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Guida all'uso di accenti e apostrofi

nell'italiano
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Quesito:

Gianluca Adami, Antonio Di Tomaso, Linda Ansalone e Alberto Manenti, ponendo quesiti su
singoli casi di parole da accentare o apostrofare, suggeriscono queste indicazioni generali
sull'uso di accento grafico e apostrofo.

Guida all'uso di accenti e apostrofi nell'italiano

L'uso dell'accento grafico in italiano è diventato stabile dal Novecento per i polisillabi tronchi (
città, virtù, longevità). Costante è anche la presenza dell'accento in un numero, in realtà
limitato, di monosillabi composti da due grafemi vocalici: ciò, già, giù, più, può, scià, in cui i ed
u sono solo segni grafici.

Si aggiungano le forme letterarie, e disusate, piè 'piede', diè 'diede' che, come fé, vengono
indicate a volte con l'apostrofo. Tale alternanza tra accenti e apostrofi per alcuni monosillabi è
controversa, ad esempio il DOP (Dizionario di ortografia e di pronunzia) indica come errata la
forma pie', e riconosce soltanto per il troncamento di 'piede' piè e diè per la voce del verbo
'dare'. Per fé ('fece') segnala anche fe e fe' pur rari. Come troncamento di 'fede' si dà solo fé,
da cui deriva la parola composta autodafé, che introduce alla questione dell'accento di
polisillabi composti con un originario monosillabo finale: per quanto detto all'inizio sull'uso
dell'accento coi polisillabi, è chiaro che anche in questi casi, essendo il polisillabo tronco, si
deve usare l'accento grafico (ventitré, rossoblù, nontiscordardimé, Oltrepò).

Si consideri ora l'uso dell'accento (e dell'apostrofo eventualmente) con i monosillabi che si


scrivono con una sola vocale. L'accento si indica solo nei casi in cui occorra disambiguare il
monosillabo per l'esistenza di un omografo; i casi più comuni sono:
ché: accentato solo come forma abbreviata di 'perché' o, più raramente, di 'affinché'; mentre è
sempre che in tutti gli altri usi, anche in quello sostantivato: non è un gran che, ha un certo
non so che; dopo di che vedremo. È diffusa e ammessa la forma con scrizione sintetica
granché;
dà: presente indicativo di 'dare'; da è preposizione. L'imperativo richiederebbe da' ('dai'), ma
questa forma e gli analoghi imperativi fa' ('fai'), sta' ('stai') e va' ('vai') non sono universalmente
accolti sia dall'uso reale sia dai grammatici, pertanto si può scrivere semplicemente da, fa,
sta, va (forme tradizionali affiancate da quelle apostrofate nel fiorentino ottocentesco);
di' o dì imperativo di 'dire'; dì 'giorno', ma per altri (cfr. SERIANNI 1989: I 242) solo di' vale per
l'imperativo di 'dire' (dal latino DIC) distinto in tal modo dalla preposizione di e dal sostantivodì;
è vale per la forma verbale mentree per la congiunzione;
là elì sono gli avverbi mentrela è articolo eli pronome atono;
né è congiunzione (non voglio mangiare né bere);ne pronome o avverbio; ene' vale per la
preposizione articolata maschile pluralenei, ormai antiquata, come gli altri maschili pluralia',
de', co', pe', e gli aggettivibe' eque';
séindica il pronome, che essendo sempre tonico deve essere scritto con l'accento: le pur
diffusissime variantise stesso,se medesimo, contrariamente a una diffusa opinione, non sono
pertanto giustificate;se indica il pronome atono usato talora in luogo disi (se lo mangia
) e la congiunzione;se' è forma disusata per 'sei';
sì è l'avverbio esi il pronome e la nota musicale;
tè indica la bevanda (ed è preferibile athe ethè);te è il pronome; si possono segnalare anche
le forme antiquatete' sia per 'eccoti' sia per 'tieni'.

Un'ultima osservazione sull'apostrofo. I troncamenti di 'piede' e 'fede' si scrivono piè e fé, ma


per 'poco' si ha po' con l'apostrofo, l'unica forma, sia chiaro, codificata e ammessa
dall'ortografia attuale e indicata dalle grammatiche. Solo come curiosità si segnala la proposta
(in LEONE 1969) di estendere a tutti i monosillabi tronchi l'apostrofo, purché sia ancora viva la
coscienza del troncamento, mentre, a parere d'altri, "il partito migliore sarebbe quello di
eliminare addirittura l'apostrofo come segno dell'apocope sillabica, scrivendo semplicemente
po (il quale non può confondersi con Po, che vuole la maiuscola), to e toh, ve o veh, be o beh,
mo e fe" (SERIANNI 1989: I 245).

Per approfondire:

Arrigo Castellani, Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno, "Studi


linguistici italiani", XXI 1995, pp. 3-47;
Alfonso Leone, Norme ortografiche: perché po' ma piè?, "Lingua nostra", XXX 1969, pp.
117-18;
Bruno Migliorini, Carlo Tagliavini, Piero Fiorelli, Dizionario di ortografia e di pronunzia,
ERI-Rai, Roma, 1999;
Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET,
1989 [si indicano il numero di capitolo e di paragrafo].

A cura di Mara Marzullo


Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

15 April 2003
Linguistic variation

Source URL: http://www.accademiadellacrusca.it/en/italian-language/language-consulting/questions-


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