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Latino classico 10 fonemi vocalici, A E I O U sia breve che lunghe. Differenza nella durata dei suoni vocalici
detta quantità vocalica si poteva avere sia nelle vocali toniche che in quelle atone. Generalmente brevi le
vocali che precedono un’altra vocale.
Nel corso del tempo la qualità vocalica (ossia la differenza di timbro) finì per sostituire la quantità.
Nel latino classico esistevano 3 dittonghi: AE OE AU che ebbero sviluppi diversi nel latino volgare. Dittongo
OE diventa e lunga e che si sviluppò in una e chiusa; AE diventa e diventa e lunga che ha esito in e aperta
(ɛ); AU in epoca altomedievale si chiude in una o aperta (ɔ).
Vocalismo tonico
Nelle parole dotte come latinismi si conserva il timbro della vocale latina a prescindere dalla durata.
Vocalismo atono
Dittongamento spontaneo
In sillaba aperta, dalla ɛ (che può essere derivata dalla e breve OPPURE dal dittongo AE latino) si ha jɛ
Il dittongamento in wɔ non si ha per quelle ɔ che derivano dal dittongo AU del latino.
Dittongamento mobile
Dittongamento di ɛ ed ɔ si ha solo in sillaba tonica aperta. Per questo abbiamo sièdo/sièdi, ma se-dè-re
(vocale atona) e sedevamo. Oppure tièni o tiène ma ten-go (sillaba chiusa) /ten-ni/te-nià-mo (qui non
tonica).
Riduzione di dittongo e chiusura in iato
Qualche caso in cui ɛ ed ɔ in sillaba libera non hanno dato esito ie e uo ma le vocali alte i ed u, difficile da
spiegarne i motivi.
Anafonesi
/e/ (che può essere una i breve latina, una e lunga latina, dittongo OE latino) si chiude in /i/ prima di -gl- o
di -gn-. Familiam, prima i breve, dovrebbe essere fameglia invece è famiglia perché prima della laterale
palatale sonora.
/e/ diventa /i/, /o/ diventa /u/ se precedono gruppo nasale+velare (nc, ng), come fungum, u breve
dovrebbe dare esito fongo ma è fungo. Oppure longum, o lunga diventa una o chiusa e davanti a ng diventa
u.
/e/ atona (<i breve, e lunga, e breve, dittongo AE, dittongo OE) tende a chiudersi in /i/
/o/ atona (<o breve, o lunga, u breve, dittongo AU) spesso passa a /u/
Passaggio ar>er
Labializzazione in protonia
Vocali palatali (/e/, /i/) si labializzano in /o/ (talvolta in u) davanti a bilabiali (m, p, b), labiodentali (f, v) o
nesso labiovelare (kw)
LE SEMICONSONANTI
U in latino classico poteva essere di durata brevissima e formare una sillaba con la vocale seguente
assumendo il valore della semiconsonante w. W>V in posizione iniziale di parola o in posizione
intervocalica. Beluam>belva
I prevocalica nel latino classico poteva avere valore semiconsonante di j. In italiano la j iniziale e
intervocalica del latino ha prodotto l’affricata palatale sonora d3, iam>già, iulius>giulio, peius>peggio.
CONSONANTISMO
Dal consonantismo latino a quello italiano si verifica solo la perdita di una consonante, l’aspirata h, ma ci
sono sviluppi di vari foni che il latino classico non conosceva, come la fricativa labiodentale sonora v, la
sibilante sonora z, tutte le consonanti palatali.
Consonanti conservate per lo più inalterate sono la d, m, n, l, r, f ma ci sono sempre fenomeni accidentali
che possono portare anche queste consonanti a mutamenti.
In latino la c e la g avevano suono gutturale (k e g). le occlusive velari si sono palatalizzate dando come esito
le affricate palatali: ceram>cera, gentem>gente. All’interno di parola la k ha subito lo stesso sviluppo
(crucem>croce, machinam>macina) mentre la g oltre a palatlizzarsi ha assunto un suono intenso:
legem>legge oppure la g cade: sagittam>saetta.
Lo stesso esito della affricata palatale sonora g si è avuto a partire da j semiconsonante in posizione iniziale
o intervocalica, se intervocalica anche qui la g assume un suono intenso: iesus>Gesù, iocum>gioco,
maiorem>maggiore.
Spirantizzazione di b
V in italiano può anche essere lo sviluppo della w semiconsonante latina e anche qui talvolta cade
(amavi>amai).
Occlusive sorde latine p t k intervocaliche o tra vocale e r si sono spesso trasformate nelle corrispondenti
sonore.
c>g: lacum>lago
Italiano di base conserva consonanti intense latine (le doppie tipo in annum, caballum, terram).
Nel latino volgare le doppie aumentarono in seguito a sincopi vocaliche (vedi sincopi più sotto,
Mat(u)tinum>mattino).
Rispetto al latino classico l’italiano accetta in misura molto più ridotta i nessi consonantici, diventati ancora
più numerosi nel latino volgare con la caduta delle vocali. Generalmente si ha la sincope di una delle
consonanti o assimilazioni regressive,
Nessi conservati
Nesso ns
Nessi gn e ng
Nessi ps, sc e cs
Sk>sc: piscem>pesce
Ks(x)>ss: saxus>sasso
Ks(x)>sc: laxare>lasciare
Nessi ct e pt
Pt>tt: ruptum>rotto
Nel latino classico la w poteva essere preceduta da k (sia a inizio che all’interno di parola, quando, equus) o
da g (solo all’interno preceduta da nasale, come sanguem, linguam). Con queste consonanti costituiva il
nesso labiovelare.
Pj>pp: sapiat>sappia
mJ>mm: simia>scimmia
vj>bb: caveam>gabbia
Nessi dentale+jod
Nesso r+jod
In Italia, caduta di j: denarium>denaro (si conserva esito toscano nel composto salva-danaio)
Nessi di consonante+l
Bl>bj: neb(u)lam>nebbia
Fl>fj: florem>fiore
Consonanti finali
In posizione finale le consonanti latine cadono senza lasciare traccia (già in latino classico la m finale in
poesia). Soprattutto nei monosillabi ma non solo, a caduta di consonante finale corrisponde per una sorta
di compensazione la pronuncia intensa della consonante iniziale della parola seguente (vedi
raddoppiamento fonosintattico sotto). Alcuni casi di conservazione nei monosillabi in nasale (in, non,
con<cum).
ACCENTO
Accento latino era melodico e legato alla durata delle vocali, quello italiano è di natura intensiva. Accento
italiano cade di norma dove cadeva nella parola latina dalla quale deriva, in latino la posizione era regolata
in base alla quantità della penultima sillaba che veniva accentata se conteneva una vocale lunga o anche
una vocale breve seguita da due consonanti.
ACCIDENTI GENERALI
Prostesi
Aggiunta di uno o più foni a inizio parola (iscritto al posto di scritto, isdegno, isvizzera)
Epentesi
Epitesi
Aferesi
Caduta di uno o più foni a inizio parola (ec-cum istum> questo, cade ec; ab-sentia>senza)
Sincope
Apocope
Caduta di uno o più foni a fine parola (finale di verbi infinito+pronomi clitici, vocale dell’aggettivo+mente:
dar(e)ti; sottil(e)mente). Apocope può avvenire se la vocale che cade è diversa da A, se non ha valore
morfologico di plurale, se consonante che precede la vocale che cade è una r, l, n, m e se non c’è nessuna
pausa tra la parola che precede e la parola che segue.
RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO
In particolari sequenze di due parole appartenenti alla stessa catena fonica la pronuncia dell’italiano
standard prevede un rafforzamento della consonante iniziale della seconda parola se la parola precedente
termina in vocale e la successiva in una consonante tenue (non medioforte, ossia prima di un'altra
consonante; nemmeno intensa per natura come gl, gn, sc). Tra le due parole non ci devono essere pause
come punti o virgole.
La grafia segnala questo comportamento solo quando le due parole si sono univerbate per comporre un
composto, come affresco, ebbene, ovvero, soprattutto.
I manoscritti antichi non sempre separano le parole ma spesso segnalano questo raddoppiamento che per
convenzione nelle edizioi critiche moderne di quei manoscritti sono contraddistinte da tale grafia che viene
mantenuta pur separando le parole (e.g. a tte al posto di a te).
Le parole che provocano raddoppiamento fonosintattico sono molti monosillabi, alcuni bisillabi, e tutte le
parole ossitone.
Questo fenomeno dal punto di vista storico è spiegato come un fatto di assimilazione regressiva. Tra le
parole che provocano il raddoppiamento fonosintattico, moltissime in latino terminavano in consonante, la
cui caduta ha lasciato tracce, come et bene > ebbene; aut vero>ovvero. Successivamente in Toscana il
fenomeno si sarebbe esteso per analogia a tutte le parole ossitone entrate nel lessico italiano.