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Vademecum su come fare una buona trascrizione fonetica

Questioni “formali”:
(1) Una trascrizione fonetica si fa tra parentesi quadre [ ].

(2) La sillaba accentata nella parola viene indicata tramite un apice (') prima della sillaba stessa.
P. es.: ['am.bra). L’accento non si segna sei monosillabi, p. es.: [la].

(3) Nella trascrizione fonetica si può indicare anche la divisione in sillabe attraverso un punto
fermo. Bisogna tenere presente che la divisione in sillabe fonetica non corrisponde alla
divisione in sillabe grafica. Infatti nella divisione in sillabe fonetica il principio è che due
consonanti contigue vanno sempre separate. Quindi, se nello scritto una parola come Asti
viene divisa A-sti, nella trascrizione fonetica risulta così divisa: ['as.ti].

(4) Bisogna tenere presente che se una sillaba aperta (cioè una sillaba che termina in vocale)
non finale di parola è tonica, la vocale finale di quella sillaba è più lunga rispetto alle altre
vocali della parola (cioè la sua pronuncia dura un po’ di più rispetto alla pronuncia delle
altre vocali, anche se noi non ce ne accorgiamo). La maggiore lunghezza di questa vocale
deve essere segnalata attraverso il segno dei due punti (:). P. es.: [an.'da:.re]. Quanto detto
non vale per le sillabe accentate in finale di parola, p. es.: [vir.'tu] e NON [vir.'tu:].

(5) Le consonanti doppie vanno segnalate attraverso la ripetizione del simbolo della consonante,
p. es.: ['an.no]. Nel caso dei suoni affricati, che sono resi attraverso due segni in IPA [ts, dz,
tʃ, dƷ], quando sono doppi si riscrive soltanto il primo segno, p. es.: ['pit.tsa].

(6) Alcune consonanti in posizione intervocalica sono sempre doppie, anche se nella grafia
italiana questo non è evidente. Tali consonanti sono:
● [ʃ] (fricativa postalveolare sorda) -> p. es. ascia = ['aʃ.ʃa]
● [ts] (affricata alveoare sorda) -> p. es. azione = ['at.tsjo:.ne]
● [dz] (affricata alveolare sonora) -> p. es. azoto = [ad.'dzɔ:.to]
● [ʎ] (laterale palatale) -> p. es. aglio = ['aʎ.ʎo]
● [ɲ] (nasale palatale) -> p. es. Agnese = [aɲ.'ɲe:.ze]

Alcune idiosincrasie tra grafia e trascrizione fonetica:


1) Nella grafia viene utilizzato un unico grafema <e> per rappresentare la vocale anteriore
medioalta [e] e la vocale anteriore mediobassa [Ɛ], così come un unico grafema o è utilizzato
per rappresentare la vocale posteriore medioalta [o] e la vocale posteriore mediobassa [ɔ]. In
IPA, nonostante ci sia un grafema univoco, questa differenza deve essere notata in sillaba
tonica (non nelle sillabe atone, in cui questa differenza si è neutralizzata). La percezione dei
due suoni come aperti o chiusi, che è teoricamente fissata nell’italiano standard, dipende
molto dalla provenienza geografica del parlante; nessun problema: ognuno segni il suono
come lo percepisce personalmente!

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2) Parole come ieri e uomo sono trascritte rispettivamente ['je:.ri] e ['wɔ:.mo]. Quindi i grafemi
<i> e <u> sono trascritti [j] e [w]. Perché? Perché questi due suoni nei contesti di ieri e
uomo non sono delle vere e proprie vocali, come saremmo portati a credere, ma delle
approssimanti (ovvero classi di suoni il cui statuto è intermedio tra vocali e consonanti). Le
approssimanti sono presenti all’interno dei dittonghi, ovvero sequenze di due suoni vocalici
all’interno di una stessa sillaba di cui uno è preminente rispetto all’altro (cioè è pronunciato
in maniera più forte e più chiara). Il suono più debole è, appunto, l’approssimante, mentre il
suono più forte è la vocale vera e propria. In particolare distinguiamo tra dittonghi
ascendenti e dittonghi discendenti. I dittonghi ascendenti seguono lo schema elemento
debole (i.e. l’approssimante) + elemento forte (i.e. la vocale), p. es. fiori = ['fjo:.ri], e in
questo caso l’approssimante è detta semiconsonante. I dittonghi ascendenti seguono lo
schema elemento forte + elemento debole, p. es causa = ['kaw.sa], e in questo caso
l’approssimante è detta semivocale. Le semivocali sono così chiamate perché, tra le
approssimanti, sono più simili alle vocali per articolazione rispetto alle semiconsonanti, che
invece sono più simili alle consonanti. Le semiconsonanti sono sempre trascritte [j] e [w].
Per trascrivere una semivocale esistono tre possibilità: i simboli [j] e [w] validi anche per le
semiconsonanti; i simboli vocalici [i] e [u]; i simboli vocalici [i] e [u] con un archetto sotto.

3) Il grafema <h> non rappresenta alcun suono in italiano, dunque in IPA non deve essere
indicato da alcun simbolo. P. es.: hanno = ['an.no]. Quindi il verbo hanno e il sostantivo
anno in IPA sono indicati esattamente allo stesso modo.

4) Il digramma <gn> e il trigramma <gli> rappresentano in realtà un unico suono, e pertanto


sono resi in IPA con un unico simbolo, rispettivamente [ɲ] e [ʎ], p. es.: gnomo = [‘ɲɔ:.mo].
Nel caso di gli, ricordarsi quindi di non trascrivere la i in IPA! Ricordo che questi suoni
sono sempre doppi in posizione intervocalica, cfr. pag. 1. punto (6).

5) Anche i digrammi <ci> e <gi> rappresentano un unico suono, indicato in IPA


rispettivamente come [tʃ] e [dƷ], p. es. cielo = ['tʃe:.lo] e giallo = ['dƷal.lo]. Quindi, anche
qui, non bisognare riportare la i grafica in IPA!

6) Il digramma <sc> rappresenta un unico suono, indicato in IPA come [ʃ], p. es.: sciare =
[ʃi.'a:.re]. La grafia è fuorviante nel caso, p. es., di scienza e derivati, dove non va trascritta
la i che è solo una convenzione grafica.

7) Il grafema <z> può rappresentare due suoni, l’affricata alveolare sorda indicata in IPA come
[ts] (del tipo azione) o l’affricata alveolare sonora indicata in IPA [dz] (del tipo zio, zaino).
Quindi nella trascrizione fonetica ricordarsi di valutare la sonorità o sordità di z e regolarsi
di conseguenza. Stessa cosa per il grafema <s>, che può rappresentare due suoni distinti, la
fricativa velare sorda indicata in IPA come [s] (del tipo sasso) e la fricativa alveolare sonora
indicata in IPA come [z] (del tipo Asdrubale). La realizzazione di [s] come sorda o sonora in
posizione intervocalica (e.g. casa) può dipendere dalla provenienza geografica: nessun
problema, ognuno può trascrivere come la pronuncia o percepisce.

8) Consideriamo le parole nacchera, anfora, banca: tre suoni diversi sono indicati con uno
stessa grafema <n>. Ciò che cambia è il punto in cui viene articolato il suono n. Nel primo
caso abbiamo infatti una nasale dentale, nel secondo caso una nasale labiodentale, nel terzo
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caso una nasale velare. Nella trascrizione fonetica questo deve essere segnalato,
rappresentando il medesimo grafema in tre maniere diverse, in particolare:
● Nasale dentale = [n] -> ['nak.ke:.ra]
● Nasale labiodentale = [ɱ] -> ['aɱ.fo:.ra]
● Nasale velare = [ŋ] -> ['baŋ.ka]
NB: la differenza con cui pronunciamo i tre suoni rappresenta un fenomeno di
assimilazione, che deriva dalla coarticolazione, ovvero dal fatto che quando
pronunciamo un suono non lo pronunciamo isolato, ma già ci prepariamo a pronunciare i
suoni successivi. Per questo, se il suono [n] è seguito da un suono labiodentale come [f],
esso ne prende il punto di articolazione labiodentale, mentre se il suono [n] è seguito da
un sono velare come [k], esso ne prende il punto di articolazione velare. Comunque [ɱ]
e [ŋ] sono semplicemente delle realizzazioni diverse di un unico fonema /n/: si parla in
questo caso di allofoni di uno stesso fonema.

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