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Fenomeni Linguistici - Riassunto Serianni

Linguistica italiana (Università degli Studi di Palermo)

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DITTONGAMENTO TOSCANO
È uno dei più tipici fenomeni che contrassegnano la toscanità dell’italiano letterario, presenta il
dittongamento di E o O breve latina tonica in sillaba libera in posizione incondizionata.
(Diverso è il dittongamento metafonetico che prevede che una E o O brevi si dittongano a
condizione che nella sillaba finale della base latina si trovasse un -I LUNGA o una -O BREVE. Il
fenomeno colpisce l’italiano attraverso la presenza di cognomi meridionali come Luongo < lat.
LONGUM, Iacoviello < lat. IACOBELLUM).
E breve > /j Ɛ/: DEDIT > diede, FERUM > fiero
O breve > /wɔ/: BONUM > buono, NOCET > nuoce
Il dittongamento non è sistematico nei PROPAROSSITONI (parole accentate nella terzultima sillaba),
es: PERCORA > pecora invece di piecora. Da ERAT, ERANT si è avuto iera, ierano; successivamente il
dittongo è stato eliminato per la regola del dittongo mobile. /jƐ/ e /wɔ/ sono dittonghi mobili
perché tendono a ridursi, fuori accento, alla sola vocale.
In tre parossitoni (parole accentate sulla penultima sillaba) il dittongamento NON si produce:
BENE, NOVEM, (IL)LEI.
In due casi l’italiano antico recava un dittongo che successivamente si è monottongato:
1. Dopo un gruppo di consonante + r: BREVEM > brieve, PROBAT > pruova;
2. Dopo un fono palatale ( ) si manifesta una tendenza alla riduzione che
non ha completamente eroso certe forme dittongate: FILIOLIM > figliuolo.
In alcuni paradigmi verbali un antico dittongo è stato eliminato per effetto della PRESSIONE DELLE
FORME RIZOATONE (accentate sulla desinenza, con la radice atona -> amare, vediamo) sulle
FORME RIZOTONICHE (accentate sulla radice -> amo, vedono): LEVAT > lieva > leva. In seguito può
essersi prodotto completo livellamento delle forme rizotoniche attraverso l’ACCOGLIMENTO DELLA
VOCALE CHIUSA: NEGAT > niega > nèga > néga.
CRONOLOGIA:

V secolo VII secolo VIII secolo


/ɔ/ < O breve: intatto /ɔ/ < O breve si dittonga in Il dittongamento non è più un
/wɔ/ fenomeno attivo

AU intatto AU si monottonga in /ɔ/


AU intatto

ANAFONESI
È l’innalzamento delle due vocali chiuse toniche, /e/ e /o/, in determinati contesti:
1. Si ha la /i/ tonica da /e/ dal latino volgare davanti a / / e /ɲɲ/, purchè provenienti dal
latino classico -LJ- e -NJ-: FAMILIAM > faméglia > famiglia;
2. Si ha /i/ tonica da /e/ del latino volgare quando segue una nasale velare, ossia davanti ai
nessi -NG- e -NK-: LINGUAM > léngua > lingua.

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CHIUSURA DELLE VOCALI TONICHE IN IATO


Le vocali toniche seguite da un’altra vocale, che non sia /i/, tendono a chiudersi fino ad arrivare alle
vocali estreme /i/ e /u/: EGO (> èo > éo) > io, MEUM (> mèo > méo) > mio.
Invece, davanti a /i/: BOVES > buoi (con regolare dittongamento).
Il fenomeno manca nei latinismi. Trattamento dotto hanno avuto parole legate alla cultura pagana
come dea < DEAM (popolarmente avremmo avuto dia).
Si è conservata la /e/ dell’antica desinenza dell’imperfetto dei verbi in -ere: temea, parea, prendea.

TRATTAMENTO DI e PROTONICA
Una /e/ protonica del latino volgare tende a chiudersi in /i/ in un’area che anticamente era limitata
alla toscana: MINOREM > menore > minore.
Il fenomeno avviene non solo all’interno di parola, ma ancge all’interno di frase; i monosillabi
dotati di scarso corpo fonico si appoggiano alla parola seguente: DE ROMA > di Roma, TE AMAT > ti
ama. Questo è il fenomeno della PROTONIA SINTATTICA.
1. Molte parole che nell’italiano antico avevano /i/ protonica hanno oggi /e/ per
rilatinizzazione d’età rinascimentale: è il caso di felice (ant. Filice < FELICEM);
2. Consistente il numero di latinismi e semilatinismi (forme in cui indizi di trafila popolare
convivono con i tratti colti) come veleno e segreto;
3. La /e/ protonica può conservarsi nei derivati per influsso della parola base: così in telaio per
influsso di tela;
4. Nelle parole di origine straniera (forestierismi), la vocale può mantenersi anche in italiano;
così in regalo (dallo spagnolo).
TRATTAMENTO DI I BREVE POSTONICO NON FINALE
La /e/ postonica non finale del latino volgare corrispondente alla I breve del latino classico si
chiudeva in /i/: HOMINES (> uomeni, òmeni in dialetti che conservano /e/ postonica) > uomini.
Se la /e/ postonica non finale del latino volgare rappresenta una E breve del latino classico, tende a
mantenersi in italiano davanti a /r/: LITTERAM > lettera.
AR ED ER INTERTONICI E POSTONICI
Nel fiorentino il gruppo -AR- in posizione intertonica e postonica passa a /er/: MARGARITA >
Margherita, LAZARUM > Lazzero.
Il fenomeno è sistematico nel suffisso -arìa (dal lat. ARIA con influsso del greco -ia) > -erìa:
calzoleria, porcheria, frutteria.
Il fenomeno è oggi in declino; negli ultimi decenni si sono affermate forme suffissali di origine non
fiorentina come spogliarello, bustarella, mozzarella, caserccio.

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LABIALIZZAZIONE DELLA VOCALE PROTONICA


Un fono labiale successivo (le tre occlusive/p/, /b/, /m/ e le due labiodentali /f/, /v/) ha
determinato l’alterazione della vocale palatale precedente, attirandola nella serie delle labiali:
DEBERE > (devere) > dovere; DEMANDARE > (demandare, dimandare) > domandare.
FENOMENI GENERALI: PROSTESI, EPENTESI, EPITESI
Il corpo fonico di una parola può accrescersi con lo sviluppo di un singolo fono o di una sillaba non
etimologica. Si distingue tra pròstesi (accrescimento in posizione iniziale), epèntesi (accrescimento
in posizione interna) e epìtesi (accrescimento in posizione finale). Sono fenomeni impredicibili.
Tra esempi di PROSTESI si può citare la protesti di /i/ davanti a parole comincianti per /s/ +
consonante (s impura) quando la parola precedente termina per consonante: lo scritto ma per
iscritto. Il fenomeno è quasi del tutto scomparso.
L’EPENTESI consiste nell’aggiunta di una consonante o di una vocale. Per quanto riguarda il primo
caso possiamo citare MANTUAM > Mantova. Del secondo, l’epentesi di una /i/ in epoca latino
volgare per evitare il gruppo -SM-: SPASMUM > spasimo.
Un esempio di EPITESI vocalica è lo sviluppo della vocale d’appoggio /e/ in monosillabi ossitoni, nei
dialetti moderni avremo sìe e nòe. Si può avere anche l’epitesi della sillaba -ne: sìne, none.
FENOMENI GENERALI: AFERESI E SINCOPE
L’afèresi è la perdita di un fono o di una sillaba in posizione iniziale, nel caso della perdita centrale
avremo la sìncope e in posizione finale l’apòcope.
AFERESI SILLABICA: soppressione della prima sillaba nell’aggettivo dimostrativo questo in stasera,
stamattina, stavolta. Un caso particolare di aferesi è la DISCREZIONE DELL’ARTICOLO: per l’effetto
della stretta unione tra l’articolo e la parola, i parlanti possono interpretare come articolo la /l/
iniziale, che viene così separata dalla parola stessa: LABELLUM > (lavello, interpretato come
l’avello) > avello “tomba”.
Quanto alla SINCOPE, vanno segnalate due sincopi:
a. Della vocale postonica del suffisso -ULUM, -ULAM: VET(U)LUM > vecchio, CIRC(U)LUM >
cerchio;
b. Della vocale intertonica: CERE(E)BELLUM > cervello, VER(E)CUNDIAM > vergogna.

APOCOPE
Distinguiamo l’apocope vocalica e sillabica. Quest’ultima vive solo in gran e san. L’italiano antico
presentava qualche altro caso di apocope sillabica, come ver “verso” e me’ “meglio”.
Nel caso delle proposizioni articolate (dello-del, allo-al …) si avrà una semplice apocope vocalica,
per cui la vocale finale cade e determina la riduzione d’intensità della vocale precedente.
L’apocope vocalica può essere obbligatoria (buon giorno) o facoltativa (amor mio) abbastanza
frequente in Toscana e nell’Italia settentrionale.

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Le condizioni che consentono l’apocope vocalica sono:


1. La parola non deve trovarsi in fine di frase;
2. La vocale deve essere atona;
3. La vocale deve essere preceduta da liquida (/l/ o /r/) o da nasale (/n/, /m/): fil di ferro, fin
qui, NO pes lordo;
4. La vocale non deve essere né /a/, né /i/ ed /e/ quando abbiano valore morfologico (quando
siano contrassegno di plurali: un buon padre, ma non i buon padri).
L’apocope vocalica facoltativa è un tipico fenomeno impredicibile, non si ha MAI apocope in parole
d’ambito dotto, scientifico o tecnico o in parole quotidiane.
Da non confondere con l’ELISIONE che è la perdita della vocale finale atone di una parola davanti
alla vocale iniziale della parola seguente: è condizionata, al contrario dell’apocope, dal contesto
sintattico. Per marcare l’elisione è necessario l’apostrofo (es. un’anima).
RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO
Bisogna partire dalla nozione di ASSIMILAZIONE CONSONANTICA: nell’incontro di due consonanti
non ammesse da un dato sistema linguistico, si registra il fenomeno per il quale una delle due
consonanti “rende simile” a sé l’altra, col risultato di una sola consonante di grado intenso.
Possono aversi 2 possibilità:
1. La prima consonante assimila la seconda (progressiva) -> un esempio è quello dei dialetti
centromeridionali, in cui il nesso -ND- passa a /nn/: annà “andare”, quanno “quando” e così
via.
2. La seconda consonante assimila la prima (regressiva) e si registra nel passaggio dal latino
volgare all’italiano (fiorentino): es. FACTUM > fatto, RUPRUM > rotto.
Il raddoppiamento fonosintattico è un’assimilazione regressiva all’interno di una frase e non di una
singola parola, il fenomeno non è registrato nella grafia. Quando si legge <a casa> si pronuncia in
realtà [ak’kasa]. Il raddoppiamento fonosintattico si produce in 3 casi fondamentali:
1. Dopo un monosillabo forte: ad esempio a, che, chi, tu -> che fai? [kef’fai], tu parli
[tup’parli];
2. Dopo un polisillabo ossitono: caffè lungo [keffƐl’lungo];
3. Dopo parole barìtone (non accentate sull’ultima sillaba): come me [komem’me], qualche
cosa [kwualkek’kosa].
Alcune forme non dovrebbero determinare il rafforzamento della consonante finale successiva, ma
in una prima fase si aveva concomitanza tra raddoppiamento fonosintattico provocato dalla
consonante finale e accento sulla vocale precedente.
Differenza tra la pronuncia romana e quella fiorentina può essere il caso di come che in romano
non produce rafforzamento come avverbio interrogativo, ma quando c’è una comparazione;
mentre a Firenze produce raddoppiamento in entrambi i casi.
LABIOVELARE
Chiamiamo labiovelare il nesso costituito da un elemento velare (/k/ o /g/) e da un’appendice
labiale, la semiconsonante “wau”. Distinguiamo la labiovelare sorda (/kw/ di cuore) e la sonora

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(/gw/ di guerra). La sonora in posizione iniziale di parola è indizio di germanismo, poiché in latino
non esistevano il nesso del prefisso GU + vocale). In posizione interna, una labiovelare sonora
poteva aversi anche in latino: SANGUEN (neutro) > sangue.
La labiovelare sorda in posizione iniziale di parola si è conservata solo davanti ad /a/; davanti alle
altre vocali ha perso l’appendice labiale, riducendosi a /k/: QUANTUM > quanto, QUID > che, QUIS
> chi.
La LABIOVELARE SECONDARIA (prodottasi in epoca tarda) si mantiene sempre.
SPIRANTIZZAZIONE DELLA LABIALE SONORA INTERVOCALICA
-B- latina si è trasformata da occlusiva in costrittiva; questo fono si è conservato nello spagnolo. In
area italiana, la costrittiva bilabiale ha modificato il luogo di articolazione, dando vita alla
LABIOVELARE SONORA /v/, cioè ad una spirante: HABERE > avere, FABULA > favola.
I casi di conservazione di -B- sono cultismi: abitare < HABITARE, nobile < NOBILEM; si conserva
anche nei germanismi: roba, rubare, Roberto.
SONORIZZAZIONE CONSONANTICA
Le consonanti sorde in posizione iniziale restano intatte. Un certo numero di sonorizzazioni si ha
solo nel caso della velare /k/, per quanto riguarda le parole di origine latina possiamo ricordare:
gatto < CATTUM, gabbia < CAVEAM.
La sonorizzazione delle consonanti in posizione intervocalica è un fenomeno generale nella
Romània occidentale in cui la consonante sonorizzata può spirantizzarsi e poi cadere. Le consonanti
interessate sono 3 occlusive e 1 sibilante: -K- > /g/, -T- > /d/, -P- > /b/, -S- > /z/ (quest’ultima
interessa dei casi in Toscana).
Quanto alle occlusive, la sonorizzazione è parziale

-K- > /g/: LACUM > lago, LOCUM > luogo Con sorda conservata: AMICUM > amico,
FOCUM > fuoco
-T- > /d/: HOSPITALEM > ospedale Con sorda conservata: FRATREM > frate

-P- > /b/ e poi /v/: EPISCOPUM > vescovo Con sorda conservata: CEPULLAM > cipolla

Si può pensare che la tendenza spontanea toscana fosse la conservazione della sorda e che le
forme sonorizzate si debbano all’influenza dei dialetti settentrionali. La testimonianza sta nei
toponimi in cui è normale la sorda: Paterno, Prato. La sonorizzazione si deve a influssi
settentrionali e si tratta di una moda, i cui inizi risalgono agli ultimi anni dell’Impero romano
d’Occidente. Nella Toscana occidentale, tramite tra Italia settentrionale e Tuscia longobarda, si
riscontrano forme sonorizzate ignote nel fiorentino come cavestro, duga, Mighele.

NESSI DI CONSONANTE (diversa da R o S) + “iod”

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Davanti a una “iod” del latino volgare gran parte delle consonanti precedenti si rafforzano.
Semplice rafforzamento si ha con le labiali -PJ-, -BJ- e -VJ-, -MJ-: SAPIAT > seppia, HABEAT > abbia.
Se la consonante è un’AFFRICATA PREPALATALE la “iod” viene assorbita da quella consonante:
FACIAT > faccia, ACIARIUM > acciaio.
Dopo una nasale dentale e una laterale, la “iod” produce una palatalizzazione, determinando
rispettivamente una nasale palatale /ɲɲ/ e una laterale palatale / /: VINEAM (> VINNJAM) >
vigna.
Dopo una DENTALE la “iod” intacca la consonante determinando la cosiddetta ASSIBILAZIONE,
ovvero la trasformazione in AFFRICATA ALVEOLARE: PUTEUM > pozzo, MEDIUM > mezzo.
Se il nesso non è in posizione intervocalica il risultato non potrà essere una consonante intensa:
HORDEUM > orzo.
Il raddoppiamento davanti a “iod” è attribuibile alla fine del II secolo.
In posizione intervocalica, accanto all’affricata alveolare si può avere anche un’affricata palatale:
RADIUM > raggio, PODIUM > poggio.
Una corrente popolare doveva aver diffuso una pronuncia “iod” per le parole con -DJ-: da questo
“iod” si sarà poi sviluppata un’affricata prepalatale sonora. Una parola come MEDIUS dovette
soccombere all’assibilazione diventando MEZZUS.
Anche il nesso -TJ- va incontro a esiti diversi. In alcuni casi si ha un’AFFRICATA PREPALATALE
SONORA /dʒ/. si tratta di prestiti dal francese antico: RATIONEM > ragione.
TJ preceduto da consonante vede l’esito di una AFFRICATA PREPALATALE e non alveolare:
CUMINITIARE > cominciare
In molti casi, la presenza di una consonante precedente non impedisce la consueta assibilazione:
DIRECTIARE > drizzare
R + “iod”
In Toscana il nesso -RJ- ha perso la vibrante riducendosi a “iod”: AREAM (> ARJAM) > aia.
Nella maggior parte dei dialetti italiani l’esito è /r/, di qui la presenza di suffissati in -aro (paninaro).
Nel caso di danaro, denaro non siamo di fronte a un esito antitoscano. Il passaggio -RJ- > /j/ è
possibile solo al singolare; gli originari plurali fornari e notari si sono modellati sui singolari fornaio
e nataio, determinando il paradigma fornaio – fornai, notaio – notai.
S + “iod”
L’esito del nesso -SJ- in Toscana è duplice: sibilante palatale sorda [ʃ] o sibilante palatale sonora [ʒ]:
BASIUM > bacio, OCCASIONEM > cagione
Così come la sibilante intervocalica latina è rappresentata in toscano da due esiti (casa /’kasa/ e
viso /’vizo/), la sibilante seguita da “iod” è continuata da un’analoga coppia di esiti, con la sola
differenza del luogo di articolazione.

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NESSI DI CONSONANTE + L
Nei nessi di una consonante + L, la laterale si palatalizza, trasformandosi in “iod”; in posizione
intervocalica il risultato è una consonante intensa: OCULUM > occhio, MACULAM > macchia.
Esempi in posizione iniziale o postonica: CLAMAT > chiama, FLOREM > fiore.
Nel nesso -SL- si ha l’epentesi di una velare sorda: -SL- > -SKL- >/skj/, per es. SLAVUM > schiavo.
Il nesso secondario -TL- viene sostituito da -CL-: VETULUM > vecchio.
Per quanto riguarda le parole in -GL- le forme attuali costituiscono un esempio di
IPERCORRETTISMO (andare oltre la correzione voluta). Nel contado fiorentino si erano diffuse
pronunce come figghio, pagghia. A Firenze città questa pronuncia dovette essere fortemente
avversata, tanto che il ripristino di figlio trascinò con sé anche forme come vegghiare e tegghia.
L’ARTICOLO
È noto che il latino non possedeva articoli. Tuttavia attestazioni del numerale UNUS si rinvengono
in Plauto e in Cicerone. Anche per l’articolo determinativo già in epoca arcaica non manca qualche
avvisaglia di indebolimento dell’aggettivo dimostrativo ILLE.
Prima che si possa parlare di un vero e proprio articolo determinativo passa diverso tempo. Molte
documentazioni alto-medievali di ILLE non ha più il valore classico di “quello”, ma non ha ancora
quello italiano di “il” o “lo”.
ILLUM per aferesi della sillaba iniziale si è ridotto a “lo”. Quando “lo” fosse preceduto da parola
uscente in vocale, esso tendeva a ridursi a [l] e di conseguenza si è generata una vocale d’appoggio.
In toscano, la vocale è stata [e] o [i].
Nell’italiano antico “lo” e “il” sembrerebbero alternarsi secondo la norma Gröber, per la quale si
avrebbe “lo” in posizione iniziale e dopo parole uscente in consonante, “il” dopo parola terminante
per vocale. Ancora oggi adoperiamo “lo” nelle forme fossili per lo meno, per lo più.
IL COMPARATIVO E IL SUPERLATIVO
Il latino ricorreva a delle forme sintetiche per esprimere comparativo e superlativo. Dall’aggettivo
CLARUS si traevano il comparativo CLARIOR e il superlativo CLARISSIMUS.
Per il comparativo restano come fossili alcune forme organiche latine: MAIOREM, MINOREM,
MELIOREM, PEIOREM.
Nelle lingue romanze iniziano ad essere usate delle forme analitiche e, nello specifico, per il
comparativo veniva usato MAGIS o PLUS + aggettivo e per il superlativo MULTUM o SANE +
aggettivo.
PRONOME E AGGETTIVO DIMOSTRATIVO
Dei sei dimostrativi del latino classico IDEM scompare, HIC e IS sopravvivono nella forma neutra ciò
e però.

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Nel latino volgare si stabilisce un sistema tripartito: ISTE (questo), ILLE (quello), IPSE (codesto). Il
toscano ha abbandonato IPSE per codesto; nell’italiano contemporaneo codesto è limitato all’uso
toscano parlato quando ha funzione deittica.

Perlopiù le forme pronominali latine volgari appaiono rafforzate con elementi espressivi. Lo
schema per l’italiano letterario è:
(EC)CU(M) ISTU(M) > questo
(EC)CU(M) ILLU(M) > quello
(EC)CU(M) TIPI ISTU(M) > codesto
In tutti i tre casi si ha aferesi della prima sillaba di ECCUM. Nei primi due, dopo la caduta di -M, si
nota lo sviluppo di una labiovelare secondaria che si conserva sempre in italiano. Da cotesto si
giunge a codesto per la sonorizzazione della dentale intervocalica.

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