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ITALIANO
L2
A
cura
di
Pierangela
Diadori
PARTE
PRIMA:
Il
docente
di
Italiano
L2
(cap
1-‐8)
CAPITOLO
1
La
formazione
iniziale
del
docente
di
L2
In
Italia
i
flussi
migratori
e
i
programmi
accademici
internazionali
hanno
moltiplicato
i
contatti
interlinguistici,
creando
nuove
opportunità
di
tirocinio
e
lavoro
nel
campo
dell’italiano
L2
(nelle
scuole,
nei
CPIS-‐
Centri
Provinciali
per
l’Istruzione
degli
Adulti
–
nei
centri
di
accoglienza,
nei
centri
linguistici
di
tutti
gli
atenei
italiani).
Concetto
di
lifelong
learning
à
la
formazione
professionale
è
sempre
più
legata
al
concetto
di
flessibilità
e
di
evoluzione
nel
corso
di
tutta
la
vita,
e
le
competenze
acquisite
in
un
settore
lavorativo
possono
essere
utilizzate
in
altri,
purchè
affiancate
da
un
adeguato
aggiornamento.
Nel
2004
è
stata
effettuata
un’
indagine,
a
seguito
della
quale
è
stato
pubblicato
il
Profilo
Europeo
per
la
Formazione
dei
Docenti
di
Lingue.
Un
quadro
di
riferimento
(Kelly
e
Grenfell
2004,
trad.
It.
Diadori
2010a.):
è
un
elenco
di
aree
tematiche
collegate
a
ciò
che
il
docente
deve
saper
fare.
Il
Profilo
individua
4
aree
cruciali
che
possono
aiutare
un
ente
(università,
scuola
private,
azienda)
a
organizzare
i
contenuti
della
propria
offerta
formativa
per
i
futuri
docenti
di
L2
e
al
tempo
stesso
possono
orientare
il
futuro
docente
nella
scelta
del
percorso
più
adeguato
ai
propri
bisogni.
1
area:
Struttura:
secondo
il
Profilo,
la
struttura
di
un
percorso
formativo
focalizzato
sulla
figura
professionale
del
docente
di
italiano
L2
dovrebbe:
-‐ integrare
lo
studio
accademico
e
l’esperienza
pratica
di
insegnamento;
-‐ essere
flessibile
e
modulare,
offrendo
opportunità
differenziate
per
la
formazione
iniziale
e
per
quella
in
servizio
(i
docenti
esperti
hanno
bisogni
diversi
rispetto
a
coloro
che
sono
all’inizio);
-‐ tener
conto
delle
leggi
vigenti
a
livello
locale
o
internazionale
per
il
reclutamento
dei
docenti,
facendo
in
modo
che
ogni
percorso
formativo
intrapreso
possa
essere
spendibile
e
accreditabile,
anche
mediante
accordi
diretti
con
le
imprese
e
i
datori
di
lavoro;
-‐ offrire
occasioni
per
sperimentare
un
ambiente
interculturale
e
multiculturale,
sia
attraverso
l’analisi
di
lezioni
di
italiano
L2
videoregistrate,
sia
partecipando
ad
una
rete
di
contatti
con
partner
all’estero
(visite,
scambi
o
contatti
online).
2
area:
Sapere
e
comprendere
-‐ sapere
la
lingua:
la
formazione
iniziale
dei
docenti
non
nativi
deve
comprendere
gli
strumenti
per
raggiungere
un
livello
di
competenze
minimo
per
insegnare
la
lingua
(B2/C1),
per
mantenere
questo
livello
e
autovalutarsi
con
regolarità.
I
docenti
di
madrelingua
italiana,
invece,
dovranno
puntare
a
sviluppare
una
conoscenza
esplicita
della
lingua,
sviluppando
sensibilità
alla
variabilità
sociolinguistica,
alle
componenti
pragmatiche
e
non
verbali
della
comunicazione
in
uso
nell’Italia
contemporanea;
1
-‐ saper
insegnare
la
lingua:
la
formazione
sulle
metodologie
glottodidattiche
e
sulle
attuali
tecniche
e
attività
di
classe
deve
spingere
i
futuri
docenti
ad
adottare
degli
inerventi
consapevoli,
basati
sulla
ricerca
e
l’esperienza,
di
tipo
critico
ed
esplorativo.
Solo
negli
anni
Settanta
del
secolo
scorso
i
manuali
di
italiano
L2
si
discostano
da
un
approccio
grammaticale–traduttivo,
per
orientarsi
verso
quello
comunicativo;
-‐ saper
usare
le
tecnologie
dell’informazione
e
della
comunicazione:
avere
familiarità
con
i
nuovi
media
è
utile
sia
per
la
progettazione
che
per
l’organizzazione
e
la
scoperta
delle
risorse,
così
come
per
l’ideazione
di
compiti
da
suggerire
agli
studenti;
-‐ saper
valutare.
3
area:
Strategie
e
abilità:
un
percorso
formativo
focalizzato
sulla
figura
professionale
del
docente
di
italiano
L2
dovrebbe
offrire
opportunità
di
sviluppo
concreto
di
strategie
e
abilità
didattiche
che
permettano
di:
-‐ adattare
al
contesto
educativo
e
ai
bisogni
individuali
degli
apprendenti
l’approccio
didattico,
i
materiali
e
le
risorse
disponibili;
-‐ favorire
l’autonomia
nell’apprendimento
della
L2,
i
metodi
per
imparare
a
imparare,
la
pratica
riflessiva
e
l’autovalutazione;
-‐ sperimentare
l’apprendimento
integrato
di
lingua
e
contenuto;
-‐ abituarsi
all’osservazione
e
alla
revisione
fra
pari
(osservando
i
colleghi
mentre
insegnano,
facendosi
osservare
da
loro,
discutendo
insieme
sui
problemi
e
le
loro
soluzioni),
o
collaborando
alla
realizzazione
di
corpora
di
lezioni
videoregistrate;
-‐ prevedere
di
applicare
i
principi
della
ricerca-‐azione
(individuazione
di
un
problema
di
apprendimento/insegnamento-‐studio
della
letteratura
sull’argomento-‐
scelta
di
un
procedimento
in
classe
che
mira
alla
soluzione
del
problema);
-‐ sviluppare
rapporto
con
enti
formatori
nei
diversi
Paesi.
4
area:
Valori:
nella
propria
formazione,
il
futuro
docente
di
L2
dovrebbe
essere
sensibilizzato
a
una
serie
di
valori
da
trasmettere
ai
propri
allievi
attraverso
l’insegnamento
linguistico,
ad
esempio:
-‐ i
valori
sociali
e
culturali
generalmente
associati
all’apprendimento
di
una
L2
(l’inclusione,
la
cittadinanza
europea
nel
rispetto
delle
differenze,
il
pensiero
critico,
la
valorizzazione
della
creatività
individuale,
la
protezione
del
patrimonio
artistico
e
naturale,
la
cultura
alimentare,
le
tradizioni
letterarie);
-‐ il
mantenimento
della
pluralità
delle
lingue
e
delle
culture
(plurilinguismo
e
apprendimento
delle
lingue/culture
straniere);
-‐ il
lavoro
in
squadra;
-‐ l’apprendimento
permanente
(life-‐long
learning).
Le
competenze
da
acquisire
(la
griglia
EPG)
2013
Nel
Profilo
non
si
fa
cenno
alle
competenze
linguistiche
in
lingue
diverse
dalla
propria
lingua
madre
e
dalla
L2
di
insegnamento,
ma
à
è
evidente
che
il
docente
di
L2
sarà
molto
facilitato
dalla
conoscenza
di
due
o
più
lingue
straniere
(posto
di
rilievo
lo
hanno
le
lingue
classiche,
per
il
loro
ruolo
nella
formazione
del
lessico
internazionale
di
base
latina
o
greca).
2
Un
progetto
di
ricerca
nel
2013
ha
elaborato
un
quadro
di
riferimento
per
la
formazione
e
lo
sviluppo
dei
docenti
di
L2
in
Europa,
che
si
è
concretizzato
in
una
griglia
di
descrittori
di
competenze
(European
Profiling
Grid)
articolata
su
3
fasi
di
sviluppo:
1
fase
àdocenti
in
formazione
che
non
hanno
ancora
ottenuto
una
qualifica
ma
che
in
certi
casi
lavorano
già
come
docenti;
2
fase
àdocenti
che
hanno
appena
ottenuto
una
qualifica
ma
sono
ancora
relativamente
inesperti;
3
fase
à
docenti
che
hanno
affrontato
un’ulteriore
formazione
e
possono
assumere
speciali
incarichi
di
responsabilità,
come
per
esempio
l’assistenza
e
la
direzione
di
altri
insegnanti.
Ciascuna
fase
è
divisa
in
ulteriori
fasi
à
asse
orizzontale
della
griglia:
sei
livelli
di
competenza.
Asse
verticale:
alcune
aree
cruciali
relative
alla
padronanza
e
alla
consapevolezza
nella
lingua
obiettivo,
alle
qualifiche
ottenute
(diploma,
certificazioni,
lauree
in
didattica
della
lingua),
alle
competenze
fondamentali
(metodologia
relative
alle
tecniche,
agli
approcci,
alle
teorie
sulla
lingua
e
sull’apprendimento)
e
alle
abilità
complementari
relative
alla
professione
(progettazione
didattica,
interazione,
cioè
la
gestione
e
il
monitoraggio
della
classe,
competenza
interculturale
competenze
informatiche),
professionalità
(condotta
professionale,
gestione
amministrativa).
Strumenti
per
l’autovalutazione
Il
Portfolio
Europeo
per
la
Formazione
degli
Insegnanti
di
Lingue
(PEFIL)
è
un
documento
pensato
per
coloro
che
stanno
iniziando
a
insegnare
la
L2.
Esso
aiuta
il
docente
di
L2
alle
prese
con
le
prime
esperienze
in
classe
a
valutare
le
proprie
competenze
didattiche
e
a
monitorare
i
propri
progressi,
promuovendo
anche
la
discussione
con
i
colleghi,
con
i
formatori
e
con
i
mentor
(193descrittori
del
PEFIL).
CONTESTO
Il
docente
di
italiano
L2
in
formazione
iniziale
può
entrare
in
contatto
con
uno
o
più
profili
di
apprendneti
estremamente
diversi
tra
loro.
Da
questo
nasce
la
constatazione
che
c’è
la
necessità
di
interpretare
tutte
le
variabili
del
contesto
per
poter
costruire
il
proprio
intervento
(variabili
relative
ai
bisogni
dei
destinatari,
alle
motivazioni
allo
studio,
alla
lingua
e
cultura
di
origine,
alle
altre
lingue
note,
agli
obiettivi
professionali).
Conoscenza
del
QCER
à
indispensabile
per
individuare
i
livelli
iniziali
di
competenza
e
progettare
il
percorso
in
base
a
questi
e
agli
obiettivi
da
raggiungere,
cosí
come
sarà
importante
interpretare
le
coordinate
istituzionali
e
nazionali
in
cui
si
inquadra
l’intervento
formativo
per
adeguare
a
queste
le
proprie
scelte
didattiche.
METODOLOGIA
Il
docente
di
L2
dovrà
mediare
tra
le
coordinate
contestuali,
gli
obiettivi
da
raggiungere
e
le
opzioni
metodologiche
a
sua
conoscenza
e/o
a
sua
disposizione.
Il
docente
in
formazione
iniziale
dovrà
domandarsi
se
è
in
grado
di
adottare
l’approccio,
il
metodo
e
le
tecniche
adeguate
per
aiutare
gli
studenti
a
sviluppare
i
diversi
tipi
di
abilità
(scritte
e
orali,
in
ricezione,
produzione
e
interazione),
per
promuovere
le
conoscenze
esplicite
sulla
L2.
In
questo
ambito
rientra
la
capacità
di
selezionare
i
testi
più
adeguati
ai
bisogni,
agli
interessi
e
alle
competenze
linguistiche
dei
destinatari
+
saper
valutare
e
selezionare
una
serie
di
attività
che
aiutino
l’apprendente
ad
apprendere
il
lessico
(=
essere
a
conoscenza
delle
tecniche
didattiche
più
appropriate).
3
RISORSE
Lavagna
(o
altre
attrezzature
in
classe),
laboratorio
linguistico,
materiali
che
il
docente
stesso
cerca,
seleziona
e
adatta
per
i
suoi
studenti
in
base
alle
loro
esigenze
specifiche.
Importanza
di
informarsi
e
aggiornarsi
continuamente
sui
materiali
didattici
via
via
pubblicati,
sulle
tecnologie
educative
che
possono
avere
ricadute
positive
sull’apprendimento,
sulle
aree
in
cui
è
più
utile
una
integrazione
e
quelle
invece
in
cui
l’offerta
individuale
è
ampia
e
diversificata.
PROGETTAZIONE
DIDATTICA
Questa
fase
richiede
un
particolare
sforzo
per
chi
ha
iniziato
da
poco
l’attività
di
insegnamento.
Le
indicazioni
metodologiche
e
i
materiali
contenuti
nel
libro
di
testo
possono
fornire
una
guida
ma
non
bastano
per
realizzare
un
intervento
didattico
di
qualità.
Nella
fase
di
progettazione
è
importante
e
necessario
mettere
a
fuoco
gli
obiettivi,
i
tempi
e
le
risorse
a
disposizione,
scegliendo
i
contenuti
e
il
formato
didattico
che
il
docente
reputa
di
saper
gestire
meglio,
dopo
aver
negoziato
con
gli
studenti
alcune
scelte
metodologiche.
REALIZZAZIONE
DIDATTICA
Gestione
dei
tempi
+
flessibilità
nell’affrontare
fatti
imprevisti.
Un
aiuto
lo
danno
le
analisi
delle
lezioni
videoregistrate,
che
permettono
di
individuare
i
punti
di
snodo
delle
attività
e
le
caratteristiche
dell’interazione
fra
docente
e
allievi.
Per
l’italiano
L2
sono
in
corso
ricerche
sul
parlato
del
docente
(native
o
non
native)
e
sulle
modalità
linguistiche
e
pragmatiche
che
caratterizzano
ad
esempio
le
spiegazioni,
le
istruzioni,
le
correzioni.
APPRENDIMENTO
AUTONOMO
Riguarda
le
capacità
del
docente
di
stimolare
l’autonomia
nell’apprendimento,
strutturando
le
lezioni
e
progettando
compiti
che
aiutino
gli
apprendenti
a
riflettere
e
autovalutarsi.
L’idea
di
life-‐long
learning
stimola
la
sperimentazione
di
forme
di
apprendimento
guidato,
che
si
alternano
o
si
sovrappongono
ad
altre
di
apprendimento
autonomo.
<<Sono
capace
di
fornire
agli
apprendenti
il
sostegno
necessario
per
permettere
loro
di
svolgere
il
lavoro
a
casa
in
maniera
autonoma>>.
VALUTAZIONE
DELL’APPRENDIMENTO
Saper
costruire
gli
strumenti
per
la
valutazione,
saperli
usare
e
saper
riflettere
sui
loro
risultati
in
modo
da
orientare
il
proprio
intervento
didattico,
saper
analizzare
gli
errori
in
L2
e
individuare
i
processi
che
li
determinano
alla
luce
dell’interlingua,
saperli
gestire
mediante
una
varietà
di
strategie
di
correzione:
su
tutte
queste
competenze
il
PEFIL
spinge
il
docente
in
formazione
a
riflettere.
AUTOVALUTAZIONE
>
RICERCA-‐AZIONE
Il
docente
in
formazione
viene
chiamato
a
riflettere
sul
proprio
intervento
didattico
per
valutare
se
c’è
stato
un
momento
specifico
in
cui
è
stato
in
grado
di
realizzare
la
ricerca-‐
azione.
Un
attento
e
capillare
lavoro
si
autovalutazione
farà
emergere
punti
di
forza
e
punti
di
debolezza
del
proprio
operato
4
CAPITOLO
2
Approcci
e
metodi
per
la
didattica
della
L2
Quai
sono
le
tendenze
di
sviluppo
della
glottodidattica
contempornaea?
Quali
sono
gli
orientamenti
seguiti
in
maniera
più
o
meno
chiara
dagli
operatori
scolastici,
dagli
insegnanti
di
lingue,
dagli
autori
di
materiali
didattici?
Rapida
panoramica
degi
approcci
dominanti
nella
metodologia
delle
lingue
straniere
dalla
metà
del
XX
secolo
ad
oggi.
LA
SINDROME
DEL
PENDOLO
L’oscillazione
avviene
tra
momenti
in
cui
prevale
l’analisi
della
lingua
oggetto
e
momenti
in
cui
si
tende
all’uso
della
stessa.
Avviene
sempre
un
avanzamento
glottodidattico,
per
cui
si
torna
sulle
stesse
posizioni
di
anni
prima
ma
su
un
piano
più
elevato
(ogni
fase
lascia
tracce
che
incideranno
su
tutte
le
fasi
successive
del
movimento).
3
diversi
modelli
tipologici
(la
prospettiva
tipologica
prova
a
focalizzare
gli
elementi
comuni
ai
vari
approcci
e
ciò
che
li
differenzia.
Parametri
fondamentali
à
la
teoria
linguistica
a
cui
si
richiama
l’approccio
(approcci
formali,
strutturali,
trasformazionali);
la
teoria
psicologica
soggiacente
(ad
esempio
approcci
di
tipo
cognitive);
la
strumentazione
impiegata
(approcci
audiovisivi,
informatizzati,
multimediali);
l’organizzazione
dell’intervento
didattico
(approcci
individualizzati,
intensivi,
di
immersione
totale).
Approccio
deduttivo:
si
basa
sul
principio
che
la
lingua
oggetto
si
apprende
attraverso
regole
grammaticali
che
portano
il
discente
al
controllo
conscio
della
lingua.
Il
metodo
grammaticale-‐traduttivo
à
fortemente
incentrato
sulla
grammatica,
intesa
come
analisi
formale
basata
sugli
schemi
classici:
-‐
l’istruzione
è
impartita
nella
lingua
madre
degli
studenti;
-‐
scarso
uso
della
lingua
oggetto
di
apprendimento;
-‐
si
dà
risalto
alla
morfosintassi,
all’analisi
della
forma
e
della
flessione
delle
parole;
-‐
lettura
precoce
di
difficili
testi
classici;
-‐
l’esercizio
tipico
è
la
traduzione
di
frasi
dalla
lignua
straniera
alla
lingua
materna
e
viceversa;
-‐
il
risultato
è
l’incapacità
di
usare
la
lingua
per
la
comunicazione;
-‐
l’insegnante
non
deve
necessariamente
essere
fluente
nella
L2.
I
libri
di
testo
ispirati
a
questo
metodo
sono
organizzati
in
‘lezioni’,
ciascuna
delle
quali
inizia
con
la
presentazione
di
regole
ed
eccezioni,
seguite
da
una
lista
di
vocaboli
ricorrenti,
e
degli
esercizi,
costituiti
principalmente
da
frasi
da
tradurre
(spesso
sono
frasi
isolate).
Il
metodo
cognitivo
à
si
fonda
sulla
linguistica
generativo-‐trasformazionale
(Chomsky).
Gli
esseri
umani
sono
predisposti
a
imparare
una
lingua
à
grazie
all’esistenza
di
un
meccanismo
innato,
il
Language
Acquisition
Device.
L’apprendente
non
è
una
tabula
rasa,
ma
possiede
sin
dall’inizio
un
proprio
bagaglio
di
strategie
cognitive.
Concetto
della
centralità
dell’allievo,
il
vero
soggetto
dell’educazione.
Con
questo
metodo
si
passa
ad
esercizi
di
tipo
meccanicistico
e
attività
di
problem
solving.
Questo
metodo
non
si
differenzia
troppo
da
quello
traduttivo:
il
concetto
fondamentale
è
che
la
competenza
(la
conoscenza
delle
regole)
debba
precedere
l’esecuzione.
5
Approccio
induttivo:
si
realizza
in
una
serie
di
metodi
che
hanno
come
comune
denominatore
il
fatto
che
la
lingua
oggetto
prima
è
colta
nella
sua
globalità,
poi
attraverso
una
fase
di
analisi
il
discente
giunge
per
induzione
a
produrre
la
lingua
necessaria
per
nuovi
contesti
situazionali.
Il
metodo
diretto
à
non
è
ammesso
alcun
uso
della
L1
(l’insegnante
parla
esclusivamente
in
L2);
le
lezioni
cominciano
con
dialoghi
e
aneddoti
in
stile
conversativo,
in
L2;
azioni
e
figure
sono
usate
per
chiarire
i
significati;
la
grammatica
viene
appresa
induttivamente;
i
testi
letterari
vengono
letti
per
il
piacere
di
farlo
e
non
vengono
analizzati
grammaticalmente;
anche
la
cultura
straniera
viene
appresa
induttivamente;
l’insegnante
deve
essere
native
speaker
o
avere
una
competenza
pari
alla
madrelingua.
Principio
fondamentale:
la
lingua
è
sentita
come
organismo
vivo,
non
cristallizzabile
in
strutture
grammaticali
da
apprendere
a
priori.
Varianti
del
metodo
diretto
sono
il
metodo
dell’immersione
totale
o
intensivo
Il
metodo
audio
orale
à
durante
la
Seconda
Guerra
Mondiale,
negli
Stati
uniti
si
sentí
il
bisogno
di
un
metodo
per
far
apprendere
rapidamente
le
lingue
straniere
ai
militari
che
venivano
spediti
sui
vari
fronti.
Questo
metodo
ha
i
seguenti
tratti:
-‐la
teoria
psicologica
a
cui
si
fa
riferimento
è
il
neocomportamentismo
o
neobehavorismo
(basato
su
una
serie
intensiva
di
stimuli
sotto
forma
di
esercizi
di
ripetizione);
-‐il
metodo
trae
spunto
dalla
linguistica
strutturale,
che
consiste
in
una
classificazione
di
elementi
costitutivi
di
strutture
linguistiche;
-‐
la
scelta
e
la
graduazione
del
lessico
e
delle
strutture
sono
basate
sull’analisi
contrastiva
tra
L1
e
L2:
si
presentano
strutture
simmetriche
tra
le
due
lingue
per
produrre
un
transfer
positivo,
per
poi
passare
a
quelle
dissimetriche,
in
cui
l’interferenza
è
negativa
e
ci
possono
essere
errori
che
vanno
corretti;
-‐
l’analisi
degli
errori
diventa
fondamentale
(testing:
scelta
multipla
o
test
strutturali
che
verificano
un
elemento
per
volta);
-‐
la
frase
è
considerata
l’unità
minima
di
significato,
quindi
la
lingua
deve
esere
presa
per
strutture
complete,
non
per
vocaboli
isolati;
-‐
preminenza
dell’oralità
rispetto
allo
scritto,
e
delle
abilità
ricettive
rispetto
a
quelle
produttive;
-‐
l’insegnante
è
informante,
ossia
un
parlante
nativo
della
L2
che
ha
il
compito
di
emettere
stimoli
e
verificare
risposte;
l’insegnante
diventa
sempre
più
tecnico;
-‐
l’allievo
non
è
una
tabula
rasa
su
cui
si
imprimono
meccanicamente
le
strutture
a
forza
di
pattern
drills.
Si
ricorre
a
un
impiego
massiccio
del
laboratorio
linguistico
per
lunghe
esercitazioni
strutturali
(trasformazioni
di
frasi,
riformulazioni
e
sostituzioni
semplici
o
multiple).
Merito
dell’approccio
strutturalista:
aver
superato
l’immobilismo
dell’approccio
formalistico.
Il
modello
neocomportamentista
trascura
ogni
strategia
cognitiva
dell’apprendente.
Approccio
comunicativo:
nasce
al’inizio
degli
anni
Settanta.
Nel
saggio
dell’antropologo
statunitense
Dell
Hymes
si
contrappone
la
competenza
comunicativa
intesa
come
capacità
di
usare
una
lingua
in
modo
appropriato
ad
uno
scopo
linguistico
e
ad
una
data
situazione,
alla
competenza
linguistica
chomskyana,
ossia
la
capacità
del
parlante-‐ascoltatore
ideale
di
riconoscere
e
produrre
enunciati
grammaticalmente
corretti.I
l
linguisti
J.L.
Austin
e
J.
Rogers
introducono
la
nozione
di
ATTO
LINGUISTICO,
ciò
che
noi
compiamo
quando
6
parliamo
(presentarsi,
chiedere
per
avere,
confrontare,
ecc).
Per
afferrare
il
senso
profondo
di
un
enunciato
bisogna
possedere
la
competenza
pragmatica,
che
ci
consente
di
capire
l’intenzione
comunicativa
di
chi
parla.
La
teoria
degli
atti
linguistici
è
la
base
per
la
costruzione
dei
sillabi
nozionali-‐funzionali
elaborati
a
partire
dagli
anni
Settanta.
Teoria
della
Gestalt
o
della
forma:
quando
ci
troviamo
dinanzi
ad
un
oggetto
mai
visto,
prima
lo
percepiamo
nella
sua
globalità
e
poi
lo
cogliamo
nei
singoli
dettagli.
Con
questo
approccio
si
procede
dalla
lingua
in
atto
nella
sua
globalità
per
poi
analizzarne
le
componenti
distinte
(nel
metodo
formalistico
invece
si
partiva
dai
singoli
elementi
per
assemblarli
in
unità
significative
più
grandi).
Il
metodo
situazionale
à
l’approccio
comunicativo
viene
accompagnato
dal
recupero
della
dimensione
culturale
nello
studio
di
una
lingua
straniera
e
dall’assunzione
di
testi
di
lingua
viva
come
punto
di
partenza
di
un’unità
didattica.
La
LS
è
presentata
all’interno
di
situazioni
realistiche,
di
vita
del
Paese.
Il
metodo
nozionale-‐funzionale
à
studi
promossi
dal
Consiglio
d’Europa
negli
anni
Settanta.
Il
Progetto
Lingue
Vive
elabora
un
sillabo
composto
da
una
serie
di
unità
capitalizzabili
corrispondenti
a
tranches
della
lingua.
Ogni
lingua
è
stata
divisa
in
due
grossi
settori:
un
livello
soglia
(grado
minimo
di
competenza
comunicativa
necessario
all’adulto
per
socializzare
nel
Paese
straniero),
e
i
livelli
superiori
di
lingua
generale
e
delle
varie
lingue
settoriali.
Il
concetto
di
bisogno
linguistico
ha
portato
una
maggiore
accuratezza
nella
formazione
del
corpus
di
lingua
da
insegnare
ai
vari
livelli.
Il
sillabo
è
sviluppato
secondo
le
categorie
di
“funzioni”
(salutare,
ringraziare..)
che
si
realizzano
tramite
esponenti
linguistici
in
ogni
lingua.
Nella
metà
degli
anni
Settanta
si
sono
creati
in
ogni
lingua
i
vari
livelli
soglia,
dei
repertori
in
cui
compaiono,
seppur
con
impostazioni
diverse,
le
situaizoni
comunicative
che
rientrano
nel
livello
di
sopravvivenza,
le
funzioni
che
vi
si
svolgono,
le
nozioni
che
intervengono,
gli
esponenti
linguistici.
Il
metodo
Strategic
Interaction
à
teorizzato
da
Robert
J.
Di
Pietro,
inizio
anni
80
del
secolo
scorso.
L’interazione
verbale
tra
due
persone
consiste
nella
realizzazione
di
obiettivi
personali
che
si
ottengono
per
mezzo
di
negoziazioni.
Quindi
un
discorso
non
ha
solo
un
valore
letterale,
ma
un
significato
strategico.
Attraverso
una
sequenza
di
copioni
lo
studente
impara
a
gestire
una
serie
di
situazioni
via
via
più
complesse.
Secondo
Di
Pietro
insegnare
la
lingua
straniera
vuol
dire
riproporre
in
classe
la
complessità
dello
scambio
comunicativo
nella
vita
reale.
à
uso
della
lingua
in
situazioni
verosimilmente
reali.
Il
metodo
Project
Workà
l’apprendimento
di
un
alingua
avviene
tramite
interazioni
con
il
mondo
reale
che
hanno
luogo
al
di
fuori
dell’aula.
Questo
approccio
cerca
di
indirizzare
lo
studio
della
lingua
alla
realizzazione
di
un
progetto
àil
project
learning
è
definibile
come
una
serie
di
task
collegati
fra
loro.
Un
progetto
si
caratterizza
perchè
diamo
agli
studenti:
un
obiettivo
da
raggiungere
(un
prodotto
finito,
come
un
depliant,
un
sito
web..),
una
certa
quantità
di
tempo
a
disposizione,
l’esposizione
di
questo
obiettivo
a
un
pubblico
(es.
il
resto
della
classe),
infine
studenti
e
insegnanti
dovranno
accordarsi
su
come
raggiungeranno
questo
obiettivo.
Il
metodo
Lexical
Approach
à
è
solo
a
partire
dagli
anni
Novanta
che
in
Inghilterra
viene
proposto
un
metodo
ispirato
all’approccio
comunicativo
incentrato
sul
lessico
e
non
più
solo
sulla
grammatica.
Secondo
i
rappresentanti
del
Lexical
Approach
il
lessico
non
è
formato
da
unità
lessicali
isolate
fra
loro,
ma
si
sviluppa
sulla
base
di
rapporti
semantici
tra
7
le
parole.
È
quindi
giusto
parlare
di
chunks
che
costituiscono
una
parte
fondamentale
del
lessico.
I
tratti
costitutivi
di
una
didattica
L2
secondo
l’approccio
comunicativo:
-‐
particolare
attenzione
all’uso
della
lingua
(questo
approccio
non
si
interessa
esclusivamente
degli
aspetti
strutturali
e
delle
regole
grammaticali);
-‐
la
lingua
oggetto
di
insegnamento
è
il
più
possibile
autentica;
-‐
la
pianificazione
comunicativa
viene
fatta
sulla
base
delle
funzioni
che
si
intendono
via
via
presentare,
mentre
la
presentazione
della
grammatica
avviene
secondo
una
progressione
ciclica,
considerando
lo
stesso
elemento
più
volte
e
sotto
aspetti
diversi;
-‐
si
afferma
il
concetto
di
unità
didattica
intesa
come
un
complesso
di
procedure
atte
a
presentare
la
lingua
nella
sua
pienezza
comunicativa;
-‐
sono
i
bisogni
dell’apprendente
a
regolare
la
scelta
e
la
graduazione
delle
situazioni,
delle
funzioni
e
delle
nozioni
che
costituiscno
il
corpus
da
insegnare;
-‐
la
figura
dell’insegnante
è
fondamentale.
Col
passare
del
tempo
l’insegnante
si
limita
a
ricoprire
un
ruolo
di
guida,
facilitatore.
Approccio
umanistico-‐affettivo:
mette
in
risalto
la
dimensione
psicologica
dell’apprendimento.
La
pedagogia
steineriana
à
l’insegnamento
è
centrato
sull’apprendente,
tanto
da
non
prevedere
nè
un
curriculo
prestabilito
nè
un
manuale
di
riferimento;
il
contatto
precoce
con
due
lingue
straniere
è
premessa
indispensabile
per
creare
una
personalità
cosmopolita;
il
docente
di
madrelingua
deve
creare
un’atmosfera
adeguata
(gioco,
musica,
attività
basate
su
percezione
sensoriale,
movimento
del
corpo..);
l’insegnamento
deve
avvenire
solo
oralmente
nei
primi
anni,
facendo
leva
sui
sentimenti
e
sull’immginazione
del
bambino.
A
partire
dagli
anni
Settanta
del
Novecento
si
sviluppano
negli
Stati
Uniti
una
serie
di
metodi
per
l’insegnamento
della
L2
definiti
umanistico
affettivi:
il
referente
di
questi
metodi
è
la
psicologia
affettiva
di
Abram
H.
Maslow
e
Carl
Rogers.
Questi
metodi
pongono
al
centro
dell’attenzione
gli
aspetti
psicologici
dell’apprendimento,
dando
particolare
rilevanza
all’atmosfera
di
classe,
all’ambiente
rilassante,
alla
motivazione
e
al
coinvolgimento
dell’apprendente.
La
maggior
parte
dei
metodi
umanistici
si
ispira
alla
psicologia
clinica.
Il
metodo
Community
Language
Learning
à
secondo
il
gesuita
Charles
A.
Curran,
psicologo
e
psicoanalista
–
il
rapporto
tra
studente
e
insegnante
è
analogo
a
quello
che
si
instaura
tra
counselor
e
client.
La
responsabilità
dell’apprendimento
è
affidata
agli
studenti,
una
piccola
comunità
mossa
dagli
stessi
obiettivi.
Gli
studenti
parlano
tra
loro
in
lingua
materna,
e
quando
chiedono
la
consulenza
dell’insegnante,
questo
traduce
in
lingua
straniera
e
fa
ripetere
e
registrare
l’intera
sequenza.
Il
metodo
Total
physical
Response
à
cosí
chiamato
a
causa
deo
totale
coinvolgimento
psichico
e
fisico
del
discente
durante
l’apprendimento.
Psicologo
J.
Asher:
l’apprendimento
è
un
processo
lento
e
non
è
possibile
sviluppare
tutte
e
4
le
abilità,
quindi
conviene
concentrarsi
su
una,
il
saper
ascoltare.
Asher
propone
di
insegnare
le
lingue
mediante
l’esposizione
a
una
sequenza
di
comandi
che
comportano
l’esecuzione
di
gesti,
spostamenti
e
comunque
azioni
non
verbali
(preminenza
accordata
alla
comprensione
orale,
mentre
la
produzione
orale
viene
rinviata
fino
a
quando
l’allievo
si
sentirà
in
grado
di
parlare
nella
lingua
straniera.
8
Il
metodo
Silent
Way
à
cosí
chiamato
per
via
del
predominante
silenzio
dell’insegnante.
Ideatore:
Caleb
Gattegno,
docente
di
matematica
e
pedagogista,
attivo
in
Francia
e
negli
Stati
Uniti.
Dato
che
l’insegnante
non
spiega,
ma
fornisce
semplicemente
il
modello
e
corregge
raramente,
l’attività
cognitiva
degli
allievi
è
stimolata
al
massimo
grado.
Gattegno
ha
ideato
diversi
sussidi
per
questo
metodo,
e
il
più
particolare
è
costituito
dai
regoli
di
Cuisenaire:
l’insegnante
mostra
un
regolo
e
introduce
un
breve
enunciato,
a
cui
fa
seguito
una
fase
di
silenzio
perchè
ognuno
possa
assimilare
l’enunciato.
Altro
strumento
è
la
tabella
delle
grafie,
in
cui
sono
raggruppate
tutte
le
grafie
corrispondenti
a
ciascun
colore/suono.
I
segni
alfabetici
sono
raggruppati
in
base
alla
pronuncia
nella
lingua
maternal
degli
allievi.
Il
metodo
suggestopedico
à
coniato
negli
anni
Sessanta
dal
medico
e
psicoterapeuta
bulgaro
Georgi
Lozanov.
Efficacia
della
suggestione
nel
processo
di
apprendimento.
Occorre
creare
attorno
all’allievo
un’atmosfera
serena,
piacevole
e
rilassata.
Infantilizzazione
–
per
imparare
senza
stress
l’adulto
deve
tornare
bambino
+
uso
della
musica
in
classe,
che
rende
la
mente
degli
allievi
molto
ricettiva
all’informazione.
Il
corso
è
incentrato
su
un
copione
teatrle,
composto
da
10
scene:
a
inizio
lezione
l’insegante
legge
una
scena
che
gli
allievi
ascoltano
comodamente
seduti.
L’insegnante
legge
il
testo
in
lingua
straniera
seguendo
il
ritmo
della
musica
di
sottofondo.
La
lettura
viene
poi
fatta
con
una
diversa
musica
di
sottofondo
e
gli
allievi
che
ascoltano
ad
occhi
chiusi.
A
seguire
poi
attività
comunicative
riferite
al
brano
letto.
A
casa
l’allievo
è
invitato
a
rileggere
il
brano
prima
di
addormentarsi
e
a
rileggerla
il
mattino
seguente.
Questo
procedimento
favorirebbe
la
capacità
di
memorizzazione
di
strutture
a
lungo
termine.
Il
metodo
Neurolinguistic
Programming
à
sviluppato
nella
metà
degli
anni
Settanta
dal
matematico
e
psicologo
Richard
Bandler
e
dal
linguista
J.
Grinder.
Il
comportamento
nella
L2
è
determinato
a
livello
neuro-‐linguistico
e
può
essere
riprogrammato
agendo
sul
modo
di
comunicare
a
livello
verbale
e
non
verbale
dall’apprendente.
Questo
metodo
accentua
l’importanza
della
dimensione
neurolinguistica
e
sensoriale
nell’apprendimento/insegnamento
della
L2,
dando
spazio
agli
stili
di
apprendimento
dei
singoli
e
favorendo
tecniche
differenziate
di
memorizzazione
tramite
canali
sensoriali
diversi.
Partendo
dale
proprie
preferenze,
sarà
possibile
organizzare
l’insegnamento
in
modo
da
favorire
gli
stili
di
ciascuno,
organizzando
le
lezioni
secondo
tre
modelli
fondamentali
à1)
lezione
visiva
–
materiali
scritti,
iconici,
a
colori,
organizzati
sul
computer
o
sulla
lavagna
+
uso
di
filmati
o
altri
inout;
2)
lezione
uditiva
–
voce
del
docente
o
altre
fonti
sonore
+
musica,
interazione
in
classe,
possibilità
di
registrarsi;
3)
lezione
cinestetica
–
attività
collaborative,
con
esercizi
che
coinvolgono
i
movimenti
del
corpo
e
una
organizzazione
fisica
del
gruppo
classe.
Mirroring
–
reciproco
adattamento
dei
comportamenti
non
verbali
(tra
allievo
e
insegnante)
–
es.
un
gesto
dell’insegnante
viene
ripetuto
dall’allievo.
Il
Natural
Approach
à
metodo
di
impostazione
cognitivista,
con
alcuni
elementi
che
hanno
a
che
fare
con
la
dimensione
psico-‐affettiva
dell’apprendimento
linguistico.
Psicolinguista
californiano
Stephen
Crashen
–
teoria
di
Krashen
sull’acquisizione
della
seconda
lingua:
-‐
ipotesi
del
filtro
affettivo
–
servirebbe
per
spiegare
come
le
variabili
fortemente
caratterizzate
da
componenti
affettive
siano
causa
della
variabilità
nell’acquisizione
della
L2;
-‐
ipotesi
della
distinzione
fra
acquisizione
e
apprendimento:
l’acquisizione
è
un
processo
inconsapevole,
con
effetti
sulla
memoria
a
lungo
termine,
con
interessamento
9
dell’emisfero
destro
nella
decodifica
dell’input;
l’apprendimento
è
conscio,
attiva
le
strategie
cognitive
dell’emisfero
sinistro
(di
tipo
analitico),
caratterizzato
da
un’attivazione
lenta
e
da
un’archiviazione
nella
memoria
a
breve
termine.
Secondo
Krashen
la
L2
si
impara
veramente
solo
quando
non
si
ha
l’impressione
di
imparare
(in
modo
inconsapevole,
attivando
i
processi
di
acquisizione);
-‐
ipotesi
dell’ordine
naturale:
i
processi
mentali
che
permettono
l’acquisizione
seguono
un
percorso
naturale
che
la
conoscenza
delle
regole
non
può
modificare
sensibilmente.;
-‐
ipotesi
dell’input
comprensibile:
l’acquisizione
è
comprensibile
solo
a
condizione
che
l’input
sia
comprensibile.
L’apprendente
procede
secondo
il
continuum
dell’ordine
naturale
e
acquisisce
strutture
che
sono
appena
oltre
il
proprio
livello:
se
l’input
ha
la
struttura
i+1
l’apprendente
può
progredire
di
un
gradino,
se
no
no.
Il
processo
di
acquisizione
dipende
dunque
dall’input
e
non
dalla
produzione
linguistica
o
dalla
ripetizione.
-‐
ipotesi
del
monitor:
secondo
Krashen
dopo
un
aprima
elaborazione
del
materiale
linguistico
a
livello
inconscio,
entra
in
azione
un
altro
dispositivo
consapevole
(il
monitor)
che
permette
al
soggetto
di
utilizzare
le
proprie
conoscenze
metalinguistiche
controllando
e
verificando
l’output.
Idea
di
fondo:
l’apprendimento
linguistico
risente
di
fattori
ambientali,
ma
soprattutto
di
fattori
interni
all’apprendente,
che
individua
in
due
dispositivi
psicolinguistici
inconsci
(il
filtro
affettivo
e
l’organizzatore)
e
uno
cosciente
(il
monitor)
à
l’ambiente
linguistico
fornisce
l’input
linguistico;
l’input
passa
attraverso
il
filtro
affettivo,
che
può
bloccarlo
o
trasmetterlo
all’organizzatore;
l’organizzatore
inconscio
elabora
i
dati
e
li
organizza
in
un
sistema
(in
questo
livello
di
elaborazione
si
verificano
gli
errori
e
le
costruzioni
transitorie
dell’interlingua);
il
materiale
linguistico
cosí
elaborato
viene
poi
rivisto
in
maniera
consapevole
dal
monitor,
derivante
dallo
studio
della
grammatical
e
responsabile
ad
esempio
delle
autocorrezioni.
Secondo
il
neurolinguista
Fabbro,
esistono
evidenze
scientifiche
che
dimostrano
la
differenza
tra
acquisizione
e
apprendimento
e
il
coinvolgimento
di
stutture
cerebrali
diverse
a
seconda
che
si
tratti
di
processi
di
acquisizione
(sistemi
emozionali,
strutture
corticali
e
sottocorticali)
o
di
apprendimento
(aree
della
corteccia
cerebrale).
La
teoria
di
Krashen
postula
l’acquisizione
come
processo
individuale.
Per
imparare
una
lingua
non
basta
studiarla,
ma
occorre
acquisirla
attraverso
un
coinvolgimento
in
attività
significative
sia
sul
piano
affettivo
che
cognitivo.
Inzio
del
XXI
secolo
à
l’evoluzione
del
concetto
di
competenza
ha
subito
alcui
approfondimenti
teorici
da
parte
di
linguisti
e
filosofi
del
linguaggio
in
ambito
anglosassone
-‐-‐
>
negli
anni
Settanta
emergono
in
Europa
alcune
teorie
dell’apprendimento
che
fanno
riferimento
a
un’idea
di
lingua
come
strumento
di
comunicazione.
-‐ Chomsky
nel
1968
introduce
il
concetto
di
competenza
linguistica;
-‐ J.
Austin
e
J.
Searle
elaborano
la
teoria
degli
atti
linguistici
e
mettono
a
fuoco
il
concetto
di
competenza
pragmatica
e
di
appropriatezza
socioculturale;
-‐ Dell
Hymes
nel
1972
introduce
il
concetto
di
competenza
comunicativa,
intesa
come
capacità
del
parlatne
di
esprimere
giudizi
sul
proprio
enunciato
e
di
scegliere
le
forme
più
apprppriate
ai
propri
scopi.
Si
tratta
di
una
rivoluzione
copernicana.
Tuttavia
il
passaggio
al
Terzo
millennio
porta
con
sè
molti
cambiamenti:
emerge
una
sorta
di
sfiducia
nel
metodo
didattico:
10
-‐ si
supera
il
concetto
stesso
di
metodo,
che
confluisce
in
un
generico
approccio
eclettico,
in
cui
si
integrano
i
principi
della
linguistica,
della
glottodidattica,
della
psicolinguistica
e
delle
neuroscienze
cognitive,
allo
scopo
di
facilitare
e
accelerare
i
processi
di
apprendimento
della
L2.
-‐ si
diversificano
i
ruoli
del
docente
e
si
accentua
l’autonomia
dell’apprendente,
anche
grazie
all’idea
di
‘educazione
che
dura
tutta
la
vita.
Inoltre,
grazie
all’impulso
alla
ricerca
dai
flussi
migratori
e
dalla
mobilità
studentesca
si
studiano
i
fenomeni
dell’acquisizione
della
L2
in
contesti
di
apprendimento
spontaneo
e
guidato,
gli
esiti
del
contatto
fra
lingue
distanti,
le
possibilità
di
apprendimento
facilitato
à
cambiamento
di
prospettiva:
al
concetto
di
unità
didattica
si
affianca
quello
di
unità
di
apprendimento
e
unità
di
lavoro,
e
la
linguistica
acquisizionale
fa
da
contrappunto
alla
glottodidattica
e
alla
linguistica
educativa.
Teoria
psicolinguistica
di
Pienemann:
cerca
di
spiegare
lo
sviluppo
dell’interlingua
e
ipotizza
quali
strutture
linguistiche
possono
essere
elaborate
ad
un
dato
punto
del
suo
sviluppo
in
L2.
Tra
i
risultati
della
ricerca
sull’acquisizione
della
lingua
c’è
il
fatto
che
l’apprendimento
procede
per
stadi
o
tappe
obbligate.
Secondo
la
teoria
di
P.
(della
processabilità),
ogni
stadio
è
rappresentato
da
un
insieme
di
regole
che
si
sviluppa
sulla
base
dello
sviluppo
dello
stadio
precedente
à
requisito
per
l’apprendimento
dell’insieme
di
regole
dello
stadio
immediatamente
successive.
Fine
del
XX
secolo:
serie
di
documenti
che
avranno
un
effetto
sulle
metodologie
di
insegnamento
dei
singoli
docenti,
ma
anche
sui
curricoli,
sulle
certificazioni,
sui
materiali
didattici,
sulle
scelte
e
sul
modo
di
apprendere
dei
soggetti
interessati
à
QCER:
tiene
conto
delle
nuove
esigenze
sociali
nel
campo
dell’insegnamento
delle
lingue
moderne
in
Europa,
dovute
alla
crescente
mobilità
delle
persone,
all’ampliamento
dell’istruzione
e
alla
costituzione
di
una
Comunità
Europea
che
tra
gli
obiettivi
ha
la
promozione
del
plurilinguismo.
Nonostante
la
crisi
economica
di
inizio
millennio
à
teorie
e
ricerche
europee
sull’apprendimento
della
L2
(es.
traduzione
del
QCER
in
molte
lingue
anche
extraeuropee).
Linee
di
tendenza
più
significative
per
la
didattica
delle
lingue
moderne,
emerse
dal
QCER:
-‐ apprendimento
orientatao
all’azione
e
alla
comunicazione
interculturale:
il
QCER
sollecita
i
docenti
di
lingue
europei
a
favorire
l’apprendimento
orientato
all’azione,
centrato
sull’uso
di
testi
e
temi
rilevanti
per
l’apprendente.
Il
fine
ultimo
è
interagire
in
L2
per
raggiungere
i
propri
scopi
comunicativi,
ma
anche
raggiungere
una
competenza
di
mediazione
orale
e/o
scritta,
in
modo
da
poter
mettere
in
comunicazione
persone
che
non
ne
avrebbero
altrimenti
la
possibilità.
(+
vedi
p.
36
elenco
puntato).
-‐ apprendimento
cooperativo:
modo
di
apprendere
che
potenzia
le
strategie
di
interazione
fra
pari,
i
cui
processi
di
apprendimento
vengono
condivisi
e
analizzati
nel
gruppo,
come
avviene
in
rete
nelle
comunità
virtuali
e
nei
forum
di
discussione.
Perchè
il
lavoro
di
gruppo
si
qualifichi
come
CL,
devono
essere
presenti
i
seguenti
elementi:
1)
positiva
interdipendenza;
2)
responsabilità
individuale;
3)
interazione
11
faccia
a
faccia;
4)
uso
appropriato
delle
abilità
nella
collaborazione;
5)
valutazione
del
lavoro.
-‐ apprendimento
autonomo:
mette
in
risalto
la
necessità
dell’autoaiuto
del
singolo,
attraverso
strategie
individuali.
Attraverso
metodi
didattici
come
il
Silent
Way,
strumenti
di
autovalutazione
come
il
Portfolio
Europeo
delle
Lingue,
si
può
aiutare
l’apprendente
a
imparare
ad
imparare.
-‐ apprendimento
integrato
lingua-‐contenuto
(CLIL):
possibilità
di
apprendere
la
L2
insieme
ai
contenuti
disciplinari
à
Content
and
Language
Integrated
Learning.
Può
essere
applicata
dalla
scuola
dell’infanzia
alla
secondaria
di
secondo
grado
fino
all’università.
4
elementi
costitutivi
fondamentali
ed
estremamente
connessi
in
ogni
intervento
formativo
ispirato
a
questa
metodologia:
1.contenuto
(mette
a
fuoco
l’introduzione
in
classe
di
nuove
conoscenze
disciplinari,
da
cui
devono
svilupparsi
le
abilità
e
la
capacità
di
comprensione
della
materia);
2.comunicazione
(interazione
in
classe
fra
docente
e
studenti);
3.abilità
cognitive
(legate
all’impegno
in
attività
di
pensiero
di
ordine
superior
–
superamento
del
semplice
trasferimento
di
saperi
dall’esperto
all’inesperto);
4.cultura
(la
consapevolezza
del
concetto
di
sè
e
di
altro
da
sè,
i
fenomeni
legati
all’identità
e
alla
cittadinanza).
-‐ apprendimento
attraverso
l’esperienza:
LTTA
(Language
Teaching
through
the
Arts
–
abbinamento
lingua/musica,
lingua/teatro,
lingua/cinema,
lingua/danza.
Si
stanno
profilando
le
caratteristiche
specifiche
di
una
metodologia
che
subordina
l’apprendimento
della
L2
alle
possibilità
di
esprimersi
creativamente
attraverso
varie
forme
di
arte.
I
metodo
LTTA
mette
in
stretta
correlazione
l’apprendimento
della
L2
con
l’esperienza,
in
particolare
con
l’esperienza
artistica,
che
sviluppa
il
talento
individuale,
crea
una
condizione
psicologica
positiva
nell’apprendente
e
lo
spinge
a
focalizzare
il
messaggio
(in
L2)
più
che
la
forma.
-‐ apprendimento
plurilingue
e
Translanguaging:
poco
dopo
il
trattato
di
Maastricht
(1991),
viene
firmato
un
documento
in
cui
si
promuoveva
l’idea
di
una
società
europea
basata
sulla
conoscenza
e
sull’educazione
permanente
(lifelong
learning),
i
cui
cittadini
abbiano
la
competenza
attiva
in
almeno
3
lingue
(la
madrelingua,
una
lingua
veicolare
e
una
lingua
a
scelta
per
i
propri
bisogni
o
interessi).
Nel
QCER
emerge
la
sollecitazione
al
mantenimento
del
plurilinguismo
europeo
come
ricchezza
e
caratteristica
distintiva
e
imprescindibile.
Il
plurilinguismo
a
scuola
va
saputo
gestire
come
risorsa
e
non
come
limite
e
può
aprire
a
tutti
i
Paesi
nuove
e
interessanti
prospettive
finora
riservate
a
contesti
da
più
tempo
orientate
al
plurilinguismo.
Da
tener
conto
un
recupero
dell’apprendimento
delle
lingue
classiche,
da
valorizzare
in
quanto
fortemente
produttivo
dal
punto
di
vista
della
consapevolezza
linguistica.
Questioni
principali
della
metodologia
DIL
(Didattica
Integrata
delle
Lingue):
nella
scuola
permette
di
realizzare
un
curriculo
linguistico
unitario,
che
tenga
conto
delle
differenze
di
acquisizione
della
L1,
della
L2
o
di
un’altra
lingua
non
materna
successive
a
questa;
favorisce
lo
sviluppo
nei
docenti
di
una
più
alta
professionalità,
basata
sulla
capacità
di
interagire
con
i
colleghi
di
altre
lingue,
creando
una
rete
di
anticipazioni
e
retroazioni
speculari
rispetto
alla
competenza
strategica
plurilingue
che
si
vuole
che
gli
allievi
acquisiscano
come
effetto
della
DIL.
In
generale,
favorisce
l’apprendimento
di
diversi
sistemi
linguistici
mediante
un
reciproco
rinforzo;
permette
all’allievo
di
anticipare,
comprendere
consapevolmente
e
successivamente
12
interiorizzare
certi
processi
mentali
interlinguistici;
si
basa
su
due
principi
fondamentali
àil
principio
di
anticipazione
(l’apprendimento
della
L1
e
poi
della
L2
e
poi
della
L3
vengono
visti
come
anticipatori
di
altri
apprendimenti
linguistici);
il
principio
di
retroazione
(ogni
apprendimento
linguistico
provoca
una
ristrutturazione
di
ciò
che
è
stato
appreso
prima);
spinge
i
docenti
all’uso
di
strategie
comparative;
sviluppa
negli
apprendenti
una
competenza
strategica
trasversale;
favorisce
il
recupero
e
lo
sviluppo
di
competenze
parziali
e
l’intercomprensione
fra
lingue
affini.
Translanguaging
–
processo
di
complesse
pratiche
discorsive
plurilingui,
che
impegnano
allievi
e
docente,
allo
scopo
di
attivare
diverse
competenze
e
saperi
in
tutte
le
lingue
del
repertorio
degli
studenti,
sia
attraverso
una
riflessione
su
atteggiamenti
linguistici
e
sensibilità
semiotica,
sia
con
la
proposta
di
progetti
per
la
valorizzazione
delle
lingue
minoritarie
e
immigrate.
CAPITOLO
3
L’interazione
nella
classe
di
L2
L’interazone
didattica
–
a
partire
dal
secondo
dopoguerra
prendono
il
via
ricerche
sulle
dinamiche
comunicative
all’interno
della
classe
(forte
esigenza
di
ampliare
il
tasso
di
scolarizzazione
dei
giovani).
Inizi
anni
Settanta
–
si
afferma
il
filone
di
ricerca
dell’analisi
del
discorso.
Tra
i
principi
dell’analisi
del
discorso
troviamo
un
nodo
concettuale
importante
per
la
comunicazione
in
classe:
il
formato
triadico
dell’interazione
insegnante-‐
studente-‐insegnante.
Questo
scambio
vede
coinvolte
tre
mosse,
la
initiation
(mossa
di
apertura
del
docente),
la
response
(mossa
di
risposta
dell’apprendente)
e
il
feedback
o
follow
up
(ulteriore
mossa
del
docente
che
può
avere
natura
di
accettazione,
riparazione,
commento.
Dopo
la
diffusione
dei
presupposti
teorici
dell’analisi
del
discorso,
si
è
verificato
un
cambiamento
di
rotta
verso
un
tipo
di
studio
qualitativo,
che
facesse
emergere
bene
i
tratti
dell’interazione
in
classe
à
analisi
della
conversazione
(due
studiosi
californiani,
Sacks
e
Schhegloff):
il
parlato
ha
una
precisa
architettura
e
i
suoi
elementi
costituenti
seguono
un
ordine
rigorosamente
organizzato.
Il
senso
delle
parole
e
degli
enunciati
è
costruito
turn
by
turn.
Negli
anni
Ottanta
e
poi
Novanta
si
assiste
ad
una
ripresa
negli
studi
in
contesti
anche
istituzionali
(tribunali,
questure,
studi
medici..).
Struttura
interna
–
componente
fondamentali
dell’interazione
didattica:
la
lingua,
mezzo
e
oggetto
di
insegnamento.
Il
docente
è
fonte
di
riferimento
metalingustico
e
modello
di
lingua
viva.
Spesso
sono
utilizzate
le
domande
come
display
questions,
che
vengono
utilizzate
per
testare
lo
studente
piuttosto
che
per
colmare
una
mancanza
di
informazioni.
Gli
studenti
si
aspettano
correzioni
esplicite
degli
errori.
Uso
frequentissimo
del
formato
triadico
(mossa
up,
initiating,
da
parte
del
docente
–
mossa
down,
response,
dello
studente
–
feedback,
valutazione,
da
parte
del
docente).
In
caso
di
feedback
negativo
(o
correttivo)
la
sequenza
resta
aperta,
perchè
il
docente
cercherà
di
condurre
l’apprendente
a
una
conclusione
di
successo
tramite
un
percorso
strategico
mirato.
Dunque,
l’interazione
in
classe
ha
un
carattere
spesso
artificioso.
Asimmetria
di
ruoli
e
di
potere
–
il
contesto
classe
rappresenta
una
situazione
di
asimmetria
plurima.
Principio
che
regola
l’alternanza
del
turno
di
parola:
nelle
interazioni
13
in
classe
il
potere
gestionale
(l’apertura),
la
lunghezza
e
l’alternanza
dei
turni
è
una
prerogativa
dell’insegnante:
spetta
al
docente
decidere
chi,
quando,
su
che
cosa
e
per
quanto
parlare,
e
sceglie
anche
chi
parlerà
nel
turno
successivo.
La
predominanza
del
parlato
del
docente
si
stempera
durante
tasks
che
prevedono
lavori
di
gruppo
e
attività
ludiche
in
cui
i
flussi
comunicativi
sono
impostati
su
una
base
prioritaria
studente-‐
studente.
3
formati
didattici
con
3
macrotipi
di
organizzazione
interazionale:
1.
a
stella
àla
lezione
è
di
tipo
frontale
(monologo
del
docente
e
interventi
degli
alunni
con
presa
di
parola
non
libera);
2.
a
reticolo
àinterventi
liberi
di
docente
e
alunni
(disposizione
a
cerchio
o
a
semicerchio);
3.
a
isolotti
à
lavori
di
gruppo,
prevalenza
di
interventi
tra
pari
e
intervento
del
docente
solo
su
richiesta
della
classe.
All’interno
di
una
interazione
di
tipo
istituzionale,
l’asimmetria
di
potere
può
derivare
anche
da
fattori
esterni:
ad
esempio
le
capacità
relazionali,
lo
status
e
il
ruolo
istituzionale,
la
professione.
Importanza
del
concetto
insegnante-‐regista:
figura
guida,
risorsa
e
organizzatore
dell’interazione.
Questo
ruolo
viene
realizzato
sul
piano
pratico
attraverso
una
serie
di
strategie
e
strutture
messe
in
atto
sulla
base
di
un’agenda
nascosta
di
un
iter
che
l’insegnante
prevede
di
seguire
durante
la
lezione
e
che
può
ri-‐orientare
in
tempo
reale
secondo
quanto
emerge
dal
discorso
e
dal
contestO
in
classe.
Il
parlato
del
docente
–
rintracciare
line
generali
nel
parlato
del
docente
è
un’impresa
difficile,
ma
si
possono
delineare
dei
tratti
e
delle
strategie
fondamentali
nella
lingua
dell’insegnante.
Il
teacher
talk
rientra
tra
le
varietà
di
lingua
modificate,
cioè
le
varietà
utilizzate
in
casi
in
cui
la
competenza
linguistica
dell’interlocutore
è
limitata.
Modificazioni
àmodifiche
strutturali
o
pre-‐modificazioni:
l’input
proposto
in
classe
dal
docente
di
lingua
è
caratterizzato
da
tre
tipi
di
modificazioni
strutturali:
1)
semplificazione
–
opera
a
livello
morfosintattico,
lessicale
e
fonologico;
2)
regolarizzazione
–
il
docente
sceglie
di
utilizzare
strutture
basiche;
3)
elaborazione
–
l’enunciato
viene
sviluppato
e
ampliato
per
una
maggiore
comprensibilità.
Modifiche
interazionali:
modified
interaction
–
prevalenza
del
formato
triadico,
la
gestione
e
la
lunghezza
dei
turni,
la
scelta
dell’argomento
e
altri
aspetti
dominati
dalla
figura
del
docente.
Tra
gli
elementi
riscontrabili
nel
parlato
del
docente
possono
essere
rintracciati
gli
indicatori
fatici.
Questi
sono
distinguibili
in
2
categorie,
a
seconda
del
ruolo
che
ricoprono
all’interno
del
parlato:
indicatori
fatici
metatestuali
–
i
connettivi
che
hanno
la
funzione
di
segnalare
la
struttura
e
l’articolazione
del
discorso;
indicatori
pragmatico-‐fatici
–
indicano
l’atteggiamento
che
il
parlante
assume
nei
confronti
del
suo
interlocutore
(richiami
di
attenzione,
di
contatto,
di
incitamento,
di
riconoscimento..).
Particolare
rilievo
hanno
gli
elementi
prosodici
(il
ritmo,
le
pause,
il
tono,
la
velocità
di
emissione).
Lo
stesso
vale
per
gli
elementi
extralinguistici,
come
la
gestualità,
la
cinesica
e
tutte
le
espressioni
corporali
e
facciali
che
permettono
al
docente
di
esprimere
la
volontà
di
un
rapporto
più
diretto
con
la
classe.
14
Nel
parlato
del
docente
si
rintracciano
poi
delle
strategie
di
trasparenza,
relative
ad
aspetti
pragmatici
e
lessicali:
ci
si
limita
a
forme
lessicali
rintracciabili
in
un
vocabolario
basico
ad
alta
frequenza;
si
raggiunge
la
trasparenza
anche
attraverso
l’uso
di
parafrasi,
ripetizioni
di
concetti
tramite
sinonimi.
Altro
aspetto
rintracciabile
nel
parlato
del
docente
è
la
presenza
delle
pratiche
di
glossa,
espressioni
che
permettono
di
capire
le
intenzioni
del
parlante
e
agevolare
una
corretta
interpretazione
degli
enunciti
prodotti.
Le
pratiche
di
glossa
sono
legate
al
contesto
e
spesso
si
identificano
con
deittici
spazio-‐temporali
(adesso,
ora,
poi,
prima,
qui,
siamo
in
classe..).
Il
contesto
didattico
e
la
correzione
dell’errore
–
uno
dei
primi
studi
sul
trattamento
dell’errore
è
quello
condotto
da
Hendrickson
nel
1978
à
gli
errori
degli
apprendenti
dovrebbero
essere
corretti?
Quando
dovrebbero
essere
corretti?
Quali
errori
dovrebbero
essere
corretti?
Come
dovrebbero
essere
corretti?
Chi
dovrebbe
fare
le
correzioni?
Uno
dei
fattori
chiave
riguarda
l’età
degli
apprendneti:
adulti
e
bambini
non
regaiscono
allo
stesso
modo
di
fronte
alla
correzione.
Vanno
inoltre
considerate
le
differenze
tra
culture.
Alcune
ricerche
dimostrano
poi
come
sia
complicato
determinare
esattamente
il
tipo
di
errore
commesso.
La
correzione
sia
in
grammatica
che
in
altre
aree
linguistico-‐pragmatiche
è
una
situazione
attesa
dallo
studente,
un
processo
utile
tramite
cui
ci
si
può
migliorare
e
accrescere
la
consapevolezza
della
L2.
Un
buon
insegnante
dovrebbe
essere
in
grado
di
determinare
quando
intervenire:
se
il
focus
è
su
un
aspetto
morfosintattico
e
lo
studente
non
procede
in
modo
giusto
con
l’applicazione
della
regola
grammaticale
sarà
compito
del
docente
intervenire;
se
il
focus
è
incentrato
sul
contenuto
o
su
aspetti
prettamente
comunicativi,
la
correzione
dell’errore
potrebbe
interrompere
il
flusso
del
parlato
e
distogliere
l’attenzione
dallo
scopo
principale
di
quell’attività.
A
livelli
bassi,
quando
l’esigenza
primaria
è
farsi
capire
per
comunicare,
il
docente
tenderà
a
correggere
poco
gli
aspetti
morfologici,
e
più
quelli
lessicali
e
pragmatici
che
potrebbero
compromettere
la
comprensione
del
messaggio.
I
tipi
di
correzione
secondo
la
classificazione
di
Lyster
e
Ranta
(1997):
-‐ explicit
correction;
-‐ recast
(riformulazione)
–
il
docente
riformula
tutto
escluso
l’errore,
che
viene
corretto
à
è
la
strategia
più
utilizzata:
permette
di
agire
sull’errore
fornendo
l’esempio
positivo,
ha
il
vantaggio
di
non
interrompere
il
flusso
comunicativo,
lasciando
che
il
focus
rimanga
sul
contenuto.
-‐ clarification
request
–
il
docente
chiede
allo
studente
di
chiarire
l’enunciato,
tramite
ripetizione
o
riformulazione;
-‐ metalinguistic
feedback
–
l’insegnante
dà
indicazioni
per
far
capire
allo
studente
che
nell’enunciato
prodotto
ci
sono
degli
errori
(es.
il
verbo
tornare
vuole
l’ausiliare
essere);
-‐ elicitation
–
l’insegnante
può
chiedere
esplicitamente
al
suo
studente
di
completare
il
suo
enunciato
(anche
tramite
pause);
-‐ repetition
–
l’insegnante
ripete
la
forma
errata
prodotta
dallo
studente
cercando
di
sottolineare
tale
errore
con
un’intonazione
particolare.
15
Strategie
di
autoriparazione
e
correzione
etero–iniziata
ma
auto-‐conclusa
à
l’insegnante
attiva
percorsi
in
cui
fornisce
solo
indicazioni,
mentre
la
risposta
corretta
finale
è
data
dall’apprendente.
Tale
pratica
consente
la
riflessione
e
la
successiva
comprensione
dell’errore,
ossia
l’effettivo
scopo
del
processo
correttivo.
Correzione
correttiva
corale
–
usata
in
classi
di
bambini
à
la
correzione
come
evento
pubblico,
come
occasione
per
aprire
una
discussion
collettiva.
Quando
correggere?
–
il
momento
in
cui
si
verifica
il
processo
correttivo
può
influenzare
la
reazione
e
i
risultati
attesi.
Alcuni
studiosi
propendono
per
una
correzione
posticipata,
altri
per
un
intervento
immediato
sulle
deviazioni.
SUBITO
–
difficoltà
di
pronuncia,
problem
di
comprensione
del
messaggio
POST
–
spiegazioni
esplicite
su
questioni
strutturali.
CAPITOLO
4
Tecnologie
per
la
didattica
della
L2
Dall’inizio
del
XXI
secolo
la
diffusione
di
Internet
e
delle
tecnologie
dell’informazione
e
della
comunicazione
ha
molto
modificato
il
modo
di
condurre
le
lezioni
di
lingua.
La
convergenza
digitale,
facendo
confluire
più
mezzi
e
più
canali
di
comunicazione
in
un
unico
device,
ha
condotto
alla
sovrapposizione
dei
tradizionali
settori
di
intervento
delle
tecnologie
utilizzate
nella
didattica.
Le
tecnologie
non
sono
quindi
semplici
sussidi
per
presentare
testi
e
condurre
esercitazioni,
ma
anche
mezzi
per
scoprire
nuovi
ambienti,
per
esplorare
altri
ambiti
culturali
e
raggiungere
nuovi
pubblici
dell’italiano.
Le
tecnologie
di
rete
nella
didattica
d’aula:
reperire
testi
appartenenti
a
differenti
tipologie
testuali,
a
diversi
generi
e
veicolati
attraverso
più
canali
di
comunicazione
è
diventato,
grazie
alla
rete,
un
compito
semplice
anche
per
coloro
che
insegnano
a
migliaia
di
km
di
distanza
dall’italia.
à
REPERIBILITÀ.
Anche
la
FRUIZIONE
è
stata
notevolmente
agevolata
dalla
diffusione
di
computer,
tablet
e
smartphone:
testi
scritti
possono
essere
facilmente
riprodotti
e
condivisi
con
la
classe,
quelli
audio
video
possono
essere
fruiti
collettivamente,
a
seconda
dei
supporti
tecnologici
disponibili.
La
rete,
inoltre,
consente
di
realizzare
un’ampia
gamma
di
attività
per
favorire
lo
sviluppo
di
abilità
di
comprensione
e
produzione,
a
seconda
della
configurazione
tecnologica
di
cui
si
dispone.
Con
una
LIM
ad
esempio,
possono
essere
presentati
contenuti
multimediali
e
possono
essere
svolte
attività
di
comprensione
e
manipolazione
del
testo
da
parte
della
classe.
Anche
un’aula
multimediale
in
cui
ogni
studente
la
propria
postazione
e
ha
la
possibilità
di
collegarsi
in
rete
consente
ulteriori
possibilità
di
lavoro.
Le
informazioni
raccolte
in
rete
dagli
studenti
possono
essere
raccolte
per
realizzare
un
blog
o
un
testo
in
scrittura
collaborative
che
permette
di
esplicitare
e
condividere
con
il
gruppo
le
scelte,
le
abilità
e
le
operazioni
cognitive
coinvolte
nella
produzione
del
testo.
+
possibilità
di
usare
la
lingua
di
apprendimento
in
reali
interazioni
comunicative
con
parlanti
nativi
o
con
altri
apprendenti
della
stessa
lingua
straniera.
Il
superamento
dei
confini
fisici
della
classe
consente
l’estensione
delle
attività
proposte
in
aula
anche
al
di
fuori
della
lezione
(strumenti
di
condivisione:
dropbox,
goggle
drive,
etc).
Si
può
poi
procedere
ad
invertire
le
fasi
di
lavoro,
ricorrendo
alla
metodologia
della
flipped
classroom:
l’insegnante
può
preparare
o
selezionare
materiali
da
distribuire
tramite
la
rete,
come
testi
o
filmati
su
cui
lo
studente
svolge
delle
attività
di
comprensione.
In
classe
possono
essere
poi
svolte
delle
attività
orientate
al
confronto
di
opinioni,
alla
riflessione
16
sulle
forme
linguistiche
presenti
nel
testo.
Attraverso
questo
modo
di
procedere
si
promuove
lo
sviluppo
attivo
di
competenze
da
parte
dello
studente
che
può
diventare
più
autonomo.
Corsi
di
lingua
online
à
corsi
a
distanza
o
in
formato
blended
learning,
in
cui
la
formazione
in
aula
e
in
rete
si
combinano.
Modo
più
semplice
per
attuare
lezioni
a
distanza:
Skype,
Hangouts,
Join
me,
Uberconference,
Mikogo.
La
lezione
può
svolgersi
seguendo
modelli
operativi
utilizzati
anche
nella
didattica
in
presenza,
ma
occorre
avere
strumenti
su
cui
scrivere
e
annotare
informazioni
da
condividere
con
gli
studenti
(es.
Ziteboard,
GoogleDocs).
La
formazione
linguistica
a
distanza
può
essere
svolta
utilizzando
una
piattaforma
e-‐
learning,
che
consiste
in
un
ambiente
software
specifico
per
lo
sviluppo
e
l’erogazione
di
corsi
online,
all’interno
del
quale
è
possibile
implementare
e
gestire
materiali
per
l’apprendimento,
monitorare
i
percorsi
formativi
degli
studenti
e
accedere
a
una
serie
di
strumenti
di
comunicazione
e
di
servizi
(forum,
chat,
tutoring
online).
Piattaforme
OPEN
SOURCE
=
utilizzabili
gratuitamente
da
tutti
per
sviluppare
corsi
formativi
in
rete.
Sono
piattaforme
open
source
MOODLE,
molto
diffusa
in
ambito
universitario,
e
Edmodo,
utilizzato
nel
mondo
scolastico.
Un
corso
in
cui
la
dimensione
sociale
della
conoscenza
possa
rivestire
un
ruolo
importante
richiede
di
allestire
in
piattaforma
un
ambiente
per
l’apprendimento
in
cui
l’organizzazione
dello
spazio
risulti
subito
chiara,
lo
studente
sappia
agevolmente
come
muoversi,
dove
trovare
i
materiali
di
studio,
le
risorse
di
rete
e
gli
strumenti
per
interagire
con
la
comunità
di
apprendimento.
Le
attività
proposte
devono
focalizzare
l’attenzione
sul
processo
dell’apprendere,
nella
convinzione
che
la
competenza
consista
soprattutto
nel
sapere
come,
piuttosto
che
solo
sul
sapere
dichiarativo,
e
devono
essere
previsti
tempi
adeguati
per
lavorare
in
gruppo,
discutere
sul
contenuto
del
compito
e
sulle
modalità
di
realizzazione,
consultare
il
tutor
e
seguirne
le
indicazioni
(è
importante
creare
ambienti
multirelazionali
in
cui
gli
studenti
sono
orientati
e
seguiti
da
tutor
esperti,
in
cui
la
collaborazione
e
il
support
tra
pari
rappresenta
un’opportunità
per
migliorare
il
processo
di
apprendimento
e
per
mantenere
sempre
la
motivazione).
Una
modalità
di
formazione
online
è
quella
di
MOOC
(Massive
Open
Online
Courses):
oggi
risultano
circa
200
i
corsi
di
lingua
offerti,
tra
cui
primeggiano
quelli
di
lingua
inglese
e
di
lingua
cinese.
Un
corso
di
lingua
efficace
non
può
limitarsi
a
una
videolezione
ma
deve
configurarsi
come
un
percorso
strutturato
con
sezioni
interrelate,
dedicate
allo
sviluppo
di
diverse
abilità
e
competenze.
Il
cuore
di
un
MOOC
è
costituito
da
videoregistrazioni
implementate
su
una
piattaforma,
fornita
da
un
provider.
Il
percorso
di
apprendimento
è
generalmente
articolato
in
alcune
settimane
di
corso,
in
cui
le
attività
sono
accompagnate
da
interazioni
con
studenti
e
tutor.
Nell’insegnamento
delle
lingue
straniere
l’articolazione
settimanale
deve
essere
conciliata
con
formati
didattici
che
possono
sostenere
l’apprendimento
linguistico
(una
settimana
di
corso
può
quindi
contenere
più
unità
di
apprendimento).
Uno
dei
limiti
delle
piattaforme
disponibili
per
la
creazione
e
la
diffusione
di
MOOC
è
la
ridotta
gamma
di
attività
realizzabili.
Gli
strumenti
per
sviluppare
il
percorso
didattico
difficlmente
consentono
di
andare
oltre
domande
a
scelta
binaria
e
a
scelta
multipla,
l’abbinamento,
il
drag
and
drop
e
il
completamento
di
frasi.
La
creazione
di
un
MOOC
linguistico
in
grado
di
stimolare
la
motivazione
e
sostenere
l’apprendimento
è
fortemente
dipendente
da
alcuni
requisiti:
17
-‐
le
competenze
glottodidattiche
e
tecnologiche
degli
sviluppatori;
-‐
la
dinamicità
dei
video
proposti;
-‐
la
varietà
di
risorse
di
apprendimento
messe
a
disposizione;
-‐
le
sollecitazioni
rivolte
alla
comunità
di
apprendimento.
Apprendere
l’italiano
attraverso
i
MOOC
è
possibile
dal
2016:
il
Weesley
College
(Massach.
USA)
ha
messo
in
rete
il
primo
MOOC
per
l’apprendimento
dell’italiano
L2
(Italian
Language
and
Culture:
Beginner).
Il
corso
è
stato
rielaborato
nel
2018:
nella
versione
attuale
il
corso
ha
una
durata
di
8
settimane
(4
unità
di
apprendimento,
con
materiali
audio,
video
e
scritti
con
approfondimenti
grammaticali
e
attività
di
impiego
guidato
delle
forme
linguistiche
presentate.
A
questo
primo
corso,
sono
seguiti
quello
di
livello
intermedio
e
avanzato.
A
qualche
mese
di
distanza
dal
MOOC
statunitense
è
stato
realizzato
il
primo
corso
massivo
di
italiano
L2
realizzato
da
un
ateneo
italiano
(Università
per
stranieri
di
Siena),
sul
provider
britannico
FutureLearn
e
rivolto
a
principianti
assoluti,
di
una
durata
di
6
settimane.
Ogni
settimana
comprende
3
unità
di
apprendimento,
strutturate
in
modo
tale
che
gli
atti
linguistici
presentati
siano
ripresi
nelle
sezioni
successive
per
approfondirne
il
valore
funzionale
della
comunicazione,
gli
aspetti
lessicali
e
grammaticali.
Esistono
dei
discussion
point,
cioè
linee
di
discussione
su
forum,
a
cui
gli
studenti
sono
chiamati
a
partecipare
attraverso
una
consegna
mirata.
Giunto
alla
sesta
edizione,
Introduction
to
Italian
ha
coinvolto
più
di
90.000
apprendenti
in
vari
Paesi
del
mondo.
Limiti
e
sviluppi
dei
MOOC:
rigidità
delle
piattaforme,
costi,
l’enorme
numero
di
studenti
che
partecipa
ai
corsi
(es.
per
l’interazione),
rigidità
dei
tempi
di
erogazione
del
corso
(calendario
prestabilito,
con
apertura
preceduta
da
un
periodo
di
reclutamento
degli
studenti
iscritti
relativamente
lungo).
Per
rendere
più
flessibile
la
partecipazione
ai
MOOC,
molti
provider
hanno
prima
introdotto
i
programmi,
che
articolano
la
trattazione
di
un
argomento
in
più
corsi
erogati
nell’arco
dell’anno
accademico,
in
modo
da
offrire
un
impegno
a
lungo
termine
dello
studente.
CAPITOLO
5
I
livelli,
le
competenze
e
le
attività
linguistico-‐comunicative
in
L2
nel
QCER
(2001/2018)
Il
QCER
(Quadro
comune
europeo
di
riferimento
per
le
lingue)
costituisce
una
guida
e
un
punto
di
riferimento
per
tutti
coloro
che
operano
nel
campo
dell’insegnamento
e
dell’apprendimento
delle
lingue.
Si
tratta
di
un
documento
di
consultazione
e
di
riferimento
poichè
<<vuole
fornire
strumenti
concettuali
e
terminologici
unitari
per
discutere
su
una
materia
condivisa
fra
tutti
i
sistemi
formativi
europei,
cioè
l’educazione
linguistica;
riflettervi
e
discuterne
nella
salvaguardia
della
diversità>>.
Il
suo
obiettivo
primario
è
promuovere
la
qualità
dell’insegnamento
delle
lingue,
e
auspicare
un’Europa
di
cittadini
plurilingui
e
di
mentalità
aperta
al
rispetto
per
l’identità
e
la
diversità
delle
culture,
infine
quello
di
mettere
a
disposizione
dei
punti
di
riferimento
comuni
(fare
in
modo
che
un’educazione
linguistica
inclusive
di
qualità
sia
un
diritto
di
tutti
i
cittadini).
Principi
e
finalità
del
QCER
2001:
definire
esplicitamente
gli
obiettivi
e
gli
esiti
dell’educazione
linguistica
a
tutti
i
livelli.
La
definizione
degli
aspetti
della
competenza
si
esprime
sotto
forma
di
‘’sono
in
grado
di’’.
18
I
livelli:
livelli
di
riferimento
per
la
verifica
delle
competenze.
Il
QCER
propone
un
modello
di
misurazione
articolato
in
3
profili
di
apprendenti
e
6
livelli
di
competenza,
che
corrispondono
a
interpretazioni
superiori
o
inferiori
della
classica
suddivisione
in
livello
elementare,
intermedio
e
avanzato.
Nelle
formulazioni
di
ciascun
livello
si
seleziona
ciò
che
è
saliente
o
nuovo
a
quell
livello.
Le
competenze:
il
QCER
descrive
in
modo
esaustivo
ciò
che
chi
studia
una
lingua
deve
imparare
per
usarla
per
comunicare,
e
indica
quali
conoscenze
e
abilità
deve
sviluppare
per
agire
in
modo
efficace.
Si
pone
la
necessità
per
l’apprendente
di
acquisire
abilità
e
competenze
funzionali
alle
diverse
situazioni
comunicative.
L’idea
di
lingua
proposta
nel
QCER
è
di
tipo
pragmatico
sociolinguistico.
Secondo
un
approccio
orientato
all’azione,
il
documento
descrive
e
distingue
le
competenze
in
generali
e
linguistico-‐comunicative.
Competenze
generaliàil
sapere
(come
conoscenza
del
mondo);
il
saper
fare
(sapere
procedurale,
abilità
pratiche);
il
saper
essere
(competenza
esistenziale,
tratti
della
personalità);
il
saper
apprendere
(la
capacità
di
imparare,
che
coinvolge
il
sapere,
il
saper
fare
e
il
saper
essere).
Competenze
linguistico-‐comunicativeàla
competenza
linguistica,
la
competenza
sociolinguistica,
la
competenza
pragmatica.
Le
attività
linguistico-‐comunicative
àil
QCER
supera
il
modello
tradizionale
delle
4
abilità
e
propone
un’organizzazione
più
vicina
all’uso
reale
della
lingua,
fondato
sull’interazione
e
sulla
co-‐costruzione
del
significato.
Dalle
4
abilità
tradizionali
derivano
ricezione
e
produzione,
comprensive
entrambe
di
orale
e
scritto.
L’interazione
comprende
sia
la
ricezione
che
laproduzione,
la
mediazione
include
la
ricezione,
la
produzione
e
l’interazione.
Nel
QCER
2001
il
concetto
di
mediazione
viene
accennato
e
viene
posto
l’accento
su
due
concetti
chiavi:
la
co-‐costruzione
del
significato
nell’interazione
e
il
costante
passaggio
tra
il
livello
individuale
e
sociale
nell’apprendimento
della
lingua
(mediatore
come
intermediario
tra
gli
interlocutori
àcentralità
della
dimensione
sociale).
Il
QCER
2018:
la
ratio
e
gli
obiettivi:
ampliamento
dei
descrittori,
specie
quelli
sulla
mediazione,
sulla
competenza
plurilingue/pluriculturale
e
sulla
lingua
dei
segni.
Sono
state
integrate
le
scale
dei
descrittori
del
2001,
piuttosto
che
modificare
i
descrittori.
Gli
obiettivi
principali
del
QCER
2018
riguardano:
-‐
arricchire
la
descrizione
dei
livelli,
specie
per
il
livello
A1
e
i
livelli
avanzati,
introducendo
anche
i
descrittori
per
il
ivello
pre
A1;
-‐
sviluppare
descrittori
per
le
attività
inguistiche
della
mediazione
e
per
le
‘reazioni’
alla
letteratura’;
-‐
integrare
le
scale
dei
descrittori
per
gli
aspetti
della
competenza
linguistico-‐comunicativa
e
ampliare
le
scale
descrittive
per
le
attività
linguistiche;
fornire
una
serie
di
descrittori
anche
per
le
competenze
plurilingue
e
pluriculturale;
-‐
applicare
i
descrittori
del
QCER
alla
lingua
dei
segni.
Ampliamento
dei
livelli
comuni
di
riferimento:
il
QCER
è
organizzato
su
due
assi,
quello
orizzontale
(dei
descrittori
che
descrivono
le
differenti
attività
ed
aspetti
della
competenza)
e
l’asse
verticale
(che
rappresenta
il
progresso
nella
padronanza
di
queste
categorie).
I
6
livelli
possono
essere
raggruppati
in
tre
categorie:
19
-‐
utente
principiante
(A1-‐A2);
-‐
utente
indipendente
(B1-‐B2);
-‐
utente
competente
(C1-‐C2).
L’abilità
linguistica
è
un
continuum
e
il
QCER
sottolinea
che
gli
utilizzatori
possono
ulteriormente
articolare
i
livelli
di
riferimento
in
sottolivelli,
introducendo
il
concetto
dei
livelli
potenziati,
che
rappresentano
un
livello
avanzato
di
competenza
raggiunto
ad
un
livello
che
non
soddisfa
ancora
lo
standard
minimo
del
livello
di
riferimento
successivo,
ma
in
cui
iniziano
a
comparire
le
caratteristiche
del
livello
superiore.
Nel
QCER
2018
compare
il
livello
pre-‐A1.
I
descrittori
per
la
mediazione:
l’uso
della
lingua
implica
molto
spesso
la
concomitanza
di
più
abilità
e
inoltre
spesso
si
usa
la
lingua,
non
per
comunicare
un
messaggio,
ma
per
concepire
un’idea
mediante
ciò
che
viene
chiamato
“mettere
in
lingua”
(languaging)
àper
parlare
di
un’idea
ed
esprimere
i
propri
pensieri,
o
facilitare
la
comprensione
e
la
comunicazione.
Lo
sviluppo
di
descrittori
per
la
mediazione
è
stata
la
parte
più
complessa
dell’ampliamento
del
QCER
2018.
Attività
di
mediazione
à
nella
mediazione
chi
usa/apprende
la
lingua
agisce
come
un
attore
sociale
che
crea
dei
ponti
e
aiuta
a
costruire
o
trasmettere
un
significato
all’interno
della
stessa
lingua
(mediazione
intralinguistica)
e
talvolta
da
una
lingua
all’altra
(mediaizone
interlinguistica).
Il
termine
mediazione
è
anche
utilizzato
per
descrivere
un
processo
sociale
e
culturale
che
consiste
nel
creare
le
condizioni
per
comunicare
e
cooperare,
affrontare
e
stemperare
con
successo
situazioni
delicate
ed
eventuali
tensioni.
Le
scale
si
riferiscono
a
tre
modalità
in
cui
la
mediazione
può
presentarsi
e
attuarsi.
Ecco
gli
elenchi
delle
attività
indicate
nel
QCER
2018
per
ognuna
delle
tre
modalità
di
mediazione
(TESTUALE
–
CONCETTUALE
–
COMUNICATIVA):
-‐ mediare
a
livello
testuale:
significa
trasmettere
il
contenuto
di
un
testo
a
persone
che
non
vi
accedono,
spesso
a
causa
di
barriere
linguistiche,
culturali,
semantiche
o
tecniche.
In
relazione
alla
mediazione
a
livello
testuale
il
QCER
2018
offre
un
approfondimento
sulle
reazioni
alla
letteratura.
4
fondamentali
tipi
di
reazioni:
1)
il
coinvolgimento
(avere
una
reazione
personale
alla
lingua,
allo
stile
e
al
contenuto,
sentirsi
attirati
da
un
aspetto
dell’opera
o
da
un
suo
personaggio);
2)
l’interpretazione;
3)
l’analisi;
4)
la
valutazione
(esprimere
un
giudizio
critic
sull’opera).
Scala
“Esprimere
una
reazione
personale
rispetto
a
testi
creativi
e
letterari”
à
è
incentrata
sull’effetto
che
un’opera
letteraria
ha
sull’utente/apprendente
da
un
punto
di
vista
soggettivo.
I
concetti
chiave
resi
operativi
nella
scala
sono:
spiegare
ciò
che
gli/le
piace,
descrivere
i
personaggi,
collegare
aspetti
dell’opera
alla
propria
esperienza,
collegare
sentimenti
ed
emozioni,
dare
un’interpretazione
personale
dell’opera.
A
livello
A1
chi
usa/apprende
la
lingua
è
in
grado
di
dire
se
gli
è
piaciuta
l’opera,
di
parlare
dei
personaggi,
collegare
certi
aspetti
dell’opera
alla
propria
esperienza,
in
modo
sempre
più
dettagliato
(fino
al
livello
B1);
al
livello
B2
è
in
grado
di
dare
spiegazioni
più
elaborate,
commentare
le
forme
espressive
e
lo
stile
e
dare
la
sua
interpretazione
sullo
sviluppo
della
trama,
i
personaggi;
a
livello
C1
C2,
è
in
grado
di
dare
interpretazioni
ampie
e
approfondite,
sostenendole
con
esempi.
20
Scala
“Analizzare
e
esprimere
un
giudizio
critico
su
testi
creativi
e
letterari”
à
gli
aspetti
analizzati
riguardano
il
significato
degli
eventi
che
costituiscono
la
trama
di
un
romanzo,
il
trattamento
di
temi
analoghi
in
altre
opera
e
le
relazioni
tra
queste
opera.
I
concetti
chiave
resi
operativi
nella
scala
sono:
confrontare
opera
diverse,
dare
un’opinione
motivata
su
un’opera,
valutare
in
modo
critico
gli
aspetti
dell’opera.
In
questa
scala
non
ci
sono
descrittori
per
i
livelli
A1
e
A2.
A
livello
B2
chi
usa/apprende
la
lingua
è
in
grado
di
analizzare
somiglianze
e
differenze
tra
le
opere,
dare
un’opinione
motivata
e
confrontarsi
con
i
punti
di
vista
degli
altri.
Al
livello
C1
l’analisi
verte
sul
modo
in
cui
l’opera
interessa
il
pubblico,
chi
usa/apprende
la
lingua
sa
riconoscere
caratteristiche
linguistiche
e
stilistiche
più
fini,
svelare
le
connotazioni
e
apprezzare
criticamente
il
modo
in
cui
la
struttura,
la
lingua
e
i
procedimenti
retorici
sono
utilizzati
in
un’opera
letteraria
per
particolari
scopi.
-‐ mediare
a
livello
concettuale
à
la
mediazione
a
livello
concettuale
si
riferisce
al
processo
che
facilita
l’accesso
al
sapere
e
ai
concetti
per
persone
che
non
sono
in
grado
di
accedervi
direttamente.
La
mediazione
dei
concetti
comprende
due
aspetti
complementari:
costruire
ed
elaborare
significati;
facilitare
e
incentivare
condizioni
che
favoriscano
lo
scambio
e
lo
sviluppo
concettuale.
La
lingua
è
uno
strumento
usato
per
pensare
a
un
argomento
e
per
parlarne
in
un
processo
dinamico
co-‐costruttivo.
Come
si
può
facilitare
l’utente/apprendente
nell’accesso
al
sapere
e
ai
concetti
attraverso
la
lingua?
Ci
sono
2
modi:
1)
lavoro
collaborativo
in
insiemi;
2)
quando
è
presente
un
facilitatore,
un
insegnante.
Vengono
presentati
due
insiemi
di
descrittori
relativi
al
collaborare
in
gruppo
e
al
condurre
un
gruppo
di
lavoro.
Stabilire
le
condizioni
(1
Sviluppare
le
idee
(2
insieme
insieme
di
descrittori)
di
descrittori)
Collaborare
in
un
gruppo
Facilitare
l’interazione
Cooperare
al
processo
di
collaborative
tra
pari
costruzione
del
significato
Condurre
il
lavoro
di
un
Gestire
le
interazioni
Promuovere
e
sostenere
lo
gruppo
sviluppo
di
concetti
in
un
discorso
-‐ mediare
a
livello
comunicativo
à
l’obiettivo
della
mediazione
comunicativa
è
facilitare
la
comprensione
e
dare
forma
a
una
comunicazione
efficace
tra
utenti/apprendenti
che
possono
avere
punti
di
vista
individuali,
socioculturali,
sociolinguistici
diversi.
Il
contesto
della
mediazione
corrisponderà
spesso,
ma
non
necessariamente,
a
un’attività
in
cui
i
partecipanti
hanno
condiviso
obiettivi
comuni.
La
mediazione
della
comunicazione
si
riferisce
prima
di
tutto
agli
incontri
personali.
I
descrittori
di
questa
sezione
riguardano
direttamente
gli
insegnanti,
i
formatori,
gli
studenti,
i
professionisti
che
desiderano
ampliare
la
loro
consapevolezza
e
competenza
nella
mediazione
comunicativa,
per
ottenere
migliori
risultati
nei
loro
modi
di
comunicare
in
una
o
più
lingue
particolari.
Facilitare
la
creazione
di
uno
Agire
come
intermediari
in
Facilitare
la
comunicazione
spazio
pluriculturale
situazioni
informali
in
situazioni
delicate
e
conflittuali
Promuovere
la
comprensione
delle
Comunicare
in
modo
informale
il
Esaminare
i
diversi
punti
di
vista
21
differenze
culturali
significato
di
una
conversazione
dei
participanti
e
sviluppare
i
punti
di
vista
espressi
Dimostrare
sensibilità
e
rispetto
Trasmettere
informazioni
Definire
un
terreno
comune
e
delle
per
i
diversi
punti
di
vista
e
culture
importanti
possibilità
di
concessioni
tra
i
partecipanti
Anticipare,
affrontare,
superare
Ripetere
il
significato
di
ciò
che
si
è
Tentare
di
modificare
il
punto
di
malintesi
dovuti
a
differenze
detto
in
discorsi,
esposizioni
orali,
vista
di
uno
o
più
partecipanti
per
socioculturali
e
sociolinguistiche
relazioni
avvicinarsi
a
un
accordo
o
a
una
soluzione
Competenze
linguistico-‐
communicative
à
il
QCER
presenta
scale
di
descrittori
per
gli
aspetti
della
competenza
linguistico-‐comunicativa,
organizzate
in
competenza
linguistica,
competenza
pragmatica,
competenza
sociolinguistica.
-‐padronanza
fonologica:
nell’aggiornamento
della
scala
gli
autori
hanno
ritenuto
più
appropriato
pore
particolare
attenzione
alla
<<comprensibilità>>
come
componente
principale
del
controllo
fonologico.
L’attenzione
rivolta
all’accento
e
alla
sua
correttezza
a
svantaggio
della
intelligibilità
ha
pregiudicato
lo
sviluppo
dell’insegnamento
della
pronuncia.
2001:
per
l’elaborazione
della
scala
sono
state
identificate
4
aree
principali
(articolazione-‐prosodia-‐accentazione-‐intelligibilità)
e
i
relativi
descrittori
resi
operativi
sulla
base
di
tre
categorie:
1.padronanza
fonologica
generale,
i
concetti
chiave
resi
operativi
nella
scala
sono
intelligibilità,
entità
dell’influenza
delle
altre
lingue
parlate,
padronanza
dei
suoni,
padronanza
dei
tratti
prosodici;
2.articolazione
dei
suoni,
l’attenzione
è
rivolta
alla
familiarità
e
alla
confidenza
con
i
suoni
della
lingua
di
arrivo.
Il
concetto
chiave
reso
operativo
nella
scala
è
il
grado
di
chiarezza
e
di
precisione
nell’articolazione
dei
suoni;
3.tratti
prosodici,
l’attenzione
è
rivolta
alla
capacità
di
utilizzare
efficacemente
i
tratti
prosodici
per
trasmettere
il
significato
in
modo
sempre
più
preciso.
I
concetti
chiave
resi
operativi
nella
scala
sono:
padronanza
dell’accento
tonico,
dell’intonazione
e
del
ritmo,
capacità
di
utilizzare
e
variare
l’accento
e
l’intonazione
per
mettere
in
evidenza
un
messaggio
particolare.
Competenza
plurilingue
e
pluriculturale
à
la
visione
plurilingue
del
QCER
2018
valorizza
la
diversità
culturale
e
linguistica
dell’individuo.
L’approccio
plurilingue
mette
l’accento
sull’integrazione.
Competenze
nella
lingua
dei
segni
à
il
QCER
inizia
a
svolgere
un
ruolo
importante
nella
formazione
e
qualificazione
professionale
degli
insegnanti
e
degli
interpreti
di
lingua
dei
segni
e
più
in
particolare
nell’azione
per
il
riconoscimento
delle
lingue
dei
segni
e
delle
qualifiche
professionali
di
chi
opera
in
questo
ambito.
La
caratteristica
fondamentale
della
lingua
dei
segni
è
che
questa
presuppone
una
capacità
di
rappresentazione
diagrammatica
dello
spazio
visivo
e
una
nozione
più
ampia
del
termine
testo.
Progetto
ProSign.
22
CAPITOLO
6
La
correzione
degli
errori
in
L2
Il
concetto
di
errore:
dall’AC
(analisi
contrastiva)
all’interlingua
Secondo
l’ipotesi
forte
dell’AC
la
prima
lingua
dell’apprendente
interferisce
con
l’acquisizione/apprendimento
della
seconda
di
modo
che
gli
errori
sono
prevedibili
e
inventariabili
in
base
alla
conoscenza
dei
due
sistemi
linguistici
implicati.
Tale
ipotesi
postula
che
dove
le
strutture
della
L1
differiscono
da
quelle
della
L2
si
riscontrerebbero
errori
che
riflettono
la
natura
della
L1
e
si
avrebbe
un
transfert
negativo;
il
transfert
sarebbe
positivo
se
la
L1
e
la
L2
hanno
strutture
uguali
e
la
L1
favorisce
la
corretta
esecuzione
in
L2.
L’AC
nella
sua
ipotesi
forte
ha
ottenuto
conferma
della
sua
validità
a
livello
fonetico
ma
non
a
livello
sintattico
e
in
misura
modesta
a
livello
morfologico
e
lessicale.
Importante:
non
ha
dimostrato
che
l’apprendimento
è
facilitato
quando
i
due
sistemi
linguistici
sono
simili
e
ostacolato
quando
sono
diversi.
L’AC
porta
alla
conseguenza
della
previsione
dell’errore,
mentre
non
tutti
gli
errori
possono
essere
spiegati
con
la
LM
poichè
nell’apprendimento
intervengono
anche
fatti
di
natura
psicologica,
sociale,
didattica,
patologica.
Ipotesi
debole
(Whitman
e
Jackson):
analisi
degli
errori
(AE)
–
una
lingua
si
impara
anche
attraverso
la
produzione
di
errori.
L’errore
viene
considerato
una
preziosa
fonte
di
conoscenza
del
processo
di
apprendimento.
Ogni
stadio
dell’apprendimento
può
essere
considerato
come
un’interlingua,
un
sistema
intermedio
tra
le
due
lingue
coinvolte,
che
differisce
da
apprendente
ad
apprendente
in
base
all’interazione
di
vari
fattori
(età,
situazione,
esposizione
alla
lingua).
L’interlingua
si
può
concepire
come
un
continuum
con
grado
0
di
competenza
della
LS
da
una
parte
e
con
la
competenza
del
native
dall’altra
all’interno
del
quale
si
situano
i
vari
livello
di
apprendimento.
Anche
l’AE
presenta
con
dei
limiti:
l’assenza
di
errori
non
prova
una
competenza
linguistica
perchè
gli
apprendenti
evitano
le
strutture
che
ritengono
difficili
ed
è
arduo
classificare
gli
errori
perchè
possiedono
più
di
una
causa.
Aspetti
psicolinguistici:
l’apprendente,
il
processo
d’insegnamento,
la
prospettiva
linguistica.
Nella
misura
in
cui
l’apprendimento
è
un’interazione
di
fattori
interni
ed
esterni,
la
spiegazione
degli
errori
richiede
un
modello
di
analisi
specifico
e
pluridimensionale
che
include
anche
elementi
che
vanno
al
di
là
delle
loro
caratteristiche
osservabili.
Ogni
apprendente
ha
esperienze
diverse
e
attua
strategie
di
apprendimento
personali
nell’apprendere
in
generale.
Le
ricerche
sulla
produzione
linguistica
di
studenti
di
varie
nazionalità
mostrano
che
errori
simili
si
trovano
in
student
di
LM
diverse
e
che
quindi
non
derivano
esclusivamente
da
interferenza
di
due
sistemi
linguistici
in
contatto,
bensí
di
errori
di
tipo
evolutivo,
i
quali
portano
a
supporre
che
il
processo
di
acquisizione
delle
lingue
sottostia
a
meccanismi
universali,
di
tipo
creativo.
L’errore
in
rapporto
alla
norma
standard
e
all’uso
à
criteri
possibili
per
categorizzare
gli
errori:
-‐ formali,
in
cui
si
isola
il
messaggio
dal
contesto.
Fornisce
indicazioni
solo
su
singoli
elementi.
L’errore
formale
riguarda
l’ortografia,
la
fonetica,
la
morfosintassi
dello
standard;
23
-‐ di
uso,
in
cui
l’osservazione
si
applica
al
testo
definito
nella
sua
funzione
per
vedere
la
rispondenza
alla
tipologia
testuale
in
questione.
L’errore
in
rapporto
alla
norma
pedagogica
à
le
vicende
delle
teorie
sull’apprendimento
producono
diverse
posizioni
nei
confronti
dell’errore,
nel
quale
si
sintetizza
la
natura
stessa
dei
metodi
e
degli
approcci:
-‐ metodo
grammaticale-‐traduttivo:
errori
morfosintattici
e
lessicali;
-‐ metodi
audio-‐orali
:
errori
di
natura
fonetica;
-‐ approccio
comunicativo
minimalista:
errori
di
tipo
pragmatico,
scarsa
attenzione
alla
componente
morfosintattica;
-‐ approccio
comunicativo
massimalista:
non
esiste
una
correttezza
assoluta,
perchè
gli
obiettivi
linguistici
devono
integrarsi
con
il
contesto
che
stabilisce
l’appropriatezza
el
messaggio;
-‐ approcci
umanistico-‐affettivi:
l’apprendente
è
l’artefice
del
proprio
apprendimento
e
quindi
l’errore
è
strettamente
legato
al
modo
in
cui
viene
da
lui
percepito.
Osservati
secondo
criteri
psicolinguistici,
si
possono
definire
sia
gli
errori
interni
che
quelli
esterni
al
sistema
linguistico.
Questa
analisi
si
è
spostata
dal
prodotto
(errore)
al
processo
(la
causa):
-‐ transfer
linguistico
da
L1
a
L2;
-‐ transfer
da
insegnamento,
cioè
l’influenza
delle
tecniche
didattiche
usate;
-‐ strategie
di
apprendiemnto
sollecitate
dal
desiderio
di
apprendere
e
perfezionare
il
nuovo
sistema;
-‐ strategie
di
comunicazione;
-‐ ipergeneralizzazione
(es.
la
problema)
Un’impostazione
pedagogica
che
tenga
conto
dei
livelli
descrittivi
più
profondi
deve
contenere
formulazioni
comprensibili
di
regole,
situarle
e
mostrarne
l’applicabilità
con
esempi
concreti,
e
avere
una
chiara
visione
di
ciò
che
si
accetta
come
corretto,
appropriato,
efficace,
cioè
della
percezione
linguistica
e
metalinguistica
dell’apprendente
e
dei
suoi
scopi.Tale
impostazione
tiene
conto
che
l’errore
può
essere
dovuto
a:
-‐ consegne
imprecise
che
lasciano
agli
studenti
la
libertà
di
costruire
la
loro
risposta
a
piacimento;
-‐ assenza
di
un
modello
unico
di
riferimento;
-‐ una
sensibile
lunghezza
della
risposta
che
in
genere
va
di
pari
passo
con
il
numero
ridotto
di
compiti
che
si
esigono
e
destinata
a
compensare
tale
numero.
L’errore
in
rapporto
al
contesto
situazionale
e
al
canale
à
l’errore
è
la
deviazione
dalla
norma
rispetto:
-‐ a
una
competenza
generale
che
è
la
somma
della
componente
linguistica,
della
componente
discorsiva,
della
componente
referenziale,
della
componente
socioculturale;
-‐ all’interazione
comunicativa.
Gli
errori
comunicativi
o
pragmatici
derivano
da
ignoranza
della
situazione
comunicativa
e
delle
regole
che
devono
essere
adottate
a
seconda
dei
casi.
24
Tradizionalmente
l’errore
avviene
nelle
componente
linguistica
e
referenziale.
Tra
tutte
le
variabili
della
lingua,
quelle
legate
ai
fattori
diafasici
(il
contesto
di
situazione)
e
diamesici
(il
canale
di
comunicazione)
rivestono
grande
importanza
nella
didattica.
Fattori
diafasici:
molto
spesso
per
l’italiano
ci
si
accontenta
di
risolvere
il
prblema
presentando
alcuni
elementi
dei
registri
alti/bassi,
mentre
le
varietà
funzionali-‐contestuali
della
lingua
comportano
scelte
più
complesse
anche
a
livello
lessicalee
morfosintattico.
Fattori
diamesici:
un
testo
scritto
possiede
caratteristiche
diverse
da
uno
parlato.
Il
canale
trasmesso
presenta
vari
gradi
di
difficoltà
di
comprensione
e
produzione.
Autovalutazione
e
consapevolezza
dell’errore.
Lo
sviluppo
della
LS/L2
implica
una
graduale
automatizzazione
di
processi
cognitivi
sempre
più
complessi
che
differiscono
a
seconda
dell’età.
La
consapevolezza
dell’errore
è
fondamentale
purchè
questa
non
si
riduca
a
una
notazione
del
carattere
più
o
meno
vagamente
punitivo
da
parte
dell’insegnante
ma
sia
una
scoperta
dell’alunno.
Gli
errori
più
semplici
da
individuare
sono
quelli
formali,
i
più
difficili
quelli
pragmatici,
e
ancora
è
più
semplice
correggere
e
capire
un
errore
di
contenuto
in
una
produzione
scritta
che
in
una
orale.
Una
possibile
classificazione
degli
errori
in
italiano
come
LS
e
L2
Due
macrocategorie
à
errori
formali
ed
errori
pragmatici.
Le
direzioni
di
ricerca
che
si
prospettano
sono:
-‐
studiare
e
approntare
una
descrizione
delle
più
ricorrenti
difficoltà
strutturali
dell’italiano
indipendentemente
dalla
LM
di
chi
lo
apprende:
l’italiano
è
una
lingua
con
un
alto
livello
di
morfologizzazione
à
problemi
soprattutto
nelle
fasi
iniziali
dell’apprendimento,
che
possono
essere
superati
in
apprendimento
guidato.
Le
percentuali
più
alte
di
errore
si
riscontrano
nella
scelta
delle
preposizioni,
nell’impiego
del
congiuntivo,
nell’uso
dei
tempi
passati
e
nella
scelta
e
uso
dei
pronomi
personali.
-‐
analizzare
le
caratteristiche
dell’interlingua
degli
apprendenti
in
funzione
contrastive,
sia
linguistica
che
pragmatica,
dando
peso
alla
soggettiva
attribuzione
del
peso
di
ciascun
errore
e
del
corrispondente
relativo
sforzo
per
eliminarlo.
Possediamo
già
alcuni
dati
relativi
all’autovalutazione
che,
suddivisi
per
gruppi
linguistici
(anglofoni,
francofoni,
ispanofoni,
tedescofoni,
greci,
giapponesi),
vedono
tra
gli
errori
più
frequenti
(anche
se
con
differenti
ordini
di
importanza):
congiuntivo,
preposizioni,
tempi
passati,
pronomi
personali,
accordi
di
genere
e
numero,
fenomeni
di
enfasi,
forme
impersonali,
scelta
e
uso
corretto
del
lessico).
Gli
stranieri
prestano
attenzione
quasi
solo
a
livelo
formale
(anche
a
livello
avanzato
dell’apprendimento
della
LS/L2).
Sul
piano
pragmatico
l’italiano
degli
stranieri
non
si
avvicina
per
espressività
e
incisività
a
quello
dei
native.
Cause
più
significative
àdifficoltà
interne
del
sistema
italiano,
assenza
di
una
vision
della
competenza
comunicativa
che
tenga
conto
in
eguale
misura
delle
sue
due
principali
component,
quella
linguistica
e
quella
pragmatica.
La
correzione
dell’errore:
quando,
come,
che
cosa,
chi
25
La
rilevazione
degli
errori
si
effettua
durante
tutta
l’azione
didattica.
L’insegnante
in
ogni
momento
mette
alla
prova
i
saperi
dei
propri
studenti:
ogni
fase
didattica
è
preziosa
per
il
rilevamento
degli
errori.
CHI
à
la
correzione
spetta
sia
allo
studente
che
all’insegnante.
L’insegnante
dovrebbe
possedere:
-‐ la
coscienza
del
ruolo
dell’errore
nell’insegnamento
di
LS/L2
come
strumento
diagnostico,
classificandolo
secondo
tipologie
diverse;
-‐ l’abilità
di
usare
l’errore
come
base
di
conoscenza
per
adattare
il
programma
in
funzione
degli
studenti;
-‐ la
consapevolezza
del
valore
dell’errore
nell’UD,
la
coscienza
del
nesso
tra
gli
obiettivi
di
un
intervento
didattico
e
gli
errori
specifici
e
del
peso
da
assegnare
agli
errori
in
rapporto
all’attività
svolta,
all’età
dell’allievo,
al
livello
di
istruzione.
CHE
COSA
à
errori
occasionali
(presistematici),
che
si
presentano
prima
di
conoscere
le
regole;
errori
cristallizzati
(sistematici)
prodotti
nel
momento
in
cui
l’apprendente
tenta
di
scoprire
il
funzionamento
di
un
sottosistema
facendo
ipotesi.
L’insegnante
può
intervenire
e
spiegare
le
false
ipotesi;
errori
superflui
(postsistematici)
dovuti
a
distrazione,
urgenza,…
Vanno
spiegati
e
corretti;
errori
linguistici,
discorsivi,
referenziali,
socioculturali,
comunicativi.
Non
tutti
gli
errori
hanno
la
stessa
rilevanza.
La
loro
gravità
è
alla
discrezione
degli
insegnanti
e
dipende
da
vari
fattori:
-‐ sillabo
-‐ obiettivo
del
corso
-‐ età
degli
studenti
-‐ tempo
dedicato
alla
presentazione,
spiegazione,
pratica
degli
aspetti
linguistici
-‐ correttezza
nella
presentazione/richiesta
dei
compiti
Non
sempre
gli
errori
si
manifestano
esplicitamente.
COME
correggere?
Le
correzioni
dell’insegnante
devono
essere
sempre
effettuate
adeguatamente
alle
capacità
dello
studente
e
senza
urtarne
la
sensibilità,
siano
esse
di
tipo
rivelativo,
risolutivo,
classificatorio
o
misto.
L’analisi
degli
errori
permette
agli
insegnanti
di:
-‐ conoscere
le
strategie
di
apprendimento
dei
propri
allievi
-‐ valutare
il
proprio
modo
di
insegnare
-‐ formare
una
coscienza
linguistica
-‐ essere
critici
nei
confronti
dei
materiali
didattici
CAPITOLO
7
La
valutazione
linguistica
dela
L2
VALUTAZIONE
=
tentativo
di
attribuire
un
valore
a
un
oggetto,
un
prodotto
o
un
processo,
in
relazione
a
uno
o
più
criteri.
Ogni
valutazione
si
basa
su
una
serie
di
scelte,
che
riguardano
il
metodo
e
la
natura
della
valutazione
stessa,
e
su
alcune
premesse
che
condizionano
i
risultati
ottenuti.
26
Questioni
terminologiche:
VERIFICA
à
il
concetto
di
verifica
si
lega
all’idea
di
accertamento
di
un
risultato
auspicato,
visto
come
obiettivo
di
un
percorso
didattico.
La
verifica
implica
la
raccolta
di
informazioni
che
devono
confermare
o
smentire
il
raggiungimento
del
risultato
sulla
base
del’apprendimento
dei
contenuti
proposti
nel
percorso
da
parte
degli
studenti.
MISURAZIONE
à
consiste
propriamente
nell’attribuzione
di
numeri
o
valori
significativi
secondo
una
scala
all’elemento
da
misurare.
Ci
si
avvale
di
un
sistema
di
misura
scelto
ad
hoc
che
permette
di
attribuire
un
peso
aglia
spetti
che
si
vogliono
misurare.
VALUTAZIONE
à
rappresenta
il
passaggio
in
cui
alla
raccolta
dei
dati
significativi
e
alla
misurazione
segue
la
loro
interpretazione,
basata
su
inferenze
e
riflessioni.
Interpretazione
dei
dati
raccolti,
attraverso
l’espressione
di
un
giudizio.
AUTOVALUTAZIONE
à
processo
che
comporta
il
coinvolgimento
degli
interessati.
Si
sviluppa
fondamentalmente
nel
contesto
classe
o
comunque
di
apprendimento
guidato.
Questa
pratica
ha
uno
scopo
matetico.
Consistente
nel
far
sì
che
i
corsisti
prendano
coscienza
del
proprio
apprendimento
e
nel
riflettere
su
di
esso
e
sulle
modalità
in
cui
procedere
per
ottenere
altri
progressi.
I
processi
di
autovalutazione
hano
un
ruolo
importante
nel
mantenimento
della
motivazione,
come
momento
di
autoriflesisone
sulle
competenze
raggiunte
e
sulle
modalità
con
cui
svilupparle
ulteriormente.
CERTIFICAZIONE
à
è
una
procedura
di
valutazione
con
obiettivi
e
caratteristiche
precisi.
Ha
lo
scopo
di
fotografare
le
competenze
in
un
dato
momento
in
relazione
a
dei
paramentri
standard
prestabiliti
e
in
base
a
cui
formulare
un
giudizio.
Lo
scopo
finale
è
attestare
delle
competenze,
dove
possedute,
con
l’emissione
di
un
certificato.
L’utilità
della
valutazione:
la
valutazione
inserita
all’interno
di
un
percorso
didattico
ha
lo
scopo
di
verificare
se,
in
un
dato
lasso
di
tempo
o
a
conclusione
di
un
intero
percorso
formativo,
il
risultato
di
apprendimento
raggiunto
dagli
allievi
è
qualitativamente
e
quantitativamente
conforme
agli
obiettivi
prestabiliti.
Valutazione
in
un
momento
preliminare
–
fornisce
informazioni
sulle
conoscenze
già
possedute
per
decider
del
livello
e
della
classe
in
cui
uno
student
deve
essere
inserito.
Il
concetto
di
base
è
che
la
valutazione
linguistica
non
sia
buona
o
cattiva,
ma
deve
rispondere
allo
scopo,
per
aiutare
a
prendere
decisioni
informate
in
contesti
e
con
scopi
diversi.
Il
Language
testing
ha
quindi
l’obiettivo
di
fornire
risposte
congruenti
ai
diversi
scopi
e
a
prendere
decisioni
fondate
nella
valutazione
linguistica,
attraverso
la
realizzazione
di
test
e
attività
flesibili
allo
scopo
per
cui
sono
state
pensate.
Il
concetto
di
Target
Language
Use
(TLU):
il
contenuto
e
il
costrutto
della
valutazione
Non
possiamo
pensare
a
un
tipo
di
valutazione
in
sè
perfetta
e
valida
in
assoluto,
ma
ad
una
valutazione
che
risulti
utile
e
adeguata
alle
situazioni
e
ai
compiti
linguistici
che
si
vogliono
testare,
pertinente
e
riferita
agli
usi
e
ai
contesti
in
cui
il
candidato
o
lo
student
si
troverà
ad
operare.
Una
buona
ed
efficace
valutazione
deve
prevedere
quei
compiti
e
quelle
varietà
della
L2
che
il
soggetto
che
si
sottopone
alla
valutazione
si
troverà
più
probabilmente
a
gestire.
In
un
esame
di
certificazione
linguistica,
tarata
su
un
dato
livello
di
competenza,
i
testi
e
i
compiti
richiesti
dovranno
riguardare
innanzitutto
la
lingua,
le
strutture
grammaticali,
il
lessico
utilizzabili
nello
svolgere
azioni
e
funzioni
interessate
nei
contesti
sociali
di
27
maggiore
interesse
e
nello
stesso
tempo
calibrate
con
quell
livello
di
competenza.
A
tutto
questo
si
associa
la
scelta
del
costrutto:
i
costrutti
di
un
test
devono
essere
rappresentati
nell’oggetto
principale
della
valutazione
e
negli
item
che
compongono
le
prove.
Il
quadro
della
validità
dei
test:
i
requisiti
della
valutazione
Questo
quadro
è
un
modello
sistematico
che
indica
le
qualità
principali
che
costituiscono
l’utilità
e
la
validità
di
un
test.
Si
tratta
dei
principali
requisiti
su
cui
si
basa
una
valutazione
utile
ed
efficace.
Usefulness
=
reliability
(affidabilità
à
legata
alla
consistenza
della
misurazione
e
deve
mantenersi
adeguata
al
mutare
di
diverse
caratteristiche
che
riguardano
la
somministrazione
o
la
valutazione
del
test)
+
construct
validity
(N.B.
un
test
si
dice
valido
se
misura
accuratamente
quelo
che
vuole
misurare
e
se
costituisce
un
esempio
rappresentativo
delle
abilità
linguistiche
oggetto
di
misurazione)
+
authenticity
(consiste
nel
grado
in
cui
la
procedura
di
valutazione
o
il
test
si
lega
alla
vita
reale
di
chi
vi
si
sottopone,prevedendo
compiti
analoghi
a
quelli
previsti
nell’ambiente
esterno
à
rapport
tra
la
valutazione
e
la
realtà,
TLU
domain)
+
interactiveness
(grado
in
cui
le
diverse
caratteristiche
individuali
e
le
diverse
aree
della
competenza
sono
implicate
nella
realizzazione
dei
task
richiesti
nella
valutazione
stessa
à
rapporto
tra
la
valutazione
e
le
diverse
caratteristiche
di
chi
si
sottopone
alla
valutazione
stessa
)
+
impact
(le
possibili
conseguenze
che
possono
derivare
dalla
somministrazione
di
un
test
o
di
una
procedura
di
valutazione
sulla
società,
sugli
individui
e
sul
loro
apprendimento)
+
practicality
(applicabilità
–
si
intende
la
possibilità
che
la
valutazione
o
la
somministrazione
del
test
sia
compatibile
con
le
risorse
a
disposizione
in
termini
di
risorse
umane,
material
ed
economiche
e
tempi).
Altri
requisiti
dei
test
e
delle
procedure
di
valutazione:
-‐ la
pertinenza:
riguarda
la
relazione
tra
l’oggetto
della
valutazione
e
i
contenuti
proposti
durante
il
corso;
-‐ l’accettabilità:
misura
quanto
una
prova
sia
percepita
utile
e
quindi
valida;
-‐ la
comparabilità:
il
grado
in
cui
la
procedura
stessa
produca
risultati
tra
loro
confrontabili,
anche
se
svolti
in
tempi
e
luoghi
diversi.
I
diversi
tipi
di
valutazione
Distinzione
fondamentale
tra
i
test
di
profitto
(achievement
test),
destinati
a
valutare
l’apprendimento
dei
contenuti
di
un
corso,
e
i
test
di
padronanza
(proficiency
test),
basati
sulla
rilevazione
della
competenza,
individuata
da
criteri
standard
preventivamente
determinati.
La
valutazione
può
essere
erogata
in
diverse
forme,
tempi
e
modalità.
Il
concetto
di
valutazione
non
si
esaurisce
però
nella
somministrazione
di
un
test,
ma
si
concretizza
in
diverse
pratiche
proponibili
in
momenti
diversi,
a
seconda
dello
scopo.
Le
diverse
pratiche
della
valutazione
del
QCER:
il
QCER
individua
diversi
tipi
di
valutazione,
in
coppie
opposte
o
comunque
corrispondenti
a
scopi,
momenti
e/o
caratteristiche
tra
loro
alternative:
valutazione
di
profitto:
si
fa
VS
valutazione
della
competenza:
il
focus
è
sull’accertamento
di
una
o
28
riferimento
alle
pratiche
di
più
competenze
utili
nella
vita
reale
e
indipendentemente
dalla
valutazione
di
un
percorso
formativo
frequenza
di
un
corso.
o
di
parte
di
esso,
con
cui
si
vuole
accertare
il
raggiungimento
degli
obiettivi
previsti
valutazione
riferita
alla
norma:
si
VS
valutazione
riferita
al
criterio
ogni
individuo
viene
valutato
in
modo
tratta
di
classificare
gli
esiti
in
una
indipendente
ma
in
base
a
uno
o
più
criteri
graduatoria
valutazione
in
base
a
criteri
di
VS
padronanza
il
test
deve
rispondere
in
valutazione
in
base
a
criteri
di
progressività
si
registrano
in
un
modo
affermativo
o
negative
rispetto
continuum
di
soluzioni
tutti
i
risultati
possibili
relativi
a
quella
a
un
concetto
di
padronanza
stabilito
e
specifica
abilità
o
competenza,
senza
un
livello
minimo
di
rappresentato
da
un
livello
minimo
o
discriminazione
richiesto.
soglia
di
accettabilità
dei
risultati
valutazione
continua
riguarda
il
VS
valutazione
puntuale
tiene
conto
del
risultato
di
un’unica
prova
monitoraggio
delle
attività
degli
(disolito
finale
o
iniziale),
da
cui
si
prende
atto
e
sulla
base
di
cuisi
student
durante
tutto
il
corso
prendono
decisioni
valutazione
formativa
si
svolge
VS
valutazione
sommativa
totalizza
i
risultati
raggiunti
in
una
durante
tutto
il
corso
e
si
realizza
con
valutazione
unica
finale
interventi
di
tipo
diagnostico
valutazione
diretta
quando
l’oggetto
di
VS
valutazione
indiretta
quando
la
valutazione
di
un’attività
richiede
valutazione
risulta
essere
in
corso
e
l’utilizzo
di
un
ulteriore
medium
quindi
un’attività
direttamente
riscontrabile
valutazione
delle
prestazioni
quando
VS
valutazione
delle
conoscenze
mira
a
considerare
l’acquisizione
di
lo
scopo
è
misurare
delle
performance
conoscenze
specifiche
valutazione
soggettiva
VS
valutazione
oggettiva
si
basa
su
risposte
il
cui
valore
non
deve
essere
oggetto
di
interpretazione
del
valutatore,
ma
immediatamente
trasformabili
in
misura
o
valore
di
ciò
che
si
vuole
misurare
classificazione
in
base
a
una
scala
VS
in
base
a
una
lista
di
controllo
punteggio
classificazione
in
base
a
una
scala
a
punti
giudizio
in
base
all’impressione
VS
in
base
a
criteri
soggettiva
valutazione
olistica
nel
QCER
ne
è
un
VS
valutazione
analitica
ne
è
un
esempio
la
tavola
relativa
agli
aspetti
esempio
la
scala
della
competenza
qualitatividel
parlato
linguistico-‐comunicativa,
separate
per
livelli
valutazione
di
serie
prevede
un
VS
valutazione
di
categorie
è
il
risultato
della
scomposizione
in
criteri
o
insieme
o
serie
di
prove
e
si
basa
categorie
di
analisi
di
un’unica
perdormance
sull’attribuzione
di
un
punteggio
olistico
a
una
prestazione
o
attività
Eterovalutazione
fatta
da
un
VS
Autovalutazione
può
avere
come
scopo
quello
di
rinsaldare
la
insegnante
o
da
un
valutatore
motivazione
di
uno
student
(valutazione
meno
tecnica
ma
semplificata)
I
diversi
tipi
di
test
e
di
valutazione
secondo
lo
scopo:
lo
scopo
principale
della
valutazione
è
aiutare
a
prendere
decisioni,
basate
su
informazioni
e
dati
raccolti.
Le
informazioni
possono
essere
raccolte
in
momenti
e
con
scopi
diversi,
in
base
a
quali
possiamo
descrivere
la
funzione
dei
test
e
delle
procedure
di
valutazione.
Ancora,
possiamo
distinguere
le
procedure
di
valutazione
in
base
al
contesto
in
cui
vengono
proposte:
PROCEDURE
PROPOSTE
NEL’AMBITO
DI
PERCORSI
DI
FORMAZIONE
LIGNUISTICA:
Placement
test
29
Diagnostic
test
(valutazione
svolta
nell’ambito
di
un
corso
per
evidenziare
i
punti
di
forza
e
di
debolezza
delle
performance
e
quindi
delle
cmpetenze
degli
student.
Può
avvenire
in
momenti
diversi
del
corso
a
cuisi
riferisce)
Achievement
test
(fase
finale
di
un
corso
o
in
scadenze
predetemrinate
di
questo,
per
valutare
il
percorso
svolto
e
i
risultati
raggiunti
rispetto
ai
contenuti
proposti
nel
percorso
intero
o
nelle
fasi
già
svolte).
Le
procedure
di
valutazione
linguistica
sono:
Proficiency
test
(test
che
mirano
a
valutare
la
padronanza
dei
parametri
predeterminati
che
indicano
a
competenza/e
e
le
attività
inguistiche
da
valutare,
indipendentemente
da
un
corso)
Screening
test
(test
di
padronanza
che
mirano
a
rilevare
un
livello
o
grado
minimo
del
possesso
della
competenza
per
prendere
decisioni
riguardo
un’assunzione
lavorativa
o
un
incarico
professionale).
Il
formato
dei
test:
-‐ test
fattoriali:
mirano
all’individuazione
di
un
solo
oggetto
di
valutazione
alla
volta.
Possono
essere
a
risposta
chiusa
(scelta
binaria,
scelta
multipla,
completamento,
abbinamento,
riordino,
sostituzione,
trasformazione,
editing,
i
test
performativi)
o
aperta
(risposta
breve
o
estesa);
-‐ test
integrati:
sono
normalmente
di
test
di
tipo
aperto,
che
richiedono
l’attivazione
di
performance
che,
in
quanto
integrate,
mettono
in
gioco
la
pratica
di
più
abilità
o
competenze
e
coinvolgono
quindi
la
processazione,
in
attività
prodttive
e/o
ricettive
di
più
testi.
Es.:
interazione,
prendere
appunti,
il
dettato,
la
manipolazione/trasformazione
di
un
testo,
il
riassunto,
la
parafrasi.
Nell’ambito
dei
test
integrato
troviamo
anche
i
test
pragmatici,
che
considerano
come
oggetto
della
valutazione
l’agire
in
lingua.
Il
processo
e
le
fasi
di
valutazione:
la
realizzazione
della
valutazione
si
articola
in
tre
fasi
principali:
1) PIANIFICAZIONE:
definizione
delle
specifiche.
Si
precisano:
lo
scopo
e
il
momento
del
test;
che
cosa
si
vuole
effettivamente
ricercare
e
valutare;
il
livello
di
competenza
a
cui
il
test
deve
corrispondere,
il
profile,
il
contest,
la
motivazione,
gli
stili
cognitive
e
quegli
aspetti
dei
destinatari
a
cui
il
test
è
rivolto;
il
formato
del
test;
i
criteri
per
la
misurazione
dei
risultati
ottenuti.
2) STESURA:
si
procede
alla
messa
a
punto
della
procedura
di
valutazione
(reerimento
dei
testi,
costruzione
delle
attività,
scrittura
delle
istruzioni,..).
3) SPERIMENTAZIONE:
somministrazione
delle
diverse
prove
a
un
campione,
che
risulti
rappresentativo
dell’universo
a
cui
il
test
è
destinato.
CAPITOLO
8
La
certificazione
di
italiano
L2
Le
3
università
che
rilasciano
le
certificazioni
sono:
1.
l’Università
per
stranieri
di
Siena
2.
l’Università
per
stranieri
di
Perugia
3.
la
Terza
Università
di
Roma
30
+
Società
Dante
Alighieri
Sono
riconosciute
dal
Ministro
degli
Affari
Esteri.
Obiettivo:
promuovere
una
cultura
della
valutazione
certificatoria
per
l’italiano
a
stranieri,
attraverso
un
sistema
di
qualità
basato
sul
rispetto
degli
standard
scientifici
fissati
a
livello
internazionale.
Certificare
e
valutare:
la
valutazione
sommativa
serve
a
verificare
se
gli
obiettivi
della
formazione,
individuate
in
rapporto
agli
specifici
bisogni
degli
apprendenti,
siano
stati
raggiunti,
e
viene
realizzata
da
chi
ha
impartito
la
formazione.
La
valutazione
certificatoria,
invece,
è
un’operazione
di
verifica
della
competenza
linguistica
che
deve
portare
alla
emissione
di
un
certificato,
che
accerti
il
possesso
di
requisiti
in
base
a
determinati
prametri
standard.
Obiettivo
delle
prove
proposte
da
un
esame
di
certificazione
è
verificare
il
grado
di
competenza,
intesa
come
capacità
di
uso
della
lingua
straniera
in
determinati
contesti
socioculturali
e
sociolinguistici,
e
rendere
chiaramente
comprensibili
anche
ad
altri
il
livello
di
competenza
linguistica
che
una
persona
possiede.
Le
caratteristiche
principali
di
una
valutazione
certificatoria
sono:
-‐ l’essere
realizzata
da
un
ente
esterno
rispetto
a
chi
impartisce
e
da
chi
riceve
la
formazione
(=
svincolata
dai
contesti
di
formazione
della
competenza
e
dai
metodi
di
insegnamento
usati);
-‐ il
dover
tendere
a
raggiungere
un
buon
grado
di
validità
ed
affidabilità
per
rendere
possibile
il
riferimento
della
competenza
degli
apprendenti
a
parametric
generali;
-‐ il
dover
mirare
a
garantire
la
spendibilità
sociale
della
competenza
linguistico-‐
comunicativa.
Perchè
una
certificazione
per
l’italiano
come
lingua
straniera?
È
solo
dal
1993
che
esistono
certificazioni
ufficiali
delle
competenze
per
l’italiano.
Nel
1982,
in
occasione
del
convegno
organizzato
a
Roma
dai
Ministeri
degli
Affari
Esteri
e
della
pubblica
Istruzione
si
parlò
per
la
prima
volta
di
certificazione
per
l’italiano
e
qualche
anno
dopo
fu
affidata
la
realizzazione
di
uno
studio
di
fattibilità
al
Dipartimento
di
Scienze
del
Linguaggio
dell’Università
di
Roma
La
Sapienza,
per
la
creazione
di
una
certificazione
nazionale.
Bipartizione
in
due
livelli:
-‐1.
Rivolto
a
chi
aveva
imparato
la
lingua
italiana
solo
all’estero;
-‐2.
Rivolto
a
chi
era
entrato
in
contatto
anche
direttamente
con
la
realtà
italiana;
La
maggior
parte
degli
apprendenti
la
nostra
lingua
era
spinto
da
motivazioni
generalmente
culturali
e
non
strettamente
legate
a
motivi
turistici
o
di
sopravvivenza.
Ma,
negli
ultimi
25
anni
à
si
è
trasformato
il
pubblico
che
studia
l’italiano
all’estero
e
anche
in
Italia:
alle
motivazioni
culturali
si
sono
aggiunte
quelle
strumentali
e
di
integrazione
sociale.
Immigrati
à
hanno
spostato
il
fulcro
dello
studio
dell’italiano
dall’estero
all’Italia.
Sono
le
caratteristiche
della
nuova
realtà
dell’italiano
diffuso
tra
stranieri
che
hanno
spinto
a
elaborare
modelli
teorici
e
applicative
più
articolati.
Le
certificazioni
di
italiano
CELI
àCertificato
di
conoscenza
della
lingua
italiana
(Università
per
Stranieri
di
Perugia).
Secondo
un
modello
di
competenza
linguistica
comunicativa
la
lingua
è
presentata
come
31
uno
strumento
di
comunicazione,
in
cui
le
competenze
di
tipo
pragmatico
sono
quelle
fondamentali.
È
articolato
su
6
livelli
progressivi,
rivolti
ad
una
generica
utenza
adulta.
(Certificati
CELI
i
–
per
persone
immigrate
in
Italia,
articolati
in
3
livelli,
CELI
a
per
adolescenti).
Ogni
livello
è
autonomo
e
per
accedere
alle
prove
d’esame
non
è
richiesto
un
particolare
titolo
di
studio.
Gli
esami
CELI
sono
suddivisi
in
4
sezioni:
prova
di
comprensione
di
testi
scritti,
prova
di
produzione
di
testi
scritti,
prova
di
comprensione
di
testi
orali,
prova
di
produzione
orale.
A
partire
dal
CELI
3
si
aggiunge
una
quinta
prova,
di
competenza
linguistica,
per
la
verifica
delle
competenze
grammaticali
e
lessicali.
CERT.IT
à
realizzato
dall’Università
di
Roma
3,
è
diventato
operativo
nel
1994.
Gli
esami
sono
articolati
nelle
4
abilità
(ascolto,
lettura,
scrittura,
parlato),
cui
si
aggiunge
la
prova
di
usi
e
forme
dell’italiano,
cioè
la
verifica
della
conoscenza
analitica
del
sistema
morfosintattico
e
degli
usi
della
lingua.
Le
prove
sono
valutate
a
Roma.
La
CERT.IT
ha
al
suo
attivo
alcuni
progetti
di
ricerca
sulle
prove
certificatorie,
in
particolare
sulla
certificazione
per
la
cittadinanza
e
per
i
migranti,
nonchè
sulla
valutazione
delle
competenze
di
intercomprensione.
CILS
à
Certificazione
di
Italiano
come
Lingua
Straniera
dell’Università
per
Stranieri
di
Siena
(Centro
CILS).
La
CILS
misura
la
competenza
linguistica
e
comunicativa
in
sviluppo.
È
articolata
in
livelli.
LIVELLI
QCER
LIVELLI
CILS
A
Basici
user
A1
Breakthrough
CILS
A1
A2
Waystage
CILS
A2
Denominati
inizialmente
PRECILS
B
Indipendent
user
B1
Threshold
LIVELLO
1
CILS
–
verifica
le
capacità
communicative
necessarie
per
usare
la
lingua
Italiana
in
modo
adeguato
nelle
situazioni
più
frequenti
della
vita
quotidiana
B2
Vantage
level
LIVELLO
2
CILS
C
Proficient
user
C1
Effective
proficiency
LIVELLO
3
CILS
C2
Mastery
LIVELLO
4
CILS
–
prevede
una
capacità
del
candidato
di
dominare
una
vasta
gamma
di
situazioni
communicative,
dale
situazioni
informali
e
formali
di
comunicazione
a
quelle
professionali.
PRECILS
–
proposti
come
nuovo
strumento
per
quanti
hanno
bisogno
di
attestazione
della
loro
competenza
linguistica
e
comunicativa,
anche
se
in
una
fase
iniziale
del
loro
apprendimento
dell’italiano.
Sono
stati
elaborati
diversi
modelli
di
certificazione
per
le
diverse
tipologie
di
pubblico
che
si
accostano
allo
studio
della
lingua
italiana.
Tali
moduli
sono
diversi
per
contesti
comunicativi,
tipi
e
generi
testuali,
contenuti.
(Moduli:
A1
e
A2,
integrazione
in
italia;
A1
e
A2
adulti
all’estero;
A1
e
A2
bambini;
A1,
A2,
B1
adolescenti).
Da
Maggio
2019
la
CILS
offre
anche
un
esame
di
livello
B1,
adeguato
agli
scopi
della
cittadinanza
italiana.
32
Il
Centro
CILS
ha
elaborato
una
Certificazione
sull’italiano
in
ambto
economico-‐produttivo
(CILS-‐EC
B2)
e
una
denominate
CILS-‐DIT/C2
per
docent
stranieri
nel
sistema
scolastico
italiano
(in
collaborazione
col
centro
DITALS).
Sono
in
preparazione
esami
di
italiano
per
l’arte
e
per
le
professioni
sanitarie.
Esame
–
composto
in
5
parti.
Tutta
la
valutaizone
dell’esame
avviene
attraverso
una
piattaforma,
comprese
le
prove
di
produzione
orale,
che
vengono
audio-‐registrate.
Il
punteggio
complessivo
varia
da
48
punti
(nei
livelli
A1,
A2,
B1
per
gli
scopi
della
cittadinanza)
a
100
punti
(negli
altri
livelli).
Per
ottenere
la
certificazione
è
necessario
raggiungere
la
soglia
della
sufficienza
in
ogni
abilità
di
cui
si
compone
l’esame.
Ai
candidati
che
non
ottengono
la
sufficienza
in
tutte
le
abilità
viene
rilasciato
un
attestato
di
capitalizzazione,
nel
quale
sono
indicate
le
abilità
superate
e
quelle
non
superate
(entro
18
mesi
il
candidato
può
presentarsi
a
sostenere
solo
le
abilità
in
cui
ha
fallito).
PLIDA
–
Certificato
di
Competenza
in
Lingua
Italiana
della
Società
Dante
Alighieri
à
attesta
la
competenza
in
lingua
italiana
come
straniera
per
i
6
livelli
previsti
dal
QCER.
Offre
due
livelli
di
certificazione
(uno
rivolto
al
pubblico
adulto,
A1,
A2,
B1,
B2,
C1,
C2)
e
uno
rivolto
al
pubblico
di
adolescenti,
il
PLIDA
Juniores
(A1,
A2,
B1,
B2).
Il
certificate
PLIDA
è
destinato
a
persone
la
cui
lingua
madre
non
è
l’italiano.
Non
sono
fissati
limiti
di
età
per
l’iscrizione
all’esame.
Ogni
candidato
puô
scegliere
il
livello
per
il
quale
candidarsi
e
non
è
necessario
aver
superato
prima
i
livelli
inferiori.
Punteggio
minimo:
72/100
(da
raggiungere
in
ciascuna
abilità).
Prove
corrette
entro
60
giorni.
L’importanza
della
pluralità
del
sistema
certificatorio
italiano
Questa
pluralità
consente
alla
nostra
lingua
di
collocarsi
nel
mercato
globale
delle
lingue
in
una
posizione
forte
perchè
attrae
pubblici
differenziati
per
caratteristiche
e
motivazioni
à
indicatore
di
ricchezza
di
elaborazione
scientifica.
PARTE
SECONDA:
Gli
apprendenti
di
italiano
L2
(cap
9-‐18)
CAPITOLO
9
Le
variabili
nell’apprendimento
della
L2
Nell’apprendimento
della
L2
sono
molte
le
variabili
in
gioco.
Tali
variabili
possono
dipendere
dale
lingue
coinvolte,
dai
fattori
esterni
o
da
caratteristiche
individuali
del
soggetto
che
apprende.
VARIABILI
LINGUISTICHE
Le
lingue
in
gioco
sono
tra
le
variabili
più
direttamente
correlate
con
il
decorso
e
con
gli
esiti
dell’apprendimento.
Possono
avere
un
influsso
sull’apprendimento:
-‐ le
caratteristiche
interne
della
L2;
-‐ le
caratteristiche
della
L2
messe
a
confronto
con
la
L1
-‐ la
specificità
dell’apprendimento
della
L2
da
parte
di
soggetti
già
bi-‐
o
trilingui
Lo
studio
delle
caratteristiche
della
lingua
di
apprendimento
in
relazione
alla
lingua
madre
degli
apprendenti
ha
permesso
fin
dal
passato
di
usare
le
tecniche
contrastive
e
in
particolare
la
traduzione
come
mezzo
privilegiato
di
insegnamento.
Ecco
alcune
33
caratteristiche
tipologiche
che
rappresentano
una
panoramica
delle
innumerevoli
combinazioni
L1-‐L2
che
possono
entrare
in
gioco
e
di
cui
un
docente
di
L2
non
può
non
tener
conto:
-‐ famiglie
linguistiche:
indoeuropea,
sino-‐tibetana,
nigero-‐congolese,
afro-‐asiatica,
austronesiana
(classificate
secondo
la
loro
genealogia,
cercando
di
ricollegarle
ad
un’antica
lingua
comune).
-‐ tipologie
linguistiche:
isolante
(ogni
parola
è
costituita
da
un
solo
morfema),
flessiva
(le
parole
sono
internamente
complesse,
composte
da
morfemi
che
veicolano
anche
più
di
una
funzione
e
che
possono
anche
fondersi
insieme),
aglutinante
(le
parole
hanno
una
struttura
complessa,
essendo
composte
dalla
giustapposizione
di
più
morfemi-‐
di
solito
fissi
e
riconoscibili-‐
disposti
in
una
catena
anche
lunga),
polisintetica
(concentrano
all’interno
della
stessa
unità
un
certo
numero
di
morfemi
–
lessicali
o
grammaticali-‐
condensando
in
una
sola
parola
informazioni
che
richiederebbero
la
costruzione
di
un’interafrase).
Lingue
SOV
(latino),
SVO
(italiano),
VSO
(arabo),
VOS
(malgascio).
Lingue
postdeterminanti
(con
costruzione
a
destra,
come
l’italiano
–
testa
+
modificatore)
e
predeterminanti
(con
costruzione
a
sinistra,
come
l’inglese
o
il
tedesco).
Lingue
subject
prominent
(tendono
a
organizzare
la
frase
in
base
alla
struttura
informative,
secondo
lo
schema
soggetto-‐predicato
verbale
>
latino,
italiano)
e
topic
prominent
(tendono
a
organizzare
la
frase
in
base
alla
struttura
informativa,
secondo
lo
schema
topic-‐
comment>
cinese,
giapponese).
-‐ sistemi
di
scrittura:
logografici
(le
unità
rappresentate
nella
grafia
sono
della
prima
articolazione
del
linguaggio,
i
significati
–
in
cinese,
ad
esempio,
un
carattere
corrisponde
a
una
parola),
fonografici
(le
unità
rappresentate
nella
grafia
sono
della
seconda
articolazione
del
linguaggio,
i
significanti,
e
le
parole
vengono
costituite
da
una
sequenza
i
simboli
grafici
à
possono
essere:
alfabetici
(basati
sulla
corrispondenza
quasi
univoca
grafema/fonema),
sillabici
(basati
sulla
corrispondenza
fra
un
grafema
e
una
sillaba).
-‐ l’ipotesi
Sapir-‐Whorf:
ipotesi
nota
anche
come
relativismo
o
determinismo
linguistico.
Le
strutture
delle
diverse
lingue
esercitano
un’influenza
sul
processo
di
categorizzazione
dei
parlanti,
e
ogni
lingua
rappresenta
un
proprio
modo
di
vedere
la
realtà.
L’individuo
viene
influenzato
nel
suo
sviluppo
cognitive
dale
form
linguistiche
e
culturali
del
proprio
gruppo
sociale.
Accezione
forte
della
teoria:
la
lingua
determina
il
pensiero
e
le
forme
del
comportamento.
Accezione
debole:
la
lingua
può
al
Massimo
predisporre
le
persone
a
pensare
e
ad
agire
in
un
modo
piuttosto
che
in
un
altro.
-‐ tratti
che
dividono,
tratti
che
accomunano:
analisi
contrastiva
-‐laddove
le
lingue
differiscono
è
probabile
che
emergano
degli
errori
caratteristici,
facilmente
prevedibili
mettendo
a
confrontO
i
due
sistemi
linguistici.
Studi
sull’intercomprensione
fra
parlanti
di
lingue
affini
–
valorizzano
gli
elementi
comuni
e
le
competenze
parziali
di
cui
i
parlanti
dispongono,
indipendentemente
dall’esposizione
o
dallo
studio
di
una
lingua
imparentata
con
la
propria
lingua
madre.
SAE
(Standard
Average
European
-‐
i
tratti
caratterizzanti
delle
lingue
europee
–
in
Europa
è
possibile
rintracciare
una
serie
di
tratti
che,
dovuti
a
contatti
storici
prolungati
nel
tempo
e
a
una
vicinanza
culturale,
sono
tali
da
caratterizzare
le
34
lingue
d’Europa
rispetto
ad
altri
gruppi
linguistici,
tanto
da
far
parlare
di
una
sorta
di
koinè
–lega
linguistica).
-‐ interdipedenza
linguistica:
lo
sviluppo
di
competenze
linguistico-‐comunicative
in
una
lingua
non
maternal
si
basa
sul
concetto
di
interdipendenza
linguistica.
Questa
ipotesi
presuppone
che,
data
una
sufficiente
competenza
in
entrambe
le
lingue,
ciò
che
viene
appreso
attraverso
una
lingua
è
trasferibile
nell’altra
lingua
(transfer
di
padronanza).
Da
questa
ipotesi
scaturisce
l’assunto
che
lo
studio
di
una
L2
aiuti
a
rafforzare
la
L1,
invece
di
inibirla,
e
aiuti
anche
a
sviluppare
quelle
abilità
logico-‐
cognitive
chiamate
CALP
–
cognitive
academic
language
proficiency).
N.B
Studiare
una
terza
o
quarta
lingua
in
età
adolescenziale
o
adulta
–
è
importante
per
un
docente
ricordare
che
se
il
cervello
di
un
monolingue
si
differenzia
da
quello
di
un
bilingue,
questo
si
differenzia
a
sua
volta
dal
cervello
di
chi
acquisisce
una
lingua
successiva
alla
seconda.
I
processi
cognitivi
e
le
mappe
mentali
diventano
sempre
più
complessi
e
si
può
verificare
che
l’acquisizione
della
L2
non
utilizzi
la
L1
come
sistema
di
riferimento,
ma
piuttosto
un’altra
lingua
nota.
Non
soltanto
le
nozioni
linguistiche
acquisite,
ma
anche
le
esperienze
raccolte
nel
processo
di
apprendimento
della
prima
lingua
straniera
esercitano
un’influenza
che
non
può
essere
ignorata,
come
purtroppo
spesso
ancora
accade
in
pratiche
didattiche
che
prevedono
di
partire
ogni
volta
da
zero
quando
si
intraprende
lo
studio
di
una
nuova
lingua
straniera.
VARIABILI
AMBIENTALI
L’ambiente
è
una
macro-‐variabile
che
ha
un
ruolo
nell’apprendimento
della
L2.
Il
contesto
educativo:
apprendimento
spontaneo;
a
contatto
con
un
docente
in
una
classe
di
studenti
della
propria
cultura
(apprendimento
guidato);
in
una
classe
multilingue
nel
Paese
in
cui
si
parla
la
lingua
oggetto
di
studio.
Il
diverso
impatto
di
questi
contesti
sull’apprendimento
rappresenta
l’oggetto
di
ricerca
di
molti
filoni
di
studio
sulla
didattica
della
L2,
alcuni
dei
quali
hanno
messo
in
risalto
le
seguenti
variabili:
l’insegnante
madrelingua,
il
contatto
con
i
parlanti
nativi,
il
formato
didattico.
à
tutte
e
tre
queste
condizioni
sono
importanti
ma
non
sufficienti
per
un
apprendimento
di
successo.
Il
contesto
sociale:
esiste
una
correlazione
fra
dati
linguistici
e
variabili
sociali.
Incidono
sull’acquisizione
della
L2
il
contatto
coi
nativi
nel
tempo
libero,
il
livello
di
istruzione
della
famiglia,
il
contesto
sociale
e
lavorativo
in
cui
si
è
inseriti.
L’input
linguistico
in
L2:
ipotesi
dell’input
comprensibile
di
Krashen
à
a
partire
dai
testi
a
cui
è
esposto
(testi
orali,
scritti,
trasmessi,
realizzati
in
lingua
standard
o
substandard,
presenti
nel
contest
classe
o
nell’ambiente
esterno,
costituiti
da
materiale
lessicale
ricco
e
non
modificato
oppure
da
poche
parole
o
frasi
),
e
dalle
conoscenze
pregresse,
il
soggetto
processa
mentalmente
i
modelli
linguistico-‐comunicativi
a
cui
è
esposto,
li
confronta
con
la
L1
e
con
le
altre
lingue
note
e,
sopo
una
prima
fase
di
imitazione
e
ripetizione
di
chunks
non
analizzati,
passa
alla
fase
di
elaborazione
di
ipotesi
sul
funzionamento
della
L2,
in
base
alle
quali
metterà
in
moto
lo
sviluppo
della
propria
personale
interlingua.
à
solo
comprendnendo
almento
parzialmente
i
messaggi
formulate
in
L2
il
soggetto
potrà
rielaborarli
mentalmente.
Più
vario
e
comprensibile
è
l’input,
maggiore
è
anche
il
repertorio
di
casi
con
cui
l’apprendente
si
confronta
per
verificare
le
proprie
ipotesi
sul
funzionamento
della
L2.
L’input
varia
necessariamente
anche
in
base
al
contesto
di
apprendimento.
35
MA
l’input
comprensibile
non
basta!
Secondo
l’ipotesi
interazionista,
l’input
deve
essere
anche
interattivo
à
importanza
delle
altre
variabili
esterne
determinate
dai
rapporti
con
gli
altri
e
dall’atteggiamento
psicologico
che
l’apprendente
instaura
con
loro
e
con
la
cultura
che
rappresentano.
Le
interazioni
in
L2:
possono
avvenire
con
parlanti
nativi
o
non
nativi,
utilizzando
diversi
canali,
e
possono
riflettere
i
ruoli
degli
interlocutori.
Lo
stesso
QCER
sollecita
i
docent
a
promuovere
un
apprendimento
della
L2
che
abbia
una
spendibilità
sociale.
Se
è
vero
che
l’apprendimento
viene
favorite
da
un
input
facilitato,
negoziato
e
interattivo,
non
sempre
l’interazione
è
indolore,
basandosi
spesso
su
incomprensioni
e
equivoci
interculturali,
oltre
che
interlinguistici
>
le
teorie
interazioniste
e
l’ipotesi
dell’input
modificato
e
interattivo
mettono
in
luce
l’importanza
del
rapport
interpersonale
nell’apprendimento
(buona
parte
dell’acquisizione
della
L2
si
basa
su
fenomeni
di
adattamento
all’interlocutore
e
di
creazione
di
automatismi
attraverso
la
pratica
e
l’imitazione).
Il
tempo
a
disposizione
e
la
sua
organizzazione:
differenza
tra
la
facilità
con
cui
qualsiasi
bambino
impara
la
propria
lingua
(età,
grande
plasticità
cerebrale
+
tempo
prolungato
trascorso
con
genitori,
fratelli,
compagni,
e
tutti
coloro
che
si
prendono
cura
del
bambino
in
generale)
e
l’apprendimento
della
L2,
che
si
svolge
in
orari
dedicati
allo
studio,
o
in
età
adulta
durante
corsi
intensivi
o
estensivi
ma
sempre
piuttosto
limitati
nel
tempo
à
problemi
che
si
aggiungono
a
quelli
di
tipo
neurologico
e
psico-‐fisico
che
caratterizzano
i
vari
periodi
‘sensibili’
successivi
all’infanzia.
MA:
è
possibile
ottimizzare
i
tempi
dell’apprendimento
grazie
a
un
formato
che
aumenti
la
densità
comunicativa
in
classe
e
con
un’adeguata
organizzazione
dell’unità
del
lavoro
da
parte
del
docente,
così
come
l’apprendente
può
ampliare
il
proprio
tempo
di
esposizione
alla
L2
nel
prioprio
tempo
libero
(le
opportunità
di
esposizione
alla
L2
sono
strettamente
connesse
alla
motivazione
allo
studio).
VARIABILI
INDIVIDUALI
Queste
riguardano
le
diverse
caratteristiche
del
soggetto
a
livello
neurologico
e
psicologico-‐affettivo:
-‐
età
di
esposizione
alla
L2:
l’esposizione
precoce
alla
seconda
lingua
resta
una
causa
di
successo
e
di
armonico
sviluppo
psichico,
con
molteplici
b=vantaggi
cognitive,
affettivo-‐
sociali,
sensorio-‐percettivi.
Esistenza
di
un
periodo
critico
(Lenneberg,
1967):
(anche)
l’acquisizione
della
L2
ha
più
probabilità
di
successo
se
il
bambino
viene
esposto
alla
seconda
lingua
prima
dei
10-‐12
anni.
Le
competenze
morfologiche,
sintattiche
e
lessicali
relative
alla
seconda
lingua
possono
essere
acquisite
anche
in
periodi
della
vita
successive
e
anche
in
età
molto
avanzata
à
esistenza
di
più
periodi
sensibili.
Ogni
abilità
linguistica
avrebbe
dunque
una
propria
soglia
critica,
che
corrisponde
a
momenti
particolari
dello
sviluppo
biologico
e
cerebrale
del
soggetto:
prima
infanzia
(caratteristiche
fonetico-‐
intonative);
adolescenza
(tratti
morfo-‐sintattici);
età
adulta
(lessico,
non
ha
periodi
sensibili
oltre
i
quali
viene
difficilmente
appreso).
-‐
il
genere:
non
sono
molti
gli
studi
sperimentali
in
questo
campo.
Una
maggiore
attenzione
e
dedizione
allo
studio
delle
ragazze
,
così
come
alcune
caratteristiche
cerebrali
diverse
(maggiore
spessore
del
corpo
calloso
che
collega
i
due
emisferi
pare
una
caratteristica
più
diffusa
fra
le
donne
che
frag
li
uomini)
sono
possibili
cause
di
successo
lievemente
maggiore
nell’acquisizione
della
L2.
36
-‐
la
motivazione
all’apprendimento:
riguarda
le
cause
di
fondo
che
hanno
portato
l’apprendente
a
intraprendere
lo
studio
della
L2
e
che
possono
sostenere
con
maggiore
o
minore
energia
il
livello
di
attenzione
e
gli
sforzi
nell’apprendimento:
v
motivazione
culturale:
integrativa
(indica
la
spinta
dell’apprendente
verso
un
rapido
e
complete
inserimento
nella
società
ospite,
il
deesiderio
di
comunicare
cn
un
numero
più
vasto
di
parlanti
o
di
assimilare
la
cultura
del
Paese
ospite);
intrinseca
(è
legata
alla
percezione
della
lingua
stessa
di
apprendimento,
quando
si
giudicano
positive
alcune
sue
caratteristiche).
v motivazione
strumentale:
generale
(di
lungo
periodo,
quando
lo
studio
serve
per
trovare
lavoro,
conseguire
un
titolo
di
studio>bisogno
di
conoscere
la
L2);
particolare
(di
breve
periodo,
quando
lo
studio
serve
per
superare
un
test
>dovere
di
conoscere
la
L2);
v dalla
motivazione
all’attenzione:
l’attenzione
può
essere
messa
in
relazione
con
i
processi
per
cui
scegliamo
le
informazioni
da
elaborare
e
memorizzare,
;’energia
necessaria
ai
nostril
processi
di
elaborazione,
la
quantità
di
material
mentale
usato
nell’elaborare
le
informazioni.
Il
successo
dell’apprendimento
è
dovuto
al
livello
di
attenzione
che
la
motivazione
suscita
nell’apprendente.
Il
docente
può
fare
leva
sulle
spinte
che
lo
studente
trova
in
se
stesso
(es.
la
passion
per
la
L2
e
la
sua
cultura).
Come?
Usando
tecniche
didattiche
e
manuali
che
tengano
conto
della
rilevanza
personale
per
il
soggetto,
della
relazione
con
i
suoi
busogni
e
problem,
del
livello
di
novità
e
complessità,
delle
interferenze
ambientali
e
psico-‐fisiche
ridotte.
Oggi
si
ritiene
che
i
vari
ripi
di
motivazione
siano
equiparabili
dal
punto
di
vista
del
successo
dell’apprendimento:
le
motivazioni
culturali
durano
più
a
lungo
nel
tempo;
le
distinzioni
fra
i
vari
tipi
di
motivazione
possono
sfumare
o
coesistere;
è
la
somma
di
più
motivazioni
a
garantire
il
successo
dell’apprendimento
e
ad
avere
effetti
positivi;
la
motivazione
si
interseca
con
altri
atteggiamenti
psicologici
verso
la
L2,
quindi
la
motivazione
è
legata
alle
caratteristiche
dell’individuo,
ma
anche
alla
società
e
al
prestigio
che
in
essa
rivestono
la
L1
e
la
L2
del’apprendente.
-‐ il
filtro
affettivo:
ipotesi
del
filtro
affettivo
di
Steven
Krashen,
secondo
la
quale
il
soggetto,
per
poter
elaborare
e
interiorizzare
l’input
in
L2,
ha
bisogno
di
torvarsi
in
una
condizione
psicologica
rilassata,
in
un
clima
interpersonale
sereno.
v l’ansia
-‐
si
tratta
di
una
variabile
individuale
che
può
insorgere
in
relazione
a
un
particolare
compito
comunicativo,
in
situazione
di
test
formali,
quando
si
ha
paura
di
essere
giudicati,
quando
si
vive
negativamente
lo
shock
linguistico
e
culturale.
L’ansia
di
solito
è
piu
alta
negli
apprendenti
adulti,
nei
primi
tadi
dell’apprendimento
o
in
situazioni
formali.
Si
distingue
tra:
ansia
facilitante
(stress
positivo,
caratterizzato
da
uno
stadio
di
attenzione
vigile
che
agevola
l’apprendimento),
e
ansia
debilitante
(stress
negativo,
che
paralizza
e
inibisce).
v i
rapporti
interpersonali
–
coi
compagni,
col
docente.
Spesso
in
classe
possono
emergere
fenomeni
di
inibizione
psicologica
(ansia
da
prestazione,
tecniche
di
correzione
dell’errore
poco
attente
all’autostima
degli
studenti..).
Viceversa,
un
clima
sereno
e
collaborative
può
favorire
e
accelerare
l’apprendimento.
v la
percezione
della
L2
e
della
cultura
ad
essa
associate:
rapporto
personale
del
soggetto
con
la
stessa
L2
e
con
la
cultura
che
ad
esso
sono
associate.
37
L’atteggiamento
dell’apprendente
può
essere
influenzato
da:
il
suo
atteggiamento
verso
la
L2
e
la
sua
cultura;
i
suoi
pregiudizi
relative
alla
facilità
o
difficoltà
di
apprendimento
della
L2.
-‐
la
personalità
v il
carattere:
sicurezza/insicurezza,
livellodi
autostima,
tendenza
all’estroversione/introversione,
tendenza
all’initazione/anticonformismo,
inclinazione
al
rischio,
sensibilità
al
rifiuto,
egoism/empatia
verso
gli
altri,
grado
di
inibizione,
tolleranza
verso
l’ambiguità
v l’attitudine
alle
lingue:
inclinazione
individuale
verso
le
particolari
abilità
in
gioco
nell’apprendimento
linguistico.
Nel
1959
Peter
Skehan
mette
in
evidenza
che
l’attitudine
è
in
parte
innata
e
in
parte
acquisita,
interpretandola
come
residuo
di
una
certa
precocità
nell’apprendimento
della
L1,
risultato
di
un’esposizione
precocealla
L2,
prodotto
di
fattori
educativi
che
vanno
al
di
là
dell’istruzione
scolastica
(es.
classe
sociale,
livello
di
istruzione
dei
genitori).
v l’intelligenza:
inter
+
legere
=
scegliere
fra
tanti.
Secondo
lo
studioso
psicologo
statunitense
Gardner,
esistono
in
ogni
individuo
8
tipi
di
intelligenze
(linguistica,
logica,
musicale,
spaziale,
cinestetica,
interpersonale,
intrapersonale,
naturalistica).
L’intelligenza
ha
a
che
fare
con
le
attività
di
problem
solving
con
cui
ogni
individuo
si
confronta
ogni
giorno.
Ognuno
di
questi
8
tipi
di
i.
è
correlata
a
particolari
aree
cerebrali
e
può
risultare
più
congeniale
a
certi
tipi
di
compiti
comunicativi
nella
classe
di
L2:
(relazioni
scritte
e
orali,
dibattiti
e
giochi
linguistici>linguistica;
analisi
linguistica,
riflessione
su
nessi
logici,
riordino
di
parti
di
frasi
o
di
testi>logica;
attenzione
alla
pronuncia
e
all’intonazione,
memorizzazione
di
testi
cantata>
musicale;
uso
di
grafici
e
diagrammi>
spaziale;
role-‐play,
giochi>cinestetica;
lavori
di
gruppo>
interpersonale;
studio
autonomo>intrapersonale;
classificazioni,
descrizioni>
naturalistica).
Teoria
di
R.
Sternberg,
che
considera
l’intelligenza
sostanzialmente
di
tre
tipi:
pratica
(applicare
e
usare
la
L2),
analitica
(analizzare
la
L2
e
confrontarla
con
la
L1
e
le
altre
lingue
note),
creative
(creare
e
inventare
in
L2).
Il
successo
nell’apprendimento
della
L2
è
influenzato
da
tutti
i
tipi
di
intelligenza
individuate
dai
due
studiosi.
v lo
stile
cognitivo:
<<il
modopreferito
dall’individuo
di
elaborare
l’informazione
o
di
affrontare
un
compito
>>
(Larsen-‐Freman
e
Long,
1991).Esistono
diversi
stili
cognitive
che
possono
avere
importanti
ricadute
anche
sugli
stili
di
apprendimento
della
L2:
dipendente
dal
campo
(isolando
con
difficoltà
i
fenomeni
dal
contesto),
indipendente
dal
campo
(capacità
di
rispondere
correttamente
e
in
breve
tempo
alle
sollecitazioni
impreviste
provenienti
dalla
realtà),
analitico
(di
chi
scompone
il
compito
in
unità
discrete),
globale
(di
chi
privilegia
l’insieme
e
affronta
i
compiti
nella
loro
dimensione
generale),
analitico-‐mnemonico
(di
chi
procede
in
modo
analitico
alla
scoperta
delle
regole
o
attraverso
la
memorizzazione
di
parole
e
segmenti
della
L2),
visivo-‐tattile-‐uditivo-‐cinestetico
(di
chi
predilige
l’apprendimento
attraverso
lettura
o
schemi,
attività
manuali,
ascolto
di
canzoni
o
registrazioni,
coinvolgimento
fisico,
vision
di
filmati).
v lo
stile
e
le
strategie
di
apprendimento:
per
stile
di
apprendimento
si
intende
la
tendenza
personale
a
preferire
un
certo
modo
di
apprendere
e
studiare,
e
si
configura
come
la
sua
realizzazione
in
contesto
educativo.
I
suoi
principali
fattori
sono:
la
dimensione
percettiva,
la
dimensione
processuale,
la
dimensione
personale,
38
la
dimensione
metalinguistica,
la
dimensione
caratteriale.
Strategie:
metacognitive,
cognitive,
sociali
e
affettive.
Indipendentemente
dallo
stile
sognitivo
che
caratterizza
ognuno
di
noi,
è
possibile
esplorare
nuove
strategie
di
apprendimento.
v le
caratteristiche
socioculturali
dell’apprendente:
sono
styate
fatte
delle
ricerche
sulle
strategie
di
apprendimentopreferite
in
base
alla
provenienza
etnico-‐
linguistica,
per
individuare
una
correlazione
fra
metodi
di
istruzione
e
stili
di
apprendimento.
-‐
preconoscenze
e
enciclopedia
del
mondo:
Alice
Omaggio
Bradley
parla
di
3
tipi
di
background
knowledge:
linguistic
information
(il
livello
di
competenza
linguistica
nella
L2
raggiunto
fino
a
quell
momento),
knowledge
of
the
world
(le
nozioni
enciclopediche
accumulate
fino
a
quell
momento
dal
soggetto),
knowledge
of
discourse
structures
(preconoscenze
sulle
varie
tipologie
e
sui
vari
generi
testuali
e
sul
modo
in
cui
sono
organizzati
nella
cultura
di
riferimento
del
soggetto).
CAPITOLO
10
Principi
di
linguistica
acquisizionale
La
linguistica
acquisizionale
è
quell
settore
della
linguistica
che
si
occupa
in
maniera
specifica
dello
studio
delle
sequenze
di
apprendimento
dell’italiano
da
parte
di
apprendenti
adulti,
che
vivono
in
Italia
e
apprendono
l’italiano
in
maniera
spontanea.
Essa
fornisce
indicazioni
per
fotografare
le
sequenze
di
sviluppo
dell’italiano
e,
conseguentemente,
provare
attraverso
l’utilizzo
di
queste
sequenze
a
gestire
al
meglio
il
processo
di
apprendimento
che
avviene
in
classe.
(***gli
studi
sulle
sequenze
di
apprendimento,
se
inquadrati
dalla
giusta
prospettiva,
possono
essere
di
grande
ausilio
per
un
insegnante***).
Le
origini
della
linguistica
acquisizionale:
lo
studio
dell’italiano
e
delle
discipline
che
gli
ruotano
intorno
non
è
un
fenomento
recente.
Ciò
che
è
recente
è
il
cambio
di
motivazioniche
spingono
ad
apprendere
la
propria
lingua.
Fine
degli
anni
Settanta
>
trasformazione
del
nostro
Paese
da
Paese
di
emigranti
a
Paese
di
immigrati.
Da
quell
momento,
la
presenza
straniera
immigrate
ha
posto
nuovi
quesiti
a
tutto
il
mondo
dell’italiano
L2.
1981
Primo
articolo
dedicato
all’argomento
àla
ricerca
si
è
mossa
subito,
quasi
in
concomitanza
con
l’avvio
del
fenomeno
migratorio
in
Italia!
1985
Inizia
il
Progetto
Pavia
à
progetto
interuniversitario,
con
sede
a
Pavia
e
con
sedi
partecipanti
sparse
tra
Bergamo,
Torino,
Trento,
Roma,
Siena
1988
Convegno
di
presentazione
dei
primi
risultati
1992
Primo
convegno
generale
sull’italiano
L2
1993
Primo
lavoro
di
sintesi
dei
risultati
1999
Inizia
il
progetto
Linguistica
acquisizionale
2003
Volume
curato
da
Giacalone
di
raccolta
dei
principali
risultati
della
linguistica
acquisizionale
à
gli
obiettivi
del
progetto
Pavia
si
concentrarono
sulla
creazione
di
un
corpus
di
parlato
di
apprendenti
adulti
sufficientemente
ampio
da
poter
essere
interrogato
avendo
il
ragionevole
convincimento
che
le
risposte
siano
state
statisticamente
significative,
sulle
modalità
di
archiviazione
del
corpus
dei
dati
e
sulla
individuazione
di
sequenze
naturali
di
sviluppo
di
punti
discreti
della
competenza
linguistico-‐
comunicativa
(i
primi
ad
essere
indagati
furonola
modalità
e
la
temporalità).
Perchè
la
ricerca
si
incamminò
lungo
questa
direzione?
39
-‐ molti
dei
primi
ricercatori
erano
già
a
lavoro
o
in
contatto
con
loro
omologhi
oltreconfine
e
proseguirono
in
Italia
applicando
modelli
teorici
e
tecniche
di
indagine
già
sperimentate
in
altri
Paesi;
-‐ l’apprendimento
spontaneo,
privo
del
condizionamento
del
docente,
è
da
ritenersi
più
naturale
di
quello
guidato,
e
avendo
come
obiettivo
quello
di
indagare
le
vie
di
sviluppo
naturali
della
competenza
linguistico-‐comunicativa,
sono
gli
apprendenti
spontanei
che
vanno
studiati;
La
nozione
di
interlingua
Termine
proposto
da
Selinker
nel
1972,
che
indica
un
sistema
linguistico
a
sè
stante,
che
risulta
dal
tentativo
di
produzione
da
parte
dell’apprendente
di
una
norma
della
Lingua
obiettivo.
L’adozione
della
nozione
di
interlingua
sposta
l’attenzione
dal
prodotto
(i
risultati,
le
performances
degli
apprendenti)
al
processo
(come
e
perchè
gli
apprendenti
arrivano
a
produrre
determinate
forme
di
italiano).
La
competenza
in
L2
è
vista
come
un
insieme
di
regole,
ossia
un
insieme
di
nodi
e
legami
in
relazione
tra
di
loro.
Uno
delgi
obiettivi
degli
studi
acquisizionali
è
quello
di
ricercare
queste
regole,
per
individuare
se
ne
esistono
di
universali,
partendo
dall’analisi
delle
produzioni
apprendenti
e
dai
loro
eventuali
erorri
à
errori:
strumento
potentissimo
perchè
consentono
di
indagare
lo
stato
del
sistema
di
regole
presente
nella
testa
dell’apprendente,
di
individuarne
le
lacune
e
i
punti
sui
quali
intervenire,
ma
anche
di
fare
delle
previsioni
sui
suoi
sviluppi
future.
Ogni
interlingua
non
è
mai
stabile,
acquisita
una
volta
per
tutte
e
per
sempre,
ma
è
in
perenne
movimento.
La
vettorialità
di
questo
movimento
può
essere
anche
regressiva.
Il
movimento
non
riguarda
il
sistema
di
regole
nel
suo
complesso,
ma
singole
regole
o
sottoinsiemi
limitati
di
regole
(nodi
e
sottoinsiemi
di
nodi).
Altri
presupposti
della
linguistica
acquisizionale:
§ Ogni
apprendente
ha
una
sua
personale
rete
di
regole,
frutto
delle
caratteristiche
personali
e
cognitive,
della
propria
L1
di
partenza
e
delle
modalità
interattive
e
conversazionali
per
mezzo
delle
quali
ha
raggiunto
quell
determinate
stadio
di
sviluppo.
Però
è
possibile
raggruppare
queste
varie
interlingua
in
stadi
omogenei
di
sviluppo.
La
transizione
da
uno
stadio
all’altro
interlinguistico
è
di
tipo
implicazionale
e
presenta
dei
tratti
di
variabilità
(può
prevedere
una
fase
di
coesistenza
di
regole
appartenenti
a
stadi
diversi
fra
loro).
Gli
stadi
individuati
dalla
linguistica
acquisizionale
sono
5:
1)
iniziale
o
prebasico
–
pochissime
regole
e
pochissimo
lessico;
5)
molto
avanzato
con
una
competenza
densa
di
regole
paragonabile
a
quella
di
un
parlante
native.
§ Possono
esistere
degli
universali
([er
meglio
dire
dei
quasi-‐universali)
di
apprendimento:
qualunque
sia
la
lingua
madre
di
appartenenza,
ogni
apprendente
per
raggiungere
la
lingua
obiettivo
segue
delle
sequenze
di
sviluppo
uguali
per
tutti.
Uno
degli
obiettivi
della
linguistica
acquisizionale
è
rintracciare
questi
universali.
Essi
tendon
a
depotenziarsi
nella
fase
avanzata
dell’apprendimento,
quando
entrano
in
gioco
altri
fattori,
come
quelli
sociolinguistici.
§ La
competenza
linguistica
di
un
apprendente
è
molto
influenzata
dale
condizioni
sociolinguistiche
entro
le
quali
si
sviluppa.
§ Le
conoscenze
pregresse
maturate
con
lo
sviluppo
della
propria
L1
sono
considerate
uno
dei
fattori
determinant
nello
strutturarsi
della
nuova
competenza
(L2).
40
Lo
stato
attuale
della
ricerca
acquisizionalee
i
suoi
rapporti
con
la
didattica
delle
lingue:
uno
dei
risultati
della
disciplina
sta
nell’aver
messo
al
centro
della
riflessione
la
figura
dell’apprendente,
al
fine
di
individuarne
i
percorsi
adottati
per
il
raggiungimento
della
competenza
in
lingua
italiana.
Altro
risultato
è
la
concettualizzazione
dell’idea
di
sviluppo
della
competenza
come
una
sequenza
di
varietà
interlinguistiche
con
relativa
definizione
di
alcune
delle
loro
caratteristiche
interne,
nei
termini
di
sequenze
di
sviluppo
universali
o
quasi
universali
di
tratti
fonetici,
sintattici,
morfo-‐sintattici.
Queste
sequenze
in
pratica
sono
delle
fotografie
sugli
stati
di
avanzamento
della
grammatica.
***I
risultati
ottenuti
dalla
ricerca
non
dicono
niente
rispetto
al
come
insegnare,
ma
al
limite
forniscono
indicazioni
rispetto
alla
definizione
di
un
sillabo
per
la
didattica
della
nostra
lingua***.
Con
la
linguistica
acquisizionale,
alle
competenze
di
tipo
pedagogico
e
didattico
del
docente
si
sono
aggiunte
quelle
di
tipo
linguistico.
Decisivo
è
infine
il
contributo
della
linguistica
acquisizionale
alla
definizione
del
concetto
di
livello
di
competenza
e
delle
sue
caratteristiche
interne.
Purtroppo
c’è
ancora
una
scollatura
tra
mondo
della
ricerca
e
mondo
della
didattica
àproblema
aperto.
Punto
di
vista
più
proficuo
per
la
didattica
della
lingua
italiana:
trovare
una
via
di
accord
tra
la
linguistica
acquisizionale
e
la
glottodidattica
è
possibile
e
si
deve
(in
più
punti
del
QCER
c’è
l’esplicito
riferimento
a
un
fare
didattica
in
classe
tenendo
sempre
in
considerazione
i
processi
di
acquisizione
che
generano
l’uso
linguistico,
e
quindi
i
tratti
di
regolarità
ricercati
dalla
linguistica
acquisizionale.
Per
realizzare
in
classe
forme
di
didattica
acquisizionale:
1.
i
docenti
devono
aumentare
la
conoscenza
dei
risultati
ottenuti
dale
ricerche
di
linguistica
acquisizionale;
2.
La
ricerca
acquisizionale
dovrebbe
aprirsi
maggiormente
sul
versante
di
studi
che
guardano
con
più
attenzione
al
mondo
della
didattica
e
alle
sue
istanze.
CAPITOLO
14
Italiano
L2:
profilo
studenti
universitari
La
progettazione
di
ogni
percorso
formativo
non
può
prescindere
da
un’attenta
analisi
dei
bisogni
dei
nostril
utenti
e
da
una
riflessione
sui
fattori
che
possono
e
devono
influenzare
le
nostre
scelte
metodologiche
e
organizzative.
I
fattori
che
interagiscono
all’interno
del
contesto
didattico
e
sulla
base
dei
quali
deve
essere
calibrate
la
progettazione
sono:
-‐ il
soggetto
(l’apprendente);
-‐ l’oggetto
di
apprendimento
(la
lingua
e
l’uso
che
ne
fa
l’utente
in
funzione
della
società
e
della
cultura
all’interno
della
quale
si
trova
ad
interagire);
-‐ l’agente
(il
docente
ma
anche
i
mezzi
dei
quali
si
avvale
e
le
modalità
didattiche
alle
quali
sceglie
di
fare
riferimento).
Studente
universitario:
soggetto
dale
caratteristiche
definite
e
omogenee
rispetto
a
moltelici
aspetti
(età,
motivazione,
livello
di
istruzione,
dinamiche
relazionali
sia
fra
compagni
che
con
i
docenti).
Possono
variare
due
paramentri
fondamentali:
-‐ il
livello
di
competenza
nella
lingua
oggetto
di
studio
-‐ il
contesto,
il
luogo
nel
quale
si
svolge
l’apprendimento
(contetso
di
apprendimento
LS
vs
contesto
di
italiano
L2=lo
studente
straniero
che
impara
la
nostra
lingua
in
Italia).
41
I
programmi
universitari
e
lo
studente
straniero
in
Italia
I
programmi
universitari
di
mobilità
(Erasmus,
Socrates,
Leonardo,
EILC,
LLP,
Marco
Polo
e
Turandot>
accordo
con
il
Ministero
dell’Educazione
Cinese)
hanno
intensificato
il
processo
di
internazionalizzazione
degli
atenei
(dal
1999).
Migliaia
di
studenti
universitari
hanno
potuto
continuare
la
propria
formazione
universitaria
nelle
facoltà
di
altri
Paesi.
I
programmi
riguardano
anche
la
formazione
linguistica
nella
lingua
del
Paese
di
arrivo.
Il
profilo
studente
universitario
à
quando
giunge
in
Italia
lo
student
dei
programmi
di
mobilità
ha
già
ricevuto
una
preparazione
linguistica
di
base
nel
proprio
Paese.
I
corsi
di
lingua
italiana
in
cui
viene
inserito
nel
Paese
d’arrivo
prevedono
un
livello
minimodi
competenza
linguistica
pari
a
B1
o
livello
soglia
del
QCER.
Lo
studio
della
lingua
è
di
grande
aiuto
per
lo
studente,
ma
comporta
anche
un
impegno
aggiunto
ad
altri.
Nello
studente
universitario
è
ravvisabile
una
chiara
spinta
motivazionale,
presente
per
due
motivià
lo
studio
e
la
vita
in
Italia.
Il
corso
di
lingua
avrà
successo
se
l’insegnante
riuscirà
ad
integrarlo
alle
altre
attività
relative
allo
studente.
L’insegnante
di
italiano
L2
dovrà
quindi
enucleare
le
situazioni
comunicative
vissute
dallo
studente
e
dovrà
prevederne
altre
che
lo
studente
potrà
affrontare
in
futuro.
Approccio
andragogico
>
la
consapevolezza
del
priprio
ruolo
e
dei
propri
compiti
apporta
allo
studente
universitario
altrettanta
consapevolezza
riguardo
i
propri
obiettivi.
L’insegnante
vede
in
questo
tipo
di
allievo
la
necessità
di
rispettare
maggiormente
le
sue
proprie
modalità
di
apprendimento
e
i
suoi
rapidi
ritmi
di
processazione
delle
informazioni
ricevute.
Alla
stessa
stregua
dell’adulto
lo
student
universitario
ha
necessità
di
spiegazioni,
chiarimenti,
e
soprattutto
motivazioni
intermini
di
giustificazioni
di
un
obiettivo
in
relazione
ai
suoi
studi
e
alla
sua
vita.
Il
corso
di
lingua
rivolto
a
studenti
universitari
deve
sempre
avere
un’impostazione
pragmatica
=
mantenere
una
stretta
corrispondenza
tra
la
realtà
esternae
quanto
il
docente
spiega.
I
metodi
induttivi
risultano
più
adeguati
a
questo
tipo
di
destinatario,
perchè
una
volta
raggiunta
la
propria
autonomia,
potrà
riapplicare
da
solo
il
percorso
e
le
strategie
messe
in
atto
sotto
la
guida
del
docente.
Modelli
operativi
da
utilizzare:
la
fase
di
elicitazione-‐motivazione
non
deve
occupare
molto
tempo,
poichè
lo
student
universitario
conosce
già
in
gran
parte
sia
il
contenuto
che
il
motive
per
cui
quell’argomento
viene
presentato.
Inoltre,
qesteo
tipo
di
utente
mostra
una
certa
fretta
di
arrivare
all’obiettivo,
spesso
anche
in
maniera
frettolosa
e
disordinata.
Lo
studente
universitario
USA
in
Italia
Caratteristiche
salienti
dello
studente
USA:
-‐
profilo
costituito
prevalentemente
da
apprendenti
di
sesso
femminile,
di
età
compresa
tra
i
19
e
i
21
anni
(undergraduate
–
97%;
graduate
solo
il
2,2%,
dottorandi
0,2%).
Tra
i
fattori
motivazionali:
-‐ ragioni
di
tipo
personale
e
culturale
(curiosità
di
conoscere
nuovi
sistemi
simbolici
e
comunicativi,
la
volontà
di
viaggiare
per
osservare
da
vicino
il
patrimonio
artistico
e
culturale);
-‐ riallacciare
il
legame
con
le
proprie
origini
familiari;
Organizzazione
dei
programmi:
42
-‐ programmi
short
term
(massimo
8
settimane
di
permanenza,
38%),
mid-‐length
(1
semestre,
58%),
long-‐term
(1
anno,
4%).
Caratteristiche
comuni
agli
study
abroad:
-‐ una
costante
presenza
di
lezioni
di
lingua
italiana
con
varia
frequenza
e
vario
livello
di
competenza
(corsi
intensivi
o
che
implicano
solo
3
ore
settimanali)
+
corsi
di
cultura
italiana
(Literature,
Art
History,
History
and
Civilization,
Tourism,
Business
and
Economics,..)
à
spesso
offerti
in
lingua
inglese
per
facilitare
il
focus
on
content.
Specialmente
negli
studenti
undergraduate
non
si
nota
un
grande
divario
a
livello
di
preparazione
accademica
e
hanno
un’impostazione
didattica
più
o
meno
omogenea:
-‐presenza
di
un
syllabus
che
ordina
e
delimita
i
contenuti
nozionali;
-‐costante
presenza
di
assignment,
quiz,
paper,
midterm
test,
final
exam
(l’attribuzione
dei
grades
non
è
molto
flessibile
perchè
deve
rispettare
precisi
criteri
matematici
e
statistici).
La
scelta
dei
libri
di
testo
à
spesso
le
caratteristiche
dei
textbooks
(con
il
focus
prevalentemente
grammaticale,
la
presenza
di
liste
di
lemmi,
quiz,
eserciziari,
rari
role-‐play
e
attività
task
based)
li
fanno
preferire
ai
manuali
per
italiano
L2
adottati
nei
corsi
di
centri
linguistici
e
altri
istituti
in
Italia,
perchè
questi
presentano
dei
limiti
(es.
una
progressione
non
sempre
corrispondente
al
syllabus
previsto
dalla
casa
madre).
Lo
studente
cinese
in
Italia
I
programmi
Marco
Polo
e
Turandot
sono
nati
in
base
ad
accordi
governativi
italo-‐cinesi,
che
prevedono
un
lungo
soggiorno
per
student
sinofoni
iscritti
a
corsi
di
laurea
triennale
e
magistrale
presso
università
o
istituzioni
di
alta
formazione
artistica
e
musicale
italiane.
Per
iniziare
i
corsi
accademici
gli
studenti
devono
possedere
un
livello
di
competenza
linguisica
Italiana
iniziale
pari
al
B1/B2
del
QCER.
I
corsi
dei
centri
linguistici
organizzati
dagli
atenei
sono
di
solito
organizzati
in
due
moduli
complementari,
il
modulo
base
(aspetti
morfosintattici
e
funzionali)
e
modulo
tematico
(linguaggio
settoriale).
La
L1
può
creare
non
poche
difficoltà
a
livello
ortografico,
morfosintattico
e
lessicale.
Concetti
presi
in
considerazione
nelle
scuole
cinesi
à
4R
(ricezione
–
ripetizione
-‐
revision
–
riproduzione):
metodo
che
rimanda
al
metodo
grammaticale-‐traduttivo
(non
viene
data
particolare
importanza
alla
comunicazione
e
agli
aspetti
funzionali
della
lingua).
Questa
impostazione
si
riflette
nello
stile
di
apprendimento
degli
studenti:
precision,
accuratezza
e
lentezza
degli
interventi
in
classe
(paura
del
rischio
e
di
perdere
la
faccia).
Le
buone
pratiche
suggeriscono
agli
insegnanti
di
non
forzare
tempi
e
metodi
di
studio,
ma
di
far
capire
le
modalità
e
il
valore
delle
attività
proposte,
cercando
di
far
capire
che
gli
errorisono
un
passo
avanti
nell’acquisizione
della
nuova
lingua.
I
docent
hanno
la
possibilità
di
scegliere
tra
i
manuali
ad
hoc
per
questo
specific
profile
di
apprendente
oppure
di
adottare
libri
di
testo
utilizzati
nei
corsi
per
studenti
di
diversa
madrelingua.
L’oggetto
di
insegnamento
Non
può
consistere
nei
soli
elementi
strettamente
linguistici,
ma
deve
riguardare
anche
le
abilità
e
le
competenze
socio-‐culturali
e
pragmatiche.
43
La
dimensione
orizzontale
à
descrizione
dele
caratteristiche
del
linguaggio
oggetto
di
studio
(pr
gli
std
univ:
quasi
esclusivamente
linguaggio
tecnico
specialistico).
Alcuni
parametri
di
base
che
accomunano
tutti
i
linguaggi
disciplinary,
distinguendoli
dalla
lingua
comune:
• lessico:
determinante
per
individuare
la
disciplina
e
i
diversi
settori
nei
quali
si
articolano
spesso
le
diverse
discipline.
Il
lessico
specialistico
si
caratterizza
a
livello
lessicale
tramite
meccanismi
volti
a
determinare
il
passaggio
dei
vocaboli
da
parola
a
termine:
-‐ termini
mutuati
dalla
lingua
comune:
i
linguaggi
settoriali
utilizzano
in
maniera
assai
rilevante
termini
appartenenti
alla
lingua
comune,
ai
quali
all’interno
di
ogni
specific
linguaggio
viene
attribuita
un’accezione,
diversa
e
specifica
(es.
organo
àsignificato
doverso
a
second
ache
si
tratti
di
ambito
giuridico
o
medico);
-‐ prestiti;
-‐ neologismi:
specificatamente
create
all’interno
delle
diverse
discipline.
Nei
linguaggi
specialistici
è
stata
riscontrata
la
tendenza
alla
denotatività.
• morfologia:
i
fenomeni
individuati
come
specifici
sono
fenomeni
che
nei
linguaggi
settoriali
si
ripetono
più
di
altre
strutture,
che
spesso
vengono
proprio
evitate
(motivazione
di
tali
scelte:
rendere
i
linguaggi
specialistici
quanto
più
possibile
oggettivi
e
neutri,
evitando
ogni
possibile
influenza
sul
destinatario
).
• Aggettivi:
esclusione
di
aggettivi
graduabili
e
di
sostantivi
alterati,
che
richiederebbero
un
giudizio
di
valore
da
parte
dell’autore;
• Formazione
delle
parole:
composizione
e
affissazione.
• Sintassi:
i
linguaggi
specialistici
tendon
a
privilegiare
forme
e
strutture
che
danno
minore
importanza
alla
persona
che
svolge
o
che
subise
l’azione,
come
la
forma
passive
o
la
forma
impersonale,
ma
anche
la
nominalizzazione;
• Testualità:
in
alcune
discipline
c’è
una
prevalenza
del
testo
argomentativo
(discipline
scientifiche:
usato
per
la
descrizione
di
un
processo).
Altri
tipi
di
testo
molto
frequenti
nei
linguaggi
specialist
sono
i
testi
descrittivi
o
i
testi
prescrittivi
e
regolativi.
La
dimensione
verticale
àfa
riferimento
agli
ambiti
all’interno
dei
quali
i
linguaggi
settoriali
vengono
utilizzati.
Necessario
il
ricorso
a
un
linguaggio
di
livello
divulgativo
in
caso
di
comunicazione
tra
specialisti
e
profane.
Quando
lo
scambio
comunicativo
avviene
tra
spcialisti
il
linguaggio
utiilizzato
è
di
livello
altamento
specialistico
(tendenza
all’implicitezza).
C’è
poi
il
linguaggio
altamente
formalizzato,
che
è
quello
tipico
di
discipline
come
la
musica
o
la
matematica.
La
dimensione
vertical
non
determina
solo
il
livello
del
linguaggio
specialistico
utilizzato,
ma
anche
il
tipo
di
scambio
comunicativo
che
prevale
in
tale
contesto,
e
i
compiti
comunicativi
che
devono
essere
svolti
all’interno
di
tale
ambito.
La
dimensione
didattica
à
ha
lo
scopo
di
determinare:
• la
scelta
delle
fonti
(testi
che
dovranno
costituire
l’input
didattico):
i
criteri
per
la
selezione
dei
testi
da
utilizzare
sono
la
complessità
linguistica,
la
tipologia
testuale,
la
struttura
discorsiva,
la
presentazione
attraverso
canali
diversi,
la
lunghezza
del
44
testo,
l’interesse
per
l’apprendente.
È
fondamentale
presentare
agli
studenti
sia
testi
scritti
(con
graduale
avvicinamento
al
linguaggio
specialistico)
che
testi
orali
(possono
essere
utiizzati
inizialmente
brani
videoregistrati
,
tratti
da
documentari
o
da
programmi
tratti
da
divulgazione
scientifica,
per
poi
passare
ad
autentiche
lezioni
accademiche,
e
arrivare
a
brani
di
parlato
spontaneo.
La
tipologia
testuale
sarà
influenzata
dalla
disciplina
di
studio
(es.
testi
regolativi
e
argomentativi
in
ambito
giuridico,
argomentativi
in
economia
o
in
discipline
scientifiche,
etc);
• la
definizione
dei
compiti
linguistico-‐comunicativi
da
affrontare:
per
poter
sopravvivere
linguisticamente
in
ambito
accademico,
lo
studente
dovrà
comprendere
lezioni
di
livello
universitario;
comprendere
testi
di
studio
di
livello
universitario;
essere
in
grado
di
scrivere
una
breve
relazione
o
una
tesi;
saper
interagire
con
docent
e
compagni
e
con
i
docenti;
essere
in
grado
di
sostenere
un
esame
orale.
• la
selezione
delle
abilità
da
sviluppare:
capacità
di
comprendere
lunghi
momenti
parlati
(con
linguaggio
specific
e
tecnico),
essere
in
grado
di
prendere
appunti
à
ricezione
orale,
interazione
scritta/orale/
Comprendere
testi
scritti
nei
quali
ricorre
un
linguaggio
specifico
e
tecnico
à
ricezione
scritta,
lettura/
essere
in
grado
scrivere
una
breve
relazione
o
una
tesi
à
effettuare
un
lavoro
di
manipolazione
testuale
partendo
da
testi
scritti,
saper
parafrasare
un
testo,
sintetizzare
un
argomento,
saperlo
riprodurre
per
iscritto
o
riesporre,
anche
parlando
su
traccia
scritta
/
saper
interagire
con
docenti
o
compagni
à
essere
in
grado
di
sostenere
un
dialogo,
utilizzando
se
necessario
un
linguaggio
specifico
e
tecnico
(interazione
orale)/
essere
in
grado
di
sostenere
un
esame
orale
à
capacità
di
sostenere
turni
di
discorso
utilizzando
un
linguaggio
specifico
e
tecnico.
Il
docente
Il
docente
di
lingua
seconda
deve
muoversi
didatticamente
come
un
facilitatore,
come
colui
che
guida
graudalmente
lo
studente
ad
‘agire’
in
maniera
kinguisticamente
adeguata
all’ambiente
o
agli
ambienti
in
cui
lo
studente
vive.
Lo
student,
dal
canto
suo,
si
rivolge
al
docente
per
la
risoluzione
dei
suoi
bisogni
comunicativi
riguardanti
il
mondo
universitario
e
la
vita
in
Italia,
spiegando
in
maniera
dettagliata
le
sue
esigenze
e
i
suoi
scopi.
Il
docente
dovrà
essere
competente
in
tutti
i
campi
inerenti
la
glottodidattica
e
conoscere
alla
perfezione
tutte
le
varietà
linguistiche
del
repertorio
italiano.
Il
docente
di
lingua
avvia
all’evidenziazione
delle
caratteristiche
formali,
del
meccanismo
e
all’uso
della
lingua
specialistica.
Dovrà
avere
nozioni
basilari
della
material,
ma
lascerà
ai
docent
delle
facoltà
universitarie
il
compito
loro
proprio
di
insegnare
la
chimica,
la
fisica
nucleare,..
Flessibilità
di
metodologia
e
di
contenuti
à
criterio
fondamentale
in
didattica.
45
PARTE
TERZA:
Analisi
e
progettazione
dei
materiali
didattici
(cap
19-‐24)
CAPITOLO
19
I
manuali
di
italiano
L2:
indicazioni
per
una
scelta
consapevole
La
scelta
del
manuale,
un
dibattito
ancora
in
corso:
lo
studioso
McGrath
(2002)
evidenzia
i
vantaggi
che
il
libro
di
testo
offre
sia
per
gli
studenti
che
per
gli
insegnanti.
Il
manuale
consente
di
orientarsi
all’interno
del
processo
di
apprendimento/insegnamento;
fornisce
loro
esempi
di
lingua;
integra
e
dà
sostegno
a
quanto
il
docente
propone
in
classe;
fornisce
agli
studenti
schemi
di
riferimento
e
ulteriori
attività
di
esercitazione;
offre
al
docente
una
guida
strutturata
e
un
support
linguistico,
culturale
e
metodologico.
Tutto
questo
solo
se
il
manual
corrisponde
alle
esigenze
del
docente
e
della
classe.
Occorre
aspettare
gli
anni
70
del
secolo
scroso
per
poter
assistere
ad
una
prima
diffusione
di
testi
pensati
per
l’insegnamento
della
nostra
lingua
e
addirittura
gli
anni
80
per
poter
vedere
n
vero,
fondamentale
cambiamento
nell’editoria
dell’italiano
a
stranieri
(Mondadorim
Bulzoni,
Marzocco,
Hoepli,
La
Scuola,
Le
Monnier,
Zanichelli
à
le
più
conosciute
e
attive
nel
settore
dell’Italiano
L2).
Anni
90:
case
editrici
specializzate
à
Alma,
ELI.
Questo
maggiore
interesse
delle
case
editrici
per
l’italiano
L2
è
da
attribuirsi
al
forte
increment
del
numero
di
utenti
interessati
all’apprendimento
della
nostra
lingua.
L’editoria
propone
via
via
manuali
che
recepiscono
a
pieno
le
esigenze
delle
diverse
fasce
di
età
degli
apprendenti
e
che
cercano
di
venire
incontro
ai
nuovi
bisogni
di
integrazione
e
accoglienza
che
si
sono
venuti
a
creare.
Fine
del
secolo
scorso:
inizio
del
processo
di
immigrazione
+
introduzione
dei
progetti
di
scambio
universitario.
Nel
nuovo
secolo,
tra
le
motivazioni
allo
studio
della
lingua
italiana
subentrano
anche
quelle
professionali.
Questo
maggiore
interesse
per
l’italiano
ha
aumentato
enormemente
sia
il
numero
che
le
caratteristiche
deimanuali
a
disposizione
dei
docenti,
consentendo
una
maggiore
possibilità
di
scelta,
ma
anche
richiedendo
più
competenze
adeguate
per
effettuare
una
selezione
consapevole.
Gli
studiosi
si
sono
quindi
impegnati
per
fornire
strumenti
tramite
i
quali
i
docenti
possono
essere
in
gradi
di
analizzare
e
valutare
i
manuali
e,
di
conseguenza,
di
scegliere
quello
che
al
meglio
si
presta
a
rispondere
alle
necessità
della
propria
classe.
La
valutazione
dei
manuali
può
essere
realizzata
in
diversi
modi:
-‐ giudizio
impressionistico:
basato
sul
parere
di
altri
docenti
o
sulla
raccolta
di
informazioni
generiche;
-‐ momento
in
cui
la
valutazione
si
svolge:
un
manuale
può
essere
valutato
sia
durante
l’uso
in
classe
o
a
posteriori,
ma
si
può
anche
proporre
uno
strumento
utile
per
scegliere
il
libro
di
testo
che
meglio
possa
soddisfarci,
valutandolo
cioè
prima
di
adottarlo
e
proporlo
alla
propria
classe;
McGrath
ha
creato
una
griglia
di
analisi
ben
chiaramente
strutturata,
individuando
una
serie
di
parametric
riferiti
sia
all’apprendente
che
al
contesto
di
apprendimento
ai
quali
il
docento
può
fare
riferimento
per
la
scelta
del
manuale.
Indicazioni
utili
per
la
scelta
del
manual
da
utilizzare
con
la
propria
classe:
Parametri
di
riferimento
à
l’oggetto
di
insegnamento,
il
soggetto
che
apprende,
l’agente,
al
quale
è
affidato
il
compito
di
gestire
il
processo
didattico.
All’interno
di
ognino
di
questi
tre
parametric
si
possono
rilevare
alcune
sottovariabili:
46
-‐
OGGETTO:
le
variabili
son
oil
modello
di
lingua
oggetto
di
insegnamento,
il
ruolo
che
l’approccio
assegna
alla
grammatical
e
l’obiettivo
principale
di
tale
approccio.
-‐
SOGGETTO:
la
variabile
relativa
al
soggetto
tiene
conto
del
ruolo
dell’apprendente
nel
processo
di
apprendimento/acquisizione
e
del
modo
con
il
quale
questi
viene
preso
in
considerazione;
-‐
AGENTE:
la
variabile
relativa
all’agente
riguarda
il
ruolo
e
l’atteggiamento
del
docente,
le
sue
modalità
di
rapport
con
gli
apprendenti
e
di
gestione
della
classe,
le
scelte
che
compie
riguardo
alle
attività
da
proporre
e
alle
tecniche
da
adottare
per
sviluppare
la
competenza
linguistico-‐comunicativa
degli
studenti.
È
all’interno
di
questa
variabile
che
rientrano
i
mezzi
dei
quali
si
avvale
il
docente
che
dovrà
devidere
anche
quale
manuale
scegliere.
Il
metodo
grammaticale-‐traduttivo
à
XIX
secolo,
ha
come
presupposto
l’assimilazione
dell’apprendimento
di
una
qualsiasi
lingua
straniera
a
quello
del
latino
e
del
Greco.
Questo
porta
a
considerare
la
lingua
come
un
modello
di
riferimento
static
e
a
sopravvalutare
la
lingua
scritta
a
discapito
di
quella
parlata.
La
grammatica
viene
insegnata
in
maniera
deduttiva:
utilizzando
sempre
e
soltanto
la
L1
il
docente
presenta
regole
astratte,
che
l’allievo
deve
limitarsi
a
memorizzare
e
applicare
in
esercizi
di
coniugazione
e
di
trasformazione
di
frasi.
Il
docente
è
in
un
rapporto
di
netta
superiorità
nei
confronti
dello
student.
Non
vi
è
infatti
nessuna
considerazione
riguardo
al
soggetto.
Insegnamento
basato
quasi
esclusivamente
su
attività
di
tipo
grammaticale,
traduzione
di
brani,
coniugazione
dei
verbi,
il
riassunto,
il
tema:
la
lettura
ad
alta
voce
dei
testi
in
lingua
rappresenta
l’unica
forma
di
oralità
presente
in
questo
metodo.
I
mezzi:
i
manuali
di
studio.
Il
metodo
audio
orale
à
questo
metodo
è
influenzato
dale
ipotesi
di
tipo
comportamentista
in
ambito
psicologico
e
dale
teorie
linguistiche
di
matrice
strutturalista.
Partendo
dal
presupposto
che
il
linguaggio
può
essere
appreso
dagli
esseri
umani
come
qualsiasi
altro
comportamento,
il
metodo
audio
orale
porta
a
considerare
l’allievo
un
oggetto
sul
quale
agire
meccanicamente.
La
lingua
insegnata
è
costituita
da
modelli
di
frase,
che
l’allievo
è
chiamato
ad
ascoltare
e
ripetere.
La
lingua
orale
è
l’obiettivo
preponderante
dell’insegamento.
Il
ruolo
del
docente
è
ridotto
a
quello
di
un
tecnico
adibito
alla
gestione
dea
macchina.
In
questi
manuali,
che
come
per
le
altre
lingue
non
presentano
testi
input
ma
solo
frasi
stimolo
da
ripetere
o
manipolare
in
maniera
ripetitiva,
è
spesso
il
titolo
stesso
a
contenere
l’indicazione
del
tipo
di
impostazione
seguita.
L’approccio
comunicativo:
dal
metodo
situazionale
al
metodo
nozionale-‐funzionale
à
passaggio
dal
comportamentismo
al
cognitivismo:
causa
principale
dell’abbandono
dell’approccio
strutturalista.
È
grazie
al
determinante
contributo
derivante
dagli
studi
di
ambito
linguistico,
antropologico
e
sociolinguistico
che
si
affermò
il
concetto
di
competenza
comunicativa
e
che
l’approccio
comunicativo
divenne
il
punto
di
riferimento
per
l’insegnamento
delle
lingue.
Il
metodo
situazionale:
primo
esempio
di
applicazione
dell’approccio
comunicativo.
Questo
metodo
propone
come
oggetto
di
insegnamento
un
modello
di
lingua
scritta
e
orale.
Il
sillabo
viene
costruito
facendo
riferimento
alle
situazioni
all’interno
delle
quali
potrebbe
avere
bisogno
di
interagire
un
individuo
adulto
durante
la
sua
permanenza
in
un
Paese
47
straniero.
Per
quanto
riguarda
la
grammatical,
vengono
insegnate
le
strutture,
che
occorrono
per
realizzare
gli
atti
comunicativi.
Obiettivo
primario
del
metodo
situazionale
comincia
ad
essere
la
competenza
comunicativa,
ovvero
la
capacità
di
interagire,
di
operare
con
la
lingua
per
raggiungere
un
obiettivo.
Il
progetto
Livello
soglia
prende
per
la
prima
volta
in
considerazione
i
bisogni
del
soggetto.
L’agente
assume
il
ruolo
di
regista,
animatore,
guida
gli
apprendenti
a
comunicare
in
lingua.
Scompare
il
laboratorio
linguistico
e
viene
per
la
prima
volta
introdotto
nella
didattica
il
videoregistratore.
Le
attività
e
gli
esercizi
presentati
nei
manuali
sono
adesso
introdotti
da
testi
input
consistenti
in
brevi
dialoghi.
Tramite
tali
testi
input
vengono
presentate
situazioni
communicative
e
nei
manuali
si
cerca
di
fornire
anhe
alcuni
elementi
di
civiltà
italiana.
Il
metodo
nozionale-‐funzionale:
evoluzione
del
metodo
situazionale.
La
capacità
di
prendere
appunti,
di
riassumere,
di
parafrasare
un
testo,
di
tradurre,
ma
anche
di
comprendere
un
testo
audiovisivo
diviene
parte
integrante
dell’oggetto
di
apprendimento,
e
cioè
della
competenza
comunicativa.
Si
tende
a
proporre
come
oggetto
di
insegnamento
una
lingua
che
sia
quanto
più
possibile
vicina
a
quella
utilizzata
nella
comunicazione
autentica
fuori
dalla
classe
e
che
rispecchi
usi
e
valori
della
cultura
che
con
tale
lingua
vengono
trasmessi.
La
conoscenza
delle
strutture
della
lingua
assume
comunque
un
ruolo
importante,
in
quanto
viene
vista
come
il
mezzo
che
consente
di
realizzare
quello
che
è
ritenuto
l’obiettivo
primario
di
questo
metodo,
ovvero
la
capacità
di
comunicare.
Le
regole
non
sono
più
intese
come
un
dogma,
bensì
come
meccanismi
da
scoprire,
e
quindi
sistematizzare,
attraverso
l’analisi
di
campioni
significativi
di
lingua
reale,
che
prima
devono
essere
compresi
e
analizzati
e
dai
qualid
eve
partire
il
processo
di
riflessione
autonoma
e
consapevole
dello
studente.
Se
il
metodo
situazionale
si
era
preoccupato
dei
bisogni
linguistici
dell’apprendente,
con
il
metodo
nozionale-‐funzionale
il
discente
diviene
il
centro
del
processo
didattico.
La
vera
rivoluzione
di
questo
metodo
è
l’introduzione
dell’unità
didattica
nell’insegnamento.
Motivazione>globalità>analisi>sintesi>riflessione>controllo:
sequenza
prevista
dall’unità
didattica
à
anche
l’ambito
psicologico
ha
un
ruolo
fondamentale
all’interno
dell’approccio
comunicativo.
Il
docente
tende
a
diventare
sempre
più
colui
che
ha
il
compito
di
facilitare
l’apprendimento.
Con
questo
metodo
entrano
nella
didattica
altri
mezzi:
videoregistratore,
laboratorio
linguistico.
Approccio
umanistico
affettivo
:
anni
Sessanta-‐Settanta
del
secolo
scorso.
I
metodi
inquadrabili
nell’ambito
dell’approccio
umanistico-‐affettivo
hanno
in
comune
una
massima
attenzione
nei
confronti
dell’allievo
e
del
suo
rapporto
con
il
docente.
L’agente
ha
il
dedicato
compito
di
guidare
l’allievo
e
facilitarlo
in
un
percorso
che
lo
porti,
oltre
che
all’apprendimento
linguistico,
anche
alla
sua
autorealizzazione
personale
e
sociale.
Tra
i
metodi
che
fanno
riferimento
all’approccio
umanistico-‐affettivo:
il
metodo
suggestopedico
e
il
TPR
(Total
Physical
Response).
L’ideatore
del
metodo
suggestopedico,
G.
Losanov,
pone
come
obiettivo
fondamentale
del
metodo
quello
di
mettere
a
proprio
agio
gli
apprendenti
tramite
accorgimenti
volti
a
creare
un’atmosfera
positiva
(es.
musica
di
sottofondo).
L’ideatore
del
metodo
TPR,
Asher,
ha
come
scelta
quella
di
non
forzare
almeno
nei
primi
anni
di
apprendimento
la
produzione
orale
da
parte
degli
studenti.
L’apprendimento
cooperativo:
dobbiamo
pensare
alla
competenza
comunicativa
come
interazione
sociale,
e
al
soggetto
come
membro
di
una
comunità.
L’agente,
il
docente,
è
48
colui
che
deve
formare
e
gestire
i
gruppi,
monitorare
il
lavoro
senza
interferire,
valutare
gli
allievi:
è
in
pratica
un
tutor.
Per
quanto
riguarda
i
manuali
di
L2,
è
solo
da
poco
tempo
che
l’apprendimento
cooperative
ha
trovato
spazio.
L’integrazione
di
approcci
e
metodi:
rapporto
fra
manuali
e
approcci
e
metodi
di
riferimento.
Il
metodo
nozionale-‐funzionale
non
può
essere
applicato
a
qualsiasi
contesto
di
apprendimento
e
con
ogni
più
diversa
tipologia
di
apprendenti.
Questo
ha
portato
anche
gli
autori
di
testi
a
cercare
un
equilibrio
nell’impostazione
dei
manuali,
nei
quali
sempre
più
gli
aspetti
comunicativi
vengono
integrati
da
quelli
linguistici,
alla
ricerca
di
quello
che
è
stato
definite
approccio
integrato
o
eclettico.
Analisi
di
manuali
Griglia
utile
per
procedere
all’analisi
e
alla
valutazione
di
manuali
e
testi
per
la
didattica
ell’italiano
L2.
Breve
descrizione
dei
diversi
criteri
di
valutazione
proposti.
L’analisi
del
manual
ci
consente
anche
di
evincere
le
teorie
alle
quali
il
testo
fa
riferimento
e
l’approccio
o
i
diversi
approcci
e
metodi
che
ne
hanno
suggerito
l’impostazione.
I
paramentri
di
analisi
e
valutazione
dei
manuali:
-‐ i
dati
bibliografici
à non
possono
essere
ritenuti
in
assoluto
dati
neutri;
-‐ destinatari
à
primo
paramentro
che
il
docente
deve
prendere
in
considerazione:
ETÀ
–
MOTIVAZIONE
(in
alcuni
casi
generic,
in
altri
specifica)
–
CONTESTO
DI
INSEGNAMENTO
–
LINGUA
MADRE
DEI
DESTINATARI;
-‐ obiettivo
principale
à
può
consistere
in
una
sola
e
distinta
abilità
(es.
ricezione
scritta
–
lettura;
produzione
scritta
–
scrittura..),
oppure
in
una
delle
diverse
competenze
che
contribuiscono
a
comporre
la
competenza
linguistico-‐comunicativa
così
come
viene
definite
dal
QCER:
competenza
lessicale,
grammaticale,
testuale,
socio-‐culturale,
ecc.
È
comunque
utile
cercare
di
mettere
a
fuoco
l’obiettivo
principale
di
ogni
testo,
verificando
quale
competenza
abbia
maggiore
spazio
e
quale
venga
invece
trascurata;
-‐ tipologia
à
manuali
VS
volume
di
sussidio.
Questo
parametro
ci
può
aiutare
anche
nell’identificazione
del
tipo
di
approccio
o
di
metodo
al
quale
il
testo
fa
riferimento.
In
ambito
di
tale
parametro
è
da
prendere
in
considerazione
la
presenza
o
meno
di
supporti
che
integrin
oil
manual;
-‐ indicazioni
per
il
docente
à
utili
anche
come
guida
a
un
diverso
e
ulteriore
utilizzo
del
testo
(chiavi
delle
attività,
trascrizioni
dei
brani,
audio,
video);
-‐ veste
grafica
à
impaginazione
(la
disposizione
del
testo
e
delle
immagini
nelle
pagine,
l’equilibrio
fra
questi
diversi
tipi
di
testo,
la
modalità
di
presentazione
delle
attività
che
l’apprendente
deve
svolgere,
la
progression
e
la
forma
scelte
per
la
loro
numerazione);
schemi
(meglio
gli
schemi
chiari
e
leggeri,
nei
quali
sono
evidenziati
con
diverso
colore
gli
elementi
sui
quali
concentrare
l’attenzione,
che
possono
fare
da
guida
efficace
per
l’apprendente);
illustrazioni;
colori
à
le
immagini,
sia
disegni
che
fotografie,
oltre
che
a
servire
come
decorazione
e
ornament
al
testo
e
a
svolgere
quindi
una
funzione
fondamentale,
quella
di
motivare
gli
apprendenti,
possono
rappresentare
un
utile
supporto
didattico.
-‐ Indice
à
fornisce
indicazioni
relative
alle
abilità
linguistiche
che
si
mira
a
sviluppare.
Possono
essere
fornite
informazioni
sul
tipo
di
lessico
presentato
in
ogni
49
unità
o
sugli
eventuali
ampliamenti
culturali,
socio-‐culturali
o
interculturali.
VS
Indici
con
elenchi
di
lezioni
o
di
argomenti
grammaticali;
-‐ Scansione
del
testo
à
questo
parametro
serve
a
evidenziare
il
modello
operativo
ai
quali
gli
autori
del
manuale
scelgono
di
fare
riferimento.
È
con
l’approccio
comunicativo
che
viene
introdotta
l’unità
didattica,
che
a
partire
da
tale
momento
si
contrapporrà
in
maniera
radicale
alla
lezione.
La
scelta
del
modello
operativo
deve
tenere
conto
di
quello
che
è
il
fulcro
della
didattica,
ovvero
l’apprendente;
-‐ Testi
input
à
il
testo
è
lo
strumento
sul
quale
è
incentrato
tutto
il
processo
di
apprendimento/insegnamento
di
una
lingua
e
dal
quale
prendono
avvio
tutte
le
attività
didattiche.
Si
potrà
verificare
se
gli
autori
abbiano
potato
per
l’inserimento
di
testi
tratti
da
giornali,
riviste,
libri,
Internet,
ecc,
o
abbiano
invece
preferito
creare
appositamente
testi
adeguati
ai
destinatari.
(Varietà
linguistiche
presenti
à
nella
selezione
dei
testi
da
usare
come
input
nell’insegnamento
dell’italiano
a
stranieri,
gli
autori
possono
optare
per
la
presentazione
della
sola
lingua
standard
o
proporre,
come
ormai
tutti
i
manuali
preferiscono,
la
lingua
neo-‐standard,
ovvero
quell
ache
rappresenta
il
modello
di
lingua
accettato
cme
corretto
e
diventato
punto
centrale
del
diasistema
della
lingua
italiana:
è
quindi
possibile
trobvare
nel
manual
anche
modelli
influenzati
da
variazioni
dovute
a
diversi
fattori
(varietà
diafasiche,
diatopiche,
diastratiche;
Tipi
e
generi
testuali
à
ulteriore
caratteristica
da
tenere
in
considerazione
è
la
tipologia
dei
testi
presentati,
che
può
essere
ristretta
a
quelli
narrativi,
descrittivi,
argomentativi
(tripartizione
tipologica
fondamentale
tramite
la
quale
si
realizzano
i
processi
generali
del
funzionamento
cognitive
dell’essere
umano),
oppure
può
anche
essere
ampliata
ad
altre
tipologie
(testo
espositivo,
regolativo,
scenic,
informativo).
Anche
per
quanto
riguarda
i
generi
testuali
si
rende
necessario
tenere
presenti
motivazioni
e
interessi
degli
apprendenti,
e
selezionare
quelli
più
adeguati
ai
destinatari;
Aspetti
linguistici
ài
testi
presentati
dovranno
essere
selezionati
anche
in
base
alla
loro
struttura
morfologica,
sintattica,
testuale).
-‐ Presentazione
della
grammatica
à
la
grammatica
è
uno
degli
elementi
che
meglio
ci
aiuta
a
determinare
il
tipo
di
approccio
e
le
scelte
didattiche
effettuate
da
un
testo.
Quello
che
occorre
valutare
in
un
manuale
è
la
modalità
di
presentazione
delle
regole:
induttiva
(partendo
dal
testo
input)
o
deduttiva
(presentatndo
prima
la
regola).
Altro
aspetto:
verificare
se
la
grammatica
è
presentata
in
maniera
normativa
o
se
invece
vengono
fornite
allo
studente
chiare
indicazioni
riguardo
al
fatto
che
la
lignua
cambia
in
funzione
dell’uso
e
quindi
della
situazione
all’interno
della
quale
si
sta
comunicando,
del
ruolo
dei
partecipanti,
della
modalità,
dello
scopo
per
il
quale
si
comunica,
ecc.
Ulteriore
aiuto
al
processo
di
analisi
e
valutazione
è
fornito
dal
titolo
che,
quando
presente,
viene
dato
alla
sezione
destinata
agli
aspetti
grammaticali
(scheda
grammaticale,
il
nome,
l’articolo,..).
-‐ Istruzioni
à
paramentro
determinante
ai
fini
della
progettazioe
di
un
manual
davvero
efficace
e
utile.
Le
istruzioni
sono
rivolte
all’apprendente,
che
deve
poterle
comprendere
anche
senza
l’aiuto
del
docente.
Devono
quindi
essere
formulate
utilizzando
il
registro
adeguato
al
destinatario
(es.
non
troppo
formali
per
i
bambini).
Le
istruzioni
devono
essere
formulate
calibrando
il
grado
di
complessità
50
linguistic
in
funzione
degli
apprendenti
e
cercando
quindi
di
evitare
quanto
più
possibile
forme
linguistiche
e
lessicali
troppo
complesse
(college,
unisci,
abbina,;;).
Presenza
di
esempi,
supporti
grafici
o
iconici.
Icone:
spesso
sono
l’unico
strumento
tramite
il
quale
viene
esplicitata
la
modalità
di
svolgimento
delle
attività.
-‐ Attività
e
tecniche
à
un
buon
manuale
può
e
deve
presentare
un’ampia
scelta
e
varietà
di
attività
e
di
tecniche
didattiche,
spaziando
dalle
attività
di
comprensione
agli
esercizi
grammaticali,
dai
pattern
drills
alle
attività
testuali,
dalle
attività
communicative
fino
alle
attività
ludiche,
o
a
quelle
cooperative,
avvalendosi
di
tecniche
varie
e
diversificate:
ciò
che
è
importante
è
che
ogni
attività
venga
proposta
nel
momento
opportune,
nella
fase
appropriate
dell’unità,
e
che
si
ricorra
alla
tecnica
adeguata
per
conseguire
di
volta
in
volta
l’obiettivo
che
si
mira
a
raggiungere.
CAPITOLO
20
Criteri
di
progettazione
didattica
per
l’italiano
L2
I
livelli
di
progettazione
didattica
La
progettazione
didattica
rappresenta
una
componente
fondamentale
dell’attività
di
insegnamento.
Il
docente
è
chiamato
a
progettare
materiali
e
attività
secondo
criteri
metodologicamente
condivisi
dalla
letteratura
glottodidattica,
evitando
di
affidarsi
alla
propria
intuizione
o
esperienza
pregressa.
Il
suo
operato
in
fase
progettuale
dovrebbe
riguardare
l’intero
percorso
formativo,
di
cui
i
singoli
incontri
costituiscono
parte
integrante.
L’attività
di
progettazione
di
un
percorso
di
apprendimento
linguistico
si
articola
in
due
livelli:
1)
macroprogettazione
à
riguarda
l’identificazione
del
profile
di
utenti
ai
quali
si
intende
rivolgersi
e
l’individuazione
di
alcuni
aspetti
che
connotano
il
percorso
educativo,
fra
cui
il
contesto
di
insegnamento,
il
modello
progettuale
da
adottare,
gli
obiettivi
da
conseguire,
i
contenuti
da
presentare,
le
competenze
da
valutare;
2)
microprogettazione
à
come
organizzare
l’attività
didattica
sul
piano
operative
per
promuovere
l’apprendimento.
Vengono
individuate
i
testi
attorno
ai
quali
far
ruotare
il
lavoro
dei
discenti,
la
modalità
di
presentazione
dei
materiali,
il
modello
operative
di
riferimento,
le
tecniche
didattiche
a
cui
ricorrere
per
lo
sviluppo
di
abilità
e
competenze,
le
procedure
da
impiegare
per
promuovere
l’interazione
in
classe.
La
pianificazione
di
un
percorso
di
insegnamento
termina
con
la
creazione
dei
materiali,
da
elaborare
sulla
base
delle
scelte
effettuate
e
delle
indicazioni
definite
preliminarmente.
MACROPROGETTAZIONE
Non
può
prescindere
dall’identificazione
degli
studenti
a
cui
il
corso
intende
rivolgersi
e
dalla
precisazione
di
specifici
aspetti
che
connotano
il
loro
apprendimento
linguistico.
Il
destinatario
del
corso
necessita
di
imparare
a
realizzare
attività
linguistche
che
gli
consentono
di
prendere
parte
attiva
alle
interazioni
sociali.
L’identificazione
dei
destinatari:
l’individuazione
degli
scopi
che
spingono
allo
studio
di
una
lingua
straniera
è
definite
dalla
letteratura
“analisi
dei
bisogni”.
I
bisogni
linguistico-‐
comunicativi
degli
apprendenti
<sono
il
risultato
di
una
serie
di
costrizioni
interne
ed
esterne
che
il
soggetto
deve
armonizzare
per
poter
compiere
lo
sforzo
di
apprendere,
in
vista
delle
interazioni
che
svolgerà
negli
ambienti
più
diversi>.
La
ricerca
di
stampo
51
sociolinguistico
distingue
2
tipologie
di
bisogni:
bisogni
soggettivi
à
necessità
relative
ai
singoli
student
e
derivati
dal
grado
di
sviluppo
cognitive,
dal
livello
di
conoscenza
linguistica,
dale
modalità
di
apprendimento;
bisogni
oggettivi
à
dipendenti
dagli
scopi
per
cui
la
lingua
viene
appresa.
Congiuntamente
ai
bisogni
oggettivi
à
età,
grado
di
istruzione,
livello
di
competenza
linguistica
e
culturale,
gl
usi
della
lingua
nei
vari
contesti,
la
lingua
madre,
la
conoscenza
di
altre
lingue,
l’evoluzione
personale
degli
studenti
e
la
capacità
di
prendere
coscienza
delle
loro
priorità.
L’importanza
conferita
ai
bisogni
in
fase
di
progettazione
del
corso
pone
il
docente
in
condizione
di
dover
‘osservare’,
in
maniera
sistematica
e
quasi
scientifica,
i
propri
studenti
in
modo
da
conoscere
a
fondo
le
loro
necessità
linguistiche.
Il
contesto
di
insegnamento/apprendimento:
relativamente
al
contesto
operativo
in
cui
si
realizza
il
corso,
è
opportune
non
trascurare
alcune
variabili,
tutte
interdipendenti,
quali:
-‐ la
connotazione
dell’istituzione
in
cui
si
tengono
le
lezioni
(università,
scuola
pubblica,
scuola
private,..),
da
cui
conseguono
gli
obiettivi
da
attribuire
all’azione
formativa;
-‐ la
durata
di
ogni
intervento
didattico
e
la
sua
distribuzione/concentrazione
in
un
period
di
tempo
più
o
meno
ampio;
-‐ la
disponibilità
di
risorse
utilizzabili;
-‐ la
disponibilità
di
strumentazioni
tecnologiche;
-‐ lo
spazio
in
cui
hanno
luogo
le
lezioni;
A
differenza
dei
bisogni
e
di
altri
fattori
legati
all’utente,
che
costituiscono
precondizioni
dale
quali
la
progettazione
del
percorso
didattico
deve
muovere,
le
variabili
connesse
alla
situazione
di
apprendimento/insegnamento
possono
subire
modifiche
anche
in
corso
d’opera,
in
odo
da
garantire
migliori
opportunità
operative
in
vista
del
conseguimento
degli
obiettivi
del
corso.
La
scelta
del
modello
progettuale:
la
letteratura
glottodidattica
ha
elaborato
alcuni
modelli
per
la
progettazione
di
interventi
educativi,
incentrati
sulla
selezione
ragionata
dei
contenuti
da
offrire
e
sulla
pluralità
di
variabili
che
entrano
in
gioco
nel
processo
di
insegnamento/apprendimento.
Sebbene
ciascun
modello
si
caratterizzi
in
base
al
quadro
teorico
al
quale
fa
riferimento,
è
possibile
ricondurre
le
differenti
metodologie
progettuali
a
due
matrici:
1)
con
ANDAMENTO
LINEARE
(si
fonda
su
una
concezione
dell’apprendimento
inteso
come
accumulazione
progressive
di
conoscenze
e
abilità,
da
sviluppare
attraverso
il
conseguimento
di
obiettivi
tassonomici
àesempio
di
modello
con
andamento
lineare:
quello
per
obiettivi);
2)
con
STRUTTURA
RETICOLARE
(esempio:
modello
per
sfondi
integratori
àesso
individua
gli
obiettivi
di
apprendimento
in
relazione
ai
diversi
campi
di
esperienza
del
discente,
conseguiti
attraverso
percorsi
esperienziali
non
lineari,
che
coinvolgono
attivamente
chi
impara).
Un
ulteriore
modello
progettuale
è
quello
PER
COMPITI
(Task-‐based
Learning):
si
fonda
sulla
concezione
secondo
cui
l’apprendimento
è
il
risultato
del
ricorso
a
meccanismi
52
naturali
di
acquisizione,
messi
in
atto
dallo
student
per
eseguire
attività
linguistiche
che
richiedono
lo
svolgimento
di
un
compito.
I
metodi
didattici
afferenti
all’Approccio
comunicativo
costruiscono
la
didattica
sulla
tripartizione
PPP
(presentazione-‐pratica-‐produzione).
Tale
sequenza
si
traduce
in
una
struttura
tripartite
globalità-‐analisi-‐sintesi,
che
ritroviamo
alla
base
della
tradizionale
unità
didattica
e
dei
successive
modelli
operative
da
questa
derivati.
Nel
corso
degli
anni
80
matura
la
proposta
del
TBL,
grazie
a
cui
si
afferma
la
centralità
del
compito
nella
didattica
della
lingua.
Il
lavoro
inizia
con
l’assegnazione
di
un
compito
da
eseguire,
per
poi
proseguire
con
l’elaborazione
di
riflessioni
esplicite
e
consapevoli
sugli
aspetti
della
lingua
legati
alla
forma.
v Fase
pre-‐compito
(pre-‐task):
il
docente
avvicina
la
classe
all’argomento
contenuto
nel
compito,
richiamando
l’attenzione
su
parole
chiave
utili
alla
comprensione
di
quanto
richiesto
dal
compito.
v Task
cycle:
suddiviso
a
sua
colta
in
tre
stadi
–
1)mentre
gli
apprendenti
affrontano
il
compito
a
doppie
il
docente
osserva
il
loro
lavoro
intervenendo
solo
per
incoraggiare
l’uso
della
L2,
non
per
correggere
eventuali
errori;
2)
planning:
gli
student
comunicano
ai
componenti
degli
altri
gruppi
quanto
da
loro
fatto
–
produzione
orale
o
scritta;
3)
report
–
il
docente
supervision
le
operazioni
di
resoconto
delle
esperienze
ed
esprime
delle
valutazioni
a
riguardo.
v Analysis:
i
testi
letti
e
ascoltati,
così
come
le
produzioni
degli
student
stessi,
forniscono
lo
spunto
al
docente
per
guidare
la
classe
a
una
riflessione
sulla
lingua,
in
modo
che
le
strutture
impiegate
nello
svolgimento
del
compito
diventino
oggetto
di
osservazione
e
possano
così
essere
integrate
nell’interlingua.
L’attività
di
riflessione
linguistica
può
garantire
anche
ulteriori
stimuli
per
far
pratica
(Practice)
con
gli
elementi
della
lingua
che
sono
stati
oggetto
di
indagine.
Concetto
di
COMPITO
à
il
compito
è
presente
nella
vita
quotidiana
e
riguarda
tutti
i
domini
(personale,
pubblico,
educativo,
professionale).
L’esecuzione
di
un
compito
comporta
l’attivazione
strategica
di
competenze
che
servono
per
portare
a
termine
delle
azioni
finalizzate
a
raggiungere
un
risultato
specifico
in
un
preciso
dominio.
Dal
punto
di
vista
didattico
à
attività
da
realizzare
in
classe,
in
cui
la
lingua
oggetto
di
studio
è
usata
come
scopo
comunicativo
per
conseguire
un
esito.
Al
di
là
della
natura
specifica
del
compito,
è
importante
che
la
metodologia
di
progettazione
per
compiti
preveda
alcuni
punti
saldi,
fra
cui:
la
presentazione
di
un
problema
comunicativo
da
risolvere,
la
connessione
del
problema
con
attività
del
mondo
reale,
la
preminenza
del
significato
rispetto
alla
forma,
la
priorità
del
completamento
del
compito,
la
verifica
dell’esito
del
compito.
Portare
a
termine
un
compito
richiede
agli
studenti
anche
l’attivazione
strategica
di
competenze
generali,
fra
cui
l’esperienza
del
mondo,
la
conoscenza
socioculturale
relative
alla
comunità
di
cui
si
impara
la
lingua,
le
abilità
interculturali
per
mediare
fra
le
due
culture,
le
capacità
pratiche
richieste
nella
vita
quotidiana.
L’individuazione
degli
obiettivi
di
apprendimento:
fase
essenziale
della
pianificazione
del
percorso
di
apprendimento,
da
considerare
indipendente
dal
modello
progettuale
adottato.
La
descrizione
di
un
obiettivo
può
essere
concepita
come
sviluppo
di
competenze
generali
del
soggetto.
Possono
essere
considerati
come
obiettivi
di
apprendimento,
non
53
solo
le
strategie
di
comunicazione,
ma
anche
le
singole
component
della
competenza
linguistico-‐comunicativa.
La
definizione
del
sillabo:
si
distinguono
due
principali
categorie
di
sillabi
à
SILLABI
PROPOSIZIONALI,
intesi
come
inventari
in
cui
sono
elencati
gli
aspetti
della
competenza
linguistico-‐comunicativa
che
diventeranno
poi
oggetto
di
esercitazione
e
riflessione
nei
materiali
selezionati
durante
la
fase
di
macroprogettazione.
La
scelta
delle
forme
linguistcihe
da
inserire
in
questo
tipo
di
sillabo
può
essere
condotta
sulla
base
delle
informazioni
ricavate
dall’analisi
dei
bisogni
dei
discenti;
SILLABI
PROCESSUALI
à
basati
su
compiti
da
portare
a
termine,
abbinati
a
domande
riguardanti
le
decisioni
che
docente
e
studenti
devono
prendere
per
svolgere
quanto
richiesto
(maggior
coinvolgimento
del
discente).
La
verifica
degli
apprendimenti:
gli
strumenti
di
misurazione
delle
competenze
dipendono
dal
modello
di
progettazione
didattico
adottato.
Oltre
alla
verifca
del
docente,
è
possibile
considerare
anche
strumenti
di
autovalutazione
formativa,
determinanti
per
lo
sviluppo
del
grado
di
autonomia
e
di
partecipazione
attiva
dei
discenti.
MICROPROGETTAZIONE
Il
docente
procede
con
l’organizzazione
degli
incontri.
Ciò
comporta
un’articolazione
del
percorso
di
apprendimentoin
singoli
segmenti,
ciascuno
dei
quali
deve
consentire
il
conseguimento
di
un
sottoinsieme
di
obiettivi
prefissati.
Criteri
di
analisi
e
selezione
dei
testi
ai
fini
didattici:
per
capire
se
un
testo
è
adatto
a
una
determinata
tipologia
di
apprendenti,
è
necessario
considerare
una
serie
di
parametri,
quali:
o la
complessità
linguistica:
il
criterio
della
complessità
linguistica
pone
il
docente
di
fronte
alla
possibilità
di
scegliere
un
testo
controllando
(ed
eventualmente
gestendo)le
sue
caratteristiche
linguistiche,
affinchè
esso
sia
compatibile
con
la
doppia
funzione
che
deve
avere
l’input
testuale
nel
processo
di
insegnamento/apprendimento,
ovvero
rendere
possibile
l’interazione
sociale
e
sviluppare
la
competenza
dello
studente
L2;
o la
tipologia
testuale:
ai
fini
dell’individuazione
dei
tipi
testuali,
è
possibile
partire
dalle
tre
tipologie
riconosciute
come
universalmente
valide
(Vedovelli).
Queste
tipologie
sono
ascrivibili
a
processi
generali
del
funzionamento
cognitivo
dell’essere
umano
à
testi
narrativi
(capacità
di
seriazione
degli
eventi
lungo
l’asse
del
tempo),
testi
descrittivi
(capacità
di
disposizione
degli
avvenimenti
nello
spazio),
testi
argomentativi
(capacità
di
gestire
in
modo
articolato
concetti
astratti)
+
(Lavinio)
testi
espositivi
(forniscono
informazioni
su
un
tema
attraverso
un
ragionamento),
testi
regolativi
(il
cui
fine
è
orientare
il
comportamento
tramite
regole,
istruzioni),
testi
rappresentativi
(includono
scambi
dialogici
o
sequenze
di
azioni
tendenzialmente
coincidenti
col
tempo
dell’enunciazione).
La
selezione
del
testo
da
parte
del
docente
deve
prendere
in
considerazione
la
<<familiarità>>
dello
studente
con
le
regole
di
gestione
di
una
determinata
classe
di
testi;
54
o la
struttura
discorsiva:
regole
strutturali
interne
di
un
determinato
testo,
per
la
cui
individuazione
è
necesario
ricorrere
a
parametri
quali
à
coerenza
testuale
(connessione
logico-‐semantica
fra
le
parti
di
un
testo),
coesione
testuale
(rete
di
segnali
di
collegamento
fra
le
parti
di
un
testo,
es.
segni
di
punteggiatura),
organizzazione
del
ragionamento,
la
natura
dell’informazione
(volta
a
definire
se
i
principali
nuclei
informativi
sono
espliciti
o
impliciti),
assenza
di
contraddizioni;
o la
presentazione
attraverso
canali
differenti
(pres.
fisica):
la
scelta
dei
testi
in
relazione
a
questo
parametro,
deve
considerare
il
livelo
di
competenza
dei
destinatari,
l’età,
gli
interessi,
gli
stili
cognitivi,
il
filtro
affettivo
+
la
presenza
di
eventuali
elementi
di
distorsione
e
interferenza
(es.scarsità
del
segnale
audio)
che
talvolta
connotano
il
testo
e
finiscono
per
aumentare
le
difficoltà
sia
sui
processi
di
ricezione,
che
sugli
eventi
counicativi
che
dal
testo
devono
prendere
avvio;
o la
lunghezza
del
testo:
il
QCER
richiama
l’attenzione
sulla
densità
informativa
e
la
ridondanza.
<<un’eccessiva
riduzione
del
testo
in
termini
di
lunghezza,
specialmente
se
effettuata
eliminando
ad
esempio
ripetizioni
volte
a
renderlo
più
facilmente
accessibile,
potrebbe
al
contrario
restituire
un
testo
più
criptico,
aumentando
così
il
grado
di
difficoltà..>>;
o l’interesse
per
l’apprendente:
determinante
per
la
motivazione
e
quindi
l’attivazione
di
tutti
quei
meccanismi
che
tendono
a
favorire
l’acquisizione
della
L2.
Tale
parametro
deve
spingere
il
docente
a
scegliere
dei
testi
che
soddisfino
bisogi
e
curiosità
dei
discenti.
È
quindi
necessario
partire
proprio
dagli
interessi
specifici
dei
discenti,
che
possono
essere
anche
dedotti
direttamente
dal
docente
sia
in
maniera
informale
attraverso
domande
di
elicitazione,
sia
formale
attraverso
appositi
questionari.
Modelli
operativi
per
l’insegnamento
della
L2:
i
segmenti
di
cui
si
compone
il
percorso
formativo
sono
costruiti
tenendo
conto
dei
diversi
modelli
operative
individuate
dalla
letteratura
glottodidattica,
che
prevedono
a
loro
volta
più
formati
didattici,
congruenti
al
quadro
teorico
cui
fanno
riferimento
(linguistica,
neurolinguistica,
pedagogia,
sociolinguistica,
pragmatica).
Breve
panoramica:
UNITÀ
DIDATTICA
(UD)
à
prevede
una
sequenza
di
fasi
ben
definite,
finalizzate
a
garantire
coerenza
ed
efficacia
alle
attività
da
svolgere
in
classe.
Fasi:
1. motivazione:
esplorazione
del
contesto
(argoento,
luogo,
ruolo
dei
personaggi),
del
cotesto
(tipologia
e
genere
testuale)
e
del
paratesto
(titoli,
immagini,
didascalie);
2. globalità:
primo
incontro
con
il
testo
input.
Fase
che
termina
con
l’accertamento
delle
informazioni
generali
in
esso
presentate;
3. analisi:
il
testo
è
osservato,
scomposto
e
ricomposto
in
elementi
che
devono
essere
esplorati
e
riconosciuti
dai
discenti
attraverso
attività
di
induzione
delle
strutture
e
del
lessico.
4. Sintesi:
sono
rafforzati
gli
elementi
esplorati
nella
fase
3.
Esercizi
di
reimpiego.
55
5. Riflessione:
mira
a
sistematizzare
i
fenomeni
incontrati
e
a
favorire
l’acquisizione
di
una
consapevolezza
più
tecnica
della
lingua.
6. Verifica
degli
obiettivi
didattici
perseguiti,
tramite
test
forale
o
informale
sui
diversi
contenuti
affrontati.
Limiti:
offerta
di
una
tranche
linguistico-‐comunicativa
realizzata
mettendo
insieme
contenuti
e
strutture
linguistiche
legati
a
un
unico
contesto
situazionale/culturale;
rigida
consequenzialità
delle
6
fasi;
durata
complessiva
dell’unità
(4-‐6ore)
che
non
favorisce
l’immediata
spendibilità
nel
contesto
esterno
delle
competenze
acquisite
al
termine
di
ogni
lezione.
Rende
difficile
tenere
alta
la
motivazione,
suddividendosi
in
più
ore
di
lezione
da
svolgersi
in
incontri
diversi.
UNITÀ
DI
APPRENDIMENTO
à
UdA
o
Unità
di
acquisizione.
Tre
fasi:
1. Si
presentano
i
contenuti
dell’unità
2. Rete
di
unità
di
apprendimento
proposte
in
relazione
ad
alter
simili
3. Riflessione
su
quanto
appreso
e
sistematizzato
+
attività
di
testing
con
correzione
autonoma
o
collettiva.
Ciascun
testo
presentato
ai
corsisti
durante
le
diverse
unità
di
apprendimento
è
esplorato
prima
globalmente
poi
in
modo
analitico.
All’interno
della
stessa
sessione
di
lavoro
in
classe
è
possibile
passare
anche
a
una
successiva
UdA,
dedicata
ad
altri
contenuti
e
con
altri
obiettivi
à
varietà
del
lavoro.
Rappresentatndo
ogni
singola
unità
di
apprendimento
un’entità
a
sè,
il
docente
ha
maggiori
margini
di
seleizone
dei
percorsi
considerati
più
adatti
ai
propri
discenti
à
libertà
nella
scelta
dei
percorsi,
che
consente
di
posticipare
o
addirittura
saltare
unità
percepite
come
troppo
complesse
o
poco
motivanti.
UD-‐
valutazione
sommativa
VS
UdA-‐
test
di
valutazione
in
itinere.
UNITÀ
DIDATTICA
CENTRATA
SUL
TESTO
àUDt
–
caratterizzata
dallo
sfruttamento
intensivo
dell’input
testuale.
Tale
input
testuale
è
considerato
nodo
centrale
dell’unità,
come
strumento
di
interazione
e
comunicazione,
modello
di
lingua
rappresentativo
di
usi
comunicativi,
di
variabili
sciolinguistiche
e
pragmatiche,
di
tipologie
di
generi
testuali.
L’input
testuale
trasmette
stimuli
per
la
discussione
e
fornisce
occasioni
di
analisi,
esercitazione
e
riflessione.
Tutto
il
lavoro
ruota
intorno
al
testo.
Fasi
1. Contestualizzazione
culturale
e
comunicativa:
si
forniscono
le
coordinate
situazionali
relative
al
testo
input
presentato
2. Lavoro
sull’input
testuale:
attività
di
comprensione,
analisi
e
riflessione
del
testo
3. Output
comunicativo:
verifica
del
raggiungimento
degli
obiettivi
ai
quali
l’unità
è
destinata
–
riutilizzo
produttivo
(reimpiego
dei
contenuti
appresi
in
classe
da
parte
dello
studente)
à
spinta
a
rimettere
in
azione
fuori
dal
contesto
educativo
gli
usi
esperiti
dall’apprendente
nella
comunicazione
didattica.
UNITÀ
DI
LAVORO
à
micropercorso
di
apprendimento
guidato,
unitario,
valutabile
e
concluso
in
sè.
L’UdL
racchiude
in
sè
l’idea
di
un
lavoro
condiviso
condotto
dal
discente
e
dal
docente,
e
il
principio
che
tale
lavoro
implichi
sforzo
e
soddisfazione
nel
raggiungimento
degli
obiettivi
prefissati
(preliminarmente
da
docente
e
allievi)
à
negoziazione
degli
obiettivi
e
delle
modalità
per
espletarli.
Tre
fasi
sequenziali:
56
1. Fase
di
introduzione:
mette
a
disposizione
degli
student
gli
strumenti
necessari
per
un’adeguata
cmprensione
dei
contenuti
da
trattare
=
fornire
le
coordinate
della
situazione
comunicativa
che
verrà
proposta
e
introdurre
gli
elementi
lessicali
e
culturali
relative
al
testo
da
affrontare;
2. Fase
di
svolgimento:
il
testo
viene
presentato
per
la
prima
volta
alla
classe,
affinchè
diventi
il
punto
di
partenza
per
attività
di
analisi,
induzione
delle
regole,
esercitative
e
riflessione/ampliamento
su
specifiche
strutture
grammaticali
o
particolari
contenuti
tematici;
3. Fase
di
conclusione:
verifica
delle
performance
degli
allievi
in
relazione
ai
contenuti
affrontati.
Testing
formale
o
informale.
Il
docente
ha
modo
di
progettare
un
percorso
didattico
induttivo
(dal
funzionale
al
formale,
dall’uso
della
lingua
alla
riflessione
metalinguistica),
che
risulti
orientate
alle
caratteristiche
individuali
e
ai
bisogni
dei
destinatari,
e
che
sfrutti
il
contesto
classe
e
altri
scenari
di
apprendimento
informale.
In
questo
modello
operativo
è
la
dimensione
progettuale
a
ricoprire
un
ruolo
di
primaria
importanza
DA
LEGGERE
CAP.11
Italiano
L2:
profilo
bambini
14
CAP.12
Italiano
L2:
profilo
adolescenti
11
CAP.13
Italiano
L2:
profilo
adulti
e
senior
8
CAP.15
Italiano
L2:
profilo
immigrati
11
CAP.16
Italiano
L2:
profilo
oriundi
italiani
13
CAP.17
Italiano
L2:
profilo
operatori
turistico-‐alberghieri
6
CAP.18
Italiano
L2:
profilo
cantanti
d’opera
9
CAP.21
Il
testo
letterario
per
l’italiano
L2
5
CAP.22
Il
testo
audiovisivo
per
l’italiano
L2
6
CAP.23
Il
fumetto
per
l’italiano
L2
11
CAP.24
Le
immagini
per
l’italiano
L2
8
57