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Storia della lingua italiana

Foni= qualunque suono normale¹ previsto dall’inventario di una determinata lingua (si rappresentano tra
[n]).
Fonema=sono quei foni che possono presentarsi liberalmente in un dato contesto fonico determinandone il
significato, in opposizione a tutti gli altri fonemi di quella lingua che, al loro posto darebbero un senso o un
non-senso (i fonemi si esprimono tra barriere oblique /n/).
▪ Es. in italiano abbiamo solo un fonema /n/ ma diversi foni corrispondenti. La [n] di andare non
è la stessa di angolo.
Perché non avevamo mai pensato a questa distinzione?
Nella nostra lingua non esiste una coppia di parole che è differenziata dalla tipologia di quella n; non ci sono
parole che divergono se la n è velare o non è velare. In altre lingue è diverso: inglese.
Es. in sin(peccato) e sing(cantare) la n è diversa.
La scelta di quale [n] usare nella pronuncia di angolo e di andare non è libera, ma è condizionata dal contesto
fonico. Riconosciamo un autonomismo del fonema in quanto la consonante dipende dai fonemi che lo
antecedono o precedono.
In altri casi invece, la scelta è libera e dà luogo a parole diverse:
▪ Se, per es., in una sequenza costituita da una consonante seguita dai fonemi /a/ + /r/ +/e/ provassimo
a selezionare di volta in volta una consonante diversa, otterremmo una serie di parole effettivamente
esistenti in italiano: bare, care, dare, fare, gare, mare, pare, rare, tare, oppure una serie di parole
inesistenti ma virtualmente possibili: *lare, *nare, *sare, *vare, *zare.
In questi casi non è in gioco una particolarità particolarità di pronuncia, pronuncia, ma la stessa
integrità integrità della comunicazione.
Ripetendo il giochino otterremmo il numero di fonemi in italiano, ossia dei suoni linguisticamente
significativi in grado di produrre significati diversi.
Verifica della fonematicità di un fono: prova della sostituibilità: Quindi possiamo dire che la
fonematicità di un suono (se un suono è un fonema o un semplice fono) è dato dalla sostituibilità: se
cambiando un fonema si ottengono due parole distinte, chiamate coppie minime: pésca e pèsca.
Coppie minime (o unidivergenti): coppie di parole distinte solo da un fonema. Ci sono dei fonemi
che danno luogo a tantissime coppie minime grazie alla loro interscambiabilità e altre che danno
luogo a poche coppie minime.
Rendimento altissimo (/t/ ∼ /d/):
con l’alternanza (sostituzione) dei due fonemi dati; esso può essere molto alto
dato / dado, tare / dare, tetto / detto, moto / modo, rata / rada, monto / mondo, ti / di,
ceto / cedo, vento / vendo, quanto / quando, accento / accendo, tata / data, ecc.
oppure molto basso, come nel caso di /s/ ∼ /z/: pre/z/ente / pre/s/ente
Rendimento basso come nel caso di /s/ ∼ /z/: pre/z/ente / pre/s/ente (voce del verbo presentire).
I fonemi dell’Italiano
Aria polmonare in fase di espirazione: polmoni → trachea → laringe;
a livello della cartilagine tiroidea incontra le corde vocali che possono vibrare o restare inerti: grazie a
questo distinguiamo suoni sordi e suoni sonori.
Risalendo la colonna d’aria può uscire all’esterno dalla bocca o dal naso e la bocca altra grande distinzione:
suoni orali e suoni nasali.

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Posizione tonica= sotto accento.
Le consonanti dell’italiano
▪ il modo di articolazione, a seconda del tipo di ostacolo che si frappone alla colonna di aria
ascendente. Se c’è chiusura del canale si hanno le occlusive (o momentanee o esplosive), se c’è un
semplice restringimento le costrittive (o fricative o spiranti), se invece l’articolazione è costituita da
un elemento occlusivo e uno costrittivo si hanno le affricate sorta di articolazioni intermedie.
▪ il luogo di articolazione, cioè il livello del canale articolatorio in cui si produce il tipo la chiusura o
il restringimento, per es. il livello delle labbra (= labiali), del velo palatino(= velari), dei denti(=
dentali).
▪ i tratti distintivi (o accessori), consistenti nella presenza o assenza di vibrazioni delle corde vocali
(suoni sordi o sonori) e nel carattere orale o nasale del suono.

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Qualche riflessione sull’uso delle consonanti
▪ In posizione intervocalica (l’unica che non è condizionata dal contesto), alcune consonanti possono
realizzarsi solo come intense (cioè pronunciate come se fossero graficamente doppie). Esse sono:

▪ Sempre in posizione intervocalica, una consonante può essere solo tenue (cioè mai intensa,
doppia). Essa è la sibilante sonora.

Da notare che all’inizio di parola, se seguita da una vocale, una può essere solo sorda (/s/), mai sonora: il
sole /il ‘ sole/, la sabbia /la ‘ sabbja/, il succo /il ‘ sukko/
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OSSERVAZIONE: da quanto detto, si ricava che non c’è nessuna differenza di intensità, in posizione
intervocalica, tra una <z> graficamente scempia e una <zz> doppia:

▪ Quando non sono in posizione intervocalica /ts/ e/dz/ sono sempre tenui:

OSSERVAZIONE: le stesse consonanti che in posizione intervocalica sono sempre intense, lo sono anche
se si trovano all’inizio di parola, ma comunque tra due vocali: la vocale finale della parola precedente e la
vocale seguente della parola successiva (dall’esemplificazione si esclude il fonema / ʎ/, che molto raramente
si trova all’inizio di parola).

▪ Tutte le altre consonanti in posizione intervocalica possono essere intense o tenui. Es.

Una <s> prima di una consonante è sorda se la consonante seguente è sorda; sonora se la consonante è
sonora. Qualche esempio:

Le semiconsonanti
Le semiconsonanti o approssimanti, dette iod e wau:

OSSERVAZIONE: le coppie minime ottenibili con la sostituzione di una semiconsonante con una vocale
sono pochissime. Ecco qualche esempio:

1. Nel primo caso si tratta della voce del verbo spiantare (togliere le piante), nel secondo caso si tratta
di colui che spia. Se facciamo la divisione in sillabe nel primo caso avremmo spian-ti mentre nel
secondo caso spi-an-ti.
2. Nel primo caso abbiamo un sinonimo di lacustre; la parola rara che presenta la semiconsonante che
si confronta con l’insieme di due parole la quale (pronome relativo).
A parte questi rarissimi casi di coppie minime, di solito è facile capire empiricamente se ci troviamo di fronte
a una vocale a una semiconsonante. Per essere una semiconsonante una i o una u deve:
1) non avere l’accento tonico; 2) essere seguito da vocale, con cui forma dittongo.
I fonemi dell’italiano sono: 7 vocali, 2 semiconsonanti, 5 fonemi sempre doppi in posizione intervocalica, 1
fonema sempre scempio, 15 fonemi consonantici che possono essere o scempi o doppi: 45. Numero
massimo dei fonemi in italiano.

Corrispondenza fonemi-grafia
L’italiano ha una buona fedeltà della pronuncia rispetto alla grafia, tuttavia possiamo trovare delle
discrepanze:

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Corrispondenza grafemi-fonemi

Digrammi e trigrammi
Digramma= sequenza di due lettere graficamente scritte che rappresentano un solo fonema.
Trigrammi= sequenza di tre lettere graficamente scritte che rappresentano un solo fonema.
Digrammi dell’italiano

Trigrammi dell’italiano

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Raddoppiamento fonosintattico
Si tratta di un fenomeno fonetico per cui le consonanti iniziali di parola, quando vengono a trovarsi
immediatamente dietro ad alcune parole (monosillabi, ma anche qualche polisillabo), si pronunciano come se
fossero doppie.

Si usa in Italia, ma non in tutta. Tuttavia, ha un’area di utilizzo vasta: in Toscana, Centro Italia e Sud Italia. I
raddoppiamenti si assomigliano tra di loro ma non c’è una coincidenza completa tra zona e zona italiana. Nel
nord Italia si tende a non utilizzare il raddoppiamento fonosintattico.
Il raddoppiamento sintattico fa parte della pronuncia standard, infatti, è indicato sul dizionario. Il
raddoppiamento normativo a cui fa riferimento il dizionario è quello toscano.

Ci sono delle parole che evocano il raddoppiamento fonosintattico, come se fosse scritta con una doppia
consonante:
Tutte le parole con accento grafico, sia polisillabi (ritornò, finì, perché, ecc.) sia monosillabi (dà, lì,
né, può, ecc). Qualche ess.: perché vvai? caffè nnero, dà ttutto, può ffare.
I seguenti monosillabi non accentati: a, blu, che, chi, da, do, e, fa, fra, fu, gru, ha, ho, ma, me (solo
tonico), no, o, Po (nel senso di fiume), qua, qui, re, sa, se, so, su, sta, sto, te, the, tu, tra, va, tre.
Quattro bisillabi piani: come, dove, qualche, sopra.
OSSERVAZIONE: l RF dopo ogni e po’ (ogni ttanto e un po’ fforte) è tipico di Roma e di altre zone del
Centro-Sud, ma è escluso dai raddoppiamenti dell’italiano standard.
OSSERVAZIONE: alcune parole a Roma e altrove hanno l’iniziale rafforzata (la ssedia): non si tratta di RF
e tale tipo di pronuncia non rientra nell’italiano standard.
▪ Min. 27 Quello che induce al raddoppiamento non è la parola stessa, ma quella precedente.
Casi in cui il RF trova espressione grafica, si è cristallizzato:

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Origine: assimilazione nel passaggio tra latino e volgare italiano:
per esempio, dal latino ADVENTURA(M) si è avuto l’italiano avventura.
Con un’assimilazione: DV>VV
così dal latino AD VENETIA(M) si è avuto l’italiano con la stessa assimilazione DV > vv a vvenezia (grafia
a Venezia).
Con un’assimilazione: DV>VV
Dal latino all’italiano
“L’italiano deriva dal latino”: informazione vera ma in parte; prima di tutto dobbiamo specificare che il
verbo deriva non è completamente esatto, infatti più che deriva, dovremmo dire che continua. Lingue come
l’italiano, ma anche il francese, lo spagnolo e così via, sono il continuo della lingua latina: il francese è il
latino di oggi nella zona francese, lo spagnolo è il latino di oggi nella penisola iberica.
È importante vedere come il latino sia l’immediata premessa dell’italiano, e l’italiano è l’immediata
conseguenza del latino. È la stessa lingua che col corso del tempo si è modificata.
Quale latino?
Se noi poniamo la mente all’italiano, vediamo che l’italiano di dante non è lo stesso dell’italiano di oggi,
come l’italiano della toscana non è uguale a quello di Palermo. La stessa distinzione dobbiamo farla con il
latino; variabile diacronica (=nel coro dei secoli il latino cambia): il latino classico (=latino dal I sec. a.c al I
sec. d.c) è il latino della parte egemonica, di chi teneva il potere a Roma. Nel corso dei secoli, il latino
cambia.
Variabile diatopica(=distinzione geografica): è inevitabile che nel territorio ci siano delle frammentazioni
linguistiche; ci sono anche oggi posti non tanto lontani tra di loro in cui si cambia dialetto, la stessa cosa
succede con il latino ma paragonandolo a territori vasti.
Latino volgare= latino da cui prendono le mosse le lingue latine odierne.
Dal latino (volgare) si sono formate numerose lingue: da occidente ad
oriente prendono le mosse dal latino:
❖ Portoghese;
❖ Spagnolo;
❖ Francese;
❖ Italiano;
❖ Rumeno (anche se ampliamento slavizzato).

E molte lingue non nazionali (non hanno a capo una nazione o stato ufficiale), come:
❖ Catalano;
❖ Provenzale;
❖ Franco provenzale (principalmente in val d’Aosta);
❖ Sardo;
❖ Ladino (delle valli dolomitiche sia trentine che friulane);
❖ Romancio (si parla a sud della Svizzera, in Romandia);
❖ Friulano.
Aspetti diatopici
Quello che colpisce di più è la posizione isolata della Romania e anche delle isolette tra Albania e Grecia.
Un'altra cosa che notiamo sono quegli spazi tra Spagna e Francia e l’altro nel nord ovest della Spagna. Sono
zone in cui oltre al francese e lo spagnolo vengono parlate lingue non romanze: il basco e il bretone
(penisola della Bretagna).

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=corrisponde alla massima esenzione dell’impero Romano, dove
quindi si parlava il latino; I-II sec. d.c.
La Dacia (odierna Romania), non era isolata in primis, divenne isolata
nel momento in cui gli slavi occuparono il resto dei territori oggi slavi.
Nel corso del tempo molte zone linguisticamente sono state prese dai
successivi dominatori; Nelle zone arabe, conquistate dai latini, oggi si
parla diletti arabi.

Estensione del dominio latino


Azione di mangiare; ci potevano essere due verbi: EDERE e COMEDERE (mangiamo insieme); da edere si
è formata la parola comedere; la prima era la parola del latino antico classico, il latino volgere è arrivato alla
seconda parola da cui si sono formate le parole spagnole e portoghese “comer”. Si è poi sviluppata la parola
MANDUCARE; sono, quindi, rimaste in uso solo Comedere e Manducare. Comedere era diffuso nella zona
occidentale della Ròmania mentre manducare che era diffuso nel resto della Ròmania; quest’ultima parola ha
portato alla parola “manger” in francese. La parola italiana “mangiare” era MANICARE. La parola che
usiamo oggi è un francesismo. In rumeno: Manca.
erano dislocate in zone diverse del dominio latino.
Concetto di bello: il latino classico aveva “Pulcher”, oggi sparito dalle lingue romanze. Dal latino volgare
abbiamo “Bellus” da cui derivano bello, beau (fr.) e bel (prov.)
Per esprimere il concetto di bello nella Penisola Iberica e nella Dacia si usava la parola latina “formosus” da
cui oggi abbiamo: sp. hermoso, port. formoso, rum. Frumos.
Dal punto di vista diatoico sul piano geografica, c’è stata una differenza.
Importanza del prestigio linguistico (= le persone che imitano la parlata del nord è considerata più
prestigiosa, quindi si tende ad imitare quella pronuncia. Es. da fico a figo. La ragione dipende dal fatto che la
parte del nord è più avanti, negli ultimi decenni, dal punto di vista economico; si tende ad imitare la zona che
si ritiene più prestigiosa)
La stessa cosa succede in antichità:
I romani sapevano di essere i più forti. Ma i romani quando arrivavano in un posto, non imponevano la loro
lingua, ai romani interessava principalmente che i conquistati pagassero le tasse. Ma si sviluppa un processo
mentale: si pensava che, essendo riusciti a conquistare questi popoli, i romani fossero più forti; si cercava,
quindi, di imitare la loro vita, ritenuta più prestigiosa, così succede anche con la lingua (prestigio
linguistico). Nell’ex impero romano, ad un certo punto, tutti parlavano latino, tranne i greci: I greci si
sentivano più avanti ai romani, civilmente e linguisticamente; gli stessi romani riconoscevano il prestigio
della lingua greca. I latini colti, tra l’altro imparavano la lingua greca.
Importanza del sostrato (=è ciò che la lingua dei conquistati lascia in eredità alla lingua dei conquistatori); il
latino si sovrappongono a queste lingue, che spariscono (tranne il greco), ma lasciando qualcosa in eredità,
che sia la pronuncia, o qualche parola facente parte del lessico.
Secondo alcuni la gorgia toscana (=”c” aspirata o completamente eliminata) è di origine etrusca. Non c’è la
prova. Dante non cita mai la gorgia toscana, tra l’altro, abbiamo prova della gorgia solo dal ‘500 (dai testi
scritti). Oggi questa affermazione è molto messa in dubbio dagli studiosi.
In tanta pare d’Italia, il nesso latino ND diventa NN (romanesco: mondo>monno; andiamo>annamo).
Nei dialetti settentrionali il nesso latino CT diventa IT (lat. Noctem>it. Notte>nord: Noit). È dovuto al fatto
che in quelle zone c’erano stati i celti, che hanno lasciato questa sfumatura di pronuncia.
Alla base del nostro parlare ci sono tanti latini, in quanto esistono vari tipi di latino.
1. Diafasica
2. Diastratica: la situazione, la fase in cui si svolge l’atto linguistico;
3. Diamesica: il mezzo (scritto o parlato).
Le fonti del latino parlato
Del latino parlato noi sappiamo poco, a noi è arrivato prima lo scritto, e così come succede oggi, succedeva
anche in antichità; non scriviamo come parliamo.
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1. Nelle scritture “esposte”, graffite o dipinte: sono pezzi di parlato scritti (magari di corsa con errori
grammaticali). Spesso l’errore prefigura uno sviluppo futuro di una lingua: le scritture esposte sono
una delle fonti del diritto parlato.
2. Nelle testimonianze scritte di persone del popolo, per. Es. soldati (lettere o altri doc.); Ai soldati, non
interessava (ovviamente) la forma stilistica, in queste lettere troviamo molte espressioni del latino
volgare (parlato).
3. Nei glossari, che spiegano con volgarismi le forme del latino classico, parole comprese da tutti.
4. Negli scrittori (principalmente di teatro) che riproducono il parlato per esempio nei dialoghi, per es.
Plauto e petronio
5. Nelle opere di autori cristiani: i cristiani si rivolgevano alla povera gente. Cercavano di parlare ai
poveri, che erano spesso incolti, venivano usate parole semplici. Da queste opere possiamo attingere
a latinismi del parlato.
6. Nei trattati tecnici, di architettura, medicina ecc., per connettere le varie parti tecniche, veniva usato
un latino basico. (Vitruvio ecc.)
7. Nelle opere di insegnati e grammatici; come oggi gli insegnati cercano di frenare e correggere
l’espressione “a me mi piace”, così succedeva anche in passato.
Una di queste testimonianze si chiama: L’Appendix Probi (appendice romana; ci interessa la parte finale):
nella parte finale di questa grammatica c’erano delle coppie di espressioni dove si capisce che l’intento del
maestro era quello di correggere quello che si diceva nel parlato.

Dobbiamo far riferimento alle parole “che non si


dicono” secondo il professore, in quanto sono quelle
che probabilmente venivano usate nel parlato di tutti i
giorni e quindi più vicine alle parole che usiamo oggi.
Quello che è arrivato a noi non è il latino classico ma
quello volgare. Il professore pretendeva che il parlato
dovesse essere come lo scritto (che ricalca il latino
classico).

Metodo ricostruttivo e comparativo (=ricostruzione di una forma di latino volgare non attestata, ossia senza
un documento che attesti quest’ultimo, dove questa forma non è presente).

non può essere un caso che parole di diverse lingue siano così simili e con lo stesso significato; bisogna
presupporre un antenato comune, anche se non è stato trovato (per ora). Il fatto che noi non possiamo
leggerla in nessun testo, porta come conseguenza quello di mettere un asterisco (=che vuol dire forma

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ricostruita (non attestata), forma attestata che al momento non troviamo in nessun testo latino). Quindi il
fatto che fino ad ora, non si sia trovata una di queste parole all’interno di un testo, non significa che queste
parole non derivino da una parola latina, anzi c’è un’alta probabilità che sia così per la somiglianza di più
parole in diverse lingue, inoltre con lo stesso significato.
Fattori che hanno favorito il cambiamento: se tutti i processi di cambiamento fossero stati frenati, oggi
parleremmo latino.
Preliminarmente, va sottolineata la differenza fra latino classico e latino volgare: il latino classico è il “latino
della prima classe”, quindi quello utilizzato dai più grandi autori latini; per quanto riguarda il latino volgare
non si può dire del tutto “latino parlato”, anche se quest’ultimo è fortemente indiziato. Però parlato quando?
Non abbiamo testimonianze certe del latino parlato che attestino in quale periodo venisse detta una cosa
piuttosto che un'altra; è un concetto astratto perché non fa riferimento ad un determinato momento o luogo
ma è un insieme. Ci sono elementi delle lingue romanze che si sono distinte e poi riemerse nei secoli
successivi grazie ad alcuni testi di latino dell’origini. Alcune di queste parole sono considerate volgari,
perché romanze.
Volgare= valorizza il popolo, anche se il latino volgare lo parlavano tutti, soprattutto nel periodo di
decadenza.
Periodo di decadenza: anche su questo non sappiamo se c’è un momento preciso della nascita delle lingue
romane, deve essere immaginato come un processo non palpabile, ininterrotto, impercettibile. Difficile da
percepire da generazione a generazione, in quanto i cambiamenti erano molto lenti (a differenza di oggi,
possiamo distinguere parlato giovanile e adulto). È soprattutto il latino della decadenza parlato ma anche del
latino scritto e del latino delle origini, è un insieme.
Bisogna immaginarsi il periodo di decadenza: Roma aveva un milione di abitanti, era un numero “moderno”,
che si riduce con la caduta di Roma, ci sono stati momenti in cui Roma rimase completamente spopolata.
Rispetto al latino classico, la lingua che veniva parlata nella classe sociale elevata viene meno, perché
sparisce una parte “elevata” della popolazione.
Affermazione del cristianesimo: è un evento molto importante per la lingua parlata. Ci sono delle modifiche
del lessico. Si aggiungono parole che prima non esistevano, come vescovo, battesimo, la stessa parola
“parola” nasce in questo periodo e deriva da parabola (di cristo). Ci furono modifiche anche ideologiche, si
mette al primo posto la popolazione, una popolazione povera e l’unica lingua che resiste è quella volgare.
Con il periodo di decadenza i concetti astratti non erano più all’ordine del giorno, le parole che esprimevano
oggetti materiali sono sopravvissute, in quanto facevano riferimento a qualcosa che il popolo avevano
sott’occhio tutti i giorni.
Il processo di cambiamento linguistico si conclude intorno all’VIII-IX secolo: i meccanismi che prima
funzionavano ora non funzionano più.
Altre condizioni e concetti-chiave
Parola ininterrotta= parole popolari, sempre usate che si sono usurate. Sono parole che hanno attraversato
l’intero periodo, da quando sono nate ad oggi, sono state usurate dal continuo uso. Sono per lo più parole
concrete, d’oggetti con la quale le persone hanno sempre avuto a che fare, quindi parole quotidiane.
Trafila dotta o latinismi= parole colte, sparite ad un certo punto della storia che sono state recuperate dai
dotti successivamente (parole trovate in libri latini). Queste parole non sono state imposte, il caso ha voluto,
che in situazioni in cui si voleva esprimere un concetto che si era di nuovo fatto esigente, venisse utilizzata
una parola letto in un libro antico. Queste parole non avendo il processo di uso hanno la caratteristica di
essere molto simili alle parole latine o addirittura uguali.
Per un certo periodo, per esempio, tutte le parole latina con CT, sono state trasformate in parole italiane con
TT. Non è stato imposto da nessuno, è un processo naturale. Le parole dotte non hanno conosciuto questo
processo, in quanto “dimenticate”, per questo uguali o simili al latino.

❖ Ghiaia: tutti i giorni sotto gli occhi (per chi viveva in campagna);
❖ Gloria: erano poche le occasioni in quel periodo per usare la parola “gloria” e ad un certo punto ha
smesso di essere utilizzata.
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Allotropi: sono due parole che partono dalla stessa base latina. Possono esserci due parole, una colta e un
popolare che partono dalle stesse basi latine. (non è il caso di gloria e ghiaia). GUARDA APPUNTI
VECCHI.

Parola popolare non vuol dire che lo è anche oggi.

Vocalismo dal latino all’italiano


Quali erano le vocali del latino? Dieci vocali, ovvero cinque vocali ognuna delle quali poteva essere
pronunciata in due modi diversi, cioè con una durata (o quantità) differente.
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō Ŭ Ū > lunga se c’è il trattino orizzontale, breve se c’è il cappelletto.
La pronuncia della vocale lunga veniva tenuta più a lungo rispetto a quella con il cappelletto; a differenza del
passato noi differenziamo le vocai tra aperta e chiusa, al tempo l’aspetto importante era la lunghezza
vocalica. L’orecchio dei latini italici coglieva facilmente differenze tra aperte e chiuse.
La differenza di lunghezza della vocale era sufficiente per capire la differenza di significato di due parole
uguali. La lunghezza è spesso l’unico elemento che differenzia due parole.
Tale sistema vocalico ai nostri occhi appare molto sofisticato, ma in realtà i latini non avevano alcun
problema a distinguere le due quantità diverse, per es. LĒGO e LĔGO (sing. Delego e leggo) oppure
SŌLUM (sign. solo, solamente) e SŎLUM (sign. la parte bassa di qualcosa) che venivano
approssimativamente pronunciati: “leego” e “lego”; “soolum” e “solum”.
Perdita del sistema quantitativo e nascita del sistema vocalico romanzo
Il problema arriva quando i latini conquistano popolazioni che non avevano questa opposizione vocalica.
Tutte le parole che avevano una vocale lunga, tendenzialmente E e O tendevano ad essere pronunciate anche
con la stessa vocale, oltre che breve, anche aperta; si aggiunge un’altra differenziazione che è data da vocali
chiuse e aperte. Allo stesso modo possiamo ipotizzare una trafila di questo gruppo di parole: Soolum (o
chiusa e lunga), solum (o breve e aperta).
Il problema è che in linguistica è sufficiente che una coppia di parole sia distinta da un solo elemento; gli
elementi che vogliono dire la sessa cosa sono considerati ridondanti, succede quindi che uno dei due allora si
perde ed entra in vigore quella che in linguistica tende ad essere più vigorosa e più carica di potere, quindi
d’innovazione recente proprio in quanto nuova e recente; possiamo quindi dire che di una delle due parole,
portatrici dello stesso fenomeno, e ne rimane solo una, quella che esiste ancora oggi ed è differenziata
dall’apertura o chiusura vocalica. Ovunque sparisce la quantità vocalica a vantaggio della qualità grazie alla
ridondanza; è inutile la presenza di due parole uguale, ne è sufficiente uno.
Sovrapposizione del nuovo sistema al vecchio sistema, con nuove pronunce: léégo e lègo e sóólum e sòlum.
Perdita del sistema quantitativo e nascita del sistema vocalico romanzo: da questo nasce il sistema vocalico
romanzo (=cioè valido per ogni zona della Romania; ogni zona in cui si parla una lingua romanza, da Spagna
a Romania, con eccezioni: in Italia con il siciliano, calabrese e salentino che hanno sistemi vocalici diversi).
Le vocali spesso si fondono e danno vita a nuove vocali.

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Si parla di vocalismo tonico

Esempio di vocalismo siciliano:

Dittonghi
I dittonghi esistevano anche in latino, ma erano tre:

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La “o” è sia aperta che chiusa in posizione tonica.
Dittongamento toscano
Succede solo in Toscana e viene adattata all’italiano. Quando le vocali toniche si trovano in sillaba libera o
“aperta” (= quando termina con vocale), una / ε/ e una /o/ del latino volgare in posizione tonica dittongano,
in questo modo:

Mancanti dittongamenti
Le leggi fonetiche sono maggioritarie ma non riguardano la totalità dei casi. Alcune di queste sono spiegabili
e altre invece sono inspiegabili, in quanto non è avvenuto un fenomeno, invece atteso.
Fin dalle origini il dittongo manca:
Nei latinismi non c’è l’evoluzione dei suoni.: vengono dimenticati e ripresi in un punto della loro
storia: decimo, medico, modo sono dei latinismi per cui non abbiamo diecimo*, miedico* e miodo*
proprio perché il dittongamento si sviluppa nelle parole popolari;
Nelle parole sdrucciole, il dittongamento c’è ma non è sistematico: per esempio c’è in lievito e in
suocera ma non in opera e pecora.
In tre parole piane: non sappiamo bene perché, ma è stato ipotizzato che non c’è perché in genere
nella fonetica della frase, la vocale era atona: nove, “nove maiali”, la sillaba tonica era su maiali, e la
“o” di nove diventava atona; bene non viene dittongata perché, nuovamente la carica tonica si posa
sulla parola successiva; lei, non abbiamo nemmeno questa ipotesi, sappiamo che in italiano antico si
poteva trovare anche “liei” ma non sappiamo il motivo per cui è divento “lei”.
Il dittongo si è perso o indebolito nel corso dei secoli in questi casi:
•dopo suono palatale, per es. (H)ISPANIŎLU(M) > spagnuolo > spagnolo; IŎCU(M) > giuoco > gioco;
FILIŎLU(M) > figliuolo > figliolo (dal XIII sec., ma resiste nello scritto);

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• in iera, ierano, diventati era, erano (XIV secolo) probabilmente per la posizione prototica, “era furbo”,
accento su furbo;
• dopo cons. + r : BRĔVE(M) > brieve > breve; PRŎBA(T) > pruova > prova (XV-XVI
sec.). Si perdono per il flusso dei dialetti occidentali (pisano e lucchese soprattutto).
Inoltre: oscillazione per la regola del dittongo mobile (=Il dittongo mobile è quel fenomeno linguistico che
fa sì che in alcune serie omogenee (ad es. forme verbali con fenomeni di dittongo o meno: venire) delle
forme abbiano il dittongo e altre ne siano prive): Ruota ha dittongo -uo, ma rotaia non ce l’ha. Questo perché
in rotaia, la -u sarebbe atona e non si può creare dittongo in una sillaba atona.
Nella parola vengo, la parola resta così perché, anche se la -e è tonica, ma la sillaba non è libera: Ven-go.
Nella parola venire la -e è chiusa e atona!!!

Esercizio
1) Quale vocale tonica del latino classico è presupposta da ognuna delle seguenti parole italiane?: puro,
pietra, fòglia, vino.
1) U lunga, E aperta e breve, O breve, I lunga.
2) Perché la base latina PĔCTU(M) non ha dato come esito in italiano la parola pietto?
2) Perchè la sillaba non sarebbe libera.
3) Sulla scorta degli esiti italiani (tutti popolari), si può dire che alcune delle seguenti basi
latine contengono un errore. Individuatele e fornite le basi corrette: SĂNCTU(M) > santo,
3

VĬVU(M) > vivo, FĬRU(M) > fiero, DAUMU(M) > duomo, DǓRU(M) > duro, SǑNU(M) > suono
(dittongamento toscano), CĒNTU(M) > cènto, NŎSTRU(M) > nòstro.
2) VIVUM (I lunga perchè è l’unica che da conto della I italiana), FERUM (e aperta e breve), (se
DAUMUM era vero doveva venire domo o dòmo), DOMUM (con o breve), DURUM (u lunga),
CENTUM (e breve e aperta).
1. U lunga E breve O breve I lunga.
2. La parola petto finisce con la consonante e quindi non è sillaba libera ma chiusa.
3. prima parola giusta; errore nella seconda parola perché la I breve dovrebbe dare e non i; terza parola
sbagliata perché ci vuole la E breve; quarta parola sbagliata; errore nella
5 parola la U breve non dà la U ma la O; la sesta parola è giusta; la E lunga da la e chiusa ma qui è aperta;
giusta.

Abbiamo detto che i fenomeni linguistici non sono eterni; iniziano in un certo periodo, si sviluppano e poi si
chiudono anche se non possiamo prevederlo.
Perché si dice oro e non uoro o toro e non tuoro?
↳ Oggi una parola con O non diventa UO perche è finito tanti secoli fa; in quei due secoli le parole con O
aperta si sono trasformate in UO e però poi ad un certo punto è finito e quando è finito le parole con AU
latino avevano ancora AU. Ad un certo punto tutte le AU latine si chiudono in O pero il dittongamento
toscano era finito e quindi queste nuove O aperte che si sono prodotte non sono potute diventare UO.
La spiegazione è di tipo cronologica: il dittongamento toscano è terminato prima che ci fosse la chiusura di
AU in O. È l’unica spiegazione valida.

l14
Anafonesi
Parola di origine greca che vuol dire innalzamento; l’allusione è al triangolo vocalico dove determinate
vocali si innalzano, arrivano a quella più alta.
Si tratta della chiusura delle vocali toniche medio-alte (/e/ e /o/) davanti a determinati suoni consonantici.
Dunque /e/ > /i/ e /o/ > /u/.
Fenomeno è piuttosto circoscritto geograficamente, non accade in tutta italia: accade in Toscana e neanche
in tutta la toscana in realtà.
Due tipi di anafonesi:
1) Si ha /i/ tonica (vocale sotto accento) da /e/ del latino volgare davanti a /ɲ/ e /ʎ/ purché provenienti
da -LJ- e -NJ- del latino classico. Sono tutte parole popolari.
FAMĬLIA(M) > faméglia > famiglia
CONSĬLIU(M) > conséglio > consiglio MATRĬNIA(M) > matrégna > matrigna ha conosciuto una fase
intermedia
MA LĬGNU(M) > légno > NON ligno → non viene da NJ latino ma era già presente in latino.
2) Si ha /i/ tonica da /e/ del latino volgare e /u/ tonica da /o/ davanti a una nasale velare, ossia ai nessi
NG e NK; tuttavia, nella formula -ONK- la /o/ si conserva.
LĬNGUA(M) > léngua (è ovunque così, anche in tutta la toscana, apparte in una zona in cui si ha > lingua).
TĬNCA(M) > ténca > tinca
FŬNGU(M)>fóngo >fungo
Questo è il controesempio: TRŬNCU(M) > trónco (NON trunco, non c’è anafonesi ma non si sa perché).
Chiusura delle vocali toniche in iato
Le vocali toniche medie tendono a chiudersi fino alla vocale estrema (/i/ o /u/) se seguiti da un’altra vocale
diversa da /i/ con cui sono in iato.
Ĕ(G, è tra parentesi perché cade)O > èo > éo > si ha un’eccessiva chiusura fino ad arrivare a io
DĔU(M )> dèo > déo > dio TŬA(M) > tóa > tua
OSSERVARE LE DIFFERENZE:
MĔU(M) > mèo > méo > mio MĔI >mèi >miei
BŎ(V)E(M) > bòe > bóe > bue BŎ(V)E(S) > bòi > buoi

Il fenomeno, come al solito, manca nei latinismi, tra cui sono molti nomi propri: Matteo, Bartolomeo,
Andrea. Manca anche, per es. in dei e dea, da confrontare con dio.
Dal punto di vista fonetico è abbastanza evidente, ma ideologicamente siamo passati da un politeismo a un
dio unico. Dei e Dea come parole si è messo di dirle, sono sparite dalla circolazione, il dio era uno.

Esercizio in classe:
1. Dittongamento toscano: piede, ieri e pietra duomo, luogo, buono.
2. O chiusa in pochi casi O aperta nella maggior parte dei casi
3. Il fatto che il dittongamento toscano si era già concluso e quindi AU è rimasto O.
4. Nel primo caso la E è atona, mentre nel secondo caso è tonica e per questo danno risultato diverso.
5. Perché la sillaba non è libera ma chiusa e quindi non si ha dittongamento.
6. La chiusura delle vocali toniche in iato: so con la o chiusa e c’è un ulteriore chiusura della o ed è per
questo che sia ha la u.
l15
7. Perché non è proveniente da NJ latino, ma era già presente.
8. La prima parola non è un latinismo; la seconda parola non è un latinismo e l’esito è perfetto; la terza
parola è un latinismo; la quarta parola non è un latinismo e la parola non è popolare perche scatta
l’anafonesi; la quinta parola è un latinismo perche non è l’esito che ci attendiamo e non troviamo altre
spiegazioni possibili, non segue le regole che abbiamo studiato; la sesta parola è un latinismo; la settimana
parola è popolare; l’ottava parola non è un latinismo, la parola è regolare; la nona parola non è un latinismo;
la decima parola è popolare, dittongamento toscano; l’undicesima parola non è un latinismo; la dodicesima
parola non è un latinismo.

Qui vediamo anche delle tripartizioni.


Alcune vocali sono talmente deboli che non resistono all'usura del passaggio dal latino alla nuova lingua. Le
vocali deboli sono quelle tra una vocale tonica e una precedente ancora.
Trattamento della /e/ protonica.
Una /e/ protonica del latino volgare tende a chiudersi a /i/. Il fenomeno era anticamente limitato alla Toscana
(tranne Arezzo e Cortona) e a una piccola zona dell’Umbria.
DĔCEMBRE(M) > decembre > dicembre MĬNORE(M) > menore > minore
MĒ(N)SURA(M) > mesura > misura
Il fenomeno avviene anche all’interno di frase, nei monosillabi che si appoggiano alla parola seguente:
DĒROMA > deRoma > diRoma MĒLAVO > melavo > milavo
TĒ AMA(T) > te ama > ti ama ĬN CASA(M) > en casa > in casa
Il fenomeno non avviene
Nei latinismi, come sereno, memoria, veleno, negozio; nei forestierismi: regalo, petardo nei derivati, per
attrazione della base: festivo, telaio; anche nei verbi: bevevo, legare in parole che hanno subito una
rilatinizzazione umanistica: felice, delicato, eguale.
Il fenomeno avviene tardi in alcune parole, per es. Melano, pregione, segnore, nepote. Da notare
l’alternanza tra i verbi prefissati in DE-/DI- e in RE-/RI-, con varianti anche la stessa parola, per es.
risurrezione e resurrezione.
Trattamento della /o/ protonica
Una /o/ protonica del latino volgare in alcuni casi tende a chiudersi in /u/ nelle stesse zone interessate dal
precedente fenomeno.
CŎCINA(M) > cocina > cucina AUDIRE > odire > udire
ŎCCIDERE > occidere > uccidere
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Da notare le numerose oscillazioni: molino / mulino, obbedire / ubbidire, olivo / ulivo.
Passaggio di ar atono a er
Area limitatissima: praticamente solo Firenze.
CAMBARU(M) > gambero MARGARITA(M) > margherita ar. zafaran > zafferano
Inoltre, nei suffissi -arìa, -arèllo > -erìa, -erèllo: macelleria, osteria; fatterello, passerella. Il fenomeno è stato
fondamentale per la formazione di futuri e condizionali: AMARE HABEO > AMAR(E) *(A)O > amarò >
amerò; CANTARE *EBUI > CANTAR(E) *EI > cantarei > canterei.

Oggi il fenomeno è in crisi soprattutto per la penetrazione di parole di origine non fiorentina: dollaro,
bustarella, pastarella, mozzarella, pennarello, zagara, ecc.
Consonantismo del latino all’italiano
Molte consonanti si conservano, per es. la D: DEU(M), NI DU(M); la M: MATRE(M), LU ME(N);
la L: LACTE(M), MU LU(M); la R: ROTA(M), MU RU(M), ecc
Altre si perdono,
specialmente la H: VE HEMENTIA(M) > veemenza.
In particolare, si perdono le consonanti finali latine -M, -T e -S: *la M, che infatti vediamo molte
volte tra parentesi perché indica “cosa non detta”; le parole italiane derivano dall’accusativo latino e
non dal nominativo.
Queste consonanti, a volte sono cadute senza lasciare traccia, altre invece hanno lasciato traccia: La -M cade
(=veniva ancora scritta, ma non più pronunciata) precocemente, sicuramente prima di Cristo; della caduta di
-T abbiamo testimonianze nei graffiti pompeiani dove non c’è già più traccia della -T (probabilmente chi
scriveva sui muri non era gene acculturata e scriveva come parlava, per questo non si ha traccia della -T).
La -S, ha un caso più particolare, perdendosi in tempi e modi diversi, subisce varie trasformazioni:
❖ nei monosillabi si vocalizza, trasformandosi in -i: VOS > voi; POS(T)
❖ cadendo, provoca il RF: TRES FILIAE > pronunciato [tref’fiʎʎe]
❖ nei polisillabi palatalizza (= la vocale precedente cambia in base alla scala di palatalizzazione ( a,e
,i) la vocale precedente: CAPRAS > capre ( e così nascono i plurali femminili); CANES > cani (
così nascono i plurali maschili).
Moltissime consonanti, infine, subiscono trasformazioni fonetiche

Palatalizza delle occlusive velari davanti a e o i


In latino classico la /K/ e la /G/ erano sempre velari. Così, per es., CERA e GELUM si pronunciavano /’
kera/ e /’ g εlu/. Nel latino tardo /k/ e /g/ davanti a vocale palatale si sono palatalizzate, dando origine alle
affricate palatali: /’ tʃera/ e /’ d ʒ εlu/.
Ulteriori sviluppi per la sonora in posizione interna (=quando il fonema di cui stiamo parlando, se si trova in
posizione interna si intensifica):
FUGI(T) > fugge SAGITTA(M) > saetta
Quindi, una G in posizione interna, è sospetta di latinismo e che non è un’evoluzione popolare.
Trattenimento di /J/ iniziale e intervocalico:
❖ Iniziale: J > /d ʒ/ IACERE > giacere IO(H)ANNE(S) > Giovanni
❖ Intervocalico; il suono è più intenso: J- > /dd ʒ/ MAIORE(M) > maggiore *SCARAFAIU(M) >
scarafaggi
Nessi consonantici con /J/
=Una consonante seguita da J
La trasformazione più frequente è il raddoppiamento della consonante precedente, già in latino: AURELIUS
> AURELLIUS; LICINIUS > LICINNIUS
ess. con consonanti diverse: SEPIA(M) > seppia; RABIA(M) > rabbia; REGIA(M) > reggia; FACIO >
faccio
LJ e NJ raddoppiano la consonante e poi la palatalizzano: FILIU(M) > fillio > figlio; IUNIU(M) > giunnio >
giugno
Doppio esito, invece, nel caso di SJ:
l17
*la “e” di CASEUM, è pronunciata come “i”, di conseguenza è uno J (iod).
Nessi consonantici con /J/
l’esito del nesso RJ, in Toscana e in area limitrofa (verso sud) diventa /J/. Questa è una spia molto chiara per
capire se una parola è di origine toscana oppure no.
CORIU(M) > cuoio AREA(M) > aia PARIU(M) > paio
GLAREA(M) > ghiaia *MORIO > muoi

suffisso -ARIU(M): NOTARIU(M) > notaio FORNARIU(M) > fornai


suffisso -ORIU(M): SPOLIATORIU(M) > spogliatoio CURRITORIU(M) > corridoi

▪ Nel resto d’Italia, invece, RJ > / r / fornaro vs. fornaio; notaro vs. notaio; paro vs. paio, ecc.

Perché allora si dice denaro e non “denaio”?


In questo caso, non parliamo di latinismo ma di un caso isolato. Nei latinismi si conserva RJ (anniversario).
Denaro: in condizioni normali vince sempre il singolare, e il plurale si riforma in base al singolare. Il denaro
però, al tempo aveva un valore bassissimo, tanto che nessuno diceva “denaro”; nel periodo in cui si forma
questa parola il termine “denaro” non veniva utilizzato perché il suo valore era troppo basso e anche la cosa
meno economica costava più che un denaro. È prevalsa la forma plurale, in quanto quella maggiormente
utilizzata.

Esercizio sul consonantismo


1) Nel passaggio al latino volgare e all’italiano, che cosa accade alla consonante finale del latino
classico -S?
2) Con specifico riferimento ai fenomeni della palatalizzazione delle occlusive velari e del trattamento
di /J/ iniziale e intervocalico, quali tra le seguenti parole italiane vi sembra più probabile che non
siano di traduzione popolare e perché? AGILE(M)>agile; *FAGINA > faina; IUSTU(M) > giusto;
FULIGINE(M)> fuliggine; ACETU(M)> aceto; MAIU(M)> maggio
Tra le parole non popolari abbiamo:
FAGINA(M): La “g” interna o si raddoppia o sparisce (come nel caso di saetta).
FULIGINE(M): J intervocalica raddoppia.
ACETU(M): esito atteso.
3) Con specifico riferimento ai fenomeni consonantici visti finora, quali tra le seguenti parole italiane vi
sembrano cultismi e perché? Acquario>ACQUARIU(M); dalia < DA(H)LIA(M); calcagno <
CALCANEU(M); oratorio < ORATORIU(M); ambrosia < AMBROSIA(M); foraneo <
FOANAEU(M); principio < PRINCIPIU(M); Biagio < BLASEU(M); laccio < LACEU(M); cucio <
*COSIO; migliorare; copia < COPIA(M); rugiada < *ROSIATA(M)
ACQUARIU(M): latinismo
DA(H)LIA(M): latinismo
ORATORIU(M): latinismo
AMBROIA(M): latinismo
FORANEU(M): latinismo
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PRINCIPIU(M): latinismo
COPIA(M): latinismo
4) Sulla scorta dei fenomeni fonetici trattati fin qui, quali esiti popolari si potrebbero ipotizzare a partire
dalle seguenti basi latine (che nella realtà hanno prodotto cultismi: alias, calvario, vaticanio,
ionico)? ALIAS, CALVARIU(M), VATICANIU(M), VISIONE(M), IONICU(M).

*agle, *calvaio, *vaticegno, * vicione o *vigione, *gionnico

Sonorizzazione delle sorde intervocaliche (o tra vocali e /r/) e di S


Confrontando l’esito latino e la base italiana, in alcuni casi abbiamo la sonora, e in altri la sorda:

Il problema che si sono posti i latini è quale sarà stato il vero esito del toscano di fronte al latino? Abbiamo
due esiti; due sono le possibilità velari:
❖ In un caso si può supporre che l’esito originario del toscano fosse il mantenimento della sorda e i
moltissimi esempi di sonorizzazione sarebbero dei singoli prestiti dal nord Italia (dove le sorde,
come oggi, erano più numerose rispetto alla Toscana).
Per molto tempo si è pensato che entrambe le ipotesi possano essere valide ma hanno dei punti oscuri: è
difficile pensare ad un numero così alto di prestiti dal nord.
❖ Se l’esito finale fosse stata la sorda, si sarebbero potute spiegare come una serie di latinismi; ma
come si fa a pensare a latinismi per parole quotidiane e contadine, che le persone avevano sotto gli
occhi? (parole come insalata, cipolla, amico etc.), per questo motivo l’ipotesi dei latinismi è crollata
presto. con prestiti dal nord, al contrario, e la s è sonora si dovrebbe pensare a dei latinismi. Ma per
parole che i contadini avevano sott’occhio tutti i giorni? Per parole quotidiane, l’ipotesi dei latinisti è
crollata presto.
Enrico Castellani, quindi, analizzando i toponimi toscani e soprattutto i microtoponimi (= luoghi
piccolissimi e isolati), la maggior parte di questi manteneva la sorda. Sapendo che i nomi di località,
soprattutto piccole località, caratterizzano lo stato linguistico di una zona, porta all’osservazione dei
luoghi che di solito tendono a rimanere uguali. Analizzando questo, Castellani, ha pensato che l’esito
originario del toscano fosse il mantenimento della sorda che si trova nella maggior parte dei
microtoponimi toscani. Il seguente fenomeno viene spiegato con una moda che viene dal nord, come
succede oggi con i luoghi prestigiosi. Per prestigio, i paesi toscani imitavano i dialetti nordici. Oggi si
pensa che l’esito originario si astato il mantenimento della sorda e in seguito, delle mode derivanti dal
nord che sonorizzava le S.
Trattamento di consonante + /L/
In posizione iniziale e postconsonantica l’esito normale nell’intera area italoromanza è stato: cons. + /L/ da
come esito cons. + / j /:

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In posizione intervocalica abbiamo anche il raddoppiamento della consonante:

Assimilazione (= Fenomeno per cui un suono assume in tutto o in parte caratteristiche foniche simili a quelle
del suono che lo precede o lo segue). In italiano si ha solo assimilazione regressiva (= prevale la seconda la
quale trasforma in sé stessa la prima).

Dissimilazione (=È il contrario dell’assimilazione; avviene a distanza, con interposizione di altri fonemi. Si
tratta di un fenomeno di diversificazione fra suoni uguali o simili, che si trovano vicini, ma non
necessariamente contigui, nella stessa parola).

Esercizio
1. Qual è stato in Toscana l’esito originario delle occlusive sorde latine (P, T, K) intervocaliche e tra
vocale e R?
Confrontando la base latina con quella italiana possiamo vedere come in alcune parole la P,T e la K si sono
trasformate nelle loro rispettive sonore, quindi B,D e G, mentre in altri casi sono rimaste invariate. Es.
MATRE(M) > madre, ACUTU(M) > acuto.
2. Trovate il latinismo o i latinismi, motivando la scelta:
a) Fossa < FOSSA(M): parola popolare in quanto la “o” breve diventa aperta;
b) Siena < SAENA(M): non è un latinismo perché abbiamo il passaggio tra “ae” e “ie” (dittongamento
toscano)
c) Pieno < PLENU(M): è una parola popolare in quanto cons. + /L/ da come esito cons. + / j/
d) Flusso < FLUXU(M): latinismo per CONS. + L

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e) Contrada < CONTRATA(M): non è un latinismo in quanto si ha una dissimilazione e la seconda t
diventa sonora.
f) Sabbia < SAB(U)LA(M): non è un latinismo in quanto abbiamo due consonanti intervocaliche che
subiscono un raddoppiamento vocalico.
g) Subito < SUBITO: latinismo
h) Trema < TREMA(T): non è un latinismo ma per un’evoluzione. Normalmente ci aspetteremo
triema* (in quella posizione c’è un dittongo fiorentino per influsso di dialetti occidentali; è
un’evoluzione del tempo ma non un latinismo). “ie” e “uo” sono diventati “e” e “o” ma non perché è
un latinismo ma per un’evoluzione.
3. Anche senza conoscere le rispettive basi latine, è lecito sospettare che le seguenti forme non siano di
schietta tradizione popolare tosco-fiorentina. Per ogni parola, spiegate i motivi che giustificano tali
aspetti: portuense, salario, amnesia, fluttuare, occasione, aritmetica.
Portuense= nesso NS chiara spia di latinismo
Salario = doveva essere salaio per RJ conservato.
Amnesia= non diventa nn, MN conservato.
Fluttuare= FL conservato.
Occasione= SJ conservato.
Aritmetica= TM conservato.

4. Dalle seguenti basi latine si sono avuti cultismi. Quali esiti popolari si potrebbero invece ipotizzare?
INSULTU(M), CLASSICU(M), LOCULU(M), APPLAUSU(M)
INSULTUM: izolto*/ isolto*
CLASSICUM: chiassego/co *
LOCULUM: locolo*
APPLAUSU: appiozo*/appiòzo*

5. Analizzate tutti i fenomeni fonetici che si sono prodotti nei seguenti passaggi, iniziando dal
vocalismo: IPAUM > esso SCULTELLLAM > scodella; BLASSEUM > Biagio; BOVEM > bue.
IPAU(M) > esso: vocalismo tonico: I breve diventa regolarmente una e chiusa, la U breve diventa
regolarmente una o chiusa; presenza di PS che produce un raddoppiamento vocalico diventando SS; la M
cade.
SCUTELLA(M) > scodella: la prima vocale diventa “o” essendo atona e breve; la M cade; la dentale sorda
diventa sonora per la sua posizione intervocalica.
BLASSEUM > Biagio: consonante + L che diventa consonante più J. La vocale atona diventa “o” in quanto
sorda.

Prostesi (=pro vuol dire prima)


Si tratta dell’inserimento di un suono all’inizio di parola, di solito per evitare sequenze di suoni sgradite.
Nello scritto è in disuso; resiste nel parlato, soprattutto in Toscana.

Epentesi
Si tratta dell’inserimento di un suono all’interno della parola. Può essere consonantica (di solito si inserisce
una /v/) o vocalica (si inserisce una /i/).

Epitesi
Si tratta dell’inserimento di un suono alla fine della parola, di solito per evitare che l’accento tonico cada
sull’ultima sillaba o anche per evitare una terminazione consonantica.

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Aferesi
Si tratta della caduta di un suono all’inizio di parola:
(IL)LEI > lei (que)sta mattina > stamattina (que)sta volta > stavolta
Sincope
Si tratta della caduta di un suono all’interno della parola:
CER(E)BELLUM > cervello VAN(I)TARE > vantare
Apocope
Si tratta della caduta di un suono nella parte finale della parola:
POTE(T) > puo(te) > può CIVITATE(M) > citta(de) > città

Discrezione dell’articolo: Si ha quando la prima parte di una parola è sentita dai parlanti come un articolo o
parte di un articolo e dunque è staccata dalla parola stessa.

Concrezione dell’articolo: Si ha quando un articolo o parte di esso è sentito dai parlanti come la parte
iniziale di una parola e dunque si fonde con la parola stessa.
ASTRACU(M) > ASTRICU(M) > l’astrico > lastrico
Parole nate per errore: Spesso generate da errori di lettura o di trascrizione.

Ripasso generale:
1. Quali sono le principali differenze fra il RF toscano e RF romano?
la differenza sta nella pronuncia standard del RF toscano mentre a differenza di quello romano che invece
non fa parte della pronuncia standard.
2. Perché la distinzione fonetica fra /s/ e /z/ in posizione intervocalica è labile, tanto che alcuni fonetisti
ritengono che non si possa parlare di due fonemi distinti?
Risulta labile in quanto /s/ e /z/ in posizione intervocalica, sono sempre tenue (quindi, senza
raddoppiamento intervocalico); la grafia non ci da nessun indizio; è rispettata solo in una piccola parte di
Italia, cioè in Toscana; assenza QUASI di coppie vocalica; Come, per esempio, la pronuncia di /roza/ e
/azilo/.
3. Quali sono le principali fonti attraverso cui conosciamo il latino volgare?
Apprendix probi; le scritte sui muri (Pompei); le parole con l’asterisco;
4. Che cosa sono gli allotropi? Esempi.

5.
6. Come si chiama quel fenomeno in forza del quale diciamo ruota (< ROTA(M), con -uo-, m ruota, cin
semplice -o- senza dittongo? Dittongomobile (dittongamento toscano)
7. In quali seguenti casi NON si può parlare di anafonesi, e perché?
PINEA(M) > pigna; FUNGU(M) > fungo; CONSEGUINEU(M) > consanguineo; INFORTUNIUM(M) >
infortunio; LINEA(M) > linea; TITULIU(M) > tiglio.
CONSANGUINEU(M): non si tratta di anafonesi in quanto davanti al nesso NG non sono presenti né la “i”
né la “u” tonica.
INFORTUNIUM(M): non si tratta di anafonesi in quanto prima del nesso NJ non si trova la “i” tonica.
LINEA(M): non è anafonesi in quanto la parola italiana sarebbe dovuta diventare ligna.
8. Individuate i latinismi: posa < PAUSA(M), denaro < DENARIU(M), calendario <
CALENDARIU(M); virtù < VIRTUTE(M), gente < GENTE(M), museo < MUSEU(M), lago <
LACU(M).
CALENDARIU(M): non è un latinismo in quanto sarebbe dovuto diventare calenadio*
l22
MUSEU(M): sarebbe stato musio
9. O raddoppia o cade.
10. Africata sorda o sonora
Esercizio 2
1. Il fiorentino ha perso il dittongo che aveva in origine per l’influsso del pisano e il lucchese.
2. Una /e/ protonica del latino volgare tende a chiudersi a /i/. Il fenomeno non avviene
3. Perché l’anafonesi a Siena non c’era.
4. La spiegazione è di tipo cronologica: la parola è riapparsa in seguito alla fine del fenomeno di
dittongamento toscano.
5. Le vocali toniche medie tendono a chiudersi fino alla vocale esterna se seguita da un’altra vocale
diversa da /i/. gli altri due sono latinismi, riapparsi in seguito al monopoliteismo.
6. È rimasto il plurale per motivazioni di necessità legate al valore basso della moneta singola.
7. CIRCULUM: circolo e cerchio; VITIU(M): vezzo e vizio.
8. Pluviale: consonante + L; Lampadario: lampadaio;
9. Aurelio, Dario, Zaccaria
10. Geragno*, Giuniori*, colleio*
11. IACERE > giacere: vocalismo: e lunga diventa chiusa; la J in posizione iniziale è regolarmente
diventata / d ʒ /
CORIU(M) > cuoio: la vocale libera o aperta u diventa o; RJ ha regolarmente dittongato diventato –
uo-
TINCA(M) > tinca: anafonesi
FACIO(M) > faccio: la consonante + J in posizione intervocalica si è regolarmente raddoppiata.
SUU(M) > suo: la vocale chiusa u si è regolarmente trasformata in una o

l23
Orale
Cronologia di alcuni cambiamenti; lantino → volgare
▪ Perdita della -M già prima di Cristo
▪ Perdita delle altre consonanti finali, spec. -T e -S (I sec. d.C.)
▪ NS > s già del I sec. d.C. (per es. a Pompei)
▪ Nascita delle affricate alveolari (II-III sec. d.C.)
▪ Betacismo: Confusione tra la pronuncia B e V: BOCE per VOCE (dal I d.C. sporadicamente, poi dal
III d.C.)
▪ Passaggio dal sistema vocalico quantitativo a quello timbrico (IV-V sec.)
▪ Errori nell’identificazione di casi e declinazioni (IV-V sec.); in Italia essendo il centro del latino le
declinazioni e i casi durano fino al VI sec.
▪ Sonorizzazione di parte delle occlusive sorde: MATRE> madre (V sec.; non cambiamenti istantanei
ma impiegano molto tempo).
▪ Pronuncia palatale delle antiche velari davanti a e, i: CENA si pronunciava /k’ena/. Diventa
un’affricata palatale nel V sec.
▪ Dittongamento toscano in sillaba libera: è > jè, ò > wò (VI-VII sec.)
▪ Monottongamento di AU > ò, raram. ó (VIII sec.)
▪ Genericamente dopo il VI sec.: nascita dei futuri e condizionali romanzi; espressione del passato con
avere; nascita degli articoli (c’è stata una fase in cui l’elemento dimostrativo latino ha iniziato a
prendere le funzioni di articolo fino a diventare un articolo a tutti gli effetti successivamente), ecc.
▪ E ancora: a livello lessicale si registrano mutamenti semantici (bucca / os; caballus / equus) tra
bucca e os (bocca) è prevalso bucca che è più foneticamente complesso, la stessa cosa tra caballus e
equus; sostantivazione di aggettivi (strata, da ‘lastricata’ a ‘strada’); preferenza per i diminutivi
(agnellus, fratellus che in origine significavano “piccolo agnello” e “fratello minore” subentrano ad
agnus, frater), ecc.

Tra latino e volgare


Abbiamo già visto precedentemente la difficoltà di definire il latino volgare; non trova d’accordo tutti gli
studiosi. Non è solo la classe popolare che ha aiutato a definire il latino ma anche le altre classi anche se il
popolo ha di più cooperato in quanto parliamo di latino volgare.

Situazione di diglossia: compresenza tra latino che diventava sempre più corrotto (almeno a livello parlato) e
ciò che il popolo parlava quotidianamente che era una lingua che diventava sempre più distante dalla lingua
che ci immaginiamo noi o; È difficile identificare un secolo preciso in cui avvengono questi cambiamenti in
quanto è un processo ininterrotto.
Ad un certo punto coesistevano due versioni di latino: latino aulico e latino parlato dal popolo, più rozzo.
Per molto tempo le persone pensavano di star parlando latino, c’è voluto molto tempo prima che le persone si
accorgessero che quello che stavano parlando era una lingua diversa dal latino.

Come sappiamo la scrittura tende ad essere più conservativa rispetto alla lingua colloquiale, quindi, si
scriveva sempre come prima (ma si pronunciava diversamente).

Sotto la spinta del parlato quotidiano il latino smette di assomigliare al latino classico e diventa sempre più
corrotto fino alla restaurazione carolingia (IX sec.) dovuta alla scuola di Carlo Magno e in particolare ad
Alcuminio, una sorta di ministro dell’istruzione, che mette in atto una serie di ripristini per cui lo scritto
assomigliava sempre dipiù al latino classico. Sul parlato, invece, non c’è stato niente da fare, il volgare,
infatti, ha continuato a svilupparsi verso una direzione che lo allontanava sempre di più dal latino classico.
Con la restaurazione di Carolingia ci si rende conto della coesistenza di due lingue completamente diverse
tra loro.
Concilio d Tours (1813), una città della Francia, nella quale si è svolto un concilio di vescovi episcopale, i
quali pronunciavano l’omelia in latino volgare. Con questo concilio, i vescovi hanno avuto la possibilità di
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dire l’omelia in volgare. È stato un riconoscimento eccezionale; fino ad all’ora la gente povera non capiva
quello che veniva detto.
Giuramenti di Strasburgo (1842): città francese in cui si è avuta la prima testimonianza scritta della lingua
romanza francese. I due nipoti di Carlo Magno, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, uno francese e
l’altro in tedesco. Entrambi fecero un giuramento nella lingua dell’altro; questo giuramento rimane scritto e
in entrambi casi sono testimonianze della prima attestazione di un volgare autonomo dal latino.

I testi delle origini italiani (non appendix probi; non è italiano ma latino volgare)
Italia centrale e meridionale: ambientazioni legate per la cultura che all’epoca si faceva nell’abbazia e
monasteri, quindi, sono legati all’ambiente religioso soprattutto nell’ambiente religioso benedettino.
Quelli dopo il 1000 sono legati alla ripresa dell’attività della rinascita delle città e quindi dei ceti produttivi
delle nuove città e dunque all’ambiente commerciale. I primi (religiosi) sono molto brevi e sono più
dipendenti dal latino e sono all’interno di scritture latine.

Indovinello veronese: in origine era considerato il più antico testo italiano, oggi si pensa che non sia in
volgare ma in latino corrotto e considerato una testimonianza di un latino non corretto.

Prime testimonianze del volgare italiano


Il più antico in ordine cronologico risulta essere la cosiddetta iscrizione della catacomba di Commodilla
(sud di Roma del quartiere Ostiense).
“Commodilla” probabilmente si riferisce al nome della persona che la possedeva. La parola catacomba ci fa
capire sia il periodo che l’aria: la catacomba porta con sé l’idea del nascosto e del “non fare le ocse
apertamente”.
Si tratta di un breve testo, di un graffito (=inciso nel muro, non scritto su pergamena), conteneva un affresco
dedicato ai santi Felice e Adàutto, del VI-VIII secolo. Questo affresco contiene una sorta di cornice fatta
con materiale murario la quale necessitava l’incisione se si voleva scrivere qualcosa sopra.
Si è sicuri che l’incisione sia stata fatta in seguito all’affresco; non viene tuttavia datata oltre il IV sec. perché
sappiamo con certezza che circa a metà del IC se. La catacomba fu abbandonata.
Su base paleografica (= studio delle scritture antiche con l’intento di datarle), sappiamo che quella scrittura
risale all’inizio dell’VIII- IX sec.

❖ non dice-re (nelle iscrizioni antiche non veniva segnato lo spazio, tendevano ad essere evitati; sono
databili successivamente);
❖ il-le (anche questo diviso):

▪ Nascita dell’articolo in italiano: è nato dal dimostrativo latino → “ille” (quello) →”il” o “lo”
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È difficile capire se in questa fase stiamo ancora parlando del dimostrativo latino dell’articolo
romanzo. C’è stata una fase intermedia in cui non si sapeva bene se un’iscrizione avesse ancora il
valore di dimostrativo o di articolo. In questa lunga fase “ille” prende il nome di articoloide. (questo
è un esempio di articoloide).

❖ se-crita: da pronunciare probabilmente “secreta” (con la e chiusa). È un tecnicismo che alludeva ad


una parte del rito della messa chiamatesi “misteria” che andava pronunciata sottovoce. Con ogni
probabilità era un invito a dire questa parte della messa a bassa voce.
❖ aboce: Raddoppiamento fonosintattico: quella b aggiunta probabilmente deriva dal fatto che lo
stesso scrivente (o un secondo) rileggendo questa ascrizione avrà notato che qualcosa non tornava,
ha quindi pensato che aggiungendo un’altra b avrebbe potuto ottenere una pronuncia più vicina al
reale. → “a voce”

Il volgare è ancora molto immaturo, dipende ancora molto dal latino. L’espressione “non dicere” ci aiuta a
capire che è volgare; in latino classico la negazione sarebbe stato “ne digas” mentre qui è molto più simile a
come diciamo oggi e ad alcuni dialetti.

Betacismo, cioè confusione fra B e V: probabilmente è pronunciato voce.


Il betacismo era presente nella zona del romanesco delle origini ormai sparita (ma rimasta in alcune lingue
romanze → spagnolo)

Placito di Capua (placiti campani o cassinesi)


Trovata tra nord dell’attuale Campania e sud dell’attuale Lazio. “Capuani” perché è stata trovata a Capua (a
nord della Campania) e “Cassinesi” perché il monastero di Monte Cassino è fortemente convolto nella
produzione di questo documento.
Non si hanno problemi di datazione in questo caso: 960-963 d.c
Il placito (tecnicismo) era un documento che riportava la sentenza di un’autorità giudiziaria.
L’argomento riguarda un contenzioso (duello in giudizio) tra il Monastero di Monte Cassino e un privato,
Rodelgrimo; entrambi reclamavano il possesso di determinate terre. Durante un dibattito in tribunale
entrambi convocano dei testimoni a loro favorevoli.

Nel documento del marzo del 960 una formula viene ripetuta quattro volte da quattro testimoni diversi;
affermavano in volgare che il possesso delle terre in questione spettasse all’abbazia di Montecassino. Il resto
del documento è tutto in latino.

Qual è il significato delle testimonianze in volgare?


Oggi si pensa che sia stato una sorta di “finto dibattimento” con un preventivato accordo tra determinati
privati terrieri e alcuni testimoni. La cosa importante è che le testimonianze vennero fatte in latino affinché
tutti le capissero; se fosse stato in latino solo i colti avrebbero capito. Sicuramente i testimoni conoscevano
il latino perché erano persone di chiesa ma hanno comunque voluto fare la testimonianza in latino in modo
che si mettesse nero su bianco l’esito del dibattito, così che tutti sapessero che quelle terre appartenevano al
Monastero.

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Pergamena conservata a Montecassino.

Osservazioni linguistiche
Si tratta di un esempio di volgare romanzo, con forti caratteri locali:
❖ Il sao (che oggi nel dialetto di quella zona si dice “saccio”) iniziale probabilmente era un elemento
locale comune anche alle varietà settentrionali. Oggi si è perso. Negli altri placiti provoca RF (sao kko);
❖ Altro tratto locale, tuttora presente, è la riduzione del nesso labiovelare in “kelle”;
❖ Sul piano sintattico, è molto interessante la presenza di una dislocazione, tipica del parlato: kelle terre ...
le possette. → L’ordine naturale sarebbe stato: “La parte san benedicti la possette trenta anni”.

Postilla amiatina
È l’unica parte in volgare, il resto è in latino. È un latino che ha a che fare con la legge.
In questo caso c’è di mezzo un notaio.

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❖ “caput coctu”: probabilmente è il soprannome dato ad uno dei due in questione; lo possiamo tradurre
oggi con “testa calda”;
❖ Q(ui): sta per “qui” ma pronunciato sicuramente /ki/;

Inizio 1087- primo documento più antico toscano.


Località prima chiamata abbadia San salvatore in Montamiata (conservato nell’archivio di stato di Siena).

Il significato non è trasparente:


Ci sono delle ipotesi ma non sappiamo bene cosa ha spinto un notaio a redarla. Il notaio in questione
conosceva il latino in quanto tutta la parte superiore è stata redatta in latino.
▪ si pensa che “rebottu” alluda al demonio. → se questa ipotesi è corretta il notaio dice: “questa carta è di
caput cotcu (un tizio→ probabilmente da identificare con Miciarello che appare prima nel testo latino ed
era soprannominato testa calda) che lo aiuti dal demonio che gli mise in corpo un cattivo consiglio. (UN’
IPOTESI).
Sappiamo con certezza che si tratta di una donazione in cui Miciarello e sua moglie donano tutto all’abazia
di monte Cassino (c’è nella parte in latino) ma non sappiamo perché il notaio abbia scritto questa frase in
volgare.

Curioso è la presenza persistente della -u finale che ritorna in alcune parole: possono far pensare che sia
latino in quanto i maschili finivano con -UM ma la straordinaria coincidenza è che, in questa zona,
soprattutto nel parlato degli anziani, la -u finale è ancora presente in dialetto.

Conto navale pisano


Si chiama così perché è un documento che al suo interno contiene o annotazioni per un allestimento di una
galera o redatto per il restauro di un insieme di navi (informazione non certa). È stato scoperto casualmente
da uno storico della lingua italiana, Ignazio Baldelli. È stata una scoperta fortuita perché questo conto navale
si trovava nella Free Library di Filadelfia. Causalmente, nel 1973, durante una sua visita negli Stati Uniti, il
professor Baldelli, stringendo tra le mani il Liber sententiarum di Isidoro di Siviglia, si è accorto che la
copertina con cui era rilegato quest’opera (di origine medievale) era in volgare italiano. Quindi, era stato
usato un testo delle origini italiane per fungere da copertina ad un libro ancora precedente.
Si può datare tra la fine del XI e più probabilmente ad inizio del XII secolo.

Contiene un elenco di spese per la manutenzione di un’intera flotta navale. → Ci troviamo a Pisa che nel
Medioevo era una città su mare e una delle quattro repubbliche marinare più note (insieme a Genova, Amalfi
e Venezia).

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Non sappiamo l’estensione originale, perché la carta è stata tagliata e rifilata per poterla adattare al libro di
Isidoro. Essendo la carta molto preziosa, alcune righe sono state raschiate per poterci scrivere sopra. La carta
non era abbondante come oggi e si riusava.

In questo documento il volgare è quasi autonomo dal latino. È molto più esteso rispetto ai casi prima. Questo
fa pensare che a Pisa, a questa altezza cronologica, il volgare fosse già molto diffuso per la scioltezza e per la
semplicità e che non lo ritroviamo in mezzo al latrino.
Si tratta del primo documento di linguaggio settoriale italiano perché si parla di marineria; non sono parole
generiche ma, appunto, tecnicismi.

▪ Le parti in corsivo sono ricostruite perché non perfettamente leggibili;


▪ /n nomine Domini, amen: è latino ma si trova all’inizio di qualsiasi documento;
▪ Arolo > aiolo: dittongamento toscano (popolarismo);
▪ Serratura di matieia: dittongamento tosano;
▪ Matieia e non materia: RJ > J come in toscano (materia oggi è ovviamente latinismo).
▪ Volgare molto maturo caratterizzato in senso toscaneggiante.

Iscrizione di San Clemente


Siamo ancora a Roma, ci troviamo a 50m dal Colosseo, nella chiesa di san Clemente che è divisa in una
parte superiore e una parte inferiore. Nella parte inferiore è stata trovata un’iscrizione che è stata pensata
all’affresco alla quale si riferisce.
Siamo tra la fine del XI e l’inizio del XIII secolo.
L’affresco raffigura il famoso miracolo di San Clemente.
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Miracolo di San Clemente
Un patrizio romano che si chiama Sisinnio ordina i suoi tre servi (Albertello, Carboncello e Gosmari) di
catturare Clemente. Miracolosamente, invece del santo i tre hanno legato una pesante colonna che trascinano
con molta fatica.
Colui che ha prodotto l’iscrizione ha aggiunto anche delle parole che hanno una funzione didascalica. A noi
non sono chiarissime le attribuzioni: non sappiamo se la scritta al personaggio più vicino sta raccontando la
vicenda di quest’ultimo oppure se il personaggio più vicino dice quello che viene scritto.

❖ FALITE DERETO CO LO PALO


CARVON CELLE: non c’è pausa e non c’è
spazio anche se sono due parole distinte.
❖ D U R I TIAM COR DIS V(EST)
RIS: latino (it. Per la durezza del vostro
cuore);
❖ S A X A TRAERE MAE RUI S TIS:
latino (it. Meritereste di trascinare dei
sassi):
❖ ALBERTEL TRAI(TE?):
probabilmente c’era un -te (it. Tirate);
❖ GOSMARI: probabilmente il nome
dei uno dei tre schiavi.

(Questa foto si riferisce a qualche decennio fa, oggi la scrittura è più deteriorata e meno leggibile).

▪ Primo esempio di turpiloquio della storia della lingua italiana: FILI DELE PUTE TRAITE (scritto in
latino).
▪ Lingua è molto bassa nonostante sia utilizzata da un patrizio romano.
▪ “Fili” si pronunciava sicuramente figli ma colui che ha inciso l’iscrizione non aveva il materiale grafico
per riprodurre la palatale sonora.
▪ Il nesso RB si pronunciava RV (Carvoncelle), con un passaggio tipico dell’antico romanesco (come in
varva ‘barba’). Oggi il tratto è scomparso nella capitale, ma viene conservato in molte zone del
Mezzogiorno.
▪ Le espressioni de le e co lo sono già preposizioni articolate, inesistenti in latino.

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