialità, la
connessione di una varietà locale con il territorio in cui si diffonde e viene parlata. La territorialità
implica la stanzialità, condizione necessaria per permettere allo Stato la promozione della lingua e
per affidarle un ruolo ufficiale, in ambito pubblico, scolastico, amministrativo e via dicendo. Questa
caratteristica chiaramente manca a queste comunità che sono note per essere nomadi.
Tipo flessivo: qui le diverse relazioni grammaticali sono normalmente espresse da un unico
suffisso. Le parole attraverso la flessione interna, appunto, indica le diverse funzioni
grammaticali. Questo tipo è molto diffuso e produttivo. All’interno della categoria del tipo
flessivo riconosciamo due sottocategorie:
Tipo agglutinante: in questo caso ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni
grammaticali che devono essere indicate. Il turco è un tipico esempio di lingua
agglutinante, come anche l’ungherese.
Tipo isolante: la morfologia in questo caso è quasi del tutto assente, sono assenti
distinzioni per genere numero caso o modo e tempo nel caso dei verbi. L’ordine delle
parole stesse è cruciale per indicare le relazioni fra esse. Ad esempio è il caso del
Vietnamita.
Tipo polisintetico: una sola parola è in grado di esprimere tutte le relazioni che in altre
lingue necessitano di un’intera frase per realizzarsi. È il caso dell’eschimese
1. Sogg+ ogg + verbo: tipico ordine della lingua latina, ma anche delle lingue indoeuropee
orientali ed altaiche (turco e giapponese)
2. Sogg + verbo + oggetto: l’ordine tipico delle lingue romanze
3. Verbo+ sogg + oggetto: ordine usato dalle lingue celtiche.
Con ‘Romania’ si indica l’estensione linguistica del latino che non coincide necessariamente con
l’estensione geografica dell’Impero romano. Esistono 3 tipi di romania:
la romania antiqua: ossia il latino dell’epoca classica/imperiale nella sua più vasta espansione
che arrivò a comprendere: l’europa occidentale fino alla Grecia, la cui cultura si affiancò a
quella latina senza che vi fossero sovrapposizioni, l’africa settentrionale,
La romania nova: ossia quei territori in cui si parlano lingue neolatine seppure i latini non vi
siano mai giunti, tramite successive conquiste da parte degli europei, come nel caso
dell’America latina in cui si parlano portoghese e spagnolo, due varietà neolatine.
La romania submersa infine: che corrisponde a quelle aree un tempo di lingua latina che poi
sono state conquistate, linguisticamente, da altre varietà come nel caso dell’Inghilterra, dove
oggi si parla l’inglese, una lingua di ceppo germanico, o ancora l’Africa del nord in cui oggi si
parla arabo o berbero e della Dalmazia in cui le lingue slave hanno avuto la meglio su quelle
neolatine.
Il passaggio da una forma all’altra di latino è sempre lento, un processo di evoluzione che dura per secoli.
Il latino parlato era quello usato nella quotidianità dal popolo, che si è poi evoluto nei secoli in volgare fino
a giungere alle forme moderne di lingue neolatine, quello scritto è invece sopravvissuto fino a tempi
relativamente recenti, come lingua della cultura, della religione e lingua dell’ufficialità per esempio usato
per l’amministrazione pubblica e la politica. È importante sottolineare l’elemento unificatore che
rappresentava il latino nell’area europea dove seppure si fossero sviluppate una miriade di varietà parlate a
livello locale, il latino rimase l’unica lingua scritta fino al ‘300. Il complesso e instabile mosaico delle varietà
linguistiche in area europea rendevano necessario l’utilizzo di una lingua ‘super partes’ che non fosse
soggetta a cambiamenti e che non appartenesse ad un’area geografica o uno stato nel particolare, ma che
fosse invece veicolo della cultura chiusa e destinata alla comunicazione colta. Nella sua forma scritta il
latino presentava, proprio come le lingue moderne, vari registri linguistici in base al contesto, per esempio
troviamo testi d’autore con caratteri differenti a seconda della materia trattata, e troviamo:
Opere d’autore: fra cui troviamo autori quali Cicerone scriveva orazioni, Cesare scriveva
cronache militari, Plauto commedie, ecc…
iscrizioni come testi votivi, epigrafi, graffiti caratterizzati da una lingua più viva e spontanea
che ci mostra anche la sua evoluzione nel tempo
autori cristiani: dal I° secolo, costituisce una rivoluzione culturale oltre alla traduzione, tutti
gli autori che discutono sulle sacre scritture e le vite dei santi come San Girolamo,
Sant’Agostino, ecc… questi testi ci sono giunti grazie ai copisti medievali, spesso monaci,
come anche per i testi di autori classici.
Testi post-imperiali: sono testi che narrano l’attualità o la storia (cronache) dopo la caduta
dell’Impero. Alcuni autori che possiamo ricordare sono Gregorio di Tours, Paolo Diacono.
Grammatiche: come l’Appendix Probi (Probo ne era l’autore) risalente al IV secolo circa, un
elenco di 227 parole che venivano spesso scritte in modo errato.
A seguito della caduta dell’Impero romano nel 476 d.c., dovuta anche alle pressioni delle popolazioni
germaniche, sopravvisse soltanto la parte di Impero più occidentale che al latino prediligeva altre
lingue, mentre nella ‘romània’ si lasciava spazio alle lingue proto-romanze. Da questo momento in poi il
latino come lingua parlata non esisterà più e resisterà soltanto la forma scritta come lingua della cultura
e della scienza.
53. A che cosa serviva il latino quando non veniva più parlato?
Sostituito da altre varietà nel parlato, il latino rimase comunque come in quanto unica lingua scritta
fino al ‘300, epoca a cui risalgono i primi scritti in volgare, vedi Dante in Italia. Esso sopravvisse in
area europea come lingua della cultura, della religione e lingua dell’ufficialità, usata per esempio
per l’amministrazione pubblica e la politica. Il rapporto oggi rappresentato dalla lingua in relazione
con il dialetto era un tempo rappresentato dalla coesistenza fra latino e varietà locali. Il complesso
e instabile mosaico delle varietà linguistiche europea rendevano necessario l’utilizzo di una lingua
‘super partes’ che non fosse soggetta a cambiamenti e che non appartenesse ad un’area geografica
o uno stato nel particolare, ma che fosse invece veicolo della cultura e delle scienze, comprensibile
da tutti i membri della comunità scientifica, religiosa e culturale. Conoscere il latino per molti secoli
fu anche sinonimo di ricchezza e cultura giacché soltanto le persone appartenenti alle classi sociali
più alte e gli alti membri della chiesa potevano permettersi il lusso di studiarlo.
Innanzitutto le vocali perdono la loro lunghezza, caratteristica che era già svanita nel tardo
latino. La lunghezza delle vocali permetteva di distinguere a livello semantico due parole
come nel caso di ‘MALUM’ che a seconda della lunghezza della ‘a’ può significare sia ‘mela’
che ‘male’. In italiano si acquisisce un ulteriore grado di altezza.
Oltre a questo vengono monottongati i dittonghi latini ‘AE’, ‘AU’ ed ‘UE’ in favore della
vocale media fra le due. Ad esempio: COENA -> cena, CAESARE -> Cesare, TAURUM-> toro.
Si inseriscono poi nella lingua delle nuove dittongazioni romanze, con esiti diversi in ogni
lingua, ad esempio in italiano la vocale media ‘o’ come anche la ‘e’ quando sono toniche
vengono precedute dalla loro semivocale corrispondente. Ad esempio dal latino ‘FOCUM’
abbiamo ‘fuoco’ mentre dal latino ‘PEDEM’ abbiamo ‘piede’. Lo spagnolo seguendo lo
stesso principio giungerà però a conclusioni differenti nel primo caso ‘fuego’ e simili nel
secondo ‘pie’
56. Che cosa sono i nessi muta cum liquida? Che esiti danno le lingue neolatine?
Il nome ‘muta cum liquida’ deriva dallo studio dei primi glottologi che lo coniarono per indicare
appunto un nesso consonanti composto da una consonante seguita da una ‘liquida’ quindi dalla ‘L’
come in ‘GL’,’CL’, ‘FL’, ‘DL’, ecc... Le parole che presentano questo nesso in latino possono o
conservarlo oppure palatalizzarlo, a seconda delle scelte linguistiche e dei casi. Ad esempio
l’italiano tende a palatalizzare questo nesso, come nel caso della parola ‘clabe’ in cui la velare ‘c’
viene palatalizzata nella forma finale ‘chiave’, il francese invece opera una scelta opposta a quella
dell’italiano conservando la muta cum liquida nella forma ‘clé’, come anche il friulano ‘claf’.
Oggi riconosciamo molte varietà di rumeno, che viene parlato principalmente in Romania e
Moldavia che appartiene storicamente ai principati rumeni. Comprende circa 20 milioni di parlanti
diffusi in moltissimi paesi d’Europa grazie ai flussi migratori, prima fra tutti l’Italia. Nell’area
balcanica centrale, fra Grecia e Bulgaria, troviamo la varietà dell’arumeno con una comunità sparsa
e frammentata seppure consistente (500 mila parlanti). Un'altra varietà è quella del Meglenitico
parlato alle spalle di Salonicco in Grecia, fra Macedonia e la Tracia settentrionale. Infine troviamo
l’istrorumeno parlato in alcuni paesi nel cuore dell’Istria, questa varietà da pochi decenni si è
estinta ed i suoi membri sono stati totalmente inglobati dal più forte croato, pur mantenendo un
ricordo linguistico di questa varietà.
Dal punto di vista strutturale, è l’unica lingua che conserva il neutro del latino utilizzando per
formarlo la forma maschile al singolare e quella femminile al plurale. Inoltre egli conserva anche
alcuni casi del latino: un primo caso che racchiude nominativo ed accusativo insieme, un secondo
che comprende genitivo e dativo ed infine un ultimo caso vocativo. In ultima istanza il rumeno fa
eccezione anche rispetto agli articoli determinativi che se in tutte le lingue europee di derivazione
latina sono preposti, nel rumeno vengono invece posposti.
Il latino presentava delle forme sintetiche, chiamate così perché in una parola si indicava sia la
qualità che la misura di quest’ultima. All’aggettivo veniva applicato un modificatore che indicava se
la forma del suddetto fosse di grado positivo, comparativo o superlativo. Ad esempio per l’aggettivo
latino ‘forte’ troviamo le tre forme ‘FORTIS’, ‘FORTIOR’ e ‘FORTISSIMUS’. Nelle lingue romanze
prevalgono invece le forme analitiche, ossia forme binarie composte da un elemento che indica la
qualità ed uno che indica la quantità, a quelle sintetiche che pure sono presenti. Ad esempio per il
superlativo di forte troviamo sia la forma sintetica e conservatrice ‘fortissimo’ che varie forme
analitiche come ‘assai forte’, ‘molto forte’, ‘super forte’, ‘stra forte, ecc … Questa tensione tra
forme analitiche e sintetiche degli aggettivi non è propria solo dell’italiano ma di molte lingue
anche non neolatine, come nel caso dell’inglese, lingua di ceppo germanico. Inoltre notiamo che
mentre nel caso della forma sintetica del latino l’elemento modificatore sta a destra, nella forma
analitica neolatina, l’elemento modificatore si sposta a sinistra, in coerenza con il cambio
dell’ordine delle parole nel passaggio da latino a neolatino.
La derivazione è quella strategia endogena di accrescimento del lessico della lingua che ci permette di
derivare una parola da un’altra già esistente. Essa adotta varie strategie per ampliare il lessico della
lingua: la suffissazione, quindi l’aggiunta di un elemento modificatore a destra per creare nuovi
elementi, la prefissazione che produce nuovi elementi tramite un elemento modificatore a sinistra,
l’alterazione che applica suffissi valutativi alle parole ed infine le formazioni parasintetiche che
applicano contemporaneamente sia un prefisso che un suffisso alla stessa parola per crearne una
nuova.
84. Diglossia?
La diglossia è quel fenomeno particolarmente diffuso in Italia in cui due codici linguistici con diversi
gradi di ufficialità coesistono in un’unica area geografica con funzioni e ruoli differenti. Ad esempio
la diglossia fra campano ed italiano, o fra veneto ed italiano, in generale fra dialetto e lingua in cui
alla prima sono affidate la quotidianità e la lingua parlata, mentre alla lingua ufficiale sono affidate
le questioni amministrative, gli atti ufficiali, è la lingua insegnata nelle scuole.
85. Bilinguismo?
Il bilinguismo come il plurilinguismo è quella condizione in cui si parlano due o più codici con lo
stesso grado di ufficialità all’interno di un’unica area. Ad esempio nel caso del Sud Tirolo abbiamo
un fenomeno di plurilinguismo perché vi si parlano 3 lingue differenti tutte riconosciute come
lingue ufficiali ed usate in ambito amministrativo, scolastico, politico, pubblico. Queste lingue sono
l’italiano, il tedesco ed il ladino. In Friuli invece troviamo un bilinguismo con la lingua slava
affiancata allo slavo.
87. Esempi di espressioni dialettali entrate nel lessico della lingua italiana?
Le parole dialettali che oggi fanno parte della lingua italiana sono una moltitudine. Nel 1860 si
stimavano essere 2400 termini e da allora altri 1300 se ne sono aggiunti. Il lessico riguarda vari
campi semantici, per esempio ampi sono i prestiti in ambito gastronomico per via della diffusione
che alcuni piatti regionali hanno raggiunto a livello nazionale come i ‘tortellini’ o il ‘cotechino’
emiliani piuttosto che il ‘tiramisù friulano, la ‘grappa’ lombarda o la ‘caciotta’ abruzzese. Un altro
importante campo semantico è quello militare come nel caso della ‘naia’ piemontese, dell’illegalità
con la ‘mafia’ siciliana, delle arti e dei mestieri con il ‘bagarino’ romano. Infine il campo semantico
della burocrazia che da un altro importante contributo dalla ‘scartoffia’ lombarda al ‘questore’
piemontese.