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FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE

Seconda edizione
Luigi Anolli

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PROSPETTIVE SULLA COMUNICAZIONE UMANA

1. LA COMUNICAZIONE HA MOLTE FACCE E DIMENSIONI


Ognuno di noi è un essere comunicante e non possiamo scegliere se essere comunicanti o meno, ma si può
scegliere se è in che modo comunicare
La comunicazione è un’attività eminentemente sociale: si ha comunicazione solo all’interno di un gruppo
poiché rappresenta una condizione necessaria e un vincolo per la genesi, l’elaborazione e la conservazione di
qualsiasi sistema di comunicazione.
- Socialità e comunicazione costituiscono due dimensioni tra loro distinte ma intrinsecamente
interdipendenti
- La comunicazione è alla base dell’interazione sociale e delle relazioni interpersonali

La comunicazione: attività umana complessa e articolata, costitutiva dell’identità dei soggetti partecipanti e
delle culture di riferimento; nel particolare:
● è partecipazione: prevede la condivisione dei significati e dei sistemi di segnalazione, nonché
l’accordo sulle regole a ogni scambio comunicativo;
● ha una matrice culturale e possiede una natura convenzionale: assume una funzione attiva
nell’elaborazione e modifica delle medesime convenzioni sociali e culturali
● ha una radice filogenetica: prevede una lunga traiettoria nel corso dell’evoluzione umana
● è un'attività eminentemente cognitiva: è in stretta connessione con il pensiero e con i processi
mentali superiori; pensiero e comunicazione si articolano in modo reciproco, in quanto per comunicare
occorre che i soggetti siano capaci di rendere esplicito il proprio pensiero e la propria intenzione
● é strettamente connessa con l’azione: ogni atto comunicativo ha degli effetti sulla sequenza degli
scambi tra i partecipanti, all’interno di un processo di influenza reciproca
● non è disgiunta dalla discomunicazione: che comprende una serie di fenomeni comunicativi
particolari (comunicazione menzognera, ironica, seduttiva…)
La comunicazione, per la sua complessità, è divenuta l’oggetto di studio scientifico da parte di numerose
discipline che, con punti di vista differenti, analizzano e ritagliano la realtà della comunicazione con prospettive
diverse: questo rende la comunicazione un ambito interdisciplinare

2. L’APPROCCIO MATEMATICO: COMUNICAZIONE COME TRASMISSIONE DI INFORMAZIONI


Lo studio della comunicazione è stato reso possibile dal concetto generale di informazione, che costituisce
una dimensione di base della realtà
Per definizione informazione è:
● espansiva: l’informazione genera ulteriore informazione
a) l’informazione è diffusa per sua natura
b) si riproduce piuttosto che essere consumata
c) può essere solo condivisa nel corso dell’interazione e non scambiata
● comprimibile a livello sia sintattico sia semantico
● facilmente trasportabile e trasmissibile a una velocità molto elevata
In generale si può definire l’informazione come “una differenza che genera differenza”; è la relazione tra due
o più dati in grado di generare ulteriori conoscenze. È un'entità astratta ed è identificata con qualsiasi
elemento conoscitivo nuovo in grado di ridurre una condizione di incertezza.
Possedere un’informazione significa avere una mappa più definita è attendibile della realtà.

Approccio matematici allo studio della comunicazione, Shannon 1948


secondo tale approccio la comunicazione va considerata anzitutto come un processo di trasmissione di
informazioni.
Due assunti di partenza di Shannon
a) la natura dell’informazione è discreta
b) ogni volta che elaboriamo dei dati, diminuiamo la quantità informazione

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Il modello proposto da Shannon consiste nel passaggio di un segnale (o messaggio)da una fonte A
(emittente) attraverso un trasmettitore (per esempio, la voce) lungo un canale (per esempio, il filo del
telefono) più o meno disturbato da un rumore a un destinatario B (ricevente) grazie a un recettore (per
esempio, l’apparato acustico).

Gli elementi di tale passaggio sono:


● la fonte (source): l'entità che crea il messaggio (persona/animale/oggetto)
● il trasmettitore (encoder): il dispositivo che consente la trasformazione del messaggio in segnali fisici
(l’apparato vocale rispetto alla mente)
● il canale (channel): il mezzo che trasferisce il messaggio (le onde radio)
● Il rumore (noise): inteso come l’insieme degli elementi ambientali (e non) che interferiscono con la
trasmissione del segnale
● il recettore (decoder): è il dispositivo che consente la conversione del segnale in una forma
comprensibile da parte del destinatario (apparato acustico)
● il destinatario (receiver): é l’entità a cui è rivolto il messaggio (persona/animale/pc)
A questi primi elementi Shannon e Weaver aggiunsero i concetti di:
● ridondanza: ripetizione nell’operazione di codifica del messaggio per favorire la sua decodifica
● filtro: processo di selezione di alcuni aspetti e proprietà del segnale rispetto ad altri nell’operazione di
decodifica
● feedback: quantità di informazione che dal ricevente ritorna all’emittente
- feedback positivo: aumenta l’informazione di ingresso
- feedback negativo: il feedback riduce l’informazione di ingresso e consente di mantenere nel
sistema una condizione stabile, chiamata omeostasi
Nella prospettiva di Shannon, l’informazione è una grandezza finita, osservabile e misurabile. Essa non
consiste in ciò che è stato detto dalla fonte, ma in ciò che è probabile che passi dall’emittente al ricevente.
Affinché vi sia informazione, occorre introdurre un sistema di probabilità che definisca alcune combinazioni
come più probabili e altre meno.
➔ Quando le probabilità di emissione dei segnali alla fonte sono tutte uguali, si ha il massimo di entropia:
mancanza di informazione.

L’approccio matematico è stato il primo tentativo di fornire un modello teorico, verificabile della comunicazione;
tale approccio implica una teoria forte del codice, poiché ritiene che la condizione necessaria e sufficiente
per comunicare sia avere a disposizione un codice di trasmissione dei messaggi

Limiti dell’approccio matematico: non considerazione di fondamentali aspetti della comunicazione, come
l’elaborazione e la condivisione dei significati, l’intenzionalità, e l’inferenza;
➔ si è ignorata la dimensione dei significati e si è persa la loro rilevanza psicologica nello scambio
comunicativo.

3. L’APPROCCIO SEMIOTICO: COMUNICAZIONE COME SIGNIFICAZIONE E COME SEGNO


3.1. IL PROCESSO DELLA SIGNIFICAZIONE
La semiotica è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale;
➔ per la semiotica la comunicazione è un processo di significazione: la capacità di generare significati
e la proprietà fondamentale di ogni messaggio di avere un senso.

Il diagramma della significazione pone in relazione tre aspetti


diversi:
1. l’espressione: la parola, il simbolo
2. la referenza: l’oggetto o l’evento comunicato
3. il referente: il concetto dell’evento o dell’oggetto comunicato

conseguenze del processo di significazione:


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il simbolo non ha rapporto diretto con la realtà (linea tratteggiata), ma soltanto con il concetto e con l’idea
mentale;
la convinzione che esista un rapporto diretto tra il segno e il referente è stata definita da Eco, fallacia
referenziale: ogni simbolo è un prodotto culturale ed esprime un certo contenuto culturale
➔ vi è un rapporto intrinseco tra comunicazione e cultura

3.2. SEGNO COME EQUIVALENZA E SEGNO COME INFERENZA


in psicologia della comunicazione esistono due principali accezioni di segno:

segno come equivalenza: secondo de Saussure, il segno è l’unione di un’immagina acustica (il significante o
espressione) e di una mentale (il significato o contenuto).
Tra significante e significato, espressione e contenuto vi è una corrispondenza piena e stabile, non vi è l’uno
senza l’altro e vanno intesi in un rapporto di interdipendenza reciproca.
➔ equivalenza
Il segno ha carattere arbitrario, ossia convenzionale in quanto legato a una data cultura e oppositivo

La lingua, in quanto sistema di segni, è definita da de Saussure come un sistema di differenze di suoni
combinati a un insieme di differenze di significati.; egli ha proceduto alla distinzione tra:
1. linguistica interna: ha come oggetto di analisi la langue (insieme delle norme che permettono l’attività
linguistica)
2. linguistica esterna: ha come oggetto di studio la parole (atto concreto di applicare un certo codice
linguistico da parte di un soggetto)

IL SEGNO COME INFERENZA


Secondo Peirce il segno assume la funzione di rimando, ossia di rimandare a qualcosa di diverso da sé
- es. un segno tipico è quello di indicare, in cui non conta l’indice puntato, bensì l’oggetto verso cui il dito
è puntato.
Sulla base del rapporto con il referente, Peirce individua tre tipi di segni:
● le icone
● gli indici
● i simboli
In questa prospettiva il segno è inteso come inferenza: costituisce un indizio da cui trarre una conseguenza e
comporta la presenza di modelli mentali e culturali
- questa concezione consente di spiegare la variabilità e la plasticità nell’impiego dei segni stessi
- consente di spiegare lo scarto tra ciò che è detto e ciò che è implicato da quanto è stato detto
!! un soggetto comunica molto più di quanto dica

il segno come equivalenza rimanda alla nozione di codice, il segno come inferenza rimanda alla
nozione di contesto

4. L’APPROCCIO PRAGMATICO: COMUNICAZIONE COME INTERDIPENDENZA FRA TESTO E


CONTESTO
Morris ha proposto la distinzione tra:
● semantica: si occupa dei significati dei segni
● sintassi: studia le relazioni formali tra i segni
● pragmatica: esplora la relazione dei segni con i comunicanti
La pragmatica si occupa dell’uso dei significati, dei modi in cui i significati sono impiegati dai comunicanti nelle
diverse circostanze:
il significato é dinamico, motivato e concreto in quanto risultato di uno scambio; é immerso costantemente
nelle pratiche comunicative.

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La pragmatica pone in evidenza la relazione fondamentale tra segni e interpretanti ed esamina i rapporti che
intercorrono tra un testo e il contesto in cui è manifestato.
>> l’attenzione è spostata dall’analisi della struttura del sistema di comunicazione all’atto concreto e situato di
comunicazione.

4.1 LA TEORIA DEGLI ATTI LINGUISTICI


Il punto di vista pragmatico pone in evidenza la comunicazione come azione e come fare; è un processo e
azione tra due o più partecipanti.

AUSTIN ha proposto la Teoria degli Atti Linguistici e ha individuato tre tipi di azione che compiamo
simultaneamente quando parliamo:

ATTI LOCUTORI, atti di dire ATTI ILLOCUTORI, atti nel dire ATTI PERLOCUTORI, atti con il
qualcosa qualcosa dire qualcosa
azioni che si compiono per il fatto atti che si compiono attraverso il produzione di effetti da parte del
stesso di parlare; comprendono: fatto di parlare; corrispondono alle parlante su credenza, sentimenti
- atti fonetici intenzioni comunicative del ed emozioni
- atti fatici parlante
- atti retici

Qualsiasi scambio comunicativo verbale, non consiste nel produrre frasi isolate e astratte, ma nell’adoperare
enunciati per realizzare un effetto intenzionale nell’interlocutore.
➔ SEARLE, ha proposto la tassonomia degli atti illocutori in cinque categorie
a) assertivo - piove a dirotto
b) direttivo - chiudi la porta, per favore
c) commissivo - finirò questo lavoro per domani
d) espressivo - sono contento che è bel tempo
e) dichiarativo - chiamerò questa barca Gloria

Gli enunciati esprimono molto più di quanto significhino sul piano letterale. A questo proposito, Austin e poi
Searle distinguono atto e forza dell’atto.
➔ l’interpretazione dell’enunciato dipende:

● dalla forza contenuta nell’atto (forza illocutoria): tale forza viene data soprattutto dall’insieme di
significazioni non verbali e l’effetto sull’altra persona può cambiare radicalmente in base a questa
forza. il modo in cui si dicono le cose ha un impatto su quello che sto dicendo viene elaborato.

● dagli effetti sull’interlocutore (effetti perlocutori)

Austin accentua questa prospettiva, distinguendo:


atti linguistici diretti: nei quali la forza illocutoria corrisponde al significato letterale della frase (significato
verbale e non verbali coincidono)

atti linguistici indiretti: nei quali la forza illocutoria deriva dai modi non verbali (es. tono, intensità)

in pragmatica si distingue tra:


frase (sentence): espressione linguistica astratta che viene definita dalle regole sintattiche

enunciato (utterance): uso concreto della frase in un contesto reale. Comunica più della frase.

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PRINCIPIO DI COOPERAZIONE E IMPLICATURE CONVERSAZIONALI
La teoria degli atti linguistici è stata ripresa dal filosofo Grice, egli distingue la comunicazione umana in:

significato naturale: deriva da un indizio naturale

significato convenzionale: è quello che noi attribuiamo alle parole

Pertanto, secondo Grice, la comunicazione è un processo di conoscenza reciproca e condivisa che avviene se
è presente un’intenzionalità comune tra i partecipanti (trasparenza intenzionale). Tale intenzionalità può
essere:

intenzionalità informativa: con cui aumenta il numero delle informazioni dell’ascoltatore

intenzionalità comunicativa: con cui si rende consapevole l’ascoltatore di qualcosa di cui prima non era
consapevole

Su questa base pragmatica occorre procedere alla distinzione tra:

comunicazione: scambio intenzionale

informazione: scambio non intenzionale, involontario


➔ il successo della comunicazione si basa sul principio di cooperazione: dare il proprio contributo alla
conversazione nel modo opportuno così come richiesto dagli scopi e dall’orientamento della
conversazione
➔ tale principio è declinato in quattro massime a cui i partecipanti dovrebbero attenersi:
1. massima di quantità: dare il giusto contributo informativo, appropriato alla richiesta di informazioni,
senza dire più del necessario.
2. massima di qualità: non dire il falso o cose di cui non si hanno prove.
3. massima di relazione: essere pertinente.
4. massima di modo: essere chiari, ordinati e brevi nell’esposizione, evitando ambiguità.

Le massime le impariamo attraverso l’esperienza quotidiana; secondo Grice, l’osservazione e la violazione di


queste massime regolano i processi di attribuzione e di interpretazione delle intenzioni comunicative.

La logica della conversazione implica la distinzione tra il dire e il significare, tra questi due vi è uno scarto e,
per poterlo colmare, si fa ricorso a delle implicature: processo mentale di natura inferenziale grazie al quale
l’ascoltatore colma il divario tra ciò che il parlante dice e ciò che intende.
● funzione delle implicature: consentono di “estrarre” il significato (non detto) che è contenuto in modo
implicito nell’enunciato

Grice ha distinto:

implicature convenzionali: regolate dalla grammatica

implicature conversazionali: costituiscono un impegno semantico aggiuntivo per andare oltre al significato
letterale di un enunciato, in modo da individuare l’intenzione comunicativa del parlante.
➔ Le implicature hanno 4 proprietà:
1. sono cancellabili: aggiungendo qualcosa all’enunciato, si può modificare il senso
2. sono non distaccabili: sono collegate al valore semiotico dell’enunciato e non alla forma linguistica
3. sono calcolabili: partendo dal principio di cooperazione, in una situazione standard, sono prevedibili
4. sono non convenzionali: cambiano a seconda del contesto
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5. L’APPROCCIO SOCIOLOGICO: COMUNICAZIONE COME PRODUZIONE SOCIALE
La sociologia della comunicazione si basa sulla costruzione sociale della realtà (ossia il prodotto dell’attività
cognitiva umana), su un concetto di razionalità a posteriori (quindi concreta), su un interesse alla pratica
quotidiana e al senso comune (cioè l’insieme delle conoscenze acquisite e date per scontate). Quindi
sottolinea la prospettiva sociale e istituzionale nell’analisi dell’azione sociale, del soggetto e dell’interazione.

In questo ambito distinguiamo inoltre:

la microsociologia, che studia i processi della vita quotidiana tramite l’osservazione e metodi etnografici
(= disciplina che studia,con intendimenti descrittivi, i costumi e le tradizioni dei popoli della Terra).

la macrosociologia, che studia i fenomeni generali che riguardano le istituzioni, le organizzazioni


complesse che costituiscono la società, usando metodi quantitativi, dati statici ufficiali, ricerche campionarie,
ecc. Si occupa di mass media e dei loro effetti a lungo termine. Più recentemente si è occupata anche dei
new media e dei sistemi di comunicazione a distanza.

➔ Microsociologia di GOFFMAN
Goffman elabora una sociologia delle occasioni, in cui hanno luogo le esperienze quotidiane, si
interessa cioè dei fenomeni comunicativi che erano trascurati dalla sociologia tradizionale, focalizzando
la sua attenzione sul modo in cui si organizzano le condizioni che permettono gli scambi comunicativi.
Luogo d’interazione per Goffman è la conversazione, egli studia i modi in cui la dimensione sociale
influenza l’organizzazione della conversazione.
Pone in evidenza come l’interazione quotidiana ha delle regole, per esempio il modo di iniziare e
terminare uno scambio comunicativo, il comportamento adeguato in relazione al tono della voce, ecc.
La scelta delle regole e la loro successione, determina ciò che Goffman chiama frame (o cornice o
contesto entro cui avviene lo scambio comunicativo).

La comunicazione in questi termini è un processo regolato da rituali: sequenze attraverso le quali il


soggetto mostra il suo comportamento in una determinata situazione, fornendo informazioni sul
carattere dei partecipanti e su ciò che accade nello scambio comunicativo.

Ci sono dei sistemi di comunicazione, stabiliti all’interno di un gruppo di partecipanti, in cui lo scambio
comunicativo è regolato da strategie di comunicazione, usate dai comunicanti e che dipendono dal
frame.

Goffman usa la prospettiva drammaturgica in cui ogni parlante è un protagonista che, comunicando,
recita la sua parte. Esamina con questa prospettiva alcuni fenomeni sociali come:
- l’etichetta: codice che governa gli incontri in cui si coniugano aspetti etici ed estetici
- il concetto di “salvare la faccia” : insieme di modi per proteggere la propria immagine.

IL CONCETTO DI POSTMODERNO E LA GLOBALIZZAZIONE


Nel concetto di globalizzazione si incontrano contraddizioni palesi come l’universalismo e il particolarismo,
l’integrazione e la frammentazione, l’omogeneizzazione e la differenziazione, ecc.
La globalizzazione è un’ibridazione perché aggrega e accosta forme culturali nuove con quelle vecchie.
Implica nuove forme di pluralismo con la comparsa di molti punti di vista diversi tra loro che mettono in crisi il
proprio sistema di credenze o che lo rafforzano come forma di difesa.

Le spinte contraddittorie della globalizzazione portano alla necessità di una maggiore riflessività: bisogna
essere sempre più in grado di mettersi in discussione e confrontare il proprio pensiero con quello degli altri.
➔ per questo la comunicazione diventa fondamentale: ogni informazione aggiuntiva costringe l’individuo a
ripensarsi, a riconoscere i limiti del suo sapere portando ad una situazione di instabilità della
conoscenza e della coscienza. Più conosciamo del mondo, più la conoscenza diventa instabile.

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6. L’APPROCCIO PSICOLOGICO: COMUNICAZIONE COME RELAZIONE
la psicologia mette in evidenza come la comunicazione influisca sull’uomo e ne esprima l’identità personale,
influenzando le relazioni interpersonali: noi siamo quello che comunichiamo.

BATESON sostiene che gli individui:


● si mettono in comunicazione (trasmissione delle informazioni)
● prendono parte alla comunicazione (approccio interazionista)
● sono in comunicazione (giocano se stessi e la propria identità)
attraverso la comunicazione, le persone costruiscono e modificano la rete delle relazioni, in cui sono
costantemente immerse.

Il comunicatore, secondo Bateson, procede in due livelli distinti e interdipendenti:


1) il livello di notizia: ciò che si dice, il contenuto dell’enunciato
2) il livello di comando: l’interpretazione che si deve dare alla notizia
→ a seconda di come si pronuncia, tono, intensità, mimica, sguardo, ecc. si comunicano significati
diversi (livello di comando).

La comunicazione di articola su più livelli


a) livello della comunicazione (i contenuti che si scambiano)
b) livello della metacomunicazione (la comunicazione che ha come oggetto la comunicazione stessa).
In questo caso l’oggetto della comunicazione diventa la cornice in base alla quale intendere e
interpretare il messaggio.

La comunicazione è la dimensione psicologica che produce la definizione di sé e dell’altro.


Poiché la comunicazione è un flusso continuo a molti livelli, si crea una sequenza interrotta e una spirale di
messaggi in cui lo stimolo, la risposta e il rinforzo si sovrappongono e si fondono insieme.

→ flusso degli scambi comunicativi tra


A e B; A 0 è contemporaneamente una
risposta a Bo, uno stimolo per B1 e un
rinforzo per la triade B0, A 0, B1.

Grazie a questo processo a spirale, diventa impossibile individuare chi ha iniziato per primo un certo modello
comunicativo perché ogni atto comunicativo è contemporaneamente una risposta a un messaggio precedente,
uno stimolo per l’interlocutore e un rinforzo nel modello comunicativo in essere.
Questo flusso ininterrotto della comunicazione è spesso alla base dei conflitti interpersonali.

Pensiero umano e linguaggio sono lineari, perché gestiscono pensieri o parole uno dopo l’altro e quindi il
processo circolare di comunicazione viene segmentato.
➔ la segmentazione sta alle base dei conflitti, perché ciascuno percepisce la frase dell’altro come causa
di disagio e, in quanto vittima, deve reagire.

Bateson individua due modelli di base degli scambi comunicativi che regolano le relazioni:
1) relazione simmetrica: si basa sull’uguaglianza dei rapporti, l’atto comunicativo di un partecipante
tende a rispecchiare l’atto comunicativo dell’interlocutore
2) relazione complementare: si basa sulla differenza dei rapporti, un interlocutore è in una posizione di
dominanza, l’altro di sottomissione
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7. VERSO UNA DEFINIZIONE DI COMUNICAZIONE
LA DISTINZIONE TRA COMUNICAZIONE, COMPORTAMENTO E INTERAZIONE

Occorre distinguere la comunicazione dal comportamento e dall’interazione.

Comportamento: qualsiasi azione motoria di un individuo, osservabile in qualche maniera da un altro.


Comportamento e comunicazione hanno un rapporto di inclusione: la prima include la seconda ma non vale
viceversa, poiché ogni comunicazione è un comportamento in quanto si esprime attraverso azioni
manifeste; ma non ogni comportamento è una comunicazione, in quanto esistono comportamenti informativi
ma non comunicativi.

Notizia e comunicazione: la comunicazione esige la presenza di un’interazione comunicativa che è la


combinazione di due intenzioni
a) A comunica qualcosa a B
b) A fa in modo che il suo atto comunicativo sia riconosciuto in quanto tale da B
→ la notizia consiste nell’acquisizione di competenze in modo autonomo da B nei confronti di A.

Interazione: qualsiasi contatto che avviene tra due o più individui, in grado di modificare lo stato
preesistente delle cose tra di loro. Questa costituisce una categoria mentale che include comunicazione,
poiché ogni comunicazione implica un’interazione.

Comunicazione: scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti; dotato di un certo grado di
consapevole e di intenzionalità reciproca, in grado di partecipare e di far condividere un certo percorso di
significati sulla base di sistemi convenzionali secondo la cultura di riferimento.

LE FUNZIONI DI BASE DELLA COMUNICAZIONE

FUNZIONE PROPOSIZIONALE
La comunicazione serve ad elaborare, organizzare e trasmettere conoscenze tra i partecipanti.
Parliamo di funzione proposizionale in quanto le conoscenze non rimangono a uno stato vago, bensì sono
raccolte, organizzate sotto forma di proposizioni.
Questo si riallaccia al tema del linguaggio, in quanto consente di organizzare e di comunicare il pensiero;
inoltre consente l’elaborazione, l’organizzazione e la trasmissione delle conoscenze poiché è caratterizzato
dalla composizionalità, cioè è costruito mediante unità componibili.

LA FUNZIONE RELAZIONALE
La rete di relazioni in cui il soggetto è inserito è costruita, rinnovata, alimentata e modificata dalla
comunicazione. La comunicazione partecipa a:
- generare e sviluppare una relazione
- mantenere e rinnovare la relazione
- cambiare la relazione
- restaurare una relazione
- estinguere una relazione

Importante è la relazionalità della comunicazione, in quanto genera e rinnova relazioni ed è alla base
dell’intersoggettività dialogica, nella negoziazione dei significati e nella condivisione di scopi.

FUNZIONE ESPRESSIVA
La comunicazione svolge una funzione espressiva, intesa come modalità originale e inconsueta per
manifestare pensieri, sentimenti, emozioni, ecc. La comunicazione è alla base della creatività umana.
La creatività comunicativa si basa su alcuni aspetti importanti:
- la novità delle forme espressive e della combinazione degli aspetti comunicativi
- la sensibilità soggettiva delle manifestazioni artistiche
- la comprensibilità delle modalità espressive
- la partecipazione intesa come risonanza cognitiva ed affettiva.

La comunicazione è un’attività universale e globale che tocca tutti gli aspetti dell’esperienza umana.
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CAPITOLO 3: COMUNICAZIONE E SIGNIFICATO

1. IL SIGNIFICATO DI SIGNIFICATO
L’essere umano vive di significati e di relazioni: le relazioni producono i significati e i significati qualificano le
relazioni. Fin da piccolo l’essere umano è alla ricerca di un significato che possa dare senso alle cose e agli
avvenimenti e che possa dare una spiegazione accettabile ai comportamenti suoi e degli altri.

1.3 IL SIGNIFICATO COME COMPRENSIONE DELL’ESPERIENZA


Ci sono concezioni del significato attente sia agli aspetti psicologici, sia ai vincoli referenziali. Qui troviamo la
semantica cognitiva e la semantica dinamica.
I significati delle parole e delle frasi, non sono né separabili né disgiunti dai significati della nostra esperienza
del mondo, mediata dalla cultura di riferimento.
Se esperienza significa “esplorazione”, essa è la fonte dei nostri apprendimenti, conoscenze, credenze,
interessi in grado di riprodurre e simulare la realtà.
Il significato concerne il modo in cui gli individui comprendono ciò che comunichiamo; i significati non
sono più entità astratte ma dipendono dall’elaborazione e dall’uso che ne fanno gli individui.

Fillmore sostiene che alla semantica della verità è subentrata la semantica della comprensione. I significati
vengono studiati insieme ai processi mentali ad essi associati.
Anche Jackendoff pone al centro dello studio dei significati l’analisi del rapporto tra la parola e la
rappresentazione mentale a essa connessa
➔ Di conseguenza la semantica è in stretti rapporti con la psicologia perché:
● il linguaggio è un’attività cognitiva che non può essere separata dalle altre funzioni e attività mentali;
● le conoscenze implicate nell’uso dei significati non è limitato alle conoscenze linguistiche che si trovano
nei dizionari, ma comprendono la totalità delle conoscenze enciclopediche, prodotte dall’esperienza
personale e dall’appartenenza a una data cultura.

La semantica cognitiva prevede una stretta connessione tra i significati e i corrispettivi concetti (modo in cui si
capisce un oggetto).
La semantica cognitiva e quella dinamica sostengono una concezione referenzialista del significato, ma a
differenza della semantica vero-condizionale esso non è indipendente dall’individuo, ma è la rappresentazione
mentale che l'individuo ha della realtà.

2. UNA TEORIA UNIFICATA DEL SIGNIFICATO


Il significato ha tre dimensioni importanti:

la dimensione referenziale: sottolinea la necessità di porre un rapporto tra il significato e la realtà. Il


significato rimanda sempre a qualcosa che succede nel mondo o nel parlante. Le diverse esperienze sono
la base per elaborare i rispettivi significati in funzione delle rilevanze e salienze che ciascuna esperienza
porta con sé. Il rapporto tra il significato e la realtà è mediato dalla propria esperienza.
L’esperienza personale è una lente che distorce i dati di realtà in funzione dei propri schemi mentali e
pratiche comunicative.

la dimensione inferenziale: pone in evidenza l’organizzazione cognitiva dei significati. Questa implica che i
significati abbiano dei corrispettivi nei concetti, intesi come costrutti mentali in grado di “simulare”,
rappresentare, categorizzare e definite oggetti ed eventi.
→ concetti e significati costituiscono due livelli distinti, anche se interdipendenti.
Sul piano cognitivo, i significati richiedono un’attività mentale di inferenza per essere compresi. I significati di
una parola vanno intesi ed interpretati in funzione degli elementi del contesto di uso e della rete relazionale
esistente.

la dimensione differenziale: sottolinea che il sistema comunicativo della lingua contribuisce a costruire il
significato di una parola. La lingua è un sistema complesso di differenze che consente il confronto
→ variazioni linguistiche di significato in grado di influenzare la formazione dei concetti.
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3. I SIGNIFICATI TRA UNIVERSALITÀ E RELATIVITÀ
● universalità del significato: sono gli aspetti comuni dei significati condivisi da tutti gli esseri umani
→ aspetti evidenziati da linguistica formale e teoria della grammatica universale di Chomsky.
● relatività del significato: sono le differenze che esistono tra i significati tra persone che appartengono a
diverse culture
→ differenze evidenziate dall’ipotesi della relatività linguistica di Sapir-Whorf.

LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ LINGUISTICA


La cultura, attraverso il linguaggio e gli altri sistemi di comunicazione, influenza il modo in cui pensiamo,
pertanto si può parlare di relatività linguistica. Le strutture semantiche delle diverse lingue sono
incommensurabili fra loro e, di conseguenza, i parlanti elaborano dei modi di pensare differenti tra loro
→ secondo questa impostazione, parlare una lingua straniera significa anche acquisire un nuovo punto di vista
sulle cose.

L’ipotesi di Sapir-Whorf
è una concezione sulla diversità e relatività linguistica, ecco la sua formulazione:

1. premessa epistemologica: gli esseri umani segmentano la natura secondo le linee indicate dalla
loro lingua materna; il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che deve
essere organizzato dalle nostre menti e ciò avviene attraverso i sistemi linguistici delle nostre menti
→ la lingua che parli determina il tuo modo di pensare

2. relatività linguistica: gli esseri umani usano la loro lingua madre in modo consapevole; per relatività
linguistica si intende che i parlanti di lingue diverse sono orientati dalla loro lingua verso differenti tipi
di osservazione a differenti valutazioni di ambienti esterni, quindi giungono a una diversa visione del
mondo.
→ questi modelli automatici e involontari della lingua non sono gli stessi per tutti gli uomini ma sono
specifici per ogni lingua.

principio della relatività linguistica: i parlanti di lingue diverse sono orientati dalla loro lingua verso
differenti tipi di osservazione e differenti valutazioni di eventi esterni simili.

Il sillogismo (= tipo di ragionamento deduttivo formale che, date due proposizioni, le premesse, ne segua di
necessità una terza, la conclusione) di Whorf:

a) dato che esistono differenze nelle categorie linguistiche nelle varie lingue;
b) dato, inoltre, che le categorie linguistiche determinano alcuni aspetti degli individui;
c) ne consegue che questi aspetti del pensiero differiscono nelle diverse comunità culturali in funzione
della lingua che esse parlano.

Il sillogismo di Sapir Whorf ha rafforzato l’ipotesi del determinismo linguistico secondo la quale la lingua
determinerebbe le forme del pensiero dei parlanti nei riguardi della loro esperienza. Questa ipotesi sostiene
che i concetti possono essere concepiti se formulati attraverso il linguaggio; ma il pensiero è più complesso
di quello che il linguaggio può esprimere.
I concetti codificati attraverso il linguaggio sono favoriti perché più accessibili e facili da ricordare.

La “revisione” della Teoria della relatività linguistica


In tempi più recenti, a proposito della teoria della relatività linguistica, gli studiosi sostengono che le esperienze
sono codificate a livello cognitivo in modo da poter poi essere verbalizzate tramite il lessico e la grammatica.
La diversità delle lingue è legata alla presenza distinzioni semantiche che si riflettono nelle distinzioni
culturali che, a loro volta, determinano la categorizzazione dell’esperienza. Questa concezione vale non solo
per le lingue naturali di popolazioni intere, ma anche per quelle specifiche e dialetti di comunità più ridotte o
addirittura gruppi sociali professionali o generazionali → in questi casi si parla di eteroglossia perchè esprima
una lingua differente rispetto a quella nazionale.

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L’eteroglossia si spiega anche attraverso la concezione dello spazio che sembra vincolata dalle condizioni
dell’organismo umano e dall’ambiente, ma varia in modo rilevante in funzione alla lingua.
- es: i movimenti spaziali per le stesse azioni hanno una categorizzazione diversa in inglese e in
coreano. In si associa alla concezione di contenere e on all’azione di supporto; queste azioni in
coreano sono semantizzate e lessicalizzate diversamente.
In ragione di questo, un bambino nell’apprendere una lingua impara modi particolari di parlare e di pensare.

Il lessico emotivo, cioè le parole relative alle emozioni, sono molto differente tra una lingua e un’altra e da
una cultura ad un'altra, perché esprima una diversa semantica emotiva.
- es: nel lessico emotivo inglese ci sono oltre 2000 parole, nella lingua di Malay solo 230. Non si ha
corrispondenza semantica per la medesima categoria emotiva tra una lingua e un’altra.
- es2: in italiano “collera” per alcune popolazioni Filippine, comprende anche la fierezza, competizione…

Il processo di convenzionalizzazione
Ogni comunità, cioè un gruppi di persone che condividono le stesse credenze, valori, pratiche e tradizioni, si
fonda su convenzioni, che definiscono modelli standard in un dato momento culturale.
Esse sono in continua evoluzione e il loro insieme è il fondamento comune della cultura di una comunità e ha
3 proprietà:
1) non sono distribuite uniformemente nella popolazione;
2) ci sono degli esperti (o autorità) che conoscono meglio di altri queste convenzioni;
3) quando due persone si incontrano, si identificano come membri di una data comunità e, a fronte di
questa appartenenza, sanno ciò che possono condividere e ciò che hanno già di acquisto.
Le convenzioni sono pertanto prevedibili e permettono di gestire le relazioni interpersonali di una data
comunità favorendo la cooperazione e la coordinazione. Questo permette l’inversione di posizione: un
partner deve sapere che usa un metodo comunicativo che usa l’altro, cioè un modello comunicativo
“condiviso”, nel senso che egli sa che nella maggior parte dei casi il suo interlocutore è capace di produrre e
capire lo stesso simbolo dandogli lo stesso significato.
Le convenzionalizzazioni avvengono con un processo lungo e continuo di negoziazioni e aggiustamenti, un
processo che si basa sul principio della salienza condivisa: ciò che è più saliente (rilevante) rappresenta la
migliore coordinazione tra le persone in una data situazione.
Si ottiene così un sistema di categorie che comprende tutta la vita culturale della comunità
- es: in Europa, il piano terra dei palazzo è chiamato “pianterreno”, mentre negli Stati Uniti è chiamato
“primo piano”.
Sono sistemi molto conservativi, quindi difficili da modificare.

Video tedx - la nostra lingua influenza il modo in cui pensiamo


Possiamo trasmetterci cose aprendo la bocca ed emettendo suoni. Trasmettiamo conoscenze da una mente
all’altra e possiamo far pensare agli altri a cose a cui non avevano mai pensato semplicemente descrivendo
quella cosa con le parole. la mente umana è è flessibile, flessibile alle 700 lingue presenti nel mondo, e
quindi 7000 universi cognitivi.

La lingua che parliamo influenza:


● spazio/tempo, es: aborigeni in australia, non usano parole “destra” e “sinistra”, ma solo
nord-est-ovest-sud; quindi loro sanno sempre orientarsi. Inoltre calcolano il tempo in base al
territorio, grande differenza, coordinate completamente diverse.
● numeri/colori, es: noi per contare usiamo i numeri, trucchetto linguistico che però non hanno tutte le
lingue, così come per i colori, alcune lingue hanno solo “chiaro” e “scuro”.
● genere grammaticale: le lingue influenzano anche il genere delle parole. Qualsiasi parola può
essere femminile in una lingua ma maschile in un’altra e visto che il genere si può applicare a
qualsiasi parola, la lingua influenza il modo di pensare riguardo a tutto ciò che può essere chiamato
con un nome
● racconto: la nostra lingua influenza anche il racconto di un evento o situazione, alcune lingue si
concentrano su chi ha fatto cosa, altre si concentreranno su cosa è successo, non di chi è la colpa.
Le lingue guidano i nostri ragionamenti rispetto agli eventi.
12
4. COMPONENZIALITÀ E PROTOTIPICITÀ DEL SIGNIFICATO
Il concetto di significato è eterogeneo (= ha caratteristiche diverse).
- Questa eterogeneità è stata fino ad ora spiegata secondo due indirizzi: la semantica a tratti e la
semantica del prototipo.

La semantica a tratti
Per la semantica a tratti ,il significato è scomponibile, articolandolo in tratti semantici. I tratti che
compongono il significato di un termine compongono le condizioni necessarie, cioè che nessun tratto può
essere cancellato. L’obiettivo idealmente è che si può immaginare di mettere a fuoco un elenco/inventario di
tratti limitato che possono essere combinati per comporre tutti i possibili significati.
Il significato di una parola è scomponibile e analizzabile usando un insieme di componenti più generali di
senso che prevedono due condizioni:
● sono condizioni necessarie e sufficienti (CNS) per la sua formazione
● sono di numero limitato

Il modello delle condizioni necessarie e sufficienti (CNS). I suoi principi sono:


- nessun tratto può essere eliminato perché ognuno di essi è una condizione necessaria;
- nessun tratto può essere aggiunto perché quelli presenti sono condizioni sufficienti;
- tutti i tratti hanno la stessa importanza , senza nessuna organizzazione gerarchica;
- la presenza di un tratto implica l’assenza del tratto opposto.

Poiché il modello CNS prevede un numero chiuso di componenti che definiscono i significati, esso implica
una netta distinzione tra conoscenze dizionariali (costitutive del significato considerate come proprietà
analitiche del termine e quindi assolute e non soggette a cambiamenti) e conoscenze enciclopediche (che
sono considerate secondarie).
Pertanto, per la semantica a tratti il significato di una parola è univoco, assoluto e determinato in modo
preciso dalle sue componenti costitutive. Esso è inoltre un’entità discreta che può essere combinata con
altre unità discrete per formare le frasi.

Limiti della semantica a tratti


○ non ammette eccezioni, perché anche la modifica di un solo tratto rende inapplicabile il modello CNS
es: il significato di “cane” è animale a quattro zampe, ma se un cane perdesse una zampa non
avrebbe più le caratteristiche necessarie per essere considerato tale

○ tutti i membri di una categoria semantica hanno lo stesso grado di appartenenza, senza sfumature e
posizioni intermedie o marginali, ma nel significato di qualsiasi parola esiste una gradualità delle
proprietà semantiche
es: “sedia” è un artefatto rigido, ad un posto, con schienale e senza braccioli e “poltrona” è un
artefatto morbido, ad un posto, con schienale e i braccioli, questo oggetto non potrebbe mai essere
una sedia, seppur tutti lo consideriamo tale.

○ la distinzione rigida tra conoscenza direzionale ed enciclopedica è inapplicabile in quanto entrambe


rimandando alla cultura di appartenenza (sia per quel che riguarda le convenzioni comunicative, sia
per quel che riguarda l’esperienza) → i dizionari non sono separabili dalle enciclopedie, anzi sono
enciclopedie parziali.

○ i confini netti tra significati non esistono: molti oggetti rientrano in una zona di vaghezza semantica
per cui il significato viene assegnato a seconda della situazione
es: un oggetto può essere considerato una tazza o una ciotola a seconda dell’utilizzo

○ anche nell’ambito della polisemia semantica, tale modello ha delle difficoltà. Infatti o considera ogni
accezione della parola polisemica un significato separato (perdendo così l’aspetto comune) o ricerca
l’elemento comune (perdendo così la varietà delle diverse accezioni).

13
La semantica del prototipo
Per la semantica del prototipo, il significato di una parola è collegato al prototipo del termine stesso, ovvero il
concetto che si ha di una data categoria mentale.
→ il prototipo è il migliore esemplare di una data categoria, quello che la rappresenta meglio e che è dotato di
maggiore salienza

Il processo di categorizzazione
La semantica del prototipo, rimanda al processo di categorizzazione (segmentazione del flusso continuo della
realtà in categorie) senza il quale non è possibile il pensiero.
ROSCH (affermando la validità dell’universalismo cognitivo e opponendosi al relativismo linguistico di Sapir e
Whorf) definisce la categoria come una classe di oggetti che può essere analizzata in due dimensioni:

● dimensione orizzontale: permette di esaminare l’organizzazione interna di una categoria, studiando le


relazioni di appartenenza e rappresentatività che intercorrono tra i vari membri.

● dimensione verticale: consente di collegare tra loro diverse categorie attraverso il processo di
inclusione che ha tre livelli
1) livello sovraordinato: per es. arredamento; sono più astratte ed inclusive (che comprende, che
include)
2) livello di base: per es. sedia, tavolo, lampada
3) livello subordinato: per es. sedia da cucina e sedia da tavolo, tavolo da soggiorno e scrivania

➔ Le categorie di base sono quelle più importanti perché inquadrano meglio un oggetto
➔ Nella dimensione verticale il concetto fondamentale è quello di prototipo che sta alla base di due
teorie che spiegano il concetto di significato:

1. La teoria standard del prototipo (anni ‘70)


Il prototipo è l’esemplare migliore che rappresenta una categoria, quello che la rappresenta meglio e
che è dotato di maggiore salienza.
es: la categoria “uccello” è rappresentata meglio dai termini “passero” o “aquila” piuttosto che “pollo”.

Ci sono 5 criteri per l’elaborazione delle categorie


1. le categorie non possono essere definite sulla base di un elenco di proprietà comuni intese come cns
2. i prototipi costituiscono gli elementi centrali attorno ai quali si organizza tutta la categoria
3. l’appartenenza a una categoria non è di natura dicotomica ma graduale
4. le categorie non hanno confini netti e precisi ma sfumati e continui
5. gli esemplari di una categoria non presentano delle proprietà comuni a tutti i membri, ma è una
“somiglianza di famiglia” che li raggruppa insieme.

Limiti della teoria standard del prototipo


○ si confondono i concetti di rappresentatività e appartenenza alla categoria;
○ la nozione di prototipo come entità fisica centrale per la struttura della categoria non si è dimostrata
fondata;
○ in riferimento alla stabilità del prototipo si è verificato che persone diverse danno giudizi differenti su
quali siano i migliori esemplari di una categoria.

2. Teoria estesa del prototipo (anni ‘90)


Si propone di superare i limiti della teoria standard del prototipo, passando al concetto di prototipo
come entità astratta, non più come cosa reale: è quindi un insieme di proprietà astratte.
Il prototipo diventa l’insieme delle proprietà fondamentali di una categoria.

distinzione tra:
1) proprietà essenziali di una categoria: sono quelle comuni a tutti i membri di una categoria;
definiscono l’appartenenza ad una categoria in negativo per escludere chi non le possiede
2) proprietà tipiche di una categoria: sono quelle aggiunte, soggette a cancellazioni ed eccezioni

14
5. STABILITÀ E VARIABILITÀ DEL SIGNIFICATO
Il significato può essere:
➢ stabile: quando è costante e permette un impiego quasi automatico e prevedibile
➢ instabile: quando è flessibile e mutevole per adattarsi alle varie situazioni comunicative

LA VARIABILITÀ E LA FLESSIBILITÀ DEL SIGNIFICATO


I significati di una parola o di un gesto non sono fissi e automatici (come prevedeva il modello CNS), ma
vengono elaborati in modo eterogeneo.
Molte componenti (scelta delle parole, scopi comunicativi, ecc.) influenzano in tempo reale il significato di un
atto comunicativo. I significati sono dotati di plasticità che consente di impiegarli in funzione delle intenzioni
comunicative.
Variabilità e flessibilità dei significati dipendono da:

❖ cancellabilità dei tratti semantici: fondata sulla natura convenzionale del significato, in quanto realtà
culturalmente definita. Implica il superamento di qualsiasi sua concezione ontologica e naturale
→ in quanto convenzionale, può essere oggetto di modificazione e trasformazione culturale

❖ presenza di confini sfumati e continui: i significati degli enunciati non hanno confini netti e precisi,
ma hanno confini sfumati e continui, a seconda di quali termini vengono usati

❖ vaghezza semantica: stessa cosa vale per i significati delle parole che appartengono allo stesso
campo semantico: man mano che ci si allontana dai casi standard, si entra nell’area di vaghezza
semantica, dove lo stesso oggetto può essere definito in modi diversi

❖ contesto d’uso: qualsiasi significato non è interamente prevedibile né determinabile a priori, in quanto
dipende dal contesto d’uso.
Il contesto influenza anche la risemantizzazione contestuale: in una situazione contingente, ad un
oggetto possono essere attribuiti i tratti semantici che non gli appartengono.
es: si può chiamare “sedia” una montagna di libri qualora non ci sia altro per sedersi

LA REGOLARITÀ DEI SIGNIFICATI


I fenomeni di instabilità semantica sono bilanciati da processi di stabilità semantica perché la comunicazione
non sia imprevedibile e caotica (e quindi impossibile).
I significati usati per la comunicazione in una cultura sono i significati presuntivi, ovvero quelli che vengono
interpretati per default e che si possono prevedere in base alle esperienze e alle circostanze.

Format comunicativi
La stabilità semantica implica tra gli interlocutori di una stessa cultura, un processo di elaborazione di
convenzioni (processo di convenzionalizzazione) che si conclude con l’elaborazione di format
comunicativi, basati sul riconoscimento e l’accettazione di un sistema condiviso di regole, che
consentono di seguire le stesse procedure, nonché di condividere il significato di quanto si sta dicendo o
facendo.
Molti format comunicativi presentano un’elevata regolarità, come lo scambio dei saluti, la richiesta di scuse,
ecc.; in questi casi si può parlare di “format standard”, basati sul riconoscimento e sull’accettazione di un
sistema condiviso di regole.
I format oscillano tra processi di riproduzione e processi di produzione:

● processi di riproduzione: i format tendono a ripetersi nel tempo in maniera abbastanza stereotipata,
generando delle “routine comunicative” e permettendo in continuazione delle convenzioni del passato.
Questa ripetizione è alla base della stabilità dei significati e si basa sulla regolarità dei contesti, poiché
se è vero che essi presentano forme di imprevedibilità, è altrettanto vero che spesso sono molto
regolari
15
→ contesto standard: contesto che presenta elevata regolarità nella ripetizione degli eventi alla
base della nostra esperienza del mondo. La regolarità dei contesti è la regolarità dei significati.
Gli individui sono portati a interagire in modo standard e ciò avviene anche quando ci si discosta dai
format convenzionali perché la comunicazione è comunque influenzata da essi.

● processi di produzione: i format però non sono totalmente vincolati dal passato e dalla regolarità dei
contesti, ma variano in funzione delle condizioni contingenti e delle novità che ogni situazione
comunicativa potenzialmente racchiude.

Regolarità e variazione
Sono due componenti essenziali del significato che si implicano a vicenda: senza regolarità non si può avere
la consapevolezza della variazione e viceversa. Se degli interlocutori intendono comunicare tra loro, non sono
totalmente liberi di inventare a loro piacimento, di volta in volta, parole ed espressioni, ma devono attenersi a
un sistema condiviso di significati.
Quindi stabilità e instabilità del significato sono 2 poli che oscillano in continuazione e in modo sincrono e
devono essere bilanciati, perché troppa stabilità rischia di portare alla fissità e troppa instabilità rischia di
portare al caos.

6. SIGNIFICATO, CONTESTO E INDESSICALITÀ


Testo e contesto sono due aspetti del significato che interagiscono tra di loro, perché il significato di un testo
si genera soltanto in un contesto (non c’è testo senza contesto e viceversa); va pertanto superata la
“concezione additiva” del contesto che lo vede come una dimensione separata dal testo.
Va precisato che il contesto non è a priori uguale per tutti, ma viene definito scegliendo tra le opportunità
offerte dall’ambiente (es. di fronte ad un’azione maldestra di un amico si può intervenire con la derisione o con
la compassione o con una battuta bonaria, ecc.). Ognuna di queste “mosse” rappresenta la scelta per il
riferimento a un certo contesto piuttosto che a un altro.
- Questa ricchezza di punti di vista implica la possibilità di moltiplicare i contesti in modo definito
(molteplicità contestuale) e permette di ordinare i vari contesti in modo gerarchico.
- il passaggio da un livello contestuale più particolare a un altro più generale si chiama slittamento di
contesto

Nel rapporto tra testo e contesto si fa riferimento a 3 prospettive:


a) prospettiva esternalista: priorità del contesto sul testo. Il contesto è inteso come matrice del
significato.
b) prospettiva internalista: priorità del testo sul contesto. La parola vincola l’applicabilità di taluni
contesti, ovvero ogni parola o frase è applicabile ad alcuni possibili contesti e non ad altri
c) prospettiva interazionista: tale prospettiva è quella in uso nella psicologia della comunicazione. Testo
e contesto di integrano a vicenda → il significato è la fusione di un testo e un contesto
Il significato quindi è la sintesi di un testo e di un contesto, il risultato di una collaborazione tra gli interlocutori
nell’uso del linguaggio in un dato contesto e dipende dall’uso, cioè dal modo in cui si impiega una certa
parola/frase/gesto in una certa situazione, in modo contingente.
Il significato non è nella "realtà", né “nei comunicatori”, ma è generato nel momento in cui essi partecipano a
uno scambio comunicativo in relazione ad un riferimento reale e vi è quindi una gestione locale del
significato.
Anche i concetti non vanno intesi come entità mentali fisse e statiche, ma come costruzioni mentali
temporanee. Così facendo gli interlocutori possono gestire meglio il fuoco comunicativo delle loro interazioni
e cioè il modo in cui essi orientano la loro attenzione e il loro interesse sugli aspetti più importanti.
Nell’ ambito della gestione locale del significato assume particolare rilievo la deissi e l’indessicalità:
● deissi: insieme delle espressioni linguistiche che fanno riferimento diretto alla situazione comunicativa
nel tempo e nello spazio. es: fatti trovare qui tra 10 minuti.
● indessicalità = ancoraggio del significato e dell’interpretazione di una frase al suo contesto d’uso; Gli
elementi indessicali sono degli indicatori che servono a definire l’atteggiamento del comunicatore.
16
CAPITOLO 4: INTENZIONE E COMUNICAZIONE
1. IL CONCETTO DI INTENZIONALITÀ
Il significato non esiste se non vi è un’intenzione comunicativa: il significato è la sintesi tra i contenuti mentali
oggetto della comunicazione e l’intenzione di renderli manifesti. L’essere umano è predisposto a essere
intenzionale e ad agire come dotato di intenzionalità.
DENNET pone in evidenza nella specie umana, l’esistenza di un atteggiamento intenzionale, una
predisposizione naturale a interpretare l’azione come se fosse dotata di un’intenzione.
Le persone sono portate a ritenere che le conversazioni, i gesti, gli sguardi, ecc. siano il risultato di attività
umane intenzionali dotate di scopi.
Ciò crea prevedibilità nelle interazioni umani, poiché siamo abituati a prevedere le intenzioni altrui e ad
anticipare le loro azioni → la comunicazione è un costante confronto tra le condotte e le intenzioni degli
altri e le nostre aspettative. Se vi è concordanza non sorgono problemi e la comunicazione procede in modo
naturale e automatico (comunicazione per default), se invece si registrano deviazioni e rotture delle proprie
aspettative, si hanno reazioni di attenzione, sorpresa, controllo, ecc.

SIGNIFICATI DELL’INTENZIONALITÀ
In psicologia si distinguono due significati diversi dell’intenzionalità:

1) L’intenzionalità è una proprietà essenziale della coscienza umana in quanto coscienza di qualcosa
→ gli stati mentali (dalle credenze alle emozioni e ai desideri) sono diretto verso qualche aspetto del
mondo (intenzionalità come direzionalità)
2) L’intenzionalità è la proprietà di un’azione compiuta in modo volontario e di “proposito” per raggiungere
un certo scopo → le azioni ricadono sotto la propria responsabilità e diventano oggetto di giudizio
morale.

In entrambi i significati, l’intenzionalità è una proprietà di certi stati mentali, per cui non tutti gli stati mentali
sono intenzionali. Le singole intenzioni possono essere:

a) intenzione antecedente o anteriore: “volontà a proposito di fare le cose”, progettazione e pianificazione


di un’azione per il conseguimento di uno scopo
b) intenzione-in-azione: capacità di intervenire in modo intenzionale in una circostanza imprevista o non
pianificata. es: sterzare all’improvviso ed evitare una buca nella strada

Le azioni intenzionali prevedono le “intenzioni-in-azione”, ma non tutte le azioni intenzionali hanno


un’”intenzione antecedente”.
Allo stesso modo non tutte le “intenzioni antecedenti” si traducono in azioni concrete (possono rimanere cioè
delle semplici intenzioni).

INTENZIONALITÀ E COSCIENZA
L’elaborazione delle intenzioni richiede una condizione di coscienza, in quanto l’intenzione è un processo
consapevole. Il concetto di “coscienza” ha diverse accezioni (= significato particolare in un vocabolo):

1) consapevolezza percettiva (delle percezioni nel “qui” e “ora”) e cognitiva (dei propri pensieri).
es: sono cosciente che la cosa possa sembrare strana

2) consapevolezza metacognitiva e introspettiva (riflessione sui propri processi mentali attraverso


l’introspezione)
es: mi rimorde la coscienza

3) funzione di monitoraggio e di controllo (condizione di vigilanza contrapposto a uno stato inconscio)


es: il paziente è cosciente e collaborativo

Diversamente dai processi inconsci, la coscienza procede in modo seriale, un’azione dopo l’altra.
17
INTENZIONALITÀ E DESIDERIO
Le intenzioni sono simili ai desideri, perché entrambe sono disposizioni anticipatorie in grado di attivare la
condotta del soggetto. Inoltre, non sono né vere né false, ma realizzabili o meno in funzione della realtà.
Le intenzioni differiscono dai desideri, perché mentre quest’ultimo è soddisfatto non appena si è conseguito il
risultato desiderato in qualunque modo esso sia raggiunto, l’intenzione è soddisfatta solo se essa produce
l’azione che conduce al risultato che si intende raggiungere.
- Nelle intenzioni conta l’azione che ha condotto al risultato, mentre nei desideri conta solo il risultato
L’intenzione è autoreferenziale perché non è soddisfatta dalle condizioni esterne della realtà.

INTENZIONALITÀ E CREDENZA
Le credenze sono conoscenze per rappresentare la realtà, mentre le intenzioni sono caratterizzate
dall’esigenza di modificare la realtà.

Ulteriore distinzione va fatta tra scelta e intenzione: la scelta è di ordine superiore, mentre l’intenzione è un
sottoinsieme di ciò che uno sceglie, perché costituisce il risultato di una scelta.

Nell’ambito della psicologia della comunicazione, il concetto di intenzione concerne tutti i partecipanti: il
parlante manifesta la sua intenzione comunicativa e il destinatario interpreta il messaggio attribuendogli una
data intenzione.
In questo modo lo scambio comunicativo è governato dal gioco reciproco tra i partecipanti: la manifestazione
di una data intenzione da parte del parlante (processo di intenzionalizzazione) e la sua interpretazione da
parte del destinatario (processo di re-intenzionalizzazione).

Si può parlare di scambio comunicativo solo quando il messaggio è prodotto intenzionalmente dal
parlante ed è riconosciuto e interpretato intenzionalmente dal destinatario.
→ senza la presenza di un comportamento intenzionale reciproco, il messaggio è soltanto informativo e non
comunicativo.

2. L’INTENZIONE COMUNICATIVA DA PARTE DEL PARLANTE


LIVELLI DELL’INTENZIONE
Quando produce un atto comunicativo, il parlante ha un’intenzione globale di comunicare qualcosa al
destinatario = sintesi tra il suo mondo interno (ciò che intende dire), il mondo esterno (la realtà di cui si parla)
e il messaggio prodotto (ciò che viene detto attraverso un sistema di segnalazione).

➔ Tale intenzione globale è composta da diversi livelli di intenzione:


[GRICE]
INTENZIONE INFORMATIVA, ciò che è detto:
trasmettere al destinatario delle informazioni nuove

[GRICE]
INTENZIONE COMUNICATIVA, ciò che è significato:
rendere consapevole il destinatario di qualcosa di cui prima non era consapevole, in modo da
condividere i contenuti veicolati dall’intenzione informativa.

[JASZ COLT]
INTENZIONE PRIMARIA, intenzione referenziale:
intenzione di far riferimento a certi aspetti della realtà che sono oggetto dello scambio comunicativo.

● intenzione globale: intenzione unitaria di voler comunicare qualcosa da parte di un comunicatore a un


destinatario.

● intenzione comunicativa: rendere reciprocamente manifesto al destinatario e al parlante che il


parlante ha una determinata intenzione informativa (Sperber e Wilson).
18
LA GRADUALITÀ DELL’INTENZIONE COMUNICATIVA
L’intenzione globale di comunicare qualcosa a qualcun altro è caratterizzata da una gradualità intenzionale.
Questa permette ai partecipanti di mettere a fuoco e di calibrare i diversi atti comunicativi nel corso delle
interazioni della vita quotidiana. Infatti, dagli atti comunicativi semplici e ordinari (come lo scambio dei saluti)
nei quali il processo intenzionale è quasi automatico, si passa ad atti comunicativi in cui il parlante deve
essere molto attento e deve mettere bene a fuoco la sua intenzione comunicativa da trasmettere al
destinatario.
Basta pensare alla comunicazione ironica, seduttiva, ingannevole o alle situazioni in cui una persona deve
parlare in pubblico durante una riunione di lavoro.

● La forza dell’intenzione (gradualità intenzionale) è direttamente proporzionale:


- all’importanza dei contenuti e delle informazioni trasmesse
- alla rilevanza dell’interlocutore
- alla natura del contesto (pubblico o privato, formale o informale)
più l’intenzione è forte, più l’atto comunicativo è a fuoco

● La gerarchia delle intenzioni. Un singolo atto comunicativo può essere governato da una pluralità di
intenzioni → gerarchia delle intenzioni.

● Il principio della “pars pro toto”. Negli scambi quotidiani, il soggetto deve selezionare un certo grado
di intenzionalità per trasmettere ciò che ha in mente. Ciò avviene applicando il principio della “pars pro
toto” secondo cui nella produzione di un atto comunicativo, il parlante può esprimere solo una parte dei
contenuti mentali.
- es: dopo un episodio serio di conflitto coniugale, quando un partner cerca di fare pace con
l’altro e gli chiede ad esempio un bicchiere d’acqua, tale richiesta veicola almeno due diverse
intenzioni nel medesimo momento
a) fare una richiesta (esplicita) di ottenere un bicchiere d’acqua
b) fare il primo passo (implicito) verso la riconciliazione

➔ questo processo di regolazione delle proprie intenzioni comunicative concerne molte situazioni umane
(contesti politici, scolastici, giudiziari..) e molte forme comunicative (ironica, seduttiva, figurata..).

● L’opacità intenzionale. La gradualità intenzionale implica come conseguenza l’opacità intenzionale


del parlante, ossia la non totale chiarezza delle intenzioni del parlante.

Si ha un forte incremento dei gradi di libertà: il soggetto ha la possibilità di scegliere un certo percorso di
senso:
➔ pluralità e gradualità intenzionale implicano l'opacità intenzionale, poiché di norma l'intenzione
comunicativa, concretizzata in una frase o in un gesto, è limitata, parziale e sfumata.
Questa prospettiva richiede quindi un lavoro inferenziale da parte del destinatario e consente di evitare
il rischio della trasparenza intenzionale.

➔ l’intenzione comunicativa, concretizzata in una frase o in un gesto, è limitata, parziale e sfumata

19
3. LA SINTONIA SEMANTICA E PRAGMATICA
L’INTENZIONE COMUNICATIVA E ATTENZIONE
L’intenzione comunicativa è collegata all’attenzione, la quale consente di selezionare le informazioni più
salienti e pertinenti per l’elaborazione di un atto comunicativo, permettendo così la focalizzazione e la
realizzazione dell'intenzione comunicativa.

Le informazioni vengono elaborate attraverso due tipi di processamento:

1) IL PROCESSAMENTO AUTOMATICO:
è rapido, coinvolge solo la memoria a breve termine e non richiede attenzione, né controllo
diretto del soggetto → se ne possono svolgere diversi contemporaneamente.

2) IL PROCESSAMENTO CONTROLLATO:
è lento, richiede notevole attenzione e si svolge sotto il costante controllo diretto del soggetto
→ (condizione di attenzione assidua)

Il passaggio dal processamento controllato a quello automatico è reso possibile dall’esercizio attraverso
l’acquisizione di abitudini.
Nella vita quotidiana si passa da atti comunicativi routinari e automatizzati come i saluti, a quelli impegnativi e
complessi come tenere un discorso in pubblico, mentire in un contesto ufficiale, ecc.

Vi è quindi una variabilità continua dell’intenzione comunicativa che può essere suddivisa in tre livelli:

Livello 0 della comunicazione = INFORMAZIONE


Quando il soggetto reagisce automaticamente a uno stimolo esterno. Non c’è intenzione comunicativa nelle
manifestazioni involontarie.
- es: rossore, sudore, verbalizzazioni prodotte sotto effetti di farmaci, ecc.

Tra il livello 0 e il livello 1 esiste una condizione intermedia che comprende i lapsus, gli atti mancati, le
amnesie momentanee, le azioni sbadate. Sono dovute alla presenza conflittuale di più intenzioni che si
sovrappongono.

Livello 1 della comunicazione = COMUNICAZIONE PER DEFAULT


Presenza di intenzioni di primo livello o intenzioni semplici che comprendono sia gli atti comunicativi
stereotipati (saluti), sia gli scambi comunicativi comuni e abitudinari.
Le intenzioni semplici sono supportate da un’attenzione orientata, cioè un’azione automatica dell’attenzione
in cui il controllo può essere ripristinato dalla comparsa di una condizione insolita
- es: i saluti o la richiesta di un bicchiere d’acqua per bere

➔ la manifestazione delle intenzioni semplici è supportata dall'azione dell'attenzione orientata (azione


automatica dell'attenzione, il cui controllo può essere facilmente ripristinato dalla comparsa di una
condizione insolita

Livello 2 della comunicazione = COMUNICAZIONE FOCALIZZATA


Comparsa di un’intenzione di secondo livello o meta intenzione in cui il soggetto ha la consapevolezza di
comunicare, ragionando su cosa dire (ad es. la battuta di spirito, la frase ironica, il commento seduttivo).
In questo livello rientrano anche gli atti comunicativi regolati da una pluralità di intenzioni, come la
comunicazione menzognera o quella indiretta (in un gruppo familiare o di lavoro, rivolgersi a un partecipante
B e dirgli certe cose affinché le comprenda un altro partecipante C).
La comunicazione focalizzata richiede un’attenzione focalizzata assidua, cioè una concentrazione continua
sul compito da eseguire.

20
RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEL FLUSSO CONTINUO DEI LIVELLI DI INTENZIONE
COMUNICATIVA

LA SINTONIA SEMANTICA E PRAGMATICA E IL SIGNIFICATO MODALE


Il significato finale di un atto comunicativo si ottiene tramite diversi sistemi di segnalazione e significazione
linguistici e non, ad es: il significato di un’affermazione in qualsiasi ambito risulta molto diversa se detta con un
tono perentorio, o dubbioso, o esile, se accompagnata da gesti illustratori ampi o ristretti, se associata a
un’espressione facciale sorridente o corrugata e così via.
Questa unitarietà è possibile grazie al processo di sintonia semantica e pragmatica (Ssp) che coordina i
diversi sistemi di significazione e segnalazione, in modo che l’atto comunicativo si presenti in modo unitario
nonostante le diverse componenti.
➔ Si giunge così al significato modale di un atto comunicativo, cioè il significato prevalente che esso
assume in condizioni di default. Si tratta di un significato ricorrente in situazioni convenzionalmente
stabilite all’interno di una data comunità.
Il significato modale non è né automatico, né necessario, ma in certe situazioni comunicative può
diventare oggetto di negoziazione tra i partecipanti.
Il significato modale risulta compatibile con il modello connessionista secondo cui la mente è formata da una
rete complessa di connessioni che operano in parallelo (l’intenzione comunicativa è vista come un pattern che
attiva diverse unità, nel quale ciascuna rappresenta il grado di presenza o di assenza di uno specifico
pensiero. Le unità di ingresso -input- e quelle d’uscita -output- sono connesse le une con le altre attraverso
connessioni modificabili.

Il modello Ssp contiene diverse proprietà per elaborare un’intenzione comunicativa e il corrispondente
significato:
- un’entità mentale è costituita dal sistema di attivazione di diverse unità dove ciascuna corrisponde al
grado di presenza o assenza di un certo significato e pensiero;
- sono possibili variazioni graduate e continue nella gestione del significato e dell’intenzione
comunicativa;
- il significato è l’esito stesso del sistema di attivazione della rete;
- l’ apprendimento è possibile a partire da singoli esempi.

BAARS, propose un modello per cui l’ipotesi della Ssp è conforme al concetto di spazio globale di lavoro:
l’esperienza consapevole e l’intenzione comunicativa sono il risultato di un’attività del sistema nervoso centrale
in cui i diversi meccanismi (o processori) di elaborazione delle informazioni competono fra loro per aver
accesso alla possibilità di trasmissione. Il processore che vince distribuisce la sua informazione in tutto il
sistema nervoso.
21
4. ARTICOLAZIONE E PRODUZIONE DEL MESSAGGIO
L’intenzione comunicativa, oltre che con la sintonia semantica, è connessa con la generazione del
messaggio, cioè con l’organizzazione e la collocazione dell’atto comunicativo durante l'interazione tra i
partecipanti.
Ci sono principalmente due modelli di differenti indirizzi di pensiero:

IL MODELLO OLISTICO-FUNZIONALE DI LEVELT


Secondo Levelt la comunicazione è un’attività complessa che prevede l’intervento sinergico e convergente
di diversi processi, quali:

❖ IL CONCETTUALIZZATORE: è il punto di partenza della comunicazione che comporta alcuni


processi mentali che costituiscono il “concettualizzatore” (es: elaborare le intenzioni, selezionare le
informazioni pertinenti, organizzare il modo in cui esprimerle, controllare ciò che si sta dicendo). Per
fare questo bisogna avere accesso a:
● conoscenze dichiarative (o proposizionali): sono proposizioni che stabiliscono una relazione tra
due o più idee. Ad es: Milano è una città laboriosa. Sono contenute nella memoria a lungo termine.
● conoscenze procedurali: concernono i modi e procedimento con cui sono svolti i compiti nei diversi
contesti e sono attivate dalla memoria di lavoro. Ad es: SE in auto ho intenzione di cambiare marcia
ALLORA devo fare alcuni movimenti con le mani e con il piede sul pedale della frizione.

❖ IL MESSAGGIO PREVERBALE: secondo Levelt il messaggio preverbale è l’output del


concettualizzatore, ossia la rappresentazione mentale di ciò che si vuole comunicare.

❖ IL FORMULATORE E I CODIFICATORI: il messaggio preverbale è l’input del formulatore che


traduce la struttura concettuale in una struttura linguistica e avviene in due fasi:
1. codifica grammaticale del messaggio
2. codifica fonologica

❖ L’ARTICOLATORE: il piano fonetico diventa l’input dell’articolatore, che tramite gli organi di
fonazione e i muscoli dell’apparato respiratorio, procede all’esecuzione del messaggio.
L’output è il discorso pronunciato.

Il modello olistico-funzionale di Levelt segue una pianificazione top-down del messaggio. In esso si
sottolinea l’importanza del programma cognitivo che sta sotto alla generazione del messaggio. L’intenzione
comunicativa resta al centro della produzione del messaggio e svolge la funzione di produzione di senso.

Limiti del modello olistico-funzionale


● la generazione del messaggio è intesa come processo globale e attività decontestualizzata, ma
sappiamo che senza contesto non c’è significato. Questo modello pertanto non spiega perché le
persone dicono quello che dicono in una certa situazione e non in un’altra.
● non spiega la variabilità, le incoerenze, le frammentazioni e le contraddizioni dei messaggi, perché
questi vengono considerati conformi al piano generale

IL MODELLO DELLA GESTIONE LOCALE DEL MESSAGGIO


LAMBERT e O’KEEFE pongono l’attenzione sul flusso continuo dei pensieri e delle azioni nel corso della
comunicazione. Secondo questa prospettiva la generazione del messaggio dipende dalla capacità di
gestione locale dei pensieri e delle condizioni contestuali delle intenzioni comunicative del parlante in
riferimento a uno specifico destinatario. Quindi si porta il parlante a concentrare l’attenzione su determinati
aspetti della realtà condivisa con il destinatario.
● fuoco comunicativo: la comunicazione è un campo organizzato di pensieri e intenzioni in cui un
messaggio costituisce il risultato della scelta di certi pensieri e intenzioni al posto di altri. La sua
elaborazione è collegata al “fuoco comunicativo” cioè quel processo attivo di concentrazione
dell’attenzione e dell’interesse del parlante su certi aspetti della realtà condivisi con il destinatario.
Grazie a questo processo alcuni elementi diventano più importanti rispetto ad altri per enfasi,
gestualità, scelta delle parole, ecc.
● Il percorso comunicativo: il soggetto sceglie il fuoco comunicativo seguendo il percorso
comunicativo dei propri pensieri. Il messaggio è quindi un insieme di pensieri.

22
5. INTENZIONI E STRATEGIE COMUNICATIVE
Affinché il messaggio sia efficace, è necessario adottare una strategia comunicativa selezionando i contenuti
da esporre e scegliendo le modalità espressive da adottare.

Caratteristiche della strategia comunicativa:


➢ CONTINGENZA: ogni strategia nasce dalla selezione di situazioni già sperimentate, simili a quella
presente. Viene scelta quella più consona e viene adattata alla situazione in modo contingente (hit et
nunc) perché una soluzione che si è rilevata efficace in una circostanza può non rivelarsi tale in un’altra
→ per questo motivo la comunicazione è oggetto di continui apprendimenti da parte degli individui.

➢ NOVITÀ E CREATIVITÀ: ogni strategia, anche se riprende ipotesi e soluzioni precedenti, implica la
necessità di creare una comunicazione ad hoc. Quindi non è né la riproduzione, né l’applicazione di
precedenti accorgimenti, ma ha un carattere di creatività perché quando è ripetuta, comporta variazioni
e differenziazioni locali.

➢ CALIBRAZIONE COGNITIVA E AFFETTIVA: ogni strategia, per essere efficace, necessita di un


processo di calibrazione comunicativa, cioè di un’organizzazione precisa dei vari aspetti (semantici,
sintattici, espressivi, fisici e motori) che costituiscono l’atto comunicativo; basta infatti un errore per
compromettere il risultato finale.
- ad es: si pensi a un candidato in un colloquio di selezione, in cui è sufficiente la parola
sbagliata, la voce tremante, il tono di disprezzo o il gesto fuori posto per compromettere gran
parte dell’efficacia del proprio messaggio.
Tale calibrazione è difficile da gestire perché siamo in grado di conoscere l’efficacia di un atto
comunicativo solo a posteriori. Al momento attuale, nell’ambito della comunicazione, non esiste un
modello capace di definire in anticipo quello che è da tener presente, le condizioni comunicative da
seguire, i vincoli da rispettare. Certo è che le esperienze passate favoriscono una maggior competenza
comunicativa, ma non ci permettono di conoscere a priori i risultati delle nostre scelte.

Il rapporto esistente tra intenzione e strategia comunicativa è di tipo uno-a-molti: un’intenzione può avere
diverse strategie di comunicazione, così come una strategia comunicativa non esprime in modo univoco una
sola intenzione.

6. L’INTENZIONE COMUNICATIVA DA PARTE DELL’INTERLOCUTORE


Per molto tempo il ricevente è stato considerato in modo passivo, mentre la responsabilità maggiore dei
processi di comunicazione era riservata alla fonte dell’emittente (come nei lavori di Shannon e Weaver).
➔ Questo punto di vista si è modificato nel tempo con l’ipotesi dell’intenzionalismo.

INTENZIONALISMO E TRASPARENZA INTENZIONALE


Secondo l’intenzionalismo il significato di una comunicazione dipende dall’intenzione del parlante e il
compito del ricevente è quello di riconoscere l’intenzione “di partenza” del parlante.
Grice definisce il significato come “ciò che si intende dire” e sostiene che lo scambio comunicativo necessiti
che il parlante e l’interlocutore siano reciprocamente consapevoli dell’intenzione comunicativa in atto
(consapevolezza della consapevolezza altrui) → in questo modo si rischia la trasparenza intenzionale (i
contenuti mentali e intenzionali del parlante sono completamente accessibili al destinatario), che però non
esiste, perché il destinatario può commettere errori di interpretazione.
La comunicazione è il risultato di un’intenzione complessa che è soddisfatta nel momento in cui è
riconosciuta dal destinatario.

Intenzionalismo e trasparenza intenzionale non spiegano la dinamicità e la natura propria della produzione di
senso degli scambi comunicativi.

23
DALLA RECIPROCITÀ INTENZIONALE ALL’ATTRIBUZIONE DELL’INTENZIONE
Grice ha basato la sua analisi del significato e della conversazione sul concetto di reciprocità intenzionale:
per avere successo, lo scambio comunicativo deve essere caratterizzato:
● dall’intenzione comunicativa del parlante
● dal suo riconoscimento da parte del destinatario → il significato stesso è definito solo nel momento in
cui il destinatario è in grado di riconoscere l’intenzione comunicativa del parlante. Il destinatario, pur
rimanendo in secondo piano rispetto al parlante, è importante tanto quanto il parlante. Il suo compito è
quello di riconoscere l’intenzione nel modo più attendibile.

Mead spiegò con l’interazionismo simbolico che la reciprocità intenzionale si fonda sull’analogia con il Sé:
la comprensione dell’intenzione del parlante da parlante del destinatario avviene in quanto riconosce il
parlante come suo simile e quindi sa di poter comprendere la sua intenzione. La reciprocità intenzionale è
possibile a condizione che l’ambiente cognitivo sia conosciuto da entrambi.
Più il destinatario è accurato e preciso, più lo scambio comunicativo avviene in modo fluido e corretto.
Ovviamente, in questo compito il destinatario può compiere errori di eccesso o di difetto d’interpretazione
perché può aggiungere o sottrarre parti di significato durante il riconoscimento dell’intenzione comunicativa del
parlante.
➔ esiste infatti l’opacità intenzionale dell’atto comunicativo prodotto dal parlante → è impossibile
“leggere” direttamente la mente del parlante, ogni “lettura” è sempre indiretta, pertanto ogni
interpretazione è parziale e limitata e segue il principio del “totum ex parte”: il destinatario attribuisce
un’intenzione completa al parlante sulla base di indizi parziali.
➔ dal punto di vista del parlante c’è il principio “pars pro toto”.

Quindi il “riconoscimento” non basta per spiegare l’interpretazione del destinatario in relazione all’intenzione
del parlante, ma occorre l’attribuzione di un’intenzione da parte del ricevente.
➔ Questo processo ha le seguenti proprietà:
● processo AUTONOMO: realizzato solo dal destinatario;
● processo ATTIVO: dipende solo dall’abilità e dall’attività del destinatario;
● processo SOGGETTIVO: esprime il punto di vista del destinatario.

Esiste una differenza tra:


- RICONOSCIMENTO di un’intenzione: quando il destinatario riconosce correttamente l’intenzione del
parlante.
- ATTRIBUZIONE di un’intenzione: quando il destinatario attribuisce un senso diverso che si confaccia
ai suoi scopi, all’intenzione del parlante. ad es. durante una situazione di tensione coniugale un partner
può attribuire un’intenzione ironica e sarcastica al messaggio dell’interlocutore per cercare di
colpevolizzarlo e di raccogliere punti a proprio favore, mentre quest’ultimo aveva solo una semplice
intenzione di descrivere qualcosa in una certa circostanza.

LA PLURALITÀ DELLE INTERPRETAZIONI DELL’INTENZIONE COMUNICATIVA


Abbiamo visto che il destinatario dispone di una pluralità di interpretazioni dell’intenzione comunicativa del
parlante che gli garantisce libertà. Egli ha sempre la possibilità di scegliere tra diverse alternative in base alle
quali fornire la sua risposta. Data questa pluralità di modi di interpretare una certa intenzione comunicativa, “il
significato letterale” diventa solo una delle varie soluzioni interpretative a disposizione del ricevente.

Il principio dell’”assumere per garantito”: Bach ha proposto il questo principio, secondo cui grazie alla
regolarità dei contesti e alla stabilità dei significati, il destinatario propende ad accettare il primo senso che gli
viene in mente e che non è immediatamente contraddetto da altri significati.

I giochi comunicativi: in molte circostanze, l’attribuzione delle intenzioni non è così immediata, l’intenzione del
parlante è implicita; se il destinatario si limita a prendere in considerazione solo l’intenzione di superficie, ha
elevate probabilità di sbagliare e non si comporta da persona competente sul piano della comunicazione.

24
7. INFERENZA E ATTRIBUZIONE DELLE INTENZIONI
Nell’attribuzione di un’intenzione comunicativa, il destinatario compie necessariamente dei processi di
inferenza (processo logico per il quale è possibile trarre una conclusione da una o più premesse) perché ogni
messaggio non è mai totalmente esplicito e completo, ma per elaborare un’ipotesi di significato bisogna partire
da indizi comunicativi (tono, mimica, ecc.).
- Si tratta di una comprensione inferenziale perché il destinatario è capace di elaborare un’ipotesi sul
significato del messaggio: l’inferenza è un ragionamento nel quale l’ipotesi è ammessa come
accettabile e avviene tramite l’impiego di modelli mentali intesi come rappresentazioni mentali di
situazioni reali, ipotetiche o immaginarie che servono per trovare spiegazione di quanto viene
comunicato.

8. LA SINCRONIA COMUNICATIVA
Il parlante (nella produzione dell’intenzione comunicativa) e il destinatario (nella sua attribuzione) sono sullo
stesso piano e condividono la stessa responsabilità nella gestione dello scambio comunicativo.
La comunicazione è una forma di partecipazione perché è il prodotto congiunto della collaborazione tra gli
interlocutori.

Quando le persone comunicano tra loro, devono adattare i loro stili di interazione, la loro condotta, i loro tempi
e il loro ritmo → a questo proposito possiamo parlare di sincronia comunicativa: proprietà globale e
fondamentale della comunicazione che si sviluppa fin dalla nascita attraverso il sistema d’interazione condiviso
con l’adulto di riferimento.
In essa assume particolare rilevanza la dimensione temporale nell’organizzare la sequenza degli scambi
comunicativi, è in gioco la sincronia dei rispettivi ritmi comunicativi.

La teoria dell’accomodazione: si è occupata di indagare sul modo in cui avvengono questi processi di
sincronizzazione e adattamento reciproco per es. dello sguardo, delle espressioni ecc .
Secondo la teoria dell’accomodazione comunicativa (communication accommodation theory - cat) adattiamo i
nostri atti comunicativi a quelli del partner, cambiando in modo convergente (le modalità comunicative degli
interlocutori diventano più simili e omogenei) o divergente (le differenze diventano sempre più grandi) nel
corso degli scambi comunicativi.

➔ La sincronia comunicativa è fondamentale per la reciproca comprensione e per stabilire la qualità della
relazione interpersonale (maggior sincronia = maggior feeling).
➔ Infatti quando compaiono fenomeni di asincronia comunicativa siamo in presenza di probabili
fraintendimenti e incomprensioni fra i partecipanti.

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CAPITOLO 5: COMUNICAZIONE NON VERBALE
1. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE TRA NATURA E CULTURA
Per milioni di anni gli esseri umani hanno comunicato tra loro facendo riferimento esclusivamente alla
comunicazione non verbale (CNV). Poi, in modo graduale (ipotesi incrementalista) o all’improvviso (ipotesi
della discontinuità) è comparso il linguaggio che ha rivoluzionato i modi e i processi di comunicazione tra gli
umani.
Il linguaggio rappresenta un sistema comunicativo “in aggiunta” a quelli non verbali preesistenti e implica un
livello qualitativamente diverso di comunicare.
Il linguaggio non costituisce la CNV, oggi chiamata comunicazione extralinguistica, ma comprende un
insieme eterogeneo di fenomeni e processi comunicativi (la mimica facciale, la postura, l’abbigliamento…)
Secondo la psicologia ingenua, la CNV è più spontanea e naturale di quella verbale, meno soggetta a forme di
controllo volontario, quindi sarebbe maggiormente rivelatrice degli stati d’animo dell’individuo, perché
lascerebbe trapelare le sue reazioni e intenzioni a volte anche in contrasto con quanto sta dicendo.
La CNV sarebbe una sorta di “linguaggio del corpo”, universale, regolato da processi nervosi.

Alcune posizioni teoriche sono:


● La concezione innatiste e la teoria neuroculturale
è una prospettiva biologica che enfatizza la rilevanza determinante del corredo genetico e dei
processi legati all’ereditarietà per spiegare i diversi sistemi di CNV, soprattutto le espressioni facciali.
Si ricollega alla teoria di Darwin secondo cui le espressioni facciali sono il risultato della specie umana
e quindi hanno un carattere di universalità. Queste espressioni erano concepite come inutili vestigia di
abitudini ancestrali, infatti, i movimenti che all’origine servivano a qualche scopo e che svolgevano una
data funzione in momenti quali ad esempio l’attacco o la fuga, sono stati mantenuti come abitudini che
si svolgono in modo automatico anche quando non c’è più necessità.
Ekman riprende la teoria di Darwin elaborando la sua personale teoria neuroculturale secondo la
quale esiste un “programma nervoso” specifico per ogni emozione capace di attivare l’azione
coordinata di specifici muscoli facciali.
Questo programma assicura l’invariabilità e l’universalità delle espressioni facciali associate a ciascuna
emozione.
Pur potendo modificare questi movimenti a seconda delle circostanze con delle “interferenze” che
Ekman definisce regole di “esibizione”, il programma nervoso prevale sempre garantendo così il
riconoscimento automatico delle emozioni. Le regole di esibizione sono culturalmente apprese e
possono modificare la manifestazione non verbale delle emozioni attraverso 4 modalità:
1. l’intensificazione delle espressioni
2. l’attenuazione
3. l’inibizione (o sopprensione)
4. il mascheramento (o simulazione)

● La prospettiva culturalista
“ciò che è mostrato dal volto è scritto dalla cultura” → aforisma che sintetizza come la CNV sia appresa
nel corso dell’infanzia, come la lingua e presenta variazioni da cultura a cultura.

● La prospettiva dell’interdipendenza tra natura e cultura


Questa è la prospettiva oggi dominante fra gli studiosi. Le strutture nervose alla base della CNV sono
universali ma organizzate in modo diverso a seconda della cultura di appartenenza; due principali:
● il sistema piramidale: che comprende l’area motoria e l’area premotoria
● il sistema extrapiramidale: situato nel corpo striato e nel corpo encefalico
➔ agiscono in modo coordinato e facilitano l’esecuzione dei movimenti volontari e reazioni motorie autom.
La CNV, pur essendo vincolata da meccanismi automatici, di base è soggetta a regolazione volontaria nelle
sue espressioni: questa variabilità va da manifestazioni involontarie a manifestazioni consapevoli ed esplicite.
Questa plasticità della CNV pone le condizioni per le possibilità di apprendimento di alcune delle sue diverse
forme. La cultura di riferimento influisce anche sulla CNV.
26
2. CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ TRA COMUNICAZIONE VERBALE E NON VERBALE
Chi comunica, oltre alla lingua, usa dei sistemi non verbali di significazione e di segnalazione, come i
movimenti del corpo, del volto, degli occhi.
Ognuno di questi sistemi concorre a generare il significato della comunicazione producendo una porzione di
significato che partecipa alla configurazione finale del risultato.

Ci sono 2 impostazioni antitetiche che studiano la comunicazione verbale e non verbale

1) IPOTESI DELLA CONTRAPPOSIZIONE TRA VERBALE E NON VERBALE

Secondo la psicologia tradizionale, la comunicazione era la somma tra le componenti verbali e quelle non
verbali, intese come autonome non connesse tra loro. Quest’impostazione meccanicista vede la distinzione
dicotomica tra ciò che è linguistico e ciò che è extralinguistico. All’interno di questa prospettiva, alcuni
studiosi ritenevano che le componenti non verbali dessero un contributo fondamentale alla comunicazione,
sostenendo che il 65% del significato un messaggio è determinato da esse.
Per contro, altri studiosi difesero la tesi opposta affermando che il non verbale incide poco sul significato,
mentre interviene più sul piano affettivo ed emozionale. Il non verbale aggiungerebbe quindi solo “sfumature
di significato”.

Questa diatriba ha portato ad analizzare le differenze tra il verbale e il non verbale secondo tre prospettive:

1. digitale vs analogico
segno linguistico = digitale, perché i fonemi sono tratti distintivi e oppositivi (luna vs lana)
elementi non verbali = analogici, perché variano in modo analogo a ciò che intendono esprimere
(+ uno è contento, + i sorrisi sono grandi)

2. denotativo vs connotativo
segno linguistico = denotativo, perché è caratterizzato da vari livelli di consapevolezza e controllo e
ha funzione semantica in quanto designa i contenuti della comunicazione (cosa viene detto)
elementi non verbali = connotativi, perché sono poco controllati e hanno funzione espressiva, cioè si
occupano dei modi in cui i contenuti sono comunicati (come viene detto)

3. arbitrario vs motivato
segno linguistico = arbitrario, generati dalla relazione fra l’immagine acustica (significante) e
quella mentale (significato). Il linguaggio è arbitrario perché non c’è nulla della realtà all’interno della
stringa di suoni di una parola, tanto più che è sufficiente cambiare una lettera per avere un significato
diverso
elementi non verbali = motivati, c'è una similitudine tra l'unità non verbale e quanto viene espresso
(più l'urlo di dolore è forte, più esprime uno strazio lacerante)

Queste distinzioni non hanno valore assoluto perché ci sono aspetti analogici, connotativi e motivati nel
linguaggio e viceversa.

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2) AUTONOMIA E INTERDIPENDENZA SEMANTICA TRA I SISTEMI NON VERBALI

Oggi prevale questa teoria, che prevede un’integrazione e un’interdipendenza tra gli aspetti verbali e quelli
non verbali per spiegare il significato di un atto comunicativo.

Le componenti verbali e quelle non verbali, godono di una relativa autonomia in quanto ciascuna
contribuisce in modo specifico e distinto a generare il significato finale
→ ciò che è comunicato con gli occhi è diverso da ciò che è comunicato con le parole, con il tono della
voce, con i gesti o con le espressioni facciali.
Queste componenti sono anche governate in modo unitario grazie alla sintonia semantica e pragmatica, il
cui esito è l’interdipendenza semantica che garantisce l'unitarietà del significato e conduce al significato
modale.
Il processo d’interdipendenza semantica lascia libertà necessaria ad assicurare la flessibilità del messaggio
➔ si ha la possibilità di accentuare o attenuare il valore di una certa componente, rendendo così
possibile stabilire il fuoco comunicativo del messaccio.
es: nel pronunciare una frase di rimprovero si può aumentare la durata delle pause per dare
solennità a quanto si sta dicendo.

Inoltre, la sintonia e l’interdipendenza semantica consentono al parlante la calibrazione situazionale del


suo atto comunicativo.
➔ Tale calibrazione consiste in un messaggio che si adatta al contesto e si ottiene “il messaggio giusto
al momento giusto”.
➔ Tale riguardo è possibile grazie alla variazione e graduazione continua dei segnali non verbali, in
quanto essi non hanno, di norma, confini precisi.

TUTTI QUESTI CONCETTI SONO ALLA BASE DELL’EFFICACIA COMUNICATIVA

→ efficacia comunicativa: capacità di individuare un percorso comunicativo che massimizzi le


opportunità (= aumentare la credibilità e la fiducia del comunicatore) e minimizzi i rischi (evitare
condizioni comunicative imbarazzanti come una gaffe).
➔ Non vi è mai un significato completamente stabile né completamente instabile; questa mescolanza
tra fissità e variabilità, tra prevedibilità e imprevedibilità è il fattore principale che rende intrigante la
comunicazione umana.

28
I PRINCIPALI SISTEMI NON VERBALI
3. IL SISTEMA VOCALE
La voce trasmette altre componenti di significato oltre alle parole, è infatti impossibile pronunciare una parola
senza partecipazione alcuna → importante è anche il tono, il ritmo e l’intensità della voce.
L’unione degli aspetti vocali verbali (pronuncia, vocabolario, sintassi, prosodia [tono] e prominenza
[enfatizzazione di un elemento]) e non verbali, costituisce l’atto fono poietico.

LE COMPONENTI DELLA COMUNICAZIONE VOCALE

La voce è una sostanza fonica composta da una serie di fenomeni e processi vocali:

■ i riflessi come lo starnuto, la tosse, il russare, il rutto, lo sbadiglio, i caratterizzatori vocali come il
riso, il pianto, il singhiozzo, le vocalizzazioni (cioè i suoni vocalizzati come mhm, ah, eh)

■ le caratteristiche extralinguistiche, cioè le caratteristiche anatomiche permanenti ed esclusive


dell’individuo che si suddividono in organiche (la specifica configurazione anatomica e la dimensione
dell’apparato fonatorio dell’individuo) e fonetiche (il modo con cui l’individuo impiega il suo apparato
fonatorio, come la voce nasalizzata o palatalizzata)

■ le caratteristiche paralinguistiche, cioè l’insieme delle proprietà acustiche transitorie che


accompagnano la pronuncia di ogni enunciato e che possono variare da situazione a situazione. Sono
essenziali per comprendere la CNV e sono determinate da alcuni parametri:
● il tono: dato dalla frequenza di base della voce; è generato dalla tensione delle corde vocali
(più sono tese più il tono è acuto, più sono distese più il tono è basso).
il profilo d’intonazione è determinato dall’insieme delle variazioni del tono nel corso della
pronuncia dell’enunciato.
● l’intensità: è il volume della voce, varia da un volume molto debole a uno molto forte ed è
connessa con l’accento enfatico con cui il soggetto intende sottolineare una parte dell'enunciato
rispetto ad altri.
● il tempo: determina la successione dell’eloquio e delle pause e comprende molti fattori quali:
- durata, velocità di eloquio, velocità di articolazione, pausa

L’atto fono poietico è composto da:

● componente vocale verbale, che comprende:


- la fonologia
- il lessico e la semantica
- la morfologia e la sintassi
- il profilo prosodico
- la prominenza

● componente vocale non verbale, determinano la qualità della voce di un individuo (impronta
vocalica) che ci permette di riconoscere con facilità una voce familiare in mezzo a molte altre.
Essa è data da quattro fattori:
1. fattori biologici: come il sesso e l’età
2. fattori sociali: connessi con la cultura e la regione di provenienza, con la professione, classe sociale
3. fattori personali: connessi con tratti psicologici, temperamento euforico, ecc.
4. fattori psicologici transitori: collegati con le esperienze emotive, con gli stati cognitivi di certezza o
dubbio, con fenomeni di discomunicazione come la seduzione, la menzogna, ecc.

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Rappresentazione
schematica
della pluralità
e dell’articolazione dei sistemi
di significazione
e di segnalazione verbali
e non verbali

LA VOCE DELLE EMOZIONI


La voce è fondamentale anche per esprimere le emozioni: ognuna di esse infatti è caratterizzata da un
preciso e distintivo profilo vocale.

● Fase di "ENCODING": vengono esaminati i correlati acustici dell’espressione vocale delle emozioni.
- es: la collera è caratterizzata da un aumento dell’intensità della voce, dalla presenza di pause
molto brevi o anche della loro assenza, come voler espellere la frase in un’unica emissione del
respiro, e da un ritmo elevato.
Gli studi dell’encoding vocale sulle emozioni confermano la capacità del canale vocale non verbale di
trasmettere in modo autonomo precise e distinte informazioni sugli stati affettivi dell’individuo, in
maniera indipendente dagli aspetti linguistici dell’enunciato.

● Fase di “DECODING”: gli studi sulla fase di decoding concernono la capacità del destinatario di
riconoscere e inferire lo stato affettivo ed emotivo del parlante prestando attenzione alle sue
caratteristiche vocali. Fra le diverse emozioni, la collera è l’emozione più facilmente riconosciuta,
seguita dalla paura; per contro, il disgusto, il disprezzo e la tenerezza sono le emozioni meno
facilmente individuate attraverso la voce. In generale sono più facilmente identificabili le espressioni
vocali delle emozioni negative perché sono connesse con le condizioni di sopravvivenza.

● Il SILENZIO: il silenzio è un modo strategico di comunicare e il suo significato cambia con le situazioni.
Il valore comunicativo del silenzio è da attribuire alla sua ambiguità perché può essere l’indizio di un
ottimo rapporto o di segnale di una pessima relazione. Valori comunicativi positivi o negativi riguardano
- i legami affettivi, la funzione di valutazione, il processo di rivelazione, una funzione di attivazione
La natura del silenzio è pertanto ambigua quindi è governato dalle cosiddette regole del silenzio:
DOVE - COME - QUANDO - PER CHE COSA USARLO

Il silenzio è associato
- a situazioni sociali in cui la relazione tra i partecipanti è incerta, poco conosciuta, vaga o ambigua
- a situazioni sociali in cui vi è una distribuzione nota e asimmetrica di potere sociale tra i
partecipanti

Il significato inoltre varia varia in funzione della cultura


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4. IL SISTEMA CINESICO
Comprende i movimenti del corpo, del volto e degli occhi.
Usiamo infatti il nostro organismo per comunicare con gli altri; i nostri movimenti oltre a compiere azioni,
producono e trasmettono significato.
● Le componenti del sistema cinesico sono:
- la MIMICA FACCIALE
- lo SGUARDO
- i GESTI

LA MIMICA FACCIALE
I movimenti del volto manifestano
● gli stati mentali del soggetto (certezza, dubbio, confusione, ecc.);
● le esperienze emotive;
● gli atteggiamenti interpersonali (di attrazione e avvicinamento, di indifferenza o di repulsione e di
distanziamento).

Il significato delle espressioni facciali


Nell’ambito della psicologia delle espressioni facciali, la domanda centrale concerne il significato di tali
espressioni. Al riguardo si sono sviluppate accese controversie tra concezioni diverse. Per spiegare i
meccanismi della produzione delle espressioni facciali, ci sono due ipotesi opposte:
Prospettiva emotiva
Darwin aveva sottolineato per primo la funzione delle espressioni facciali come esito dell’evoluzione: le
espressioni facciali che prima avevano una funzione precisa rimangono ora come abitudini.
Le espressioni emotive compaiono perché il sistema nervoso ha bisogno di scaricare l’eccesso di
eccitazione (riso = bilanciamento automatico degli effetti respiratori e circolatori). In sintesi, per Darwin le
espressioni facciali sono innate e universali, esito della selezione umana.
Ekman riprende questa linea di pensiero nella cosiddetta teoria dei programmi affettivi, secondo cui le
espressioni facciali manifestano solo le emozioni “di base” (gioia, collera, paura, tristezza, disgusto,
sorpresa). In particolare, sono la manifestazione immediata e non richiesta delle emozioni provate → a ogni
emozione corrisponderebbe una data espressione facciale.

➔ Le espressioni facciali sono spontanee e universali, in quanto prodotto di specifici programmi


neuromotori innati. Nonostante ciò ci sono differenze in base alla cultura, gestite da tecniche di
gestione (accentuazione, attenuazione, sospensione, simulazione).
Grazie a questo una persona può apparire emotivamente appropriata in un certo contesto

Nell’analisi delle espressioni facciali bisogna quindi distinguere tra espressioni genuine e false.

Prospettiva comunicativa
In opposizione alla prospettiva universalista e innatista di Ekman, Fridlund ha proposto la teoria
dell’ecologia comportamentale, secondo cui le espressioni facciali più che una manifestazione
programmata delle emozioni, sono segnali per comunicare i propri interessi e motivi sociali all’interlocutore.
➔ non sono indizi di un’emozione, sono messaggi rivolti a un uditorio.
Le espressioni facciali hanno un valore comunicativo intrinseco, perché anche quando siamo soli, siamo
in presenza di un uditorio immaginato a cui facciamo riferimento.
Le espressioni manifestano le nostre intenzioni in funzione del contesto.

A una data espressione facciale, possono corrispondere più stati mentali e viceversa. Fridlund
conclude che le espressioni facciali non esprimono emozioni, ma solo motivi sociali.
Non vi è una distinzione tra espressione genuina e falsa perché anche quelle false hanno un valore
comunicativo e sociale.

Come per la comunicazione verbale, fondamentale è il contesto, in funzione del quale un’espressione può
avere significati diversi (es. il sorriso può indicare sia felicità, sia incertezza) infatti le espressioni
decontestualizzate sono equivocabili.

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IL SORRISO
A livello filogenetico, il sorriso costituisce un’omologia dell’espressione facciale delle scimmie consistente nel
“mostrare i denti in silenzio” come atto di difesa e sottomissione per acquietare e rassicurare il partner. Infatti
l’animale che mostra i denti segnala di non voler usare la dentatura per aggredire.

Nell’uomo, il sorriso non è un segnale univoco, ma copre una gamma estesa di fenomeni molto diversi tra
loro. Molti studiosi hanno inteso il sorriso come l’espressione universale di un’esperienza più o meno intensa
di gioia e felicità.
Molte ricerche hanno dimostrato che il sorriso non ha un legame con le emozioni, ma è strettamente
connesso con l’interazione sociale.
➔ Le persone non necessariamente sorridono anche in situazioni di intensa e grande gioia (capita
addirittura che si pianga), mentre sorridono molto di più quando interagiscono con gli altri.
Il sorriso va inteso come promotore dell’affinità relazionale perché è usato in condizioni di simpatia ed
empatia, di rassicurazione e riappacificazione, al fine di stabilire e mantenere una relazione amichevole
con gli altri.

Il sorriso, al pari di altri segnali non verbali, è un potente regolatore dei rapporti sociali, perché la sua
frequenza e intensità sono governate dal potere sociale (le persone in condizione subordinata sono vincolate a
sorridere di più rispetto alle persone in condizioni di potere) e dal genere (le donne sorridono di più degli
uomini per motivi di affiliazione e compiacenza).

LO SGUARDO
Lo sguardo è un potente segnale non verbale. Il contatto oculare (sguardo reciproco) aumenta l’attivazione
nervosa; tale contatto è un passo fondamentale per l’avvio di qualsiasi rapporto interpersonale, che si tratti di
lotta, competizione o di innamoramento e seduzione (infatti senza di esso le persona non hanno l’impressione
di essere pienamente in comunicazione), Anche stabilita l’interazione, il contatto oculare trasmette in modo
immediato e significativo informazioni sulla situazione relazionale in atto.

● Sguardo e conversazione
Vi è una differenza tra guardare e fissare.
Il guardare è collegato in modo dinamico al proprio comportamento e allo scambio comunicativo in
essere. Nelle culture occidentali durante una conversazione quotidiana, lo sguardo occupa la
porzione preponderante del tempo trascorso e serve per inviare informazione e per acquisire il
feedback del partner.
In generale la durata di ogni sguardo è di 3 secondi, mentre i contatti reciproci visivi durano in media
1,5 secondi; chi parla, guarda di meno rispetto a chi ascolta.
Lo sguardo è un efficace segnale per gestire la regolazione dei turni, infatti funge da segnale di
appello in base al quale due persone si mostrano disposte a iniziare un’interazione e gioca un ruolo
fondamentale anche nella regolazione dell’avvicendamento dei turni.
- Per entrambi i partecipanti le funzioni dello sguardo nella conversazione sono:
1. sincronizzazione: per evitare la sovrapposizione e per gestire l’avvicendamento dei turni
2. monitoraggio: per controllare l’interazione con il partner
3. segnalazione: per manifestare le proprie intenzioni.

● Lo sguardo e la gestione dell’immagine personale


Lo sguardo genera e gestisce un certo profilo della propria immagine personale. Chi guarda il partner
è percepito più attento e coinvolto di chi evita lo sguardo. Dimostra maggiore competenza generale in
termini di intelligenza e di impatto sociale, nonché di fiducia e di sincerità.
Lo sguardo favorisce inoltre la cooperazione facilitando la comunicazione e serve per richiedere e
ottenere il consenso al proprio punto di vista per gli aspetti di fiducia e credibilità

32
Anche le emozioni sono correlate con lo sguardo, perché le emozioni positive (gioia, amore, ecc.)
comportano un incremento del contatto oculare, mentre le emozioni negative, soprattutto quelle auto
consapevoli (come vergogna, colpa, imbarazzo), implicano un abbassamento e una distorsione dello sguardo.

Nella gestione dello sguardo esiste una differenza di genere: in linea di massima le donne guardano di più e
più a lungo di quanto facciano gli uomini e sono più pronte allo sguardo reciproco → a questo proposito è stata
avanzata la differenza tra:
- “modalità femminile” → di natura espressiva e relazionale;
- “modalità maschile” → di natura informativa e strumentale

● La fissazione oculare
La fissazione oculare è uno sguardo prolungato e duraturo fra due persone che non può essere
ignorato. Concerne particolari condizioni di allontanamento o avvicinamento relazionale tra le persone.
A volte assume un valore di minaccia → da qui deriva l’avvertenza popolare di non guardare in faccia
gli estranei soprattutto se si ritiene di essere in una posizione di debolezza.

Lo sguardo fisso e reciproco è caratteristico delle situazioni di seduzione e innamoramento → in


questo modo la fissazione reciproca condivide la cosiddetta “intimità oculare” in uno scambio senza
parole.

La fissazione oculare è regolata anche dal:


- potere → chi è in una posizione di potere guarda di più e più a lungo l’interlocutore che non viceversa;
l’evitamento
dello sguardo è un segno di sottomissione;
- differenze culturali → nel prolungamento dello sguardo esistono differenze culturali: nella cultura
occidentale e in quella giapponese le persone sono educate a non fissare gli altri (sarebbe un gesto di
sfida e maleducazione). Nelle culture arabe, latine e sudamericane il contatto oculare assume molta
importanza e il suo prolungamento è vissuto come segno di sincerità e fiducia.

I GESTI
I gesti sono azioni motorie coordinate e circoscritte che generano un significato e sono indirizzati ad un
interlocutore per raggiungere uno scopo. L’insieme dei gesti è chiamato anche “linguaggio del corpo”.

Tipologia dei gesti


Ad oggi non esiste una categorizzazione condivisa da tutti gli studiosi si è soliti a suddividere i gesti in macro
categorie:

GESTICOLAZIONE (O GESTI ICONICI O LESSICALI)

PANTOMIMA

EMBLEMI (O GESTI SIMBOLICI)

GESTI DEITTICI

GESTI MOTORI

LINGUAGGIO DEI SEGNI

33
5. IL SISTEMA PROSSEMICO E APTICO
Sono dei sistemi di contatto:

● il sistema prossemico: la prossemica concerne la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio,


della distanza e del territorio nei confronti degli altri;
● il sistema aptico: l’aptica riguarda l’insieme delle azioni di contatto corporeo nei confronti degli altri.

PROSSEMICA E TERRITORIALITÀ
Nelle interazioni con gli altri oscilliamo tra il bisogno di mantenere i contatti e la vicinanza spaziale con gli altri,
al bisogno di definire e proteggere la nostra privacy e la distanza fisica.
Il territorio è un’area geografica che assume risvolti e significati psicologici nel corso degli scambi
comunicativi e che influisce sulla comunicazione.

Distinguiamo
● il territorio pubblico: l'individuo vi ha libertà di accesso, è regolato da norme e vincoli ufficiali e
convenzionali la cui trasgressione è sanzionata. l'individuo è a proprio agio e ha il controllo
● il territorio domestico:qui l’individuo sente di avere libertà di movimento in modo regolare e abituale;
in esso prova un senso di agio e ne possiede il controllo (può essere la propria casa, l’ufficio).

La gestione del territorio concerne anche la regolazione della distanza spaziale, indicatore della distanza
comunicativa tra le persone. Diversi tipi di distanza:

● zona intima (0-0.5 m): distanza delle relazioni intime. ci si può toccare, sentire l'odore
● zona personale (0.5-1 m): area che circonda costantemente il nostro corpo come una bolla, la sua
distanza varia da una comunicazione all'altra. si può toccare l'altro, vederlo bene, ma non sentirne
l'odore
● zona sociale (1-4 m): distanza per le interazioni meno personali. territorio in cui l'individuo sente di
avere libertà di movimento, si sente a suo agio e ha il controllo (casa, amici, ufficio)
● zona pubblica (>4 m): distanza tenuta in situazioni pubbliche ufficiali. comporta l’enfatizzazione dei
movimenti e un’intensità di voce elevata

La violazione del proprio spazio suscita consistenti reazioni di difesa, in quanto percepito come una forma di
intrusione e minaccia. In generale, più spazio una persona ha a disposizione, più gode di una posizione
sociale elevata (es. ufficio).

Riguardo alla prossemica ci sono differenze culturali rilevanti, alcune popolazioni sono caratterizzate da una:
● cultura della distanza: nord-europee, asiatiche, indiane
● cultura della vicinanza: arabe, sudamericane, latine

Nelle culture occidentali lo spazio pubblico diventa “personale” una volta che sia occupato da un soggetto che
ne può rivendicare il possesso (es. “questo posto è mio”); mentre nelle culture arabe lo spazio pubblico
continua a rimanere tale in ogni condizione, ma per contro, un individuo ha il diritto di “impossessarsi” di una
determinata traiettoria di movimento e di pretendere la precedenza nei confronti di altri.

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L’APTICA E IL CONTATTO CORPOREO
Concerne le azioni di contatto corporeo nei confronti degli altri. Si tratta du un bisogno fondamentale della
specie umana (bimbi piccoli necessitano molto contatto).

Nell’aptica di solito si distinguono:


➢ Le sequenze di contatto reciproco: più azioni di contatto compiute in modo reciproco nel corso della
medesima interazione. Comportano una condivisione del significato e hanno funzione di supporto
affettivo in una relazione simmetrica di parità

➢ I contatti individuali: contatti unidirezionali, rivolti da un soggetto a un altro


per entrambi ci sono parti del corpo non vulnerabili (mani, braccia, spalle, parte sopra della schiena),
toccate anche da estranei, e vulnerabili, toccate solo da intimi e specialisti.

Toccare l’altro è un atto comunicativo non verbale primario che influenza la relazione. Riguarda soprattutto i
rapporti amorosi in quanto aumenta i livelli di ossitocina e invia messaggi di affetto.
Ma serve anche a comunicare una relazione di dominanza e potere, perché di norma coloro che occupano
una posizione sociale dominante hanno libertà di toccare coloro in una posizione con meno potere, non
viceversa.
In alcune circostanze il contatto è regolato da rituali che vi attribuiscono uno specifico significato legato al
contesto (baci per salutare).

Il contatto corporeo ha molteplici effetti contrapposti: una persona che tocca è ritenuta cordiale, disponibile ed
estroversa o fastidiosa, irritante, invadente.

riguardo all’aptica ci sono differenze culturali rilevanti:


● culture del contatto: araba, latina
● culture del non contatto: nordica, giapponese, indiana (in India ogni gesto di affetto in pubblico, anche
se tra familiari, è biasimevole, soprattutto se tra uomo e donna).

IL SISTEMA CRONEMICO
La cromenica concerne il modo in cui gli individui percepiscono e usano il tempo per organizzare le loro attività
e scandire la propria esperienza. Indica la presenza di tempi e ritmi diversi nell’interazione comunicativa.
Fa parte della cronobiologia ed è influenzata dai ritmi circadiani che riguardano i cicli psico e fisiologici del
soggetto nel periodo delle 24 h (es. alternanza sonno-veglia).
I ritmi circadiani mantengono la loro periodicità grazie alla presenza di fattori ambientali (es. ciclo luce-buio),
ma presentano particolari differenze legate a fattori socioculturali.

Si possono distinguere:
● culture veloci: caratterizzate da industrializzazione, benessere economico, condizioni climatiche
fredde, orientamento all'individualismo, alta densità di popolazione. hanno una prospettiva temporale
orientata al futuro con pianificazioni di traguardi. Qui i vincoli temporali sono forti.
● culture lente: caratterizzate da modesto grado di industrializzazione, povertà, condizioni climatiche
calde, orientamento alla collettività+armonia, limitata densità di popolazione. Hanno una prospettiva
temporale orientata a passato e presente. Ogni soggetto è portatore (spesso inconsapevole) di uno
specifico ritmo personale che dà per scontato sia uguale agli altri.

Ogni soggetto è portatore di uno specifico ritmo personale; la comunicazione con persone dotate di ritmi
circadiani diversi dai nostri risulta più difficile. Anche all’interno della stessa cultura individui diversi hanno ritmi
circadiani diversi, dal ritmo sonno-veglia alla velocità o lentezza nell’assunzione di cibo, ecc.
➔ Tale condizione è alla base di frustrazioni e delusioni reciproche e fraintendimenti comunicativi.

35
LE FUNZIONI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE
La funziona relazionale della comunicazione non verbale
La CNV partecipa in modo attivo, insieme al linguaggio, nella produzione del significato di ogni atto
comunicativo. Tuttavia, risulta poco idonea a definire e a trasmettere conoscenze (tranne linguaggio dei segni)
➔ pur essendo convenzionalizzata, presenta un grado limitato di astrazione.
Infatti, se ne fa per la sua funzione relazionale, in quanto la componente relazionale della comunicazione
è affidata prevalentemente alla CNV.

Le FUNZIONI della CNV sono:


● GENERA e SVILUPPA un’interazione con gli altri →il contatto visivo, il sorriso, un certo tono della
voce, una sequenza di gesti e una data postura del corpo, ecc., possono favorire l’avvio di uno
scambio e di una conoscenza fra estranei, anche se avvengono in modo casuale.

● MANTIENE e RINNOVA le relazioni nel corso del tempo → una volta stabilita una relazione con una
persona essa va alimentata in continuazione attraverso gli scambi comunicativi. Una relazione non può
vivere nel vuoto ma va costantemente sostenuta con segnali che confermano e rafforzano il tipo di
relazione in atto tra due o più persone, sia essa di dominanza, di amore o di cooperazione.

● CAMBIA la relazione in corso → non è detto che una relazione debba rimanere immutata nel corso
del tempo. Spesso vi è l’esigenza di modificare il sistema delle relazioni. Il cambiamento psicologico
delle relazioni passa prevalentemente attraverso il cambiamento dei segnali non verbali. La
modificazione dei gesti, dello sguardo, ecc., è conforme con la modificazione di una relazione → ad es.
nel passaggio da una relazione di sottomissione a una di dominanza i segnali non verbali di potere,
forza e aggressione, indicano un nuovo assetto sociale.

● ESTINGUE una relazione → si assiste a una riduzione progressiva o ad un’interruzione dei contatti, a
una distanza fisica, ecc. La separazione e la rottura di una relazione sono più difficili e impegnative di
quanto non sia la sua costruzione

La CNV è parte integrante della comunicazione perché partecipa a pieno titolo alla costruzione e alla
trasmissione dei significati.

36
CAPITOLO 6
4. ANALISI DELLA CONVERSAZIONE
La conversazione è una forma più o meno familiare di interazione discorsiva in cui due o più partecipanti si
alternano spontaneamente a parlare e a manifestare il proprio punto di vista. Si tratta di un’attività polifonica
che occupa buona parte del tempo libero e anche del tempo di lavoro nelle forme e luoghi più svariati.
Pur trattandosi di una pratica molto diffusa solo recentemente è stata oggetto di studio scientifico da parte di
Jefferson, Pomerantz, Sacks e Schegloff. Questo studio è stato poi sviluppato a livello interdisciplinare da
antropologi, linguisti, psicologi.

Essa privilegia un’impostazione empirica: l’obiettivo è quello di studiare il flusso della conversazione “negli
stesso termini” in cui si svolge.

Definizione di conversazione: è il risultato di un’interazione tra due o più individui, spesso caratterizzati da
interessi divergenti, orientati al raggiungimento di uno scopo.

Scopo dell’analisi della conversazione: individuare regolarità e procedure che la rendono comprensibile e
interpretabile, cioè cercare di rendere leggibili i diversi fenomeni comunicativi sottesi ad essa.

ORGANIZZAZIONE COMPLESSIVA DELLA CONVERSAZIONE


La conversazione è estremamente variabile e flessibile (può durare da poche battute ad ore, può interessare
due o più partecipanti, può essere più o meno formale, ecc.) e rappresenta una caratteristica peculiare della
comunicazione umana che usa la conversazione anche per il gusto in sé di stare in compagnia a conversare.

La conversazione ha un’organizzazione complessiva con una struttura definita socialmente condivisa e che
segue precisi standard culturali. Essa è caratterizzata da alcune FASI:

a) FASE DI INIZIO o APERTURA in cui avvengono la reciproca identificazione e riconoscimento


Si tratta dell’inizio della conversazione da parte di uno dei partecipanti attraverso i saluti più o meno formali;
essi rispondono a regole stereotipate e convenzionali, sono le regole della “buona cortesia” (la cosiddetta
comunicazione cortese).

b) SVILUPPO degli ARGOMENTI


Dopo i saluti si ha lo sviluppo degli argomenti a cui i partecipanti sono interessati. Essi possono essere
molto brevi o prolungati. Implicano l’impegno comunicativo dei partecipanti, soprattutto se sono due,
mentre se gli interlocutori sono molti, qualcuno può restare in secondo piano.
L’impegno consiste nell’elaborazione dei significati, nella manifestazione e attribuzione delle intenzioni
comunicative, ecc.
L’articolazione degli argomenti di una conversazione appare per lo più casuale, spesso infatti procede per
associazione libera. I diversi argomenti sono legati tra loro da un nesso logico e da un legame di contiguità
temporale. Questa condizione garantisce spontaneità e libertà alla conversazione.
In realtà l’argomento trattato ha un’inerzia comunicativa che predispone l’altro a continuare nello stesso
ambito. Questa continuità consiste nel condividere un fuoco comunicativo e non nel parlare degli stessi
concetti.
Quando l’argomento trattato rimane lo stesso, i turni non sono marcati e il discorso scorre fluido; solo un
cambiamento di argomento rende marcata la comunicazione sia a livello verbale che non verbale.
➔ se il cambiamento non viene segnalato si genera una comunicazione patologica
Nel procedere della normale conversazione ci sono una serie di inserti incassati nell’argomento principale,
questi, rendono varia, interessante e libera la conversazione, poiché sono spesso dettati da associazioni
libere di idee e sentimenti. Rendono dominanti certi argomenti rispetto ad altri.

c) SEZIONE di CHIUSURA
Comunque sia andata la conversazione essa prevede una sezione di chiusura. Di solito è prevista una
conclusione dolce con scambi simmetrici di commiato che permettono di gestire la chiusura nella sua giusta
ottica. La chiusura ha una duplice funzione: gestire il momento di distacco e favorisce il principio della
prossima conversazione.

37
AVVICENDAMENTO DEI TURNI
SI ha una conversazione quando si ha un avvicendamento dei turni. Pur con una struttura fluida e
apparentemente casuale, c’è meno del 5% di sovrapposizione tra i parlanti, e in caso di sovrapposizioni, la
loro durata è di pochi decimi di secondo.

Com’è possibile un’interazione così ordinata?


Grazie a un sistema a gestione locale che consente un’alternanza regolare e fluida dei turni. Ogni parlante è
responsabile della costruzione del turno, cioè l’unità minima di parola compresa tra due segnali di intesa tra i
partecipanti al termine del quale l’ascoltatore può intervenire. Il turno quindi richiede un’azione coordinata tra i
partecipanti. Il momento in cui può avvenire uno scambio di turno fra il parlante e l’ascoltatore si chiama punto
di rilevanza transizionale (PRT).

I PRT sono governati da regole:


● conservazione del turno: quando un parlante non vuole essere interrotto, ostacolando un’eventuale
interruzione, segnala che vuole continuare il suo turno
- adottando un'intensità ascendente della voce nella parte finale dell’enunciato
- aumentando la velocità
- usa pausa per segnalare all’interlocutore che ha terminato un pensiero, ma non di parlare.

● cessione del turno: quando il parlante vuole cedere il turno e passarlo all’interlocutore:
- fa ricorso alle pausa vuole che si alternano alle parole
- rallenta il ritmo dell'eloquio
- varia la tonalità

● richiesta di turno
- uso di inizi balbettanti
- incremento dei gesti di assenso e intensificarsi dei commenti vocali non verbali
- aumento del tono della voce

● rifiuto del turno: l’ascoltatore, per rifiutare il turno che il parlante gli vuole cedere, può incoraggiarlo a
continuare con
- cenni di assenso
- espressioni facciali di approvazione
- sguardo o con vocalizzazione che incoraggiano il parlante a continuare

LE SEQUENZE COMPLEMENTARI E LE SEQUENZE PREFERENZIALI


Sono processi conversazionali a gestione locale come le coppie comunicative domanda/risposta, saluti/saluti,
ecc. Hanno le seguenti proprietà:
a) sono di solito adiacenti tra loro; l’adiacenza però non è un vincolo assoluto, ma può prevedere una
sequenza-inserto che, di solito consiste in un’altra coppia domanda/risposta.
b) sono prodotte da parlanti diversi
c) hanno una distinzione di ordine tra la “prima parte” e “la parte complementare”
d) costituiscono routine comunicative

La prima parte richiede necessariamente il complemento che può essere diverso a seconda dei casi. E, di
solito, chi ha enunciato la prima parte deve lasciare il turno all’interlocutore affinché svolga la parte
complementare.

Il concetto di “PREFERENZA”
Tra le alternative delle varie risposte, si possono individuare le parti complementari preferenziali e quelle non
preferenziali. In questo caso per preferenza si intende nel senso di marcatezza

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Secondo turni non preferenziali
essi sono marcati a livello comunicativo da una serie di indizi:
a) indugio → tramite le pause o gli inserti
b) prefazione → come l’annuncio di turni non preferenziali come “beh”, espressione di accordo prima di
manifestare un rifiuto, la manifestazione di scusa, ecc.
c) spiegazione → come la giustificazione del proprio rifiuto.

La marcatezza comunicativa consente all’interlocutore di gestire in modo meno dirompente sul piano
relazionale l’esplicitazione del rifiuto o un invito a una domanda.

Le sequenze preferenziali e la correzione


Le sequenze preferenziali riguardano anche la correzione in caso di errori o fraintendimenti. Ogni turno ha il
vincolo di continuare e attenersi all’argomento precedentemente discusso, salvo esplicita segnalazione di
cambiamento di argomento. La mancanza di rispetto per questa procedura porta a forme patologiche di
comunicazione. La correzione in caso di errori serve a mantenere la continuità della conversazione e
affrontare le eventuali incomprensioni.
Ci possono essere:
- correzioni spontanee
- correzioni sollecitate dall’interlocutore
- iniziatore di correzioni del turno successivo

LE PRE SEQUENZE
La conversazione quotidiana non consiste in un flusso continuo di turni con lo stesso valore comunicativo:
alcuni sono più rilevanti, altri meno, altri solo preparatori. Questo fenomeno risulta evidente con le pre
sequenze = turni che introducono lo scambio principale.
La logica comunicativa sottesa a questa modalità è:
a) una domanda preliminare che accerta se é soddisfatta una certa precondizione
b) l’indicazione che tale precondizione è soddisfatta
c) l’attuazione della proposta e dell’invito da parte del parlante
oppure
a) *
b) 2 la precondizione non è soddisfatta
c) 2 l’invito da parte del parlante non si realizza

➔ Esempi di pre sequenze sono i preannunci e le prerichieste

VARIAZIONI CULTURALI NELLA CONVERSAZIONE


La conversazione è un sistema comunicativo universale che presenta proprietà di base comuni presenti in
tutte le culture, come l’alternanza dei turni, l’evitamento delle sovrapposizioni, la presenza di coppie adiacenti,
la sincronizzazione dei ritmi, l’organizzazione complessiva.
Tuttavia ci sono delle rilevanti variazioni culturali: ogni cultura elabora e sviluppa dei sistemi locali di
conversazione che comportano la presenza di notevoli differenze, queste sono:
- loquacità: alcune culture sono loquaci e considerano il silenzio come pesante (vs paliyan)
- alternanza dei turni: alcune sono abituate a parlare simultaneamente
- gestione delle coppie adiacenti: per alcune rispondere a una domanda con un’altra è un insulto
(mapuche)
- sezione di chiusura: per rispondere a un ringraziamento dopo un dono/servizio alcune culture
considerano prego, you’re welcome come insulti se tra amici e parenti.
- pausa
- sovrapposizione dei turni
Le differenze portano a malintesi e fraintendimenti che se non vengono chiariti continuano a creare malintesi.
Oggi è una condizione importante da considerare viste le società sempre più multietniche e globalizzate.
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CAPITOLO 7: DISCOMUNICAZIONE E COMUNICAZIONE PATOLOGICA
1. UNA DEFINIZIONE DI DISCOUMINCAZIONE
Le persone sono capaci di comunicare tra loro anche senza essere consapevoli della trasmissione delle
informazioni e senza comprendere completamente le proprie intenzioni comunicative. Secondo la psicologia
ingenua, le persone avrebbero una “predisposizione naturale” a comunicare, come se essa fosse un dono
naturale e non un processo nel quale ci sono sempre dei rischi.
In tutti quei casi in cui gli aspetti impliciti e indiretti della comunicazione prevalgono su quelli espliciti e diretti si
parla di DISCOMUNICAZIONE, che è l’opposto della comunicazione per default.

La discoumincazione è
- una violazione delle regole di comunicazione
- una cattiva interpretazione dell’informazione

Comunicazione per default e discomunicazione non rappresentano due ambiti separati e distinti.
In comune hanno:
- la mancanza della trasparenza SEMANTICA (cioè di definizione oggettiva del significato);
- la mancanza della trasparenza INTENZIONALE (cioè della consapevolezza reciproca dell’intenzione
comunicativa)
MA la discomunicazione ha maggiormente che nella comunicazione per default:
- una condizione di opacità intenzionale ( = l’intenzione comunicativa del parlante è diversa da ciò
che si esprime effettivamente). Come se ci fosse una sorta di copertura/velatura intenzionale che porta
ad un messaggio con diversi possibili significati. Sta quindi all’interlocutore la responsabilità di
sceglierne il senso;
- essa aumenta la libertà di comunicazione dei partecipanti e grazie a questo aspetto permette la
comunicazione intrigante perché produce aspetti inattesi;
- è un’opportunità. Essa infatti non va vista solo come un fallimento perché non implica un arresto alla
comunicazione

LA COMUNICAZIONE IRONICA
IRONIA = dissimulazione del proprio pensiero dietro parole che hanno significato opposto o diverso da quello
letterale. Deriva dal greco e significa “finzione”; è basata sull’antifrasi (dire qualcosa intendendo l’opposto). Vi
è quindi un’inversione semantica tra significato letterale (manifesto) e quello implicito (latente). Si tratta di una
strategia che crea libertà di gestione dei significati, salvaguardando così i rapporti interpersonali.
L’ironia va intesa come una maschera comunicativa complessa, poiché mostra ciò che
apparentemente nasconde.

LA FAMIGLIA DELLE “IRONIE”


Vi sono diversi tipi di ironia:
● ironia sarcastica: disprezza l’interlocutore elogiandolo, non per accentuarne la critica, ma per
condannarlo senza scomporsi e umiliandolo con freddezza.
● ironia bonaria: elogia l’interlocutore criticandolo: in questo modo si stempera la contentezza dell’elogio
ricevuto che, a volte, può essere fonte d’imbarazzo.
● ironia socratica: modo garbato, ingegnoso ed elegante per mettere in discussione mode e dogmi
senza compromettersi
● ironia scherzosa: o giocosa, simile alla battuta di spirito; utile per sdrammatizzare situazioni tese o
conflittuali.
Nelle culture occidentali, si è visto che si fa più ricorso all’ironia sarcastica piuttosto che a quella bonaria,
probabilmente per l’asimmetria dell’affetto, secondo la quale la natura intrinseca dell’ironia consisterebbe
nell’intenzione di attaccare e aggredire.
● L’ironia è l’arte di essere chiari senza essere evidenti. L’enunciato ironico non implica trasparenza
comunicativa, per questo è considerata una forma di discomunicazione. Si tratta di opacità
comunicativa perché essa rivela ciò che copre e copre ciò che svela
40
PRINCIPALI TEORIE SULLA COMUNICAZIONE IRONICA
Diverse teorie hanno provato a spiegare il fenomeno dell’ironia, ne vediamo 4:

La prospettiva razionalista
Non prende in considerazione gli aspetti psicologici e relazionali, ma rimane ancorata all’aspetto linguistico
- Grice propone l’antifrasi poiché l’enunciato ironico consiste nel dire p facendo intendere non p,
trasgredendo così la massima di qualità.
- Secondo Searle, l’ironia è la negazione logica dell’interpretazione letterale: il parlante usa l’ironia per
avere effetti perlocutori nell’ascoltatore, ma disattente l’attesa dell’ascoltatore. L’ironia quindi si
oppone all'atteggiamento intenzionale e soggettivo del parlante e l’atteggiamento generato dalle
attese dell’espressione letterale della frase.

La prospettiva machiavellica
Secondo questa prospettiva l’ironia è considerata una forma comunicativa volta a creare effetti
sull’ascoltatore; quindi l’attenzione si sposta sull’analisi linguistica e ai processi relazionali (non è quindi una
violazione della massima di qualità perché essa avrebbe luogo solo a una lettura “ingenua” e in buona fede)
Si cerca di spiazzare l’ascoltatore cogliendolo di sorpresa passando dal serio allo scherzoso, ecc.
La prospettiva machiavellica, implica la violazione delle attese contestuali e comporta una lettura attenta
che valuti la contraddizione lecita del commento ironico.

Secondo l’ipotesi della simulazione allusiva gli effetti ironici nascono dall’allusione a un’attesa mancata →
l’effetto ironico nasce dall’attesa mancata del rispetto delle convenzioni, ad es. in caso di errore ci si aspetta
un rimprovero, non un elogio.
Alla base della comunicazione ironica c’è una condizione di incongruenza data dall’incoerenza e dalla
mancanza di aderenza a quello che era atteso.

La teoria ecoica (o della menzione)


Sperber e Wilson hanno inteso l’ironia come un modo per fare eco alle cose dette o fatte in precedenza dal
partner, mettendo in evidenza allo stesso tempo il proprio atteggiamento critico e denigratorio o umoristico.
Secondo la teoria ecoica, l’ironia è usata con lo scopo di fare eco in modo distorto.
La comunicazione ironica è:
➔ da un lato menzione implicita (eco) di quanto detto o fatto dal partner
➔ dall’altro è un modo per manifestare il proprio atteggiamento nei confronti del commento ironico

Nella prospettiva ecoica rientra anche il fenomeno della lingua-nella-guancia evidenziato da Almansi: è un
commento arguto, sottile e continuo, di sottofondo, contemporaneamente a quanto detto o fatto dagli altri.

Nell’ironia come menzione si colloca anche l’ironia citazionale di Kerbrat-Orecchioni: l’ironia è una
“citazione” di avvenimenti precedenti. L’ironia, in questo caso, si distanzia dal significato letterale
dell’enunciato che viene sdoppiato.

La prospettiva teatrale
Morgan definisce l’ironia come “finzione trasparente” perché il parlante afferma qualcosa fingendo di
credervi e nello stesso tempo segnala che si tratta di una finzione, ad esempio con la CNV.

Clark e Gerrig propongono invece il concetto di ironia come simulazione: la frase ironica non viene usata
per manifestare a tutti il proprio pensiero, ma è comprensibile solo a chi conosce gli antefatti, mentre chi ne
è all’oscuro non ne coglierà il senso celato.
L’ironista crea quindi una sorta di complicità con il destinatario che è al corrente della simulazione.

- L’ironia si avvicina alla parodia perché si fonda sul meccanismo dell’antonimia (contrapposizione
antitetica di due termini da cui nasce l’effetto ironico).
➔ Ironia e parodia implicano una sorta di complicità fra l’autore e il destinatario. L’ironia crea una
condizione di triangolazione comunicativa che permette ai partecipanti di capirne il significato: è
una strategia di esclusione , cioè di selezione tra chi deve capire essendo a conoscenza degli
artefatti e chi è destinato a restare escluso da un comprensione più profonda di quella letterale.

41
FUNZIONI PSICOLOGICHE DELLA COMUNICAZIONE IRONICA
La comunicazione ironica è una comunicazione obliqua perché da un lato mostra ciò che nasconde,
dall’altro nasconde ciò che dice. Essa consente di dire per non dire e rappresenta un’espressione della
dialogicità discorsiva secondo cui la parola non è monosemica (= parola che ha un solo significato), ma
polisemica (parola che ha più significati) e la sua interpretazione assume forme diverse sia in funzione della
sua posizione all’interno del contesto, sia al fatto che alcuni aspetti sono messi sullo sfondo ed altri in primo
piani. Sul piano psicologico, la comunicazione ironica quindi assolve a distinte funzioni psicologiche:

● comunicazione ironica come rispetto delle convenzioni (come aggirare la censura in modo
culturalmente corretto)
L’ironia è una strategia indiretta ed efficace per “cogliere nel segno” in modo implicito, senza
trasgredire le norme e gli standard previsti dalla cultura di appartenenza. Consente di evitare la
censura degli altri pur affrontando quei temi che altrimenti andrebbero taciuti.

● comunicazione ironica come confine di riservatezza (come proteggere lo spazio personale)


Si usa l’ironia anche come strumento per conservare dignità, compostezza e contegno. Tutela lo
spazio personale e protegge la propria riservatezza (privacy).

● comunicazione ironica come ambiguità relazionale (come rinegoziare i significati tra i partecipanti)
Come afferma Jankélévitch, il paradosso della comunicazione ironica sta nel fatto che, per essere
meglio intesi, occorre essere “fraintesi”.
Si parla di polisemia pragmatica nel senso che il messaggio ironico può essere interpretato in modi
diversi. Quindi l’ironista può non assumersi la responsabilità di ciò a cui allude e quindi, non si
compromette.
Importante dunque è il peso dell’implicito che attenua o accentua l’implicito
➔ mitigazione dell’implicito: una critica espressa in modo ironico appare più leggera e meno
offensiva di insulto aperto, così come un elogio espresso in modo ironico appare meno
imbarazzante di un apprezzamento esplicito;
➔ accentuazione dell’implicito: un commento sarcastico è più mirato e calcolato, quindi più
incisivo di una critica aperta

LA VOCE DELL’IRONIA
La comunicazione è un fenomeno prevalentemente vocale originato dal contrasto tra gli aspetti linguistici e
paralinguistici (l’intonazione).

La voce dell’ironia è data dalla combinazione di


● tono acuto e modulato; intensità elevata; ritmo rallentato

La voce viene usata in maniera “studiata” e “premeditata” con una sottolineatura caricaturale che assume
diversi profili vocali in funzione delle intenzioni comunicative e dei contesti.
➔ Ad un’attenta analisi si è visto addirittura che ci sono profili vocali diversi a seconda della forma
d’ironia.
Nell’ironia, le parole non sono false, ma finte: il finto è la palese negazione di ciò che appare.
● Lo scopo dell’ironista non è quello di ingannare, ma di essere chiaro senza che il suo messaggio sia
evidente, cioè esplicito.

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LO SCRIPT IRONICO (script = copione) e il modello del fencing game

L’ironia può essere vista come gioco comunicativo “di fioretto” (fencing game) → una schermaglia elegante ma
“pungente” che parte dal riconoscimento dell’ironia come parte di uno script (copione) ironico che prevede una
successione di mosse.
Infatti, affinché possa avere luogo un commento ironico, sono indispensabili quattro fasi distinte ma connesse:

1. PREMESSA: occorre che ci sia la condivisione di un bagaglio di conoscenze tra gli interlocutori che
definiscono l’orizzonte di riferimento per il successivo scambio ironico. Le conoscenze possono essere
- TESTUALI →riprendono un’azione o un’ enunciato o altro che precede il commento ironico.
- CONTESTUALI → si riferiscono a un insieme di norme o aspettative o standard culturalmente
definiti.
-
2. EVENTO FOCALE: occorre che i parlanti prendano parte all’evento focale, ossia all’oggetto del
commento ironico. L’evento può anche accadere in modo indipendente dagli interlocutori, ma è
essenziale che essi lo notino rendendolo oggetto dello scambio comunicativo.

3. COMMENTO IRONICO: segue il commento ironico, che dipende dall’intenzione comunicativa


dell’autore. Questo può usare diverse forme d’ironia (sarcastica, bonaria, ecc.) e conseguentemente
attuerà una successiva comunicazione adatta al tipo di ironia usata.

4. EFFETTO IRONICO: il destinatario come interpreta l’ironia? Egli reagisce al commento ironico
ricalibrando il rapporto interpersonale in 3 modi possibili:

a) il fraintendimento → mancata attribuzione di un ‘intenzione diversa dal significato letterale


all’enunciato, per cui il commento ironico non viene colto;
b) il disconoscimento → il partner ha compreso il senso ironico, ma decide, per convenienza, di
fermarsi all’interpretazione letterale;
c) il touchè → il partner ammette di aver colto l’ironia e risponde a tono a seconda se si sente
divertito o offeso dal commento ironico.

Il modello del fencing game mette in evidenza come l’ironia sia circolare, perché dipende dalla
partecipazione e dalla condivisione dello script ironico da parte di entrambi gli interlocutori

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LA COMUNICAZIONE SEDUTTIVA
La vicinanza e la distanza fisica e psicologica tra gli individui sono regolati da un sistema complesso che
non è mai stabile o definitivo, ma suscettibile di continue variazioni e oscillazioni alla base del quale vi è il
cosiddetto “dilemma del porcospino” per usare l’immagine di Schopenhauer
- durante la stagione invernale, nella loro tana i porcospini, se stanno troppo vicini tra loro, si tengono
caldo ma finiscono per pungersi e farsi reciprocamente del male; se invece mantengono una maggiore
distanza tra loro, non si pungono ma patiscono il freddo e tremano per le basse temperature.
La seduzione è un processo di avvicinamento tra le persone e l'obiettivo è quello di una drastica diminuzione
della distanza psicologica tra due individui.
La seduzione è una sequenza strategica e intenzionale di mosse il cui traguardo è quello di attrarre
(anche sul piano sessuale) un’altra persona.

- Qual è lo scopo della seduzione?


Costruire un legame forte e intrigante con il partner con l’obiettivo di raggiungere con lui/lei una
relazione intima. Essa può essere alimentata da sentimenti forti e importanti, come l’amore, o da giochi
relazionali come l’autostima, l’immagine di sé, ecc.

DALL’ESSERE “CHIUNQUE”; ALL’ESSERE “QUALCUNO”


Nella specie umana, così come in alcune specie animali, il corteggiamento è importante perché la scelta del
partner è influenzata dalla possibilità di avere una discendenza:
➔ Effetto Coolidge: afferma che le femmine privilegiano la forza e la posizione dominante del
compagno, avendo come obiettivo la cura attenta della prole; mentre i maschi, avendo come scopo
principale la riproduzione, scelgono in base alla quantità degli accoppiamenti. L’effetto Coolidge per la
razza umana si traduce in comportamenti comunicativi particolari durante il corteggiamento:
- gli uomini enfatizzano la loro posizione sociale e la loro disponibilità di risorse (come garanzia
implicita di mantenimento della prole
- le donne privilegiano gli indicatori morfologici della bellezza, della giovinezza e della salute
come segnali di fertilità.

La comunicazione seduttiva si esprime in un gioco di mosse e contromosse (danza del corteggiamento) per
la conquista del partner secondo una sequenza di tappe successive:
1. individuazione e selezione di un partner interessante
2. stabilire il contatto con lui/lei attraverso strategie di esibizione per catturare l’attenzione e farsi scegliere
3. reciproco avvicinamento con lo scopo di stabilire una relazione intima attraverso una conoscenza
4. mantenere il legame con la maggiore stabilità possibile.

SEDURRE, in latino si traduce sed-ducere che ha due significati:


- “far deviare”, nel senso di “traviare”, “far prendere la strada sbagliata”
- “condurre in disparte”, poiché sul piano psicologico la comunicazione seduttiva arriva la tendenza ad
appartarsi per consentire l’accrescimento dell’intimità e dell’esclusività.

LA PARADOSSALITÀ DELLA COMUNICAZIONE SEDUTTIVA


- Qual è il primo obiettivo del seduttore

1) cambiare status: dall’essere “chiunque” all’essere “qualcuno”

2) esibizione: il seduttore deve farsi notare per farsi scegliere. In questa fase ciascuno dei due partner
cerca di mostrare le proprie qualità e i punti di forza, nascondendo o cercando di mascherare i limiti e i
difetti per rendersi attraenti e diventare oggetto di desiderio nei confronti dell’altro.
Durante il corteggiamento, ogni partner cerca di apparire diverso e migliore di quello che è in realtà.

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➔ Nella seduzione vi sono similitudini con la recitazione teatrale: nel senso che il seduttore è colui
che riesce a camuffare in modo positivo la propria identità
- La seduzione è una strategia dell’apparenza, è uno spazio comunicativo intermedio tra il falso, il finto
e il reale, cioè una combinazione tra finzione e realtà; è un’esibizione paradossale, perché è esplicita
ma non dichiarativa: l’individuo mette in gioco se stesso e non può rischiare un rifiuto netto perché ne
risentirebbe la sua immagine e la sua autostima. L’esibizione quindi non può essere eccessiva.

3) Dopo aver stabilito il contatto tra partner segue la fase di avvicinamento reciproco in cui i partner si
aprono reciprocamente condividendo esperienze di vita.

4) La condivisione delle reciproche esperienze porta ad una riduzione dell’incertezza.

OBLIQUITÀ DELLA COMUNICAZIONE SEDUTTIVA


Considerato che la comunicazione seduttiva è complessa, il dialogo seduttivo si presenta come una
comunicazione obliqua e indiretta.
Il seduttore deve attenersi alla regola di dire abbastanza ma non troppo: è opportuno infatti mantenersi in una
posizione che permetta di manifestare le proprie intenzioni e al contempo di ritrarsi da esse mentre si
osservano le reazioni dei partner. Atteggiamenti troppo diretti non sono appropriati perché lasciano poco
spazio alla negoziazione.
La relazione diventa invece stimolante e intrigante se vengono usati tutti i messaggi obliqui, indiretti, ricchi di
significati velati e sottintesi che lasciano al partner lo spazio per eventuali contromosse.
Una branca della comunicazione seduttiva è la comunicazione intrigante, basata su forme sottili e allusive
che lasciano intendere più di quanto non dicano e che lasciano libertà di continuare il “gioco”.
● La seduzione è quindi un processo di conquista reciproca in cui entrambi i partner giocano la loro
parte e ne sono responsabile.
!! Una strategia molto usata per sedurre è quella della vulnerabilità → il seduttore si pone in una condizione
di difficoltà e di richiesta d’aiuto, adottando un atteggiamento di sottomissione. Questa mossa favorisce
l’avvicinamento, riduce la resistenza che può avere il partner e aumenta il livello di intimità.

MODALITÀ NON VERBALI NELLA COMUNICAZIONE SEDUTTIVA


La comunicazione seduttiva usa anche le modalità non verbali per catturare l’attenzione e sedurre il partner.
I modelli non verbali di segnalazione della seduzione sono:
● il contatto oculare e la dilatazione della pupilla: con il contatto oculare si esprime fiducia, e
interesse; mentre la dilatazione della pupilla è un potente segnale di attrazione. Quanto più si ricambia
lo sguardo e si prolunga il contatto oculare, tanto maggiori sono le probabilità di ridurre la distanza
interpersonale.
● il sorriso “timido”: il sorriso appena accennato è un aspetto ricorrente nella seduzione, soprattutto da
parte delle donne;
● la sincronizzazione dei gesti: l’adozione dello stesso ritmo e la sincronizzazione dei gesti, favorisce
l’interesse e l’intesa reciproca e aumentano la percezione della soddisfazione;
● la voce: viene modulata in modo diverso durante le varie fasi seduttive;
ANOLLI e CICERI hanno individuato differenze di voci tra i:
- seduttori efficaci: hanno una grande capacità di modulazione della voce che all’inizio è
altisonante, socievole, entusiasta, vitale e virile; questa “esibizione vocale” serve a far colpo sul
partner. In seguito la voce diventa tenera e calda, il tono è più basso e meno intensa, per
favorire l’avvicinamento;
- seduttori non efficaci: presentano una voce monotona e uguale, debole e piatta, quasi
monotonica.

Un aspetto centrale della comunicazione seduttiva è la dimostrazione di un’attenzione incondizionata per il


partner facendolo sentire unico e indispensabile: SEDUCE CHI SI MOSTRA SEDOTTO.

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