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15/10 LEZIONE 4

venerdì 15 ottobre 2021 12:32

Stavamo parlando del coefficiente laringeo e abbiamo parlato del VOT.

Se abbiamo un ba di babbo, e vediamo che il momento in cui termina l'articolazione di "b" ci chiediamo
quanto tempo dobbiamo aspettare perchè inizi la vibrazione di corde vocali, in realtà questo è un tempo
negativo, ovvero la vibrazione è già iniziata perché "b" è un occlusiva sonora. Quindi si può dire che le
sonore hanno un VOT in negativo. Quando abbiamo un "ta" di tavolo e ci chiediamo quanto tempo
passa prima che inizino a vibrare le pliche vocali, questo è un tempo che c'è ma è molto breve perché
sappiamo che se esplode l'occlusiva passa un intervallo di tempo impercettibile prima che inizi a
produrre vibrazione. Se l'intervallo invece è consistente, quindi questo VOT diventa positivo e
sensibilmente lungo (in millisecondi), allora noi abbiamo una fase in cui percepiamo di fatto il rumore
dell'aria che passa attraverso la glottide quando non ha ancora iniziato a vibrare, quindi abbiamo un
rumore fricativo laringale in quanto la glottide funge da restringimento (diaframma) al flusso dell'aria.
Quando il VOT è positivo è come se sentissimo una breve h dell'inglese subito dopo l'esplosione della
consonante. Infatti in IPA si mette una piccola h ad esponente per scrivere questi suoni.
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Occupiamoci del terzo parametro necessario per classificare una consonante: il luogo di articolazione,
cioè qual è il diaframma che crea quest'ostacolo per cui possiamo dire che il suono è consonantico.
Introduciamo la tabella IPA.

Diaframma bilabiale: questo diaframma produce le occlusive p sorda di pollo, b sonora di bollo, la nasale
m di mamma. Le fricative bilabiali sono dei suoni molto rari: si indicano con un ϕ e un β che, per un
parlante italiano che non studia giapponese, per capire com'è fatta la fricativa bilabiale sorda si deve
immaginare un toscano che parla con la spirantizzazione quando pronuncia la parola "tipo". Chi studia
giapponese capisce bene questo suono perché il giapponese non ha la f dell'italiano ma questa ϕ, es.
firumu. Il corrispettivo sonoro, β, è la b dello spagnolo.
L'italiano non ha queste fricative, ha le fricative labiodentali, ovvero il diaframma è dato dal labbro
inferiore contro gli incisivi superiori (la f sorda e la v sonora). Abbiamo anche la nasale labiodentale ɱ
che noi in italiano pronunciamo spesso perché la realizziamo quando abbiamo una nasale seguita da f o
v, dato che le nasali dell'italiano quando sono seguite immediatamente da una consonante si
conformano al luogo diaframmatico della consonante successiva. E' importante soprattutto per le
sequenze in cui una nasale è seguita da una labiodentale e quella in cui una nasale è seguita da una
velare perché anche in questo caso quando faremo la trascrizione dovremo segnalare questo fatto e
quindi scrivere "ancora" con la ŋ velare e "anfora" con la ɱ labiodentale.
Dopo di che abbiamo tre luoghi diaframmatici che utilizzano l'apice della lingua, che sono il luogo
dentale, alveolare e postalveolare. Il luogo dentale e il luogo alveolare nella maggior parte dei casi non
sono in opposizione fra loro. In italiano la distinzione tra alveolari e dentali non serve per distinguere
delle parole, e in poche lingue del mondo questo in effetti avviene. Perciò in molti casi possono essere
considerati congiuntamente: chiaramente c'è una distinzione articolatoria dovuta al fatto che nel caso
delle dentali l'apice della lingua è in contatto con gli incisivi superiori, mentre nel caso delle alveolari è in
contatto con gli alveoli. Non ci sono simboli distinti nel caso delle occlusive, quindi il simbolo t è valido
sia per le dentali che per le alveolari. Quando si vuole specificare si utilizzano certi diacritici. La t
dell'italiano è in genere articolata come dentale, mentre la t dell'inglese è articolata come alveolare.
Occlusiva dentale sorda t di tavolo, occlusiva apico dentale sonora d.
La n dell'italiano appartiene a questa classe ed è più precisamente un'alveolare. Le alveolari dell'italiano
solo la n nasale, la vibrante r e l'approssimante laterale l.
La monovibrante ɾ si trova in spagnolo e in giapponese per esempio.
Poi abbiamo le fricative: ci sono due coppie, una di dentali e una di alveolari. Nella seconda coppia
abbiamo la s di sole e la z di sbagliato. Quello che distingue la seconda coppia dalla prima coppia che
sarebbe la θ inglese di think e la ð di that, in realtà non è solo la posizione della lingua, ma anche la
forma. In θ e in ð abbiamo un'articolazione dentale, in alcuni casi addirittura un'articolazione detta
interdentale, tanto che in alcune descrizioni dell'inglese si dice che la θ di think è un interdentale. Non è
tuttavia preciso perché non tutti i parlanti inglesi la realizzano con posizione interdentale.
L'altra differenza è che la lingua ha una forma diversa nel caso di θ e ð in quanto la lingua è piatta,
mentre nel caso di s e z la lingua è solcata nel senso che ha i bordi leggermente sollevati e la parte
centrale più abbassata. Questi suoni sono in opposizione con la s e la z in diverse lingue per esempio in
inglese ma anche in arabo.
In questa serie c'è la terza coppia di postalveolari che invece è molto diversa dalle altre due, ed è un
diaframma in cui di nuovo è coinvolto l'apice della lingua ma la zona è nettamente più arretrata rispetto
alla zona alveolare. Questo diaframma produce la ʃ di scena che è una fricativa postalveolare sorda. Se
facciamo vibrare le corde vocali abbiamo la fricativa post alveolare sonora che scriviamo con la ʒ che
sarebbe la r francese di jour.
In italiano abbiamo anche delle affricate post alveolari, una sorda e una sonora: la prima la scriviamo
con tʃ che è la c di ciao, mentre la dʒ è la g di giada. In realtà l'italiano ha anche delle affricate dentali,
una è la z di pazzo che scriviamo ts che è sorda, e l'altra è la sonora di zona che è dz. Qui ci interessa
anche l'approssimante laterale (o laterale) alveolare che è la l di luna.
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IN ARABO
Le faringalizzate sono indicate con il simbolo ʕ. La faringalizzazione è un caso di diaframma secondario.
Ciò che distingue una d non faringalizzata da una dʕ faringalizzata è il fatto che nella produzione della dʕ
faringalizzata, oltre ad accadere tutto quello che deve accadere per produrre la d di dente, in aggiunta la
radice della lingua si sposta all'indietro e in questo modo restringe la sezione della faringe perché la
radice si avvicina ad essa. Il diaframma faringale è l'unico diaframma che quando si restringe lo fa lungo
l'asse anteroposteriore e non verticale come gli altri diaframma. Questo processo non solo varia il
rumore ma soprattutto cambia il timbro delle vocali adiacenti.
L'arabo ha 6 ostruenti dentali/alveolari non faringalizzate (slide^) + 4 faringalizzate. In questo caso non
ha la distinzione tra i due tipi di fricativa (la fricativa si presenta come una s di sole faringalizzata nel caso
delle sorde, nel caso delle sonore - la dʕ -la questione è un po' più controversa).

Schema arabo 6 non faringalizzate

Schema arabo 4 enfatiche (faringalizzate)

Sia nell'ordine sia nel meccanismo di utilizzo del puntino come diacritico c'è una specie di relazione
incrociata: se io prendo il simbolo della fricativa sorda e ci metto il puntino ottengo un suono che non è
ne fricativo ne sordo ma è occlusivo e sonoro. Se prendo il simbolo dell'occlusiva sorda e ci metto il
puntino ottengo un suono che cambia perché diventa fricativo sonoro.
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Tornando alla tabella IPA:
Il diaframma retroflesso è un diaframma particolare. Più o meno sta nella zona post alveolare ma si
caratterizza per il fatto che la lingua ha la punta rivoltata all'indietro e quindi la superficie della lingua
che va ad affacciarsi all'arcata superiore è la superficie inferiore della punta della lingua. Questi suoni
sono suoni che i parlanti italiani conoscono, per esempio la d di beddu in siciliano che è un' occlusiva
retroflessa sonora. Abbiamo l'occlusiva sorda corrispondente ʈ , la nasale ɳ e così via. La codina è
caratteristica delle retroflesse. Ci sono anche le fricative
ʂ e ʐ.
Dopo abbiamo il diaframma palatale dove abbiamo la ç che è una fricativa sorda. La cosa che va detta è
che dalle palatali alle uvulari abbiamo tre diaframmi che utilizzano tutti il dorso della lingua, quindi
dentali alveolari e postalveolari usano l'apice della lingua, le retroflesse usano l'apice della lingua
retroflesso, le palatali velari e uvulari usano il dorso della lingua. Le definizioni sarebbero quindi
rispettivamente: apico dentale, apico alveolare, apico postalveolare, dorso palatale, dorso velare, dorso
uvulare.
Esistono anche i termini palato-alveolare e alveolo-palatale: il primo è un sinonimo di post-alveolare;
alveolo palatale è una palatale particolarmente avanzata tanto da essere vicina agli alveoli. Non c'è una
colonna per le alveolo palatali ma ci sono delle fricative alveolo palatali, una sorda e una sonora:

Il cinese ha le alveolo palatali. Le palatali del cinese dal punto di vista articolatorio sono delle alveolo
palatali. Attenzione perché il cinese ha anche delle retroflesse.

Alcuni trattano le retroflesse del cinese come se fossero delle particolari post alveolari, ma nella
descrizione più diffusa del sistema consonantico del cinese abbiamo questa schematizzazione (slide^).
Se prendiamo le ostruenti del cinese articolate nella zona tra i denti e palato duro troviamo questi suoni:
Nella zona dentale/alveolare abbiamo 5 suoni: due occlusive (t sorda e th aspirata), una fricativa (s) e
due affricate (la ts sorda e la tsh aspirata). Tra parentesi tonde nella slide ci sono i segni grafici
corrispondenti.
Poi abbiamo una serie di retroflesse e una serie di alveolo palatali che hanno solo affricate e fricative.
Nel pinyin i suoni retroflessi sono scritti con l'h che indica retroflessione. (zh, ch, sh)

Nel diaframma palatale vero e proprio in italiano abbiamo due palatali che sono due sonoranti, la ɲ
nasale di gnomo e la ʎ laterale di paglia. Poi abbiamo l'approssimante palatale che è la j di ieri. Questo
diaframma può creare delle occlusive che sono la c sorda e la ɟ sonora che sono più avanzate delle velari
occlusive. Per quel che riguarda le fricative, nelle lingue europee il "ch" del tedesco nella maggiorparte
dei casi quando non è preceduto da una vocale centrale o posteriore rappresenta una fricativa palatale
sorda ç (di "ich") e la corrispondente sonora ɟ.
Passiamo al diaframma velare: abbiamo i suoni più diffusi, la k di cane e la ɡ di gatto, rispettivamente
sorda e sonora. Sono suoni dati dal dorso della lingua accostati al velo del palato. La ɡ è scritta con un
carattere diverso dalla g. Quindi se dobbiamo scrivere ghepardo si scrive [ɡe…]. In italiano pronunciamo
la ŋ nasale velare solo davanti alla k o g: quindi quello che realizziamo non è la n di naso. Abbiamo poi le
due fricative che sono la x che ha un'articolazione simile alla k di casa ma il diaframma non è
sufficientemente chiuso da creare un'occlusione ma solo fruscio. Ad avere questi suoni è l'arabo, che ha
sia la sorda che la sonora fricativa velare:

Il cinese ha pure la fricativa velare sorda x che in pinyin è scritta con h. In italiano la h è un diacritico che
ha una serie di funzioni particolari per distinguere alcune parole o suoni quindi non indica nessun suono.
(nella trascrizione italiana in IPA non si mette MAI la h.) Siamo soliti associare la h all' h dell'inglese che è
una fricativa glottidale.
Passiamo al diaframma uvulare: sarebbe la forma estrema del diaframma velare, cioè un diaframma che
coinvolge ancora il dorso della lingua che si solleva ma in corrispondenza dell'estremità posteriore del
velo del palato, cioè la parte pendula chiamata ugola. Questo diaframma interviene per i suoni come la
vibrante del tedesco, la fricativa sonora del francese (rispettivamente la r tedesca e francese) ma è un
diaframma che è anche in grado di produrre delle occlusive (q G)
L'arabo ci aiuta a capire queste occlusive uvulari perché possiede quella sorda, q. (qalb di cuore)

La lettera q in realtà in italiano non serve perché nella trascrizione non c'è distinzione tra la q di quadro
e la c di cuore (è sempre k). Stessa cosa per latino e greco.
C'è sempre stata però perché questo alfabeto i greci l'avevano preso dal fenicio e il fenicio come l'arabo
aveva un'occlusiva uvulare contrapposta a un'occlusiva velare. Così hanno usato la q in alcuni contesti
con alcune vocali e poi questo simbolo ce lo siamo trascinati fino all'italiano.
Acqua si scrive [ak:wa], cq indica solo il prolungamento della k, non serve a un cazo.

Poi abbiamo le faringali che dobbiamo trattare rispetto all'arabo che usa questo diaframma. E'
particolare per due ragioni. È l'unico diaframma disposto in senso anteroposteriore. Nelle velari la radice
della lingua arretra e restringe la faringe. Nelle faringalizzate questo restringimento non è usato per
creare frizione ma per cambiare le masse d'aria e quindi il timbro. Nelle fricative faringali è utilizzato per
produrre frizione, generando fruscio. Questo diaframma però non sarà mai in grado di creare
un'occlusiva perché la lingua non riesce a realizzare una chiusura ermetica arretrando nella faringe.
Le fricative faringali sono una sorda e una sonora ħ e ʕ e sono presenti in arabo.
L'arabo ha due fricative velari che nella traslitterazione si indicano come h con semicerchio sotto e g con
puntino, e due fricative faringali che si indicano con h con puntino e un semicerchio. Le fricative
faringali corrispondono a:

Poi abbiamo la fricativa laringale in arabo.

Abbiamo due fricative glottidali come se fossero una sorda e una sonora ma in realtà bisogna dire che
questa colonna ha uno statuto particolare, ovvero le glottidali non possono essere considerate delle
vere ostruenti per le loro caratteristiche acustiche. Bisognerebbe considerarle a parte. La ɦ non è una
fricativa glottidale sonora: dobbiamo immaginare che è impossibile produrla perché per avere una
fricativa devo avere un diaframma che si presenta come restringimento ma comunque aperto, per avere
una sonora devo avere pliche vocali accostate che si aprono e si chiudono del tutto in continuazione.
Questa glottidale sonora è in realtà possibile perché è mormorata. Le pliche sono messe così:

Dunque non sono accostate del tutto. Abbiamo voce mista a fruscio, quindi quando l'aria passa
attraverso la glottide posta in questo modo, abbiamo una fricativa mormorata aspirata o una qualità
della voce particolare che può essere utilizzata per produrre suoni vocalici con voce mormorata. In
sanscrito ci sono due h, la prima con un puntino sotto e una che si scrive con un h normale. Quella con
puntino sotto è l'h dell'inglese, quella senza puntino è questa h mormorata.
Resta da parlare solo dell'occlusiva glottidale che noi parlanti di lingue europee usiamo quando
sentiamo un tedesco che pronuncia una parola che inizia per vocale: in realtà non iniziano per vocale ma
per occlusiva glottidale che è una specie di piccola esplosione che si produce perché le pliche vocali sono
chiuse con tensione notevole per cui l'aria non riesce a farle divaricare e vibrare, dopo di che quando
allentiamo questa pressione l'aria riesce a farle vibrare ma nel momento iniziale c'è una fuoriuscita
considerevole d'aria che noi percepiamo come un attacco brusco della successiva vibrazione (attacco
duro).

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Utilizzo dell'IPA

In italiano la ɳ retroflessa non c'è.


La ɲ palatale è di gnomo. La ŋ velare è di ancora.

In italiano le nasali si conformano al luogo diaframmatico della consonante successiva. Siccome la t


dell'italiano non è un'alveolare ma una dentale, si potrebbe indicare con un diacritico che la n di anta è
un po' più particolare della n di naso perché diventa dentale e per indicarlo si può usare il diacritico
sotto la n di anta. Questo non sarà richiesto nella trascrizione.
Sarà sempre richiesto però il diacritico della ŋ di anca e la ɱ di linfa.
L'accento si scrive in IPA con un trattino verticale alto ( ' ) che si va a porre prima del simbolo che
rappresenta il suono iniziale della sillaba tonica.
Come fare quando abbiamo le consonanti lunghe? L'italiano è una delle poche lingue che ha le
consonanti lunghe. Es. in francese, inglese o tedesco nella forma grafica delle parole hanno le
consonanti doppie, non hanno le consonanti lunghe.
Nelle consonanti lunghe dell'italiano possiamo dire che si trovano obbligatoriamente a cavallo tra due?
La parte iniziale della consonante funge da elemento terminale della sillaba che precede, mentre la
seconda parte della consonante lunga funge da elemento iniziale della sillaba che segue. Per questa
ragione quando c'è una consonante lunga il simbolo dell'accento si mette all'interno del simbolo della
consonante lunga, es. nella colonna centrale per scrivere mattanza l'accento è sulla sillaba tan, la t si
scrive con due puntini che in questo caso è come se rappresentassero la seconda parte del suono e
quindi mettiamo il simbolo dell'accento tra la t e i due puntini. Lo stesso è valido quando abbiamo
l'affricata, es. boccetta dove mettiamo il simbolo dell'accento prima dei due puntini. Attenzione: quando
facciamo la trascrizione dobbiamo sempre indicare l'accento (sillaba tonica).
Se volete azzeccare l'accento perché non riuscite a capirlo, mettetelo sulla penultima sillaba perché la
maggiorparte delle parole italiane ha l'accento lì.

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