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FONETICA

La fonetica è la scienza che studia i suoni, sia nella produzione fisica che nella
ricezione del parlante.
I suoni sono prodotti tramite l’apparato fonatorio costituito da polmoni, bronchi,
trachea, laringe, cavità della bocca e cavità del naso. Combinando diversi foni si
possono creare un numero molteplice di parole, ma nessuna lingua utilizza tutti i
foni possibili per formare le parole.
L’aria prodotta dai polmoni passa dalla laringe e nel fuoriuscire dalla cavità orale
subisce delle modificazioni che producono suoni ben distinti:
• sonori → vengono definiti sonori quei suoni che vengono prodotti tramite la
vibrazione delle pliche (corde) vocali;
• sordi → i suoni vengono definiti sordi quando le corde vocali non si muovono.

Se l’aria prodotta dai polmoni passa attraverso le cavità nasali si avranno suoni nasali
ma se il velo palatino (parte molle del palato) ne blocca il passaggio, costringendo
l’aria a passare attraverso le cavità orali, si avranno suoni orali. Sono nasali tutti i
suoni consonantici, mentre orali possono essere sia le vocali che le consonanti.
La descrizione dei foni si basa principalmente sulla loro articolazione, cioè sul modo
in cui il nostro apparato fonatorio li produce, mettendo in atto dei particolari
movimenti con gli organi articolatori.

La fonetica si basa su una suddivisione tra vocali e consonanti, entrambe prodotte


durante la fase di espirazione, cioè mentre espelliamo l’aria dai polmoni, attraverso
diverse modalità.
Vocali → sono tutte orali e sono sonore, cioè vengono prodotte attraverso la
vibrazione delle corde vocali; l’aria che passa attraverso la laringe non incontra
ostacoli, ma solo in qualche caso un restringimento.
Consonanti → possono essere sorde o sonore, l’aria incontra ostacoli lungo il
passaggio.
Semivocali/semiconsonanti → sono suoni intermedi, prodotti quasi come le vocali
ma con il sopraggiungere di un ostacolo.

La fonetica è dunque la branca della linguistica che studia l’articolazione fisica dei
suoni detti foni, diversa dalla fonologia che ne studia il valore mentale, astratto, si
occupa cioè dei fonemi.
Fono → suono fisicamente prodotto del parlante, è un qualsiasi suono linguistico,
viene rappresentato con un simbolo fonetico racchiuso tra parentesi quadre [y].
Fonema → unità minima della lingua, non dotata di significato ma che consente di
distinguere significati (da una parola all’altra), rappresentato da un simbolo fonetico
racchiuso tra parentesi oblique /y/.
Allofono → realizzazione diversa di uno stesso fonema dovuta a variazioni sociali,
geografiche o personali → variazione fonetica (ovvero variazione di suono che non
ha valore fonologico, diversa dalla distinzione fonologica che ci consente di
distinguere il significato di due parole grazie alla presenza di un fonema)
La funzione distintiva dei fonemi è testimoniata dalla presenza di coppie minime,
cioè coppie di parole che si distinguono per un unico elemento: rata ~ rada; patto ~
matto; pazzo ~ pozzo. Se in una parola, sostituendo un fono con un altro, si ottiene
un’altra parola di senso compiuto, siamo di fronte a due fonemi (prova di
commutazione) e a una distinzione fonologica.

Il più diffuso sistema di trascrizione dei foni e dei fonemi è l’IPA (International
Phonetic Association). I foni sono elementi della comunicazione orale, del parlato. Da
secoli gli uomini li fissano sulla carta attraverso segni grafici (grafemi). Lo studio dei
grafemi e dei segni paragrafematici che si adoperano solo nella scrittura (apostrofi,
accenti, interpunzione, ecc.) è detto grafematica.
VOCALI
Toniche→ accento / Atone→ non accentate.

E’ importante fare una distinzione tra:


• Vocalismo tonico: è formato da 7 elementi, quindi di tratta si un sistema
eptavocalico rappresentato generalmente in forma triangolare.

Anteriore Centrale Posteriore


Alte i u
Medio-alte e o
Medio-basse ɛ ɔ
Bassa a

La posizione della lingua durante l’articolazione di ciascuna vocale determina


le vocali alte/medio-alte/medio-basse/basse. Questi termini si riferiscono ai
movimenti verticali della lingua mentre i termini centrale anteriore (o
palatale) e posteriore (o velare) si riferiscono ai movimenti orizzontali.
Oltre alla posizione della lingua, la distinzione delle vocali si basa anche sulla
posizione delle labbra. Le anteriori sono aprochèile, in quanto realizzate
attraverso la distensione della labbra; le posteriori sono prochèile, la loro
articolazione prevede cioè un arrotondamento delle labbra.

• Vocalismo atono: formato da 5 elementi, sistema pentovocalico.


La distinzione tra vocali medio-alte e medio-basse si annulla, le vocali saranno
quindi semplicemente “vocali medie”.

La grafia dell’italiano non segna la differenza di apertura e chiusura delle vocali


medio alte e medio basse. Si tratta di una distinzione fonologica come prova
l’esistenza di alcuna coppie minime come:

/bɔtte/ (plurale di botta) e /botte/ (recipiente per vino)


/pɛsca/ (‘frutto’) e /pesca/ (‘attività del pescare’).

Talvolta la distinzione si può segnare graficamente tramite l’accento:


• accento acuto è→ vocale chiusa
• accento grave é→ vocale aperta
La distinzione tra apertura e chiusura delle vocali medie si avverte soltanto quando
sono accentate (toniche); se sono atone la distinzione si annulla e i suoni vocalici si
riducono a cinque.
La distribuzione dei suoni in ogni lingua ha delle restrizioni: non sempre tutti i suoni,
cioè, possono ricorrere in tutte le posizioni. Per quanto riguarda le vocali, per
esempio, in italiano la u non può ricorrere in fine di parola tranne nel caso in cui non
sia tonica (più, tribù, ecc.); anche la o chiusa non ricorre mai in fine di parola, dove si
trova solo la /ɔ/ (però, contò, ecc.).

IATO E DITTONGHI
Quando due vocali appartengono a due sillabe diverse e si incontrano, si forma uno
iato: pa-é-se, le-ó-ne (diverso il caso dei dittonghi fài-da, buò-no). Quando l’incontro
tra le vocali di due sillabe distinte si realizza per l’incontro tra due parole diverse (la
entrata, lo impero), per evitare lo iato, spesso cade la vocale finale della prima
parola (l’entrata, l’impero). È un fenomeno fonosintattico (o di fonetica sintattica) e
di riduzione del corpo fonico della parola definito elisione. Si parla invece di iato
quando due vocali accostate sono pronunciate in due sillabe separate.
Si verifica:
- quando nessuna delle due vocali contigue è una i o una u (be-ato, le-ale, ero-e);
- quando una delle due vocali è una i o una u colpite da accento (mío, búe);
- in alcune parole formate con il prefisso ri- (ri-aprire, ri-avere) o, più in generale, in
cui la i è preceduta da r o da un gruppo consonantico con r: oriente, ri-one, ecc.;
- quando si tratti del derivato di una parola che aveva l’accento sulla i: viabilità (da vì-
a), spi-are (da spì-a).

Si parla di dittonghi quando due vocali contigue appartengono alla stessa sillaba. In
realtà più che di due vocali si tratta dell’accostamento di una vocale e di
un'approssimante. Le approssimanti, infatti, rivestono un ruolo importante nella
formazione dei dittonghi.

Secondo la tradizione degli studi italiani, le approssimanti si distinguono in


semiconsonanti e in semivocali, rispettivamente rappresentate nell’alfabeto fonetico
da /j/ (palatale) e [w](velare) e da /i ̯/ e /u̯ /.
La loro pronuncia è a metà tra le vocali e le consonanti; si chiamano infatti anche
consonanti approssimanti, perché il canale dell’aria si restringe molto ma non
completamente come per le consonanti. Questi foni possono comparire in italiano
solo prima o dopo una vocale appartenente alla stessa sillaba.

Le semiconsonanti seguite da una vocale costituiscono i dittonghi ascendenti,


accentati cioè sul secondo elemento vocalico: fiele /‘fjɛle/, cuore /‘kwɔre/,
biada /‘bjada/.

Le semivocali precedute da un suono vocalico formano dittonghi discendenti,


accentati cioè sul primo elemento vocalico: causa /ˈkau̯ za/, faida /ˈfai ̯da/, feudo
/ˈfɛu̯do/.
La /j/ non può mai co-occorrere con la /i/; la /w/ non può mai co-occorrere con la
/u/ e non può formare dittonghi discendenti con /i/, /ɔ/ e /o/. La /u/ non può mai
apparire in fine di parola tranne nel caso in cui non sia tonica (più).

CONSONANTI
La suddivisione delle consonanti segue tre parametri:
• modo dell’articolazione → il modo in cui richiudiamo o chiudiamo il canale
fonatorio nel passaggio dell’aria e può essere: occlusivo, fricativo, affricato,
nasale, laterale, vibrante, approssimante;
• luogo dell’articolazione → gli elementi che vengono coinvolti dal canale
fonatorio nel passaggio dell’aria e può essere bilabiale, dentale, labiodentale,
palatale, velare, labiovelare.
• grado dell’articolazione → riguarda la sordità e la sonorità ovvero se è
presente o meno la vibrazione delle corde vocali;

Modo di articolazione:
• Occlusivo: consiste in una brevissima ma completa chiusura del canale
fonatorio, detta occlusione, seguita da una brusca riapertura detta esplosione.
Le consonanti occlusive sono 6 e si suddividono in tre coppie formate ciascuna
da una sorda e una sonora.
Abbiamo le occlusive bilabiali [p] e [b], rispettivamente sorda e sonora, la cui
occlusione consiste nell’avvicinamento delle labbra e nella loro successiva
riapertura;
Le occlusive dentali [t] e [d], la cui occlusione avviene tra la punta della lingua
e i denti incisivi superiori;
Le occlusive velari [k] e [g], la cui occlusione avviene tra dorso della lingua e
palato molle (o velo).

• Fricativo: prevede che si formi nel canale fonatorio uno stretto passaggio che
consente sì all’aria di passare ma con una certa difficoltà. Il passaggio dell’aria
attraverso questo stretto passaggio genere un rumore di frizione.
Le consonanti fricative labiodentali [f] e [v], la cui frizione viene prodotta
dall’incontro tra il labbro inferiore e i denti superiori;
Le fricative dentali [s] e [z], la cui frizione viene prodotta tra la punta della
lingua e i denti;
Le fricative palatali [ ʃ ] e [ ʒ ] in cui la frizione si produce tra il dorso della
lingua e il palato.
• Affricato: ha un meccanismo simile al modo di articolazione occlusivo, ma in
questo caso l’occlusione non è seguita da una riapertura bensì da una frizione.
A causa della loro articolazione consistente in due fasi, vengono rappresentate
da un simbolo costituito da due caratteri, uno corrispondente alla fase di
occlusione, l’altro a quella di frizione.
Le consonanti affricate dentali [ts] e [dz], in cui l’occlusione e la frizione si
produce tra la punta della lingua e i denti;
Le consonanti affricate palatali [ʧ] e [ʤ], sono articolate tra dorso della
lingua e palato.

• Nasale: consiste in una completa ostruzione orale, le consonanti nasali sono


tutte sonore.
Nasale bilabiale [m] → avvicinamento delle labbra
Nasale dentale [n] → punta della lingua e denti
Nasale palatale [ɲ ] → dorso della lingua e palato

• Laterale: prevede un’ostruzione che avviene nella parte centrale del cavo
orale lasciando libero il passaggio per l’aria ai lati della lingua.
Laterale dentale [l] → punta della lingua e denti;
Laterale palatale [ʎ ] → dorso della lingua e palato.

• Vibrante: prevede una serie di brevissime e veloci riaperture e chiusure del


canale fonatorio, è presente una sola vibrante dentale [r] → punta della lingua
e denti

• Approssimante: si parla di modo dell’articolazione approssimante quando


avviene un avvicinamento tra gli organi fonatori, che crea un passaggio molto
stretto ma meno chiuso di quello di una consonante fricativa.
Approssimante palatale [j] → avvicinamento del dorso della lingua al palato;
Approssimante labiovelare [w] → avvicinamento del dorso della lingua al velo
palato.
GRAFIA E FONETICA (vedi tab. p.61/62)
E’ risaputo che tra la forma ortografica e quella fonetica, spesso non c’è
corrispondenza. L’italiano non presenta molte discrepanze tra grafia e fonetica e
quelle esistenti riguardano le consonanti. La ragione principale di tutte queste
incongruenze è dettata dal fatto che la nostra lingua utilizza un alfabeto che risponde
alle esigenze del latino, e che di conseguenza non possiede tutte le lettere per
determinati foni che , appunto, in latino non esistevano e che si sono formati
durante la lenta trasformazione del latino parlato in volgare.

L’occlusiva velare sorda /k/ ha tre grafie differenti:


• <c> davanti alla a e alle vocali velari o, u;
• il digramma <ch> davanti alle vocali palatali e, i;
• <q> in alcuni casi davanti a /w/: quando, quale, ecc., ma cuore, cuoco, ecc.

L’occlusiva velare sonora /g/ ha due grafie differenti:


• <g> davanti alla a, alle vocali velari o, u, e alla semivocale /w/ (guanto);
• il digramma <gh> davanti alle vocali palatali e, i.
• I suoni [kw] e [gw] sono definiti nessi labiovelari, rispettivamente sordo e
sonoro; devono essere sempre seguiti da una vocale.

Le affricate palatali sorda e sonora, /ʧ/ e /dʒ/, hanno ciascuna due rese grafiche
differenti:
• <c> e <g> davanti alle vocali palatali e, i (giro, cena, ecc.);
• i digrammi <ci> e <gi> davanti alla a e alle vocali velari o, u (cianotico, giallo,
ciocco, giunco, ciuco, ecc.).

La i ha in questo caso solo valore diacritico. Nella fonetica dell’italiano standard


contemporaneo, anche in parole come cielo, dove la i aveva valore fonetico (era la
semivocale del dittongo /jε/) o in latinismi come superficie, igiene, la <i> ha ormai
solo valore diacritico.

Abbiamo anche casi contrari in cui due suoni differenti hanno un solo segno
grafico.

Le affricate alveolari sorda e sonora /ts/ e /dz/ si rendono in italiano con il solo
grafema <z>:
• zaino /’dzajno/, zucca /’tsukka/.
 
In posizione intervocalica le affricate alveolari sono sempre lunghe (intense), anche
se nella grafia talvolta sono scempie e talvolta doppie:
• mezzo /’meddzo/; pizza /’pittsa/
• ma azoto /ad’dzɔto/; azione /at’tsjone/.
Anche le fricative alveolari sorda e sonora /s/ e /z/ si rendono in italiano con il solo
grafema <s>.

Le consonanti laterale palatale, fricativa palatale e nasale palatale, /ʎ/, /ʃ/ /ɲ/,
nella grafia sono rese con un digramma o un trigramma:

/ʎ/
• con il digramma <gl> davanti a /i/: gli, figli (gliene – conserva il pronome gli)
• con il trigramma <gli> davanti alle altre vocali: aglio.

/ʃ/
con il digramma <sc> davanti alle vocali palatali: scena, scivolo

con il trigramma <sci> davanti alle altre vocali: uscio

(fanno eccezione alcuni latinismi come scienza)

/ɲ/ con il solo digramma <gn>: pugno, ignorare

Nei digrammi <gli> e <sci> la i ha solo valore diacritico

CONTESTO FONETICO
In posizione preconsonantica la fricativa dentale (o alveolare) è sorda /s/ o
sonora /z/ in base al contesto fonetico:
• /’zdeɲo/(sdegno); /’skwarʧo/ (squarcio)

In posizione intervocalica /s/ e /z/ hanno valore fonologico:


• fuso /’fuso/ (arnese per filare, fuso orario) e fuso /’fuzo/ participio passato di
fondere;
• chiese /’kjεse/ (participio passato di chiedere) e chiese /’kjεze/ (plurale di
chiesa).

Le consonanti laterale palatale, fricativa palatale, nasale palatale, /ʎ/, /ʃ/ /ɲ/, e,
come abbiamo visto, le affricate alveolari, in posizione intervocalica sono sempre
lunghe, di grado intenso.

Gli allofoni sono variazioni di suono che non hanno valore fonologico. La variazione
di suono è condizionata dal contesto fonetico.
Gli allofoni dell’italiano sono:
• le velari che precedono la semivocale /j/, [kj] e [gj]: chiodo, chiesa, ghianda,
ghiotto – in alfabeto fonetico si indicano con [c] e [ɟ];
• la nasale che precede una velare [ŋ]: ancora, e la nasale che precede una
fricativa labiodentale [ɱ]: anfora.
LUNGHEZZA DEI FONI

La quantità fonologica è in grado di distinguere il significato delle parole; è un


tratto di carattere prosodico, riconoscibile, nel confronto tra gli elementi della
catena fonica, per l’intensità con cui alcuni di questi vengono realizzati.
Tutti i foni sono dotati di una durata maggiore o minore, che può variare in funzione
di vari fattori come la velocità del discorso, l’enfasi, lo stato psicofisico del parlante
ecc; essa obbedisce però anche ad alcuni fattori specifici della lingua.
Per quanto riguarda le vocali, la loro lunghezza è regolata da un meccanismo
automatico, da norme che funzionano appunto automaticamente senza che i
parlanti se ne rendano conto.
Sono lunghe tutte le vocali toniche, cioè accentate, che si trovino in una sillaba
aperta mentre sono brevi quelle in sillaba chiusa. VEDI SLIDE SILLABA E ACCENTO
L’allungamento vocalico si indica aggiungendo il simbolo [ː] dopo la vocale stessa.
La lunghezza delle consonanti invece costituisce una caratteristica molto peculiare
dell’italiano e consente di creare distinzioni tra parole di significato completamente
diverso. Essa assume valore distintivo e si produce numerosi esempi di quelle che
comunemente vengono chiamate coppie minime, cioè coppie di parole che si
distinguono per la presenza di un solo elemento fonico, in questo caso la lunghezza
delle consonanti.
Fato-fatto/ pala-palla

Nelle trascrizioni fonetiche la lunghezza delle consonanti viene rappresentata con lo


stesso simbolo [ː], ma può anche essere rappresentata semplicemente con la
ripetizione del simbolo. Es: palla → [palːa] o [palla].
Un’altra caratteristica dell’italiano è che alcune consonanti vanno pronunciate
sempre lunghe, anche se la grafia non lo segnala. E’ il caso delle affricate dentali [ts]
e [dz], rispettivamente sorda e sonora, in parole come ozio o azoto, scritte con una
sola <Z> ma pronunciate lunghe. Lo stesso accade per consonanti rappresentate con
due o tre lettere diverse come in pesce o aglio o ragno.

FENOMENI DI COARTICOLAZIONE
Per coarticolazione si intende quel processo per cui i foni, all’interno di una parola
subiscono il condizionamento dei foni precedenti o successivi, modificando alcune
delle proprie caratteristiche. Si parla di assimilazione e raddoppiamento
fonosintattico.
Assimilazione-> i principali fenomeni di assimilazione sono di tipo regressivo,
prevedono cioè che una certa caratteristica di un fono si applichi a quello che lo
precede. I due più importanti sono:

• Assimilazione di sonorità → l’assimilazione regressiva di sonorità colpisce la


fricativa dentale quando è seguita da una consonante, che quindi ne
acquisisce il tratto di sonorità. Dunque la fricativa dentale sorda [s] sarà
sempre sorda davanti a consonanti sorde [p-k-t-f]; mentre la fricativa dentale
sonora [z] sarà sempre tale davanti a consonanti sonore [b-d-g-v- dʒ-m-n- ɲ-l-
r] VEDI SCHEMA p.53

• Assimilazione di luogo di articolazione → l’assimilazione regressiva di luogo


dell’articolazione colpisce le consonanti nasali, quando seguite da un’altra
consonante, che ne assimila quindi il luogo di articolazione. Dunque se una
nasale [m] è seguita da una bilabiale [p-b] anch’essa è sempre bilabiale; se è
seguita da dentale [t-d-s-l-r], è dentale; si ha assimilazione anche quando la
nasale è seguita da una labiodentale[f-v] o velare [k-g].
Quest’ultima regalo si applica non solo all’interno di una parole ma anche tra
parole, ossia in tutti i casi in cui una parola termina con una consonante nasale
e la successiva inizia per consonante

Raddoppiamento fonosintattico (vedi slide).


PRONUNCE REGIONALI
La pronuncia reale dell’italiano si discosta per un elemento o per un altro da quella
descritta dalla norma dello standard. Nella maggior parte dei parlati italofoni si
osserva un vocalismo eptavocalico, conforme allo standard ma per quanto riguarda
le vocali medie (alte o basse), può variare la loro distribuzione, risultando difforme
rispetto allo standard; spesso la loro pronuncia non corrisponde con quella fissata
dalla norma. E’ il caso dell'italiano di Milano e diverse altre parti del Nord Italia, in
cui queste vocali risultano invertite.
Altri italiani regionali invece presentano un sistema pentavocalico anche in sillaba
tonica; è il caso dell’italiano parlato in Sicilia, Sardegna, Calabria, Salento ma anche a
Torino e in alcune parti del Piemonte. Un’altra variazione riguarda la [a], la cui
pronuncia in alcuni casi risulta leggermente più avanzata (Emilia Romagna-Puglia), in
altri al contrario più arretrata, tipica di molte zone della Campania.
Per le consonanti, invece, le deviazioni più diffuse nelle pronunce regionali
riguardano la lunghezza e in particolare:
1. Fenomeni di scempiamento nelle varietà settentrionali:
• assenza di raddoppiamento fonosintattico
• scempiamento delle palatali → pronuncia breve di alcune tra le consonanti
che in italiano sono sempre lunghe
2. Fenomeni di raddoppiamento in alcune varietà centro-meridionali:
in cui la regola del raddoppiamento fonosintattico è comunemente applicata
a prescindere da quali particelle lo producano e quali no.

Altre variazioni riguardano la sonorità delle fricative dentali:


• generalizzazione di sorda e sonora → nell’italiano standard in posizione
intervocalica sono presenti sia la fricativa dentale sorda [s] sia sonora [z];
diversamente da questo modello però nelle aree settentrionali viene
generalizzata la sonora [z] e al contrario nelle aree centrali e meridionali la
fricativa dentale sarà sempre sorda [s];
• fenomeni di fricativizzazione in Toscana → realizzazione fricativa delle
affricate in posizione intervocalica;
• pronuncia affricata della fricativa alveolare dopo nasale → sostituzione della
fricativa alveolare sorda con l’affricata alveolare sorda.

La variazione della pronuncia non si osserva solo in situazioni informali di


conversazione, ma anche nell’uso dell’italiano da parte dei mass media, di cui in
primis la televisione, e in situazioni formali come dibattiti parlamentari o convegni
scientifici. Il grado di accettazione nei confronti di queste pronunce non standard è
cresciuto negli ultimi decenni. I media, ad esempio, utilizzano prevalentemente
alcune varietà regionali a discapito di altre; la televisione pubblica ha principalmente
i suoi studi a Roma e anche molti giornalisti e tecnici della RAI provengono da questa
città, mentre altri vi risiedono pur non essendo originari del posto e di conseguenza
acquisiscono tratti di pronuncia tipicamente locali.
In ambito storico va ricordato che prima della riforma del 1975, la RAI assumeva
come lettori dei telegiornali e giornali radio solo i lettori di professione, cioè coloro
che avevano appreso la pronuncia standard attraverso specifici corsi di dizione. A
partire dai cambiamenti introdotti dalla riforma, le notizie vengono lette o
presentate sia da giornalisti provenienti da Roma, come anche da altre aree del
paese. Quindi non più parlanti standard, ma portatori di accenti regionali.
Tutto ciò finisce nel creare nel pubblico dei lettori e telespettatori una sorta di
assuefazione riguardo determinate caratteristiche presenti nella pronuncia centro-
italiana e tra le più diffuse ricordiamo:
• l’allungamento di [b] e [ dʒ] intervocaliche;
• la fricativizzazione di [ʧ] intervocalica;
• l’affricazione di [s] dopo nasale.

Un altro tratto presente nella pronuncia reale dell’italiano è l’inserimento della


vocale centrale [ə], in alcuni contesti. Si tratta di un suono vocalico assente nello
standard ma diffuso in alcune lingue come l’inglese o il francese. Questa vocale
centrale è detta tecnicamente anche schwa [ə] e viene inserita da molti parlanti in
gruppi consonantici complessi come per esempio nella parola etnico, ma anche alla
fine di parole terminanti per consonante. Oltre all’inserimento imprevisto di una
vocale centrale,nel parlato, sopratutto quello informale, si osservano casi di elisione
non previsti dalla norma e che possono colpire qualsiasi vocale finale che sia seguita
da altra parola che inizi per vocale come per esempio: l’amico americano →
l’amic’americano.

L’ITALIANO E LE ALTRE LINGUE


Apprendimento dell’italiano da parte di stranieri
La nostra è una lingua molto studiata nel mondo, sia come “lingua straniera” che
come “seconda lingua”. In entrambi i casi l’apprendimento dell’italiano avviene
attraverso corsi specifici, guidati da insegnanti, madrelingua e non, con strumenti
didattici di ogni tipo. Spesso però accade che le persone straniere non abbiano
l’opportunità di seguire alcun percorso di apprendimento guidato e che imparino
l’italiano in modo spontaneo, per contatto diretto. Questa modalità si definisce
acquisizione della seconda lingua.
Nel caso dell’apprendimento guidato ha un ruolo fondamentale la fonetica, alla
quale viene prestata maggiore attenzione, ma nonostante ciò molti apprendenti
tendono a riprodurre le caratteristiche regionali del proprio insegnante, che
inevitabilmente trasmette ai discenti il proprio italiano regionale, con i suoi tratti
fonetici specifici. Risulta molto importante anche il contatto con la lingua scritta, che
può comportare un condizionamento della forma grafica delle parole sulla loro
pronuncia.
Nel caso dell’acquisizione spontanea, i tratti regionali e anche gli usi dialettali si
trasferiscono al parlante non nativo in maniera ancora più diretta, in funzione del
contesto abitativo e lavorativo.
Per quanto riguarda l’apprendimento della pronuncia italiana, i parlanti non nativi
possono riscontrare delle difficoltà. Alcuni problemi possono dipendere dalle
specifiche caratteristiche della lingua materna, quindi vi potranno essere difficoltà di
pronuncia tipiche degli anglofoni, ispanofoni e così via; altri invece sono problemi
comuni alla stragrande maggioranza dei parlanti non italofoni.

Il sistema eptavocalico italiano, non risulta esageratamente complesso ma vi sono


tuttavia alcuni punti dove si riscontrano difficoltà specifiche come:
• vocali medio-alte/medio-basse→ in questo caso il problema dipende sia dalla
mancata indicazione del grado di apertura nel sistema ortografico italiano, sia
dalla loro assenza nel sistema fonetico della lingua nativa. E’ il caso ad
esempio degli ispanofoni, che possiedono un sistema pentavocalico;
• monottongazione e dittongazione→ la difficoltà consiste nella realizzazione di
vocali che nella lingua nativa sono articolate più o meno in maniera
dittongata, es. russofoni, anglofoni;
• vocali orali e nasali → nonostante l’assenza di vocali nasali in italiano, alcuni
apprendenti tendono a realizzarle quando la vocale orale italiana è seguita da
una consonante nasale, es. francofoni;
• vocali atone→ la difficoltà consiste nella realizzazione delle vocali atone, in
particolari quelle finali.

Il sistema consonantico italiano, più complesso, presenta sia difficoltà comuni che
specifiche come ad esempio:
• consonanti brevi e lunghe → è un problema comune, rappresentato dalla
mancata distinzione tra consonanti brevi e lunghe (scempie o doppie). Poche
lingue presentano questa opposizione nonostante la frequente presenza di
consonanti doppie nella grafia, in molte lingue, infatti, la consonante
raddoppiata corrisponde ad una pronuncia scempia.
• raddoppiamento fonosintattico → problema connesso al precedente in
quanto, se la lunghezza consonantica viene generalmente rappresentata nella
grafia attraverso l’uso delle doppie, l’allungamento della consonante iniziale in
sequenze come: a casa, a lui non è mai direttamente ricavabile dalla grafia.
• rappresentazione grafica e pronuncia → problema rappresentato dalle
discrepanze tra resa grafica e fonetica, es. per le fricative alveolari sonore [s] e
[z] cui corrisponde nella grafia un solo simbolo <S>, alcuni generalizzano la
sorda, altri la sonora; oppure la fricativa palatale sorda [ʃ] che tende ad essere
pronunciata breve quando la norma standard ne prescrive la realizzazione
lunga.

Anche l’accento rappresenta un problema in quanto la sua posizione in


italiano è libera quindi non prevedibile in base alla struttura della parola e
l’ortografia lo segnala solo quando è sull’ultima sillaba o serve a determinare
la presenza di coppie minime, dunque è necessario conoscere e ricordare la
posizione dell’accento per poter pronunciare correttamente una parola.

Apprendimento di altre lingue da parte di italofoni:


Anche nell’apprendimento delle lingue straniere da parte di parlanti italofoni vi sono
dei problemi, legati in particolare alla fonetica, un aspetto a tratti trascurato.
I problemi principali legati al vocalismo sono:
• le vocali anteriori labializzate: come sappiamo, il sistema vocalico italiano
prevede che le vocali posteriori siano tutte labializzate, mentre le anteriori
non lo sono. In alcune lingue, invece, esistono vocali anteriori labializzate: è il
caso del francese e del tedesco→ nell’apprendimento di queste lingue, gli
italofoni tendono a sostituire queste vocali per loro insolite con foni vocalici
presenti in italiano.
• la vocale di love: in inglese, esiste anche una vocale posteriore non
labializzata, corrispondente ad una [ɔ] prodotta senza labializzazione, che gli
italiani tendono a realizzare come [a].
• vocali orali: in italiano le vocali sono tutte orali, altre lingue come il francese, il
portoghese o il polacco, possiedono vocali nasali. La pronuncia di queste
vocali viene sostituita dai parlanti italofoni da una sequenza di vocale
orale+consonante nasale.
(Nella trascrizione fonetica questa qualità nasale viene evidenziata con una
tilde [~])
• vocali lunghe e brevi: in italiano la lunghezza di una vocale non rappresenta
un elemento distintivo, in altre lingue invece consente di distinguere coppie
minime di parole di diverso significato come ad esempio in inglese ship-sheep.
Dunque i parlanti italofoni, non distinguendo la lunghezza delle vocali,
pronunciano in modo errato alcune parole, creando confusione.
• schwa impropri/evitati: la schwa [Ə] pur non essendo presente nel sistema
vocalico italiano, viene inconsciamente prodotta anche quando non sarebbe
prevista → questa abitudine fonetica viene così estesa anche alla pronuncia
italiana delle lingue straniere.
In altri casi, al contrario, la schwa è prevista nella lingua straniera standard ma
non viene realizzata come tale dagli italofoni, che la sostituiscono con una
vocale “piena”, cioè con una delle sette vocali dell’italiano.
Per quanto riguarda il consonantismo i problemi principali sono:
• la lunghezza delle consonanti: l’italiano prevede consonanti brevi e lunghe,
ma in molte altre lingue la presenza di una consonante graficamente
raddoppiata non comporta necessariamente una pronuncia allungata del fono
corrispondente quindi → l’italofono tende a pronunciare a prescindere le
doppie. Analogamente, accade che l’italofono(abituato al raddoppiamento
fonosintattico in italiano) raddoppi impropriamente anche le consonanti
iniziali nelle altre lingue.
• occlusive: in genere gli italiani non hanno grandi problemi con le consonanti
occlusive nelle altre lingue, se non per l’articolazione leggermente aspirata
delle occlusive sorde in determinate posizioni, come per inglese e tedesco in
cui gli italiani tendono ad omettere l’aspirazione.
• fricative: le fricative rappresentano un grande problema per gli italofoni →
vedi esempi p.69
• omissione di [h]: in italiano non “esiste” il suono [h], nonostante la sua
presenza nell’ortografia italiana, di conseguenza gli italofoni tendono a non
pronunciarlo in altre lingue che invece lo possiedono.
• vibrante [r]: la grande varietà di suoni che possiede la lettera <R> viene spesso
trascurata dagli italofoni, che utilizzano solo la [r] italiana.

Per l’accento gli italofoni non hanno grandi difficoltà, tranne in quei casi in cui la
parola straniera è un polisillabo che ortograficamente non segna quale sia la sillaba
tonica. Sono frequenti, infatti, gli spostamenti di accento soprattutto in prestiti
dall’inglese come: performance, pronunciata pèrformance invece di perfòrmance.

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