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GLOTTODIDATTICA

Per una cultura dell’insegnamento linguistico

INTRODUZIONE
- Ogni decisione relativa all'insegnamento risulta da un riferimento più o meno consapevole ad
ipotesi teoriche.
- Numerose discipline riguardano l'educazione linguistica (linguistica educativa, psicologia
dell'educazione, linguistica acquisizionale, linguistica applicata, glottodidattica).
- Una concezione razionalista dell'attività professionale degli insegnanti separa le conoscenze
teoriche dall'azione didattica (a tutto vantaggio delle prime).
- L'azione didattica va motivata da una "teoria attiva" e giustificata da una concettualizzazione
astratta; rapporto di interazione tra teoria e prassi.
- L'insegnamento/apprendimento di una lingua non materna è influenzato dal contesto in cui ha
luogo (comunità, apprendenti, scopi, risorse…).
- Dimensioni di professionalità dell'insegnante di una L2= conoscenze teoriche + capacità
operative e consapevolezza metodologico-didattica.
- "Didattica delle lingue" fa pensare all'insegnamento delle lingue altre, mentre "glottodidattica"
comprende anche la L1; meglio parlare di "linguistica applicata”.

1. L’APPRENDIMENTO DI UNA LINGUA


L'apprendimento della lingua materna L1 avviene in maniera e in un contesto naturale senza sforzo
consapevole. L’insegnamento di una lingua straniera costituisce invece un intervento di tale processo,
anche se l’intervento didattico non stimola l’attivazione di meccanismi che si attivano solo
nell’apprendimento non guidato in età infantile.
L1 = lingua materna
L2 = lingua non materna, da distinguere in:
1. Lingua seconda = appresa naturalmente in maniera spontanea nel paese in cui è parlata
2. Lingua straniera = appresa in un contesto istituzionale Input: dati linguistici con cui il discente
viene a contatto

1.1 IL PROCESSO DI APPRENDIMENTO DELLA LINGUA MATERNA


L’apprendimento della lingua materna è:
1. un processo primario in un doppio senso: è temporalmente il primo ad avere luogo ed il più
importante. Esso procede di pari passo con lo sviluppo cognitivo e sociale del bambino, cosa che
normalmente non accade con una L2. Prendiamo ad esempio l’uso della deissi: per il bambino è
difficile capire che l’attribuzione di elementi indicanti il tempo e lo spazio dipende dal contesto in
cui sono utilizzati.
2. Procede di pari passo con lo sviluppo della socializzazione dell'individuo, è collegato alla
formazione della sua identità come membro di una comunità sociale: il bambino impara a parlare
partecipando ad eventi ed interazioni sociali, mentre ciò non avviene lo stesso per l’apprendente di
una L2.
3. Il bambino procede dai significati alla lingua: la comprensione di ciò che viene “inteso” dal parlante
precede la comprensione di quello che viene “detto”. Genitori e bambino comunicano assai prima
che quest’ultimo possegga una lingua. Un sistema comunicativo funzionante costituisce quindi il
prerequisito per l’acquisizione linguistica.
4. Avviene tramite un processo di riduzione di complessità. Secondo Slobin, ogni bambino costruisce
una grammatica attorno ai principi operativi che ne riducono la complessità. La lingua verrà quindi
assimilata più lentamente: al principio non si fa caso alla morfologia delle parole e alle eccezioni (uso
di una “lingua telegrafica”).
Imparare una lingua in maniera non guidata, quindi naturalmente come la L1, consiste nel riuscire a
scoprirne la strutturazione, prima in maniera inconscia, poi semiconscia ed in fine in modo
consapevole (studio di Lily Wong Fillmore= apprendimento bambini messicani trapiantati negli
USA).
Nei primi stadi della vita la ripetizione permette la costituzione di stabili strutture cognitive e nervose.
La ritualità e la ripetitività giocano un ruolo rilevante perché sono collegate al sistema nervose del
bambino: ogni nuova esperienza struttura il suo cervello (più eventi simili tra loro). La ripetizione di
ciò che è noto rende il mondo comprensibile, permettendo l’acquisizione del linguaggio.

1.1.1. L’INPUT MODIFICATO DEGLI ADULTI


Il meccanismo di acquisizione linguistica del bambino avviene tramite l’interazione con parlanti più
capaci. Gli adulti modulano istintivamente i propri comportamenti verbali per renderli più accessibili
utilizzando una lingua più semplice:
1. Fonologia: intonazione alterata con un tono di voce più alto, si ricorre a parole con duplice sillaba
(es. “ciuf ciuf” al posto di “treno”), l’articolazione è più chiara con pause più lunghe e una velocità
di emissione ridotta.
2. Sintassi: gli enunciati sono brevi e meno variati, si utilizzano meno verbi, aggettivi e avverbi, poca
coordinazione e subordinazione. Semanticamente, il vocabolario è più ristretto e concreto e si ricorre
alla descrizione degli oggetti circostanti.
3. Si creano collegamenti tra lingua e azione usando verbi imperativi e ponendo molte domande.
4. Si adopera la lingua in modo tale che il bambino capisca come si compongono le frasi (esempi
Hatch e Crystal= i genitori forniscono ai bambini un modello “corretto” in modo dialogico).

IL PROCESSO DI APPRENDIMENTO DI UNA L2


Esiste una grande varietà di situazioni di apprendimento di una L2, che hanno grande influenza sul
processo stesso di apprendimento. Vi è poi una variante legata all’età dell’apprendente, al livello e
grado di esposizione alla lingua, al rapporto tra L2 e contenuti di apprendimento (es. programmi di
studio CLIL- Content and Language Integrated Learning).
Klein, in un suo famoso studio, analizza le componenti fondamentali dell’apprendimento secondo
l’ottica dell’apprendente. Esse sono:
1. Lo scopo o le ragioni dell’apprendimento di una lingua straniera. Si può imparare per desiderio
sociale o per motivi strumentali. Più la L2 si differenzia dalla L1, meno rilevanza assume la
motivazione nel processo di apprendimento.
2. Le capacità linguistiche possedute dall’apprendente, cioè la predisposizione all’apprendimento
linguistico e le conoscenze linguistiche già in suo possesso.
3. Il tipo di accesso alla lingua, il tipo di input con cui il discente viene a contatto e le occasioni di
comunicazione disponibili (variabilità in base a contesto formale o naturale).
Questi fattori determinano i modi in cui avverrà il processo di apprendimento, ovvero: come sarà
strutturato; il tempo necessario; il risultato raggiunto, quando l’interlingua si è ormai stabilizzata,
spesso dando luogo a processi di fossilizzazione. I primi due punti solo difficilmente influenzabili,
mentre il terzo lo è più facilmente.

1.2.1. L'INPUT MODIFICATO DEI PARLANTI NATIVI QUANDO COMUNICANO CON I NON
- NATIVI
Ricerche hanno dimostrato come un input modificato assume un ruolo importantissimo
nell’apprendimento di una lingua non materna, soprattutto in seguito all’adolescenza, oltre il quale
l’apprendimento assume caratteristiche parzialmente diverse, in quanto fenomeni di interferenza e
fossilizzazione diventano più frequenti.
N: nativo
NN: non nativo
Nel linguaggio modificato che le due parti utilizzano, dobbiamo distinguere due tipologie:
- un linguaggio semplificato che N adotta affinché la comprensione per NN risulti più facile;
- il cosiddetto foreigner talk, che si caratterizza come linguaggio semplificato ma anche
sgrammaticato (variante dalla norma, quindi scorretta).
La non grammaticità è il risultato di tre processi (Ferguson):
1. OMISSIONE: cancellazione di articoli, copula, inflessioni morfologiche e pronomi;
2. ESPANSIONE: inserzione dei pronomi prima dell’imperativo e frequente richiesta di conferma
della comprensione;
3. CONVERSIONE: cambiamento di un aggettivo possessivo in un pronome possessivo oggetto, la
sostituzione di “non” con “no”.

1.2.2. L’INPUT MODIFICATO DI N QUANDO COMUNICA CON NN AL FINE DI RENDERE


PIÙ FACILE LA COMPRENSIONE
L’uso di questo linguaggio non costituisce la norma, ma appare in situazioni comunicative particolari
(come ad es. in situazioni lavorative in cui N si sente superiore al lavoratore straniero). Esiste un tipo
di linguaggio usato dai NN che è ben formato e grammaticalmente corretto e molte delle sue
caratteristiche sono in analogia con il linguaggio degli adulti quando parlano con i bambini: impiega
una sintassi meno complessa, evita le eccezioni, fa uso di un lessico ad alta frequenza, evita le
espressioni idiomatiche, la dizione è chiara e scandita, il tempo di emissione è più lungo.
Tale linguaggio fa uso di strutture quali la dislocazione a sinistra (es. “San Diego, ti è piaciuta?”),
decomposizione delle frasi e domande di tipo polare (che permettono risposte come si-no, vero-
falso).

L'INPUT MODIFICATO: STRATEGIE DI DIDATTICA NATURALE


Auer ha fornito una serie di strutture interazionali che possono contribuire all’apprendimento di L2 e
forniscono un input più comprensibile. Tali strutture possono essere considerate tipiche di una
“didattica naturale”.

Modificazione dei dati in entrata da parte di N:


Livello del contenuto
a. Lascia libero il controllo del tema
b. Sceglie i temi rilevanti
c. Tratta i temi brevemente
d. Da dovuto rilievo a nuovi temi introdotti da NN
e. Accetta un cambiamento tematico non intenzionale da parte di NN
f. Tollera l’ambiguità
Livello della forma
a. Usa un ritmo lento
b. Non usa espressioni dialettali o gergali
c. Accentua le parole chiave e fa una pausa prima di esse
d. Scompone gli enunciati in strutture TEMA/REMA
e. Ripete le componenti centrali della frase
f. Scompone i blocchi informativi complessi
g. Non usa allusioni, ironia, doppi sensi
h. Impiega il foreigner talk o un registro semplificato
Livello dei segnali di ritorno
a. Conferma la sua comprensione
b. Ripete le espressioni prodotte da NN
Livello delle riparazioni (correzioni)
a. Controlla la comprensione di NN chiedendo feedback
b. Chiede chiarimenti generali o specifici
c. Fa correzioni “ad incastro” o in modo non esposto
d. Fornisce ripetizioni grammaticali di parti di espressioni non grammaticali
e. Fa congetture per completare contributi di NN incompleti o errati
f. Espande i frammenti in sintagmi e frasi grammaticali

Produzione da parte di NN:


Strategie di evitamento
a. Usa la lingua i cui dispone (forme pidginizzate: da pidgin, ovvero una lingua semplificata, nata per
necessità di comunicazione)
b. Usa L1
c. Usa una lingua franca (qualsiasi lingua usata dai parlanti di due o più gruppi linguisticamente
differenti al fine di comunicare)
d. Non parla di cose troppo difficili da esprimere
e. Non parla affatto
Strategie di testing
a. Sottolinea quanto dice alzando il tono della voce
b. Ripete l’espressione prodotta da N
c. Chiede la correzione
d. Usa stratesione come “come si chiama?” E “come si dice?”
e. Stimola congetture
f. Richiede informazioni linguistiche (discorso metalinguistico)
Esercizio
a. Ripete l’espressione di N
b. Ripete l’enunciato
c. Usa nonsense, duelli verbali e giochi linguistici

Ricezione da parte di NN:


a. Richiede chiarimenti
b. Ripete gli elementi problematici
c. Ripete gli elementi che ha inteso
d. Richiede un ritmo più lento
e. Manifesta la sua incompetenza in altri modi

1.3. RAPPORTO TRA L’APPRENDIMENTO DELLA L1 E DI UNA L2


L’ipotesi dell’identità secondo cui il processo di apprendimento della lingua materna e quello di una
L2 seguono lo stesso sviluppo ha lasciato oggi spazio a ipotesi che sostengono come i due processi
abbiano alcuni aspetti simili ed altri diversificati, come il ruolo diverso assunto dai meccanismi innati,
dalle strategie cognitive, dai principi di processazione ed elaborazione grammaticale e dalla
motivazione a imparare.

1.3.1. ASPETTI DI SIMILARITÀ TRA L’APPRENDIMENTO DELLA L1 E UNA L2


Nell’apprendere una L2 si apprendono relativamente pochi concetti, poiché già conosciuti con
l’apprendimento della L1. Per esempio, il concetto di “numero”, o sapere che cos’è una domanda
anche se non si hanno le competenze lessicali per formularla, o sapere di aspettare il proprio turno
per prendere la parola. La lingua materna a dunque da battistrada per tutte le altre lingue acquisite,
poiché apprendendo la lingua materna si apprende il linguaggio.

1.3.2. ASPETTI DI DIFFERENZIAZIONE TRA L’APPRENDIMENTO DELLA L1 E DI UNA


L2
Secondo la prospettiva di Klein:
- L’apprendimento della L1 avviene contemporaneamente allo sviluppo cognitivo e sociale, e questo
non avviene con la L2
- L’apprendimento della L1 e di una L2 seguono solo in parte la stessa sequenza di apprendimento
- La L1 e la L2 vengono appese in situazioni diverse
- Il risultato dei due apprendimenti differisce in maniera notevole, almeno per quanto concerne la
fonologia della L2

Secondo la prospettiva di Rod Ellis:


a. Condizioni:
- Quantità di tempo: l’apprendente di L1 ha molto più tempo a disposizione; l’apprendente di L2
ha tempo limitato.
- Contenuti strutturati: l’apprendente di L1 è esposto a lingua che occorre naturalmente;
all’apprendente di una lingua straniera viene offerto un input selezionato e graduato.
- Evitare glie errori: nell’apprendimento della L1 gli errori sono concessi e non vengono corretti;
nella classe gli errori sono evitati e corretti.
b. Apprendente:
- Età: l’apprendente di L1 possiede capacità innate di apprendimento linguistico; per un
apprendente di L2, cognitivamente più maturo, il periodo critico è spesso superato.
- Motivazione: il bambino ha una forte motivazione ad imparare la L1 a causa di necessità di
comunicazione; la motivazione di un apprendente di una lingua straniera è necessariamente più
debole.
- Conoscenze linguistiche: l’apprendente di una L1 non ha conoscenze linguistiche preliminari; lo
studente di una L2 affronta il compito conoscendo un’altra lingua, che potenzialmente trasferisce
da una all’altra.
- Cultura: l’apprendente di una L1 acquisisce norme culturali durante il processo di acquisizione
linguistica; l’apprendente di una L2 ha già acquisito un insieme di valori culturali e può
sperimentare anomia (mancanza di motivazione) come risultato dell’apprendimento della L2.

1.4.CONCLUSIONI: IMPLICAZIONI DIDATTICHE


a. I dati linguistici offerti al bambino tengono conto delle sue necessità psicosociali e delle sue
capacità. Anche in situazioni istituzionali, i dati offerti all’apprendente di una L2 devono tenere conto
delle sue necessità comunicative, oltre che dello stadio di sviluppo raggiunto dalla L2.
b. La sola esposizione alla L2 non porta necessariamente all’apprendimento.
c. Sia il bambino che l’apprendente adulto di una L2 si interessano alla lingua in quanto oggetto.

2. IPOTESI TEORICHE RELATIVE ALL’APPRENDIMENTO DI UNA L2


- L'interesse per l'acquisizione delle L2 è antico, ma ha prodotto teorie sistematiche solo a partire
dagli anni Sessanta del secolo scorso; inizialmente riguarda l'apprendimento spontaneo di una L2
da parte di adulti (lavoratori stranieri emigrati e con un basso livello di istruzione).
- I ricercatori non concordano sull'opportunità di studiare contemporaneamente i processi di
apprendimento in contesto naturale e in contesto istituzionale o, invece, di separare nettamente le
due situazioni.
- Gli studi sulla Second Language Acquisition adottano una prospettiva disciplinare principalmente
psicologica, linguistica o sociale.

2.1. IPOTESI TEORICHE IN PROSPETTIVA PSICOLOGICA E/O LINGUISTICA


2.1.1. TEORIA COMPORTAMENTISTA (SKINNER, 1945):
Sino a metà degli anni Cinquanta, la teoria comportamentista è stata alla base dell’apprendimento
linguistico. Secondo Skinner, uno dei suoi maggiori esponenti, l’apprendimento della L1 è il risultato
della formazione di abitudini e avviene tramite la ripetizione di catene di stimoli e risposte rinforzate
positivamente. L’apprendimento di una L2 consiste nel processo di formazione di nuove abitudini
che vincano l’influsso di quelle create dalla L1 tramite l’imitazione, la memorizzazione e la pratica
meccanica delle strutture della L2.
IMPLICAZIONI GLOTTODIDATTICHE DEL COMPORTAMENTISMO E DELL’ANALISI
CONTRASTIVA → STRUTTURALISMO
- Insegnamento organizzato in unità di stimoli e di risposte da esercitare → overlearning (cicli
intensivi);
- uso estensivo di pattern drills (es. strutturali) per manipolare la lingua tramite tecniche di
sostituzione e di trasformazione (es. “Volgi al plur./sing.”);
- ruolo primario delle strutture morfosintattiche vs ruolo secondario del lessico

LIMITI DEL COMPORTAMENTISMO


Se l’apprendimento linguistico avviene esclusivamente tramite l’imitazione e la ripetizione di
stimoli...
→ come è possibile spiegare la produzione da parte del bambino di un numero indefinito di frasi che
non ha mai sentito né prodotto precedentemente?
→ come è possibile che un bambino impari in un lasso di tempo così breve un sistema linguistico
molto complesso?

ANALISI CONTRASTIVA (CONTRASTIVE ANALYSIS HYPOTHESIS, R. LADO 1857):


Come sostiene Robert Lado, uno dei rappresentanti più influenti della prospettiva contrastiva, gli
individui tendono a trasferire alla L2 le forme, i significati e la distribuzione di forme e significati
della loro L1. Ciò avverrebbe sia produttivamente che ricettivamente (quando si parla che quando si
afferrano i significati della L2), alla ricerca di similarità e differenze. Alle sue origini, l’analisi
contrastiva viene definita come lo studio parallelo di due lingue condotto con uno stesso metodo,
mettendo in evidenza gli stessi fatti o l’assenza, o la presenza degli stessi fatti. Tenendo in
considerazione le difficoltà che l’apprendente potrà trovare, si potrà evitare la formazione di abitudini
non corrette. L’analisi, quindi, assume un obiettivo prioritariamente pedagogico volto a migliorare
ogni aspetto del processo di insegnamento.

IL FENOMENO DELL’INTERFERENZA E DELL’ERRORE NELL’ANALISI CONTRASTIVA:


Il fatto che lo sviluppo della L2 venga spiegato in funzione delle differenze esistenti con la L1,
l’esistenza di un errore è indicativa di una difficoltà, ossia di quale meccanismo non ha operato
correttamente. Questi errori vengono commessi a causa del fenomeno dell’interferenza (o transfer
negativo), in base a cui ciò che si sta imparando viene influenzato da ciò che si è già appreso. Ciò
presuppone che l’apprendimento avvenga in modo lineare e cumulativo, trasferendo conoscenze
pregresse e non rielaborate in stadi di apprendimento successivi. Per evitare, quindi, tali errori, si
sviluppano tecniche di insegnamento mirate a controllare la produzione dello studente e a
minimizzare l’occorrenza di errori.

2.1.2. IPOTESI INNATISTA DEL LAD (Language Acquisition Device):


A partire dagli anni Settanta, la visione dell’errore subisce un cambiamento, venendo considerato un
indice di sviluppo naturale del linguaggio. Secondo Chomsky, l’acquisizione della L1 consiste in un
processo di elaborazione di regole formali, che avviene attraverso la formulazione di ipotesi e la loro
verifica sui dati in entrata. Tale capacità sarebbe dovuta alla presenza di un meccanismo innato di
acquisizione (LAD o Language Acquisition Device): ogni bambino è dotato sin dalla nascita di
universali formali e sostanziali, cioè possiede categorie sintattiche e tratti fonologici (validi per tutte
le lingue) e ha a disposizioni dei principi astratti (utili per la formulazione di possibili regole
applicabili alla lingua particolare con cui viene a contatto). L’acquisizione della grammatica gli
permetterà poi di comprendere e creare frasi che non aveva mai sentito o prodotto prima.
→ OSSERVA: canto, mangio, parlo
→ IPOTIZZA: ando
→ VERIFICA: si dice “vado”
→ USA: “mamma, vado a giocare”
→ FISSA: “vado fuori”, “vado su”
→ RAGIONA: i verbi in –are fanno –o, ma ci sono anche degli irregolari, come “andare”

COGNITIVISMO (IPOTESI INNATISTA - CHOMSKY)


- Apprendimento = processo mentale creativo possibile grazie al LAD (Language Acquisition
Device); selezione ed elaborazione degli stimoli ambientali e messa in relazione con le strutture
conoscitive già costituite.
- Meccanismo di apprendimento = attribuzione di un senso allo stimolo e selezione della risposta
adeguata.
- L’apprendimento avviene tramite:
a. formulazione di ipotesi;
b. feedback;
c. verifica delle ipotesi;
d. fissazione delle ipotesi corrette.

CARATTERISTICHE ED IMPLICAZIONE DEL COGNITIVISMO


→ esiste un ordine naturale di sviluppo indipendente dalla sequenza degli stimoli forniti
→ stimolo ambientale = opportunità di apprendimento
→ la L1 è un supporto per l’apprendimento della L2 perché fornisce esempi di realizzazione dei
principi della Grammatica Universale (GU)
→ l’errore risulta utile all’apprendente perché gli permette di controllare i limiti delle regole che ha
ricostruito

CONFRONTO SULL’APPRENDIMENTO LINGUISTICO.


TABELLA DI SINTESI
- COMPORTAMENTISMO
a. Non indaga sui processi mentali
b. Imitazione dell’input
c. L’output non deve discostarsi dai dati forniti
d. Esito: esecuzione prevista; stigma della deviazione
- COGNITIVISMO
a. Indaga sui processi mentali in atto
b. Elaborazione dell’input
c. L’output sarà necessariamente diversificato
d. Esito: conoscenza implicita di un sistema; si sedimenta un intake ritenuto dalla memoria a lungo
termine

2.1.3. IPOTESI DELL’INTERLINGUA E CONCEZIONE DELL’ERRORE:


Oltre ad errori dovuti all’interferenza negativa della L1 il discente commette errori dovuti a strategia
di apprendimento quali la sovrageneralizzazione, la semplificazione e la riduzione di complessità. La
lingua del discente è dunque vista in ogni fase di apprendimento come instabile, con una sua
grammatica peculiare ma sistematica, una sorta di dialetto idiosincratico o sistema approssimativo
(interlingua, cioè un continuum tra L1 e L2). La lingua del discente è quindi simile alle L2 ma diversa
in quanto semplificata e formata in base a processi analoghi a quelli di pidginizzazione e di
creolizzazione.
L’interlingua costituisce una forma ridotta della L2 in senso quantitativo e qualitativo. È inoltre
variabile all’interno di un continuum che sta tra L1 e L2 e permeabile in quanto è un sistema dinamico
che si differenzia da studente a studente. Alla fine del continuum, vi è la fossilizzazione, in base al
quale, indipendentemente dalla quantità e qualità di input disponibile, non vi è più intake da parte
dell’apprendente.
2.1.4. IPOTESI DELL’IDENTITÀ (DULAY, BURT, 1974):
Ipotesi innatista che vede l’apprendimento spontaneo di una L2 fondamentalmente uguale
all’apprendimento della lingua madre (tramite processi autonomi ed universali), con un focus sugli
aspetti grammaticali, tralasciando però fenomeni lessicali e testuali e le dimensioni di semantica e
pragmatica. L’ipotesi postula due caratteristiche qualificanti:
1. l’esistenza di stadi di acquisizione
2. la non incidenza di fattori esterni sull’apprendimento, che avverrebbe quindi indipendentemente
dalla lingua madre o da fattori sociali e situazionali.

2.1.5. TEORIA DEL MONITOR:


Elaborata negli anni Settanta e Ottanta da Stephen Krashen e articolata in cinque ipotesi o tesi:
1. ipotesi dell'acquisizione/apprendimento: la competenza in una L2 si sviluppa tramite l'acquisizione
(involontaria, inconscia e globale- è il più importante dei due in quanto avviene in contesti “naturali”)
e l'apprendimento (consapevole e sistematico- è caratterizzato dalla correzione di errori e dallo studio
di regole esplicite).
2. ipotesi dell'ordine naturale: le regole della lingua vengono apprese in un ordine prestabilito e
prevedibile, secondo ciò che Pit Corder chiama "built-in syllabus"(o “sillabo interiore” che funge da
guida all’apprendimento); un internal language processor consente la formulazione di ipotesi
semantiche e strutturali. La lingua si sviluppa in base all’interazione tra individuo e input linguistico.
3. ipotesi del monitor: l’apprendimento consapevole è possibile attraverso un monitor, che controlla
il messaggio linguistico prodotto. Ciò avviene se: il discente ha tempo sufficiente per elaborare i dati;
se l'input è focalizzato sulla forma della lingua; e se l'apprendente conosce la regola implicata.
4. ipotesi dell'input: la lingua si impara comprendendo il messaggio. L'apprendimento progredisce
quando il discente riceve un input che, pur essendo nuovo, viene capito con l’aiuto di info contestuale,
linguistica o extralinguistica. L'input favorevole all'apprendimento deve essere ricco, significativo e
autentico, cioè non semplificato.
5. ipotesi del filtro affettivo: non c'è acquisizione se non si eliminano i “filtri affettivi”, costituiti da
timori e pregiudizi; tuttavia, è un danno anche la loro totale assenza.

Ripercussioni didattiche dell'ipotesi del monitor di Krashen evidenziate negli anni Ottanta e Novanta
1. sviluppo di vari approcci didattici applicabili soprattutto a situazioni di insegnamento istituzionale
e a discenti adulti, come ad esempio l'"approccio naturale" (pone il focus dell'insegnamento sul
significato e non sulla forma; nessuna gradazione strutturale dei materiali didattici; clima rilassato e
piacevole in classe).
2. distinzione troppo netta tra acquisizione e apprendimento, che non sono le uniche modalità e
dovrebbero essere considerate interdipendenti (l'apprendimento non è secondario).
3. i concetti di processatore linguistico interno e di filtro affettivo dovrebbero essere maggiormente
differenziati.
4. non sembra necessario postulare una distanza tanto netta tra contesto naturale e contesto
istituzionale di apprendimento
5. nell'apprendimento, la riflessione metalinguistica ha la stessa importanza dell'interazione
(propugnata con la svolta comunicativa)
6. non è la conoscenza della grammatica che consente di capire una lingua, ma il contrario (la lingua
si interiorizza, non si impara e non si studia)

SECOND LANGUAGE ACQUISITION THEORY (KRASHEN, 1983)


- Apprendimento = cognitivismo
- Meccanismo di apprendimento = accomodamento delle nuove conoscenze sulle precedenti,
possibile solo se c’è comprensione
- L’apprendimento avviene tramite:
a. comprensione dei messaggi;
b. sfruttamento del contesto e delle info extralinguistiche;
c. valorizzazione delle conoscenze dello studente
- L’errore risulta utile all’apprendente perché gli permette di controllare i limiti delle regole che ha
ricostruito

2.2.IPOTESI RELATIVE ALL’ORDINE DI ACQUISIZIONE DELL’INTERLINGUA


2.2.1. L’EVOLUZIONE DELL’INTERLINGUA
A partire dagli anni Settanta si assiste ad uno sviluppo sugli studi sull’evoluzione dell’interlingua in
stadi successivi. L’interlingua, anche ad uno stato iniziale, è un sistema basato su principi funzionali.
L’apprendente adotta delle strategie di tipo sociale e cognitivo che gli permettano sia di ottenere i
migliori risultati possibili sia di imparare a partecipare alla comunicazione con il minor sforzo
cognitivo possibile.

2.2.2. MODELLO MULTIDIMENSIONALE E TEORIA DELLA PROCESSABILITÀ


(PIENEMANN, 1983 - 1998):
- Elaborato da Clahsen, Meisel e Pienemann nel 1983 e, successivamente, riformulato da Pienemann
nella Teoria della processabilità (1998). Il modello si basa su un’indagine compiuta negli anni ’70-
‘80 in Germania sull’apprendimento della sintassi tedesca da parte di lavoratori italiani e spagnoli
emigrati (progetto ZISA)
- Postula l’esistenza di determinati stadi di sviluppo che si susseguono in un ordine implicazionale:
→ al loro interno, gli apprendenti acquisiscono le strutture grammaticali in sequenze di sviluppo;
→ le sequenze di sviluppo riflettono il modo in cui gli apprendenti superano i limiti processuali;
→ l’insegnamento ha successo se gli apprendenti padroneggiano le operazioni processuali associate
allo stadio di acquisizione precedente.
La teoria della processabilità nasce per spiegare le sequenze di sviluppo delle abilità processuali in
relazione all’apprendimento linguistico. Una sua applicazione alla didattica di L2 è costituita
dall’ipotesi di insegnabilità, secondo cui, nell’apprendimento spontanei di L2, esiste un ordine di
acquisizione naturale per molti aspetti della grammatica di quella lingua (indagine su 10 bambini
italiani con diverse competenze linguistiche in tedesco).
I processi di apprendimento sono estremamente variabili per quanto riguarda i ritmi in base ai quali
le sequenze si susseguono: gli stadi e l’evoluzione dell’interlingua vanno dunque intesi nel senso
relativo di “successione nel tempo”.

STADI E SEQUENZE ACQUISIZIONALI:


- o stadi di acquisizione
1. pre-basica - basica
2. post-basica intermedia
3. post-basica intermedia avanzata
4. post-basica avanzata
- Sequenze acquisizionali: riguardano categorie specifiche (morfologiche, sintattiche,
morfosintattiche...).
→ es. Gerarchia dei tempi e modi in ItalL2: Forma basica > (ausiliare) Passato prossimo > Imperfetto
> Futuro > Condizionale > Congiuntivo

2.3. IPOTESI TEORICHE IN PROSPETTIVA SOCIALE E CULTURALE


2.3.1. IPOTESI INTERAZIONISTA:
Pone in rilievo il ruolo dell’interazione nello sviluppo dell’interlingua. Uno dei primi ad allargare
l’analisi dell’interlingua dello studente all’input cui viene esposto, fu nel 1975 Judy Wagner-Gough,
noto per i suoi studi sull’apprendimento dell’inglese come L2 da parte di un bambino iraniano di 5
anni, Homer.
Teacher - Where are you going, Homer?
Homer - Where are you going is home
(J. Wagner-Gough, 1975)
- Apprendimento = cfr. Cognitivismo
- Meccanismo di apprendimento = per attivare il LAD chomskyano serve interazione con l’ambiente
(Language Acquisition Support System [LASS]; Bruner 1983)
- L’apprendimento avviene tramite:
1. interazione con il parlante/l’insegnante;
2. la negoziazione dei significati tra N e NN;
3. la generazione di input comprensibile
Se l’interlingua è modellata dall’interazione è allora necessario vedere come l’apprendente NN
costruisca i suoi enunciati su quelli del parlante N. L’interazione è fondamentale dal momento che i
discenti fanno ricorso al contesto discorsi e situazionale. Le situazioni interattive facilitano la
produzione comunicativa del discente ma non lo aiutano necessariamente ad acquisire microsistemi
linguistici complessi. Infatti, la situazione interazionale favorisce la paratassi (organizzazione del
periodo per coordinazione), che implica un uso ristretto di elementi morfologici e sintattici.
Nonostante la conversazione non aiuti l’acquisizione di forme linguistiche complesse aiuta a
sviluppare strategie per diventare buoni conversatori.
- Studio di Sato sull’acquisizione di una L2 da parte di due bambini vietnamiti di 10 e 12 anni, che
imparano l’inglese negli USA→ processo di sintatticizzazione del tempo passato e della
codificazione proposizionale.

2.3.2. IPOTESI DELL’ACCULTURAZIONE (un’ipotesi ambientalista):


Formulata da Schumann (1978), si concentra su alcuni fattori psicosociali che agiscono in modo
particolare in determinate situazioni di apprendimento. Cerca di spiegare: perché gli apprendenti
acquisiscono una sola variante pidginizzata di una L2? Perché hanno sviluppato una distanza
psicologica e sociale per la L2. Le lingue pidgin sono L2 dominanti, utilizzate da un gruppo di parlanti
di un’altra lingua madre per scopi comunicativi limitati (commerciali, sociali, culturali); sono
strumentali. Cause psicosociali inducono quindi ad imparare la L2 solo in maniera elementare
(strutturazione semplificata e vocabolario ridotto). Questo processo, definito da Schumann come un
tipo di fossilizzazione, è analogo a quello di pidginizzazione (ferma ad un livello basso di sviluppo).
Questa ipotesi mette in luce l’importanza, per l'apprendimento, di aspetti affettivi e motivazionali.

LASS (BRUNER):
Language Acquisition Support System
- Language Acquisition: crea le condizioni perché LAD possa funzionare (motivazione)
- Support: non fonte, modello, ma gestore dell’input
- System: non intervento mono-materiale, monometodologico, mono-personale ma “sistema”

2.3.3. IPOTESI SOCIOCULTURALE E COSTRUTTIVISTA (ANNI ‘80):


Secondo Lantolf (2000) e Wertsch (1991), la comunicazione in L2 comporta una relazione tra la
propria cultura e quella della L2, richiedendo lo sviluppo di una consapevolezza culturale critica.
Indipendentemente dallo scopo, quindi, le dimensioni sociali e culturali costituiscono una parte
essenziale del processo. Questa abilità presuppone un tipo di apprendimento situato (inteso come
attività di produzione in contesti di vita reale). La teoria socioculturale distingue l’aula tradizionale
dall’ambiente di apprendimento.
- Apprendimento = è una pratica sociale e un apprendimento situato in un “luogo” (reale o virtuale),
in cui gli studenti si aiutino a vicenda nel raggiungimento di obiettivi comuni; richiede lo sviluppo di
una competenza culturale critica.
- Meccanismo di apprendimento = processo basato sull’esperienza e la condivisione sociale, che
agiscono sulle zone di sviluppo prossimale (ovvero zone di sviluppo “potenziale” dello studente).
- L’apprendimento avviene tramite:
a. alta motivazione;
b. sviluppo di consapevolezza, autonomia, metacognizione;
c. partecipazione e collaborazione;
d. autenticità dei compiti;
e. classe come ambiente sociale cooperativo

3. LA DESCRIZIONE DI UNA LINGUA


Lingua (definizione linguistica) = sistema governato da regole
Linguistica = studio scientifico del linguaggio
La lingua è vista come un oggetto statico, regolare, un sistema “in sé contenuto” (self-contained),
delineato e internamente coerente; e la qualificazione di scientifico ne identifica la modalità di analisi,
escludendo ogni eccezione. Ma modelli basati su tali premesse sono inadeguati per chi si occupa di
insegnamento linguistico, per cui il linguaggio va inteso come sistema funzionale le cui variazioni
sono determinate dal contesto interattivo.
- La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio e vede ogni lingua come un sistema governato
da regole, statico, regolare, internamente coerente.
- Nell'insegnamento linguistico il linguaggio va inteso come un sistema funzionale in cui il contesto
dell'interazione determina sistematica variazione.
- La grammatica non riguarda solo gli aspetti strutturali di una lingua, ma anche la cultura, l'agire
umano e l'interazione sociale.

3.1.DESCRIZIONE DELLA LINGUA COME INSIEME DI TIPI E LIVELLI DI SIGNIFICATO


Una lingua è costituita vari tipi e livelli di significato: fonologico, morfologico, grammaticale,
sintattico, semantico e pragmatico.
Leech opera una concezione di lingua che ordina i significati secondo una scala di convenzionalità: i
significati più convenzionali sono quelli formali, mentre quelli più lontani dalla forma sono quelli
meno convenzionali e predicibili. Un ordinamento di questo tipo, che procede dalla forma all’uso,
separa gli aspetti strutturali della lingua dagli aspetti di utilizzo, non permettendo di formulare
distinzioni funzionali, cioè dipendenti dal contesto (variabili). Leech propone il seguente schema
(1983- che va dal più convenzionale al meno convenzionale):

3.1.1. SIGNIFICATO REFERENZIALE


Il primo livello rende conto delle proprietà superficiali delle frasi. Si suddivide in:
1. Significato formale: riguarda la forma delle frasi. È lo studio della sintassi che si occupa di come
le forme linguistiche sono collegate in sequenze frasali.
2. Significato semantico: riguarda il senso letterale che trasmettono. È lo studio della semantica che
si occupa della relazione tra le forme linguistiche e le entità dal mondo.

3.1.2. SIGNIFICATO PRAGMATICO


Il secondo livello di significato esprime la forza degli enunciati (che assumono in situazioni di
comunicazione reale) ed è lo studio delle relazioni tra le forme linguistiche e chi usa tali forme.
Riguarda il significato degli enunciati in quanto azioni sociali, rende conto del fatto che quando si
comunica si compiono degli atti: si chiede, si ringrazia, si saluta, si rimprovera... Ne esistono due tipi:
1. Significato pragmatico primario: forza più usuale che assume la frase quando viene enunciata, cioè
quando l’intenzione del parlante è chiaramente espressa. Un esempio è la richiesta di un'informazione
2. Significato pragmatico derivato: forza che l’enunciato deriva dai principi pragmatici di primo
ordine; non è possibile attribuire al parlante una chiara intenzione comunicativa. Alcuni esempi sono
le espressioni sarcastiche e ironiche, le metafore, le domande retoriche.

3.1.3. SIGNIFICATO DISCORSIVO


Gli atti di studio del significato pragmatico vengono uniti per dare un significato all’enunciazione
totale, cioè al discorso o al testo. Ne esistono 2 tipi:
1. Significato discorsivo sequenziale: tutto quello che si dice avviene in un contesto di continuità. La
forza pragmatica è determinata dall’azione che si compie relativamente ad enunciati prodotti
precedentemente e/o successivamente. Possono essere distinti dei blocchi concettuali (o
superstrutture testuali), che si differenziano in base al genere testuale a cui appartengono.
2. Significato discorsivo relativo all’evento comunicativo nella sua interezza: si riferisce sia a ciò che
viene normalmente detto sia a come tale contenuto viene espresso. Ne si deduce che la comunicazione
nella sua interezza viene regolata da leggi convenzionali ed ogni comunità linguistica acquisisce i
propri modi tipici di comportamento linguistico in varie occasioni comunicative.

3.2.DALLA FRASE ALL’ENUNCIATO, ALL’EVENTO LINGUISTICO


3.2.1. STUDIO DELLA LINGUA COME OGGETTO FORMALE
La linguistica si riferisce allo studio degli aspetti formali e strutturali delle lingue. Si tratta di una
concezione di studio linguistico basata su due assunzioni di Saussure:
1. la lingua di una comunità linguistica può essere considerata invariante;
2. la lingua - langue- va studiata come sistema statico e sincronico.
Queste assunzioni danno luogo ad un concetto astratto di lingua, che la isola dalle sue componenti
sociali culturali e storiche.

3.2.2. STUDIO DELLA LINGUA COME USO: LA COMPETENZA COMUNICATIVA (O


SOCIOLINGUISTICA)
A partire dalla fine degli anni Sessanta, si riconosce l’importanza di ampliare il campo di indagine
della linguistica, concentrandosi anche su fenomeni come l’ordine delle parole. Al concetto di
competenza linguistica si contrappone quello di competenza comunicativa, intesa come la capacità
del parlante di selezionare le forme che riflettono in maniera appropriata le norme sociali che
governano il comportamento verbale in specifiche situazioni. L’unità di analisi è l’evento linguistico
che chiama in causa fattori che compongono le situazioni sociali. Tali fattori sono riassunti in un
modello elaborato da Hymes (1972):
S = situation – situazione (coordinate spazio-temporali)
P = partecipants – partecipanti (parlante- emittente)
E = ends – scopi (quelli che spingono all’azione-quelli effettivamente raggiunti)
A = act sequences - sequenze di atti (forma-contenuto)
K = key – chiave (chiave interpretativa dei messaggi)
I = instrumentalities - mezzi o strumenti (canale- scritto, parlato, visivo, auditivo etc.)
N = norms - norme di interazione (regole di cortesia, massime conversazionali etc.)
G = genre - genere discorsivo o testuale

3.3.LA PRAGMATICA
3.3.1. LA PRAGMATICA COME LIVELLO DI SIGNIFICATO ALL'INTERNO DEL SISTEMA
FORMALE: LA TEORIA DEGLI ATTI LINGUISTICI.
In seguito agli studi sugli atti linguistici di Austin (1962) e Searle (1969), gli enunciati iniziano ad
essere considerati come l’esecuzione di atti (es. promettere, chiedere informazioni, asserire, invitare,
ordinare etc.). È, quindi, attraverso le loro opere che la teoria degli atti linguistici è entrata nella teoria
linguistica contemporanea e, in seguito, nella glottodidattica. Su questo nuovo modello, si sviluppa
l’idea che la lingua sia costituita da una sequenza di atti linguistici ben identificabili (es. “Vieni qui!”
- ordine). Ogni frase contiene nella sua struttura semantica un verbo performativo che identifica la
natura dell’atto linguistico.
CRITICA: l’ipotesi performativa ha, via via, perso il proprio valore, soprattutto in seguito alla
considerazione che la maggior parte degli enunciati non può essere definita come realizzazione di un
unico e particolare atto linguistico. Altre critiche si riferiscono, invece, al suo atomismo ed
individualismo.

3.3.2. LA PRAGMATICA INTERAZIONALE.


Tali critiche, portano ad una nuova concezione della pragmatica, questa volta di tipo interazionale.
Può essere definita come lo studio della lingua in relazione all’essere umano nel suo complesso
(persona dinamica e come prodotto di un determinato sviluppo culturale). Costituisce una prospettiva.
Non studia solo la forza illocutiva degli enunciati (la loro funzione comunicativa in un dato contesto)
ma anche gli effetti che essi determinano. La pragmatica in questo senso è scienza dell’uso del
linguaggio (“che cosa fa la gente con le parole?”) e lo studio del suo contesto.

3.4.MODELLI DI ANALISI DEL DISCORSO: “ANALISI DELLA CONVERSAZIONE” (AC)


Ha come obiettivo la descrizione della struttura di testi e discorsi sovrafrasali, cioè delle azioni
interattive all’interno di una cornice più ampia della frase. Mira a identificare le regolarità discorsive
descrivendo il comportamento linguistico così come esso ha luogo. Considera il discorso come fattore
che determina la struttura sociale, immanente nella lingua e riflessa nel comportamento dei parlanti.
Questa analisi adotta la prospettiva dell’osservatore del prodotto testuale, considerato espressione di
caratteristiche culturali, sociali e personali.
Da un punto di vista pedagogico, l’analisi della conversazione incoraggia lo sviluppo di una
consapevolezza relativa alle pratiche discorsive e un’attenzione ai dettagli dell’interazione. Una
possibile applicazione di analisi riguarda l’inserzione di norme prescrittive che specifichino come ci
si comporta linguisticamente nella L2 in situazioni interazionali “non marcate”.

… E “ANALISI CRITICA DEL DISCORSO”


Indaga le procedure che permettono la produzione e l’interpretazione dei discorsi, considerati come
comportamenti rule referenced. Postula dei parametri non immanenti nella lingua e li mette in
relazione ai comportamenti linguistici, basandosi sul presupposto che i modelli discorsivi rivelino
valori, credenze e strutture ideologiche socialmente e culturalmente determinati.
Considera il discorso come determinato dalla struttura sociale sottostante, quindi mutevole. Questa
analisi adotta la prospettiva del parlante, focalizzando l’attenzione su ciò che è rilevante per i
partecipanti nel momento della conversazione. Dal punto di vista pedagogico, l’analisi critica del
discorso incoraggia l’apprendente a identificare le assunzioni ideologiche, a concentrare l’attenzione
sulle relazioni problematiche esistenti tra realizzazioni linguistiche e sistemi di valori e credenze.

4. LA DESCRIZIONE DEI PROCESSI COMUNICATIVI


La lingua intesa come “processo comunicativo” è uno strumento di coordinamento tra i partecipanti
ad uno stesso evento linguistico. La concezione di comunicazione include sia aspetti linguistici che
non linguistici, metacomunicativi, relazionali, sociali e culturali.

4.1.LA COMUNICAZIONE LINGUISTICA.


La teoria dei processi comunicativi (Watzlawick, Beavin e Jackson- 1971) si sviluppa su una serie di
assiomi:
1. Non si può non comunicare: ogni azione linguistica o meno va intesa come una forma di
comunicazione, in quanto trasmette messaggi di vario tipo;
2. Ogni comunicazione ha sia un aspetto contenutistico che uno relazionale: ad ogni trasmissione di
info si sovrappone una interpretazione personale (metacomunicazione);
3. Il tipo di interazione determina la relazione esistente tra gli interlocutori;
4. La comunicazione umana si serve di:
a. modalità digitale: possiede una sintassi logica complessa e variata con una semantica inadeguata;
b. modalità analogica: possiede una semantica adeguata ma difetta nella logica sintattica.
In altre parole, questo assioma indica la differenza tra comunicazione verbale e comunicazione non
verbale.
5.Si distingue tra scambi comunicativi simmetrici (non paritetico- es. tra superiore e collaboratore) e
complementari (paritetico- es. tra compagni di scuola).
Questa concezione di comunicazione prevede, oltre allo scopo di descrivere la realtà nello scambio
di informazioni e conoscenze, anche la costruzione e la modificazione della realtà (attraverso il nostro
punto di vista).

4.2.LA NOZIONE DI CONTESTO


La forza pragmatica degli enunciati è una funzione del contesto di produzione e di ricezione
dell’enunciato stesso.
La definizione di Labov e Fanshel (1977) di “situazione sociale” comprende:
1. il setting, cioè l’ambientazione e l’attività che vi si svolge;
2. le relazioni interpersonali esistenti tra gli interlocutori.
La nozione di contesto si applica però anche agli aspetti culturali che influiscono nella
comunicazione. Si distingue tra (Halliday):
a. Contesto culturale: ampio sfondo in relazione a cui testi e discorsi vengono interpretati;
b. Contesto sociosituazionale: ambiente immediato dell’interazione.

4.3.LE ABILITÀ LINGUISTICHE PRIMARIE


4.3.1. PROCESSI PRODUTTIVI: PARLARE E SCRIVERE
Parlare e scrivere sono due processi produttivi che differiscono non solo per materiale espressivo,
uno fonico e l’altro grafico, ma anche per strutturazione, più semplice e ridondante nel parlato e più
complessa nello scritto. Sono diverse anche la coesione e la coerenza testuale: nel parlato la coesione
è ottenuta con mezzi prosodici più che grammaticali, mentre lo scritto è pianificato, “corretto” e può
essere controllato. Esistono però dei generi parlati con elevato grado di formalità con una funzione
transazionale più che interazionale (generi monologici piuttosto che dialogici- es. lezione ex
cathedra, relazione ad un convegno scientifico o dialoghi teatrali). La distinzione tra scritto e parlato
non è, dunque, polare ma piuttosto un continuum.

Difficoltà del NN nella comunicazione orale e scritta in L2:


a. Ordine linguistico: problematiche fonologiche, sintattiche e lessicali. Deriva dalla non conoscenza
delle regole di assegnazione dei turni di parola vigenti in L2;
b. Ordine interazionale: problematiche nella conduzione dell’interazione o nella negoziazione dei
significati. Deriva dalle diverse strategie di negoziazione tra la L1 e la L2, se non addirittura delle
differenze nelle norme sociali nelle due diverse culture (cosa dire, a chi, quando e come).
Secondo Nunan (1989), le capacità necessarie ad una comunicazione orale efficace in L2 sono:
1. Articolare in modo comprensibile gli aspetti fonologici;
2. Padroneggiare la prosodia della L2;
3. Abilità transazionale e interpersonale;
4. Capacità di prendere turno;
5. Capacità di conduzione interazionale;
6. Capacità di negoziazione dei significati;
7. Capacità di ascolto;
8. Capacità di negoziare gli scopi conversazionali;
9. Conoscenza d’uso delle formule e i riempitivi conversazionali;
10. Conoscenza delle norme di carattere sociale vigenti nella lingua straniera rispetto al particolare
evento linguistico.
Lo scritto si differenzia dal parlato essenzialmente per il suo carattere di permanenza, che permette
di controllare i mezzi linguistici a propria disposizione e, quindi, di ottenere una migliore
organizzazione testuale. Scrivere in una lingua straniera implica la trasposizione in un codice liverso
da quello materno tutte le operazioni che si compiono nella propria lingua (controllo lessicale,
strutturale, testuale, stilistico della L2): tutti quegli aspetti che danno forma alla nostra percezione di
ciò che costituisce il convincimento.

4.3.2. PROCESSI RICETTIVI: ASCOLTARE E LEGGERE


Comprendere significa collegare l’informazione in arrivo con l’informazione già posseduta.
Comprendere una lingua significa aver appreso le regole tramite cui estrarre significati dagli elementi
linguistici, cioè poter codificare quanto si legge o si ascolta in una “rappresentazione del significato”.
Consiste anche nel rendere esplicito ciò che in un testo o discorso è implicito. Secondo Schank, la
comprensione è costituita da vari processi:
1. Analisi: permette di percepire significati espressi da altri. Si divide in:
a. Scandaglio lessicale: attribuzione a parole o frasi di un concetto cui gli elementi linguistici si
riferiscono;
b. Identificazione di eventi: processo che adatta i concetti ottenuti tramite lo scandaglio lessicale ad
un evento o una descrizione di stato;
2. Compiere inferenze: avviene contemporaneamente all’analisi e consiste nel formulare ipotesi su
cosa il parlante abbia voluto significare indipendentemente da quanto ha detto. Entrano in gioco due
sottoprocessi:
a. Riempire gli spazi informativi vuoti in base a calcoli di probabilità e possibilità;
b. Identificare gli scopi: attribuire ad un dato evento una motivazione;
3. Connessione di eventi: processo che verifica la nuova informazione adattandosi a credenze, fatti
contraddittori o altre informazioni utilizzabili per spiegare i nuovi eventi di cui siamo appena stati
informati.
La comprensione è possibile grazie ad una serie di informazioni che già abbiamo e possono essere:
a. Informazioni linguistiche: date dagli enunciati. Diventa informazione contestuale non appena viene
detto un altro enunciato;
b. Informazioni contestuali: in continuo cambiamento. Se ne distinguono tre tipologie:
1. Informazioni derivanti dalle conoscenze sul mondo: conoscenze che possiamo supporre nelle varie
occasioni sociali. Sono relativamente stabili in quanto specifiche della cultura di appartenenza
dell’interlocutore;
2. Informazioni derivanti dalla situazione: può essere ricavata dal contesto situazionale e può essere
ricondotta alla percezione visiva (catturare i gesti e le espressioni);
3. Informazioni derivanti dal co-testo: riguarda l’informazione ricavata dal contesto linguistico degli
enunciati (es. elementi anaforici e cataforici).
L'efficienza del processo di comprensione risiede nella sua strutturazione in avanti, rendendoci in
grado di fare predizioni grazie a piccoli indizi linguistici.

Difficoltà del NN nei processi di comprensione orale e scritta in L2:


- Le informazioni culturali della lingua materna spesso possono interferire con la comprensione della
L2;
- Leggendo o ascoltando in L2 (processo inferenziale: aggiunta di informazione implicita) si rischia
di aggiungere informazioni non pertinenti derivate dalla L1 (es. conoscenza di situazioni stereotipate
(scripts) al ristorante o la prima colazione);
- Insufficienza o diversità di conoscenze linguistiche per compiere appropriate previsioni, inferenze,
deduzioni.

4.4.LE ABILITÀ LINGUISTICHE INTEGRATE


Molto spesso le quattro abilità primarie compaiono “integrate” sia sull’asse della ricezione-
produzione che su quello dell’oralità-scrittura, perché insufficienti a sé stanti.
Conversare: integra l’abilità di comprensione e produzione orale;
Riassumere: integra abilità di comprensione orale e scritta e produzione scritta.
4.4.1. IL LINGUAGGIO DEI NUOVI MEDIA: TRA SCRITTO E PARLATO?
Una nuova forma di “integrazione” di abilità primarie riguarda il linguaggio dei nuovi media. Parlare
di lingua scritta per la comunicazione mediata dal computer (CMC) è incorretto. Nella scrittura
digitale (specie in e-mail private e chat) sono rintracciabili tratti sia del canale scritto che di quello
orale, in particolare fenomeni tipici del discorso ordinario e del dialogo tra pari.
Inoltre, la scrittura digitale è manipolabile, in quanto calcola la presenza di tanti altri linguaggi:
iconico, musicale, verbale, espedienti grafici, segnali discorsivi e interpuntivi, pause ed esitazioni
riprodotte da puntini. Ad esempio, si può suddividere il testo in blocchi cui si può rispondere
separatamente come in uno scambio orale tra due persone. Sarebbe superficiale ridurre le e-mail ad
un’unica categoria. Le e-mail hanno generalmente un proprio linguaggio digitale differenziato che le
rendono più simili ad una conversazione orale ordinaria, come se il destinatario fosse presente.

5. LA PEDAGOGIA LINGUISTICA
- Il metodo migliore è un metodo misto che tenga conto delle particolari caratteristiche della
situazione di insegnamento/apprendimento in cui l’insegnante si trova ad operare; tre fasi dal
secondo dopoguerra agli anni Novanta del secolo scorso.
- Nella teoria e nella prassi della glottodidattica e delle altre metodologie ricorrono ciclicamente
due momenti storici (cfr. Christian Puren):
▪ “fase rivoluzionaria” = si parte da ipotesi teoriche nuove per operare un profondo cambiamento
nelle pratiche didattiche; paradigma basato su razionalizzazione e sistematizzazione; ricerca di
coerenza costruita intorno a un problema di riferimento; focalizzazione sul metodo;
▪ “fase gestionale” = teorie e materiali prefabbricati sono visti con sospetto; paradigma basato su
eclettismo e pragmatismo; focalizzazione dell'apprendente.
- Gli approcci metodologici cambiano nel tempo per motivi esterni (culturali, sociali e politici) e
interni (relativi allo sviluppo della ricerca glottodidattica).
- Ipotesi psicolinguistiche o di linguistica acquisizionale (apprendimento), ipotesi linguistiche
(lingua studiata), ipotesi pedagogico-didattiche (insegnamento).

5.1.COME GUARDARE AI CAMBIAMENTI NELLA DIDATTICA LINGUISTICA


Con Christian Puren vediamo come, in tutte le metodologie costituite, i cambiamenti si snodino su
due momenti storici che si rincorrono ciclicamente:
a. Fase dinamica di cambiamento o fase rivoluzionaria: ci si appoggia a teorie nuove (linguistiche,
psicolinguistiche, pedagogiche, sociali) e si esige un profondo cambiamento nelle pratiche di
insegnamento basate sulla razionalizzazione e sulla sistematizzazione. Si ha una focalizzazione sul
metodo.
b. Fase statica o fase gestionale: le teorie e i materiali “prefabbricati” vengono visti con sospetto: un
buon insegnante non deve essere schiavo dei manuali ma sa adattare le proprie pratiche didattiche
alla diversità delle situazioni di insegnamento. Si ha una focalizzazione sull’apprendente.
Quindi, ad una prima fase di sistematizzazione, caratterizzata dalla ricerca di coerenza in una
determinata situazione di riferimento, si sostituisce una fase di de-sistematizzazione, in cui le
problematiche di riferimento si diversificano e diventano più complesse e sfumate.

5.2.COME E PERCHÉ, CAMBIANO GLI APPROCCI METODOLOGICI


Esistono due ordini di motivi relazionati al cambiamento degli approcci metodologici:
1. Esterni: fattori culturali, sociali e politici che determinano le esigenze e le richieste dell’istituzione
educativa;
2. Interni: riguardano lo sviluppo della ricerca glottodidattica (ipotesi linguistiche, psicolinguistiche,
pedagogico-didattiche) che si focalizza su:
a. Apprendimento
b. L’oggetto di apprendimento/insegnamento
c. L’insegnamento

5.3.MOTIVI ESTERNI DI CAMBIAMENTO


In Italia i motivi esterni di cambiamento negli approcci di insegnamento di una L2 sono:
1. Cambiamento della popolazione scolastica (molti studenti sono stranieri);
2. Il progetto di rinnovamento del sistema scolastico ed universitario per armonizzarlo a quelli di altri
paesi dell’UE, che sollecitano il cittadino ad un apprendimento permanente (v. Libro Bianco del 1995
e Common European Framework del 2001);
3. fattori di ordine culturale, sociale e politico, che esistono in un determinato periodo storico in un
particolare paese.

5.4.MOTIVI INTERNI DI CAMBIAMENTO


Possiamo distinguere tre tappe nella didattica delle lingue straniere, che vanno dalla fine della
Seconda guerra mondiale agli inizi degli anni Novanta. Le prime due privilegiano ipotesi descrittive,
mentre la terza si concentra sul discente.

5.4.1. 1a TAPPA: LE LINGUE FONDAMENTALI (ANNI ’60 E’70)


Si focalizza sui contenuti di insegnamento intesi come quegli elementi strutturali (grammaticali) e
lessicali che possono essere considerati “fondamentali” o “di base”. La loro scelta è basata su criteri
di frequenza, occorrenza, disponibilità (nella memoria), copertura (utilizzabilità) dei segni
linguistici. I primi studi statistici sulla lingua furono applicati al francese e diedero luogo
all’individuazione della cosiddetta français fondamental (francese/lingua fondamentale).

5.4.2. 2a TAPPA: GLI APPROCCI COMUNICATIVI (DEGLI ANNI ’70)


Si focalizza sulla descrizione della competenza comunicativa (microfunzioni e nozioni grammaticali),
in particolare sugli atti comunicativi che compongono tale competenza. La competenza comunicativa
è composta da:
1. Competenza grammaticale: capacità di capire e produrre forme sintattiche, lessicali e fonologiche
corrette;
2. Competenza sociolinguistica: capacità del parlante di selezionare tra le possibili forme corrette,
quelle più adeguate alla situazione comunicativa;
3. Competenza strategica: capacità del parlante di organizzare il discorso in maniera efficiente per
raggiungere il proprio scopo comunicativo.
Nell’insegnamento comunicativo si distinguono due versioni (Howatt, 1984):
a. versione forte: propone l’esclusione della pratica formale controllata e della riflessione
metalinguistica, favorendo attività che più si avvicinano alla vita reale dell’apprendente;
b. versione debole: sostiene la necessità di integrare a tali attività l’insegnamento grammaticale
esplicito, la riflessione metalinguistica e l’esercitazione strutturale.

Sviluppo della consapevolezza metalinguistica


La maggior parte degli insegnanti oggi concorda nel riconoscere all’insegnamento esplicito delle
regolarità della L2 un ruolo importante: uno formativo, che influisce sulla disposizione ad apprendere;
ed uno informativo, che mira a facilitare ed accelerare l’apprendimento. Determinate indicazioni
(come ideologie, sistemi di valori e credenze) svilupperanno nel discente consapevolezza del nesso
lingua-cultura, lo renderanno attento a cercare di individuare gli aspetti culturali impliciti, sottesi alla
produzione linguistica. Tale consapevolezza può essere raggiunta in due modi:
1. approccio esplicito: considera l’apprendimento come imitativo; propone la presentazione ed il
conseguente apprendimento del discente di regolarità preanalizzate;
2. approccio implicito: di tipo costruttivista, propone la scoperta di regolarità presenti in una lingua
ed un loro aggiustamento progressivo.
Entrambi gli approcci possono essere utilmente integrati. Riflettere sugli aspetti regolistici della L2
può incoraggiare la discussione e contribuire ad affinare la capacità dell’allievo di osservare,
decostruire, interpretare. In questo modo, l’insegnamento delle regolarità vigenti della L2 non
risulterà astratto.

L’insegnamento comunicativo e la dimensione socioculturale della lingua


Gli approcci comunicativi sono stati adottati soprattutto nell’insegnamento per principianti, in cui ci
si appoggia a scenari condivisi e familiari alla maggior parte degli studenti che si concretizzano in
atti comunicativi ricorrenti, quali salutare, presentarsi, chiedere informazioni, ringraziare etc.

5.4.3. 3a TAPPA: INDIVIDUALIZZAZIONE DELL’INSEGNAMENTO (DEGLI ANNI ’70)


Privilegia la descrizione dei profili individuali degli apprendenti, cioè si focalizza
sull’individualizzazione dell’insegnamento. Un curricolo centrato sul discente esclude un accordo di
centralità dei contenuti ed una prassi rigidamente determinata. Diventa piuttosto uno sforzo
collaborativo tra insegnante e allievi in quanto questi sono coinvolti nel processo decisionale
relativamente al contenuto del curricolo e non a come si svolgerà.

5.5.TENDENZE NELLA GLOTTODIDATTICA A PARTIRE DAGLI ANNI NOVANTA DEL


SECOLO SCORSO
5.5.1. SVILUPPO DELLA COMPETENZA DI AZIONE TRAMITE L’ADOZIONE DELLA
DIDATTICA ECOLOGICA
Nel Nord Europa si sono delineate tendenze ad un “insegnamento orientato all’azione” che intende
una pedagogia che si prefigge lo sviluppo di capacità necessarie alla conduzione di uno stile di vita
socialmente responsabile, volto alla società piuttosto che all’individualismo. È qui che si inserisce il
concetto di competenza d’azione, che consiste nella capacità di interagire linguisticamente con altri
individui in modo partecipativo e orientato al messaggio, al fine di raggiungere determinati scopi.
Cambia la concezione del ruolo dei partecipanti: allievi ed insegnanti di questo processo sono partner
che comunicano in un contesto personale e sociale e che si prefiggono scopi comuni e concreti.
Una didattica orientata all’azione concede spazio agli errori, alle incomprensioni e ai rischi ed è da
considerarsi una didattica ecologica, in quanto prende in considerazione l’allievo come individuo
completo proponendogli dei contenuti per lui rilevanti. Una didattica orientata all’azione vuole
permettere al processo di apprendimento di procedere liberamente, per dar modo al discente di auto-
organizzarsi e di sviluppare tutte le sue potenzialità: non pretende una produzione immediata ma gli
concede tempo per differenziare il suo sistema linguistico, ma pretende anche molta partecipazione
(metafora del fiume e degli argini posti al suo libero corso).

L’interazione centrata su temi e sul rapporto con il gruppo classe:


Un modello sottostante l’insegnamento orientato all’azione è quello dell’“interazione centrata su
temi”. Lo scopo della terapia è quello di eliminare la dicotomia tra individualismo e collettivismo:
entrami presentano lo stesso valore, in quanto elementi imprescindibilmente congiunti. Ciò deve
essere proposto ad ogni gruppo sociale, anche a quello di classe. Per “gruppo” si intende:
1. La persona singola (“io”);
2. L’interazione tra i componenti del gruppo (“noi”);
3. Il compito o il contenuto dell’attività di gruppo (“tema”);
4. L’ambiente che circonda il singolo e il gruppo (elementi esterni- natura spaziale o temporale; ed
interni- biografia dei singoli);
Il modello da luogo ad una serie di massime:
1. Totalità dell’esperienza educativa: ciò che conta non è l’oggetto di apprendimento ma il processo
globale che coinvolge l’individuo (attività creative);
2. Sviluppo della dimensione affettivo-emotiva;
3. Allargamento dell’esperienza
Questi fini educativi hanno portato all’insegnamento situazionalizzato, a forme di insegnamento
basate sul gioco e sulla realizzazione di progetti, ad attività parascolastiche etc.

5.5.2. IMPORTANZA ACCORDATA ALLA PSICOLOGIA


La nuova metodologia di insegnamento linguistico si basa su una concordanza con la psicologia,
ovvero regalando attenzione alla figura dell’apprendente: le variabili affettive individuali, i diversi
stili di apprendimento, l’importanza di autostima e motivazione. L’approccio che ha suscitato
maggior interesse è quello della psicologia umanistica, sviluppatasi negli USA durante gli anni
Sessanta. Il focus principale di tale movimento è la “crescita personale”. Secondo Rogers,
l’apprendimento è facilitato quando:
1. Lo studente partecipa totalmente al processo di apprendimento, controllandone natura e direzione;
2. L’insegnamento è basato su problemi di ordine pratico, sociale e personale;
3. L’autovalutazione è la modalità principale di controllo dell’apprendimento.

5.5.3. LA PEDAGOGIA NON DIRETTIVA


La pedagogia non direttiva deriva dalla descrizione che Rogers fa della sua terapia. È considerata un
atteggiamento nei riguardi del processo di insegnamento/apprendimento. Si oppone alla visione della
pedagogia trasmissiva (metafora del banchiere), che, invece, non tiene conto delle necessità o
intenzioni dei singoli. Parte dalla premessa che in ogni persona vi sia un potenziale di energia, che si
sviluppa nel corso di un processo di apprendimento autodeterminato. Al centro del processo educativo
deve quindi esserci il discente con i suoi bisogni ed interessi. L’insegnante non deve determinare gli
scopi degli insegnamenti ma rendere possibile e facile l’apprendimento.

5.5.4. CENTRALITÀ DEL DISCENTE


La centralità del discente è un’assunzione di tipo pratico: non potendo insegnare in classe tutto quello
che servirebbe, si devono promuovere l’acquisizione e lo sviluppo di capacità autonome di
apprendere, scegliere e sperimentare. Ciò comporta lo sviluppo di strategie operative e di riflessione.
Secondo Nunan (1988), per aiutare l’allievo ad imparare ad apprendere in autonomia bisogna:
1. Identificare il suo modo preferito di apprendere;
2. Sviluppare strategie di apprendimento efficaci;
3. Adottare obiettivi perseguibili e programmare tempi realistici di realizzazione di questi;
4. Sviluppare abilità di autovalutazione.
Quindi, l’insegnante, piuttosto che l’istituzione educativa, diventa l’agente principale della
programmazione curriculare (una pedagogia basata sul discente presuppone dei curricula
differenziati).

5.6.PROBLEMATICHE CENTRALI AL DIBATTITO GLOTTODIDATTICO ATTUALE


5.6.1. L'EDUCAZIONE PLURILINGUE DA RAGGIUNGERE TRAMITE PERCORSI
FORMATIVI PARALLELI
Il cambiamento della popolazione scolastica ha determinato il progetto di armonizzazione dei sistemi
scolastici europei verso un’educazione plurilingue per il cittadino e lo sviluppo di una competenza
comunicativa interculturale. Per raggiungere questo obiettivo si propongono programmi di studio di
tipo complesso e differenziato, che comprendono:
1. Uso intelligente delle nuove tecnologie;
2. Acquisizione non focalizzata di competenze linguistiche;
3. Sviluppo di competenze differenziate delle lingue;
4. Sviluppo dell’autonomia del discente (autoinsegnamento);
5. Educazione interculturale.
Secondo l’UE ogni cittadino dovrebbe conoscere tre lingue comunitarie (la sua lingua madre più due
lingue europee). È, quindi, necessario adottare una “didattica del plurilinguismo” per raggiungere
determinati obiettivi di classe, i quali sono:
1. obiettivi di tipo culturale: comprendere e interpretare le culture straniere;
2. obiettivi di tipo linguistico: conoscenza di lingue per soddisfare bisogni di studio e professionali;
3. obiettivi di tipo cognitivo: uso di strategie per sopperire a lacune linguistiche.
Per raggiungere questi scopi vengono suggeriti dei percorsi formativi paralleli a quelli istituzionali:
non si tratta soltanto di prendere in considerazione un soggiorno all’estero, ma tutte le tipologie di
contatto linguistico, di apprendimento non focalizzato e incidentale (CLIL) e le forme di
autoapprendimento. Tali modalità stimolano lo sviluppo di aspetti di competenza linguistica e
metalinguistica, competenza comunicativa, nella cultutra2, competenza comunicativa interculturale.
Uso delle tecnologie multimediali: Per mezzo delle nuove tecnologie informatiche (soprattutto
internet) è possibile venire a contatto con un serbatoio illimitato di conoscenze linguistiche e di
prodotti culturali nelle principali lingue. Ciò, però aumenta la tensione tra la classe di lingua
tradizionale e l’ambiente esterno alla classe (diversa prospettiva didattica). Questo tipo di supporto
però non aiuta lo studente a sviluppare capacità cognitive di tipo rielaborativo.
Acquisizione non focalizzata di una L2 (CLIL): si tratta di acquisizione spontanea di una lingua, in
cui si apprendono delle competenze senza un impegno particolare né mirato (inconsapevolmente). In
ambito anglosassone tale tipo di apprendimento è denominato CLIL (Content and Language
Integrated Learning). Un esempio è quello dell’insegnamento disciplinare espletato in lingua
straniera che porta all’equilibrio tra i due oggetti di apprendimento: il contenuto e la L2.
Competenza differenziata delle lingue: Esistono lingue europee che hanno proprietà simili tra loro e
la conoscenza di una di queste può essere una scorciatoia (“via regia”) per l’apprendimento di altre
lingue della stessa famiglia. Il progetto Galatea è un esempio di come un uomo adulto che parti una
lingua romanza come lingua madre, può imparare in tempi brevi a capirne altre. Il progetto mira allo
sviluppo simultaneo di abilità di comprensione di quattro lingue romanze. Il limite di questo metodo
è che per imparare si può solo “capire” queste lingue senza però sapersi esprimere, in maniera scritta
o orale.
Sviluppo dell’autonomia del discente: Imparare ad imparare costituisce uno degli obiettivi primari
della glottodidattica attuale. La teoria della Knowledge Society, presentata nel Libro Bianco, ha
portato da un lato a considerare la formazione come un processo che interessa l’intero arco della vita
lavorativa, e dall’altro a sottolineare la necessità di sviluppare nell’apprendente consapevolezza del
suo ruolo di apprendente e abilità di apprendimento. L’autonomia del discente costituisce quindi un
importante obiettivo educativo, raggiungibile attraverso l’adozione di una pedagogia della
trasparenza e della consapevolizzazione.

6. IL NESSO LINGUA-CULTURA: DALLA COMPETENZA LINGUISTICA ALLA


COMPETENZA COMUNICATIVA INTERCULTURALE
- Le relazioni interetniche e interculturali si sono intensificate a causa di fattori di ordine sociale,
economico, politico (tra cui i flussi migratori), aumentando la necessità dell'educazione
interculturale e della “culturalizzazione” dell'insegnamento linguistico.
- Prospettiva focalizzata sullo sviluppo di varie dimensioni di competenza, non sulla padronanza
di saperi e conoscenze.
- Generale tendenza a inserire i termini "cultura" e "civiltà" nei titoli dei materiali didattici; una
certa familiarità col contesto socioculturale dei parlanti nativi della L2.
- Nella definizione onnicomprensiva dell'antropologo britannico Edward B. Tylor, non c'è
differenza tra la nozione di civiltà e quella di cultura (ma la civiltà è più diacronica).
Oggi si sta assistendo ad un’intensificazione delle relazioni interetniche e interculturali dovuta ai
massicci flussi migratori. Ciò ha importanti ripercussioni sulla formazione e sulla ridefinizione delle
identità personali e culturali: il contatto tra lingue e culture cambia anche le richieste nel mondo
dell’istruzione. Il riconoscere una cultura è il tramite imprescindibile per comprendere e produrre
significati e questo si traduce nella proposta di una didattica più ampia, ovvero lo sviluppo di una
competenza comunicativa interculturale. Le culture coinvolte in questo processo sono due: quella
materna e quella della L2.
6.1.LE NOZIONI DI CULTURA E CIVILTÀ
L’insegnamento della cultura straniera costituisce da anni uno dei punti centrali della pedagogia e
della didattica di lingue non materne. Spesso vengo utilizzati termini come cultura e/o civiltà per
riferirsi ad informazioni culturali scelte per i manuali in base ai contenuti finalizzati allo sviluppo
della competenza linguistica. Inoltre, il termine cultura viene spesso assimilato a quello di civiltà.
Non esiste uno stacco tra aspetti didattici e contenuti informativi e non si opera alcuna distinzione tra
cultura e civiltà.
- CIVILTÀ (civilisation, Landeskunde): “processo di evoluzione culturale dell’umanità che ha
fondamento nell’idea di uno sviluppo unilineare della cultura dal semplice al complesso” (Tylor);
presuppone una visione diacronica dello sviluppo culturale; è un sapere di tipo fattuale, un bene
collettivo che si costruisce nel tempo (cultura enciclopedica);
- CULTURA: è una cultura “corrente” (Galisson), presuppone una visione anche sincronica; incide
più direttamente sulla lingua; è un sapere di tipo procedurale.
“Cultura, o civiltà, è l’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale,
il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una
società” (Tylor). Il termine civiltà indica però molte altre cose:
a. bene collettivo costituitosi nel tempo
b. processo di evoluzione culturale dell’umanità

6.2.INSEGNAMENTO TRADIZIONALE DELLA CULTURA2: OFFERTA DI INFORMAZIONI


CULTURALI E/O IMMERSIONE COMPLETA NEL PAESE STRANIERO
Nelle classi di lingua straniera, la cultura si insegna con determinate modalità:
a. sporadiche informazioni culturali o affiancamento ai corsi di lingua corsi di civiltà;
b. periodi di permanenza prolungata all’estero (concretizzata in progetti quali l’Erasmus).

Cultura intesa come “prodotto”:


Le produzioni materiali di una cultura intesa come prodotto possono riguardare:
a. Cultura alta: produzione letteraria, artistica, musicale e scientifica;
b. Cultura istituzionale: aspetti organizzativi di tipo collettivo di una società, come la politica,
economia, giustizia, istituzione scolastica;
c. Cultura quotidiana: stili di vita, abitudini, il folklore e le tradizioni.
La cultura vista come prodotto viene insegnata per proporre agli studenti aspetti del patrimonio
collettivo di un gruppo umano. Sono assenti giudizi di valore e si riconosce pari dignità a tutte le
culture e a tutti gli aspetti che le rappresentano.

Insegnamento della cultura tramite immersione completa del paese di cui si studia la lingua:
L’ipotesi secondo cui l’“immersione completa” nel paese straniero possa condurre automaticamente
allo sviluppo di una competenza nella cultura2 è destinata a fallire in mancanza di un adeguato
supporto e senza l’attivazione di un atteggiamento riflessivo verso la propria e l’altrui cultura. Il
dialogo interculturale avviene basandosi su un’approfondita riflessione relativa alle norme e ai valori
che regolano i comportamenti, condividendo esperienze, attivando la comparazione e la discussione
di opinioni e punti di vista.

6.3.INSEGNAMENTO DELLA CULTURA INTESA COME PROCESSO


Esiste una seconda chiave di lettura della nozione di cultura intesa come “processo” attraverso cui si
manifestano sistemi di conoscenze e atteggiamenti. In questo caso l’insegnamento della cultura
consiste nel rendere gli studenti consapevoli del sistema di valori e norme, dei modi di vedere della
comunità di cui studia la lingua. Quindi, l’acquisizione di una competenza culturale in L2 va intesa
come procedimento piuttosto che come accumulo di informazioni.
L’oggetto del processo è il “discorso”, che esprime concretamente il rapporto lingua-cultura.
Attraverso il discorso si possono individuare i rapporti di dipendenza tra lingua e cultura a vari livelli:
modi in cui le persone di una data cultura e lingua costruiscono i rapporti sociali, esprimono le loro
intenzioni ed emozioni, si possono ricavare argomenti accettabili e quelli tabù e quali sono i registri
più appropriati alle varie situazioni comunicative.
Nell’insegnamento di una L2, dunque, la competenza culturale non può essere costituita solo da un
sapere fattuale, ma deve consistere anche in un sapere procedurale (come comportarsi nella nuova
cultutra).

6.3.1. LA PROSPETTIVA INTERAZIONISTA: LA COMPETENZA COMUNICATIVA (O


SOCIOLINGUISTICA)
La prospettiva interazionista del concetto di cultura si basa sulla nozione di competenza comunicativa
introdotta negli anni Settanta da Hymes e Habermas. Allontanandosi dalla concezione chomskiana
di competenza linguistica, Hymes sostiene che per comprendere i fenomeni di apprendimento della
lingua madre bisogna agganciare al concetto di competenza grammaticale quello di competenza
sociolinguistica (che permette di realizzare linguisticamente gli atti e gli eventi comunicativi
attraverso gli aspetti socioculturali del contesto in cui la comunicazione avviene).
Con competenza comunicativa, Hymes intende la capacità di usare un repertorio di atti linguistici,
prendere parte ad eventi linguistici, comprendere come gli altri li valutano.

6.4.IL NESSO LINGUA - CULTURA E LE SUE COMPONENTI


Il rapporto lingua-cultura si realizza in tipi, o livelli, di contesti differenti e prevede lo sviluppo di
competenze diversificate ma connesse tra loro. A determinare l’appropriatezza del rapporto tra
realizzazioni linguistiche e contesto comunicativo sono le variabili sociocostituzionali che
compongono il contesto stesso.

6.4.1. LE DIMENSIONI SOCIOLINGUISTICA E SOCIOCULTURALE DELLA LINGUA


- Competenza sociolinguistica: usi funzionali del linguaggio e degli atti linguistici.
- Competenza socioculturale: si esplica in un contesto socioculturale, in cui è impossibile
rapportare in modo diretto le realizzazioni linguistiche a singole variabili situazionali e sociali: Il
contesto fa da sfondo essendo formati da valori, credenze, atteggiamenti, modi di pensare e
ricordare, punti di vista, le attese, i concetti cognitivi e psicologici dei parlanti. Si deve operare
una distinzione tra:
a. Contesto immediato (immediate environment);
b. Contesto culturale (context of culture).
Le due dimensioni non possono essere scisse a causa della loro continua interazione, spiegabile in
quanto le relazioni linguistiche, da un lato, e le formazioni sociolinguistiche e socioculturali dall’altro,
sono sempre mediate dalla lingua. Per questa ragione la cultura riguarda sempre l’insegnamento
linguistico.

6.5.L'EDUCAZIONE INTERCULTURALE COME AREA EDUCATIVA


La cosiddetta educazione interculturale, intesa come area educativa particolare, nasce in Europa agli
inizi degli anni Ottanta in reazione alla pluralità linguistica e culturale accentuata dai flussi migratori.
In questa fase l’educazione interculturale si limita a porre l’accento sulle differenze culturali con cui
vengono spiegati problemi riconducibili a diversità di tipo economico, sociale, religioso. Questa
enfasi sulle diversità porterà un giorno alla riaffermazione di valori etnici e nazionale. Oggi il concetto
di educazione interculturale tende invece a cancellare l’accento sulla diversità culturale e a definirsi
piuttosto come “educazione alla diversità”: l’alterità non viene negata in quanto non esiste
interculturalità senza pluralismo.
L’educazione interculturale propone quindi di sostituire un’educazione plurilingue e policentrica alla
tradizionale educazione monolingue ed etnocentrica, che insegni a vivere l’identità secondo una
dinamica dialogica.

6.6.DIMENSIONI DELLA COMPETENZA COMUNICATIVA INTERCULTURALE E IL LORO


SVILUPPO
L’aggiunta della nozione di “interculturale” all’obiettivo dell'insegnamento di una L2 pone
quest’ultimo in una prospettiva che si focalizza sull’educazione alla tolleranza, al confronto, alla
mediazione e all’“incontro tra differenze”. Quello che viene proposto è un’integrazione tra obiettivi
linguistico-comunicativi e obiettivi di competenza interculturale, includendo la consapevolezza
culturale critica (ossia la capacità di “decentrarsi” dalla propria cultura). Secondo la proposta di Jean-
Claude Beacco, la competenza comunicativa interculturale presenta le seguenti componenti:
a. Componente etnolinguistica: capacità di identificare le norme sociali relative ai comportamenti
comunicativi che influenzano la buona riuscita della comunicazione;
b. Componente di azione: un agire che permetta di gestire la vita materiale e relazionale quotidiana
tramite attività verbali e non verbali;
c. Componente relazionale: (relativa alla comunicazione interculturale propriamente detta)
competenze verbali necessarie alla gestione delle interazioni con parlanti nativi e forme di educazioni
interculturali quali curiosità, interesse e accettazione della diversità;
d. Componente interpretativa: capacità di interpretare e spiegare la società in cui si vive;
e. Componente educativa: agisce su giudizi negativi, reazioni etnocentriste e intolleranti provocate
dalla diversità culturale, conducendo gli studenti a forme più aperte e disponibili di identità culturale,
educandoli al rispetto e alla convivenza civile.

6.6.1. SVILUPPO DI CONSAPEVOLEZZA CULTURALE CRITICA


È indispensabile sviluppare un “relativismo culturale” nella società multietnica in cui viviamo.
Nell’insegnamento linguistico ciò si può raggiungere solo se il discente si pone la domanda del come
i suoi valori si relazionino alla lingua-e-cultura oggetto di studio. Per fare ciò, è necessaria un perdita
di assolutezza relativamente alla propria identità culturale.
L’interculturalismo produce una perdita di sicurezza nell’individuo: la perdita della certezza
linguistica fa perdere anche la certezza di identità.
L’esperienza della diversità offre l’opportunità di acquisire strutture nuove come imparare a riflettere
sulla propria cultura e divenire capaci di proiettarsi in culture diverse e provare empatia verso gli altri.

7. EDUCAZIONE AI NUOVI MEDIA


L’utilizzo dei nuovi media sta cambiando il nostro modo di pensare, comunicare, apprendere,
lavorare. I media sono strumenti di un cambiamento culturale che investe anche l’educazione. In
quest’ambito i media vengono definiti “tecnologie didattiche” che modificano la struttura del
processo insegnamento/apprendimento. I media sono “ambienti” del sapere (Maragliano).

7.1.CARATTERISTICHE DELLA COMUNICAZIONE MEDIATA DAL COMPUTER (CMC)


Cosa rende l’insegnamento online diverso da quello in presenza?
1. La modalità temporale: se l’insegnamento in presenza segue una modalità sincrona
(compresenza spaziale e temporale. Es. le IRC- Internet Relay Chats- che permettono il dialogo
tra più utenti tramite una connessione simultanea), quello online segue una modalità asincrona,
ottimizzando i tempi di trasmissione (es. blog e social networks).
2. L’insegnamento in rete viene propagato per mezzo della lingua scritta, mentre l’insegnamento in
presenza utilizza una lingua orale e la natura effimera del discorso orale non da modo di tracciare
e conservare gli interventi, cosa che invece è possibile in un forum virtuale.

7.2.RISORSE DIDATTICHE TRADIZIONALI E NUOVI MEDIA


Ai supporti tradizionali quali libri di testo, articoli di giornale, software didattici (CD-ROM o DVD),
vengono oggi affiancati utilizzi di internet e dei nuovi media. Nel mondo della didattica, l’intrusione
dei nuovi media richiede che gli insegnanti acquisiscano abilità necessarie per relazionarsi in modo
critico e produttivo con le tecnologie (alfabetizzazione informatica). Solo così riusciranno a ridurre
la distanza digitale (digital disconnect) con gli studenti. Infatti, mentre i giovani sono sempre più
partecipi della vita su internet, ancora molti insegnanti li considerano più come un limite che come
un vantaggio. Tale risorsa comunque non esclude il ruolo delle risorse e delle pratiche tradizionali.

7.2.1. I PERICOLI DELLE NUOVE TECNOLOGIE


1. Rischio di passività, meccanizzazione, frammentazione e manipolazione, cui può portare l’uso
non intelligente delle tecnologie. I prodotti che normalmente vengono messi a disposizione sono
“grezzi”, che quindi non rispondo ad esigenze immediate;
2. Rischio di porre in esser un’eccessiva fiducia: le tecnologie da sole non possono risolvere una
gran quantità di problemi. Esse occupano un ruolo importante nella classe di lingua ma certamente
non possono sostituirla, non possono sostituire l’interazione tra esseri umani. Si deve cercare di
utilizzare internet come uno “strumento cognitivo” (come ausilio allo sviluppo di strategie
razionali).

7.3.MODALITÀ DI APPRENDIMENTO E TECNOLOGIE INFORMATICHE


La costruzione di saperi non ha luogo solamente in contesti istituzionali ma avviene anche
spontaneamente al di fuori delle aule scolastiche. All’interno della modalità spontanea vengono
distinte due categorie:
1. Apprendimento non formale: promosso da biblioteche e musei;
2. Apprendimento informale: attuata in una pluralità di luoghi e situazioni ma attraverso
l’interazione tra i membri di un gruppo.
Mentre i sistemi educativi tradizionali organizzano i saperi in maniera sequenziale e statica, attraverso
i canali digitali, la modalità spontanea d’apprendimento è casuale, i collegamenti sono associativi o
reticolari. Le TIC sono tecnologie cognitive, influenzano lo sviluppo di nuove forme di pensiero.
Le conoscenze reperibili online vanno selezionate e organizzate in modo consapevole. Sono necessari
i nuovi strumenti concettuali, il cui sviluppo è compito delle istituzioni educative. Le TIC devono
essere inserite in una “cornice di senso” e bisogna insegnare a farne un “uso critico”.

7.3.1. COSTRUZIONE DI NUOVI SAPERI


Secondo psicologi ed esperti di tecnologie dell’educazione, le abilità profonde per costruire in modo
dinamico il proprio sapere sono le seguenti (Olimpo):
- Creatività;
- Capacità di indagine;
- Capacità di apprendere nella relazione con altri;
- Capacità di rapportarsi con la complessità.

7.4.USI DELLA TELEMATICA


7.4.1. USI GENERICI DELLA TELEMATICA
In generale, la Rete può essere usata in due modi:
1. Accesso individualizzato: utilizzare ai propri fini il patrimonio conoscitivo che è raccolto in rete,
navigando liberamente oppure mettersi in contatto (videochat- skype- o posta elettronica);
2. Spazio di condivisione: l’obiettivo è quello di interagire e condividere informazioni, idee e
materiali o quello di “fare cose insieme”, in cui non è sufficiente condividere ma è necessario
anche saper essere autonomi per compiti specifici.

7.4.2. USI EDUCATIVI DELLA TELEMATICA


1. Insegnare in rete: supporto allo studio, risorsa per differenziare la didattica tradizionale
(prospettiva minimalista, rete “serbatoio”). Ad es. ricerche autonome in rete, assegnazione di
compiti e valutazioni online;
2. Insegnare attraverso la rete: realizzazione di moduli online su specifici argomenti o interi
programmi di studio (prospettiva massimalista, rete “classe virtuale”). Possono essere organizzati
totalmente a distanza (e-learning) oppure in modalità integrata (blended learning). Come per la
didattica in presenza, vanno definiti gli obiettivi e individuare le strategie didattiche. Coinvolge
una “rete di interazioni” tra individui o gruppi.
Uno degli utilizzi più efficaci della telematica nella didattica è la modalità cooperativa, che ha:
- Ipotesi teoriche: basate su cooperazione e collaborazione come stimoli all’uso di strategie
dell’imparare insieme;
- Prospettiva pedagogica: lavoro di gruppo, aiuto tra pari, pedagogia dei progetti.

7.5.L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Consiste in un tipo di ambiente in cui piccoli gruppi di studenti lavorano insieme al fine di portare a
termine determinati compiti; gli insegnanti fungono da facilitatori. Le caratteristiche più importanti
dell’apprendimento cooperativo sono:
- Gli apprendenti sono preparati a lavorare insieme, stimolando la crescita della fiducia verso il
prossimo;
- Gli apprendenti dividono tra loro i compiti per raggiungere un obiettivo comune, scambiandosi
opinioni e punti di vista;
- Eventuali conflitti vengono discussi per essere risolti.
Secondo Kagan, le strutture di apprendimento cooperativo implementano:
1. Interdipendenza positiva all’interno del gruppo;
2. Responsabilità individuale (contributo all’interno del gruppo);
3. Partecipazione paritetica;
4. Interazione simultanea tra membri di altri gruppi.
Da notare come l’apprendimento cooperativo si rifaccia alla cosiddetta “educazione tra pari”, che
riconosce l’importanza di usare gli apprendenti come “agenti di cambiamento”, facendo leva sulle
loro capacità di provare empatia nei confronti dei compagni.

7.5.1. RUOLO DELL’INSEGNANTE NELL’APPRENDIMENTO COOPERATIVO


- Approcci tradizionali di tipo direttivo: l’insegnante ha il ruolo dominante in quanto unico
responsabile dell’andamento della classe, dei ritmi, degli argomenti e della valutazione;
- Approcci non direttivi: si basano su comunicazione e partecipazione attiva degli allievi;
l’insegnate è una guida, animatore ed organizzatore di risorse;
- Apprendimento cooperativo: l’insegnate diviene un facilitatore che si attiva su richiesta degli
allievi che hanno un ruolo agentivo ed autonomo, stando al centro del percorso didattico. Ciò
favorisce la costruzione autonoma dei saperi.

7.6.CONOSCENZE ED ABILITÀ RICHIESTE ALL’INSEGNANTE-FACILITATORE


- Conoscenze e competenze di carattere strumentale;
- Conoscenze e competenze di carattere pedagogico-didattico e psicologico-relazionale.

7.6.1. CONOSCENZE E COMPETENZE DI CARATTERE STRUMENTALE


- Conoscenza e capacità d’uso degli strumenti telematici;
- Conoscenza dei servizi messi a disposizione dalla rete;
- Conoscenza e capacità gestionale dei software per accedere ad informazioni;
- Capacità strategiche e di uso di supporti per reperire le informazioni;
- Conoscenza delle tecnologie utili al supporto dell’apprendimento cooperativo;
- Conoscenza dei siti specializzati in cui reperire materiali utili all’insegnamento.
7.6.2. CONOSCENZE E COMPETENZE DI TIPO PEDAGOGICO-DIDATTICO E
PSICOLOGICO-RELAZIONALE
- Consapevolezza dei vantaggi e degli svantaggi della didattica in rete;
- Delle dinamiche che questa attiva;
- Capacità di rapportare i servizi offerti dalla rete ai tipi di comunicazione previsti dalle attività
didattiche;
- Capacità di creare ambiente di apprendimento vivace e cooperativo;
- Capacità di organizzare e moderare attività collaborative con strategie che favoriscono
l’interazione produttiva;
- Capacità di valutare gli interventi (ad es. categorie in scala valoriale 0-52)
- Saper usare strategie per ampliare le conoscenze degli apprendenti (e. fare domande, fornire
informazioni per ri-accendere la discussione, esplicitare convergenze e divergenze con altri punti
di vista, incoraggiare una sintesi finale, far riflettere su ciò che si è appreso).
A rendere efficace l’uso delle TIC nell’educazione scolastica è un approccio pedagogico-didattico
che consideri la scuola come ambiente di apprendimento r non come il luogo di trasmissione della
conoscenza. Il problema da superare è non solo la carenza di alfabetizzazione informatica, ma anche
la carenza di informazione pedagogica.

7.7.SVILUPPO E VERIFICA DELLA COMPETENZA DIGITALE


La competenza digitale è di tipo trasversale (inserita come una competenza chiave del lifelong
learning dal Consiglio d’Europa): saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le nuove
tecnologie. Nel mondo dell’educazione, gli strumenti per la diffusione e valutazione di tale
competenza sono ancora scarsi. Quelli presenti hanno tendenzialmente una visione tecnicistica. È un
dominio complesso e difficilmente circoscrivibile.
Secondo uno studio dell’Università di Firenze, per sviluppare la competenza digitale si distinguono
tre dimensioni:
- Tecnologica: conoscenze ed abilità tecnologiche di base;
- Cognitiva: valutazione critica delle informazioni;
- Etica: capacità di interagire con altri in maniera responsabile.
Significa anche saper affrontare una continua trasformazione delle tecnologie: atteggiamenti più
importanti delle nozioni/abilità. L’insegnante considererà le TIC un valore aggiunto e non un
impedimento.

8. L’ORGANIZZAZIONE DI UN CORSSO DI LINGUA 2


8.1.IL CURRICOLO
Il termine curricolo identifica tutti gli aspetti di un programma di insegnamento linguistico e
comprende:
1. Pianificazione iniziale, che include l’analisi dei bisogni dei discenti;
2. Definizione degli obiettivi del corso;
3. Selezione e sequenziazione dei contenuti (il sillabo);
4. Scelta dei materiali didattici e delle attività da svolgere;
5. Gestione della classe e forme di partecipazione degli allievi alle attività;
6. Modalità di controllo, verifica e valutazione di conoscenze e capacità acquisite.
L’attività curricolare è intesa come lineare e si sviluppa dalla pianificazione, all'attuazione alla
valutazione. Oggi però il modello lineare è sostituito da un modello ciclico in cui verifica e
valutazione possono avvenire in ogni tappa del processo curricolare, allo scopo di apportare eventuali
modifiche. Per questo si distingue tra:
1. Curricolo pianificato: il piano di azione di ciò che si vuole raggiungere e le modalità;
2. Curricolo attuato: ciò che viene realmente fatto durante il percorso di insegnamento;
3. Curricolo valutato: ciò che gli apprendenti hanno imparato durante il corso di studi.
8.2.IL SILLABO
Il sillabo è la parte dell’attività curricolare che si riferisce ai contenuti di insegnamento. Esistono due
grandi categorie di sillabi, basate su una differenziazione tipologica (Breen, 1987):
1. Sillabi proposizionali: considerano le conoscenze e le capacità da acquisire come elementi statici
e sistematici, esprimibili in termini di strutture, regole e schemi. Si possono individuare:
a. Sillabi formali
b. Sillabi funzionali
2. Sillabi processuali: considerano le conoscenze e capacità da acquisire come procedimenti o
operazioni che dipendono dai “saper fare” di cui si vuole che si impadronisca il discente. Si possono
individuare:
a. Sillabi basati sui compiti
b. Sillabi processuali veri e propri

8.2.1. IL SILLABO FORMALE.


Detto anche “grammaticale” o “strutturale”, focalizza l’attenzione dello studente sul codice
linguistico, adottando una concezione di lingua come sistema basato su regole di funzionamento.
L’obiettivo è quello di raggiungere l’accuratezza formale nella produzione linguistica (di contenuti
fonologici, morfologici, sintattici e lessicali) seguendo una progressione da “più facile” a “più
difficile”.

8.2.2. IL SILLABO FUNZIONALE


Sillabi che ridefiniscono i contenuti strutturali in termini di categorie sociosemantiche (funzioni
sociali + concetti logici). Sequenziano i contenuti del programma di insegnamento secondo la
maggiore o minore generalità delle funzioni o della maggiore o minore usualità delle loro
realizzazioni linguistiche. Ciò da luogo ad un’organizzazione ciclica che procede da un repertorio di
usi linguistici ritenuti basici ad uno via via più specifico, complesso e differenziato. L’obiettivo non
è l’accuratezza formale ma l’appropriatezza e la fluenza. I sillabi più recenti presentano sia
specificazioni funzionali che materiali grammaticali e lessicali (es. sillabo per il Certificato di italiano
delle università popolari tedesche).

8.2.3. I SILLABI PROCESSUALI


I sillabi basati su dei compiti propongono al discente sia compiti comunicativi (focalizzati sulla
negoziazione dei significati nella comunicazione orale e scritta) che compiti di apprendimento
(focalizzati sull’esplorazione di come la comunicazione ha luogo e di quali abilità vengono messe in
atto quando si comunica). I sillabi processuali (sia quelli basati su dei compiti sia quelli stricto sensu)
sono costituiti da:
1. Un piano contenente le decisioni che insegnante e allievi devono prendere, rispondendo a domande
riguardanti il tipo di partecipazione al lavoro della classe, il tipo di attività da svolgere, i contenuti su
cui lavorare;
2. Una banca di attività di classe, formulate sotto forma di compiti.
Una valutazione continua dei risultati ottenuti unita ad una discussione collettiva serve a pianificare
il lavoro futuro (questo tipo di sillabo ha come focus la realtà della classe). La lingua da usare in
ciascuna classe viene negoziata tra insegnante e allievi e i contenuti sono soggetti a modificazioni in
itinere. Il sillabo quindi non contiene alcuna specificazione linguistica ma solo degli inventari
organizzati in:
1. Preparazione del compito (pre-task): ne definisce la natura, mettendo in luce lingua da utilizzare e
difficoltà;
2. Compito (task): svolto singolarmente, ha come scopo l’“interpretare una mappa”;
3. Feedback: indica al discente in quale modo ha portato a termine il suo compito.
Il sillabo in questo caso, più che seguire le tappe prefissate dal curricolo, viene discusso, negoziato e
modificato durante il corso di studi, al contrario del sillabo tradizionale che viene deciso all’inizio
del corso e portato a termine in tutte le sue tappe. (Vedere es. mappe pag. 161-162).

8.3.DAL SILLABO LINGUISTICO ALL’IMPIANTO CURRICOLARE COMPLESSIVO.


DIDATTICA DELLE COMPETENZE
Il sillabo processuale mette al centro della pianificazione didattico lo sviluppo di competenze. Il
sillabo perde quindi la sua specificità, riguardando tutta l’attività curricolare e non solo specificazione
dei contenuti.

8.3.1. LE COMPETENZE CHIAVE.


Il Libro Bianco della Commissione Europea sottolineava l’importanza di individuare le competenze
chiave nella vita quotidiana e la necessità di creare strumenti utili per acquisirle, valutarle e
certificarle. Nel 2006, la nozione di competenza diviene il focus del processo di
apprendimento/insegnamento: gli insegnanti si concentrano, così, nell’orientare la progettazione
curricolare allo sviluppo di tali competenze che superino la parcellizzazione disciplinare. Per
competenze si intende potenzialità o messa in atto di una prestazione che comporti l’impiego
congiunto di atteggiamenti e di motivazioni, conoscenze, abilità e capacità e che sia finalizzata al
raggiungimento di uno scopo. Competenza è anche un “pensiero pratico in azione” o “competenza
esperta” e le sue caratteristiche sono (Ajello):
1. L’organizzazione;
2. L’articolazione;
3. La contestualizzazione;
4. La flessibilità.
Queste caratteristiche hanno come unico obiettivo quello di contestualizzare al meglio le conoscenze
a disposizione per far fronte al compito. In quanto alla loro verifica, le competenze non sono
verificabili direttamente ma solo inferibili dalle prestazioni, dalle azioni complesse, cui danno luogo.

8.4.CURRICOLI CENTRATI SULL’APPRENDENTE


Nunan propone un modello curricolare che integri i due approcci orientati al prodotto e al processo
di insegnamento, rivalutando il ruolo dell’insegnante e rigettando modelli centralizzati in cui i
curricoli sono uguali per tutti.
a. Il punto di partenza di un curricolo basato sul discente è l’analisi dei suoi bisogni creando un
portfolio riportanti dati biografici, stili di apprendimento, motivazione, esperienze pregresse di
apprendimento linguistico, etc.
b. Un secondo aspetto di questo processo è relativo alla formazione dei gruppi classe, costituiti non
più secondo i canoni tradizionali basati sul livello di conoscenza linguistica, ma tenendo conto di
parametri come lo stile di apprendimento, l’occupazione futura o la particolare abilità linguistica.
c. La scelta dei contenuti del sillabo, in un corso incentrato sui discenti, è il risultato della
negoziazione tra insegnanti e allievi, condotta tenendo conto dei bisogni comunicativi presenti e futuri
dei discenti.

8.4.1. ASPETTI METODOLOGICI DEL CURRICOLO CENTRATO SUL DISCENTE


In un curricolo centrato sul discente non è tanto importante cosa insegnare ma come insegnarlo.
Anche le metodologie sono e i procedimenti didattici sono frutto di una negoziazione tra allievi e
insegnante. Il problema risiede nel fatto che spesso le due fazioni hanno visioni diverse su quali siano
le procedure più appropriate durante la lezione (specie se i discenti sono adulti). Secondo alcuni studi
condotti su emigrati in Australia, per gli allievi adulti le attività più utili erano:
1. Esercizi di pronuncia;
2. Le spiegazioni;
3. La conversazione;
4. La correzione di errori;
5. Lo sviluppo del vocabolario.
Per gli insegnanti, invece:
1. La scoperta dell’errore da parte degli apprendenti;
2. Il lavoro in coppia;
3. L’ascolto di voce registrata (film/audio/documentari in lingua originale L2).
Le due parti si trovano d’accordo solamente sulla pratica della conversazione.

8.4.2. ASPETTI VALUTATIVI DEL CURRICOLO CENTRATO SULL’APPRENDENTE


La valutazione non dovrebbe essere solo un’ultima fase ma un momento ricorrente che permetta di
controllare se gli allievi hanno raggiunto gli obiettivi intermedi e di decidere se il programma o alcuni
suoi aspetti debbano essere modificati in corso d’opera.
Il ruolo di controllo e valutazione dell’insegnante in un curricolo centrato sul discente è fondamentale
in quanto l’insegnante è l’unica persona che può collegare il curricolo pianificato e quello attuato con
ciò che l’allievo ha effettivamente imparato.

PROGRAMMARE PERCORSI DIDATTICI PER LE LS/L2


- Curricolo e Sillabo
- Unità didattica
- Unità di acquisizione
- Modulo

IL CURRICOLO NELL’INSEGNAMENTO DI UNA LINGUA NON MATERNA


- “(…) tutti gli aspetti di pianificazione, di implementazione metodologica e di valutazione di un
programma di insegnamento linguistico. Più specificamente un curricolo comprenderà:
1. una pianificazione iniziale, che include l’analisi dei bisogni dei discenti;
2. la definizione degli obiettivi;
3. la selezione e la sequenziazione dei contenuti di insegnamento → sillabo;
4. decisioni metodologiche riguardanti la scelta dei materiali e delle attività da svolgere nella classe;
5. decisioni riguardanti l’organizzazione di tempi e luoghi e la gestione della classe

9. L’ANALISI DEI BISOGNI DEI DISCENTI


- Un importante prerequisito per favorire la collaborazione tra allievi ed insegnanti è
l'individuazione delle diversità cognitive, esperienziali e motivazionali che esistono tra gli
apprendenti.
- Il bisogno di comunicare in L2 è una domanda indeterminata da parte degli allievi, definita come
un vago bisogno di stabilire dei contatti con i parlanti dell’altra lingua. Con l'analisi dei bisogni
si giungerà alla specificazione degli obiettivi di insegnamento.

9.1.L’ANALISI DEI BISOGNI IN QUANTO AREA DI RICERCA SOCIOLOGICA E


LINGUISTICA
9.1.1. DEFINIZIONE STATICA E DETERMINISTICA DEI BISOGNI COMUNICATIVI
Agli inizi degli anni ’70, il Consiglio europeo mira a migliorare l’insegnamento delle principali lingue
europee ad apprendenti adulti: viene dato inizio al progetto di individuazione di un quadro generale
di riferimento valido per tutte le lingue, che suddivida i materiali linguistici in “unità capitalizzabili”,
raggruppabili secondo i diversi tipi di apprendimento. Tale progetto darà luogo alla costruzione dei
cosiddetti livelli soglia di apprendimento per le principali lingue europee. L’attenzione era
primariamente indirizzata ad un pubblico di allievi adulti (già inseriti in un ambiente professionale o
di specializzazione) che sapessero con precisione quello devono o desiderano sapere e perché: per
rendere efficace l’insegnamento è indispensabile individuale tali motivazioni e necessità. Questo si
traduce in termini di atti linguistici con le minime unità di apprendimento che si distinguono in base
a (Richterich, 1973):
1. Situazioni comunicative in cui occorrono: categorie di spazio, tempo ed interlocutori;
2. Operazioni che esse realizzano.
In un secondo studio di Richterich, questa analisi venne applicata su gruppi di studenti inseriti nel
sistema scolastico, individuando coloro che intraprendevano lo studio per motivi professionali e
coloro che avevano motivi culturali. Su tale individuazione (e conseguenti inventari linguistici) si
basa la costruzione dei sillabi e la preparazione dei materiali didattici. Ai sillabi grammaticali
vengono così sostituiti sillabi nozionali-funzionali (costituiti da atti linguistici piuttosto che da regole
e liste di vocaboli).

9.1.2. CONCETTO DI BISOGNO COME AUTODEFINIZIONE DEGLI APPRENDENTI


STESSI.
La visione di cui sopra si è modificata nel tempo in seguito alle critiche. I bisogni, infatti, cambiano
con il tempo e le circostanze e la loro identificazione varia a seconda degli scopi. Ora sul piano
pedagogico si tende a collegare il concetto di bisogno con i ruoli, le attività, i compiti che il discente
dovrà sostenere e svolgere nella L2. Il testo, la lingua non sono altro che un mezzo per soddisfare gli
obiettivi dell’apprendimento. Gli stessi risultati dell’insegnamento dovranno essere valutati in base a
quello che il discente dovrà saper fare fuori dalla classe (futura performance).
In questa propensione ad individuare i bisogni linguistici si coniuga la consapevolezza che la
comunicazione è un processo che si realizza in testi e discorsi e che imparare a comunicare il L2
significa imparare ad interpretare, negoziare e risolvere problemi concettuali e relazionali in L2
piuttosto che acquisire solamente conoscenze isolate.
In quest’ottica, più che allo sviluppo di una competenza del prodotto lingua, si mira alla specificità
di compiti e attività, sullo sviluppo di competenze che sottostanno alla futura performance del
discente.

9.2.L’ANALISI DEI BISOGNI COME STRUMENTO PEDAGOGICO


L’analisi dei bisogni può essere utilizzata da ogni insegnante per stabilire la necessità, la motivazione
e preferenze degli allievi (bisogni soggettivi). L’analisi dei bisogni come strumento pedagogico
(motivazionale) può essere condotta a vari livelli:
1. Livello globale: individuazione dei contesti e delle situazioni in cui gli studenti necessitano la L2;
2. Livello dei tipi di testo e discorso: individuazione dei testi e dei discorsi che ricorrono nei contesti
e nelle situazioni identificate, specificandone le caratteristiche e la struttura informativa;
3. Livello strutturale: rilevazione dei modi più ricorrenti in cui la strutturazione dell’informazione
viene segnalata dalle forme linguistiche e dagli stilemi retorici.

9.3.STRUMENTI PER L’ANALISI


9.3.1. STRUMENTI PER IL LIVELLO GLOBALE DI ANALISI.
Tipici strumenti per il livello globale di analisi sono i questionari, le interviste e l’osservazione
diretta della produzione scritta e orale. Quando i bisogni linguistici sono chiaramente definibili, si
possono individuare anche solo attraverso il piano di studi. Il problema sorge quando gli studenti non
hanno idea chiara dei loro bisogni linguistici e imparano una L2 solo perché fa parte del loro
programma di studi. Si utilizzano quindi gli strumenti di cui sopra. Poiché molti studenti non riescono
facilmente a capire le loro necessità e preferenze è meglio rilevare tali informazioni a corso già
iniziato, quando già esiste un rapporto di fiducia tra insegnante e studenti.
Uno strumento utile in questa fase di identificazione dei bisogni è il questionario, attraverso cui
l’insegnante potrà conoscere meglio i suoi studenti e rendere le lezioni più mirate (es. da Nunan).

9.4.CONCLUSIONI
“Bisogno” indica necessità di tipo materiale ma anche di natura sociale, psicologica, affettiva e
comunicativa. Nel campo della didattica linguistica, l’espressione “analisi dei bisogni” si riferisce
alla raccolta e all’analisi di informazioni utili all’organizzazione e alla gestione del corso. Tali
informazioni sono utili nella scelta della lingua, dei contenuti e delle abilità di saper fare da proporre
alla classe.
La presa in considerazione dei bisogni dei destinatari, li responsabilizza perché resi compartecipi dei
processi decisionali del corso. Inoltre, l’analisi dei bisogni offre all’insegnante la possibilità di
pianificare e gestire un corso che risponda alle esigenze e alle preferenze dei discenti, motivandoli e
coinvolgendoli maggiormente.

10. LE ATTIVITÀ ESERCITATIVE E LA GESTIONE DELLA CLASSE


- Una lingua si impara meglio in modo spontaneo, ma le lezioni, concentrandosi su aspetti
linguistici e culturali considerati problematici, sono considerate una scorciatoia.
- L'attuale interesse per la comunicazione sposta l'accento sui processi cognitivi che hanno luogo
in classe quali la qualità delle attività esercitative, l'importanza dell'interazione e la gestione del
gruppo classe.
- Leo van Lier (1988) classifica le attività che si svolgono in classe secondo due parametri (che
cosa si richiede all'apprendente di dire e come si intende che lo dica).
- Categorizzazione dei tipi di interazione: talking (-argomento, - attività), telling (+ argomento, -
attività), instructing/eliciting (+ argomento, + attività), drilling (-argomento, + attività); l'ultimo
tipo è il più frequente.

10.1. TIPI DI INTERAZIONE NELLA CLASSE DI LINGUA: IL COSA E IL COME


Secondo van Lier, i due parametri da seguire nelle attività in classe sono:
1. Che cosa si richiede che l’apprendente dica (orientamento all’argomento);
2. Come si intende che lo dica (orientamento all’attività).
L’orientamento all’attività si manifesta con un focus particolare sul modo in cui si devono dire le
cose (es. usando determinate strutture frasali, atti linguistici etc.). Le regole che sottostanno questo
tipo di lavoro sono diverse dalle convenzioni sociali che sottostanno alla conversazione quotidiana:
ecco quindi che l’interazione orientata all’attività che ha luogo in classe risulta diversa dalle
interazioni che si svolgono fuori.
I due parametri forniscono una categorizzazione dei tipi di interazioni possibili in classe:
1. Talking: meno orientamento all’argomento, meno all’attività. Parlare di qualsiasi cosa nel modo
che si vuole, osservando le usuali regole sociali (es. conversazione casuale);
2. Telling: più orientamento all’argomento e meno all’attività. C’è dell’informazione che deve essere
trasmessa o ci sono dei problemi da risolvere (es. annunci, spiegazioni);
3. Instructing: più orientamento all’argomento, più all’attività. C’è dell’informazione che deve essere
trasmessa procedendo secondo regole particolari (es. interviste, riassunti);
4. Drilling: meno orientamento all’argomento e più all’attività. Determinate cose devono essere dette
seguendo procedure specifiche (es. esercizi di ripetizione e sostituzione).
Purtroppo, le lezioni di L2 sono maggiormente incentrate sul drilling, cioè sull’esercitazione
macchinosa.

10.2. DALL’ESERCITARE AL CONVERSARE


Spesso i materiali didattici definiscono “comunicative” attività che non lo sono, perché:
a. L’insegnante conosce già il tema della discussione, quindi non esiste divario informativo;
b. L’insegnante decide chi deve parlare, il che si contrappone alla realtà comunicativa;
c. L’insegnante pone domande di tipo pedagogico (di cui conosce già la risposta) che non verrebbero
poste in una conversazione faccia a faccia.
Il problema, quindi, non risiede nell’esercitazione meccanica (utile ai fini di pronuncia, intonazione
etc.) ma nella mancanza del passaggio da questa ad una forma di conversazione più naturale che
conduca ad una vera e propria comunicazione.

10.2.1. GLI ESERCIZI MECCANICI (DRILLS).


Gli esercizi di pratica tradizionali consistono nella ripetizione di modelli formali allo scopo di rendere
“meccanica” la conoscenza di una struttura della L2 tramite la sua memorizzazione. All’allievo viene
chiesto di risolvere un problema tramite sostituzione, cancellazione, espansione, trasformazione.
L’esercizio può divenire meno meccanico tramite la sua contestualizzazione o l’esplorazione dei
potenziali semantici e pragmatici della struttura esercitata, grazie anche ad una pratica che permetta
l’uso di variazioni. A questo punto è possibile passare dalla mera esercitazione alla comunicazione
di messaggi ed intenzioni personali. Secondo una proposta esercitativa di Butzkamm, si dovrebbero
attraversare determinati step:
- Fase di “scambio”;
- Fase di ampliamento;
- Fase di trasformazione;
- Verso la produzione personale.
In questo modo, il focus si sposta dalla forma al contenuto, risvegliando l’attenzione comunicativa
(abbandonando la passività dei drills).

10.3. DAGLI ESERCIZI AI COMPITI (TASKS).


Nonostante tutto, l’esercitazione più o meno meccanica ha una sua funzionalità che permette di
arrivare all’espressione di intenzioni comunicative personali. Alcune proposte della didattica
linguistica per sviluppare tale capacità sono i “compiti” (task), cioè esercitazioni da portare a
compimento in coppia o in gruppo. I presupposti dei compiti sono:
1. c’è dell’informazione preselezionata da trasmettere;
2. c’è un interlocutore che ha bisogno di tale affermazione per portare a termine un certo compito;
3. c’è la consapevolezza di un divario informativo tra i due interlocutori (solo uno dei due è a
conoscenza dell’informazione).
Tenendo conto delle diverse aree di intervento didattico, sono stati identificati tipi diversi di compito:
1. Compiti di apprendimento linguistico: sviluppano capacità linguistiche discrete relativamente a
grammatica, lessico e pragmatica;
2. Compiti pre-comunicativi: preparano alla comunicazione vera e propria, strutturandola,
sviluppandola e simulandola;
3. Compiti comunicativi: comportano la messa in opera di capacità quali la relazione, la linguistica e
la paralinguistica, la conoscenza di determinati contenuti;
4. Compiti strumentali e gestionali: sviluppano capacità di ottimizzazione del processo di
apprendimento, implicando la padronanza di capacità di organizzazione didattica e linguistica.
Bangalore Project: condotto da Prabhu (1987), costituisce un esempio di approccio basato sui
compiti, che mirano allo sviluppo di capacità cognitive. La L2 costituisce solo il mezzo con cui gli
allievi portano a termine il compito.

10.4. DAI COMPITI AI PROGETTI


Un “progetto” può essere:
1. Il naturale sviluppo di una didattica comunicativa basata su un insieme coordinato di compiti;
2. Una forma di didattica a sé stante che mira all’educazione integrale e autonomo dell’allievo
(Dewey).

10.4.1. PROGETTO COME CONNESSIONE E COMMISTIONE DEI COMPITI.


La prima tipologia di progetto si snoda su tre tipi di progetti (Legutke):
1. Progetti testuali;
2. Progetti di scambio di corrispondenza;
3. Progetti di ambiente o esplorativi.
I primi due tipi possono essere condotti in classe, mentre il terzo tipo, più complesso, presuppone un
contatto diretto con i parlanti nativi di L2. In questo caso, i progetti costituiscono il mezzo per
apprendere nuove o specifiche conoscenze.
Un esempio di progetto inteso come connessione e commistione di compiti:
Progetto “Aeroporto”, elaborato da Legutke: consisteva in una visita all’Aeroporto internazionale di
Francoforte da parte di una classe di alunni tedeschi di scuola media dopo circa un anno e mezzo di
insegnamento della lingua inglese. I ragazzi furono divisi in tre gruppi, ciascuno con i propri compiti
(raccolta di testi in lingua inglese; raccolta di interviste; scelta delle interviste più interessanti e
presentazione).
La realizzazione di un progetto come questo richiede un lavoro complesso e la messa in opera di vari
tipi di competenze oltre a quella linguistica: organizzative, gestionali, comunicative, relazionali e
strategiche. Gli allievi svolgono il lavoro in modo autonomo senza aiuto da parte dell’insegnante. I
progetti permettono agli studenti di entrare in contatto con la lingua in situazioni autentiche e danno
loro modo di imparare a diventare autonomi. Ovviamente un lavoro di questo tipo sarà fruttuoso solo
se ben organizzato e collegato con quanto avviene in classe.

10.4.2. PROGETTO COME FORMA DI DIDATTICA ATTIVA.


Il progetto costituisce una delle possibili forme di didattica attiva, che favorisce la crescita e la
maturazione dell’individuo. Nei progetti si apprendono conoscenze e saper fare che servono alla
conduzione del progetto stesso e la sistematizzazione delle conoscenze viene rimandata ad un
secondo momento. Inoltre, tale didattica riconosce pari dignità all’apprendimento di sapere (per
acculturarsi) e all’apprendimento di saper fare (per l’operatività). Le caratteristiche di una didattica
per progetti sono:
1. Rapporto tra progetto e contesto in cui il progetto si realizza;
2. Quando il progetto ha scopi conoscitivi, dovrebbe nascere da una domanda “sfidante” la cui
risposta non sia ovvia e scontata per i partecipanti;
3. La realizzazione del progetto richiede l’adesione continua e attiva dei partecipanti;
4. Per attuare il progetto occorrono risorse materiali, di tempo e umane.

10.4.3. CHE COSA IMPARA L’APPRENDETE DA UNA DIDATTICA PER PROGETTI.


L’apprendente impara a progettare; acquisisce strategie metacognitive, capacità comportamentali
sociali e collaborative; acquista fiducia in sé stesso e riconosce i suoi punti di forza e i suoi limiti.
Apprende conoscenze dichiarative e procedurali e impara ad utilizzare in maniera più autonoma le
conoscenze pregresse fino ad ora utilizzate solo in modo scolastico.

10.5. L’ORGANIZZAZIONE E LA GESTIONE DELLA CLASSE: DALLA LEZIONE


FRONTALE ALLE ATTIVITÀ COLLABORATIVE
La lezione frontale si caratterizza per una disposizione dei banchi rivolti verso l’insegnante e rinforza
un modello comunicativo autocratico e non cooperativo e non vengono incoraggiate l’interazione e
la collaborazione da parte degli apprendenti. Questo modello educativo sta lasciando spazio ad un
modello che assegna invece rilievo alle attività collaborative tra insegnante e allievi e allievi tra allievi
che comunicano tra loro lavorando congiuntamente. Si riscontrano anche approcci metodologici e di
tecniche di insegnamento basate sul lavoro di gruppo. Il lavoro congiunto permette la crescita
dell’individuo e consente di stabilire contatti, porre domande e trovare risposte. Tramite il lavoro in
comune l’individuo può raggiungere obiettivi che da solo non avrebbe raggiunto.

11. IL CONTROLLO E IL LAVORO DI RIPARAZIONE


- L'azione continua di (auto)controllo e feedback svolta dall'insegnante e dall'apprendente si
distingue dai procedimenti di verifica formale e cumulativa del docente.
- L'errore (tradizionale tipo di controllo) è una deviazione da una regola o da una norma in vigore
nella lingua-e-cultura che si studia; l'insegnante analizza e corregge gli errori in modo informale
e continuo.
- Fino alla fine degli anni Sessanta, la teoria skinneriana del condizionamento operante porta a
considerare l'errore come frutto dell'interferenza negativa.
- In seguito, l'errore viene considerato indicazione dell'aspetto creativo dell'apprendimento di una
lingua (ipotesi dell'apprendente rispetto ai sistemi della L2).
- L'errore è una forma scorretta provvisoria che può nascere da sovrageneralizzazioni di regole
operanti nella L2 o da interferenza con un'altra lingua conosciuta.
- La funzione demotivante della correzione viene rafforzata dall'assegnazione di un voto, che
l'apprendente vive come un insuccesso.
- Lavoro di riparazione inteso come un continuo “aggiustamento” che ha luogo durante
l’interazione “naturale”.

11.1. LA CORREZIONE DEGLI ERRORI


Uno strumento a disposizione dell’insegnante per controllare i progressi degli allievi è la correzione
dell’errore, condotta in modo informale e continuo. Ma che cos’è l’errore? In genere è una deviazione
da una regola o da una forma in vigore nella lingua-e-cultura oggetto di studio. Fino agli anni Settanta,
l’errore era considerato un male da evitare e da dover correggere immediatamente. In seguito, è
emersa una visione diversa dell’errore, considerato:
a. indicazione di ipotesi compiute dell’apprendente rispetto ai sistemi della L2, indicando quindi la
creatività dello studente: la produzione di errori indica una formulazione di generalizzazioni
inadeguate che verranno regolarizzate al sistema della L2 e rimpiazzate dalla forma corretta;
b. frutto di sovrageneralizzazione di regole operanti in L2 (es. uso di forme regolari al posto di quelle
irregolari);
c. frutto di transfer negativo, ovvero interferenza di regole provenienti da altre lingue conosciute,
principalmente la lingua madre.
La correzione di errori è spesso dannosa in quanto gli allievi la percepiscono come fallimento e
insuccesso e la funzione demotivante della correzione viene rafforzata dal fatto che spesso è
congiunta all’assegnazione di un voto. La correzione può provocare frustrazione in una situazione
istituzionalizzata come quella scolastica (l'apprendente lo è suo malgrado; correzione unidirezionale).
Gli insegnanti tendono a correggere troppo e ad incentrare l'insegnamento sulla valutazione
dell'errore, senza prendere in considerazione la produzione corretta; il lavoro di riparazione svolto in
classe è spesso indifferenziato, mentre dovrebbe variare a seconda delle attività proposte; un
insegnante direttivo usa strategie di riparazione reattive, mentre l'insegnante che vuole
responsabilizzare l'apprendente usa strategie proattive (che promuovono l’interazione).

11.2. IL LAVORO DI RIPARAZIONE


La nozione di riparazione è più ampia di quella di correzione poiché indica un lavoro di
aggiustamento che ha luogo tra parlanti e ascoltatori durante l’interazione. In classe però avviene
diversamente e si deve quindi portare l’allievo a raggiungere l’autocontrollo. Per raggiungerlo è bene
presentare i processi di riparazione che avvengono in contesti di apprendimento naturale interattivi
tra NN e N in cui NN è trattato come nativo e in contesti in cui è invece trattato come NN. In questo
tipo di situazione vigono due ipotesi:
1. Esiste un’analogia tra il ruolo dell’insegnante e il ruolo di N: quest’ultimo mette in atto una sorta
di didattica naturale e aiuta NN a interagire in L2 fornendogli dati in entrata e correggendo i suoi
errori in uscita;
2. La didattica naturale adotta strategie idonee a comunicare in situazioni problematiche miranti a
mantenere aperto il flusso conversazionale.
- van Lier definisce il lavoro di riparazione come "il trattamento dei problemi che sorgono durante
l'uso linguistico interattivo"; continuo aggiustamento durante l’interazione.
- Nella comunicazione quotidiana la riparazione tende a non creare all'interlocutore problemi di
faccia; in classe l'insegnante deve comportarsi come il parlante nativo all’esterno.
- La "didattica naturale" è la semplice adozione di strategie adatte non tanto a facilitare
l'apprendimento quanto a mantenere aperto il flusso conversazionale.
- Le attività di riparazione si ripartiscono in tre macrocategorie (orientate al codice, orientate al
messaggio, orientate all'attività didattica).
- Riparazione conversazionale/congiuntiva (mira ad aiutare) e riparazione didattica/disgiuntiva
(mira a valutare); autoriparazione / self repair.
- L'autoriparazione/autovalutazione è il controllo, messo in atto dagli interattanti, della propria
produzione e comprensione della L2; indispensabile per il progresso.
- tre forme basilari di controllo (autocorrezione simultanea; intervento leggermente ritardato
dell'interlocutore; riflessione metacomunicativa non immediata)
- in una situazione di contatto Tandem due interlocutori di lingua madre diversa si accordano per
imparare la lingua dell'altro; contesto insieme comunicativo e didattico
- l'eterocorrezione è sgradita, al contrario dell'autocorrezione; il lavoro di riparazione è
preferibilmente iniziato dal non-nativo (spostamento dal contenuto alla forma)
- la richiesta esplicita di aiuto è frequente negli stadi iniziali e intermedi di apprendimento della
L2; la richiesta di spiegazione può interrompere il tema in discussione
- la riparazione a incastro è motivata non da incomprensione ma dal bisogno del parlante nativo di
eliminare un elemento di disturbo; avviene durante il turno di conversazione del non-nativo;
semplice ripetizione dell'elemento problematico; l'interlocutore non perde la faccia; tono di voce
più basso e diversa intonazione
- la riparazione in forma di commento serve per eliminare incomprensioni o ambiguità; interrompe
temporaneamente il discorso ed è sequenzialmente implicativa.
- le vere e proprie richieste di spiegazione possono facilmente provocare problemi di faccia se sono
iniziate dal parlante nativo senza essere state espressamente richieste
- lungo tempo d'attesa del nativo per un'eventuale autocorrezione del non-nativo; il nativo cerca di
evitare problemi di faccia al non-nativo (correzione indiretta, poco evidente, in forma di
congettura, operata senza interrompere il flusso tematico); gli errori vengono ignorati se sono
culturalmente accettabili e comprensibili

11.3. TIPI DI LAVORO DI RIPARAZIONE


Esistono tre categorie:
1. Riparazione orientata al codice: si focalizza sulla strutturazione della L2;
2. Riparazione orientata al messaggio: si focalizza sulla trasmissione di informazioni, messaggi, idee;
3. Riparazione orientata all’attività didattica: si focalizza sull’organizzazione di classe.
Un’altra distinzione è quella tra:
a. Conversazionale: mirante ad aiutare (congiuntiva);
b. Didattica: mirante a valutare (disgiuntiva).

11.3.1. L’AUTORIPARAZIONE (self repair).


L’autoriparazione (o autovalutazione) è il controllo della propria produzione e comprensione in L2.
Consiste nell’analisi dei dati in entrata e nella comparazione di questi con i dati in uscita. Tale
comparazione può portare sia alla scoperta di una differenza tra la L2 e la propria produzione e ad
una riformulazione di un’ipotesi sulla L2, sia alla conferma di un’ipotesi incerta. Questo confronto è
indispensabile perché vi sia progresso nello sviluppo dell’interlingua (quando non avviene, si
arrestano anche i progressi).
Esempi (pp. 210-11): richiesta di conferma esplicita; richiesta di ripetizione; messa in dubbio
dell’espressione usata tramite enfatizzazione all’interno dell’enunciato.
11.3.2. FORME DI CONTROLLO E MONITORAGGIO.
In base al lasso di tempo trascorso tra il comportamento e la riparazione e alla forma che quest’ultima
assume, si possono individuare 3 forme basilari di controllo:
1. Il controllo ha luogo quasi contemporaneamente al comportamento verbale e produce spesso
autocorrezione. Questa forma può aiutare a correggere sé stessi e gli altri. Nella forma di autocontrollo
questo può avvenire tramite una parafrasi di quanto detto o la produzione di correzione relativa alla
forma o al contenuto del proprio messaggio. Nel caso di etero-controllo, questo processo avviene
tramite l’offerta di parole che l’interlocutore non trova;
2. Controllo leggermente ritardato rispetto al comportamento verbale, che può essere provocato
dall’interlocutore tramite segnali di non-audizione o di incomprensione o tramite la richiesta esplicita
di riformulare o chiarire un concetto;
3. Controllo-riflessione metacomunicativa: importante in situazioni di insegnamento istituzionale.

11.4. IL LAVORO DI RIPARAZIONE IN SCAMBI N/NN


Nelle interazioni tandem (cioè tra due interlocutori di madre lingua diversa che si accordano per
aiutarsi ad imparare le rispettive lingue madre), l’apprendimento è non guidato ma il contesto
“naturale” in cui avviene è al contempo comunicativo e didattico. Si riscontra una preferenza per
l’autocorrezione piuttosto che per l’etero-correzione e il lavoro di correzione è preferibilmente
iniziato da NN. Ciò avviene a causa di un conflitto tra l’accordo stabilito tra i partner per raggiungere
il proprio scopo didattico e la messa in pratica di tale accordo in una situazione comunicativa autentica
(la correzione tende a spostare il focus dal contenuto alla forma del messaggio).

11.4.1. IL LAVORO DI RIPARAZIONE INIZIATO DAL PARLANTE NN


La riparazione può avvenire in due modi:
1. A seguito di una richiesta esplicita di aiuto. Avviene in maniera veloce e senza conseguenze
rispetto al proseguimento della conversazione ed è generalmente di natura lessicale;
2. A seguito di una richiesta di spiegazione. Può interrompere il tema di discussione. In questa
occasione N riproduce il ruolo istituzionale di insegnante.

11.4.2. IL LAVORO DI RIPARAZIONE INIZIATO DAL PARLANTE N


La riparazione iniziata da N è abbastanza frequente e può avvenire in tre modi:
1. Riparazione ad incastro: deriva dal bisogno di N di eliminare un elemento di disturbo. Avviene
durante il turno di NN ma non è disfunzionale alla comunicazione in quanto consiste nella semplice
ripetizione dell’elemento problematico, senza alcuna riflessione o spiegazione analitica. L’elemento
viene corretto da N e NN tende a ripeterlo nella forma appropriata sottovoce;
2. Riparazione in forma di commento: ha lo scopo di eliminare incomprensioni e ambiguità.
Interrompe temporaneamente il flusso tematico con la ripetizione dell’elemento problematico seguito
da un commento metalinguistico. Prevede il riconoscimento della riparazione da parte
dell’interlocutore;
3. Richieste di spiegazioni vere e proprie: iniziate da N e, non essendo espressamente richieste,
possono provocare problemi di faccia a NN.

11.5. CARATTERISTICHE DELLE STRATEGIE DI RIPARAZIONE ADOTTATE DAL


PARLANTE N
È possibile individuare delle tendenze nella modalità di correzione da parte di N.

11.5.1. LA RIPARAZIONE NON È IMMEDIATA.


Il tempo di attesa di N per un’eventuale autocorrezione di NN è piuttosto lungo. Esempio: ripetuta
autocorrezione da parte del parlante tedesco in quanto l’intervento di N non interviene
immediatamente a riparare i suoi errori.
11.5.2. LA RIPARAZIONE È SELETTIVA.
Molti errori commessi da non vengono corretti. Ci si concentra più su errori che, pur non generando
incomprensioni, rischiano di mettere in ridicolo NN o che riguardano argomenti tabù nella cultura
della L2. Inoltre, non si tende a correggere più errori fatti in un breve lasso di tempo per non
danneggiare la faccia di NN. Un altro aspetto da cui dipende la decisione o meno di un errore è la
possibilità di inserirsi nella sequenza discorsiva senza interrompere il tema del dibattito.

11.5.3. LA RIPARAZIONE MIRA A NON FAR PERDERE LA FACCIA ALL’INTERLOCUTORE


(GOFFMAN).
N cerca di non creare problemi di faccia a NN e lo fa in 4 modi:
1. Riparazione indiretta: N interviene senza sottolineare, ripetendo, in forma corretta e a mo’ di
segnale di ascolto, cioè con una tipica riparazione conversazionale di tipo congiuntivo;
2. Riparazione poco evidente: N usa ripetutamente riparazioni ad incastro, la correzione avviene
solitamente con un tono di voce più basso e con una diversa intonazione facendo sì che la correzione
passi più inosservata;
3. Riparazione in forma di congettura: serve a correggere in maniera sfumata un elemento verbale, a
completare un’espressione incompleta. Essendo di tipo congiuntivo non provoca problemi di faccia
all’interlocutore (es. NN: «Era bell- bello- bella.», NN: «il balletto era bello?»);
4. Riparazione che non interrompe il flusso tematico: N tende a non interrompere il flusso della
conversazione di NN, soprattutto se il focus è sul messaggio.

11.6. IL LAVORO DI RIPARAZIONE IN CLASSE


Nella situazione scolastica la correzione può provocare problemi di faccia, impazienza, disattenzione,
frustrazione. Ciò avviene soprattutto perché, a differenza del contesto Tandem, il contratto formativo
stipulato tra istituzione educativa ed allievo non è necessariamente frutto di una decisione di
quest’ultimo e la correzione avviene in maniera unidirezionale.

11.6.1. ECCESSO DI CORREZIONE E DI VALUTAZIONE


Gli insegnanti tendono a correggere troppo e ad incentrare la valutazione più sul numero di errori che
sul numero di produzioni corrette. È come se fossero gli errori e non le produzioni corrette ad essere
presi come indice del livello di conoscenza raggiunto. Quindi, le deviazioni sono viste come indice
di lacuna, mentre per le produzioni corrette è dato per assodato che siano fissate e immutabili.

11.6.2. CORREZIONE INDIFFERENZIATA


La riparazione in classe è spesso indifferenziata, anche se dovrebbe variare a seconda delle attività
proposte. Se, per esempio, l’attività è incentrata sul codice, è giusto che gli errori vengano corretti,
ma se l’orientamento è sulla comunicazione, la correzione dovrebbe essere dosata. Le correzioni in
classe sono più facilmente accettate quando vi è una netta divisione tra mondo didattico e
comunicativo. Una mescolanza tra i due è fonte di frustrazione per lo studente.

11.6.3. RAPPORTO TRA CORREZIONE E CONTROLLO DELL’INSEGNANTE


L’attività di riparazione dell’insegnante è collegata a quella di controllo. Un insegnante direttivo
tende ad impedire l’iniziativa del discente, utilizzando strategie di correzione reattive che
interrompono il flusso comunicativo. Se invece l’insegnante si preoccupa di rendere il discente
responsabile del suo apprendimento, cede il controllo ad altri e, quando lo esercita, impiega strategie
proattive che promuovono l’interazione anche durante il processo di riparazione, diventando una
riparazione simile a quella che avviene nei contesti faccia a faccia di apprendimento non guidato.

11.7. QUALI STRATEGIE DI CORREZIONE ADOTTARE IN CLASSE?


Un lavoro di riparazione condotto nel modo sbagliato, può portare il discente a provare non solo
frustrazione ma una sorta di dipendenza dall’aiuto fornito dall’insegnante. Possiamo prevenire ciò
attraverso delle semplici strategie:
1. Correggere di meno (essere selettivi): esistono errori che possono rimanere tali ed altri che vanno
corretti (poiché minano la comunicazione, infastidendo l’interlocutore);
2. Aumentare il tempo di attesa prima di correggere per permettere l’autocorrezione;
3. Operare in maniera differenziata a seconda dell’attività da valutare, se focalizzata sul codice o sul
messaggio;
4. Non interrompere il discente che comunica in L2: posticipare la correzione in un momento
successivo;
5. Adottare forme di riparazione congiuntiva che aiutino il discente e che non gli provochino problemi
di faccia: come ad esempio, trattando l’errore come un problema di comprensione/ascolto,
correggendo sotto forma di congettura o con una veloce correzione a incastro;
6. Aiutare il discente ad imparare ad ascoltare, comparare e valutare la sua produzione in lingua
straniera.

11.8. CONCLUSIONI: VERSO L’AUTOCONTROLLO E L’AUTOVALUTAZIONE


Il processo di autocontrollo è indispensabile perché vi siano progressi nello sviluppo dell’interlingua.
Il linguaggio pidginizzato è causato dal fatto che NN non riesce ad analizzare i dati in arrivo, a
paragonarli con la sua produzione, a valutare le differenze e quindi a formulare nuove ipotesi. Si
accontenta quindi dello stadio raggiunto dalla sua interlingua. Esistono due tipi di attività di classe
che possono aiutare il discente a potenziare la propria capacità di autocontrollo ed autocorrezione.
Eccole qui sotto:

11.8.1. SCOPERTA E CLASSIFICAZIONE DI ERRORI E DEVIANZE


Comporta la registrazione di attività (come di role play) condotte in classe e il loro successivo ascolto,
mirato alla ricerca di errori e devianze nella loro produzione. I discenti sono invitati e guidati a:
1. Classificare il tipo di errore o devianza (di forma, di registro, di logica, errori comunicativi...);
2. Ipotizzarne le cause (interferenza, sovrageneralizzazione, semplificazione, mancata conoscenza
delle strutture o del lessico, trasposizione di norme sociali e culturali della L1);
3. Prefigurare possibili conseguenze dell’errore (la gravità rispetto alla comprensione del messaggio
o dell’immagine del parlante stesso);
4. Chiedere di fornire alternative corrette alla produzione non corretta o inappropriata.

11.8.2. AUTOMONITORAGGIO E VALUTAZIONE DELLA PROPRIA PRODUZIONE.


Proposta di Taron e Yule (1989): accordare un punteggio ai discenti per la loro capacità di
autocorrezione: durante la verifica di prove formali, l’allievo è invitato a rispondere onestamente sulla
sicurezza o insicurezza di svolgimento dell’esercizio e l’accuratezza del suo giudizio viene premiata.
Questo tipo di esercizio serve sia allo studente che all’insegnante, che sarà in grado di capire quali
aspetti della materia meritano una revisione più accurata (es. se lo studente risponde correttamente
alla domanda ma indica di non esserne sicuro). Lo studente, ricevendo un punteggio per la sua
capacità di autocontrollo, svilupperà più facilmente tale capacità.

12. LA VERIFICA FORMALE E LA VALUTAZIONE DELL’APPRENDIMENTO


- La valutazione formale delle competenze è una fase essenziale del processo curricolare che ha lo
scopo di verificare se il risultato di apprendimento raggiunto dagli studenti è quantitativamente e
qualitativamente conforme gli obiettivi programmati; una funzione ulteriore è quella di
osservazione sistematica dei risultati dell’insegnamento.
- Con le teorie linguistiche, pedagogiche e psicolinguistiche cambiano anche le prove a cui vengono
sottoposti gli apprendenti (sintassi negli anni Sessanta, comunicazione negli anni Settanta…).
- L’accertamento e la valutazione formale delle competenze sono una fase essenziale del processo
curricolare hanno lo scopo di verificare se il risultato dell’apprendimento raggiunto dagli allievi
è conforme agli obiettivi programmati.
- Ogni tipo di verifica linguistica cambia al cambiare delle teorie linguistiche. Così negli anni 60
la verifica era incentrata sulla sintassi e si basava su prove di singole conoscenze, mentre dagli
anni ‘70 si protende a prove di verifica di una competenza più comunicativa che puramente
linguistica.

12.1. IL TESTING
Le prove possono focalizzarsi su:
1. Un elemento linguistico alla volta, accertando così competenze isolate: prove fattoriali o discrete;
2. Competenze globali, che verificano contemporaneamente più di un elemento o livello linguistico,
più di un’abilità primaria: prove integrate.

12.1.1. TEST FATTORIALI


Il test è un tipo di prova che ha come criteri principali l’affidabilità e la validità. Un test è affidabile
se fornisce risultati uguali ogni qualvolta viene somministrato (a prescindere da chi lo somministra),
mentre è valido se verifica ciò per cui è stato effettivamente approntato. Per essere utilizzati anche a
livello burocratico, i test devono essere:
- Oggettivi: che prevedono un’unica risposta;
- Quantificabili: che permettono la comparazione dei risultati.
I test discreti sono di facile preparazione, somministrazione e correzione. Tra le tecniche più usate
troviamo la scelta multipla, il vero/falso, il fill in the gaps e, ancora, la trasformazione di frasi
(attivo/passivo), l’abbinamento (testo-testo, parola-parola etc.), la costruzione di frasi partendo da
determinate parole.

12.1.2. TEST INTEGRATI


Fanno uso di contesti discorsivi piuttosto che di singoli enunciati o frasi isolate. Un esempio tipico è
il cloze, un testo che presenta degli spazi vuoti ogni tot. parole, i quali devono essere riempiti con
forme corrette. Anche il dettato può essere considerato una forma di test integrato poiché prevede
processi di comprensione oltre che di produzione. Altri esempi di prove integrate sono:
1. Il riassunto;
2. L’intervista;
3. Gli elaborati su argomenti specifici;
4. La lettura di testi con verifica scritta di comprensione.

12.1.3. TEST PRAGMATICI.


Sono test che valutano la capacità di interagire nella L2. Doyé (1989) ha individuato le seguenti
caratteristiche:
1. Sono integrati: riconducono le sottocompetenze al loro contesto pragmatico globale;
2. Richiedono un agire linguistico: l’impiego di mezzi linguistici per compiere delle azioni;
3. Richiedono un impiego di mezzi linguistici determinato dalle circostanze;
4. Richiedono di portare a termine compiti che siano pragmaticamente “naturali” all’esterno della
classe;
5. Richiedono di portare a termine compiti concepiti per consentire al discente di identificarsi nel
ruolo che essi prefigurano.
Esempi di test pragmatici (che posseggono – su una scala - da un minimo ad un massimo di
“naturalezza pragmatica”) sono:
1. Formulazione di atti linguistici: un test di questo genere non possiede alcun tratto di naturalezza
pragmatica, in quanto il compito da portare a termine è del tutto irrealistico – l’unica competenza
necessaria è di natura sintattica;
2. Immedesimarsi in una situazione realistica e usare mezzi linguistici appropriati alla situazione: il
test risponde a due criteri di naturalezza pragmatica;
3. Fornire e ottenere informazioni mancanti (esercizio in coppia): il test rispecchia tutti i criteri
descritti da Doyé.
Come si vede, più i test sono naturali da un punto di vista pragmatico più lo studente viene lasciato
libero di prendere l’iniziativa.
LIMITI DEL TESTING PRAGMATICO
- difficoltà di riprodurre in classe tutte le componenti extralinguistiche di un atto di comunicazione
(ambienti, ruoli, scopi, atteggiamenti, presupposti e conoscenze condivise, ecc.) ovvero tutto ciò che
rende una comunicazione “reale”;
- difficoltà di predisporre, somministrare e misurare le prestazioni, a volte con il rischio di trasformare
la prova comunicativa in una prova di intelligenza e creatività
ATTENZIONE: LE DOMANDE…
...possono essere demotivanti («falso» pragmatico); potrebbero capire il testo ma non la domanda.
Ai livelli più bassi formulare domande precise e mirate in modo da ottenere risposte brevi e puntuali;
variare le tecniche e preferire le griglie quando possibile
ATTENZIONE: S/M, V/F, CLOZE
1. SM e V/F: problema del guessing: la risposta può essere corretta ma il ragionamento sbagliato.⇩
Inserire più items o altre modalità (V, F, non viene detto; sottolinea la risposta nel testo; correggi la
risposta errata)
2. Cloze: nella forma standard può richiedere notevoli inferenze e la mancata comprensione di uno o
più item può compromettere l’esecuzione dell’intero compito; la soluzione attesa spesso non è l’unica
possibile (clozentropy); come valuto eventuali errori di produzione?
Inserire più items o altre modalità (V, F, non viene detto; sottolinea la risposta nel testo; correggi la
risposta errata)
ATTENZIONE: S/M, V/F, CLOZE
1. SM e V/F: problema del guessing: la risposta può essere corretta ma il ragionamento sbagliato.
Inserire più items o altre modalità (V, F, non viene detto; sottolinea la risposta nel testo; correggi la
risposta errata)
2. Cloze: nella forma standard può richiedere notevoli inferenze e la mancata comprensione di uno o
più item può compromettere l’esecuzione dell’intero compito; la soluzione attesa spesso non è l’unica
possibile (clozentropy); come valuto eventuali errori di produzione?
Inserire più items o altre modalità (V, F, non viene detto; sottolinea la risposta nel testo; correggi la
risposta errata)
ATTENZIONE: ABBINAMENTO E RIORDINO
1. Abbinamento: problema del guessing; problema dell’errore a catena
1. guessing: mettere sempre un distrattore in più per non rendere automatici gli abbinamenti; errore a
catena: fare in modo che all’elemento del primo elenco corrisponda un elemento del secondo in modo
inequivocabile
2. Riordino (di frase, battute di un dialogo, di paragrafi, di testi): difficoltà di reperire testi adatti,
problema dell’errore a catena
3. inserire connettivi o riprese lessicali per rendere le parti del testo da riordinare meno nebulose

12.2. VALUTAZIONE DELLA COMPETENZA COMUNICATIVA


Il concetto di competenza comunicativa, elaborato da Haymes, è stato sottocategorizzato in tre
componenti:
1. Competenza linguistica;
2. Competenza sociolinguistica;
3. Competenza strategica.
Ciò allo scopo di verificare e valutare capacità di uso linguistico che rispettino il criterio di
comparabilità dei risultati. La competenza comunicativa (sistema di abilità e conoscenze richieste per
comunicare) va distinta dalla “capacità d’uso”: non si applica dunque alla comunicazione autentica
ma viene valutata seguendo un’ottica discreta, orientata alle conoscenze, mentre la capacità d’uso
non può essere valutata se non in maniera globale.

12.2.1. VALUTAZIONE DELLE SOTTOCOMPETENZE COMUNICATIVE


a. Sottocompetenza linguistica: può essere valutata in modo parziale o integrato a seconda che
vengano isolati punti specifici della grammatica o che si verifichi la capacità più globale del
discente di esprimersi correttamente il L2;
b. Sottocompetenza sociolinguistica: accertata solo in quanto capacità di capire e produrre
determinati atti linguistici, senza però una chiara specificazione del quando e del perché si usa
una realizzazione linguistica piuttosto che un’altra (dato che spesso mancano i riferimenti al
contesto, la presa del turno di parola e le strategie di cortesia);
c. Sottocompetenza strategica: è l’abilità di selezionare mezzi efficaci per portare a compimento un
atto comunicativo. Un’attività per svilupparla o comprovarla è quella di far analizzare ai discenti
scambi comunicativi autentici allo scopo di identificare le modalità interattive impegnate nella
conversazione tra due N in occasioni comunicative di diversa natura.

12.2.2. VALUTAZIONE DELLE CAPACITÀ DI AGIRE ORALMENTE IN L2


Questo tipo di valutazione presenta limiti di comparabilità: la produzione orale autentica in L2 è
infatti determinata da particolari circostanze che non possono ripresentarsi in classe. Vi sono
comunque varie sperimentazioni che tentano di applicare criteri di affidabilità per valutare tale
capacità. In particolare, Francis Carton presenta i risultati di uno studio sulla valutazione delle
capacità in inglese. Quanto alla scelta delle sottocompetenze da valutare, essa si indirizza verso
competenze generali e trasversali, che ricorrono in un gran numero di situazioni comunicative e
dunque considerate rappresentative della capacità d’uso linguistico. I tipi di produzione che meglio
rappresentano tali competenze sono:
1. Essere capaci di prendere parte ad una interazione faccia a faccia: relativo al dominio della vita
pratica o professionale; abilità di mettere in opera una strategia di argomentazione; utilizzo di
espressioni di saluto/ringraziamento/ scusa/ offerta/ invito;
2. Essere capaci di produrre dei discorsi orali non interattivi: espressione dei sentimenti attraverso
un registro familiare; ed espressione in un dominio intellettuale attraverso un registro formale.
Il criterio adottato nella valutazione orale può essere quello dell’intelligibilità che determina se l’atto
di parola è “riuscito” e può essere compreso da un parlante nativo per riuscire nel suo scopo.
VALUTAZIONE SOGGETTIVA ED OGGETTIVA (schematica)
- La valutazione soggettiva è affidata alle capacità personali e discrezionali del valutatore e non
supportata da tecniche e strumenti di rilevazione di tipo oggettivo (es. prove di produzione orale e
scritta)
- La valutazione oggettiva è quella che tiene conto di prove che richiedono risposte univoche e
predeterminate e che prescindono dal giudizio del valutatore (es. prove a SM, V/F, abbinamento…)
PROVE SOGGETIVE: LIMITI
Produzione/interazione orale: L’interrogazione è sempre un momento critico perché rischia di
compromettere il rapporto empatico tra l’alunno e l’insegnante. Nell’interrogazione giocano diversi
fattori:
- il tempo a disposizione;
- l’emotività dell’alunno;
- l’abilità dell’allievo nella comunicazione verbale;
- l’esigenza di verificare la conoscenza dei contenuti.
Produzione scritta: per valutare una prova scritta come una lettera, una descrizione, un racconto ecc.
si può ridurre l’indice di soggettività ed accrescere quello di fedeltà della valutazione, prefissando
una griglia di indicatori, con gli obiettivi che si vogliono valutare.
PROVE OGGETIVE: LIMITI
- Non affidarsi in modo esclusivo a procedimenti quantitativi, come test oggettivi, che possono
verificare solo conoscenze e abilità settoriali;
- I test oggettivi non sono in grado di fornire indicazioni sulle potenzialità del soggetto;
- Prove oggettive in L2 sono consigliabili a partire dai 10 anni in poi e per strutturare livelli più che
per fare uno screening iniziale;
- Prove oggettive in L1 per le diverse discipline sono possibili anche per soggetti più giovani (es.
costruite dagli insegnanti delle discipline in collaborazione con i mediatori).

12.3. PROVE DI VERIFICA DI SINGOLE ABILITÀ


Le abilità linguistiche possono essere verificate singolarmente o in combinazione.

12.3.1. PROVE DI VERIFICA DELL’ABILITÀ DI COMPRENSIONE ORALE E SCRITTA.


Esempi di verifica di comprensione orale e scritta possono essere:
1. Ascolto o lettura di brevi testi orali o scritti non ridondanti allo scopo di carpire l’informazione
principale (es. testi radiofonici come spot pubblicitari, previsioni del tempo etc.);
2. Ascolto o lettura di lunghi testi ridondanti con la consegna di ricercare informazioni dettagliate.
Quanto alle tecniche di verifica si possono proporre dei questionari vero/falso o con risposta a scelta
multipla, completamento di tabelle/grafici/griglie, domande aperte. Un esempio di prove integrate
per la verifica delle abilità di comprensione orale e scritta è l’ascolto di una breve lezione su un tema
noto con conseguente sintesi. Esempi invece di prove di verifica delle abilità produttive sono:
1. Completamento di enunciati;
2. Trasformazione dei testi;
3. Redazione di lettere o di composizioni seguendo una traccia;
4. Resoconti di attività;
5. Riassunti;
6. Interviste.

12.4. SVILUPPO DELLA CONSAPEVOLEZZA DEL RUOLO DELL’APPRENDENTE


12.4.1. L’AUTOVALUTAZIONE
Compito dell’insegnante è aiutare gli allievi a diventare autonomi anche nella correzione, così da
aiutare l’insegnante stesso nel verificare il suo successo o il suo insuccesso. Le funzioni delle attività
di autovalutazione nel processo educativo sono:
1. Concretizzano gli obiettivi dell’apprendimento in forma plausibile e comprensibile per gli studenti;
2. Rendono possibile la pianificazione individuale dell’apprendimento;
3. Permettono di conoscere criteri di giudizio prima sconosciuti;
4. Permettono di controllare i propri progressi;
5. Rendono gli esami trasparenti permettendo di prepararsi meglio per superarli.

12.4.2. PROVE DI VALUTAZIONE A CONCLUSIONE DI UN CORSO INCENTRATO


SULL’EDUCAZIONE ALL’AUTONOMIA
Prendiamo in considerazione una prova di valutazione della prova orale in L2 alla fine di un corso di
tedesco come lingua straniera a studenti francesi. Gli studenti avevano preso parte a tutte le decisioni
riguardanti il processo di apprendimento. Per la valutazione, in ogni parte della prova vengono fornite
le consegne ed i criteri di giudizio. Gli esaminatori sono due: il primo osserve senza intervenire,
fornendo un giudizio dettagliato seguendo criteri scritti; il secondo prende parte attiva alla prova,
fornendo alla fine un giudizio globale. La prova consta di quattro parti:
- Prima parte: lo studente parla di argomenti noti (giudizio sulla correttezza);
- Seconda parte: lo studente interpreta un’immagine (una vignetta, un quadro o una fotografia);
- Terza parte: breve role play a telefono o una comunicazione faccia a faccia con l’esaminatore
(istruzioni dettagliate sul ruolo da interpretare);
- Quarta parte: breve discussione su uno o più libri letti dal candidato (giudizio relativo alla corretta
interpretazione delle domande poste dall’esaminatore).
Alla fine della prova si chiede al candidato di risponde ad un questionario relativo alla prova stessa
(difficoltà, trasparenza delle consegne, condizioni in cui si è svolta, comportamento degli
esaminatori).

12.5. CONCLUSIONI
Il criterio essenziale per abituare lo studente ad autovalutarsi è quello della trasparenza delle prove,
ovvero: comprensibilità delle consegne, familiarità con le tecniche e i formati adottati, l’esplicitazione
dei criteri di giudizio, la discussione dei risultati ottenuti. Il discente va aiutato a diventare
consapevole dei suoi bisogni comunicativi, delle sue abitudini e preferenze e va aiutato ad imparare
ad imparare e quindi anche ad autovalutarsi.

13. LA RICERCA IN CLASSE


Compito fondamentale dell’insegnate è rendere l’apprendimento possibile, rendendo lo studente parte
attiva e responsabile della programmazione ed autovalutazione. Tale visione può realizzarsi tramite
una programmazione didattica dinamica e riflessiva, sempre soggetta ad evoluzione e sviluppo.
Da qui una nuova concezione dell’insegnamento che mira a facilitare l’apprendimento individuale di
conoscenze e competenze. A tale proposito, la ricerca didattica in classe assume un ruolo molto
importante: utilizzando strumenti di analisi di tipo etnografico, si cerca di migliorare la qualità della
didattica interna.

13.1. LA TEORIA E LA PRASSI


Pochi negherebbero la necessità, per migliorare l’insegnamento linguistico, di un collegamento tra
teoria e prassi. Tuttavia, il divario sociale (di status soprattutto) che esiste tra ricercatori ed insegnanti
(intesi come “praticanti” dell’attività didattica) crea conseguenze pedagogiche negative, in quanto gli
insegnanti, precludendosi la possibilità di praticare ricerca, adottano un insegnamento che
diversamente sarebbe più motivante sia per loro che per i propri studenti.
Una modalità per risolvere i problemi che quotidianamente sorgono in classe si basa sulla ricerca
all’interno del contesto classe e sul trovare soluzioni ai problemi che costituiscono ipotesi di lavoro.
Praticare quindi una ricerca che vede la congiunzione di teoria e prassi permette agli insegnanti di
rendersi conto di persona dell’importanza delle ipotesi che vengono loro proposte.

13.2. LA HANDLUNGSFORSCHUNG
La ricercazione (ricerca didattica per eccellenza) è una ricerca motivata da uno specifico problema di
natura locale, impostata per risolvere quel problema in quella particolare situazione.
La ricercazione si rifà ad un tipo di ricerca sociologica, la Handlungsforschung, che può definirsi
come indagine comparativa sulle condizioni e sugli effetti di forme diverse di azione sociale (Lewin,
1968). Le tappe consistono in una ripetizione a spirale di cicli di analisi, ricerca sui fatti,
concettualizzazione, pianificazione, esecuzione, ulteriore ricerca sui fatti o valutazione. Gli scopi
sono:
- Indagare su fatti rilevanti per coloro cui la ricerca si riferisce;
- Ricercare soluzioni o cambiamenti nell’ambito di indagine tramite la collaborazione dei soggetti
indagati.
Con Handlungsforschung ci si riferisce al rapporto esistente tra l’approccio scientifico adottato e le
azioni che da esso scaturiscono.

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