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INTRODUZIONE ALLA GLOTTOLOGIA

Parola coniata nell’800 da Graziadio Isaia Ascoli. Egli può essere definito come l’inculturatore di questa disciplina in Italia, poiché essa è
una disciplina che si sviluppa sostanzialmente in ambiente tedesco nell’800. Già dalla seconda metà dell’800 è una disciplina planetaria,
ma la ricerca dei suoi principi fondamentali si è sviluppata nei primi 75 anni dell’800 sempre in Germania. Non meraviglia quindi che
Ascoli abbia voluto cercare di trasferire almeno concettualmente il contenuto di Sprachwissenschaft. Ascoli volle fare un calco di questa
parola e partendo dall’analisi delle parole Sprache (lingua) e Wissenschaft (scienza), si servì di due parole classicheggianti e colte: glotto
(lingua, or.greca) e logia (scienza, or.greco); ottenne questo composto neoclassico, le cui forme da sole non esistono, ma che in
composizione sono produttive.

CHE COS’È  ?

Studio scientifico del linguaggio e delle lingue, sia con riferimento al loro funzionamento sia con riferimento alla loro evoluzione nel
tempo. Questo avviene in due prospettive: sincroniche e diacroniche.

Prospettiva sincronica dello studio di un oggetto  avviene senza tenere conto del tempo

Prospettiva diacronica dello studio di un oggetto  tenere conto di come evolve e cambia qualcosa nel tempo.

CAP. 1 : LA LINGUISTICA

1.1 LINGUISTICA, LINGUE, LINGUAGGIO, COMUNICAZIONE

La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua, è quindi basato sulla formulazione di ipotesi generali chiare e
controllabili. Deve essere possibile fornire delle prove e delle ipotesi falsificabili, in modo che sia possibile proporre delle verifiche . Essa
si può dividere in due sottocategorie:

o Generale  si occupa di che cosa sono, come sono fatte e come funzionano le lingue
o Storica  si occupa dell’evoluzione delle lingue nel tempo e dei rapporti fra le lingue e fra lingua e cultura

Nella tradizione italiana, spesso si contrappone alla “linguistica generale” la “glottologia”.

Oggetto della linguistica sono le lingue storico-naturali, ossia quelle lingue nate spontaneamente lungo il corso della civiltà umana e
usate dagli esseri umani ora e nel passato.

Tutte le lingua storico-naturali sono espressione di quello che viene chiamato linguaggio verbale umano.

Che cos’è il linguaggio umano?

Il linguaggio umano è una facoltà innata dell’Homo sapiens ed è uno dei sistemi di comunicazione di cui l’uomo è dotato. Fanno parte del
linguaggio umano, senza alcuna distinzione, anche i dialetti.

È un sistema semiotico (basato su segni) che si basa sulla facoltà di associare ordini di diversa entità : contenuto ed espressione.

Es. semaforo rosso: luce e colore sono entità di ordine diverso rispetto al contenuto fermati, ma in questo segno sono associati in
un’entità di ordine mentale (comando fermati) e una di ordine altro (= sensoriale; la luce)

Tutto ciò che percepiamo con i sensi può attivare realtà di carattere mentale, quindi viviamo in universo di segni (della natura e
dell’uomo). È la facoltà di associare un contenuto ad un’espressione fonica (= suoni che possono manifestare quel contenuto)

Esistono diversi sistemi semiotici, alcuni di questi basati su canali fonici. I linguaggi non si differenziano per la funzione (poiché sono
bene o male tutti sistemi di comunicazione), ma si differenziano soprattutto per la struttura e il livello di complessità .

Alla base del linguaggio umano vi è lo scopo di comunicare delle informazioni. Secondo una concezione larga, tutto può comunicare
qualcosa e quindi veicolare un’informazione. È più utile quindi intendere la comunicazione in un senso più ristretto, ossia basato
sull’intenzionalità: si ha comunicazione quando si ha un intento diretto di un emittente di far passare una determinata informazione ad
un riferimento; in caso contrario si parlerà semplicemente di passaggio di informazioni.

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Esistono tre categorie fondamentali di comunicazione:

A: comunicazione in senso stretto

 emittente intenzionale
 ricevente intenzionale

B: Passaggio di informazione

 emittente non intenzionale


 ricevente intenzionale

C: formulazione di inferenze

 nessun emittente (presenza di un oggetto culturale che viene interpretato come volto a fornire un’informazione)
 interpretante (es. case dai tetti spioventi e aguzzi = qui nevica molto)

Da A a B a C l’insieme di conoscenze che permette di interpretare correttamente l’informazione decodificando il valore dei segni diventa
via via meno forte e rigoroso e più debole; e inoltre l’associazione di tale l’informazione che esso veicola diventa sempre più debole e
fraintendibile, poiché affidata solamente all’attività dell’interprete.

1.2 SEGNI E CODICE

La singola entità che fa da supporto alla comunicazione o al passaggio di informazioni è il segno. Esistono diversi tipi di segni e per
capirne la natura, si può ricorrere ad una classificazione, basata sue due criteri fondamentali: intenzionalità e motivazione relativa
( grado di rapporto naturale tra significato e significante):

1. indici: motivati naturalmente/non intenzionali (basati sul rapporto causa- effetto; es. starnuto = avere il raffreddore)

2. segnali: motivati naturalmente/usati intenzionalmente (sbadiglio volontario = sono annoiato)

3. icone: motivati analogicamente/intenzionali (basati sulla similarità di forma o struttura, riproducono proprietà dell’oggetto
designato; es. carte geografiche)

4. simboli: motivati culturalmente/ intenzionali (colore nero = lutto)

5. segni in senso stretto: non motivati (arbitrari) /intenzionali (suono al telefono di una linea occupata)

Dalla categoria (1) alla categoria (5) la motivazione che lega significato e significante diventa via via più convenzionale e aumenta anche
la specificità culturale dei segni in senso lato.

Nella comunicazione in senso stretto c’è dunque un emittente e un ricevente, il quale, affichè sia in grado di decifrare il messaggio deve
essere in possesso di un codice, ossia l’insieme di corrispondenze fissate, per convenzione, fra un qualcosa e un qualcos’altro, che
fornisce le regole di interpretazione dei segni.

1.3 LE PROPRIETÀ DELLA LINGUA

Biplanarità

In un segno esistono due facce compresenti: il significante (chiamato anche espressione, è la parte percebile dai nostri sensi) e il
significato (chiamato anche contenuto, parte non percebile dai sensi e veicolante dell’informazione).

Arbitrarietà
segno
Non esiste alcun legame motivato fra il significante e il significato di un segno. Ciò non vuol dire che tra essi non ci sia un legame, ma che
questo sia convenzionale, e quindi arbitrario. La questione dell’arbitrarietà è molto più complessa. Approfondendo gli studi condotti da
Saussure nel Cours de liguistique général, Hjelmslev ha distinto quattro tipi o livelli di versi di arbitrarietà. per affrontare questo
problema, bisogna considerare la visione che, nel funzionamento dei segni linguistici sono tre e non due le entità in gioco (questo viene
spesso rappresentato mediante un triangolo semiotico)
significato

Referente [=realtà esterna


significante

Ai tre vertici abbiamo: significante, significato e referente. La linea di base del triangolo è tratteggiata, al contrario dei due lati, perché il
rapporto fra significante e referente non è diretto, ma è mediato dal significato.

A questo punto possiamo definire i quattro livelli di arbitrarietà .

1. rapporto arbitrario segno-referente  non c’è alcun legame naturale e concreto, di derivazione dell’uno o dell’altro, fra un elemento
della realtà esterna e il segno a cui esso è eventualmente associato.

2. rapporto arbitrario significato – significante  il significante non ha in sé, al di fuori della convenzione posta dalla lingua, nulla a che
vedere con il significato a cui è associato.

3. rapporto arbitrario forma (= struttura, organizzazione interna) – sostanza del significato (= materia)  ogni lingua ritaglia, nel modo
che le è proprio un certo spazio di significato distinguendo e rendendo pertinenti una o più entità .

4. rapporto arbitrario forma – sostanza del significante: ogni lingua organizza secondo propri criteri la scelta sei suoni pertinenti,
distinguendo in una certa maniera, le entità rilevanti della materia fonica.

Esistono alcune eccezioni per quanto riguarda l’arbitrarietà :

 onomatopea  riproducono o richiamano nel loro significante caratteri fisici di ciò che viene designato. Anche queste
possiedono un certo grado di specificità , che le rende almeno in parte diverse da lingua a lingua. Presentano un carattere più o
meno iconico, per questo sono più icone che segni in senso stretto.
 Ideò foni  cioè espressioni imitative o interiezioni descrittive che designano fenomeni naturali o azioni

È stato per esempio notato che l’aggiunta di materiale linguistico alla forma del singolare è un dispositivo molto diffuso nelle lingue.
Si è notato quindi sostenuto che questo fatto obbedirebbe appunto a un principio di iconismo: l’idea di pluralità , che implica più
cose, più materiale, nella realtà , sarebbe evocata o suggerita o riprodotta nella lingua dal fatto che la forma plurale contenga più
materiale fonico.

 Fonosimbolismo  afferma che certi suoni avrebbero per loro stessa natura associati a sé certi significati.

L’approccio cognitivo e funzionalista nega l’autonomia strutturale interna, basata cioè su principi di organizzazione peculiari e specifici,
dei sistemi linguistici e dipende dalle proprietà della mente umana e delle caratteristiche generali del modo in cui l’uomo percepisce la
realtà .

Doppia articolazione

Il linguaggio umano è dotato di due livelli di organizzazione (doppiamente articolato). Ogni parola è formata da unità dotate di
significato, dette morfemi, (1 articolazione) le quali sono scomponibili in unità più piccole prive di significato, detti fonemi, (2
articolazione) se prese singolarmente; queste possono essere combinabili a formare unità di prima articolazione.

La doppia articolazione dei segni linguistici costituisce una proprietà cardine del linguaggio verbale umano, in quanto consente una
grande economicità di funzionamento: con un numero limitato di un’unità di seconda articolazione, si può costruire un numero
grandissimo di unità dotate di significato.

È di conseguenza molto importante nella strutturazione della lingua il principio di combinatorietà, tale principio permette alla lingua la
produttività illimitata.

Trasponibilità di mezzo

Il significante dei segni linguistici può essere trasmesso o realizzato sotto forma di sequenza di suoni oppure sotto forma di segni. Anche
se i segni linguistici possono essere trasmessi o oralmente o graficamente, il canale fonico-acustico appare primario.

Origini del linguaggio, lingua e scrittura

Linguaggio ≠ lingua
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Per noi è la distinzione è abbastanza facile, poiché si tratta di parole diverse appartenenti a contesti diversi. Sono due unità lessicali, due
concetti e non tutte le lingue differenziano queste parole.

cos’è una lingua? l’unica manifestazione storico naturale del linguaggio umano. Non si osserva la facoltà del linguaggio, ma la
manifestazione di esso, ci sono caratteristiche irrinunciabili che fanno parte di qualsiasi linguae sono esse stesse la facoltà di linguaggio.
La facoltà di linguaggio è universale, ma ne “vediamo” solo la manifestazione.

È una realtà strutturata su più livelli di articolazione che è conosciuta alla perfezione dai parlanti, ma inconsapevolmente (sapere
chiaro-confuso -leibniz-. sapere chiaro → so come si fa; confuso → non so come spiegare). la lingua è una competenza applicativa. Per
sapere come spiegare bisogna passare da una facoltà linguistica ad una facoltà metalinguistica.

metalinguisticità riflessiva → usare il linguaggio per spiegare il linguaggio stesso

ORALE O SCRITTO?

Vantaggi della scrittura → tecnologia (strumento che potenzia una facoltà già propria dell’uomo):

- trasmissibilità del pensiero anche a grandi distanza

- prolungare l’accessibilità della frase nel tempo → di ciò che diciamo resta ben poco, ma attraverso la scrittura il
nostro enunciato rimane nel tempo molto più a lungo

 qualsiasi lingua scritta è secondaria, poiché prima di essere mai stata scritta questa è esistita primariamente nella sua
dimensione orale.
 la scrittura è accessoria, al contrario l’oralità non può non esistere, altrimenti non esisterebbe (eccezione fatta per le
lingue segnate).
 l’apprendimento del linguaggio parlato è naturale → il nostro cervello è ampiamente predisposto all’apprendimento di una
lingua; al contrario l’apprendimento della scrittura non è naturale, poiché necessita di una formalizzazione e di una guida
 lo scritto non è altro che una pallida imitazione del linguaggio orale. Il parlato è spumeggiante, soggetto a cambiamento
storico-culturali. A questo proposito la scrittura è conservativa, poiché impiega anni per aggiornarsi e talora non riesce
nemmeno a farlo.

Vantaggi dell’orale

 purché vi sia presenza di aria, può essere utilizzato in qualsiasi circostanza ambientale e consente la trasmissione anche in
presenza di ostacoli fra emittente e ricevente e a (relativa) distanza
 non ostacola altre attività
 permette la localizzazione della fonte di emittenza
 è più veloce dello scritto
 il messaggio può essere trasmesso a un gruppo di destinatari diversi
 lascia libero il canale ad altri messaggi

C’è una priorità ontogenetica (relativa al singolo individuo) del parlato: ogni individuo umano impara a parlare e solo successivamente a
scrivere. Esiste anche una priorità filogenetica (legata alla specie): la scrittura si è sviluppata molto tempo dopo rispetto al parlato.

Linerità

Gli enunciati prodotti presentano rapporti evidenti e significanti tra elementi che sono a grande distanza tra di loro nella frase. Parlare
significa creare delle relazioni tra le parole a livello mentale e vestirle successivamente di un’emissione fonica. La selezione di un
elemento in un enunciato è spesso imposta da proprietà di un elemento molto distante da esso.

Discretezza

La discretezza serve al funzionamento del linguaggio umano, ma questa è una caratteristica selezionata dalla mente. Non è una proprietà
oggettiva della realtà .

La dimensione astratta del linguaggio è la percezione pertinente alla decodifica del linguaggio.

esempio: vinti → vénti → vènti la seconda vocale di queste parole è oggettivamente diverse. la differenza è che all’atto di
pronunciare la vocale cambia la posizione della lingua, abbassandosi di pochissimo. questo spazio può essere rappresentato
anche come continuum, abbassando progressivamente la lingua su tutto lo spazio occupabile.

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I confini contano ben più di tutto il resto. In italiano posso pronunciare la “a” in modi diversi, ma il significato rimarrà lo stesso. In
tedesco non è così → ogni lingua ha i propri confini

Onnipotenza semantica, plurifunzionalità e riflessività

Onnipotenza semantica  è quella proprietà generale del linguaggio verbale umano secondo cui è possibile dare un'espressione a
qualsiasi contenuto, cioè è possibile formulare e, dunque, tradurre in lingua un messaggio formulato in qualsiasi altro codice.

Poiché risulterebbe difficile provare che con la lingua si possa parlare di tutto, sarebbe più opportuno parlare di plurifunzionalità della
lingua, ossia la possibilità di adempiere a una lista di funzioni molto ampia (esprimere un pensiero, trasmettere informazioni, instaurare
rapporti sociali,..).

Il modello di classificazione di Jakobson permette di identificare sei classi di funzioni, basato su altrettanti fattori. Ogni funzione sarebbe
incentrata su uno dei sei fattori, che costituisce anche il criterio di riconoscimento della funzione:

 se un messaggio è volto ad esprimere sensazioni del parlante  emotiva o espressiva


 se è volto a specificare aspetti del codice o a calibrare il messaggio sul codice  metalinguistica (con la lingua si può parlare
della lingua stessa; a tale proprietà viene dato il nome di riflessività)
 se è volta a fornire informazioni sulla realtà esterna  referenziale
 se è volta a far agire in qualche modo il ricevente  conativa
 se è volta a sottolineare o comunicare il canale di comunicazione e/o contatto fisico-psicologico  fàtica
 se è volto ad esplicitare le potenziali insite nel messaggio e i carattere interni del significato  funzione poetica

produttività e ricorsività

Gli enunciati di qualsiasi lingua sono potenzialmente infiniti (a differenza degli animali che sono finiti. Es Cicale hanno quattro segnali,
non combinabili tra di loro. I linguaggi degli animali sono a referenza fissa → per esempio nella lingua umana un’espressione può avere
dei significati differenti -referenza malleabile-, per gli animali ciò non accade.)

Tutto ciò che è pensabile è anche verbalizzabile.

La produttività è resa possibile in primo luogo dalla doppia articolazione; essa prende più precisamente forma in quella che è chiamata
creatività regolare, ossia una produttività infinita basata su un numero limitato di principi e regole dalla forma semplice e applicabili
ricorsivamente. La ricorsività è la possibilità di creare enunciati sempre nuovi e potenzialmente infiniti coordinando e subordinando.

Questa proprietà di per sé non ha senso. Se si parte da un approccio di tipo funzionalista, il linguaggio non dovrebbe contenere
funzionalità che non servono. la finalità del linguaggio non è solo la comunicazione, ma serve anche per altre funzioni. Ogni parlante può
esprimersi per subordinate e coordinate largamente espandibili, ma nessuno lo fa perché molto dispersivo.

Distanza e libertà semantica

Capacità di disancorare gli enunciati dal tempo in cui vengono prodotti e di fare riferimento in essi a fatti passati, futuri o addirittura a
mondi possibili;

La nozione di distanziamento viene a coincidere con un’altra proprietà del linguaggio, ossia l’essere indipendente dagli stimoli; cioè
permette una elaborazione concettuale della realtà esterna e che inducano necessariamente ad emettere messaggi.

Trasmissibilità culturale

Dal punto di vista antropologico, ogni lingua è tramessa per tradizione all’interno di una società e cultura, come uno dei fatti costitutivi
della cultura.

Tuttavia il linguaggio verbale umano non è solo un fatto unicamente culturale. In esso entrano in gioco due componenti importanti:

 culturale – ambientale, che specifica quale lingua impariamo e parliamo


 innata, che fornisce la “facoltà del linguaggio”, ossia la predisposizione a comunicare mediante una lingua e le strutture
portanti del linguaggio verbale.

Il linguaggio è in tal senso universale, mentre le lingue storico-naturali sono particolari.

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L’interazione fra componente naturale (innata) e componente culturale (appresa), fa sì che abbia un ruolo particolare nel processo di
acquisizione/apprendimento della lingua non solo la prima infanzia ma anche il periodo della cosiddetta pubertà linguistica (se entro i
12 anni non si è stati esposti a nessun tipo di stimolo linguistico, lo sviluppo della lingua è in pratica bloccato; al contrario,
l’apprendimento di una lingua, entro questa fascia di età , risulta molto più rapido che in seguito).

La complessità sintattica

I messaggi linguistici, a differenza dei messaggi in altri codici naturali, possono presentare un altro grado di complessità che è quello
della sintassi. La proprietà di un linguaggio di instaurare rapporti tra gli elementi che lo compongono, prende il nome di complessità
sintattica. Fra gli aspetti che hanno rilevanza nella trama sintattica vi sono:

a. l’ordine degli elementi contigui, le posizioni lineari in cui essi si combinano


b. Le relazioni strutturali e le dipendenze che vigono fra elementi non contigui
In generale, i rapporti gerarchici fra gli elementi che costituiscono una frase rappresentano una “seconda” trama della
strutturazione sintattica, che si sovrappone alla successione lineare ed è indipendente da essa; la capacità degli elementi
costitutivi di una struttura di intrattenere relazioni a distanza è proprietà ignota ad altri sistemi cognitivi
c. Le incassature
d. la ricorsività , che conferisce alle strutture linguistiche un particolare carattere di complessità interna
e. la presenza di parti del messaggio che danno informazioni sulla sua strutturazione sintattica
f. la possibilità di discontinuità nella strutturazione sintattica. Le costruzioni ammesse dalla lingua possono ammettere, o
richiedere, che elementi o parti strettamente unite dal punto di vista semantico e sintattico non siano linearmente
adiacenti (es. verbi separabili in tedesco)

Equivocità

La lingua è un codice tipicamente equivoco, poiché pone numerose corrispondenze fra significanti e significati (es. carica  può voler
dire “mansione, funzione, impiego”, ma anche la quantità di energia, l’assalto,..). l’equivocità è quindi una proprietà che, combinata all’
onnipotenza semantica e alla produttività , è in grado di consentire una certa flessibilità dello strumento linguistico e un’adattabilità a
esprimere contenuti ed esperienze nuove.

Lingua solo umana?

È largamente condivisa l’idea che la facoltà verbale sia specie-specifica dell’uomo e sia maturata come tale, quantitativamente e
qualitativamente, nel corso dell’evoluzione. In particolare solo l’uomo ha:

a. adeguato volume del cervello, quantità delle circonvoluzioni della corteccia cerebrale, quantità e plasticità dei collegamenti
interneuronali → rende possibile la memorizzazione, l’elaborazione e la processazione di un sistema complesso come il
linguaggio;
b. conformazione del canale fonatorio cosiddetta “a due canne”, composta dal cavo orale e la laringe → unitamente alle funzioni
delle corde vocali permette le sottili distinzioni articolatorie e sfumature nella produzione fonica necessarie per la
comunicazione orale.

Gli esperimenti di insegnamento del linguaggio umano ai primati, non hanno avuto alcun riscontro positivo, quanto, come argomentato
da Noam Chomsky, il linguaggio umano risulta essere una capacità innata ed esclusiva della specie umana.

Definizione di lingua

La lingua è un codice che organizza un sistema di segni dal significante primariamente fonico-acustico fondamentalmente arbitrari ad
ogni loro livello e doppiamente articolati, capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile , posseduti come una conoscenza
interiorizzata che permette di produrre infinite frasi a partire da un numero finito di elementi.

1.4 PRINCIPI GENERALI PER L’ANALISI DELLA LINGUA

Sincronia e diacronia

FERDINAND DE SAUSSURE - professore attivo nell’università di Ginevra (primi anni del ‘900), tenne delle lezione sul funzionamento del
linguaggio umano, di cui però non tenne traccia scritta.

1916 - pubblicazione del Cours de linguistique générale (prodotto di appunti degli studenti di questo corso).

Saussure si concentra molto su diverse coppie di concetti, tra cui: sincronia e diacronia.

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Questa riflessione non riguarda il concetto lingua (poiché non esistono lingue diacroniche o sincroniche), bensì la modalità di studiare le
lingue, in relazione all’asse temporale. Le modalità sono essenzialmente due:

 Diacronia, considerazione delle lingue e degli elementi della lingua lungo lo sviluppo del temporale, nella loro evoluzione
storica
 Sincronia, considerazione delle lingue e degli elementi in un dato riferimento temporale, prescindendo dalla loro evoluzione
temporale o dai mutamenti avvenuti.

La distinzione tra considerazione diacronica e sincronica, costituisce uno dei primi metodi per approcciarsi alla lingua. Solo l’astrazione
concessa dalla visuale sincronica permette infatti di vedere come funziona il sistema linguistico e di descrivere le unità linguistiche che
lo compongono. Essa spiega com’è fatta e come funziona la lingua e il sistema linguistico; la linguistica diacronica spiega perché le forme
di una determinata lingua sono fatte così.

Langue e parole

Esiste una distinzione tra sistema astratto e realizzazione concreta. La distinzione si rappresenta in linguistica moderna, secondo tre
terminologie principali: langue-parole; sistema-uso; competenza-esecuzione. Col primo termine (in tutte le opposizioni) si intende
l’insieme di conoscenze mentali, che sono percepite in egual misura come sapere astratto e inconscio. Col secondo termine si intende
invece l’atto linguistico individuale, ossia la realizzazione concreta di un messaggio verbale in una certa lingua.

La Parole necessita l’esistenza di una langue. La coppia langue- parole comprende una triplice opposizione fra “astratto, sociale, stabile e
costante” (la langue) e “concreto, individuale e mutevole” (parole). Alcuni linguisti pongono un’unità intermedia tra la langue e la parole:
la norma, una sorta di filtro che specifica quali sono le possibilità del sistema che vengono attualizzate nell’uso dei parlanti di una lingua
in un certo momento storico. In questi termini sarebbe quindi sociale e concreta, in quanto rappresenta l’insieme delle realizzazioni
condivise dal sistema; non tutte le possibilità di scelta sono in effetti realizzate dalla norma, che compie una scelta all’interno di quanto
reso possibile dalla struttura interna del sistema.

Paradigmatico e sintagmatico

[in Saussure questa distinzione appariva come associativo e sintagmatico].

Ogni attuazione di un elemento del sistema di segni in una certa posizione del messaggio implica una scelta in un paradigma di elementi
selezionabili in quella posizione: l’elemento che compare esclude tutti gli altri che potrebbero comparire in quella posizione, e con i
quali ha rapporti sull’asse paradigmatico; contemporaneamente la scelta di questo elemento implica la considerazione degli elementi
che lo seguono e lo precedono, con i quali ha dei rapporti sintagmatici e con i quali deve coesistere a regole sintagmatiche.

L’organizzazione secondo questi due principi da luogo alla distribuzione degli elementi della lingua, permettendo di riconoscere classi
di elementi che condividono le stesse proprietà distribuzionali in opposizione a quelli che ne hanno distribuzione diversa.

Livelli d’analisi

Esistono nella lingua quattro livelli di analisi, stabiliti in basse alla proprietà della lingua della biplanarità e della doppia articolazione,
che identificano tre strati diversi del segno linguistico:

- Significante inteso come mero significante;


- Significante inteso come portatore di significato
- Significato

Tre livelli sono relativi al piano del significante: uno per la prima articolazione, che consiste nella fonetica e fonologia; due per la prima
articolazione, che riguardano entrambi l’organizzazione del significante in quanto portatore di significato, e che consistono nella
morfologia e nella sintassi. Un ulteriore livello, relativo al solo piano del significato, è quello della semantica.

Esistono sottolivelli secondari di analisi della lingua: grafematica (modi in cui la realtà fonica è tradotta nella scrittura), pragmatica,
testualità (riguardano l’organizzazione di testi in situazione).

Fonetica/fonologia e semantica rappresentano i livelli di analisi più esterni, in quanto sono l’interfaccia del sistema linguistico con la
realtà esterna; morfologia e sintassi rappresentano i livelli più interni, in cui il sistema si organizza secondo i principi che governano la
facoltà di linguaggio.

CAP.2 : FONETICA E FONOLOGIA

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2.1 LA FONETICA

La parte della linguistica che tratta la componente fisica, materiale della comunicazione verbale è la fonetica. Essa si suddivide in tre
campi principali:

- Fonetica articolatoria → studia i suoni del linguaggio in base al modo in cui vengono articolati;
- Fonetica acustica → studia i suoi del linguaggio in base alla loro consistenza fisica e modalità di trasmissione
- Fonetica uditiva → studia i suoni del linguaggio in base al modo in cui vengono ricevuti dall’apparato uditivo umano
e decodificati dal cervello.

L’apparato fonatorio è costituito da:


- polmoni e bronchi → funzione di riempirsi d’aria e grazie all’azione del diaframma di contrarsi di mandarla fuori
- trachea
- laringe
- faringe
- dotto orale
- cavo orale (ugola, lingua, velo palatale, palato duro, alveoli, denti, labbra)
- cavità nasali
Tra la laringe e le cavità nasali avviene la creazione dei suoni.

Il primo possibile ostacolo che l’aria incontra lo trova nella laringe, ossia le pliche vocali. L’aria prosegue nella faringe, dove è possibile
avere delle ostruzioni (di fatto la laringe si può schiacciare), entra nel dotto orale e a questo punto può uscire dalla bocca, dal naso (o da
entrambi). Prima di uscire però , il flusso dell’aria può essere modificato (in pressione e velocità ) da diversi organi, quali:

- lingua → organo più mobile e che dà il maggior contributo alla produzione di suoni. Si distingue a sua volta in:

- radice (parte posteriore)

- dorso (parte mediana)

- apice (punta)

Nel muoversi la lingua può chiudere completamente il cavo orale, appoggiandosi a più punti tra quelli che può raggiungere → ugola,
palato molle (o velo palatino), palato duro, alveoli (piccoli rigonfiamenti che ospitano i denti superiori), i denti, le labbra.

è importante anche l’azione svolta dalle cavità nasali. L’aria può passare dalle cavità nasali solo se ugola e palato molle sono abbassati, se
invece retrocedono chiudono questo passaggio all’aria. Per la stragrande maggioranza dei suoni che noi produciamo, il palato molle
retrocede impedendo così il passaggio dell’aria nelle cavità nasali.

Che cosa succede?


1) l’aria esce dai polmoni e passa attraverso la trachea, la laringe, la bocca e il naso (meccanismo egressivo)
2) dalla laringe alla bocca, può essere costretta a passare per spazi di forma e ampiezza diversa che portano alla produzione di
onde sonore diverse
3) il primo ostacolo che l’aria può eventualmente incontrare si trova nella laringe ed è la glottide (anello cartilagineo) che
contiene due membrane coperte da mucose (pliche/corde vocali), che possono assumere due posizioni: ripiegate sulle pareti
dell’anello oppure distese e chiudere lo spazio nell’anello e chiudere il passaggio all’aria. Le corde vocali sono governate da
muscoli connessi alle cartilagini.
Le corde vocali possono chiudere il dotto laringeo al passaggio dell’aria, ma la pressione dell’aria può riaprirle; l’azione di queste due
forze contrastanti produce una vibrazione (meccanismo laringeo) che a sua volta da luogo alla voce o sonorità , si distinguono a questo
punto due categorie di suoni:

- quelli in cui le corde vibrano → suoni sonori

- quelli in cui le corde non vibrano → suoni sordi

- Se l’aria, nell’uscire dal dotto tracheale, incontra delle forme di ostruzione significative che modificano velocità e pressione, si
avranno le consonanti (2.1.2)
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- Se l’aria, nell’uscire dal dotto tracheale, non incontra delle forme di ostruzione significative che modificano velocità e pressione,
si avranno le vocali (2.1.3)

CONSONANTI

Modo di articolazione

Si distinguono due grandi classi di consonanti: occlusive e fricative, così chiamate perché l’avvicinamento degli organi articolatori
provoca un rumore di frizione. È possibile poi distinguere dalle fricative le “approssimanti”, in cui il movimento articolatorio non arriva
a provocare una frizione o un fruscio così significativo come nel caso delle vere fricative. Sono approssimanti le semivocali o le
semiconsonanti.

Esistono suoni consonantici che la cui articolazione inizia come un’occlusiva e termina come una fricatica → affricate.

Nel modo di articolazione intervengono, oltre al grado di ostruzione del canale, altri fattori come movimenti o atteggiamenti della lingua
o la partecipazione della cavità nasale alla produzione del suono. Si producono così consonanti laterali, quando l’aria passa solo ai due
lati della lingua; vibranti, quando si hanno rapidi contatti intermittenti tra lingua e altri organi articolatori; nasali, quando vi è
passaggio dell’aria anche attraverso la cavità nasale.

Le consonanti possono poi essere caratterizzate in base all’energia articolatoria oppure alla presenza di aspirazione (le consonanti così
prodotte vengono dette aspirate).

Luogo (o punto) di articolazione

Le consonanti vengono classificate anche in base al punto dell’apparato fonatorio in cui sono articolate.

CLASSIFICAZIONE DELLE CONSONANTI ITALIANE: OCCLUSIVE

Luogo di occlusione sorda/sonora

bilabiale - le labbra si chiudono [p]/[b]

dentale - la lingua si appoggia sui denti [t]/[d]

velare - la lingua si alza, arretra e si appoggia al velo [k]/[g]


palatino, chiudendo temporaneamente

CLASSIFICAZIONE DELLE CONSONANTI ITALIANE: fricative

luogo dell’occlusione sorda/sonora

labiodentali - gli incisivi superiori si appoggiano al labbro [f]/[v]


inferiore, generano un’ostruzione ma lasciano passare un
po’ d’aria

alveolari - la punta della lingua si avvicina agli alveoli [s]/[z]


(rimanendo arcuata), lasciando una piccola fessura

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alveopalatali - la punta della lingua si avvicina agli alveoli [∫]/ [ჳ] (solo in prestito)
e il dorso si avvicina al palato duro, creando un canale più
lungo. L’ostruzione avviene sia a livello degli alveoli che del
palato

CLASSIFICAZIONE DELLE CONSONANTI ITALIANE: affricate

luogo di occlusione sordo/ sonoro

Alveolare- la punta della lingua tocca gli alveoli, [ts] / [dz]


generando una piccola occlusione ma si sposta
rapidissimamente per lasciare un piccolo spazio.

Alveopalatale - la lingua si appoggia ai denti e al palato [t∫ / [dჳ ]


duro, dopo aver generato l’occlusione si stacca
leggermente facendo passa un po’ d’aria.

CLASSIFICAZIONE DELLE CONSONANTI ITALIANE: nasali

luogo di occlusione sonoro

bilabiale - rilascio dell’aria dal nasale con ostruzione delle [m]


labbra

alveolare - lingua appoggiata agli alveoli e rilascio dell’aria [n] - anta


dal naso

velare - la lingua arretra, si appoggia al velo palatino. [ƞ]- anca


Ostruzione totale e aria esce solo dal naso

labiodentale - labbro superiore tocca l’arcata superiore [ɱ] - tanfo


dei denti

palatale - l’ostruzione avviene sul palato duro [ɲ] - gnomo

CLASSIFICAZIONE DELLE CONSONANTI ITALIANE: laterali e vibranti

luogo di articolazione sonora

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alveolare - la lingua si appoggia agli alveoli [l] - luce

Palatale - la lingua si appoggia al palato duro, e lascia i [ʎ] - aglio


lembi rilassati e abbassati

Vibrante alveolare - la lingua si appoggia agli alveoli e


compie cicli di vibrazione [r]

CLASSIFICAZIONE DELLE CONSONANTI ITALIANE: approssimanti

luogo di occlusione sonora

Palatale - la lingua supera di poco lo spazio vocale della i [j] - ieri

Velare - la lingua è poco più superiore allo spazio vocalico [w] - uomo
della u e si ha un arrotondamento delle labbra

NB: si trovano sempre e solo davanti a una vocale

Oltre a quelle descritte esistono anche le consonanti:

- velari → prodotte dalla lingua contro o vicino al velo;


- uvulari → prodotto dalla lingua contro o vicina all’ugola
- faringali → prodotte fra la base della radice della lingua e la parte posteriore della faringe;
- glottidali → prodotte direttamente nella glottide, a livello delle corde vocali;
- retroflesse → articolate flettendo la punta della lingua verso la parte anteriore del palato.

VOCALI

Per classificare i suoni vocalici bisogna prima far riferimento a tre parametri: la posizione della lingua al momento dell’articolazione;
spostamento della lingua verso l’alto; posizione delle labbra.

In base alla posizione della lingua al momento articolatorio:

- anteriori → se vengono articolate con la lingua in posizione avanzata


- posteriori → se vengono articolate con la lingua in posizione arretrata
- centrali

In base allo spostamento della lingua verso l’alto:

- alte
- medie (medio-alte e medio-basse)
- basse

[le posizioni in cui vengono articolate le vocali sono rappresentate da uno schema detto trapezio vocalico].

→ piano sperimentale dello spazio entro cui si muove la lingua per produrre una vocale.
Se la lingua supera, idealmente, lo spazio delimitato da questo trapezio si pronuncerà
una consonante, altrimenti si produrrà un suono vocalico

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Posizione delle labbra: arrotondate (o, u) o non arrotondate (a, e, i)

Anche i suoni vocalici possono essere nasali, se vi è un passaggio d’aria nelle cavità nasali.

APPROSSIMANTI → suoni con modo di articolazione intermedio fra vocali e consonanti fricative, prodotte con un semplice inizio di
restringimento del canale orale. Fra le approssimanti vi suoni molto vicini alle vocali (semivocali); a differenza delle vocali, queste non
possono costituire apice di sillaba e costituiscono sempre un dittongo o trittongo insieme alla vocale contigua [es. ieri → je.ri]

TRASCRIZIONE FONETICA → alfabeto creato apposta per rappresentare i suoni che insegue un principio di massima biunivocità (ogni
segno è rappresentato da un solo suono e viceversa). Questo principio di biunivocità nei sistemi di scrittura nel mondo è rarissimo, forse
l’unico ad avvicinarsi in Europa è l’alfabeto ceco. Ha lo scopo di rappresentare per iscritto tutti i suoni delle lingue umane; può essere
applicato a diversi livelli di approssimazione (trascrizione strettissima in cui si annota ogni minima variazione oppure trascurare alcuni
dettagli).

Le trascrizioni foniche rappresentano i foni e si pongono tra [ ], quelle fonologiche tra //

2.2 FONOLOGIA

Foni, fonemi e allofoni

Fono = realizzazione concreta di qualsiasi suono del linguaggio

Nella gamma di foni materialmente producibili, le diverse lingue ne rendono pertinenti un certo numero assegnando loro valore
distintivo: quando i foni hanno valore distintivo, cioè si oppongono sistematicamente ad altri, allora fungono da fonemi. Questi sono le
unità minime in fonologia (studia l’organizzazione e il funzionamento dei suoni nel sistema linguistico).

[mentre la trascrizione fonetica cerca di riprodurre tutti i caratteri della pronuncia, anche nel dettaglio, la trascrizione fonematica si
occupa solo di quelli distintivi.]

Ogni fonema viene identificato per opposizione, mediante un processo che consiste nel confrontare un’unità in cui compaia il fono di cui
vogliamo dimostrare se è o no fonema con altre unità della lingua, che siano uguali in tutto tranne che nella posizione in cui sta il fono in
oggetto → prova di commutazione.

NB: vocali e consonanti non sono mai in opposizione, ma vocali si oppongono a vocali e consonanti si oppongono a consonanti.

Fonema = unità minima di seconda articolazione del sistema linguistico; più precisamente è una classe astratta di foni dotata di valore
distintivo, cioè tale da opporre una parola ad un’altra in una data lingua. Foni diversi che costituiscano realizzazioni foneticamente
diverse di uno stesso fonema, ma prive di valore distintivo, sono detti allofoni di un fonema. Un fonema che abbia diversi allofoni si
distingue con il più frequente e normale degli allofoni. Gli allofoni che siano condizionati dal contesto fonotattico si dicono varianti
combinatorie.

Una coppia di parole che siano uguali in tutto tranne che per la presenza di un fonema al posto di un altro in una certa posizione forma
una coppia minima, questa identifica sempre due fonemi.

Fonemi e tratti distintivi

Due fonemi sono differenziati da almeno un tratto fenetico pertinente binario. Partendo da queste considerazioni, è stata sviluppata in
fonologia la teoria dei tratti distintivi, che consente di rappresentare economicamente tutti i fonemi come un fascio di alcuni tratti
distintivi con un determinato valore + o – grazie anche all’utilizzazione di proprietà acustiche anziché soltanto articolatorie che
permettono un trattamento più soddisfacente in termini di binarietà .

TRATTI DISTINTIVI IMPORTANTI

- coronali → foni prodotti con la corona (parte anteriore della lingua, apice e lamina) sollevata rispetto alla posizione di riposo;
- sonoranti → foni che possono costituire nucleo di sillaba

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- ATR → contraddistingue i foni prodotti con la radice della lingua spostata in avanti.

I tratti permettono anche di rappresentare economicamente, attraverso “regole”, fenomeni fonologici che avvengono di frequente nelle
lingue, per esempio le “assimilazioni” (due foni che vengano a trovarsi in posizione contigua tendono facilmente ad assumere l’uno
qualche tratto dell’altro, diventando più simili).

I fonemi dell’italiano

Non tutte le lingue hanno gli stessi fonemi. Gli inventari fonematici delle diverse lingue del mondo sono costituiti generalmente da
alcune decine di fonemi.

L’italiano standard ha 30 fonemi. Per trascrivere foneticamente occorre basarsi sul modo in cui una parola è pronunciata, e non solo su
come essa è scritta; quindi sulla fonia e non sulla grafia.

Vi sono dei problemi che riguardano la fonologia dell’italiano:

1) Statuto delle consonanti lunghe → le affricate dentali, la fricativa palatale, e la nasale e la laterale palata, sono in italiano
standard sempre lunghe se si trovano fra due vocali:
es. pesce → pe.’ʃ:e
2) Ci sono nella pronuncia dell’italiano molte differenze regionali
3) Differenza di apertura, molto evidente nella varietà tosco-romana di italiano
4) La consonante nasale ha nello standard realizzazione (dorso)velare solo davanti a velare, ma nell’italiano del Settentrione
tende ad essere realizzata velare ogni nasale che si trovi in fine di sillaba
5) Raddoppiamento (fono)sintattico → allungamento della consonante iniziale di una parola quando questa viene preceduta da
una delle parole di serie che appunto provoca il fenomeno ( si tratta di tutte le parole con l’accento sull’ultima sillaba, molti
monosillabi e di alcuni bisillabi). In certi casi il fenomeno è arrivato ad essere rappresentato anche nell’ortografia.

Sillabe e fatti fonotattici

Un ruolo importante nella strutturazione della catena parlata è svolto dalle proprietà fonotattiche dei foni e dalle combinazioni
contestuali in cui i singoli foni possono occorrere. Il contesto precedente o seguente può condizionare in modo decisivo la possibilità di
comparsa di un fono in una certa posizione o determinare modificazioni di vario genere nella sua realizzazione.

Un ruolo importante nella costituzione delle parole è svolto dalle sillabe, costruita sempre attorno ad una vocale che costituisce quindi
il picco sonoro (nucleo) della sillaba.

La struttura fonica della parola è comunque data da un’alternanza continua tra foni più tesi e “chiusi”, con minore sonorità (le
consonanti) e foni più rilassati e “aperti”, con maggiore sonorità (le vocali). La parte che in una sillaba precede la vocale è detta attacco,
la vocale stessa è il nucleo, mentre la parte che eventualmente segue la vocale è detta coda. Le sillabe con coda, che finiscono quindi con
una consonante o semivocale, si chiamano chiuse; le sillabe che non hanno una coda sono dette aperte. Nucleo + coda costituiscono la
rima, questa determina il peso di una sillaba: è detta pesante una sillaba che abbia una coda o che abbia per nucleo una vocale lunga;
negli altri casi le sillabe sono dette leggere.

Combinazione interessante di fonemi è il dittongo → approssimante + vocale, dove la vocale costituisce sempre l’apice sillabico. Si
possono anche dare altre combinazioni di due semivocali e una vocale (trittongo).

2.3 FATTI PROSODICI (O SOPRASEGMENTALI)

Vi è una serie di fenomeni fonetici e fonologici rilevanti che riguardano non i singoli segmenti, bensì la catena parlata nella sua
successione → tratti soprasegmentali, perché agiscono al di sopra del singolo elemento minimo, o prosodici, perché concernono nel
complesso l’aspetto melodico della catena parlata e ne determinano l’andamento ritmico.

 ACCENTO

Particolare forza è intensità di pronuncia di una sillaba relativamente ad altre sillabe, che fa si che tendenzialmente in ogni parola
plurisillabica, o in un gruppo di parole prodotto con un’unica emissione di voce, una sillaba presenti, rispetto alle altre, una prominenza
fonica.

Accento prosodico ≠ accento grafico → circonflesso; indica la vocale i risultante dalla fusione di due suoni (principî < principio).

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La posizione dell’accento può essere libera o fissa; a volte questa ha valore fonematico, ossia ha valore distintivo oppositivo. In italiano
l’accento è tipicamente libero e può trovarsi sull’ultima sillaba, sulla penultima, sulla terzultima e raramente sulla quartultima. La
posizione dell’accento può determinare anche parole diverse a seconda della sua posizione:

es. [‘ka:.pi.ta.no] ≠ [ka.pi’ta:.no]

3 prs pl. Capitare nome

L’accento è anche un elemento centrale nella strutturazione prosodica dell’enunciato. La successione della catena parlata di sillabe atone
e sillabe toniche dà luogo al ritmo. Ogni lingua ha un ritmo particolare: l’italiano è una lingua fondamentalmente a isocronismo
sillabico (ad ogni parola viene assegnato durata analoga alle sillabe atone.

Dal punto di vista fonologico viene riconosciuta come unità ritmica di base il piede, ossia l’associazione di una sillaba forte e una debole.
A seconda dell’ordine in cui i due componenti del piede si pongono si hanno due tipi fondamentali di ritmi:

- Trocaico → sillaba forte precede sillaba debole


- Giambico → sillaba debole precede sillaba forte.

 TONO E INTONAZIONE

I fenomeni di tonalità e intonazione riguardano l’altezza musicale con cui le sillabe sono pronunciate e la curva melodica a cui la loro
successione dà luogo. “Tono” è precisamente l’altezza relativa di pronuncia di una sillaba. In molte lingue, il tono può avere valore
distintivo pertinente a livello di parola, cioè può distinguere da solo parole diverse, anche se paiono foneticamente uguali (lingue
tonali).

L’intonazione è l’andamento melodico con cui è pronunciato un gruppo tonale o un gruppo ritmico o un intero enunciato.
L’intonazione è in sostanza una sequenza di toni che conferisce all’emissione fonica nel suo complesso una certa curva melodica. In
italiano, il valore interrogativo di un enunciato è associato ad un’intonazione ascendente; un’intonazione costante è tipica degli
enunciati; un’intonazione discendente ha valore esclamativo.

 LUNGHEZZA

La lunghezza riguarda l’estensione temporale relativa con cui i foni e le sillabe sono prodotti. Brevità e lunghezza sono concetti molto
relativi, bisognerebbe dunque più precisamente parlare di foni più o meno lunghi. La quantità delle vocali e delle consonanti può avere
valore distintivo: in italiano la lunghezza delle consonanti non ha funzione distintiva, a meno che non supponiamo che le consonanti che
nella grafia possono essere sia semplici che doppie realizzino appunto un’opposizione di durata; per le vocali, in italiano, la durata non è
pertinente.

Nella fonetica sperimentale su base acustica, appositi apparecchi e programmi di analisi del suono consentono di fornire
rappresentazioni in termini di tracciati dei caratteri fisici della catena parlata prodotta. I diagrammi ottenuti dalla scomposizione del
segnale nelle proprietà ed elementi che lo formano sono detti “spettrogrammi”.

CAP.3 : MORFOLOGIA

3.1 PAROLE E MORFEMI

Morfologia = branca della linguistica che si occupa dello studio della struttura di una parola.

Parola = minima combinazione di elementi minori dotati di significato, i morfemi, costruita spesso attorno ad una base lessicale che
possa rappresentare da sola un segno linguistico compiuto o possa comparire come unità separabile costitutiva di un messaggio.
Esistono dei criteri che permettono un’individuazione più precisa, come:

- Rigidità dei morfemi all’interno della parola


- I confini di parola sono punti di pausa potenziale in un discorso
- La parola è di solito separata/separabile nella scrittura
- Foneticamente la pronuncia di una parola non è interna ed è caratterizzata da un unico accento primario

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Se proviamo a scomporre le parole in unità più piccole → morfemi, unità di prima articolazione dotate di significato isolabile. Per far si
che venga riconosciuto come morfema, questo deve ricomparire come isolabile con lo stesso significato in tutte le parole che lo
contengono.

Il morfema è l’unità permanente a livello di sistema; il morfo è un morfema inteso come forma, dal punto di vista del significante, prima
e indipendentemente dalla sua analisi funzionale e strutturale.

L’allomorfo è la variante formale do in morfema, che realizza lo stesso significato di un altro morfo equifunzionale con cui è in
distribuzione complementare; è ciascuna delle forme diverse in cui si può presentare uno stesso morfema. Il criterio in base a cui
possiamo dire che si tratti dello stesso morfema è che l’elemento individuato abbia sempre lo stesso significato e si trovi nella medesima
posizione nella struttura della parola. Le cause dei fonemi di allomorfia sono solitamente da cercare nella diacronia, vale a dire da
riportare a trasformazioni avvenute nella forma delle parole e dei morfemi, spesso per ragioni fonetiche, lungo l’asse del tempo. Perché
si possa parlare di allomorfia occorre che ci sia una certa affinità tra i diversi morfi che realizzano lo stesso morfema. Tale vicinanza è
normalmente dovuta alla stessa origine.

Esistono anche casi in cui un morfema lessicale, in certe parole, viene sostituito da un morfema totalmente diverso ma con lo stresso
significato (es. acqua e idrico). → questo fenomeno prende il nome di suppletivismo. Rientrano nel suppletivismo anche i casi in cui
l’origine della parola è in diacronia la stessa, ma per stratificazione storica si hanno due morfi diversi, l’uno che mantiene la forma
originaria e l’altra che ha subito le modificazioni dello sviluppo fonetico.

TIPI DI MORFEMI

Esistono differenti tipi di morfemi e possono essere individuati sulla base della loro funzione oppure sulla base della loro posizione.

Nella classificazione funzionale si distinguono morfemi:

 Lessicali → stanno nel lessico e costituiscono una classe aperta


 Grammaticali → stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa.
o Derivazionali
o Flessionali

Tuttavia la distinzione tra funzionale e lessicale non è sempre così netta: in italiano esistono parole funzionali (pronomi, preposizioni,
articoli, …) che formano delle classi grammaticali chiuse, ma che difficilmente si possono definire classi grammaticali a pieno titolo
(alcuni degli elementi di questi elementi possono essere scomponibili in ulteriori morfemi, es. un-o).

Una distinzione che si fa nell’ambito dei morfemi è quella tra liberi (morfemi lessicali) e legati (morfemi grammaticali). Tuttavia
questa distinzione non è propriamente corretta in italiano, in quanto spesse volte le radici dei morfemi legati sono per lo più morfemi
legati. Nel caso degli affissi, invece, sono sempre morfemi legati.

La derivazione, che da luogo a parole regolandone i processi di formazione, e la flessione, che dà luogo a forme di una parola
regolandone il modo in cui si attualizzano nelle frasi costituiscono i due grandi ambiti della morfologia.

La derivazione agisce prima della flessione: prima costruiamo parole a cui poi applichiamo le dovute flessioni. Mentre la derivazione non
è obbligatoria, la flessione lo è e si applica a qualunque base lessicale ad essa soggetta.

TIPI POSIZIONALI DI MORFEMI

I morfemi grammaticali si suddividono in classi diverse a seconda della collocazione che assumono rispetto al morfema lessicale o
radice (=testa). Quando sono considerati dal loro punto di vista posizionale, vengono generalmente chiamati affissi, ossia ogni morfema
che si combina con una radice. Nello specifico si parla di:

- Prefissi se precedono la testa (in italiano sono solitamente derivazionali)


- Suffissi se seguono la testa. I suffissi con valore flessionale si chiamano desinenze.
- Infissi se sono inseriti dentro la radice
- Circonfissi se sono formati da due parti, una che precede e l’altra che segue la testa
- Transfissi sono incastrati alternativamente nella radice, dando quindi luogo ad una discontinuità sia dell’affisso che della
radice.

ALTRI TIPI DI MORFEMI

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- sostitutivi, perché si manifestano con la sostituzione di un fono con un altro. Tali morfemi costituiscono in mutamenti fonici della
radice e quindi sono praticamente da essa inseparabili (es. foot – feet).

- morfema zero/morfo zero, una distinzione marcata nella grammatica di una lingua non viene rappresentata in alcun modo nel
significante.

- morfemi soprasegmentali, un determinato valore morfologico si manifesta attraverso la posizione dell’accento.

Certi valori morfologici in certe lingue vengono affidati a processi, non riconducibili a specifici morfemi soprasegmentali, come ad
esempio la reduplicazione (ripetizione di della radice lessicale o di una sua parte).

- morfemi cumulativi, morfemi grammaticali che creano più di un significato o valore.


↪ amalgama, caso speciale dei morfemi cumulativi; morfema dato dalla fusione di due morfemi che non sono più distinguibili
(es. preposizione articolata francese au

Per superare i problemi legati all’allomorfia, è stata introdotta una nuova entità : morfoma, priva di forma fonologica concreta e con un
significato esclusivamente morfologico.

3.3 DERIVAZIONE E FORMAZIONE DELLE PAROLE

I morfemi derivazionali mutano il significato della base a cui si applicano, aggiungendo nuove informazioni rilevanti. La derivazione
permette di formare un numero teoricamente illimitato di parole; in ogni lingua esiste una lista finita di moduli di derivazione che danno
luogo a famiglie di parole.

Nella grande maggioranza delle forme verbali e deverbali si pone in italiano il problema della vocale tematica, alla quale non
corrisponde un reale significato che modifichi la base (per questo motivo viene chiamata morfo vuoto).

I morfemi che sono allo stesso tempo lessicali e derivazionali, radici e prefissi prefissoidi. Esistono anche suffissoidi, cioè morfemi con
significato lessicale, come le radici, ma che si comportano come suffissi nella formazione delle parole.

Quando le parole sono formate da due radici che, anche se prese singolarmente continuerebbero ad avere significato autonomo, queste
sono dette composte.

PAROLE COMPOSTE ≠ UNITÀ PLURILESSEMATICHE

Le unità plurilessematiche sono costituite da sintagmi fissi che rappresentano un’unica entità di significati, non corrispondente alla
semplice somma dei significati delle parole che le compongono (spesso si tratta di frasi idiomatiche, proprie solo dei parlanti nativi).

Esiste un’entità intermedia tra le parole composte e le unità plurilessematiche: unità lessicali bimembri, ossia parole in cui il grado di
fusione non ha raggiunto quello delle parole composte (di fatto si scrivono staccate), es. scuola guida

Altri tipi di formazione delle parole sono possibili:

- sigle > formate dalle iniziali delle parole e pronunciate come una parola autonoma; quando la sequenza delle iniziali che
formano la sigla è compatibile con la struttura fonologica della parola in italiano, diventa essa stessa una parola autonoma (es.
NATO, North Atlantic Treaty Organization)
- parole macedonia > unione con accorciamento di due parole distinte (es. cantautore < cantante + autore)
- suffissazione
- prefissazione, che a differenza di molte lingue non cambia la categoria grammaticale di appartenenza della parola
- alterazione > con l’aggiunta di questi affissi si creano parole che aggiungono al significato della base un valore valutativi che
può essere diminutivo, accrescitivo, peggiorativo. Le parole derivate possono essere descritte tenendo conto a) processo di
derivazione, b) classe lessicale della base da cui derivano (direttamente), c) classe lessicale a cui appartiene la parola derivata.
- Conversione > presenza di coppie di parole, dove non sia possibile stabilire quale sia la parola primitiva e quale quella
derivata (es. fiorire – sfiorire). Tuttavia, quando la coppia è formata da un verbo e un nome, è da presumere che il nome derivi
dal verbo; quando invece si ha una coppia aggettivo-verbo, si può intendere che il verbo derivi dall’aggettivo, in quanto
indicare l’azione di far assumere quella caratteristica.

3.4 FLESSIONE E CATEGORIE GRAMMATICALI

I morfemi flessionali non modificano il significato della radice lessicale su cui operano: la attualizzano nel contesto di enunciazione,
specificandone la concretizzazione in quel particolare contesto. I morfemi flessionali

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 intervengono solo nelle parole che possono assumere tali specificazioni;
 realizzano valori delle categorie grammaticali, è la marca di una determinata categoria

Fra le categorie grammaticali ci sono quelle propriamente funzionali che riguardano il livello dei morfemi stessi ; si distinguono due
grandi classi:

 quelle che operano sui nominali (sostantivi, aggettivi, nomi,…)


o genere (maschile/femminile),
o numero (singolare/plurale);
o caso (ha la funzione di mettere in relazione la forma della parola con la sua funzione sintattica)
o reggenza (processo attraverso il quale un verbo assegna il caso al suo complemento/preposizioni)
o grado (riferito ad aggettivi; comparativo, superlativo)
o definitezza e possesso
 quelle che operano sui verbi
o modo > esprime la modalità nel quale il parlante si pone nei confronti di quanto viene detto
o tempo
o aspetto > maniera in cui vengono osservati gli eventi (perfettivo, se l’azione è vista come compiuta; imperfettivo, se
l’azione viene vista come da svolgere)
o l’azionalità > modo oggettivo in cui si svolge nello sviluppo temporale l’azione
o diatesi > esprime il rapporto in cui viene rappresentata l’azione rispetto ai partecipanti (attivo o passivo)
o persona > indica chi compie l’azione; la marcatura di persona in genere implica anche una marcatura di numero

Categorie grammaticali a livello di parola, che classificano le parole raggruppandole in classi a seconda della natura del loro significato,
del loro comportamento nel discorso e delle loro caratteristiche flessionali e funzionali, sono le parti del discorso. Sono nove: nome,
verbo, aggettivo, preposizione, pronome, avverbio, articolo, congiunzione, interazione, ( + ideofoni). Esistono parole di cui non è
possibile dire con certezza quale sia la loro classe di appartenenza.

L’assegnazione di una parola ad una determinata classe avviene in base a 3 criteri fondamentali:

1) semantico
2) morfologico
3) sintattico

l’insieme di questi criteri consente di stabilire l’appartenenza di ogni parola a una determinata classe; ma esistono eccezioni che danno
luogo a casi di confine → es. partitivi: le preposizioni articolate del, degli, … , possono essere utilizzate sia come preposizioni, che come
articoli partitivi indicanti una quantità indefinita.

Le categorie grammaticali viste finora sono dette paradigmatiche, esistono però categorie grammaticali che agiscono sull’asse
sintagmatico → funzioni sintattiche, nozioni tradizionalmente definite dall’analisi logica (soggetto, predicato, oggetto, complemento, ).

La distinzione tra paradigmatico e sintagmatico serve anche a distinguere due diversi tipi di morfologia flessionale:

 inerente → riguarda la marcatura a cui viene assoggettata una parola in isolamento


 contestuale → dipende dal contesto: specifica una forma e seleziona i relativi morfemi flessionali in relazione al contesto
sintattico in cui una parola viene usata; marca quindi rapporti di natura sintattica.
Un meccanismo che opera in molte lingue è quello dell’accordo (tutti – o quasi- gli elementi di una frase soggetti a flessione
prendono le marche delle categorie flessionali dalle quali è marcato l’elemento a cui si riferiscono o dipendono)
↪ accordo (fra gli elementi del sintagma) ≠ concordanza (accordo delle forme verbali con elementi nominali)

CAP. 4: SINTASSI

↪ si occupa del livello delle frasi, come si combinano fra loro le parole e come sono organizzate in frasi → unità di misura della sintassi.
Una frase è identificata dal contenere una predicazione, ossia un’informazione che viene attribuita a un’entità . Solitamente la
predicazione è affidata ai verbi, tuttavia esistono anche delle frasi senza verbo (frasi nominali).

Le frasi non si combinano per semplice giustapposizione, ma seguendo rapporti e leggi strutturali; possono essere più o meno
complesse. Un costrutto dalla composizione ampia e complessa prende il nome di proposizione.

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Anche l’analisi della frase è basata sulla scomposizione. A livello elementare è molto usato un tipo di analisi che rappresenta le
concatenazioni → costituenti immediati: individua diversi sottolivelli di analisi, e i costituenti che si isolano a ciascun sottolivello
“costituiscono immediatamente” il sottolivello di analisi superiore.

Il metodo di rappresentazione più utilizzato → alberi etichettati, che permettono di vedere visivamente i rapporti sintattici che si
instaurano tra i diversi costituenti della frase.

La distribuzione, ossia l’insieme dei contesti in cui gli elementi possono comparire nelle frasi, è un criterio per distinguere diverse classi
di elementi rilevanti per la sintassi. I determinanti sono quindi tutti gli elementi che occorrono davanti ad un nome e svolgono la
funzione di determinare il referente da esso indicato.

Ogni frase è rappresentabile con un indicatore sintagmatico che e ne fornisce la struttura in costituenti, e può in alcuni casi,
disambiguare quelle frasi o costrutti che all’apparenza sembravano identici, ma che hanno una duplice interpretazione.

4.2 SINTAGMI

Il più importante tra i sottolivelli di analisi dei costrutti è quello dei sintagmi → minima combinazione di parole che funzioni come unità
della struttura frasale. Sono costruiti attorno ad una testa, ossia la classe di parole che rappresenta il minimo elemento che da solo possa
costituire il sintagma [se si eliminasse questo elemento, il gruppo di parole perderebbe la natura di sintagma].

 Sintagma nominale → sintagma che ha per testa un nome (i pronomi, sostituendo un nome, possono essere considerati la testa
di un sintagma)
 Sintagma verbale → sintagma che ha per testa un verbo
 Sintagma preposizionale → ha per testa una preposizione.

NB: la preposizione, sebbene possa introdurre e reggere un sintagma nominale, non condivide le stesse proprietà che hanno le altre
teste, ossia rappresentare da sole il sintagma.

I sottocostituenti dei vari tipi di sintagmi possono dare luogo a sintagmi anche molto complessi. (vedere teoria X-Barra, pg. 148)

4.3 FUNZIONI SINTATTICHE, STRUTTURAZIONE DELLE FRASI E ORDINE DEI COSTITUENTI

Ai sintagmi che riempiono le posizione strutturali di un indicatore sintagmatico vengono assegnati diversi valori. Il modo in cui diversi
costituenti si combinano è governato da tre principi, riconducibili a piani diversi che intervengono nel determinare il funzionamento
della sintassi.

La prima fondamentale classe di principi è interna alla sintassi → funzioni sintattiche (riguardano il ruolo che i sintagmi assumono
nella struttura sintattica della frase, in cui, essenzialmente, i sintagmi nominali possono valere da soggetto/chi fa l’azione o
complemento oggetto/chi subisce l’azione, i sintagmi preposizionali possono valere da oggetto indiretto o da complemento, i
sintagmi verbali/l’azione possono valere da predicato). Le funzioni sintattiche sono spesso marcate morfologicamente (caso e accordo).
In italiano, i vari complementi sono in genere introdotti da un’apposita preposizione, e sono quindi espressi da sintagmi preposizionali.

Le funzioni sintattiche vengono assegnate a partire da schemi valenziali, che costituiscono l’embrione iniziale della strutturazione delle
frasi e ne configurano il quadro minimale. Quando noi dobbiamo enunciare qualcosa sotto forma di frase, è ragionevole pensare che
partiamo dalla selezione del verbo scelto nel nostro lessico per rappresentare l’azione/evento/stato/processo che vogliamo descrivere;
questo verbo è associato a delle valenze/argomenti che sono implicate, richieste, dal tipo di significato del verbo. Ogni predicato, sulla
base della natura del processo che rappresenta e codifica, configura un quadro di elementi (=valenze) chiamati in causa; ogni predicato
ha quindi un certo schema valenziale, o una certa struttura argomentale. Da questo punto di vista, i verbi sono nella loro grande
maggioranza monovalenti, bivalenti o trivalenti; possono essere però anche zerovalenti, come i verbi metereologici. Le valenze
costituiscono con il verbo gli elementi nucleari essenziali delle frasi, anche quando non vengono tutte realizzate con materiale nella

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struttura sintagmatica. Il soggetto si potrebbe definire come la prima valenza di ogni verbo (tutti i verbi, tranne i verbi metereologici,
hanno almeno una valenza); la seconda valenza coincide con la funzione sintattica di complemento oggetto (dei verbi transitivi). In
una frase, oltre ai costituenti che rendono le funzioni sintattiche previste dalla struttura argomentale, si possono trovare anche
costituenti che realizzano altri elementi, che non fanno parte dello schema valenziale: i costituenti circostanziali (non essendo
direttamente implicati dal significato del verbo, non rientrano nelle configurazioni di valenza dei predicati verbali e quindi non fanno
pare delle funzioni sintattiche fondamentali).

Un altro ordine di princìpi che intervengono nella costruzione ed interpretazione di una frase è dato dai princìpi semantici che
concernono propriamente il modo in cui il referente di ogni sintagma contribuisce e partecipa all’evento rappresentato dalla frase. Per
individuare tali funzioni, chiamate ruoli semantici, occorre dunque spostarsi dalla considerazione della frase come struttura sintattica,
concatenazione di sintagmi governata da regole grammaticali, generata da uno schema valenziale; e guardare invece la frase come
rappresentazione di una scena o un evento, in cui i diversi elementi presenti hanno una certa relazione gli uni con gli altri in termini di
che cosa succede nella scena. La frase ora è vista dalla prospettiva del significato, per cui la frase si configura globalmente come unna
sorta di scena nella quale attori o personaggi o entità presenti interpretano delle parti, ovvero i ruoli semantici:

 agente:
ruolo semantico dell’entità animata che si fa  destinazione:
intenzionalmente parte attiva e che provoca ciò che è il ruolo semantico dell’entità verso la quale si dirige
accade l’attività espressa dal predicato, o che costituisce
 paziente: l’obiettivo o la meta di unno spostamento
è il ruolo semantico dell’entità che è coinvolta senza  località :
intervento attivo, in quanto subisce o è interessata è il ruolo semantico dell’entità in cui è situata
passivamente da ciò che accade spazialmente l’azione
 sperimentatore:  provenienza:
è il ruolo semantico dell’entità toccata da, o che prova, è il ruolo semantico dell’entità dalla quale un’entità si
un certo stato o processo psicologici muove in relazione all’azione del predicato
 beneficiario:  dimensione:
è il ruolo semantico dell’entità che trae beneficio è il ruolo semantico dell’entità che indica una
dall’azione determinata estensione nel tempo
 strumento:  comitativo:
è il ruolo semantico dell’entità inanimata mediante la il ruolo semantico dell’entità che partecipa all’attività
quale avviene ciò che accade svolta dall’agente

In una frase passiva, rispetto alla corrispondente attiva, la distribuzione del rapporto fra i ruoli semantici è differente.
Una frase collega la rappresentazione di un evento, o stato di cose del mondo esterno, la realtà effettiva o immaginata com’è filtrata
dall’intelletto umano a una catena fonica, costituita dai suoni del linguaggio che danno forma alla materia del segnale. Nel governare la
strutturazione del prodotto finale della sintassi, ovvero le frasi, si usa l’organizzazione pragmatico-informatica. Si distinguono di
solito 5 tipi di frase: le dichiarative (affermazione generica), le interrogative (pongono una domanda), le esclamative (esprimono
un’esclamazione), le imperative (danno un ordine) e le desiderative (esprimono un volere). Dal punto di vista della strutturazione
dell’informazione veicolata, una frase può essere vista come un’affermazione fatta attorno a qualcosa; da qui si distinguono il tema (ciò
su cui si fa un’affermazione, l’entità attorno cui si predica qualcosa; es. Lucia va a Milano) e rema (è la predicazione che viene fatta,
l’informazione che viene fornita a proposito del tema; es. Lucia va a Milano). Per marcare degli specifici costituenti della frase esistono
delle vere e proprie tecniche: la dislocazione a sinistra (1. spostano davanti alla frase, cioè ala sua sinistra, uno degli elementi che la
costituiscono un effetto analogo lo troviamo nella rase passiva), la dislocazione a destra (2. consiste nell’isolare sulla destra un
costituente, riprendendolo anche qui con un clitico sul verbo e attuando un’inversione tra tema e rema) e la frase scissa (3. consiste
nello spezzare una frase in due parti). La frase scissa serve per evidenziare un elemento della frase come dotato dal maggior carico
informativo; tale elemento svolge un’altra funzione rilevante come punto di maggior salienza informativa, ed è chiamato focus ( fa
parte del rema).
Esempi:

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 Elena spegne il televisore

1. Il televisore lo spegne Elena.


2. Elena lo spegne, il televisore.
3. È Elena che spegne il televisore.

In conclusione, possiamo allora analizzare sintatticamente una frase secondo quattro diverse prospettive:

1. la prospettiva configurazionale; relativa alla struttura in costituenti


 Gianni corre
SN + SV
2. la prospettiva sintattica; relativa alle funzioni sintattiche
 Gianni corre
AGENTE + AZIONE
3. la prospettiva semantica, relativa ai ruoli semantici
 Gianni corre
SOGG. + PRED. VERB.
4. la prospettiva pragmatico-informativa, relativa all’articolazione tema-rema
 Gianni corre
TEMA + REMA

4.4 CENNI DI GRAMMATICA GENERATIVA E LE REGOLE IN SINTASSI

Lo studio, in primo luogo, della sintassi è la grammatica generativa (gg), legata al nome del grande linguista Noam Chomsky; essa è
una grammatica che intende predire in maniera esplicita e formalizzata le frasi possibili di una lingua (escludendo quelle malformate).
Si chiama generativa proprio per il concetto di generare: il ruolo centrale per la generazione è svolto dalla sintassi, la parte “interna”
della lingua, che ha il compito di accoppiare e interpretare significati e significanti, le parti esterne della lingua e che è basata su uno
strato comune a tutte le lingue ( grammatica universale).
Una grammatica è fondamentalmente costituita da un lessico (parole con il loro significato e le loro proprietà , compresi gli intorni
sintattici in cui possono comparire) e da regole (=istruzioni; che governano i diversi aspetti della grammatica e descrivono formalmente
il meccanismo di formazione delle frasi). Le regole di riscrittura a struttura sintagmatica hanno la forma generale X  Y + Z, dove X,
Y e Z sono simboli di categoria: Y e Z sono i costituenti immediati di X in un indicatore sintagmatico e la freccia indica “è da riscrivere
come”. Le regole sono corrispondenti alle successive ramificazioni di un indicatore sintagmatico.
Esempio per indicare le regole di una frase: F  SN + SV
Per la lettura e la comprensione delle regole occorre tener presenti alcune convenzioni; le regole che contengono una barra obliqua sono
dette regole contestuali, rendendo possibile l’esplicitazione di tratti morfologici o sintattici (che vengono indicati dentro parentesi
quadre). Tali tratti costituiscono le cosiddette sottocategorizzazioni, che danno luogo a “restrizioni di selezione”, ovvero specificano
quali elementi della classe designata dal simbolo di categoria siano combinabili con un altro elemento.
Le regole generanno una frase; ogni frase di una lingua ha quindi assegnato un indicatore sintagmatico che ne rappresenta la struttura e
ne determina il significato globale, l’interpretazione. Dall’interpretazione può sorgere un problema: vi sono infatti frasi che pur
mantenendo la stessa identica forma ammettono più interpretazioni diverse. Per risolvere questo problema e permettere di assegnare
biunivocamente indicatori sintagmatici a frasi, è stata introdotta una distinzione fra struttura superficiale ( è la forma sintattica
della frase così come appare) e struttura profonda ( è il livello in cui avviene la vera interpretazione della frase; è l’organizzazione
strutturale astratta che sta dietro a ogni frase possibile prodotta con una certa struttura superficiale e rappresenta gli effettivi rapporti
semantici e sintattici che danno conto della sua interpretazione). Possiamo dire che la struttura profonda è quella in cui sono pertinenti i
ruoli semantici invece che le funzioni sintattiche, le quali sono trattate nella struttura superficiale. Per rappresentare la struttura delle
frasi, in gg si sono venuti ad usare alberi più complessi, che rappresentano le cose a un livello maggiore di astrazione; vengono
introdotte nuove categorie che fungono da testa di sintagma, ovvero le teste funzionali (Sintagma della Flessione = SFless, Sintagma del
Complementatore = SComp). La struttura astratta generale di una frase è vista nella gg attuale come composta di tre campi, o zone:
SComp (campo dove vanno a collocarsi gli elementi che segnalano come la frase vada intesa), SFless (campo dove vanno a collocarsi gli
elementi che attualizzano la frase con necessarie marcature) e SV (campo dove vanno a collocarsi le entrate lessicali selezionate per la
frase). La sintassi generativa nella sua attuale configurazione, detta minimalismo, è una sintassi frasale, rigorosamente basata sulle
entità frase e sintagma. Le strutture grammaticali sono anzitutto strutture semantiche, basate sull’esperienza umana.
È stata sviluppata l’idea che l’unità primaria della grammatica sia la costruzione ( ogni schema sintattico costituito da
un’aggregazione o combinazione di parole, dotata di una strutturazione interna, che compare frequentemente nell’uso e reca un
particolare valore semantico e pragmatico), invece del sintagma.

20
4.5 OLTRE LA FRASE

Siamo partiti alle unità prive di significato, e arrivati alle unità complesse, le frasi, che funzionano da blocchi di significato
impiegati concretamente nella comunicazione linguistica. La sintassi del periodo è un altro livello importante di analisi nel
sistema linguistico; vi sono princìpi che regolano il modo in cui il sistema linguistico organizza le combinazioni di frasi, e
parole deputate ad esprimere i rapporti tra le frasi: la coordinazione (diverse proposizioni vengono accostate l’una all’altra
l’una all’altra senza che si ponga tra esse un rapporto di dipendenza  e, o, ma, …) e la subordinazione (un rapporto di
dipendenza tra le preposizioni  che, perché, quando, modi verbali non finiti …). Gli elementi che realizzano questi rapporti
vengono chiamati connettivi. Le frasi subordinate si possono distinguere in tre principali categorie: avverbiali (modificano
l’intera frase da cui dipendono), completive (sostituiscono un costituente nominale maggiore) e le relative (modificano un
costituente nominale della frase e hanno sempre un nome/pronome come testa). L’unione di una frase principale con una
frase subordinata dà luogo a una frase complessa.
Al di sopra di unità frase bisogna riconoscere un altro livello di analisi della sintassi, ovvero quello dei testi (testo =
combinazione di frasi con contesto linguistico ed extralinguistico). L’impiego e il comportamento dei pronomi è chiamata
pronominalizzazione, e viene trattato dalla linguistica testuale. Il fenomeno per il quale, per poter dare l’interpretazione di
unna frase è necessario fare riferimento a quella prima, si chiama anafora. Difatti, con il termine deissi, si designa infatti la
proprietà di una parte dei segni linguistici di indicare a cose/elementi presenti nella situazione extralinguistica e in
particolare nello spazio e nel tempo; esistono tre tipi di deissi: deissi personale (codifica il riferimento al parlante,
all’interlocutore e alle terze persone e che ha come centro il parlante stesso: io, tu, lui, mio, …), deissi spaziale (codifica le
posizioni delle entità citate per indicare il luogo in cui si trovano i partecipanti all’interazione: questo, qui, la…) e deissi
temporale (codifica e specifica la localizzazione degli eventi nel tempo rispetto al momento dell’enunciazione: oggi, ieri, …).
Un altro fenomeno interessante è quello dell’ellissi, consistente nella mancanza od omissione in una frase di elementi che
sarebbero indispensabili per dare luogo a una struttura frasale completa (es. dove vai? a casa). Un ruolo rilevante nella
strutturazione dei testi e non riportabile alla sintassi frasale è ricoperto dai segnali discorsivi, ovvero gli elementi estranei
alla strutturazione sintattica della frase che svolgono il compito di esplicitare l’articolazione interna del discorso (allora, senti,
guardi, così, no?...).

CAP.5 : SEMANTICA, LESSICO E PRAGMATICA

5.1 IL SIGNIFICATO

La parte della linguistica che si occupa del significato è la semantica, tuttavia è difficile definire esattamente cosa sia il
significato, poiché esso non è “visibile”, ma è il punto di sintesi tra lingua, mente e mondo esterno. È difficile separare anche le
diverse dimensioni che può assumere la trattazione del significato. Nonostante questo esistono due modi fondamentali per
concepire il significato:

- approccio concettuale o referenziale → il significato viene visto come un concetto


- approccio operazionale → il significato è funzione dell’uso che si fa dei segni, vale a dire ciò che accomuna i contesti
d’impiego d’un segno e ne permetto l’uso appropriato.

In un senso molto generico potremmo definire il significato come l’informazione veicolata da un segno o elemento linguistico,
si tratta però di una definizione vaga, quindi è necessario distinguere diversi tipi di significato:

 denotativo → ciò che il segno descrive e  sociale → il significato che un segno può avere
rappresenta in relazione alla comunità di parlanti
 connotativo → connesso alle sensazioni  lessicale → termini (o parole piene) che
suscitate da un segno e alle associazioni a cui rappresentano concetti del mondo esterno
esso dà luogo  grammaticale → termini (o parole vuote) che
 linguistico → il significato che un termine ha in rappresentano concetti o rapporti interni al
quanto elemento di un sistema linguistico sistema linguistico
codificato

21
I nomi propri sono termini a referente unico che rappresentano un individuo e non una classe, che hanno solo estensione
( insieme degli individui a cui il termine è applicabile) e non intensione (insieme delle proprietà che costituiscono il concetto
designato da un termine).

5.2 IL LESSICO

L’unità basilare della semantica è il lessema, una parola considerata dal punto di vista del significato. L’insieme di lessemi di
una lingua costituisce il lessico e lo studio dei suoi vari aspetti è affidato alla lessicologia. La lessicografia è invece lo studio
dei metodi e della tecnica di composizione dei vocabolari e dei dizionari. Da un lato il lessico è uno dei componenti essenziali
della lingua, dall’altro è lo strato più esterno e superficiale di un sistema linguistico ed è anche il livello di analisi meno
linguistico (in quanto si fondono mondo esterno e lingua); è la parte più suscettibile e più aperta ad essere incrementata con
nuove unità . Seppure il lessico ha un’estensione illimitata, non tutte le unità linguistiche si pongono sullo stesso piano: la
frequenza d’uso e la disponibilità immediata, dividono le parole in classi che si comportano in maniera molto diversa. Le
parole che occorrono con maggior frequenza costituiscono il cosiddetto vocabolario di base.

5.3 RAPPORTI DI SIGNIFICATO FRA LESSIMI

Un primo compito della semantica è quello di mettere ordine nel lessico; un primo modo di farlo è vedere se esistono delle
relazioni di significato, rapporti semantici, e quali, fra un dato lessema e uno o più altri lessemi.

Omonimia e polisemia

 Omonimia → stesso significante ma a cui corrispondono significati diversi, non imparentati fra loro e non derivabili
l’uno dall’altro (es. riso, inteso come atto di ridere; riso, inteso come cereale).
 Polisemia → significati associati ad uno stesso significante imparentati e derivabili l’uno dall’altro
↪ enantiosemia → significati diversi dello stesso termine sono tra di loro in un rapporto di opposizione (es. tirare,
può avere sia il significato di “lanciare” che “trarre, attrarre verso di sè).

Alcuni rapporti sono basarti sulla compatibilità o somiglianza:

 Sinonimia → lessemi diversi aventi lo stesso significato (es. iniziare/cominciare)


↪ è incorretto dire stesso significato, poiché la possibilità che due termini diversi abbiano l’esatto stesso significato è
praticamente nulla. Bisognerebbe quindi parlare di quasi sinonimia.
 Iponimia → relazione di inclusione semantica: il significato di un lessema rientra in un significato più ampio e
generico rappresentato da un altro lessema (es. armadio è iponimo di mobile).
 Meronimia → rapporto che si ha fra i termini che designano una parte specifica di un tutto unico e il termine che
designa il tutto (es. braccio è meronimo di corpo umano)

Mentre la sinonimia e l’iponimia sono rapporti di carattere paradigmatico, esistono anche rapporti di compatibilità semantica
sull’asse sintagmatico:

 Solidarietà semantica → basata sulla cooccorrenza obbligatoria, o fortemente preferenziale, di un lessema con un
altro, nel senso che la selezione è fortemente ridotta o assente (es. miagolare/gatto)
 Collocazioni → rapporti fra lessemi fondati su cooccorenze regolari nel discorso (es. ringraziare/caldamente).

NB: a differenza del rapporto di solidarietà semantica, che è basato sulle proprietà e restrizioni semantiche previste dal
sistema linguistico, il rapporto di collocazione riflette però piuttosto convenzioni e idiosincrasie tipiche dell’uso della
singola lingua e del “costume linguistico”

Rapporti di opposizione

Esistono relazioni semantiche in cui i termini non possono essere sostituiti, in quanto hanno significati opposti tra loro:

 Antinomia → due lessemi di significato “contrario” che designano poli opposti di una scala (es. buono/cattivo)

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 Complementarità → due lessemi di cui uno è la negazione dell’altro e che spartiscono lo stesso spazio semantico
(es. vivo/morto)
 Inversione → due lessemi di significato relazionale che esprimono la stessa relazione semantica vista da due
direzioni opposte, secondo la prospettiva dell’una o dell’altra parte (es. dare/ricevere)

Insiemi lessicali

È anche possibile individuare insiemi o sottoinsiemi lessicali, gruppi di lessemi che costituiscano complessi organizzati, in
cui ogni elemento è unito agli altri da rapporti di significati. Il concetto più noto e più usato è quello di campo semantico,
ossia l’insieme dei significato che un lessema può assumere. Una nozione più generica di campo semantico è quella di sfera
semantica, vale a dire un termine con il quale si può designare ogni insieme di lessemi aventi in comune il riferimento ad un
certo ambito semantico.

 Famiglia semantica → insieme di lessemi imparentati nel significato e (/perché) imparentanti nel significante
 Gerarchia semantica → costituita da un insieme in cui ogni termine è una parte determinata di un termine che
nell’insieme lo segue in una certa scala di misura (es. secondo, minuto, ora, giorno,…)

Molti lessemi possono assumere significati traslati, che si allontanano più o meno dal significato primario, non marcato. I
processi fondamentali su cui si basano tali spostamenti sono la metafora (fondata sulla “somiglianza” concettuale o anche
connotativa) e la metonimia (fondata sulla “contiguità ” concettuale (es. bottiglia inteso come “liquido contenuto in una
bottiglia: ho bevuto due bottiglie di Barbera).

5.4 L’ANALISI DEL SIGNFICATO

Uno dei metodi adottati per l’analisi del significato dei lessemi è quello dell’analisi componenziale. Si tratta di scomporre il
significato dei lessemi, comparandoli gli uni con gli altri e cercando di cogliere in coda differisca il loro rispettivo significato,
tali che siano ricorrenti nel costituire il significato di più lessemi. Le proprietà semantiche, che combinandosi tra loro, danno
luogo al significato dei lessemi sono chiamate componenti semantiche (o tratti semantici).

I tratti semantici dovrebbero rappresentare in maniera sufficiente tutto ciò che è pertinente, nel sistema linguistico, per
definire il significato denotativo di un lessema. Tra i tratti semantici possono esistere rapporti implicativi. I tratti semantici di
solito sono binari, ossia ammettono i due valori + e -; ma si possono usare anche tratti non binari, a più valori.

È possibile estendere l’analisi anche ad altre classi di lessemi, per esempio ai verbi; tuttavia diventa sempre più complesso
analizzare in tratti termini astratti.

Semantica prototipica

La semantica componenziale presuppone una concezione particolare delle categorie stesse: come un’entità a9 definita da
proprietà tutte necessarie e sufficiente, b) delimitata da confini rigidamente netti, e c) costituita da membri tutti ugualmente
rappresentativi di quella categoria. Per categorie si intende un’entità a) definita sia da un solo nucleo di proprietà di carattere
categorico, necessarie e sufficienti, sia da proprietà di carattere graduale, non essenziale; b) delimitata da confini sfumati, in
sovrapposizione con quelli di altre categorie, e c) costituita da membri più tipici e altri meno rappresentativi.

Il significato di un lessema in semantica prototipica è concepito come un prototipo, ossia l’immagine immediata che i
parlanti hanno di un determinato concetto. Di un concetto il prototipo occupa il punto focale → i membri non prototipici si
allontanano tanto più dal punto focale, avvicinandosi invece alla periferia del concetto, quante meno caratteristiche del
prototipo possiedono. Alcuni tratti rappresentano criteri necessari a definire l’appartenenza ad una data categoria, e devono
perciò essere condivisi da tutti i suoi membri; altri invece, non essenziali a decretare l’appartenenza categoriale, sono
posseduti in numero diverso dai vari membri non prototipici. A questo punto i concetti hanno una struttura interna
“prototipica”, basata sulla gradualità e non sulla categoricità. Un concetto importante nella semantica prototipica è quello di
grado di esemplarità di un termine.

Cenni di semantica frasale

23
Elementi cruciali per l’interpretazione di un enunciato sono i connettivi, quantificatori e negazioni. Ricerche recenti hanno
dimostrato come la composizionalità del significato, ossia l’interazione tra significati e proprietà semantiche dei singoli
lessemi siano governate da 4 principi (identificati da Pustejovsky):

1) Composizione → il significato della frase è la somma dei significati di base dei singoli elementi
2) Co-composizione → il significato degli argomenti di un verbo contribuisce a darne il significato
3) Coercizione → il significato del verbo condiziona il significato di un suo argomento
4) Legamento selettivo → un nome selezione e determina il valore di un aggettivo non specifico

Elementi di pragmatica

Un altro aspetto importante del significato degli enunciati è quello pragmatico, che riguarda cosa si fa in un determinato
contesto situazionale e chiama quindi direttamente in causa l’intenzionalità del parlante. In questa visuale, la lingua è studiata
come modo d’agire, e non più come sistema di comunicazione. Gli enunciati prodotti nella normale interazione verbale
costituiscono comunque degli atti linguistici, ossia l’unità di base dell’analisi pragmatica e che è costituita tra livelli distinti:

1) Atto locutivo → consiste nel formare una frase in una data lingua
2) Atto illocutivo → consiste nell’intenzione con la quale e per la quale si produce la frase, nell’azione che si intende
convenzionalmente compiere preferendo quell’enunciato
3) Atto perlocutivo → consiste nell’effetto che si vuole provocare nel destinatario del messaggio

L’aspetto centrale degli atti linguistici è l’atto illocutivo che definisce la natura e il tipo dell’atto linguistico messo in opera.
Ciascun atto è caratterizzato da una certa serie di condizioni necessarie perché l’atto valga come tale. Esistono verbi
particolari, detti performativi che se usati alla prima persona singolare del presente indicativo, annullano qualsiasi
distinzione tra contenuto referenziale e atto illocutivo compiuto (es. promettere); se invece non sono usati alla prima persona
o al tempo presente indicativo, assumono un valore constatativo, descrittivo. Esistono modi diversi per realizzare uno stesso
atto illocutivo:

- Atti linguistici indiretti → un certo atto illocutivo è realizzato mediante atti locutivi che solitamente sono la forma
tipica di realizzazione di un altro atto illocutivo (es. Giovanni ha chiesto se la penna fosse la mia, domanda indiretta,
avente per forma quella di un’affermazione)
- La cortesia → la manifestazione della cortesia linguistica è molto importante, tuttavia troppa cortesia tenderebbe ad
assegnare ad un enunciato un valore ironico.

La teoria degli atti linguistici ha enucleato e descritto le condizioni che devono essere soddisfatte perché un determinato
atto illocutivo valga come tale, cioè rappresenti sia per il parlante che lo produce, sia per il destinatario che lo riceve la
specifica azione voluta. Un’altra nozione importante è quella di significato implicito, non detto ma fatto assumere o inferire
da quanto viene detto.

Esistono “regole della conversazione”, note come massime di Grice, che sono basate sull’assunzione che fra i partecipanti ad
un’interazione comunicativa viga un principio di cooperazione, riunite in 4 categorie:

- Quantità → dare un contributo tanto informativo quanto richiesto


- Qualità → dare un contributo che sia vero, o il più possibile verificabile
- Relazione → essere pertinenti
- Modo → esprimersi chiaramente

La violazione di una o più massime genera, sulla base di un principio di implicazione, “implicature conversazionali” che
trasmettono comunque il significato voluto.

La differenza del dominio della negazione ha sempre importanti effetti discorsivi sulla semantica dell’enunciato:

es. Non mi ricordo di aver detto questo → viene negato il fatto che si ricordi
Mi ricordo di non aver detto questo → viene negato il fatto di aver detto una tal cosa

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Esistono dei verbi, detti “verbi fattivi”, che veicolano immediatamente la presupposi<ione di verità della preposizione che
reggono (es. finire). La presupposizione si configura in conclusione come ciò che in un enunciato il parlante assume come
vero o noto all’ascoltatore, e quindi assodato, indiscutibile, al momento di produrre tale enunciato.

CAP.6 : LE LINGUE DEL MONDO

6.1 LE LINGUE DEL MONDO

Le lingue storico-naturali sono numerose e il conto a cui si è arrivato oscilla dalle 2200 alle 12000. Uno scarto così ampio è
dovuto al fatto che enumerarle tutte è davvero complesso ed il numero può variare a seconda dei criteri che si adottano.
L’Italia può essere presa come esempio per dimostrare la difficoltà dell’enumerazione. Nel territorio italiano si parla
principalmente l’italiano, ma esistono anche comunità minoritarie che parlano una lingua tipica di quell’area (es. tedesco
parlando in Trentino). Sul territorio vengono parlati anche numerosi dialetti e a questo punto sorge la domanda se
considerare i dialetti e l’italiano la stessa cosa oppure no. Si deve tener conto anche del fatto che le lingue romanze o
neolatine, derivate dal latino vengono considerate ciascuna una lingua sé, mentre in altri gruppi linguistici con una distanza
strutturale analoga a quella fra le diverse lingue romanze vengono considerati varietà della stessa lingua (es. cinese, termine
con cui vengono indicate, come se fossero tutte la stessa lingua, un gruppo tra loro strettamente imparentato).

La maniera più pratica per classificare tutte le lingue storico-naturali è procedendo per famiglie. Questa classificazione è
basata sul criterio della parentela genealogica → ricondurre le lingue ad un possibile antenato comune, basato sul lessico
comune (numeri, fenomeni atmosferici, specie naturali, … ).

L’italiano ha stretti rapporti di parentela con tutte le lingue provenienti dalla comune base del latino, e costituisce assieme a
queste il ramo delle lingue romanze (italiano, francese, spagnolo, portoghese, romeno, ). Il ramo romanzo, insieme ad
altri rami con cui le lingue romanze hanno una parentela, debole ma dimostrabile, come le lingue germaniche, slave, baltiche,
celtiche, indoarie, iraniche e tre ligue isolate (albanese, neogreco e armeno), forma la grande famiglia delle lingue
indoeuropee.

I sottolivelli della famiglia:

- La famiglia rappresenta il più alto livello di parentela ricostruibile, individua le somiglianze fra le lingue come
prova della loro comune origine
- All’interno di una famiglia di lingue, a seconda dei gradi più o meno stretti di parentela, si possono riconoscere dei
rami, che a loro volta si possono dividere in gruppi, a seconda del grado sempre più stretto di parentela.

Si riconoscono 18 gruppi di famiglie linguistiche, fra le quali non è possibile dimostrare rapporti di parentela. Esistono poi
delle lingue, dette isolate, tra le quali non si è riusciti a dimostrare rapporti di parentela con altre lingue. A queste andrebbero
aggiunte anche le lingue pidgin e creole. Queste lingue nascono dall’incontro di una popolazione originaria del territorio e di
un colonizzatore. Le lingue pidgin non hanno parlanti nativi e hanno un sistema linguistico semplificato, basato su prestiti
delle lingua colonizzante. Quando la lingua pidgin diventa lingua materna di una comunità → creolo.

Per essere considerate “grandi” lingue è necessario che:

- vi sia una numerosa comunità di parlanti


- Vi sia un alto numero di paesi in cui quella lingua è parlata/è lingua ufficiale
- Sia impiegata in rapporti internazionali
- Il paese in cui è parlata abbia una notevole importanza politica ed economica
- La lingua sia supportata da una tradizione linguistica e culturale di prestigio

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In Europa sono tradizionalmente parlate lingue di cinque diverse famiglie linguistiche:

- (indoeuropee)
- Uraliche del gruppo ugro-finnico (ungherese)
- Altaliche (turco)
- Caucasiche (gerogiano)
- Semitiche (maltese)
- Basco (lingua isolata)

6.2 TIPOLOGIA LINGUISTICA

La tipologia linguistica individua somiglianze e differenze nell’organizzazione e nella struttura delle lingue storico-naturali,
attuando delle scelte tra loro compatibili nella realizzazione di fatti o fenomeni universali che ammettono più soluzioni. La
tipologia è dunque strettamente collegata allo studio degli universali linguistici, ossia delle proprietà ricorrenti nella
struttura della lingua (es. consonanti e vocali). NB: non è necessario che siano presenti in tutte le lingue, ma che non
contraddicano le caratteristiche di altre lingue.

Universali linguistici

 Assoluti (generalizzazione sostanziali che a quanto si sa non hanno eccezioni)


o Tutte le lingue hanno vocali e consonanti
o Tutte le lingue hanno vocali orali
 Implicazionali (se A allora B)
o Se una lingua ha vocali nasali, allora ha sempre vocali orali
 Gerarchie implicazionali (se A ⟹ B, se B ⟹ C, etc.)
o Gerarchia del numero: singolare > plurale > duale > triale > paucale. Se una lingua ha il paucale allora ha
anche il triale; se ha il triale ha anche il duale; se ha il duale ha anche il plurale; se ha il plurale ha anche il
singolare

In base all’appartenenza ad un tipo linguistico, ossia un raggruppamento di tratti strutturali correlati gli uni con gli altri.
Tuttavia una lingua non corrisponde mai totalmente ad un singolo tipo; un sistema linguistico realizza fondamentalmente un
certo tipo linguistico, mescolando però a questo, caratteri di altri tipi linguistici.

Tipologia morfologica

Un primo modo di individuare tipi linguistici diversi e di classificare quindi tipologicamente le lingue è basato sulla
morfologia e più precisamente sulla struttura della parola.

 Lingue isolanti, lingue dove le parole sono tendenzialmente costituite da un solo morfema; il rapporto
morfemi:parole è generalmente 1:1 (questo rapporto è detto indice di sintesi; più l’indice è basso più la lingua è detta
analitica, viceversa è detta sintetica).
o Caratteristiche: isolano in blocchi unitari le parole; sono tendenzialmente prive di morfologia flessiva;
hanno poca o nulla morfologia derivazionale; le parole sono spesso monosillabiche (es. cinese.)
Anche l’inglese presenta alcuni tratti di lingua isolante → morfologia flessionale ridotta [possiede infatti
scarsamente una decina di morfemi flessionali: suffisso del plurale dei sostantivi; i suffissi del comparativo
di maggioranza e del superlativo relativo; la terza persona del presente; le marcature del passato e del
participio passato, il suffisso del participio presente -ing, e pochi altri].
 Lingue agglutinanti
o Caratteristiche: parole formate dalla giustapposizione di morfemi; hanno un alto indice di sintesi (=
sintetica); sono dotate di morfemi univoci; i morfemi sono facilmente separabili; hanno una regolarità
nella grammatica; hanno rari fenomeni di omonimia e allomorfia; la formazione delle parole si presenta
come una stringa di morfemi individuabili.
es. [turco] ellerimde “nelle mie mani”
el (“mano”) + ler (pl.) + im (poss. 1 SG) + de (LOC)
 Lingue flessive o fusive
o Caratteristiche : le parole sono internamente complesse; hanno una base lessicale semplice o derivata da
più suffissi flessionali, che possono veicolare ciascuno più informazioni; si verificano molti fenomeni di
allomorfia/fusione; i morfemi sono difficili da individuare; si verificano fenomeni di omonimia, sinonimia,
polisemia; la morfologia di queste lingue presenta molte irregolarità e idiosincrasie.

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Es. [italiano] buono
Buon (“sano”, “buono”) + o (MASCH. SG)

↪ Nel tipo morfologico flessivo si distingue un sottotipo introflessivo, caratterizzato dal fatto che la flessione avviene anche
dentro la radice lessicale. [es. arabo → kataba (“scrivere” + perf. 3 p.s.m ); kutub (“scrivere” + sost.conc.pl )

 Lingue polisintentiche
o Caratteristiche: hanno una struttura della parola molto complessa; la parola è formata da più morfemi
attaccati insieme, ma in una parola compaiono due o più radici lessicali (morfemi pieni); sono presenti
fenomeni di fusione. [es. groenlandese]
o ↪ lingue incorporanti, sono lingue che contengono parole nella cui struttura si trovano una radice
lessicale e una radice verbale

TIPOLOGIA SINTATTICA

Tipologia dell’ordine dei costituenti

Un secondo principio di classificazione delle lingue si basa sull’ordine basico dei costituenti principali della frase: soggetto,
verbo, complemento. Le possibilità di combinazione di questi tre elementi di base sono 6 (in ordine di frequenza):

- SOV - VOS
- SVO - OVS
- VSO - OSV

Il predominio delle lingue SOV, SVO, VSO è dato dal fatto che in queste lingue spesso il soggetto viene a coincidere con il tema;
oltre a questa ragione, agiscono altri due principi:

1) Principio di precedenza: il soggetto precede l’oggetto in quanto di maggior importanza


2) Principio di adiacenza: il verbo e l’oggetto devono essere contigui

Esistono chiare correlazioni tra l’ordine base dei costituenti maggiori di frase e l’ordine degli elementi in altri tipi di costrutti.
Su questa base vengono elaborati gli universali implicazionali, ossia principi che collegano fra loro le posizioni di diversi
elementi nella frase e nei sintagmi. Degli studiosi hanno cercato di costruire tipologie complesse a partire da Verbo e Oggetto,
ottenendo quindi:

- Lingue VO → la testa del sintagma è un verbo (dette anche “a testa iniziale”)


- Lingue OV → la testa del sintagma è l’oggetto (dette anche “a testa finale”

Nonostante le caratterizzazioni tipologiche, esistono delle lingue che non sono congrue alle tipologie.

Ergatività e prominenza topicale

Esiste un ulteriore parametro tipologico che coinvolge morfologia, sintassi e semantica: l’ergatività, che riguarda
l’organizzazione dei sistemi di caso che traducono in superficie i ruoli semantici legati al verbo.

 Lingue ergative [es. àvaro]


o assegnano una marca di caso diversa al soggetto a seconda che sia il soggetto di un Vintrans o di un Vtrans
o pongono maggior rilevanza al ruolo semantico di agente
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o pongono allo stesso caso c. ogg. (di frasi trans) e il S (di frasi intrans); mentre pongono a casi diversi i S
delle frasi trans → queste lingue contrappongono un sistema di casi assolutivo-ergativo e nominativo-
accusativo.

Ci sono lingue che:

 marcano le funzioni sintattiche e strutturano le frasi in base ad esse


 strutturano la frase sia che abbiano morfologia di caso che no
 strutturano la frase in base a sintassi e struttura informativa

A questo punto si possono distinguere lingue:

- subject-prominent
- topic-prominent → lingue che organizzano la struttura sintattiche per evidenziare l’argomento.
- topic-comment [cinese] → accostamento della parte tematica e della parte rematica senza che vi siano messi linguistici
che manifestino la predicazione [es. “quello” “albero” “foglia” “grande”]

CAP.7: MUTAZIONE E VARIAZIONE NELLE LINGUE

7.1 LA LINGUA LUNGO L’ASSE DEL TEMPO

Una proprietà empirica molto evidente delle lingue è costituita dalla variazione, visibile soprattutto lungo l’asse del tempo,
nella diacronia. Il mutamento può riguardare qualsiasi parte del sistema linguistico e tale mutamento si da il nome di
mutamenti linguistici, i quali vengono studiati dalla linguistica storica [lavora in diacronia, studia dunque i mutamenti
linguistici in relazione ai mutamenti sociali].

Una lingua è continuamente in movimento, ma tale movimento può essere colto solo dopo un certo lasso di tempo. Come
fenomeno che avviene in diacronia, il mutamento linguistico è più veloce del mutamento genetico, biologico, ma è più lento
dei mutamenti socio-culturali e di quelli del costume. I cambiamenti che avvengono in una lingua sono graduali e progressivi.
La nascita di una lingua su attesta quando si ha una mancanza di comprensibilità fra i parlanti del vecchio “stato di lingua” e
quelli del nuovo. [es. nascita dell’italiano → nato dal latino per una somma di mutamenti tali da portare alla nascita di una
lingua totalmente diversa; fu un fenomeno graduale che trovò riconoscimento nel volgare].

Meccanismo dei mutamenti linguistici:

1. innovazione → un nuovo elemento viene introdotto nell’uso linguistico dei parlanti


2. diffusione dei mutamenti → l’elemento nuovo si diffonde e coesiste nel sistema con l’elemento preesistente nel
sistema
3. se il nuovo elemento è socialmente accettato si assiste ad un soppianto effettivo del nuovo mutamento, diventando
così un elemento costitutivo del sistema linguistico (fissazione).

Le cause del mutamento

- fattori esterni (guerre, migrazioni, colonizzazioni, …) possono portare all’estinzione o alla morte di una lingua( =
non ha più parlanti e viene totalmente sostituita da un’altra lingua). Spesse volte la lingua che si estingue lascia delle
tracce (sostrato).
- Fattori interni
- tendenze a ottimizzare, regolarizzare, sintetizzare il sistema linguistico)
- semplificare la produzione e la ricezione di una lingua
- si è pensato che i mutamenti, oltre ad essere causati da fattori esterni, fossero causati da mutamenti interni e
avvenissero secondo una logica interna. Tale direzione tendenziale del mutamento linguistico è stata chiamata
deriva.

Fenomeni del mutamento

I fenomeni tramite i quali si manifesta il mutamento linguistici sono molteplici. Per risalire alla forma dalla quale deriva
un’attuale versione di una parola, è utile risalire all’etimo.

Nel mutamento fonetico sono molto frequenti fenomeni di:

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- assimilazione → due foni articolatoriamente diversi tendono a diventare simili o uguali, mediante l’acquisizione di
uno o più tratti comuni all’altro fono. Può essere:
- regressiva (il secondo fono acquisisce i tratti articolatori del primo)
- progressiva (il primo fono acquisisce i tratti articolatorio del secondo)
- metafonia → si assiste ad una modificazione del timbro di una vocale interna per effetto della vocale finale
- dissimilazione → (fenomeno contrario all’assimilazione); differenziazione dei foni simili/uguali non contigui
(anche questa può essere progressiva o regressiva)

Altri fenomeni di mutamento fonetico, frequenti nel passaggio dal latino alle lingue romanze sono:

- metatesi → spostamento dell’ordine dei foni [sp. peligro – lat. periculum


- fenomeni di caduta
- afaresi → caduta dei foni in posizione inziale
- sincope → caduta di foni in posizione interna
- apocope → caduta di foni in posizione finale
- fenomeni di aggiunta
- epentesi → aggiunta di foni in corpo di parola
- protesi → aggiunta di foni in principio di parola
- epitesi → aggiunta di foni in fine di parola
- dittongazione → pronuncia simultanea di due vocali vicine

In linguistica storia hanno avuto molta importanza le leggi fonetiche, le quali hanno contribuito alla classificazione delle
lingue in famiglie. Le leggi fonetiche sono mutamenti regolari che trasformano sistematicamente un fono in un altro;
l’individuazione di corrispondenze ha permesso di giungere ad una classificazione rigorosa. Le leggi fonetiche non sono
totalmente predittive, ma ammettono numerose eccezioni. [es. legge di Grimm → le dent.sn ie diventano regolarmente
dent.sd in germ.]

A livello fonologico, come mutamenti ricorrenti abbiamo:

- fonologizzazione → allofoni di un fonema acquisiscono valore distintivo, diventando due fonemi autonomi
- defonologizzazione → inventario fonetico perde un fonema
a) due fonemi > due allofoni
b) coalescenza → due fonemi > stesso fonema
c) perdita di un fonema in un inventario linguistico
d) perdita contestuale → fonemi si neutralizzano in alcuni contesti e non in altri [es. ted. Nom Rad [Rat] = Rat
[Rat]; ma Ted. Gen Rad-es ≠ Rat-es]
- rifonologizzazione → il numero dei fonemi resta invariato, ma cambiano i loro tratti distintivi.

I mutamenti fonetici-fonologici possono anche consistere in spostamenti a catena che coinvolgono intere serie di foni o
fonemi → rotazioni consonantiche. La prima di queste, nota come legge di Grimm, studia i mutamenti consonantici avvenuti
dall’ie alle lingue germaniche

1RC → distingue ie da lingue germaniche

2RC → distingue ted. dalle altre lingue germaniche

I mutamenti morfologici:

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- analogia → estensione di forme a contesti a cui esse non sono proprie; di solito è un fatto regolarizzante che tende
ad eliminare eccezioni
- rianalisi → diversa interpretazione e analisi del valore semantico e del valore sintattico di un termine
- grammaticalizzazione → un elemento del lessico acquisisce valore grammaticale/funzionale

I fenomeni più rilevanti del mutamento sintattico coincidono spesso con un mutamento tipologico; dunque si ha un
mutamento dell’ordine dei costituenti.

Nella semantica lessicale, il mutamento lessicale si manifesta con:

- arricchimento lessicale → può avvenire a partire da lessemi già esistenti; ricorrendo a prestiti da altre lingue
(assunzione di parole straniere con adattamento morfologico al sistema d’arrivo); o dal calco (attribuzione a una
parola o combinazione di parole esistente di un nuovo significato, sulla base di un lessema straniero)
- perdita di lessemi

Avvengono poi cambiamenti nell’associazione fra significanti e significati; tali mutamenti si basano su vari tipi di rapporti fra
i significati:

- mutamenti semantici per somiglianza (metafora)


- mutamenti semantici per contiguità (metonimia)
- paretimologia, ossia la risemantizzazione di una parola mediante rimotivazione del suo significante

Spesso ciò che cambia è l’area semantica coperta da una parola: così, si hanno estensioni o generalizzazioni (es. lat. domina
“signora, padrona di casa” < domus “casa”), o al contrario, restringimenti o specializzazioni (es. lat domus “casa” > it. Duomo
“la casa del Signore”). In questo campo rientrano anche i mutamenti semantici per tebuizzazione ( interdizione di parole
relative a determinate sfere semantiche e ai concetti ad esse attinenti, che vengono sostituite da altre parole di significato
non diretto → eufemismi).

I mutamenti possono coinvolgere anche campi semantici, portando ad una loro ristrutturazione. Mutamenti si hanno anche
nella pragmatica (nel modo in cui si interagisce con gli interlocutori).

7.2 LA VARIAZIONE SINCRONICA

Varietà di lingua e variabili sociolinguistiche

La proprietà della lingua di cambiare è ancora più evidente in sincronia; ogni lingua conosce e sviluppa numerose variazioni
che le permettono di adattarsi a diversi contesti. La variazione interna della lingua è il campo specifico della sociolinguistica,
che presuppone la descrizione del sistema linguistico fornita dalla linguistica generale; studia i rapporti che intercorrono fra
lingua-società -usi.

Un insieme di forme linguistiche, che abbiano la stessa/analoga distribuzione sociale dei suoi membri e delle situazioni in cui
si trovano ad agire, sono dette varietà linguistiche. “varietà di lingua” è un concetto essenziale nella prospettiva
sociolinguistica una lingua si manifesta sempre sotto forma di una determinata varietà , e dal punto di vista sociolinguistico,
una lingua va sempre considerata come una somma di varietà . Sono le variabili sociolinguistiche a dare forma alle varietà
di lingua; una variabile sociolinguistica è un’unità del sistema che ammette delle realizzazioni in relazione con fattori
extralinguistici.

- Variabili fonologiche → differenti realizzazioni scaturite da contesti regionali diversi


- Variabili morfologiche → determinate dal contesto sociale di appartenenza
- Variabili lessicali → coppie/serie di lessemi sinonimici per quanto riguarda il significato denotativo

Dimensioni di variazioni

Le variazioni di lingua si caratterizzano secondo diverse dimensioni di variazione; se ne distinguono quattro tipi:

1) Diatopia → variazione nello spazio geografico


2) Diastratia → variazione nello spazio sociale
3) Diafasia → variazione attraverso diverse situazioni comunicative
4) Diamesia → variazione attraverso il mezzo o il canale della comunicazione

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Nel lessico, sono numerosi i geosinonimi, ossia termini differenti usati in diverse regioni per identificare lo stesso oggetto.
Sono frequenti anche i regionalismi semantici, cioè significati particolari assunti da un lessema in una determinata area. Le
variazioni regionali non riguardano solo il lessico, ma anche morfologia e sintassi. La variazione diatopica può avvenire in
molti paesi, a condizione che una lingua sia parlata a livello nazionale in essi.

La variazione diastratica emerge anche ai vari livelli di analisi. Nella fonetica, è evidente in casi di pronunce influenzate dal
dialetto, che tendono a comparire soprattutto in parlanti con scarso grado d’istruzione. Queste varianti d’italiano sono state
chiamate italiano popolare.

La dimensione diafasica è la più complessa delle quatto, e vanno riconosciute al suo interno due dimensioni parallele ma in
linea di principio differenti:

1) Registri → varietà diafasiche dipendenti dal carattere formale o informale dell’interazione comunicativa
2) Sottocodici → varietà diafasiche dipendenti da argomento e sfera dei contenuti

I fenomeni di variazione di registro si dispongono su una scala che va da un estremo alto (situazioni formali) a un estremo
basso (situazioni formali). I sottocodici sono caratterizzati da termini tecnici o specifici in determinati settori.

La lingua parlata tende a coincidere con la lingua informale e la lingua scritta col registro formale. Anche nella diamesia ci
sono due dimensioni, legate a:

- Carattere fisico del mezzo di produzione del messaggio (fonico; grafico)


- Caratteristiche strutturali interne (parlato; scritto)

Ogni dimensione rappresenta un asse di variazione della lingua, su cui possono collocare le diverse varietà di lingua.
L’insieme delle varietà di lingua, in cui si articolano le lingue storico-naturali, è detto architettura della lingua.

Repertori linguistici

L’insieme delle varietà linguistiche di una comunità sociale costituisce il repertorio linguistico. Le varietà che formano il
repertorio possono essere varietà della stessa lingua, o varietà di più lingue diverse: si hanno quindi repertori monolingui e
repertori plurilingui.

In ogni paese esiste almeno una lingua nazionale che rappresenta una varietà standard. Una lingua standard è una lingua
codificata, prestigiosa e tendenzialmente unitaria. Il dialetto è un concetto meno univoco di quel che possa sembrare; può
essere considerato in due modi: a) sistemi linguistici imparentati con la lingua standard; b) varietà linguistica risultanti da
diversificazione su base territoriale.

In un repertorio spesso vi sono anche lingue di minoranze, ossia lingue parlate da una porzione di popolazione ridotta
presente sul territorio.

In repertori plurilingui è assai raro che i diversi sistemi linguistici compresenti stiano sullo stesso piano negli usi e negli
atteggiamenti della comunità parlante e svolgano le medesime funzioni. A situazioni linguistiche in cui le diverse lingue
parlate sul territorio occupano ruoli e ambiti sociali differenziati, si riferisce con il termine diglossia (una lingua è implicata
nello scritto/contesti formali ed è insegnata a scuola; l’altra è impiegata nel parlato/contesto informale).

Una situazione in cui sono compresenti lingua standard e dialetto la situazione è un po’ diversa. La varietà bassa (dialetto) è
solo dell’uso parlato informale, mentre gli usi scritti e formali compare solo la varietà alta (italiano), ma a differenza della
situazione di vera e propria diglossia, quest’ultima viene ampiamente utilizzata anche nel parlato quotidiano ed è per la
maggioranza della popolazione la lingua della socializzazione primaria (dilalia).

Il contatto linguistico

Fra le lingue diverse presenti in un territorio si crea tutta una serie di fenomeni di contatto che possono portare a due
possibili esiti:

- Interferenze → influenza o azione che un sistema linguistico può avere su un altro; può avvenire su tutti i livelli di
analisi; è frequente nei parlanti bilingui
- Prestiti → (se si tratta di lessico e materiale linguistico superficiale)
- Prestiti lessicali → usi di lessemi presenti da altre lingue. Non implica bilinguismo: è naturale per una
lingua assumere termini che derivano dalle lingue con cui entrano in contatti

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- Prestiti fonetici e morfologici → i prestiti subiscono quasi sempre un adattamento fonetico/sintattico per
far si che si adattino alla lingua che li accoglie
- Calco → si ottiene quando viene trasmessa non più una parola nei suoi aspetti formali, ma il suo significato [reso
con i mezzi della lingua ricevente].
- Commutazione di codice → riguarda fenomeni che hanno come oggetto interesse il piano del discorso (tipico dei
bilinguisti); indica l’uso alternato di due codici all’interno della stessa interazione. La commutazione di codice può
avvenire fra qualsiasi varietà di lingua presente in un territorio [anche fra italiano e dialetto].

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