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Verso una nuova lingua


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Capitolo 1
Che cos’è una seconda lingua e cosa significa acquisire una lingua

Acquisire…
Con acquisizione di una lingua si intende il fenomeno per cui un essere umano diventa
progressivamente competente nell’uso di una lingua per la comunicazione con i suoi simili.

Linguistica acquisizionale→ branca della linguistica che studia i processi e i meccanismi di


acquisizione di una lingua. Nella tradizione scientifica italiana, questo termine è di solito
inteso più precisamente in riferimento allo studio dell’acquisizione di una lingua seconda.

La capacità di acquisire una lingua è propria dell’essere umano; se non sussistono problemi
psichici o condizioni di grave carenza di relazioni sociali ed esposizione ad una lingua,
qualunque essere umano, nei suoi primi anni di vita, inizia a sviluppare la propria capacità di
interagire con gli altri per mezzo di una o più lingue.

Lingua materna, lingua nativa o madrelingua→ lingua acquisita nella prima infanzia.
L’acquisizione è avviata in primo luogo dall’esposizione ad input di una lingua, ovvero dalla
possibilità di ascoltare enunciati nella lingua inseriti in un contesto che consente di
comprenderli, cioè di ricostruirne il valore comunicativo.

Acquisizione spontanea→ attraverso l’interazione con i propri simili è possibile acquisire


una lingua spontaneamente, cioè in assenza di esplicite e consapevoli tecniche di
insegnamento.
N.B. questo è vero anche per chi, a causa della condizione di sordità, non ha la possibilità di
sfruttare l’input linguistico verbale-orale: una persona sorda infatti quando viene esposta ad
una lingua dei segni, impara a comunicare in quella lingua spontaneamente, senza bisogno di
un insegnamento esplicito.

Si può comparare questa capacità con l’altrettanto naturale capacità umana di imparare a
camminare nei primi anni di vita attraverso la pratica e l’esempio di altri essere umani
competenti nella stessa attività.

1.1.1 Una differenza fondamentale…

La facoltà di linguaggio, cioè la capacità di acquisire una lingua verbale, è una delle
caratteristiche che maggiormente caratterizzano l’essere umano e pare essere
fondamentalmente specie-specifica.
Tuttavia, questa capacità sembra ridursi nel tempo. È esperienza comune che l’acquisizione
di altre lingue in età successive all’infanzia (=lingue seconde) sia impresa più difficoltosa e
dall’esito più variabile

L’acquisizione di una lingua in età post-infantile non arriva solitamente ad esiti comparabili
con quelli di chi apprende quella stessa lingua fin dall’infanzia.

Differenza fondamentale→ negli studi sull'acquiszione, l’assunto che esistano differenze


qualitative e quantitative importanti fra i processi che caratterizzano l’acquisizione della
madrelingua rispetto all’acquisizione di altre lingue in età post-infantile.

L’acquisizione della madrelingua è un processo destinato al successo come camminare



L’acquisizione di lingue seconde è più simile ad imparare a nuotare o imparare a suonare uno
strumento musicale⇢ coinvolge una parte di addestramento esplicito e consapevole ed ha
esito varabile.
Le spiegazioni per la ‘differenza fondamentale’ sono varie→
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Tutte le lingue possiedono le stesse macrocaratteristiche fondamentali e qualunque lingua


può essere indifferentemente appresa come materna o come lingua seconda, quindi le
spiegazioni per questa differenza non vanno ricercate nella diversa natura dell’oggetto di
acquisizione (la lingua), ma nelle diverse condizioni in cui il processo avviene

Due possibili macroambiti di ipotesi:
1. Uno invoca spiegazioni interne al soggetto apprendente, e riguarda le peculiari
condizioni in cui si trova l’essere umano nel momento dell’acquisizione della
madrelingua rispetto alle seconde lingue, sia sul piano cognitivo (la peculiare
organizzazione della mente umana negli anni infantili), sia sul piano dello stato emotivo
(le motivazioni che spingono ad acquisire la madrelingua in quanto primo strumento di
comunicazione con i propri simili).
- punto di vista cognitivo→ quando si impara la lingua materna si impara allo stesso tempo e
per la prima volta ad usare un sistema simbolico complesso, mentre l’acquisizione di una
seconda lingua dopo quella madre è in questo senso l’acquisizione di un’altra lingua, cioè di
un altro oggetto della stessa natura di un primo già acquisito (non si verifica la stessa
situazione della prima lingua).

Quando si impara la lingua materna, la mente non ha traccia di esperienze precedenti dello
stesso tipo.

2. L'altro invoca spiegazioni esterne all'apprendente, infatti riguarda le peculiari


caratteristiche contestuali in cui avviene l’apprendimento della madrelingua. I rapporti
relazionali e le pratiche comunicative che si verificano tra infante e le persone che lo
accudiscono non sono paragonabili per qualità, frequenza e intensità motivazionale a
quell in cui normalmente avviene l’acquisizione di una lingua in età post-infantile.

Acquisire vs. insegnare…


Le modalità di apprendimento delle lingue sono state oggetto di studio, oltre che della
linguistica acquisizionale (termine adottato in Italia solo negli anni '90), anche della
glottodidattica.
Queste due discipline hanno in comune l’interesse per l’acquisizione di seconde lingue (infatti
in Gran Bretagna entrambe le discipline si identificano con la second language acquisition
theory) ma hanno finalità diverse rispetto a questo oggetto.

Linguistica acquisizionale: è interessata all’osservazione del processo di acquisizione
dell’apprendente (processi cognitivi ed atteggiamenti, caratteristiche dell’ambiente in cui
l’apprendimento avviene). Si dedica allo studio dei contesti di acquisizione naturale, nei
quali l’acquisizione avviene incidentalmente, come conseguenza di pratiche comunicative e in
assenza di istruzione formale. Apprendente ed il processo di apprendimento sono al centro
dell'interesse della linguistica acquisizionale.

FINALITÀ→ descrittiva e teorica; spiega quali fattori rendono possibile e influenzano il
processo di acquisizione.

Glottodidattica: interessata alla riflessione sull’insegnamento delle lingue, allo sviluppo di


proposte metodologiche in grado di stimolare i processi di apprendimento linguistico e di
strumenti di verifica e valutazione del successo dell'apprendimento, nonché all’osservazione
degli effetti che determinate proposte metodologiche hanno sull’apprendimento. Si dedica allo
studio dei contesti di acquisizione guidata, nei quali l’acquisizione di una lingua avviene
attraverso attività progettate e realizzate a questo scopo. Insegnante e modalità di
insegnamento sono al centro dell'interesse.

FINALITÀ→ applicativa; interviene sul processo di acquisizione per renderlo maggiormente
efficiente ed efficace.

La linguistica acquisizionale ha finalità più descrittive e teoriche: interessata ad approfondire
le capacità umane di apprendimento.
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La glottodidattica ha interesse per i risultati della ricerca della linguistica acquisizionale poiché
una migliore conoscenza dei meccanismi di apprendimento può contribuire alla progettazione
di un più efficace intervento didattico.

Didattica acquisizionale→ termine recentemente coniato che vede un’omogeneità di interessi


fra chi si occupa di acquisizione e che si occupa di insegnamento: una buona glottodidattica
deve essere anche scientificamente fondata sul piano linguistico e acquisizionale.

Uno dei contributi fondamentali che la linguistica acquisizionale ha offerto agli studi di
glottodidattica→ constatazione che ciò che si impara non coincide con ciò che si insegna,
perché l’apprendimento di una lingua e delle sue strutture avviene anche in assenza di
insegnamento e viceversa, l’insegnamento di specifiche strutture linguistiche non sempre
garantisce il loro apprendimento

Questa constatazione ha portato la glottodidattica ad una maggiore focalizzazione
sull’apprendente, sulle sue potenzialità e i suoi limiti.
D’altra parte, la ricerca glottodidattica è di interesse per la linguistica acquisizionale
nell’esplorare gli effetti di specifiche tecniche didattiche sui percorsi di acquisizione, mettendo
in luce il comportamento dell’apprendente in contesti di acquisizione guidata; inoltre, gli
strumenti di valutazione della competenza linguistica elaborati dalla glottodidattica si rivelano
utili strumenti di analisi anche per la ricerca in linguistica acquisizionale.

Acquisire vs. sapere: sistemi statici e sistemi dinamici…

Cosa significa interessarsi all’acquisizione di una lingua specifica?


Vuol dire interessarsi al processo attraverso cui un parlante sviluppa progressivamente una
competenza in un nuovo sistema linguistico→ l’input è fondamentale in questo processo
evolutivo in quanto l’apprendente è costantemente confrontato con l’input dei parlanti con cui
è a contatto.
Attraverso questo input si manifesta il sistema linguistico pienamente sviluppato dei parlanti
nativi, che funge da target, cioè da modello dell’apprendimento.

Es: per un apprendente italofono apprendente l’inglese, l’inglese costituisce la lingua target, o
meglio la varietà di inglese usata dai parlanti inglesi è definita la varietà target del suo
percorso di apprendimento→ il percorso di apprendimento da questo punto di vista può
essere considerato come un percorso di progressiva ricostruzione di un sistema linguistico
sulla base del modello offerto dai parlanti competenti.
Il comportamento di chi impara una lingua è molto diverso ovviamente da quello dei parlanti
della varietà target: il comportamento dell’apprendente, siccome sta imparando una nuova
lingua ed è quindi in evoluzione, è caratterizzato da instabilità e irregolarità.
Tuttavia, questo non significa che il comportamento di un apprendente sia privo di
sistematicità

Un contributo fondamentale grazie alle ricerche svolte in ambito acquisizionale mostra che il
comportamento degli apprendenti du una lingua è dotato a sua volta di tratti di regolarità.
Queste regolarità osservate nel comportamento di un apprendente possono non coincidere
con quelle osservate nei parlanti delle varietà target.
Es: la posizione preverbale degli avverbi tempo-aspettuali è una regolarità ricorrente
nell’italiano di chi lo impara come seconda lingua (forse io non mai mi sposo).
La presenza di regolarità come queste ha suggerito che il comportamento degli apprendenti
di una lingua abbia tratti di sistematicità: rispecchia a sua volta un sistema linguistico instabile
ed in evoluzione che è stato chiamato interlingua / varietà di apprendimento. Con questa
seconda denominazione coniata sulla base della nozione sociolinguistica di “varietà di lingua”
si allude al fatto che il sistema manifestato da un apprendente di una lingua, anche se non
coincidente con quello dei parlanti pienamente competenti, può essere considerato una
varietà dello stesso sistema.

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In prospettiva acquisizionale la istematicità delle varietà di apprendimento è al centro


dell’interesse e riguarda:
sia il modo in cui una verità si articola in una determinata fase del percorso (una tappa o
stadio di apprendimento)
sia il modo in cui il sistema si evolve progressivamente (il suo dinamismo interno)

Le varietà di apprendimento interessano la linguistica come ogni altro sistema linguistico.

Il sistema sostanzialmente stabile manifestato dall'individuo adulto nativo è l'ultima tappa di


un percorso acquisizionale.

Una lingua seconda…

Biografia linguistica di un individuo→ modi e tempi in cui le lingue da lui possedute e che
quindi fanno parte del suo repertorio linguistico, sono state acquisite nel corso della vita.

Sul piano biografico→ si definisce lingua nativa / lingua materna / madrelingua di un individuo
quella che si inizia ad acquisire in età infantile nella socializzazione primaria, cioè nelle
prime relazioni sociali con i genitori o con le persone da cui si è accuditi nel contesto familiare
e intimo. Questa lingua viene anche chiamata prima lingua o L1→ è la prima in senso
cronologico che comincia ad essere acquisita.

Lingue seconde o L2→ altre lingue che l’individuo inizia ad acquisire dopo la prima infanzia.
I contesti di acquisizione di una seconda lingua possono essere vari (es. esposizione a media
in quella lingua, frequenza di corsi di studio dedicati all’insegnamento della lingua in
questione…)
Altrettanto varie possono esserne le occasioni d’uso (es. cerchia di relazioni, in ambito
professionale…)

In linguistica acquisizionale la denominazione di lingua straniera viene riservata al caso in


cui la seconda lingua è appresa al di fuori di una comunità di parlanti nativi, tipicamente nel
contesto scolastico.
Date queste caratteristiche biografiche, non sorprende il fatto che l’esito dell’acquisizione di
una seconda lingua possa essere estremamente variabile

Una seconda lingua è generalmente usata con minore frequenza e in un numero più ristretto
di situazioni comunicative rispetto alla madrelingua e la competenza in una seconda lingua
resta anche per questi motivi inferiore a quella posseduta in lingua materna ed alla
competenza dei parlanti nativi di quella stessa lingua→
Acquisizione precoce e tardiva
Uso diffuso e limitato
Competenza piena e parziale

Caratteristiche che si contrappongono parallelamente a distinguere una lingua nativa da una
lingua seconda.

La nozione di parlante nativo viene spesso fatta coincidere con quella di parlante competente;
in effetti è il parlante nativo che viene considerato come il modello di lingua di riferimento.
La stessa osservazione che in una seconda lingua raramente si raggiunge una competenza
“piena” è basata sulla constatazione dello scarto che solitamente distingue le produzioni dei
parlanti nativi da quelli non nativi.

Parlanti nativi si nasce?

Ogni essere umano nasce naturalmente dotato della facoltà di linguaggio, tuttavia nessun
essere umano nasce competente in una specifica lingua naturale: ogni lingua naturale deve
essere appresa. Ciò che distingue una lingua nativa da una lingua seconda sono le diverse
fasi di vita e condizioni in cui queste vengono apprese.
La lingua materna viene appresa fin dall’infanzia nella socializzazione primaria: questa
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precoce esposizione alla lingua garantisce un vantaggio acquisizionale che porta solitamente
ad esiti di acquisizione superiori rispetto a quelli tipici di un’esposizione tardiva.
N.B. l’esposizione precoce all’input di una lingua nella socializzazione primaria non è
sufficiente di per sé a garantire una piena competenza linguistica, né un livello di acquisizione
superiore→ in questo contesto l’alfabetizzazione e i diversi livelli di scolarizzazione sono
fattori rilevanti almeno per alcuni aspetti dello sviluppo della competenza linguistica.

Ci sono diversi tipi di parlante nativo:


parlante nativo continuo→ una persona la cui pratica in quella lingua si è protratta con
costanza dalla prima infanzia attraverso tutte le fasi di vita successive e le diverse situazioni
d’uso, inclusa l’alfabetizzazione e la scolarizzazione (=parlante nativo cui si fa solitamente
riferimento) → è il comportamento linguistico del parlante nativo continuo che viene preso
come modello di riferimento di una lingua.

parlante quasi nativo→ il parlante che ha imparato una lingua come lingua seconda o
straniera dopo il periodo della socializzazione primaria ma che ne abbia sviluppato una
competenza molto progredita assai vicina a quella di un vero parlante nativo. La sua
competenza è quindi indistinguibile da quella di un parlante nativo ma d’altronde non viene
definito nativo poiché la lingua in questione non è stata la lingua della socializzazione
primaria.
Casi di parlanti quasi nativi: le seconde generazioni di immigrati, cioè fra i figli di immigrati da
altri paesi, nati in Italia o arrivati nei primi anni di vita; per loro l’italiano può essere una
seconda lingua, se non vi sono stati esposti nei primi anni di vita in famiglia, ma con
l’estendesti dei contesti di socializzazione e soprattutto con la scolarizzazione essa può
diventare lingua dominante, nella quale si ha maggior competenza e maggior frequenza ed
occasioni d’uso.

heritage speakers→ parlanti che hanno appreso una lingua all’interno del contesto familiare
che trova però ridotti ambiti d’uso al di fuori della famiglia di origine a causa del fatto che non
si tratta di lingue diffuse nella comunità allargata in cui l’individuo si trova a vivere. Questa
lingua è detta lingua di origine di quell'individuo: essa è una lingua nativa (perché di
socializzazione primaria) di un individuo, per la quale ha ambiti d’uso ristretti alla sfera
familiare o amicale e la cui competenza può perciò restare limitata a varietà informali e
colloquiali.

semi parlante→ parlanti che hanno una competenza ridotta in una lingua cui pure sono
esposti fin dall’infanzia, per lo più a causa di una esposizione ridotta e della forte interferenza
di un’altra lingua dominante per frequenza e ambiti d’uso

Una esposizione costante nel tempo ma estremamente ridotta e frammentaria e la mancanza
pressoché totale di occasioni di produzione attiva hanno avuto come esito una elevata
competenza recettiva, ma una competenza produttiva estremamente incerta.

Conclusione→ parlanti nativi “si nasce”, nel senso che l’etichetta di parlante nativo viene
attribuita, per definizione, al caso di colui che apprende una lingua fin dall’infanzia nella
socializzazione primaria.
Con lingua seconda si intende per definizione una lingua “con cui non si è nati”, appresa al di
fuori della socializzazione primaria e dopo le prime fasi di vita. Tuttavia, i diversi modi di
“crescere” in una lingua possono condurre a situazioni di competenza molto diverse sia per
le lingue seconde sia per le lingue native.

Es: condizione di parlante quasi nativo mostra che gli esiti in termini di competenza ed uso in
una seconda lingua possono giungere ad essere molto vicini a quelli tipici dei parlanti nativi di
quella stessa lingua.
D’altro canto, l’essere parlante nativo di una lingua non assicura di per sé alti livelli di
competenza in una lingua se la pratica e l’esperienza nella lingua stessa non si protraggono
nel tempo (caso dei semi-parlanti)
Parlanti nativi si nasce, ma parlante competenti si diventa, sia nelle lingue native sia nelle
lingue seconde.
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Si può smettere di essere parlanti nativi? Acquisizione e perdita di competenza

Meno si ha occasione di usare una lingua seconda, più è facile che le competenze acquisite
non solo non riescano a progredire, ma possano anche regredire.

Nell’esperienza comune, la fragilità pare caratterizzare la competenza nelle seconde lingue
molto più che quella in lingue materne; tuttavia, anche il caso della perdita di competenza in
lingue materne è ben documentata in letteratura.
denominazione di parlante ex-nativo→ caso di una persona che ha perduto o sta perdendo
più o meno progressivamente la lingua della socializzazione primaria a favore di un’altra
lingua più forte nell’ambiente in cui si trova a vivere

Si tratta di un caso particolarmente frequente anche in condizione migratoria, specie fra
persone immigrate in giovane età→ se da un lato la lingua è appresa e usata in famiglia fin
dai primi anni di vita, non avendo sufficienti occasioni d’uso al di fuori della socializzazione
primaria, può vedere arretrarsi il proprio percorso di acquisizione (si parlerà di heritage
speaker), d’altro lato la perdita di spazi d’uso nell’età adulta può causare un progressivo
processo di erosione anche di competenze acquisite (parlante ex-nativo).

Questo secondo fenomeno è chiamato attrition.

Heritage speaker= la competenza, ancora in fase di costruzione, viene bloccata.


Vs.
Attrition= una competenza già costruita regredisce.

Tutte queste situazioni ci mostrano che le competenze linguistiche non sono stabili nel tempo,
nemmeno per le lingue native, e nemmeno dopo che si è completata quella fase sicuramente
cruciale per l’acquisizione che è quella dei primi anni di vita.
Inoltre, l’acquisizione di nuove lingue, specie se ad alti livelli di competenza e con alta
intensità d’uso, può avere ripercussioni, anche negative, sulla competenza delle lingue già
conosciute.

N.B. questo non significa però che l’incremento di competenze in una lingua causi
direttamente un indebolimento di competenze nelle altre lingue. La causa dei fenomeni di
limitato apprendimento o di erosione delle competenze non è direttamente l’accresciuta
competenza in più lingue, ma l’uso dominante di una o di più altre lingue, che porta con sé
come conseguenza la riduzione dei margini di impegno di altre.

Si può essere parlanti nativi di più lingue? Bilinguismo e acquisizione di L2

In riferimento ad una popolazione, ovvero con plurilinguismo comunitario o sociale, si


indica il fatto che una percentuale significativa della popolazione che risiede in una certa area
è caratterizzata dalla conoscenza ed un uso diffuso di più lingue.
Es: Belgio o la Finlandia sono paesi bilingui, Trentino Alto Adige è una regione bilingue.

N.B. con plurilinguismo comunitario non si fa riferimento necessariamente al fatto che ogni
individuo della comunità possieda e usi le diverse lingue, ma al fatto che diverse lingue sono
ampiamente rappresentate ed usate nel territorio.
Es: situazione di diffusa dialettofonia in Italia e, al di fuori dell’Europa, nel continente africano
e asiatico.

Plurilinguismo individuale→ condizione che riguarda il singolo individuo, a prescindere


dalla situazione che caratterizza la comunità che lo circonda.
Il termine può essere usato con diversi valori, più o meno specifici. In senso ristretto, si può
parlare di plurilinguismo in riferimento alle sole lingue native di un individuo→ un individuo si
definisce bilingue se ha acquisito due lingue fin dall’infanzia nella socializzazione primaria*:
condizione perché questo accada è che i genitori o le persone che hanno più frequentemente
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e a lungo accudito il bambino nella sua prima infanzia abbiano usato abitualmente con lui più
lingue.

Per parlare di acquisizione bilingue sono necessarie le due condizioni definitorie di lingue
native:
- esposizione fin dall'età infantile
- Nella socializzazione primaria

Si parla invece di acquisizione di seconda lingua in età infantile per l’acquisizione che
scaturisce da un’esposizione precoce ad una lingua al di fuori del contesto di socializzazione
primaria, ad esempio a seguito di programmi di introduzione precoce di una seconda lingua
nelle scuole materne o asili d’infanzia.

*Si adottano ulteriori caratterizzazioni per descrivere il rapporto esistente fra le lingue materne
in termini di competenza ed uso:
bilinguismo bilanciato→ caso di un parlante che sia ugualmente competente in entrambe le
lingue materne e le usi entrambi in una gamma diversificata di situazioni d’uso;
Dominanza di una delle due lingue→ il rapporto fra le due è sbilanciato in termini di
frequenza d’uso, fluenza o competenza.
La condizione di bilinguismo perfettamente bilanciato è piuttosto rara da riscontrare perché
per raggiungere questa condizione un individuo dovrebbe avere la possibilità di usare
entrambe le lingue con analoga frequenza nei diversi domini d’uso; nella realtà effettiva delle
situazioni è più frequente che le diverse lingue native si ritaglino nel tempo ciascuna uno
spazio funzionale, solo parzialmente sovrapposto con l’altra, determinando così una
competenza e un uso disuguale.

Quindi si può essere parlanti nativi di più lingue e ciò non è raro se osserviamo la
popolazione umana nel suo complesso, anche se la condizione di bilinguismo perfettamente
bilanciato è piuttosto rara.
È oggetto di discussione invece e di molte ricerche la questione se un parlante bilingue nativo
sia da considerarsi nativo alla stessa stregua di un parlante nativo monolingue→ etichetta di
semi-nativi (o bi-nativi) riservata ai parlanti nativi bilingui, alludendo così al fatto che questi
NON vadano considerati alla stessa stregua dei parlanti monolingui (Berruto).

Secondo alcuni studiosi questo genere di precisazioni risente di quello che è stato chiamato
un “pregiudizio monolingue” → tenderebbe a considerare come anomalo ed eccezionale il
caso del parlante plurilingue e normale quello del parlante monolingue, in un certo senso
ignorando o forzando quella che pare essere l’effettiva normalità plurilingue fra le comunità
linguistiche.
Diversità fra parlanti nativi bilingui e monolingui della stessa lingua si sono osservate a più
livelli:
- a livello di competenza
- Nel grado di accettabilità che tali parlanti attribuiscono a specifiche strutture
linguistiche
- A livello di uso
- Nelle strutture usate preferenzialmente
- A livello neurolinguistico
- Nella risposta celebrale a specifici compiti linguistici

Quindi, si può essere parlanti nativi di più lingue? Si può essere parlanti nativi di più lingue,
ma non nel senso di essere contemporaneamente un parlante nativo di una lingua A e un
parlante nativo di una lingua B; si può essere, invece, un parlante nativo delle lingue A e B,
cioè appunto un parlante bilingue (o semi-nativo, nella definizione di Berruto).

Un'impostazione del genere sosterrebbe l'idea che sussiste una differenza radicale fra
l’apprendimento linguistico in età infantile e in età successiva: in un parlante che apprende
più lingue in età infantile le competenze non si organizzano allo stesso modo che in un
parlante che apprende le stesse lingue in età diverse. Non tutti gli studiosi però sono
d’accordo sul fatto che le differenze osservate fra parlanti bilingui o monolingui nativi e
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parlanti di seconde lingue vadano interpretate come conseguenze di una specificità


dell'apprendimento in età infantile.
Secondo alcuni, le specificità del comportamento linguistico e neurolinguistico dei nativi
sarebbero dovute all’elevata competenza raggiunta, indipendentemente dal momento o dal
percorso di acquisizione.

In riferimento a questo dibattito, Cook ha proposto la nozione di multi-competenza, allo
scopo di identificare la specificità della competenza del parlante plurilingue, che possiede e
usa più sistemi linguistici, a qualsiasi livello di competenza e in qualunque momento appresi.
In questo modo si eviterebbe l’errore di equiparare la competenza del parlante plurilingue alla
somma delle competenze di più parlanti monolingui (monolingual fallacy).

Si può non essere parlanti nativi di nessuna lingua?


Si tratta di una situazione estremamente rara; situazione in cui un individuo nella
socializzazione primaria non sia stato esposto ad alcuna lingua naturale.
Questo caso è riferibile soltanto ad individui che siano vissuti nell’infanzia in condizioni di
estremo abbandono ed isolamento→ condizione di deprivazione.
In questi casi, la tardiva esposizione ad una lingua ha dati esiti di acquisizione molto limitati:
in questo senso, le lingue tardivamente acquisite da questi individui non sono comparabili a
lingue native acquisite nell’infanzia.
Gli individui in queste situazioni sono un caso molto diverso e considerato “a parte”: non sono
comparabili né ai parlanti nativi né ai parlanti di seconde lingue.
Se si perde la “finestra di opportunità” costituita dai primi anni di vita per l’acquisizione di una
o più lingue, tutto il processo acquisizionale ne risulta deviato o arrestato → l’acquisizione in
età infantile sembra avere caratteristiche proprie e queste sono dovute almeno in parte a
specificità dell’età infantile non replicabili in seguito.

Esiste però un secondo modo per rispondere alla domanda→ parlante semilingue usata in
riferimento a parlanti bilingui con limitate competenze in entrambe le lingue possedute.
Queste competenze linguistiche sono legate ad abilità particolari:
● CALP (cognitive academic language proficiency) nella terminologia di Cummins→
capacità di usare la lingua come modo astratto e decontestualizzato;
● BICS (basic interpersonal communicative skills) → competenze basilari che si
acquisiscono fin dalla socializzazione primaria

Un parlante semilingue è quindi un parlante che conosce una o più lingue, ma non possiede
competenze CALP in nessuna delle lingue (cioè non sa usare le altre lingue per attività
cognitive e comunicative diverse dalla comunicazione interpersonale di base.

Il dibattito sui parlanti semilingui nasce in ambito di bilinguismo, relativamente alla
discussione sull’opportunità di scolarizzare un bambino in una lingua diversa da quella nativa.
Es: nelle seconde generazioni di migranti c’è il rischio che la mancata scolarizzazione in
lingua materna impedisca un adeguato sviluppo della lingua materna stessa, mentre l’avvio
della scolarizzazione in una seconda lingua non sufficientemente padroneggiata produrrebbe
una situazione di gap linguistico difficile da colmare.

Conclusioni…
La ricerca sull’acquisizione di seconde lingue si pone come domanda di ricerca di base quale
sia “l’effetto di sistemi (già) stabilizzati su sistemi in corso di sviluppo” (Kellerman & Perdue).

Questa definizione porta ad una distinzione tra acquisizione e possesso di una lingua, o
meglio alla diversa prospettiva legata all’osservare un sistema linguistico in una prospettiva
evolutiva, nel suo sviluppo dinamico, rispetto all’osservazione del sistema nella sua fase di
relativa stabilità al termine del processo acquisizionale.
Un apprendente di una seconda lingua è prima di tutto, in ogni sua fase del percorso, un
parlante di quella lingua.

Porta a due conclusioni importanti sul piano metodologico→
1. L'evoluzione del sistema linguistico di un apprendente è ricostruibile, ma ciò che
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dell'apprendente è effettivamente osservabile è il suo comportamento linguistico in


ogni fase del percorso acquisizionale.
Il comportamento dell’apprendente è quindi la prima fonte di osservazione dello studioso che
si interessi di seconde lingue.
2. l’obiettivo della ricerca acquisizionale è individuare le caratteristiche di sistematicità del
comportamento di un parlante di seconda lingua che, in quanto tale, è parlante di una
sua propria varietà di lingua.

Un parlante di seconda lingua non va considerato, in questa prospettiva (Klein & Perdue)
come un parlante imperfetto della varietà target, quanto piuttosto come un parlante
perfettamente competente di una varietà di apprendimento: si riporta l’attenzione sull'unicità e
specificità delle varietà acquisizionali come vere e proprie varietà di lingua, allo stesso titolo
delle varietà stabili dei parlanti pienamente competenti.

VERSO UNA NUOVA LINGUA - CAP. 2

DESCRIVERE IL PRODOTTO: COME È FATTA LA LINGUA DI CHI IMPARA UNA


SECONDA LINGUA

Descrivere una seconda lingua

La competenza del parlante nativo come tertium comparationis


La linguistica acquisizionale si occupa della relazione esistente tra apprendente e parlante
competente, e fra parlante di seconda lingua e parlante nativo. In molti casi i ricercatori
prendono il parlante nativo come modello di riferimento.

Ad esempio in questa immagine vediamo il comportamento linguistico di Tughiascin, una


donna cinese residente in Italia, che sottoutilizza le subordinate e sovrautilizza il pronome
soggetto io.
In questo caso il confronto diretto con un parlante nativo è implicito ma sistematico, poiché
tutti i comportamenti che la donna "non" manifesta sono descritti in comparazione a quelli che
userebbe un parlante nativo.
La nozione di errore richiede quindi una comparazione con il comportamento di un parlante
nativo competente. Un apprendente commette un errore quando usa una struttura che un
parlante nativo competente, nelle stesse circostanze, non userebbe mai. Potremmo definire
errore un comportamento con frequenza zero nel parlante nativo.

La ricerca di sistematicità: l’analisi degli errori


Corder fa una distinzione importante:

Errors (errori) → errori sistematici


Mistakes (sbagli) → errori occasionali

L’errore sistematico è un comportamento deviante che si manifesta con regolarità nel


comportamento dell’apprendente. Ad esempio l’omissione dei morfemi funzionali, articoli,
preposizioni, ausiliari, clitici e copula hanno come scopo una semplificazione della lingua.
Inoltre, la nozione di semplificazione si usa per definire l'esito di una strategia che
l'apprendente mette in atto, e non necessariamente la strategia in sé.
Con la semplificazione l’apprendente non sta semplificando la grammatica della lingua,
poiché si può semplificare solo ciò che già si conosce.
La nozione di semplificazione può però in alcuni casi avere anche un valore esplicativo, cioè
risalta il processo di decodifica dell'input, che può portare a non rilevare forme di scarsa
salienza o trasparenza. Quando una ragazza di madrelingua araba parla di sia mamma
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dicendo mia mamma, e parla della mamma della sua amica Ilhem dicendo mia mamma di
Ilhem, ci rivela che ha probabilmente commesso un errore di decodifica dell'input: forse
perché la locuzione "mia mamma" è molto frequente in italiano e l'apprendente non ha ancora
acquisito il repertorio delle forme possessive, interpretando "mia mamma" come un unico
lessema. L'apprendente ha semplificato l'input nella decodifica, non riconoscendone la
complessità morfologica.

Un altro fenomeno di semplificazione è la riduzione di opposizioni funzionali legate ad


alternanza di forme, ovvero un apprendente può usare forme diverse della stessa parola
senza attribuire loro le differenze funzionali che invece possiedono nella varietà target. Anche
questo fenomeno, come l'omissione, coinvolge spesso elementi funzionali di scarsa salienza
fonica, che essendo difficili da percepire nell'input possono essere anche difficili da
distinguere: ad es. le forme del singolare e plurale, femminile e maschile… che si
differenziano solo per la vocale finale.
Ad esempio Chai, un ragazzo cinese, confonde le forme del singolare e plurale, maschile e
femminile (e produce tigre, tigro, tigra).

La semplificazione funzionale può anche interessare forme irregolari come c’è che non viene
flesso per numero (ci sono) ma viene trattato come morfema unico, usato erroneamente con
nomi singolari e plurali.

Associato al fenomeno della semplificazione è il fenomeno della sovraestensione (es.


chiamare "cane" qualsiasi animale a quattro zampe), che si verifica quando una forma del
paradigma (le forme fondamentali di un verbo) è usata anche per coprire gli spazi funzionali
di altre forme. Le motivazioni più frequenti sono:
- Frequenza d’uso
- Innesco (priming) -> la forma di seconda persona è innescata dalla forma usata
dall’interlocutore con l’apprendente
- Basicità strutturale
- Salienza -> importanza

Ad esempio, la sovraestensione della forma di terza persona singolare è frequente in italiano


Si può verificare anche fra morfemi semi-liberi, ad esempio come funge in alcuni apprendenti
da subordinatore non specifico e per un'ampia gamma di rapporti di subordinazione.
La preposizione per è spesso sovraestesa sull'uso di A o DI.

Una seconda tipologia di errori sistematici è costituita dai fenomeni di regolarizzazione, o di


formazione analogica, ovvero quando l’apprendente conia una forma non esistente nella
varietà target che, per un processo di analogia, può essere ricondotta ad un processo di
formazione o a un uso proprio della varietà target. Per esempio l’apprendente usa una forma
errata costruita per sovraestensione di una regola della varietà target a forme irregolari. (ex:
vadato per andato, dicite per dite). → irregolari, ma prodotte a partire da una forma nota
attraverso un meccanismo di formazione regolare esistente nella varietà target.
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Oppure l’apprendente può produrre una forma prendendo come modello il paradigma più
frequente, anziché uno meno frequente a cui la parola appartiene. (ex: venato per venuto →
è un errore di regolarizzazione per cui al modello meno frequente della flessione della classe
di verbi in -ere (creduto, venuto) si sostituisce il modello flessivo della più frequente classe dei
verbi in -are (parlato, mangiato).

Le formazioni analogiche costituiscono un fenomeno significativo nel comportamento di un


apprendente, perché l’errata sovraestensione è indizio dell’interiorizzazione di una regola da
parte dell’apprendente. Le forme vadato, diciuto, capisciato sono un chiaro indizio del fatto
che l’apprendente ha interiorizzato la forma del participio italiano.
La ricerca di regolarità può spingere gli apprendenti a creare nuove forme e strutture che non
hanno riscontro nella lingua target. Ad esempio per fare riferimento al passato lui era ha una
macchina fotografica.

NB: non è sempre possibile individuare la causa di un errore, ad esempio un caso di dubbia
interpretazione può essere quello della forma fato/fatto, che può essere interpretata come:
- Semplificazione funzionale sul piano fonetico
- Regolarizzazione sulla base del modello di formazione regolare del participio: fa ->
fato, come parla -> parlato.

QUINDI l’analisi degli errori permette di calibrare meglio l’intervento didattico, date le ipotesi
che l’apprendente manifesta di aver elaborato attraverso il proprio comportamento.

Problemi nell’identificazione e descrizione degli errori

Comparare la produzione linguistica di un non-nativo con il comportamento del nativo può


essere uno strumento prezioso, utile per individuare i comportamenti regolari degli
apprendenti.
Tuttavia, non è sempre semplice definire un errore poiché esso richiede una definizione dei
limiti entro cui una struttura è considerata non target, cioè non propria del sistema nativo.
Per esempio un’apprendente anglofona che studia italiano produce “Pensavo che Genova
era una città grande”. Ella sta commettendo un errore rispetto alla norma dell’italiano
standard, ma non rispetto al sistema linguistico dell’italiano in quanto anche alcuni parlanti
nativi dicono questa frase, poiché l'uso dell'indicativo in queste frasi dipendenti è diffuso in
alcune varietà di italiano.
Possono esserci discordanze tra parlanti nativi riguardo la varietà standard del sistema.

NB: Non bisogna fare confusione tra la distinzione dell’errore e la sua esplicazione, poiché la
descrizione riguarda la comparazione tra parlante nativo e apprendente, la spiegazione
riguarda invece il comportamento dell’apprendente.
A parte la decisione riguardo la devianza (presente o assente) nelle produzioni del non-
nativo, la natura della devianza stessa può risultare difficile da descrivere con precisione.

Nella frase "La ragazza deto fare passeggiare" è indecidibile, ad esempio, il target cui essa
punta: la ragazza ha detto di fare una passeggiata? O la ragazza ha detto che voleva
fare/avrebbe fatto una passeggiata? L'errore del non-nativo è ovviamente diverso in base alla
forma target a cui aspirava.
Anche quando il target è univoco, cioè non ci sono dubbi riguardo quale sia la forma corretta,
la natura dell'errore può restare indeterminata:

Mani belli; risposti semplici; sedie bianchi. → target: mani belle; risposte semplici; sedie
bianche.

Ma c'è un dubbio riguardo la natura dell'errore: è un errore di livello lessicale (errata


attribuzione di genere ai nomi: l'apprendente crede che mano sia maschile), morfologico
(errata o mancata applicazione delle regole di accordo nome-aggettivo) o fonetico (errore nel
riconoscimento del diverso grado di apertura vocalica fra e ed i.
Il solo confronto con le forme target, anche quando queste siano chiaramente identificabili,
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non è sufficiente a descrivere adeguatamente il comportamento dell'apprendente.

Critiche all’approccio comparativo: comparative fallacy

La descrizione del comportamento dell’apprendente basata sulla comparazione con il


parlante nativo è stata criticata perché metterebbe in luce due problemi:

Nozione critica di Comparative fallacy (fallacia comparativa) → è l'errore di studiare il


carattere sistematico di una lingua confrontandola con un'altra.
La comparative fallacy mette in evidenza la distorsione che si verifica nella descrizione e
successiva interpretazione dei dati raccolti riguardo i comportamenti dell'apprendente; tale
distorsione può essere provocata dall'assumere come punto di vista osservativo la
produzione del parlante nativo.
Ad es., un'indagine ha dimostrato che i parlanti non-nativi utilizzano la 3° persona singolare
dei verbi in modo corretto, più di ogni altra persona (errori frequenti per 1° e 2° persona). A
prima vista, si può concludere che gli apprendenti abbiano una competenza più elevata nella
realizzazione della 3 persona più che le altre. Ma se si analizzano in modo più profondo i
risultati, vediamo che questa descrizione non illustra accuratamente il fenomeno, dato che
queste persone sovraestendono spesso la terza persona singolare sulle altre (beve per
bevono, entra per entrano). Si arriva così a due conclusioni diverse: 1. Gli errori di flessione
sono frequenti, tranne che nella 3° persona singolare, oppure 2. Gli errori di flessione
riguardano soprattutto la 3° persona singolare.
Solo una descrizione complessiva, che non guardi solo alle forme errate ma consideri nella
sua interezza il sistema delle forme verbali usate dall'apprendente ci permette di
comprenderlo bene.
Molte forme prodotte correttamente vengono in realtà usate in modo errato.

Fallacia = l’errore viene considerato come una strategia e non come il risultato di una
strategia, esso quindi rischia di essere reificato sul piano cognitivo e trattato come se fosse
un oggetto mentale, causa e spiegazione del comportamento dell’apprendente, mentre
l’errore è solamente il risultato di una comparazione tra il comportamento dell’apprendente e
del parlante nativo.
Un concetto analogo è quello della closeness fallacy, ovvero il comportamento
dell’apprendente deve essere osservato sistematicamente senza preoccupazioni relative al
corrispondente comportamento del parlante nativo. I sostenitori di questa teoria non credono
che il comportamento degli apprendenti di seconde lingue possa essere spiegato sulla base
di una comparazione (del grado di somiglianza) con il comportamento dei parlanti nativi.
Inoltre, se l'obiettivo della ricerca acquisizionale è ricostruire la sistematicità del sistema
linguistico dell'apprendente (e solo dopo la misurazione della discrepanza rispetto alla
competenza nativa), non c'è bisogno di preoccuparsi sin dal principio di paragonare i due
comportamenti.

Monolingual fallacy → la fallacia consiste nel considerare il parlante nativo monolingue come
punto di riferimento e normale esito del percorso di formazione linguistica di un individuo. La
tradizione porterebbe a considerare il parlante plurilingue come una somma di monolingui che
convivono nello stesso individuo, in modo più o meno riuscito (plurilinguismo bilanciato/ non
bilanciato). Grosjean contesta questa teoria poiché sostiene che i parlanti plurilingui hanno
comportamenti diversi rispetto ai monolingui, in termini di uso (i plurilingui possono
specializzare diversi codici per diversi usi, mentre i monolingue sfruttano l'unico codice
posseduto in ogni contesto comunicativo) e di competenza (le competenze nelle varie lingue
possono essere sbilanciate). Non è corretto, quindi, confrontare la competenza di un parlante
plurilingue con quella di un monolingue (rispetto alla stessa lingua), poiché il primo (appunto
perché conosce più lingue) manifesta comportamenti diversi da quelli tipici dei parlanti
monolingui.

NB: la stessa posizione critica è assunta da Cook, il quale conia il termine multicompetence.
Cook non crede che l'apprendimento di seconde lingue e la competenza in una seconda
lingua siano un caso particolare e motivo di svantaggio rispetto al caso normale
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dell'apprendimento della prima lingua. Secondo lui i parlanti plurilingui sono così diffusi
all’interno della comunità che i monolingui dovrebbero essere considerati un caso particolare.

Sulla nozione di errore si basano anche i learner corpora, corpus di dati di apprendenti di L2
annotati/catalogati per tipo di errore.

La ricerca di sistematicità: varietà e sequenze di apprendimento

In una prospettiva che accolga la comparative fallacy, la sistematicità può essere descritta
evitando la comparazione col sistema target, puntando invece alla costruzione di un vero e
proprio sistema linguistico soggiacente le produzioni degli apprendenti.
Nemser sostiene che si può notare la sistematicità del comportamento degli apprendenti su
vari livelli:

Sul piano Individuale → in un dato momento del suo percorso un apprendente manifesta
regolarità nel proprio comportamento linguistico;
Sul piano Interindividuale → le regolarità si manifestano tramite il comportamento di
apprendenti diversi della stessa lingua
Sul piano evolutivo → la regolarità si manifesta nel passaggio da uno stadio ad un altro più
avanzato di competenza linguistica di un apprendente.

NB: i sistemi linguistici degli apprendenti, specifici e distanti dalla lingua target sono chiamati
in modi diversi (interlingua, varietà idiosincratica) → le diverse denominazioni però pongono
tutte l'accento su alcune proprietà riconosciute centrali: 1. Sistematicità (risponde a criteri di
ordine) 2. Specificità 3. Transitorietà dei sistemi linguistici degli apprendenti.

Ad esempio nelle varietà iniziali di italiano L2, è frequente che i sintagmi nominali siano privi
di determinanti (ad es. gli articoli), che forme verbali lessicalmente vuote come ausiliari e
copula siano assenti, e che venga neutralizzato il valore distintivo delle vocali finali delle
parole. Tuti questi tratti possono essere ricondotti a una mancanza generale della morfologia
funzionale. Sempre riguardo la morfologia, il sistema verbale è spesso ridotto a due classi
che trasmettono un’unica opposizione funzionale, ovvero l'imperfettivo (lava, prende) e il
perfettivo (lavato, prendeto). Le strutture dell’interlingua possono, come in questo caso, non
coincidere con quelle della varietà target. Quindi le regole descrivono un sistema autonomo
che non si identifica con l’input della varietà target anche se attinge da esso.

L’interlingua può divergere rispetto al target anche sul piano sintattico, ad esempio gli
apprendenti di italiano come L2 all’inizio producono frasi senza verbo, i cui costituenti si
dispongono secondo un ordine topic-comment (componente data-componente nuova).
Queste sono frasi solo parzialmente accettate dalla grammatica italiana (lui poverino
soddisfazioni zero, oggi niente giornali).
Le varietà di apprendimento mostrano anche una sistematicità di evoluzione, relativa alla
transizione da una tappa all'altra del percorso di apprendimento. Questa sistematicità può
essere analizzata attraverso:
Un’osservazione longitudinale → prolungata su un arco di tempo necessario a vederne
l’evoluzione
Comparazione trasversale → comparazione di gruppi di diverso livello (in questo secondo
caso il percorso evolutivo non viene osservato direttamente ma viene inferito).

NB: Se le tappe di evoluzione linguistica sembrano regolari per tutti gli apprendenti della
stessa L2, non si può dire che anche la velocità di apprendimento sia regolare. Secondo
l'ipotesi di apprendibilità/insegnabilità di Pienemann l’apprendente può apprendere solo ciò
che, sulla base dello stato di sviluppo della sua interlingua, è pronto ad apprendere.

La ricerca di sistematicità: stadi di apprendimento


La ricerca sulle interlingue tenta di spiegare i vari stadi di apprendimento affrontati da un
apprendente di L2. Ad esempio, come si mettono in relazione le tappe di sviluppo della
morfologia verbale con quelle della morfologia nominale? Esiste una corrispondenza fra
l'ingresso delle forme della negazione e lo sviluppo della sintassi della frase?
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Quando si individuano sistematicità a questo livello si parla di stadi di apprendimento= dei


percorsi evolutivi in cui l'apprendente sviluppa contemporaneamente diversi aspetti linguistici.
La suddivisione degli stadi di apprendimento è generalmente regolata da una teoria o da un
modello descrittivo di fondo.
Per l’italiano L2 la ricerca è stata fatta nell’ambito del modello funzionalista della basic variety
(Klein & Perdue) e del modello della processabilità di Pienemann. Il modello funzionalista
della basic variety ha proposto 3 stadi delle varietà di apprendimento (fase pre-basica, basica
e post-basica), ognuno caratterizzato da principi organizzativi che portano ad una
riorganizzazione complessiva del sistema ogni volta che si migliora la propria competenza.

Le varietà dello stadio pre-basico poggiano su principi pragmatici indipendenti dalla


grammatica di lingue specifiche, quindi sono molto distanti dalle varietà target. Invece, le
varietà dello stadio post-basico poggiano su principi organizzativi di livello diverso
(pragmatico + semantico + morfosintattico) che le rendono più vicine alle varietà target.
L’ipotesi su cui si basa questo modello afferma che le varietà di apprendimento partono da
principi organizzativi comuni e si differenziano progressivamente, avvicinandosi alle
caratteristiche specifiche della lingua target che si sta apprendendo.

NB: Idealmente lo stadio finale del percorso di apprendimento coincide con la lingua target,
se ciò non avviene si parla di fossilizzazione e di varietà fossilizzate, ovvero varietà diverse
da quella target che hanno perso il loro carattere transitorio per diventare stabilizzate, ma
tuutavia differenti dalle varietà target proprie dei parlanti nativi.

Variabilità e instabilità
Le tappe dello sviluppo linguistico sono sì sistematiche, ma anche variabili → cioè le regole
su cui si basa il sistema interlinguistico dell'apprendente possono presentare numerose
eccezioni e variabili. La variazione è presente a più livelli:
● Intraindividuale → una regola non vale sempre nelle produzioni di un singolo
apprendente;
● Interindividuale → una regola individuata nel comportamento di un apprendente non
vale per un altro.

In entrambi i casi è utile osservare se la variazione può essere a sua volta ricondotta a
regole (variabilità condizionata) o se si tratta di variazione libera, non riconducibile a regole
(instabilità).

2.1.9
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Variabilità e instabilità nel percorso evolutivo


A livello intraindividuale (del singolo), la variazione delle varietà di apprendimento è legata
all’asse temporale = le varietà di apprendimento individuali evolvono nel tempo per
definizione (altrimenti si chiamerebbero varietà fossilizzate).
La variazione intraindividuale però può occorrere anche all’interno di una stessa tappa del
percorso di apprendimento (ex. diverse realizzazioni della parola tigre tigre, tigro, tigra). Un
apprendente si serve quindi a volte di una forma, a volte dell’altra.
Per descrivere questa variazione è stato proposto l’uso di regole variabili [variazioni
intraindividuali che avvengono nella stessa tappa del percorso di apprendimento] ovvero
quando alla forma “target” (forma corretta) corrispondono varie realizzazioni alternative in L2.
Per esempio le rappresentazioni per regole di riscrittura descrivono il fatto che una parola
come “scienze” (target) può essere realizzata come [‘sense oppure 'sentze oppure 'tzentze].
Esiste quindi una variabilità interna alla singola varietà, ovvero in ogni varietà coesistono più
forme alternative.
Se si comparano le diverse varietà di apprendimento in prospettiva evolutiva, si osserva
un’ulteriore dimensione della variazione, ovvero un progressivo avvicinamento alla varietà
target, il quale avviene soprattutto grazie alla scomparsa delle strutture devianti (forme non
ammesse nella varietà target). Esistono quindi delle tappe di apprendimento, che sono più o
meno vicine alla varietà target.
La domanda è: come possiamo dire che un apprendente si trova ad una certa tappa del
percorso di apprendimento data la variabilità interna del loro comportamento? E Cosa
intendiamo quando diciamo che l'apprendente ha acquisito una certa struttura? In genere, si
distinguono 2 modi di intendere la presenza e l'uso di una struttura: ovvero il 1) momento
della comparsa (momento in cui una struttura compare nella varietà ed inizia ad essere
usata in modo produttivo ed autonomo) e il 2) momento della padronanza (momento in cui
essa è realizzata con regolarità ed accuratezza in determinati contesti).
La descrizione di un percorso di apprendimento dal punto di vista della comparsa o della
padronanza delle strutture può portare a 2 esiti divergenti: alcune forme possono comparire
precocemente, ma la loro padronanza richiede tempi lunghi ed esse possono sovrapporsi alla
comparsa di altre forme. Quindi le tappe della comparsa di una struttura e quelle della
padronanza sono due cose distinte che possono sovrapporsi.
Le fasi di consolidamento che portano dalla comparsa di una struttura alla sua
padronanza possono essere governate da regole (ex. In italiano L2 la posizione postverbale
degli avverbi di fase come “ancora” e “già” compare prima per le forme vuote del verbo
ovvero copule e ausiliari, [è già tardi / è già partito] e poi in quelle piene [parte già]).
Non tutti gli aspetti della variazione sono riconducibili a regole. Ad esempio, per la flessione di
genere si individuano tendenze ricorrenti, come la sovraestensione delle desinenze del
maschile singolare a tutte le altre forme + l'accordo articolo-nome tende a stabilizzarsi prima
dell'accordo nome-aggettivo. Tuttavia, realizzazioni alternative dello stesso item convivono
fino allo stabilizzarsi definitivo delle regole target, senza che sia possibile prevedere l'esito
della forma in ogni singolo contesto → in questo caso si parla di instabilità, ovvero di
variazione non governata da regole. Essa pone sia un problema descrittivo che interpretativo
( come si spiega l’esistenza di regole che manifestano instabilità di realizzazione? )
Due sono le principali interpretazioni del fenomeno:
1) le varietà di apprendimento possiedono regole e categorie sottospecificate, cioè regole il
cui contesto e modalità d'uso non è specificato, per cui consentono un'alternanza non
governata da regole. (Ad esempio le varietà iniziali di italiano L2 prevederebbero una
sottospecificazione per la terminazione delle forme nominali, per cui vengono realizzate
indifferentemente in vario modo = tigre, tigro, tigra.)
2) l’instabilità è vista come esito di strategie tipiche della fase iniziale di ogni tappa del
percorso di apprendimento in cui avviene una sperimentazione delle strutture disponibili
senza che il loro uso sia guidato da regole. Le regole si fisserebbero progressivamente. In
questa prospettiva l'instabilità sarebbe una fase ineliminabile del processo di apprendimento.

2.1.10
Variabilità nel confronto fra gruppi di apprendenti
I parametri che influiscono maggiormente sulla variazione interindividuale sono:
1. Conoscenza pregressa di altre 2Età di prima esposizione all’input
lingue Condizioni di apprendimento
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Al ruolo di questi parametri saranno dedicati i cap. 3 e 4

1. Conoscenza pregressa di altre lingue;


2. Età di prima esposizione all'input;
3. Condizioni in cui si è svolto l'apprendimento.

Ci sono numerose ipotesi sull'effetto di questi diversi fattori sull'esito, velocità e la direzione
dei percorsi di apprendimento.

2 studi :
Studio di Caruana (2003)
Riguarda la variabile delle condizioni di apprendimento, che è una delle più rilevanti. Studio
dedicato all’apprendimento dell’italiano da parte di un gruppo di madrelingua maltesi.
Esso ha misurato:
- competenza produttiva negli ambiti della morfo-sintattica
- frequenza del ricorso alla commutazione di codice fra italiano e maltese/inglese

I risultati sono stati confrontati con 2 parametri extralinguistici:


- modalità di apprendimento dell’italiano (spontanea o mista) = non sono state rilevate
differenze significative nel comportamento linguistico al variare della modalità.

- intensità e precocità dell’esposizione all’input televisivo = gli apprendenti esposti in età


precoce per più di 3 ore al giorno ad input televisivo hanno migliore competenza
morfo-sintattica e fanno meno ricorso alla commutazione di codice.

Studio di Vietti (2005)


Studio sugli esiti dell’apprendimento dell’italiano in correlazione con il grado d’integrazione
ed il peso dell'interferenza: maggiore è l’indice di integrazione di un immigrato nella
comunità accogliente, minore è il peso dell’interferenza.
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Il parametro extralinguistico è stato misurato con un indice composto di fattori pertinenti al


grado di integrazione come: tipologia abitativa e professionale, composizione della rete
sociale, forza dei legami con la comunità di origine in patria.

Conclusioni:
Abbiamo vosto che la variazione è una dimensione costitutiva e vistosa delle varietà di
apprendimento, non ancora interamente compresa e studiata.

Esistono limiti alla possibilità di variazione? Le ipotesi a riguardo si dividono in 2


orientamenti:
1. I limiti alla possibilità di variazione delle varietà di apprendimento sarebbero gli stessi
che limitano la variazione delle varietà target e delle lingue native: le varietà di
apprendimento, in quanto lingue naturali, ne condividerebbero le stesse potenzialità e
limiti.
2. Le varietà di apprendimento (interlingue) si differenziano dalle varietà target e dalle
lingue native a causa della diversità dei meccanismi acquisizionali in gioco.

2.2 che cosa significa “sapere una lingua”


dalla descrizione del comportamento alla rappresentazione delle competenze

Lo scopo primario della descrizione del comportamento dell’apprendente è ricavare


informazioni utili per poter ricostruire le sue competenze in una certa lingua, dato che queste
ultime non sono direttamente osservabili. Il comportamento dell'apprendente (verbale e
non verbale) è però un indicatore osservabile che dipende dalle sue conoscenze (cosa sa) e
competenze (cosa sa fare). È importante ricordare che conoscenze e competenze NON
COINCIDONO.
Il dibattito su come le competenze vadano descritte è uno dei più ampi e spinosi della
linguistica acquisizionale.

“competenza” ed “esecuzione”
La dicotomia fra competenza (competence= conoscenza ideale di un parlante della propria
lingua) ed esecuzione (performance), introdotta nel 1965 da Noam Chomsky, è la prima che
consideriamo. Egli distingue l’oggetto d’interesse proprio della teoria linguistica (competenza)
dall’effettiva realizzazione di performance linguistiche (esecuzione) che possono essere
influenzate dalla competenza, ma anche da fattori come memoria ed attenzione.
Questa definizione è stata criticata perché non tratta gli aspetti di variazione intra- e
interindividuale, in quanto la competenza da lui indicata sarebbe quella di un “parlante-
ascoltatore ideale” che conosce una lingua “perfettamente” e che si suppone viva in una
comunità linguistica “completamente omogenea”. → visione estremamente idealizzata di
competenza.
Ciò che interessa a Chomsky sono proprio gli aspetti di invarianza delle lingue poiché sono i
soli a poter illuminare lo studioso sulla natura della facoltà di linguaggio, posseduta in modo
uniforme da tutti gli esseri umani.
Questo obiettivo di studio delle invarianze delle lingue naturali ha portato studiosi a chiedersi
se le varietà di apprendimento di L2 possano considerarsi manifestazioni della facoltà di
linguaggio universale che si pensa agisca nell’acquisizione delle L1. → esistono
comportamenti di invarianza nel comportamento dei parlanti di L2? Coincidono con quelli
osservati per i parlanti L1?
Competenza per Chomsky → potenzialità vs. Esecuzione → realizzazione concreta di tale
potenzialità, in cui il comportamento osservabile può dare indizi più o meno precisi (dipende
da fattori tipo la memoria o l'attenzione che intervengono nel processing linguistico) sulla
competenza (che non è la semplice competenza linguistica).
La competenza linguistica è infatti intesa come uno stato cognitivo e insieme di conoscenze,
per lo più implicite, indipendenti e separate dalle procedure che intervengono nell’esecuzione
(= uso della lingua in contesti comunicativi concreti); una buona ricostruzione dello stato
cognitivo di un apprendente andrebbe tenuta distinta dalla mera descrizione del suo
comportamento, in quanto in determinate situazioni l’assenza di strutture complesse in
singole produzioni linguistiche non sarebbe indizio di un venir meno della competenza relativa
alle strutture stesse (ad es. Un apprendente che sta venendo valutato in classe evita il ricorso
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a strutture complesse anche se ne ha una certa competenza). Non diremmo che


l'apprendente perde e riacquista la sua competenza ma che, in determinate condizioni di
esecuzione, ad esempio quando ha scarsa possibilità di pianificazione, le procedure di
processing non riescono ad accedere ad una competenza posseduta.
QUINDI il ricercatore deve scegliere che cosa includere nella definizione di competenza e se
essa:
● Debba riferirsi ad un insieme di conoscenze, presenti ma non sempre accessibili
(visione generativista)
● Debba riferirsi ad un insieme di conoscenze, presenti e debba includere, e in che
misura, la capacità di accedervi e usarle.

"Le competenze sono esistenti solo se esplicitamente mostrate, oppure esistono anche se
implicite?"

Tecniche di osservazione delle competenze:

Se la competenza è intesa come possesso di conoscenze, indipendentemente dalle capacità


di ricorso a tali conoscenze nei diversi contesti comunicativi, essa andrà osservata in
comportamenti che minimizzano il ricorso al processing → processo mentale che ci permette
di comprendere lo stimolo comunicativo ed agire di conseguenza.
Per questo motivo, la principale tecnica di osservazione di competenze dei parlanti è quella
dei giudizi di accettabilità. In questo test il parlante è sottoposto alla lettura o ascolto di
strutture per valutarne l’accettabilità. Questo metodo permette di attingere direttamente alle
competenze del parlante, senza che siano offuscate da problemi di esecuzione. È pero da
dire che non si è sicuri che i giudizi di accettabilità riescano ad accedere alla pura
competenza implicita senza attivare quella esplicita.
Competenza esplicita= competenza depositata nel cervello a livello di subconscio e agisce
prima che entrino in gioco l'attività di riflessione esplicita o l'attività di processing, la quale
dirige l'esecuzione di un compito comunicativo.
Competenza esplicita= competenza per cui si sa di sapere, e si è coscienti di applicare ciò
che si sa nello svolgimento di attività o compiti comunicativi.

Tecniche di osservazione che si servono di marcatori fisiologici, come misure dell’attività


celebrale (ex. Risonanza magnetica / fMRI, PET) o misure indirette dell’attenzione (ex.
Osservazione di movimenti oculari/ eye tracking) .
Queste tecniche osservano reazioni involontarie a uno stimolo linguistico, ritenute quindi
manifestazione diretta della competenza depositata nel cervello, prima che entrino in gioco
attività di riflessione esplicita o di processing (anche se c’è da dire che già l’elaborazione di
uno stimolo è attività di processing). Il vantaggio è che ai parlanti non è richiesto un tipo di
risposta comportamentale in reazione allo stimolo.
Vi è la necessità di valutare i dati con cautela, soprattutto in merito ai tentativi di abbinamento
fra reazioni fisiologiche e regole linguistiche.
Un altro punto di discussione degli studiosi è il fatto che non è condivisa da tutti l’idea che le
“regole della grammatica” siano “regole della mente”, ovvero codificate in qualche forma nella
mente. Bensì sarebbero rappresentazioni schematiche prive di realtà psichica. Di
conseguenza esse non sono qualcosa che precede la formulazione di un messaggio
(l’esecuzione), MA il progressivo consolidarsi nella mente di associazioni ri correnti di forme.
Quindi la competenza non pre-esiste all’esecuzione.

Ulteriore punto di discussione riguarda se considerare competenza ed esecuzione due


componenti distinte e separate. Infatti, secondo alcuni studiosi, nella mente dell'apprendente
la competenza non pre-esisterebbe all'esecuzione ma semmai potrebbe essere considerata
conseguente ad essa, una derivazione dell'esecuzione. La competenza andrebbe quindi
considerata come il progressivo consolidarsi nella mente di associazioni statisticamente
ricorrenti di forme e funzioni.

competenza linguistica e comunicativa

Dibattito fra studiosi: quali competenze possono essere ricondotte alla competenza
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linguistica?
Per Chomsky la competenza linguistica include una rappresentazione delle regole della
grammatica universale, cioè una serie di principi sintattici astratti e relativamente indipendenti
dalle regole morfosintattiche specifiche delle singole lingue. Per la linguistica acquisizionale,
tale visione è limitata, in quanto per essa la competenza linguistica include la conoscenza
del sistema della lingua specifica, cioè le sue regole morfosintattiche e il suo repertorio di
forme lessicali e grammaticali.
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Indicatori di performance: accuratezza, complessità, fluenza
La performance può dare informazioni sulle capacità di gestire le competenze linguistiche. Vi
sono 3 ambiti di misura di performance: accuratezza, complessità e fluenza.
Accuratezza: è la misura che più rimanda alla nozione di errore. È il grado di conformità delle
realizzazioni dell’apprendente alle regole del sistema target. Una performance più è accurata,
meno manifesta errori, ovvero devianze che conducono a strutture inesistenti nella lingua
target. Non è detto che se vi è molta accuratezza vi sia più competenza linguistica intesa
come possesso del sistema. Anzi è noto che l’andamento dell’accuratezza segua un
andamento “ad U”. Questo perché l’apprendente, in una fase di sperimentazione di regole, ne
sovraestende l’ambito di applicazione. Per esempio con le forme di participio, inizialmente
l’apprendente produce correttamente sia forme regolari che irregolari; in un secondo
momento egli potrebbe compiere regolarizzazioni sbagliate (vadato, prenduto) che
abbasserebbero l’accuratezza della sua performance. Constata la formazione irregolare,
l’indice di accuratezza tornerebbe a salire.
Complessità: idea che determinate strutture linguistiche o compiti comunicativi siano
cognitivamente più complessi, ovvero richiedano più operazioni. Le cause della complessità
sono molte: una struttura può essere complessa da usare (perché bisogna compiere più
operazioni) o può essere difficile da apprendere (perché è rara nell’input o meno trasparente,
o richiede più requisiti). Essa è difficile da misurare direttamente e spesso è desunta da
proprietà della struttura linguistica (ex. N° di morfemi, la sua rarità o trasparenza ecc…). la
complessità è misurata attraverso scale che includono strutture linguistiche ordinate per
grado di complessità: più una performance è complessa, più vi saranno strutture di alto
grado. Le misure di complessità sono utili per bilanciare le misure di accuratezza: una
performance può essere molto accurata perché poco complessa o viceversa. Quindi
accuratezza e complessità sono da considerare insieme.
Fluenza: misura la facilità di accesso alla competenza linguistica. Può essere misurata con
vari indicatori come la frequenza e posizione delle pause, velocità del discorso, frequenza di
segnali di esitazione, di ripetizioni, di autocorrezioni). Mentre le prime 2 misure sono indicatori
indiretti della competenza che si riflette nella performance, la fluenza è anch’essa indicatore
indiretto ma della capacità di gestione delle conoscenze in un comportamento linguistico
concreto.
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Dell Hymes si oppone alla definizione di competenza linguistica di Chomsky, in quanto essa
non evidenzia l’esistenza di conoscenze di tipo socioculturali necessarie, accanto a quelle
linguistiche, ad usare appropriatamente la lingua + l’esistenza di competenze legate all’agire
linguistico, cioè al servirsi delle proprie conoscenze legate ad una lingua. Nel 1972 Hymes
propone una definizione di competenza comunicativa, intesa a superare la visione
chomskiana; essa dipende sia dalle conoscenze (knowledge), eventualmente implicite, che
un parlante ha su una lingua, sia dalla sua abilità (ability) di servirsi in modo appropriato,
efficiente ed efficace di tali conoscenze nella comunicazione.

Canale, nel 1983, include nella competenza comunicativa, una competenza grammaticale
(relativa al sistema di regole morfosintattiche e lessicali) + una competenza sociolinguistica
( capacità di interpretare e valutare gli enunciati sulla base della loro appropriatezza nei
diversi contesti sociolinguistici) + una competenza discorsiva (capacità di organizzare e
interpretare testi) + una competenza strategica (capacità di gestire le risorse comunicative,
verbali e non verbali, per gli scopi dello scambio comunicativo).

Lehmann, nel 2007, parla di competenza linguistica che include sia conoscenze che abilità e
distingue una competenza nel sistema linguistico + una pragmatica + una variazionale.
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Berruto, nel 2012, propone 11 indicatori di competenza linguistica, che consentono di


estendere la nozione ad altri ambiti oltre che quello della conoscenza delle regole
morfosintattiche. Vi è una gradazione di questi indicatori basata su una valutazione del rilievo
assunto a livello extralinguistico. In questa proposta sono incluse tanto conoscenze quanto
abilità.
Competenza ≠ proficiency

(NO.
Può essere Si può essere più o meno proficient in una
: certa abilità
possedut
TO SUM UP
1. Per Chom
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sk y, gli umani hanno


stessa competenza tutti la intesa facoltà di linguaggio
linguistica,
che guida l’apprendimento di una lingua nativa NO).

Le conoscenze e le abilità che vanno a costituire la competenza linguistica possono essere


possedute in misura e percentuali diverse da parlanti diversi. Uno stesso parlante può
mostrare livelli differenziati di competenza in ambiti diversi.
Competenza diversa da Proficiency.
Una competenza la si ha o non la si ha, mentre la proficiency esprime più il grado, la
percentuale con cui si è più o meno proficient in certe abilità.

Quindi, riassumendo il dibattito sulle diverse nozioni di competenza linguistica:

1. Chomsky = Visione generativista → gli esseri umani hanno tutti la stessa competenza
linguistica, intesa come il possesso di una facoltà di linguaggio che guida e dirige
l'apprendimento della lingua nativa; di conseguenza, tutti i parlanti nativi di una lingua
hanno, in questa prospettiva, la stessa competenza linguistica. Non si sa se qesta
stessa competenza è condivisa anche dai parlanti di una stessa L2, il dibattito è
aperto.

2. Visione non generativista = i parlanti di una lingua, sia nativi che non, non hanno tutti
la stessa competenza linguistica, neppure se intesa nel senso ristretto della
competenza grammaticale, in quanto la grammatica, la sicurezza nel possesso delle
strutture sintattiche e l’ampiezza del lessico posseduto possono variare da parlante a
parlante.

3. La competenza dei parlanti nativi e non nativi di una lingua, intesa come insieme di
conoscenze morfosintattiche e lessicali (ciò che alcuni studiosi tra cui Hymes
chiamano competenza comunicativa) e abilità, non è uniforme.

Competenza pragmatica
Leech (1983) distingue tra competenza pragmalinguistica (conoscenze delle forme
linguistiche in relazione alle manifestazioni dell’agire linguistico in una cultura) e competenza
sociopragmatica (conoscenza delle norme sociali che regolano l’agire linguistico in quella
cultura).
Osservazioni tratte dallo studio di Elena Nuzzo del 2012:
lo studio osserva la differenza tra il comportamento linguistico di due parlanti native di italiano
e quello di sei ragazze parlanti italiano come L2. Sono emerse due differenze: una
qualitativa che riguarda la densità informativa dei turni di dialogo e l’altra quantitativa
riguardante la capacità di usare varie strutture linguistiche per attenuare la richiesta in un
dialogo. Nella prima è emerso che le parlanti native, diversamente da quelle non native,
distribuiscono la richiesta su più turni e fanno precedere alla richiesta (ex. vorrei sapere il
prezzo) una pre-richiesta (ex. Vorrei sapere alcune informazioni). Nella seconda si nota che
le parlanti di italiano come L2 attenuano le richieste molto meno delle parlanti native.

competenza implicita ed esplicita


Molte conoscenze sulla nostra lingua nativa sono implicite, ovvero abbiamo intuizioni su cosa
è giusto o sbagliato nella lingua senza che a questo comportamento si accompagni una
nostra capacità di verbalizzare le regole sottostanti. Non siamo sempre in grado di giustificare
queste nostre intuizioni. Anche sulle L2 si possono avere competenze implicite: ad esempio,
in una classe italiana con alunni nativi e non, la competenza delle regole fonetiche che
vincolano la scelta dell’articolo non si accompagna necessariamente, né nei parlanti nativi né
in quelli non nativi, a una competenza esplicita. Si parla quindi di competenza implicita
quando una competenza si manifesta nel comportamento linguistico di un parlante senza che
egli sia in grado di accedere consapevolmente alle regole che caratterizzano la sua
competenza, cioè non sa spiegare perché usa bene una struttura o perché una frase è giusta
mentre un'altra è inaccettabile. Infatti la capacità di verbalizzare una regola è considerata
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manifestazione di competenza esplicita/metalinguistica. Una caratteristica dell'uomo è


proprio quella di osservare il proprio comportamento.
Conoscenza implicita ed esplicita non sono necessariamente compresenti nella competenza
dell’apprendente. Le due competenze sono depositate in zone differenti della mente umana,
tenendo conto che esistono anche 2 tipi di memoria: la memoria dichiarativa (conoscenza
relativa a fatti, parole, concetti; il “sapere che”) e la memoria procedurale/non dichiarativa
(relativa a procedure ed abilità psicomotorie; il “sapere come”).
● Competenza esplicita → depositata nella memoria dichiarativa ;
● Competenza implicita → deposotata nella memoria procedurale.

La possibilità di connessione/travasabilità fra questi due tipi di memoria, e dunque il


passaggio delle competenze dall'una all'altra, è oggetto di dibattito: DeKeyser ne ammette la
possibilità, mentre altri autori come Paradis sono più scettici. Ciò che tutti riconoscono è che i
due tipi di competenza si formano attraverso meccanismi di apprendimento distinti. La
memoria procedurale consiste nella formazione di associazioni fra fenomeni che co-
occorrono statisticamente. La ripetuta esposizione a forme strutture che co-occorrono fa
radicare tali associazioni nella mente dell'apprendente (ex. chitarrista che suona senza
pensarci); la memoria dichiarativa consiste in meccanismi consapevoli di ricostruzione di una
rappresentazione simbolica: un chitarrista che apprende la posizione delle mani per fare un
accordo osservando un altro chitarrista si imprime visivamente la posizione delle mani e per
ripassarla la richiama alla memoria.

DeKeyser pensa che una competenza esplicita possa essere proceduralizzata attraverso
l’esercizio ripetuto; (NB. egli assimila la memoria dichiarativa e procedurale rispettivamente
all'apprendimento deduttivo e induttivo).

Il dibattito sulla travasabilità delle competenze ha grande importanza anche in ambito


applicativo: è di interesse di chi si occupa di insegnamento capire se e quanto la competenza
implicita possa essere irrobustita da un insegnamento esplicito, cioè quanto le competenze
esplicite possono travasarsi nelle competenze implicite.

Schimdt nel 1990 sviluppa l’ipotesi del noticing, secondo la quale l’attenzione ad una struttura
è necessaria per scatenare un processo di acquisizione. L’apprendimento non può essere del
tutto subliminale; l’attenzione è necessaria all'apprendimento e richiede consapevolezza.

Competenza esplicita in parlanti nativi e non


Studio di Rosi (2009)
Lo studio ha confrontato la competenza esplicita sull’opposizione fra imperfetto e passato
prossimo di un gruppo di parlanti nativi di italiano con uno di ragazzo erasmus parlanti italiano
come L2. Tutti i ragazzi sono stati sottoposti a un task di completamento dove dovevano
scegliere se inserire imperfetto o pass pross, motivando la loro scelta. È emerso che i parlanti
nativi, la cui competenza implicita delle strutture è completa, sono meno in grado di elaborare
delle caratterizzazioni semantiche per il loro comportamento (meno in grado di spiegare il
perché(?)); gli apprendenti invece fanno più ricorso alla loro competenza esplicita, frutto di
lezioni di lingua. Gli apprendenti spontanei si affidano di più a giudizi intuitivi o alla
comparazione con altre lingue da loro conosciute.

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