Lezione 3
Fonetica
Vocalismo e consonantismo
10/11/2021 Andrea
Bramanti
Apofonia indoeuropea
L’apofonia è un’alternanza vocalica che interessa ora più ora meno tutte le lingue del ceppo indoeuropeo.
Essa consiste in un mutamento del timbro vocalico caratterizzante i costituenti morfologici della parola, i morfemi, ossia radice, suffissi
e desinenze.
Tale variazione è tutt’altro che ininfluente in quanto al variare del timbro corrisponde una variazione morfologica e semantica della
parola stessa. Conoscere il meccanismo dell’apofonia permette di conoscere spesso la classe di appartenenza di una parola.
L’apofonia indoeuropea è ben conservata nel greco antico, tanto che è uno scoglio necessario nell’apprendimento scolastico di questa
lingua: leipo leloipa elipon; genos gegona gignomai; patera patros.
Tuttavia, benché pressoché ignorata nell’insegnamento, l’apofonia indoeuropea in forme meno limpide si conserva anche in latino.
La variazione vocalica è regolata secondo un criterio quantitativo oltre che timbrico. Si distinguono cioè in una base alla quantità due
gradi: normale (o, impropriamente, breve) e allungato. In base al timbro invece abbiamo: un grado forte (o), un grado medio (e).
Dunque si ha
1. Grado normale medio (ĕ)
2. Grado normale forte (ŏ)
3. Grado allungato medio (ē)
4. Grado allungato forte (ō)
Il grado normale e allungato potevano subire una riduzione. Si producono così altri due gradi:
5. grado normale ridotto (ĕ/ŏ) danno zero cioè perdita totale del suono.
6. grado allungato ridotto (ē/ō) danno zero oppure lo schwa (ǝ) che in latino si rende con ă
Apofonia indoeuropea
L’apofonia indoeuropea in latino, però, è un fenomeno che non è più produttivo già nello stadio più antico
della lingua di cui noi abbiamo conoscenza.
Le sue tracce sono vivide per es. nella differenziazione dei tempi del presente (infectum) da quelli del perfetto
(perfectum). Si pensi a vĕnio/vēni o vĭdeo/vīdi.
Ma allo stesso tempo tale diversità viene garantita anche sul piano morfologico dal ricorso al suffiso -ui per
molti verbi: amo/amavi.
Apofonia latina
L’apofonia latina è cosiddetta perché si tratta di una variazione del timbro vocalico che si riscontra tra le lingue
indoeuropee solo in latino. Essa non è una legge, ma una tendenza maggioritaria che caratterizza
esclusivamente le vocali brevi.
Più precisamente, tale mutamento avviene quando una sillaba con vocale breve in posizione iniziale o finale di
parola, a seguito di fenomeni di composizione, derivazione o flessione, viene a trovarsi in un posizione
intermedia. Quando si verifica tale condizione la vocale, di qualunque timbro essa sia (≠ dall’apofonia
indoeuropea), si chiude in i o in u. Ma attenzione la totale chiusura verso queste vocali avviene solo se siamo in
sillaba aperta.
In sillaba chiusa, infatti, la presenza della consonante fa da ‘scudo fonico’ limitando la chiusura in i a e: factus >
confectus; annus > biennium; cerno > discerno. La stessa chiusura totale in u in sillaba chiusa avviene solo a
partire dalla o: montem > promunturium.
Apofonia latina
Il fatto che non sia una vera e propria legge, ma una tendenza maggioritaria, è perché tale fenomeno sia in sillaba
chiusa che in sillaba aperta è condizionato talvolta dai fonemi contigui.
tango > attingo
frango > confringo
septem > septingenti
Nonostante la sillaba chiusa la chiusura di a ed e in i è dovuta alla presenza della nasale velare.
Il dittongo ae d’età classica è l’esito di una naturale evoluzione della lingua da ai che muta in sillaba iniziale e
finale: caedo < *caido, rosae < *rosai.
Au invece tende a chiudersi in o lungo: aurum > ita. oro.
Sappiamo, però, che i dittonghi latini hanno la vocale breve. Così la a breve di ai e au subisce in sillaba interna
lo stesso trattamento che subisce la a breve in sillaba chiusa. Ossia a causa dell’apofonia chiude in e. Prendiamo
per es. due composti di caedo e claudo, decido e excludo rispettivamente con la i e la u lunga si spiegano come:
decido < *deceido < *decaido
excludo < *excleudo < *exclaudo
In entrambi i casi la a breve muta solo in e per apofonia. Poi i dittonghi ei e eu, per analogia con la chiusura dei
dittonghi originari ei e eu rispettivamente in i lunga e u lunga non a causa dell’apofonia, chiudono anch’essi in i
e u.
Questi sono gli effetti dell’apofonia che si possono far risalire generalmente al latino preletterario prima del
III secolo a. C.
Apofonia latina
Vi sono casi, però, in cui, pur essendocene le condizioni, l’apofonia latina non avviene per ragioni di volta in
volta diverse.
facio conficio calefacio
ago exigo perago
paro impero comparo
neco enico eneco
anas anites anates
Calefacio non subisce apofonia perché non è percepito come un composto (e anzi vale il contrario: proprio
perché non subisce apofonia si capisce che cale è un proclitico giustapposto e non fuso con facio)
Perago è un composto formatosi post chiusura del fenomeno apofonico e così comparo (ma comp(e)rare forse <
*compero)
eneco convive con enico, ma la prima nella lingua colta e la seconda nella lingua popolare dei comici: due
forme stilistiche differenti.
anates e anites: nei casi obliqui di anas le forme apofoniche sono assai rare e questo non per una ricomposizione
analogica che restituisce il vocalismo originario, ma soltanto per la tendenza casuale della lingua
all’assimilazione. Ossia la a breve interna si conserva e non passa a i breve perché è attratta dal timbro della
vocale iniziale. Lo stesso vale per Caesar che fa Caesaris e non Caeseris (pure attestato nelle iscrizioni;
esempio anche dell’importanza di sapere quale fosse la corretta pronuncia dei Latini)
Apofonia latina
Vi sono altri esempi che Traina riporta dove non avviene l’apofonia latina, ma rimando a lui.
Resta dunque da capire che l’apofonia latina è un mutamento del timbro vocalico che porta le vocali con
timbri più chiari (o intermedi), a ed e, a chiudere verso i timbri più scuri, i e u. Si tratta di un progressivo
indebolimento vocalico dovuto a un progressivo restringimento del canale fonatorio che, portato alle sue
estreme conseguenze, causa fenomeni di sincope (ossia caduta di un suono all’interno della parola).
Fenomeni di sincope avvengono in tutte le lingue a causa degli affetti del parlato: pensate alle coppie
calidus/caldus, valide/valde, solidus/soldus. Ma in alcuni casi questo fenomeno è dovuto all’esasperazione
dell’apofonia.
da quatio ho *conquatio > concutio (la perdita di a porta la u, appendice labiale della velare a vocalizzare e così
la [Kw] > c; è la stessa cosa che capita con quom > cum.
da sino ho *posino > *posno > pono.
Apofonia latina
Qual è la differenza tra apofonia indoeuropea e apofonia latina?
Semplice, la prima è un fenomeno funzionale, la seconda è puramente meccanica. La prima investe tanto
l’aspetto fonetico quanto quello morfo-semantico: la parola che subisce l’apofonia indoeuropea cambia la
sua classe morfologica di appartenenza o il suo significato.
Invece, l’apofonia latina investe esclusivamente l’aspetto fonetico: conficio è sempre un verbo come facio e la
differenza di significato («compiere») è dato dal prefisso non dall’apofonia.
Interessando, però, l’aspetto fonetico, l’apofonia latina ha ricadute inevitabili sul piano prosodico, ossia è un
indizio che ci fornisce un’informazione preziosa. La vocale che subisce apofonia è breve e la vocale che ne
risulta è a sua volta breve (tranne nei casi in cui sono coinvolti i dittonghi). Attenzione, però, non è detto che se
una vocale che, pur trovandosi nelle condizioni, non subisce l’apofonia, allora questa vocale è lunga. Certo
è però che le vocali lunghe non subiscono apofonia.
Apofonia latina
Qual è la causa dell’apofonia latina?
La forza perturbatrice è dovuta all’accento: la sillaba tonica richiede uno sforzo di emissione che indebolisce le
sillabe atone subito precedenti e seguenti. Dato che però in molte parole, per es. conficio, la sillaba tonica
coincide con quella apofonica, se ne è dedotto che all’epoca del latino preletterario, quando agiva l’apofonia
latina, l’accento non fosse regolato secondo la legge della penultima.
Dove si trovava questo accento in epoca preletteraria? Si è notato che l’apofonia avviene solitamente nella
seconda sillaba di una parola e che in queste parole la sillaba iniziale resta intatta, non subisce
perturbazione, come se fosse stata essa la sede dell’accenta in epoca preletteraria. Da qui, quindi, si è
dedotto che l’accento del latino preistorico protosillabico (e probabilmente intensivo). Ma, come si è visto,
anche qualora anche l’accento preistorico fosse stato melodico, come quello di epoca classica, ciò non toglie
che, pur non percepita dai parlanti, non fosse presente la componente intensiva dell’accento che causò
l’indebolimento delle sillabe deboli post-toniche.
Altri fatti di vocalismo
1. L’accento protosillabico, cui si è accennato, è probabile causa di altri fenomeni di vocalismo.
Per es. perché lege e cape hanno la 2. pers. imper. pres. uguale se uno è un tema in -e breve e l’altro in -i breve?
Questa persona dell’imperativo è uguale al tema puro, quindi in origine abbiamo *capi, ma l’azione dell’accento
protosillabico ha provocato l’apertura della i in e: cape. Così accade anche ai nomi neutri in -e della III
declinazione: mare < *mari.
L’accento protosillabico insieme alla tendenza delle sillabe finali a ridurre la durata della vocale finale sono
fenomeni che spiegano le apocopi di e breve, cui abbiamo accennato l’altra volta: illic(e), duc(e); o le sincopi:
Maecenat(i)s.
Se poi la sincope colpisce una i breve appartenente al tema ecco che crolla un altro ‘mito’ dell’insegnamento
scolastico, ossia la distinzione tra parisillabi e imparisillabi. rex < *reg-s < *reg(i)-s.
2. La grammatica storica permette di far crollare un altro ‘mito’ scolastico, il genitivo locativo. Il locativo era un
caso autonomo dal genitivo, la cui -i breve della desinenza si legava ai temi in -a lunga della prima, e a quelli in
-o/-e della seconda. Poi però i dittonghi ai > ae, mentre quelli in ei > i lunga, divenendo così omofoni con
l’uscita del genitivo:
loc. Roma + i breve > Romai > Romae
gen. Roma + i lunga > Romai > Romae
Altri fatti di vocalismo
3. L’abbreviamento giambico: i bisillabi con struttura giambica (breve + lunga) si trasformano in pirrìchi
(breve + breve).
4. Il principio di vocalis ante vocalem corripitur. Esso è assai diffuso e non avviene soltanto in casi limitati,
come il genitivo in -ius degli aggettivi pronominali: totus totius con i lunga; oppure la desinenza -iei della 5°
declinazione con la e lunga; oppure le voci di fio prive di r.
5. Un mutamento importante, utile per voi nelle coniugazione, è il fenomeno che accade già in età arcaica: i
polisillabi terminanti in consonante diversa da -s abbreviano la vocale dell’ultima sillaba: amat ha l’ultima
a che è breve, amas ha l’ultima a che è lunga.
Anzi, l’abbreviamento nel caso vi sia la -m finale è addirittura più antico. Questo per es. ci dice che tutti gli
accusativi singolari di tutte e cinque le declinazioni hanno la vocale dell’ultima sillaba breve (e breve allora
lo sarà anche la sillaba finale).
Semivocali
Le abbiamo già incontrate: i e u in latino, e così in italiano, sono semivocali (o semiconsonanti). Esse
normalmente vengono distinte ricorrendo a j e v quando sono consonanti (oppure a y e w). In ogni caso anche
per i Latini la distinzione fonica tra i due suoni ora consonantici ora vocalici era minima e ciò ha portato alla
creazione di una serie di doppioni: reliquos e relicuos; oppure la i interna antevocalica (ossia in iato che è
l’incontro tra due vocali che non produce dittongo) tende sempre di più a consonantizzarsi: pretium > ita.
prezzo.
2. -s caduca
Non mi dilungo: si tratta di un fenomeno dell’età arcaica cui il latino classico reagì ristabilendola. Tuttavia, la
presenza di mage e pote accanto a magis e potis si spiegano per la caduta della -s e l’apertura di -i in -e.
3. -m caduca
Più importante la -m caduca. Tale suono è sempre stato molto debole, ma a differenza di -s caduca che
persisteva davanti a vocale e cadeva davanti a consonante, -m cade davanti a vocale e si conserva davanti a
consonante (questo comportamento è importante per la scansione metrica). Tale evanescenza della -m si
ripercuote anche negli esiti romanzi poiché è dall’accusativo e non dal nominativo che le lingue romanze hanno
continuato i nomi latini.