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La fonetica è lo studio della lingua che tratta il suono,

o con termine più recente il Fono, definibile come la minima entità fonica-acustica della lingua.

La fonologia è il settore della lingua che tratta del fonema. Un fonema ha valore distintivo, non dotata di
significato in sé ma capace di distinguere due parole dal punto di vista semantico. Per esempio, CANE/PANE
sono due parole che si distinguono solo per i due suoni iniziali, /p/, /c/, che sono appunto due fonemi.
Questa coppia viene definita COPPIA MINIMA in quanto si oppongono per la minima entità linguistica, un
fonema appunto.

Nell’uso scientifico, i foni e la rappresentazione fonetica vengono indicate tra parentesi quadre mentre i
fonemi e la rappresentazione fonematica tra parentesi oblique.

I segni grafici che riproducono i foni e i fonemi sono le lettere o grafemi, il cui l’insieme costituisce il sistema
alfabetico.

Il concetto di Fonema è stato elaborato dalla linguistica STRUTTURALISTA ed è l’elemento fondamentale


della teoria della doppia articolazione di Marinet. Consideriamo, ANDAVANO; questa parola è costituita da
AND- che indica il senso di movimento; -AV- il tempo imperfetto; e -AMO la prima persona plurale. Questi
elementi sono detti Morfemi. Tuttavia, segue un secondo livello di articolazione in fonemi: AND- è costituita
da tre fonemi. Di conseguenza sono morfema è composto di fonemi.

Secondo il padre dello strutturalismo SAUSSURE: ogni segno linguistico è composto da un SIGNIFICATO,
cioè il contenuto concettuale che si riferisce al REFERENTE e il SIGNIFICANTE, l’immagine acustica, la forma
esterna.

Il sistema fonologico dell’italiano standard è costituito da 30 fonemi: 7 vocali, 21 consonanti e 2


semiconsonanti. Generalmente ci si riferisce all’Associazione fonetica internazionale.

Definiamo Consonante, un fono prodotto dal passaggio non libero dell’aria: l’aria incontra un ostacolo nella
chiusura totale o parziale della cavità orale.

Per descrivere e classificare le consonanti consideriamo:

- Il modo di articolazione;
- Il luogo di articolazione;
- L’opposizione tra sorde e sonore.

Relativo al modo di articolazione distinguiamo le consonanti in:

- Le occlusive sono quelle consonanti nella cui articolazione la cavità orale è in un primo momento
chiusa per aprirsi e far uscire l’aria;
- Le continue sono le consonanti articolate in modo continuo, con la fuoriuscita dell’aria
parzialmente ostruita;
1. Fricative: l’aria passa attraverso uno stretto canale causando una frizione;
2. Laterali: l’aria passa lateralmente alla lingua protesa verso il palato;
3. Vibrante: la lingua, protesa verso il palato, vibra;
4. Nasali: l’aria passa attraverso la cavità nasale;
5. Affricate: il suono inizia per occlusiva e termine come continua.

Relativo al luogo di articolazione distinguiamo:

- Le bilabiali: gli articolatori usati sono le labbra;


- Labio-dentali: il labro inferiore e i denti superiori;
- Dentali: la lingua verso l’arcata dentale superiore;
- Alveolari: la lingua contro gli alveoli degli incisivi superiori;
- Velari: chiusura del velo palatale;
- Palatali: la lingua verso il palato.

Infine, le consonanti possono essere sorde o sonore. Le consonanti sono definite sorde se non si verifica
alcuna vibrazione delle corde vocali; viceversa, le consonanti sono sonore se le corde vocali vibrano.

Le due semiconsonanti sono /j/ palatale e /w/velare. Si tratta di foni vicino alle vocali corrispondenti /i/ e
/u/, di durata più breve. Le semiconsonanti si trovano nei DITTONGHI ASCENDENTI: semi-
consonante+vocale; le semivocali in DITTONGHI DISCENDENTI: vocali+semivocale.

La IATO corrisponde a due vocali che non formano un dittongo.

Definiamo Vocale, un fono pronunciato senza che l’aria troci ostacoli; sono sempre sonore.

Le vocali sono 7:

- A: centrale di massima apertura;


- È palatale aperta;
- È palatale chiusa;
- O velare aperta;
- O velare chiusa;
- U v elare di massima chiusura.

Il RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO è quel meccanismo per la quale una consonante preceduto da


vocale viene appunto raddoppiata: ANDO VVIA, è VVERO.

L’ELISIONE è la caduta finale di una vocale davanti a parole inizianti per vocale ed è rappresentata
graficamente dall’apostrofo.

Il TRONCAMENTO/ APOCOPE è la caduta della parte finale di una parola preceduta sia da vocale che da
consonante.

La sillaba è costituita da un fonema vocalico o da un insieme di fonemi, tra i quali deve esserci
necessariamente un fonema vocalico. Distinguiamo le sillabe aperte, che terminano per vocale, dalle sillabe
chiuse, che terminano per consonante.

È bene conoscere le principali norme che riguardano la divisione in sillabe:

- Una vocale iniziale seguita da consonante fa sillaba a sé (E-DE-RA);


- Una consonante semplice fa sillaba con la vocale che segue (CA-SA);
- Le consonanti doppie si dividono in due sillabe (SOT-TO);
- Gruppi di due o tre consonanti diverse fanno sillaba con la vocale seguente (CA-PRA);
- Dittonghi e trittonghi sono indivisibili (IE-RI; A-IUO-LA);
- possono essere divise le vocali in iato (PA-U-RA);
- Diagrammi e trigrammi non si dividono (A-GLIO).

L’accento in italiano è di tipo dinamico, cioè conferisce maggiore Intensità alla sillaba accentata. L’accento
in italiano è LIBERO/MOBILE e questo determina il suo carattere distintivo e quindi la presenza di COPPIE
MINIME, due parole che si differenziano solo in base alla posizione dell’accento.

Le sillabe accentate si chiamano toniche, quelle non accentate atone. All’accento primario che distingue le
toniche dalle atone, può seguire nelle parole lunghe e soprattutto composte un accento secondario:
ASCIUGAMANO.
La maggior parte delle parole italiane sono accentate sulla penultima sillaba e vengono definite piene o
PARATOSSINE. Se l’accentuazione cade sull’ultima sillaba vengono definite tronche o OSSITONE, se
l’accento cade sulla terz’ultima sillaba è sdrucciole o PARAPAROSSITONA.

Le parole prive di accento sono detto clitiche: le enclitiche se si appoggiano alla parola precedente
unendosi graficamente: DIRVI; proclitiche se si appoggiano alla parola che segue senza unirsi
graficamente: MI VEDE.

Passando all’accento grafico lo richiedono necessariamente le parole tronche bisillabi/trisillabi, alcuni


monosillabi, alcuni monosillabi che devono essere distinti da parole identiche con significato diverso e gli
omografi. Quanto all’uso dei diversi accenti grafici: l’accento acuto per le vocali chiuse; il grave per le
aperte.

L’intonazione riguarda le modalità di pronuncia di insiemi di parole detti GRUPPO TONALI. Gli elementi che
distinguono i gruppi tonali sono i toni, cioè la frequenza delle corde vocali; la distribuzione e intensità degli
accenti. L’andamento intonativo di un enunciato viene chiamato TONIA che può essere:

- Conclusiva discendente;
- Interrogativa ascendente:
- Sospensiva.

L’intonazione viene rappresentata graficamente dai punti esclamativi, interrogativi o di sospensione.


Tuttavia, l’intonazione dipende dalla variazione regionale o diatopica.

MORFOLOGIA:

Con morfologia si intende il settore della lingua che tratta la forma delle parole. Nell’ambito della
morfologia distinguiamo la morfologia flessionale che si occupa di studiare e descrivere la flessione delle
parole e cioè la loro modificazione formale in relazione alle loro diverse funzioni grammaticali; e la
morfologia derivazionale che si occupa di analizzare i meccanismi che stanno alla base delle derivazioni di
parole da termini-base: CAS-ETTA da CASA. Ciò si verifica aggiungendo un suffisso alla fine della parola o un
prefisso all’inizio. Di conseguenza possiamo distinguere i morfemi flessionali da quelli derivazionali.

Accanto allo studio delle forme, i grammatici e i linguisti individuano un settore che si occupa della
relazione tra forma e funzione, tra forma e il suo uso in unione con altre parole. La Macro-sintassi. Per
esempio, i pronomi tonici, ad oggi, non solo hanno la funzione di completamento diretto o indiretto ma
anche funzione di soggetto.

Le parti del discorso individuate nella grammatica italiano sono 9: l’articolo, il nome, il verbo, l’aggettivo,
l’avverbio, le congiunzioni, le preposizioni e le interiezioni. Ma alla base della distinzione delle diverse parti
del discorso e dei termini che le definiscono possiamo individuare diversi criteri:

- Il criterio logico-contenutistico: che si base sul contenuto di ciò che le stesse categorie indicano, per
il nome: persone, oggetti, cose;
- Il criterio funzionale che si basa sulla funzione esercitata dalle parole;
- Il criterio distribuzionale: si base sulla posizione che la parola occupa rispetto ad un’altra all’interno
di una frase.

In relazione al primo criterio distinguiamo le parole piene con valore semantico dalle parole vuote o
grammaticale.

Applichiamo un ulteriore criterio che distingue le parole variabili (nomi, verbi, aggettivi e pronomi) dalle
parole invariabili (avverbi, preposizioni, congiunzioni e interiezioni).
ARTICOLO:

l’articolo può essere determinativo o indeterminativo.

Gli articoli determinati sono il/lo/la, i/gli/le e servono a designare una classe, una categoria già nota, già
presente nel contesto. Deriva dall’aggettivo dimostrativo latino ILLE, il quale in epoca imperiale cominciò ad
essere usato come articolo.

Gli articoli indeterminativi comprendono solo le forme singolari un/uno/una e indicano un membro di una
classe, un oggetto di una categoria, una persona generica. Al plurale si usano le forme alcuni/e/o gli articoli
partitivi che nascono a partire dalla preposizione DI e indicano una parte del tutto, una quantità
indeterminata.

NOME:

la fondamentale distinzione di tipo logistico tra nome e sostantivo, che indica una sostanza, e verbo che
indica un processo, risale ai tempi greci: tale opposizione si rivela però in alcuni casi inadeguata in quanto
esistono nomi che indicano un processo come COMPRENSIONE ed esistono verbi che indicano uno stato
come ESISTERE.

Il nome varia nel genere e nel numero. La classificazione dei nomi prevede la distinzione tra:

- Nomi propri che indicano un particolare individuo di una specie o categoria;


- Nomi comuni che indicano ogni possibile individuo di una specie o categoria;
- I nomi collettivi indicano un gruppo di individui;
- Nomi concreti, oggetti percepibili ai sensi;
- Nomi astratti, elementi non materiali.

Un’ulteriore classificazione è tra:

- Nomi numerabili: oggetti o entità delimitabili che possono esistere anche in una pluralità;
- Nomi innumerati: che non ricorrono al plurale.

Dal punto di vista morfologico individuiamo due irregolarità:

- I nomi maschili che terminano in -CO o -GO possono formare il plurale in -CHI / -GHI o in -CI / -GI
senza si possa indicare una regola precisa. Alcuni termini possono presentare entrambe le forme
come ARCHEOLOGI/-GHI;
- I nomi femminili che escono al singolare in -CIA / -GIA generalmente al plurale mantengono la i se
la consonante palatale è preceduta da una vocale, la perdono se la consonante palatale è
preceduta da un’altra consonante: MANCIA/MANCE.

AGGETTIVO:

può essere considerato quella parte variabile del discorso ci varia nel genere e nel numero e che serve a
modificare il nome a cui si riferisce dal punto di vista della qualità e della determinazione.

L’aggettivo qualificativo può avere una funzione attributiva, se si collega al nome, funzione predicativo, se si
collega al verbo e funzione avverbiale, se usato al posto di un avverbio.

L’aggettivo qualificativo può esprimere il grado in cui la qualità è posseduta: grado comparativo (di
maggioranza o di minoranza) e grado superlativo (assoluto e relativo). È generalmente collocato dopo il
nome.

Nella categoria di aggettivi determinativi rientrano i possessivi, gli indefiniti, gli interrogativi e i numerali. I
dimostrativi sono tradizionalmente distinti secondo il sistema tripartito: QUESTO/CODESTO/QUELLO.
PRONOME:

Il termine “pronome” indica una parola che sostituisce il nome, ma in realtà può sostituire un’altra parola
diversa dal nome o addirittura un’intera frase; può avere funzione deittica cioè quella di indicare qualcosa o
può collegare due proposizioni.

I pronomi si distinguono in pronomi: personali, possessivi, dimostrativi, interrogativi, indefiniti e relativi.

Per quanto riguarda i pronomi personali non sono considerati indispensabili in italiano. Per la prima e
seconda persona singolare si usano le forme del soggetto IO E TU mentre ME E TE come complementi
oggetti in in unione tra due proposizioni. Ci sono però alcune situazioni in cui al posto di IO E TU bisogna
usare ME E TE:

- Dopo come e quanto;


- Nelle esclamazioni;
- Dopo la congiunzione E.

Il pronome soggetto di terza persona può essere usato sia in funzione deittica quando indica una persona
presente nella situazione comunicativa sia in funzione anaforico quando riprende il soggetto espresso
precedentemente. Tuttavia, le forme LUI/LEI/LORO, tipici del parlato e nella forma scritta informale,
prevalgono sempre di più sulle forme tradizionali EGLI/ELLA; ESSI/ESSE.

Ma oltre alle ragioni di stile e di registro incidono anche ragioni più strettamente grammaticali. Queste
forme vengono usate dopo “come e quanto”, nell’esclamazione, dopo la congiunzione E.

L’uso scritto mostra una maggiore propensione all’ELLISSI DEL PRONOME personale soggetto.

Oltre ai pronomi tonici che si usano in funzione di complemento oggetto o indiretto quando lo si vuole
sottolineare, ci sono i pronomi atoni, tra i quali GLI che tradizionalmente viene usato per indicare il
maschile singolare e che viene sempre più usato per designare LORO.

Un’altra categoria particolare è quella degli ALLOCUTIVI: il tu confidenziale e il lei di cortesia.

I pronomi dimostrativi sono QUESTO/QUESTI QUELLO/QUELLI E Ciò che è ormai in disuso.

Grande importanza hanno in italiano i PRONOMI RELATIVI che congiungono due proposizioni. Il pronome
relativo più usato è il CHE, il quale può avere funzione di soggetto o di complemento oggetto.

Per i complementi indiretti viene spesso usata impropriamente la forma CHE e rientra nell’ampia
fenomenologia de CHE POLIVALENTE, il quale comprende usi del che estesi rispetto alle forme canoniche.

VERBO:

il verbo può indicare un’azione svolta o subita, uno stato in cui si trova il soggetto o una relazione tra
soggetto e predicato.

Le categorie che ne determinano le forme sono:

- Il MODO, indica l’atteggiamento che il parlante assume verso la propria comunicazione e il tipo di
comunicazione che instaura con il suo interlocutore. Il modo è anche condizionato dalla struttura
sintattica della frase, soprattutto per il subordinare che a seconda della congiunzione che le
introducono possono richiede l’indicativo o il congiuntivo.
Tra i modi finiti indichiamo: l’indicativo o modo della certezza; congiuntivo o modo dell’incertezza;
il condizionale che esprime un’eventualità e l’imperativo il modo del comando.
Tra i modi indefiniti distinguiamo: l’’infinito che può avere valore verbale o nominale; il participio
presente o passato che può avere funzione di verbo o di nome; gerundio può avere diversi valori
logici.
L’estensione dell’indicativo sul congiuntivo è un fenomeno che investe la lingua italiano, molto
presente nel parlato, poco nello scritto e riguarda: le oggettive e soggettive rette da verbi che
indicano dubbi e incertezze; il periodo ipotetico in cui si usa il doppio imperfetto indicativo rispetto
al congiuntivo e il condizionale.
- Il TEMPO indica il rapporto cronologico tra azione espressa da verbo e il momento in cui viene
proferito l’enunciato.
Il presente viene usato nei giornali anche come presente storico; o al posto del futuro;
il passato prossimo che indica un passato recente che ha ripercussioni sul presente tende a
diffondersi a spese del passato remato che indica un passato lontano che non riflette nel presente.
L’imperfetto che sembra assumere valori modali. L’imperfetto ipotetico; irreale; di cortesia; di
pianificazione.
- La PERSONA determina la flessione morfematica della forma verbali.
- La DIATESI indica se il verbo è attivo o passivo e quindi se il soggetto è agente dell’azione o
paziente.

I verbi possono essere PREDICATIVI: se indicano un’azione svolta o uno stato in cui trova il soggetto; o
COPULATIVI: se collegato il soggetto ad un aggettivo.

Oltre a queste due funzioni i verbi indefiniti possono avere funzione attributiva, analoga all’aggettivo,
avverbiale, modificando un verbo o una frase e referenziale il verbo usato come nome.

Distinguiamo i verbi transitivi che devono essere necessariamente seguiti da un complemento, e i verbi
intransitivi che non dispongono di alcuna aggiunta.

Gli ausiliari ESSERE E AVERE servono per dare luogo alle forme composte.

I verbi modali POTERE, VOLERE E DOVERE sono seguiti da un infinito senza preposizione.

Una categoria vicina ai verbi servili è quella dei VERBI FRASEOLOGICI che si costituiscono con un infinito
preceduto da preposizione oppure con il gerundio. Con questi verbi si formano le PERIFRASI VERBALI che
hanno la funzione di indicare un particolare modo di essere dell’azione del verbo: l’imminenza, l’inizio la
durata…

Distinguiamo i verbi regolari, la cui flessione segue la regolarità delle tre coniugazioni, e i verbi irregolari che
presentano irregolarità nella flessione.

I verbi difettivi non presentano tutte le forme verbali; i sovrabbondanti appartengono a due coniugazioni.

Gli impersonali non hanno un soggetto e si coniugano alla terza persona singolare e i riflessivi dove soggetto
e oggetto coincidono.

SINTASSI:

La frase può essere considerata l’unità di massima estensione nella grammatica, composta da unità
inferiori, dotata di senso compito e costituita secondo le regole sintattiche. La frase semplice è costituita da
una proposizione indipendente mentre la frase complessa o periodo da due o più prosizioni.

La proposizione è definibile come l’unità base della sintassi, all’interno di un periodo.

La frase semplice è costituita primariamente da:


- Il soggetto che è il primo elemento che completa il significato del verbo e concorda con esso. Può
essere espresso o anche sottointeso. Il soggetto può costituito da un nome, un pronome, un verbo
o da una proposizione ma anche anche da altre parti del discorso in frasi con riferimento alla
funzione metalinguistica.
- Il predicato è ciò che si dice, si predica del soggetto e indica uno stato o un’azione svolta da esso.
Può essere distinto in predicato verbale, costituito da verbi predicativi che hanno significato
compiuto e nominale, costituito dai verbi copulativi;
- Il complemento oggetto è su cui ricade l’azione compiuta dal soggetto ed espressa dal predicato ed
è a questo legato direttamente senza preposizioni;
- I complementi indiretti sono elementi che completano il significato del predicato verbale e sono
introdotti da preposizioni.

Oltre a questi elementi, l’analisi logica tradizionale individua nella frase semplice l’attributo, cioè un
aggettivo che qualifica o determina un sostantivo; e l’apposizione di un sostantivo che si aggiunge a un
altro con la funzione di caratterizzarlo.

Secondo una prospettiva elaborata dalla linguistica strutturalista e teorizzata da Tesniere si classificano
gli elementi di una frase in base alla relazione che instaurano con il verbo.

Il nucleo della frase è costituito dal verbo e da tutti gli elementi necessari per completarne il significato,
detti argomenti, con il quale il verbo si combina secondo il principio della valenza.

Oltre al nucleo possono esservi gli elementi extra nucleari, detti anche margini, elementi aggiuntivi che
specificano uno o più argomenti del nucleo.

Distinguiamo la frase semplice in:

- Frase verbale se contiene un verbo in funzione di predicato;


- Frase nominale priva di verbo in funzione di predicati. Sono molto comuni nella scrittura
giornalistica e rientrano nello stile nominale, una modalità che predilige il nome al verbo.

Dal punto di vista contenutistico e logico, distinguiamo i seguenti tipi di frase:

- La frase enunciativa o dichiarativa che contiene un’enunciazione, una dichiarazione che può essere
affermativa o negativo e in quest’ultimo caso individuiamo le negative totale, quando si nega
l’intera frase, e le negative parziali quando ad essere negata è solo una parte della frase.
- Le volitive possono esprimere un comando o un’esortazione, un desiderio, una concessione;
- Le interrogative sono caratterizzate nel parlato da un’intonazione ascendente e nello scritto dauni
punto interrogativo. Dal punto di vista logico le distinguiamo in interrogativo totali, nelle quali
l’interrogazione riguarda l’intera frase e la risposta sarà SI/NO; e in interrogative parziale in cui la
domanda riguarda uno degli elementi che compongono la frase.
Distinguiamo inoltre le interrogative disgiuntive che rappresentano un alternano tra due elementi:
caffè o latte; e le interrogative retoriche, quando si pone una domanda di cui già si conosce la
risposta;
- Le esclamative sono caratterizzate nel parlato da un’intonazione discendente e nello scritto da un
punto esclamativo, indicano stupore, entusiasmo e possono essere verbali o nominali.

Il periodo, composto da frasi legate tra loro secondo differenti modalità, rappresenta una costruzione
macro-sintattica fondamentale per le esigenze comunicative.

Le proposizioni di un periodo si distinguono innanzitutto per il loro ruolo, in principali dalla quale
dipendono le proposizioni secondarie.
Nella frase complessa le proposizioni possono legarsi secondo due modalità: la coordinazione e la
subordinazione.

Nella coordinazione o paratassi, due o più proposizioni si susseguono sullo stesso piano senza che si
stabilisca alcuna gerarchia: vi può essere una coordinazione tra principali o tra subordinate.

La coordinazione può di diversi tipi:

- La coordinazione sindetica, cioè con congiunzioni;


- La coordinazione asindetica o giustapposizione, senza congiunzione ma attenuta con segni di
interpunzione;
- La coordinazione polisendica, cioè con più congiunzioni.

La coordinazione sindetica può essere classificata in:

- Coordinazione copulativa che indica un semplice affiancamenti e vengono usate le congiunzioni


e/né;
- La coordinazione avversativa e sostitutiva che stabilisce una contrastazione tra due azioni che può
essere di due tipi: parziale e quindi avversativa con le congiunzioni ma e può; e totale quindi
sostitutiva con le congiunzioni ma, bensì invece.
- La coordinazione disgiuntiva contrappone due azioni e le congiunzioni sono o/oppure;
- La coordinazione conclusiva che aggiunge una proposizione completa alla precedente con le
congiunzioni pertanto, dunque, perciò.

Le subordinazioni o ipotassi possono essere esplicite, se il verbo è di modo finito o implicite, se il verbo è di
modo indefinito.

La classificazione dei vari tipi di subordinazione può essere fatta seguendo tre criteri:

1. Il criterio più seguito si basa sulla funzione logica svolta dalla proposizione e riproduce nella frase
complessa i costituenti della frase semplice: svo; secondo questo tipo di classificazione si
individuano quindi le proposizioni soggettive, in funzione di soggetto, le oggettive, in funzione di
complemento oggetto, poi le avverbiali riconducibili ai complementi indiretti che esprimono la
causa, il modo, la fine ecc.…
2. Il secondo criterio elaborato dalla linguistica novecentesca si base sul principio della valenza del
verbo che classifica le proposizioni in base alla loro relazione con il verbo: le argomentative,
espansione di uno degli elementi della principale, le avverbiali completano quanto espresso con
determinazioni di causa, fine, modo…
3. Il terzo criterio classifica le proposizioni in giuntive, introdotte da una congiunzione subordinata;
interrogative introdotte da pronomi e congiunzioni interrogativi e le relative introdotte da pronomi
relativi.

Le soggettive che hanno la funzione di soggetto della proposizione reggente possono dipendere da verbi
impersonali o verbi usati impersonalmente, da sintagmi composti da verbo essere alla terza persona
singolare.

- Nella forma esplicita sono costituite da un verbo finito al modo indicativo o congiuntivo preceduto
dalla congiunzione che;
- Nella forma implicita sono costituite dall’infinito da solo o preceduto dalla preposizione di.

Le oggettive devono essere distinte in dirette se corrispondono al complemento oggetto o oblique se


corrispondo al complemento preposizionale.

- L’oggettiva esplicita è introdotta dalla congiunzione che talvolta omesso o più raramente da come
- L’oggettiva implicita è all’infinito preceduto o meno da di.

LE interrogative dirette si distinguono in totali e parziali (…) possono essere introdotte dalla congiunzione se
o da pronomi, aggettivi, avverbi interrogativi. Viene usato il modo indicativo per uno stile informale e il
congiuntivo per quello formale.

Le relative sono introdotte da pronomi relativi che richiamano un elemento della reggente denominato
antecedente. È importante fare una distinzione tra relative determinative e appositive. Le prime sono
determinanti per il significato della reggente; le seconde costituiscono un’aggiunta.

- La relativa implicita presenta il verbo all’infinito ed è introdotta dalla preposizione A o dai pronomi
relativi in funzione di complemento indiretto; valore relativo possono avere le proposizioni
participiali quando sono trasformabili in relative esplicite.

Le proposizioni causali indicano la causa.

- Nella forma esplicita sono introdotte da perché e in questo caso bisogna collocarla dopo la
principale e da poiché o dalle locuzioni date che/visto che, in questo possono precedere o seguire
la reggente;
- La causale implicita è all’infinito ed è introdotta dalla preposizione per e a.

Le finali indicano il fine di un’azione. Sono più comuni in forma implicita se il soggetto è il medesimo della
principale e sono introdotte dalle preposizioni per, a al fine.

In forma esplicita sono introdotte da perché, affinché seguite dal congiuntivo o nel parlato da che
indicativo.

Le consecutive indicano la conseguenza di un’azione. In forma esplicita> che preceduto nella reggente da
avverbi, aggettivi o locuzioni. Il modo all’indicativo/congiuntivo/condizionale.

In forma implicita all’infinito>da, per o dai sintagmi: in atto di, degno di.

Le concessive

Le ipotetiche esprimono la condizione necessaria per l’avversarsi di un’azione e costituiscono insieme alla
principale il periodo ipotetico.

La subordinata condizionale è la protasi, la reggente l’apodosi. È introdotta da sé e può essere distinto in tre
tipi:

- Primo tipo o della realtà: modo indicativo


- Secondo tipo o della possibilità;
- Terzo tipo o della irrealtà: congiuntivo e condizionale.

Comparative e temporali.

LESSICO:

il lessico dell’italiano è composto principalmente da voci provenienti dal latino, da neoformazioni e da


prestiti stranieri.

Il bagaglio latino è composto da un numero di parole che provengono dal latino volgare e parlato in età
imperiale. Il settore che stufi e descrive l’evoluzione delle parole dal latino all’italiano è la grammatica
storica.

I neologismi o neoformazioni sono parole nuove create in momenti diversi della storia in base a diversi tipi
e modalità di formazione. Si distinguono in neologismi combinatori e semantici.
I neologismi combinatori si formano per derivazione o per composizione. La derivazione è caratterizzata
dagli affisi che si distinguono in suffissi, denominali (scafista), deaggettivali (stabilire), deverbali
(confezionare) e in prefissi, nominali che possono essere preposizioni, avverbi, aggettivi, e verbali, intensivi
e negativi. I prefissi non prevedono il cambiamento di categoria.

Prefissi e suffissi di carattere particolare sono chiamati prefissoidi e suffissoidi e sono tipici per la
formazione di termini tecnico-scientifici.

Nella derivazione si parla poi di parasintetici quando intervengono contemporaneamente due affissi:
decontestualizzare. Infine, gli alterati sono derivati coi particolari suffissi di base con modificazioni relative
alla qualità, quantità, al giudizio e sono i cosiddetti accrescitivi, diminutivi peggiorativi.

Differente è la composizione cioè l’unione di due elementi per creare una nuova parola. Tra i composti con
base verbale, citiamo, con l’elemento verbale al primo posto: ASCIUGAMANO. Di base nominale, vi sono
composti NOME+AGGETTIVO (terraferma) O NOME+NOME (carta moneta.

Un altro meccanismo di formazione dei neologismi è quello dei neologismi semantici cioè di voci già
esistenti alla quale si modifica il significato.

Infine, citiamo le unità lessicali superiori o unità polirematiche dovuti all’accostamento di due o più parole
per formare un’unità semantica: FERRO DA STIRO.

Ai neologismi si oppongono gli arcaismi di origine latina che hanno un impiego soprattutto letterario.

I prestiti si possono distinguere in prestiti di necessità: cioè quelli portati insieme a oggetti e usi di un
popolo straniere; e i prestiti di lusso, che sono sostanzialmente superflui.

Si distinguono poi i prestiti integrati cioè adattati al sistema fono-morfologico come bistecca a partire
dall’inglese beef streak, e prestiti non integrati come champagne.

Con calco si definisce un particolare tipo di prestito. Si ha un calco semantico quando una parola acquisisce
il significato di una parola straniera: realizzare da to realize; e si ha un calco traduzione quando si forma con
elementi indigeni una parola composta.

Osservando il prestito notiamo che la lingua italiana ha assunto molta usanza dal provenzale e dal francese,
i gallicismi, dal tedesco, i germanismi, gli arabismi e gli ispanismi. Alla supremazia del francese nel ‘700
segue quella dell’inglese a partire dal Novecento.

Un particolare tipo di prestito è rappresentato dai dialettismi e regionalismi.

La sinonimia corrisponde a due parole con significante diverso e significato uguale.

La polisemia rappresenta una pluralità di significati per un solo significante. Può essere visto dal punto di
vista sincronico, omonimia una parola con due etimologie diverse come pesca, omografi scritte uguali ma
con pronuncia diverse e omografi identica pronuncia; e in senso diacronico, i meccanismi che portano a un
mutamente del significato.
La Testualità:

il testo è il frutto di un progetto con precisi obiettivi, è un messaggio che assume un senso solo se collegato
a una situazione comunicativa. La dimensione del testo è infatti sempre interattiva: da un lato avremo un
emittente, dall’altro uno o più destinatari; ciò fa si che per la sua puntuale definizione e corretta
interpretazione siano necessarie precise coordinate extralinguistiche; il testo non è tale se non immerso in
un contesto pragmatico.

Werlich distingue cinque fondamentali tipi di testo:

1. Il testo narrativo registra un’azione, un processo nello svolgersi del tempo; è legato alla matrice
cognitiva che presiede le percezioni temporali. Gli ambiti del narrativo non include solo la
letteratura ma anche testi pragmatici: le narrazioni possono trovarsi nei giornali, nelle biografie e
nei resoconti di viaggi. Gli eventi e le trasformazioni raccontate sono disposti in una sequenza che
può coincidere con il progressivo svolgersi del tempo: in questo caso si avrà coincidenza tra la
fabula, cioè l’ordine naturale degli eventi nella loro successione temporale e causale, e l’intreccio,
cioè la reale disposizione degli eventi nel racconto. Non sempre però si ha questa coincidenza. Può
essere attuato un processo di retrospezione chiamato analessi o flashback o un processo di
anticipazione chiamato prolessi o flashforward. Il narratore può essere esterno o interno;
2. Il testo descrittivo rappresenta persone, oggetti, ambienti in una dimensione spaziane ed è
correlato alla matrice cognitiva che consente di cogliere le percezioni relative allo spazio. La
descrizione piò essere condotta secondo un criterio spaziale, da vicino a lontano, o secondo un
criterio logico, dal generale al particolare e viceversa.
Se la descrizione letteraria ricerca emotiva, più neutra e oggettiva cerca di essere la descrizione nei
testi pragmatici, specialmente di tipo tecnico. Il testo descrittivo è per sua natura scarsamente
autonomo: lo si trova solitamente all’interno di altri tipi di testo.
3. Il testo espositivo è finalizzato all’organizzazione e alla trasmissione di concetti e conoscenze
attraverso procedimenti di analisi e di sintesi. È collegato alla matrice cognitiva che permette la
comprensione di concetti generali e particolari e consente una corretta analisi dei primi e una
corretta sintesi dei secondi. Tra i testi espositivi indichiamo le enciclopedie, i manuali, i saggi.
4. Il testo regolativo ha lo scopo di indicare le regole, dare istruzioni, gli statuti, le ricette culinari.
Poiché impongono o indirizzano il comportamento dei destinari, i testi regolativi devono essere
intesi come provenienti da un’autorità.
5. Il testo argomentativo ha lo scopo di persuadere di qualcosa il destinatario convincendolo ad
accettere o a valutare positivamente o negativamente determinate idee e convinzioni. È collegato
alla matrice cognitiva del giudizio, della capacità di istituire relazioni tra i concetti di cui evidenzia le
somiglianze e i contrasti che coglie.
Innanzitutto, abbiamo un tema rispetto al quale si elabora una tesi accompagnata da un
argomento, poi si sviluppa l’antitesi; seguono due nuovi argomenti a favore della tesi e uno a
sfavore dell’antitesi. Nella conclusione si ribadiscono i concetti della tesi e si giudicano
negativamente quelli dell’antitesi.

Una proposta tipologica diversa è stata elaborata da Sabatini, seguendo il principio di rigidità/elasticità del
vincolo interpretativo posto da chi produce al destinatario.

1. Il primo gruppo presenta il vincolo interpretativo al massimo. Quindi quando l’emittente ha tutto le
intenzioni di convincere il destinatario a prendere le sue stesse posizioni ideologiche.
2. Il secondo gruppo è costruito da quei testi per i quali l’emittente vuol far raggiungere al
destinatario uno stadio di conoscenza o posizioni diverso da quello di partenza. Rientrano in questa
categoria: i testi giornalistici, i saggi critici…
3. Il terzo gruppo sono quei testi che lasciano completa libertà interpretativa al destinatario.
All’interno di questi tre grandi gruppi vengono individuate delle classi intermedie a seconda delle funzioni
di un determinato testo.

I REQUISITI DI UN TESTO:

chi produce un testo vuole comunicare qualcosa ma per fare ciò deve rispettare precisi requisiti per poter
garantire l’appropriatezza comunicativa: questi requisiti corrispondo ai 7 principi costitutivi di un testo.

1. La coesione di un testo consiste a un primo livello nel collegamento grammaticale di tutte le sue
parti e nell’ordine corretto di tutti i suoi elementi. Oltre ai rapporti grammaticali e all’ordine delle
parole, vi sono degli elementi di varia natura linguistica che contribuiscono a legare tra loro le parti
di un testo: tali elementi sono detti coesivi e possono essere distinti in due categorie: le forme
sostituenti e i segnali discorsivi.
La primaria funzione coesiva delle forme sostituenti è dovuta al fatto che partecipano al fenomeno
della foricità, rimando cioè a espressioni linguistiche precedenti, anafora, o seguenti, catafora, che
ne determinano il riferimento così da indicare la continuità tematica. Un ruolo importante è giocato
dagli iperonimi e dai sinonimi.
Un mezzo di coesione molto se mplice ma potente è l’ellissi, soprattutto del soggetto, e le
ripetizioni di uno stesso termine.
La scelta dei costituenti è anche in funzione del grado di coesione, di dipendenza reciproca tra gli
enunciati di un testo. Maggiore è l’esplicitezza del sostituente, minore è il legame tra l’enunciato
che lo contiene e il cotesto; e viceversa.
La seconda categoria di coesivi è rappresentata dai segnali discorsivi: si tratta di elementi che
appartengono a varie categorie grammaticali che hanno le funzioni primarie di indicare
l’articolazione di un testo, i rapporti tra le sue parti e ancora di collegare il testo in una dimensione
interpersonale nel caso del parlato, il cui loro uso è prevalente. Quando sono usati per collegare
delle parti di un testo assumono la funzione più specifica di connettori testuali.
2. La coerenza di un testo consiste nel collegamento logico di tutti i suoi contenuti e nella sua
continuità semantica. Possiamo allora dire che mentre la coesione riguarda l’unità di superficie, la
coerenza riguarda il livello profondo. In un testo la coerenza opera a diversi livelli: la coerenza
tematica, logica e semantica.
La coerenza tematica: se noi consideriamo un enunciato nella prospettiva dell’informazione
possiamo notare che è scomponibile in diversi parti: il tema che è l’argomento di cui si sta
parlando; e il rema, cioè l’informazione nuova.
a seconda di come tema-rema si alternano possiamo individuare cinque tipi di progressione
tematica:
- Progressione lineare: il rema di un enunciato diventa tema del successivo;
- Progressione costante: in una sequenza di enunciati il tema rimane invariato;
- Progressione a temi derivati da un ipertema o iperrema: cioè da un tema e rema più ampi; per
esempio, città è ipertema di quartiere che a sua volta è ipertema di vie e così via.
- Progressione con sviluppo di tema o di rema dissociato: il rema viene scomposto in due elementi e
diventa tema dell’enunciato che segue;
- Progressione tematica a salti: ogni enunciato presenta un tema diverso.
La coerenza logica: le azioni sono collegate tra loto da rapporti logici. Tali relazioni possono essere
causali, temporali, finali … ed esprimono la coerenza logica di intesto;
La coerenza semantica riguarda la compatibilità di significati delle parole, dei sintagmi e delle
proposizioni.
3. L’intenzionalità riguarda l’atteggiamento del parlante o dello scrivente nel volere un testo tanto
coeso quanto coerente per esprimere al meglio le proprie intenzioni comunicative;
4. L’accettabilità è la volontà del destinatario di riconoscere l’atto linguistico del mittente come testo
tanto coeso quanto coerente quanto è necessario per intendere il contesto comunicativo.
L’accettabilità dipende anche dal contesto socioculturale e linguistico del destinatario;
5. L’informatività è il grado di informazione veicolato dal testo; ciò che comunica il testo può essere
atteso o inatteso, già conosciuto o ignoto;
6. La situazionalità è la dipendenza del testo dalla situazione in cui è prodotto. Mutando la situazione
un testo può aumentare o perdere rilievo; così, ad esempio, la scritta È PERICOLOSO SPORGERSI
che possiamo leggere accanto ai finestrini del tremo è di immediata comprensione e rilevanza
proprio per la cornice comunicativa;
7. L’intertestualità è il rapporto tra un testo o più testi già conosciuti in precedenza. Spesso l’uso che
si deve fare di un testo è determinato da testi precedenti che ne indicano il senso e la rilevanza.
8. L’argomento più forte per un approccio che prenda in considerazione unità di misura più grandi
della singola frase, del singolo atto linguistico, è la coerenza del dialogo, cioè il fatto che alcuni
segmenti linguistici sono interpretabili solo come aggiunte o repliche ad atti linguistici precedenti.
L’interpretabilità è determinata dalla loro posizione, dal loro inserimento in una sequenza
convenzionale.
9. L’ampliamento del tipo di oggetto è andato di pari passo con un enorme ampliamento
dell’interesse linguistico per le produzioni orali, ossia per il parlato e quindi anche per tutti quei
fenomeni che la grammatica tradizionale ha trascurato: non soltanto le frasi “agrammaticali”, ma
per esempio i markers, ossia quei segnali discorsivi tipicamente polifunzionali che hanno
un’importanza enorme sia da un punto di vista sistemico, sia da un punto di vista rituale. Si tratta di
quei segnali che vanno da “cioè” al “praticamente”. I tipi di testo si possono anche analizzare a
partire dai tipi disegnali o connettivi. Il testo argomentativo si avvale ad esempio di alcuni connettivi
tipici (come quindi, infatti, ecc.). Un’idea che ha consentito di sviluppare l’interconnessione tra
linguistica testuale e linguistica pragmatica è l’idea che faccia parte della nostra competenza
metapragmatica il fatto di sapere molte cose che riguardano il testo, come ad esempio saper
distinguere fra un testo e un non-testo.

I principi regolativi sono tre:

1. L’efficienza è il grado di impegno che un testo richiede nell’essere prodotte e correttamente inteso;
2. L’efficacia è la capacità di un testo di fissarsi nella memoria del destinatario;
3. L’appropriatezza è l’accordo tra i contenuti e l’imposizione testuale. È inopportuno, per esempio
abusare dei termini tecnico- scientifici rivolgendosi un interlocutore ignatio di una data materia.

IL CONTESTO EXTRALINGUISTICO:

l’oggetto della linguistica pragmatica è l’uso del linguaggio all’interno di una data situazione comunicativa.
Centrale in essa è la concezione che parlare sia agire e che quindi ciascuno di noi nel suo commercio
linguistico compia degli atti linguistici.

Il punto di partenza della teoria degli atti linguistici va indicato dalla speculazione del filosofo Austin che
partiva dalla considerazione dell’esistenza di due tipi di enunciati: vi sono gli enunciati constativi cioè che
descrivono un atto e sono sottoponibili ad una valutazione di verità o falsità; e gli enunciati performativi, il
cui verbo è alla prima persona dell’indicativo presente attivo, per mezzo dei quali non solo dice qualcosa
ma si compie un’azione. I verbi di tali enunciati sono chiamati performativi. Si è però notato che ogni
enunciato può avere una funzione performativa. Ciò ha portato al riconoscimento della compresenza in
ogni atto linguistico di tre diversi atti:
- Atto locutorio: ossia il semplice atto del dire qualcosa. Ogni enunciato è una locuzione in quanto
successione di fonemi che formano parole, a loro volta disposte secondo le regole sintattiche;
- Atto illocutorio cioè l’azione compiuto nel dire qualcosa. Ogni atto illocutorio è dotato di una forma
illocutoria, cioè la tensione che chi parla assegna l’enunciato e si manifesta tramite l’intonazione o
la scelta dei modi verbali;
- Atto perlocutorio cioè l’azione compiuta col dire qualcosa. In altri termini è l’effetto che si produce
per mezzo dell’atto linguistico.

Si deve al filosofo Grice una teoria a cui si rifà la linguistica pragmatica. Osserva Grice che la nostra
conversazione si svolge normalmente secondo un principio di cooperazione: ogni interlocutore dà un
contributo adeguato al momento, allo scopo e all’orientamento del discorso. Affinché i risultati siano
conformi al principio di cooperazione devono essere rispettate quattro massime:

1. La prima massima riguarda la quantità dell’informazione da fornire e prevede che si un contributo


tanto informativo quanto richiesto e che non si sia più informativo di quanto richiesto;
2. La massima della qualità richiede di dare un contributo che sia vero e quindi che non si dica ciò che
si crede essere falso o di cui non si hanno le prove certe della sua veridicità;
3. La massima della relazione richiede di essere pertinenti;
4. La massima del modo richiede di essere perspicui, quindi di evitare l’oscurità di espressione, di
evitare ambiguità, di essere breve e ordinato nell’esposizione.

Tuttavia, queste massime vengono continuamente violate e questo fa si che l’interlocutore debba
comprendere l’implicito di quanto viene enunciato. La violazione delle massime risponde a precise strategie
richieste dalla situazione comunicativa: a volte è opportuno evitare di essere diretti, l’uso dell’ironia può
essere più incisivo di un’affermazione esplicita.

Vi sono aspetti della lingua che vengono meglio chiariti nella dimensione pragmatica.

Un fenomeno importanti è quello della DEISSI, cioè il fenomeno per il quale alcuni elementi linguistici ha
nno la proprietà di mettere in relazione l’enunciato con la situazione comunicativa in cui questo è prodotto.
Tali elementi sono detti DEITTICI e la loro corretta interpretazione dipende dalla conoscenza dei
partecipanti all’atto comunicativo e della loro collocazione spazio-temporale.

Possiamo distinguere tre tipi di deissi:

- La deissi personale ci si riferisce a coloro che partecipano nell’atto comunicativo, definendo il loro
ruolo. Si tratta dei pronomi tonici e atoni di 1 e 2 persona singolare e plurale. Consideriamo
l’enunciato IO NON VOLGIO CHE TU ESCA: IO E TU indicano rispettivamente l’emittente e il
destinatario ma la loro corretta interpretazione è vincolata alla situazione, solo conoscendo questo
siamo in grado di stabilire chi sia IO, colui che parla e chi sia TU.
Non sempre invece sono deittici i pronomi di tre persona singolare e plurale in quanto possono
svolgere la funzione di elementi anaforici o cataforici.
Va considerata anche la deissi sociale e individuiamo gli allocutivi: TU confidenziale e LEI
colloquiale.
- Mediante la deissi spaziale si indica la collocazione nello spazio di chi partecipa all’interazione
comunicativa. Sono deittici spaziali QUI, QUA, LI, LA. Attraverso questi deittici si può collegare al
centro deittico una persona, un oggetto o un luogo.
- Mediante la deissi temporale si indica la collocazione nella dimensione temporale dei partecipanti
nell’atto comunicativo. Sono deittici temporali ADESSO, ORA, ALLORA, alcuni sintagmi che
contengono un sintagma nominale di tempo: 4 GIORNI FA e i dimostrati e morfemi verbali del
presente, passato o futuro.
I COSTRUTTI MARCATI:

quando non si rispetta l’ordine non marcato che segue l’impostazione SVO.

Una frase può essere considerata marcata sotto il profilo fonologico quando presenta dei picchi
intonativi e non un elemento continuo; sotto il profilo sintattico quando l’ordine base non è rispettato;
e sotto il profilo pragmatico quando alcuni elementi vengono evidenziati per determinati fini.

Spesso la marcatezza fonetica, sintattica e pragmatica è compresente niuna stessa frase.

L’ordine delle parole all’interno di una frase, o meglio di un enunciato, può essere considerato anche
dal punto di vista della sua struttura informativa, secondo cioè l’articolazione tema-rema. Il tema è ciò
di cui si sta parlando; il rema ciò che si dice intorno al tema. Molto spesso le ragioni pragmatiche
prevalgono sulla sintassi e si da luogo specialmente nel parlato a costrutti marcati.

Dislocazione a sinistra-tema sospeso

Dislocazione a destra

Tropicalizzazione contrastiva-frase scissa. N

I DIALETTI:

il dialetto può essere caratterizzato come un sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate
e in un ambito socialmente e culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto ad un altro sistema
dominante e non utilizzato in ambito tecnico-scientifico. Il sistema dominante di cui stiamo parlando è
ovviamente l’italiano.

I dialetti, per effetto della pressione sociale e culturale che la lingua nazionale esercita su di essi, sono
soggetti a un processo di regressione linguistica; tendono cioè ad essere sostituiti dall’italiano in una
gamma d’impieghi sempre più estese e presso fasce di popolazione a mano a mano più ampie.

Berruto caratterizza la comunità linguistica in termini di un insieme di persone di estensione


indeterminata che condividono l’accesso a un insieme di varietà di lingua e che siano uniti da una
qualche forma di aggregazione sociopolitica. L’insieme della lingua e delle sue varietà, possedute da
una comunità linguistica e usate per la comunicazione, prende il nome di repertorio linguistico. Una
descrizione del repertorio focalizzata sulla funzione che italiano e dialetto svolgono porta a identificare
tre tipi di configurazione:

- La diglossia;
- La dilalia;
- E il bidialettismo.

Ciò che accomuna i tre repertori è la presenza di un rapporto asimmetrico tra codici, generalmente indicati
come codice A, ovvero alto, e codice B, basso. Alto e basso sono attributi che alludono alla capacità di un
codice di assolvere funzioni alte, o formale, e funzioni basse, o informali.

Il concetto di diglossia, introdotto da Ferguson, prevede una rigida specializzazione di funzioni dei due
codici, senza che vi sia alcuna possibilità di sovrapposizione di impiego: un codice A, trasmesso in ambito
scolastico e destinato agli usi formali, e un codice b, acquisito nella socializzazione primaria e destinato agli
usi informali.

La nozione di diglossia è stata in seguito applicata a contesti sociolinguistici che manifestano in chiaro modo
l’opposizione tra A e B, ma in cui i due codici sono sistemi linguistici distinti anziché varietà di uno stesso
sistema.
Nelle situazioni di dilalia è del tutto normale che il codice A, lingua elaborata e standard, venga impiagato
nella conversazione quotidiana e nella socializzazione primaria; sostituendo codice A con italiano e codice B
con dialetto appare chiaro come il repertorio italoromanzo sia oggi descrivibile in termini di dilalia piuttosto
che di diglossia.

Il bidialettismo è quel fenomen o per cui convivono non due sistemi linguistici ma due varietà di una stessa
lingua. Il codice A, varietà alta di una lingua e B, bassa di quella stessa lingua, possono mostrare una certa
sovrapposizione di domini di impiego ma è normale che nella conversazione sia usata soltanto B;
quest’ultima socialmente marcata e non è vista come alternativa ad A negli usi formali.

Per completezza bisogna introdurre il bidialettismo sociale che si riferisce a una situazione in cui sono
presenti due lingue distinte ed elaborate: il francese e l’italiano in Valle d’Aosta.

Lingua e dialetto si pongono però in antitesi in una linea ideale al cui interno si presentano altre due
varietà: i dialetti italianizzati e gli italiani regionali.

Il discorso bilingue è un’etichetta generica che allude alla presenza congiunta di due o più frasi, di due
sistemi linguistici o codici; quando le frasi sono collegate all’interno di una conversazione, esse possono
essere pronunciate da uno stesso parlante, o da parlanti diversi. Nel nostro caso i codici coinvolti saranno
l’italiano e il dialetto.

La commutazione di codice o code switching in senso lato è una categoria molto ampia all’interno del quale
sono individuabili diversi fenomeni, sulla base di una serie di proprietà diagnostiche. L’alternanza di codice
comporta l’uso di due codici da parte di uno stesso parlante in relazione a domini e/o interlocutori
differenti.

Per esempio, se consideriamo commerciante che si rivolge ai clienti con la lingua nazionale, egli può
benissimo usare con la moglie, in quanto abitudine, il dialetto.

Così come l’alternanza di codice, anche la commutazione di codice in senso stretto occorre nelle produzioni
di uno stesso parlante al confine di frase; la differenza tra l’alternanza di codice e la commutazione è che
quest’ultima presenta la volontà di chi la pratica di perseguire un certo effetto pragmatico,
sociocomunicativo o interazionale. Al cambio di codice è perciò possibile attribuire una funzione
nell’economia generale del discorso.

Con l’enunciazione mistilingue, il cambio di codice avviene in una stessa proposizione; il passaggio da una
lingua ad un’altra è normalmente privo di funzione pragmatica, il che fa sì che l’enunciazione mistilingue sia
principalmente studiata da una prospettiva grammaticale. Rileviamo dunque rispetto alla commutazione di
codice, due tratti distintivi: l’interfrasalità e l’assenza di valore sociocomunicativo.

Ci sono esempi di casi in cui la commutazione di codice si manifesta a livello interfrasale ma riguarda punti
diversi della conversazione e quindi produzioni di più parlanti.

Le funzioni della commutazione di codice possono essere classificate in due categorie:

- La categoria della commutazione di codice connessa ai parlanti comprende casi in cui il passaggio
da una lingua ad un’altra sia motivato dalle competenze e/o dalle preferenze linguistiche dei
partecipanti alla conversazione
- Le categorie della commutazione di codice connessa al discorso comprende invece casi in cui il p
assaggio da una lingua adunaltra sia funzionale all’organizzazione dell’attività discorsiva.

L’inventario delle funzioni pragmatico-comunicative della commutazione di codice è in ogni modo aperto e
piuttosto ricco. Per quanto riguarda l’organizzazione dell’attività discorsiva si possono menzionare casi in ci
il passaggio da una lingua ad un’altra indichi il cambio di argomento nel corso dell’interazione, intervenga a
marcare o a negare il momento conclusivo dello scambio verbale.

La commutazione di codice è ampiamente reversibile e dipende perlopiù da qual è momentaneamente la


lingua base del discorso. Il che testimonia la grande interscambiabilità e sovrapposizione funzionale di
italiano e dialetto nella conversazione.

Per comodità è opportuno distinguere le diverse proposte di interesse grammaticale in tre categorie:

1. L’approccio variazionista: l’analisi di ingenti corpora di parlato bilingue porta gli studiosi a rilevare
che la commutazione di codice è molto comune in certi contesti frasali, mentre non occorre affatto
in altri;
2. L’approccio generativista: il metodo degli studiosi che indagano l’enunciazione mistilingue cambia
radicalmente: da induttivo, procedente dal particolare al generale, passa a deduttivo. Il linguista di
scuola generativista vuole rintracciare, nel discorso bilingue le stesse regole generali che innervano
la grammatica universale. Il cambio codice non è possibile tra elementi legati da una posizione di
governo; ad esempio, il verbo governa il complemento oggetto; dunque, il verbo e il complemento
devono essere formulati nella stessa lingua;
3. L’approccio cognitivista: il nome del modello si riferisce all’ipotesi che, nell’enunciazione
mistilingue, il contributo di codici sia sempre asimmetrico, rendendo facilmente identificabili una
lingua matrice e una lingua incassata. Altra dicotomia fondamentale per il funzionamento del
modello è che quella che si instaura fra morfema sistematico e morfema di contenuto: se il primo si
identifica con morfemi grammaticali e parole funzionali, il secondo viene a coincidere con i morfemi
lessicali. La lingua matrice è la lingua che stabilisce l’ordine superficiale dei morfemi e fornisce tutti i
morfemi sistematici che intrattengono rapporti morfosintattici esterni alla testa che li governa; ad
esempio, le desinenze verbali di accordo devono richiamarsi al soggetto dell’enunciato, che si trova
al di fuori del sintagma di appartenenza, la cui testa è rappresentata dal verbo. Sono escluse da
questi principi le isole di lingua incassata.
Accanto ai morfemi contenuto si profilano tre sottocategorie di morfema sistematico: i morfemi
che intrattengono rapporti grammaticali esterni alla testa che li governa ricevono finalmente una
denominazione, quella di morfema sistematico tardivo esterno, rappresentato dalle marche
d’accordo tra soggetto e verbo. Definire la lingua matrice come la lingua che stabilisce l’ordine dei
morfemi e che fornisce i morfemi sistematici tardivi esterni nelle frasi bilingue espone i concetti
cardine del modello a un vizio di circolarità: accorerebbe infatti che la lingua matrice fosse stabilita
sulla base di altri criteri. Tuttavia, secondo Muysel non esiste un modello grammaticale
universalmente valido per spiegare il funzionamento dell’enunciazione multilingue.

Il processo del prestito conosce due fasi di attuazione: il momento dell’introduzione, dovuto a parlanti in
possesso di una qualche competenza sia nella lingua fonte sia nella lingua mutuante, e il momento
successivo della diffusione e dell’impiego.

Il prestito lessicale può essere valutato sulla base di parametri sociali, relativi alla diffusione della parola, e
formali, riguardanti il modo in cui la parola si presenta: parleremo, nel primo caso di acclimatamento e nel
secondo di adattamento. Mentre l’adattamento è giudicabile soltanto sulla base dei criteri oggettivi, il
principale parametro oggettivo utile per valutare l’acclimatamento risulta essere l’attestazione del prestito
nei dizionari, la lemmatizzazione essendo un segnale della condivisione della parola a livello comunicativo.

Definiamo ibridismo una parola che rivela il contributo di morfemi appartenenti a codici diversi. Stando a
questa caratterizzazione di natura strutturale appare che molti dei prestiti morfologicamente adattati
potrebbero essere considerati ibridismi e ciò renderebbe la categoria stessa di ibridismo pleonastica:
quando esiste già un’etichetta per descrivere un fenomeno è infatti meglio evitare di introdurne di nuove.
Il calco può essere di due tipi:

- Il calco semantico consiste nel dotare una parola della lingua A di un nuovo significato sull’esempio
offerto da una parola della lingua B;
- Il calco strutturale presuppone invece una resa, con mezzi della lingua A, di una costruzione, un
sintagma, un composto della lingua B.

Rispetto al prestito, il calcosi caratterizza per l’assenza di passaggio di materiale di superficie, comportando
un intervento più attivo e consapevole da parte del parlante al quale è richiesto un esame attento dello
stimolo della lingua modello.

Un esempio di calco semantico dal dialetto all’italiano è il verbo comprare, che in area piemontese, veneta
e siciliana assume accanto il significato di comprare anche quello di partorire. La parola comprare è dal
punto di vista formale italiana ma dal punto di vista semantico dialettale.

Accade anche che una costruzione dialettale venga riprodotta con elementi lessicali italiani: avremo allora
un calco strutturale.

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