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Fonetica e fonologia

Generalmente, le aree laterali, ai confini di un'area linguistica molto estesa sono aree tendenzialmente
conservative. Se c'è un'innovazione linguistica, essa nasce nel centro di un'area geografica e si diffonde ad onde
verso la periferia. Quando una lingua sparisce completamente perché viene soffocata dalla lingua che arriva
dopo, tendenzialmente non sparisce al 100%, ma lascia delle tracce della sua presenza originaria. Queste tracce
costituiscono il cosiddetto ''sostrato'' linguistico. Es. lingua A sovrastata da una lingua B, ma la lingua A lascia
tracce della propria presenza nella fonetica, nel lessico ecc.. (tracce di sostrato). La lingua A è quindi per la
lingua B, una lingua di sostrato. Se c'è un sostrato, le sue tracce in una lingua devono essere antichissime, fin dai
primi testi di una lingua. Con il sostrato si spiegano le differenze tra le lingue che appartengono ad una stessa
famiglia. Per esempio spagnolo ed italiano provengono entrambe dal latino, ma sono così differenti perché
presentano un sostrato diverso (in Spagna i romani hanno trovato delle popolazioni diverse da quelle che hanno
trovato nell'Italia antica).

Le retroflesse (come ''ʈ'' e ''ɖ'') probabilmente non si possono spiegare col sostrato (sono presenti nei dialetti
calabrese e siciliano, ma non nei primi testi di queste letterature). Nelle palatali (es. ''c''), la lingua va a toccare
la prima parte del palato (il palato duro). Nelle velari (es. ''k''), la lingua tocca il velo del palato (palato molle). Il
''+'' indica anteriorizzazione/palatalizzazione: se si scrivono le velari ''k'' o ''g'' con sotto un ''+'' esse si
palatalizzano (non valgono più come i foni ''c'' e ''g'' ma come ''chi'' e ''ghi'', la ''i'' è una vocale palatale e
influenza il fono/suono precedente). La ''o'' per esempio è una vocale non palatale. Quando due suoni (a
distanza o a contatto) si influenzano (completamente o parzialmente) l'uno con l'altro, si parla di
''assimilazione'': AB > AA (assimilazione progressiva, il primo fono influenza il secondo) oppure AB > BB
(assimilazione regressiva, il secondo fono influenza il primo).    In ''Chiesa'', vi è un'assimilazione regressiva, in
quanto la vocale palatale ''i'' palatalizza il precedente ''ch''. In molti dialetti meridionali, i suoni italiani ''mb'' ed
''nb'' diventano rispettivamente ''mm'' ed ''nn'', si tratta di un'assimilazione progressiva (il primo fono influenza
il secondo e diventano identici). Nelle glottali/laringali l'aria si può accumulare direttamente nella laringe (colpo
di glottide). Le nasali presentano un'ostruzione nel canale orale, ma fuoriuscita dell'aria attraverso le fosse
nasali (che agiscono come cassa di risonanza, infatti tutte le nasali sono sonore). Le nasali subiscono quasi
sempre assimilazione regressiva. Esistono consonanti scempie o semplici (è una sola, es. ''t'') o geminate
(doppie, es. ''tt''). Nel secondo caso la pronuncia della ''t'' ha una durata maggiore (lunghezza consonantica,
rappresentata o raddoppiando il simbolo o scrivendo il simbolo semplice seguito dai '':'').

La linea La Spezia - Rimini, divide i dialetti settentrionali (che non hanno consonanti doppie) da quelli centro-
meridionali.

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Tra le polivibranti (chiusura e riapertura, aria costretta e poi rilasciata ripetutamente) vi è la ''r'' (polivibrante
alveolare sonora) dove avviene un'occlusione debolissima dell'aria. La r spagnola intervocalica ''ɾ'' invece è
monovibrante (la vibrazione avviene una sola volta).

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Nelle fricative (opposto delle occlusive), l'aria passa attraverso una strettoia, gli organi articolanti si chiudono
(ma non del tutto), lasciando passare l'aria e creando all'interno della bocca una forte differenza di pressione
che genera un caratteristico rumore di frizione (l'aria passa attraverso gli interstizi dei denti superiori,
l'occlusione non è completa).   
''ɸ'' (fricativa bilabiale sorda), ''β'' (fricativa bilabiale sonora). Entrambi i foni sono assenti in italiano standard. In
spagnolo per esempio, la ''b'' è come quella dell'italiano, cioè un'occlusiva, però se si trova tra 2 vocali diventa
fricativa (''β''). Es. [barθe'lo:na] (occlusiva) vs [a βarθe'lo:na] (fricativa).

Fricative dentali (o interdentali): ''θ'' (fricativa dentale sorda, es. ''think'' in inglese) ''ð'' (fricativa dentale sonora,
es. ''that'' o ''father'' in inglese).

''s'' (fricativa alveolare sorda), ''z'' (fricativa alveolare sonora); le cosiddette sibilanti (il canale orale, per la
pronuncia di queste 2 consonanti crea un canale stretto e lungo ed il rumore che si ottiene producendo queste
consonanti è un sibilo). Nell'italiano centro-meridionale in posizione intervocalica la ''s'' è sorda, nei dialetti
settentrionali questa ''s'' viene pronunciata come sonora (''z''): ['ro:sa] (centro-meridione) vs ['ro:za] (nord). Le
differenze (di pronuncia, lessico ecc..) legate al luogo sono chiamate ''diatopiche''.

La differenza tra spagnolo latinoamericano e spagnolo castigliano, risiede principalmente tra le alveolari e le
dentali. Mentre nello spagnolo castigliano (lingua ufficiale della Spagna), le fricative sono dentali (''θ''), nello
spagnolo dell'America Latina diventano alveolari (''s''): fenomeno che prende il nome di ''seseo'' (che si
riscontra nella pronuncia).

''ʃ'' (fricativa postalveolare sorda, pronuncia ''sc/sci''), ''ʒ'' (fricativa postalveolare sonora, es. garage),
consonanti prodotte subito dopo gli alveoli nella primissima sezione del palato duro.

''ʂ'' (fricativa retroflessa sorda, es. ''strada'' pronunciato in siciliano), ''ʐ'' (fricativa retroflessa sonora), foni
presenti nei gruppi ''sr'' ed ''str'' (ma non in italiano standard).

''ç'' (fricativa palatale sorda, es. pronome di prima persona sing. tedesco ''ich''), ''ʝ'' (fricativa palatale sonora). Vi
è in entrambe uno spazio tra la lingua ed il palato attraverso il quale l'aria può passare durante la produzione di
questi 2 foni.

''x'' (fricativa velare sorda, corrisponde alla ''j'' spagnola di Juan), ''ɣ'' (fricativa velare sonora, es. luego in
spagnolo). Il dorso della lingua si sposta molto indietro e si avvicina al velo del palato (non lo tocca in quanto
occluderebbe totalmente il passaggio dell'aria).

Perchè in italiano questi suoni sono occlusivi, mentre in spagnolo i corrispettivi sono fricativi? Lo spagnolo
insieme ad altre lingue romanze ha compiuto un passaggio che l'italiano standard (che è su base toscana) non
ha compiuto, un fenomeno che distingue le lingue romanze occidentali, da quelle orientali, che prende il nome
di ''lenizione'' (è avvenuto nelle lingue romanze occidentali).

Nel toscano dialettale, con esiti diversi da area ad area, le occlusive possono diventare fricative quando si
trovano in posizione intervocalica, in particolare questo fenomeno riguarda la ''p'', la ''t'' e la ''k'' che
presentano esiti diversi nei dialetti toscani (fenomeno fonetico definito ''gorgia toscana''. La ''p'' (occlusiva
bilabiale sorda) in generale dà la fricativa corrispondente ''ɸ'', es. la pace. La ''t'' (occlusiva alveolare sorda)
diventa ''θ'' (fricativa dentale sorda). La ''k'' (occlusiva velare sorda) diventa ''h'' (fricativa glottidale sorda), es. la
casa. Questo fenomeno può arrivare al dileguo zero (per esempio a Pisa ''dio'' vuol dire sia dio che ''dico''
(fenomeno di lenizione/gorgia toscana). Gli etruschi si erano stanziati nell'area dell'attuale Toscana, inoltre a
livello grafico l'alfabeto etrusco presenta dei segni che rendono delle fricative. Si pensa quindi che il fenomeno
della gorgia toscana sia attribuibile al sostrato etrusco, ma l'assenza di attestazioni antiche di tale fenomeno va
in forte contrasto con questa tesi.

Le lingue che non hanno occlusive devono ricorrere a degli stratagemmi per rappresentare i suoni originali
(molto spesso questi stratagemmi coincidono con i ''digrammi'', 2 lettere per rappresentare un suono).

Non esistono faringali e glottidali occlusive (ma solo fricative), in quanto la lingua non può raggiungere quelle
aree (faringe e glottide) di conseguenza non può esserci occlusione totale.

''ʁ'' (fricativa uvulare sorda, es. una delle varianti della ''r'' francese). Nella sua pronuncia, il dorso della lingua va
indietro e si avvicina all'ugola. Nata nella Francia del nord, nel dialetto parigino, quando esso ha assunto un
prestigio sociolinguistico, questa pronuncia è stata esportata anche nelle lingue germaniche del nord Europa
(questo è il motivo per cui questo fono si trova anche in lingue della Scandinavia come danese e norvegese)

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Nelle laterali approssimanti, la lingua va a toccare gli alveoli (non è occlusivo perché la lingua occlude solo la
sezione centrale e l'aria continua a passare nella bocca attraverso i lati, ''bilaterali'' se sono entrambi,
''monolaterali'' se solo uno). ''l'' (laterale approssimante alveolare sonora); ''ʎ'' (laterale approssimante palatale
sonora, es. ''figlio'' o ''luglio''); ''ʟ'' (laterale velare approssimante sonora) presente in alcune lingue slave come
il polacco (dov'è rappresentata dalla lettera ''ł'', es. Papa Wojtyła). Da un orecchio italiano viene percepita come
una ''u''.

In molti parlanti, la lingua nella pronuncia della ''ʎ'' palatale, non riesce a toccare il palato duro con l'apice della
lingua, ma si avvicina senza toccarlo ottenendo una ''j'' (approssimante palatale sonora) compiendo un classico
errore di pronuncia. Le approssimanti sono a livello fonetico le consonanti più vicine alle vocali. Un'altra
approssimante è la ''w''. Queste 2 approssimanti, da un punto di vista prosodico (della struttura della sillaba)
possono assumere 2 posizioni diverse: possono valere come vocali ''i'' ed ''u'' o come consonanti ''j'' e ''w''.
Quando questi 2 suoni occupano il centro della sillaba (hanno valore di nucleo sillabico), valgono come vocali.
Una sillaba può infatti essere formata solo da un nucleo (una sola vocale per sillaba). Es. /'jɛ.ri/ dove la ''i'' vale
consonante (''j'') e forma con la ''e'' un dittongo (un'unica sequenza sonora). Se vi è già una vocale nella sillaba,
eventuali ‘’i’’ ed ‘’u’’ valgono come consonanti (‘’j’’ e ‘’w’’), se non vi sono altre vocali nella sillaba, ‘’i’’ ed ‘’u’’
valgono come vocali e rimangono invariate (es. /ri.a.ni.'mar.si/, iato poiché le vocali ‘’i’’ ‘’a’’ sono separate da un
confine sillabico).

Le sillabe composte solo da una consonante e da una vocale (sillabe senza quindi una coda), sono le sillabe più
frequenti nelle lingue del mondo, le più naturali (in termini tecnici la ‘’meno marcata’’). A seguito di una
rivoluzione linguistica, le lingue slave moderne hanno solo sillabe aperte (cioè senza coda).

La tabella IPA tiene presente nella classificazione delle consonanti, le prime due fasi del suono, rispettivamente
‘’impostazione’’ (impostazione del suono attraverso i luoghi articolatori, es. unione delle labbra) e ‘’tenuta’’
(momento in cui si trattiene la posizione assunta). La terza fase del suono si chiama ‘’soluzione’’ (fase finale e
conseguente produzione del suono) e non è tenuta in conto dalla tabella IPA.

Nelle affricate concorrono alla formazione di questi suoni sia le prime due fasi (identiche in questo caso a quelle
di un’occlusiva), sia la terza fase (frizione, tipica delle fricative). Si afferma per questo spesso che le affricate
siano una combinazione tra occlusive e fricative. ‘’ʧ’’ (affricata postalveolare sorda, es. ‘’cesta’’ o ‘’amici’’) reso
ortograficamente con la lettera 〈c〉 seguita dalle vocali e, i, oppure col digramma 〈ci〉 seguito dalle vocali a, o, u.
Nelle prime due fasi (impostazione e tenuta), quando si pronuncia una ‘’ʧ’’, la lingua va a toccare la prima parte
del palato duro, immediatamente dopo gli alveoli e, nella terza fase (soluzione), si ha un passaggio dell’aria
tipico delle fricative (attraverso una strettoia). ‘’ʤ’’ (affricata postalveolare sonora, es. ‘’gelato’’) reso
ortograficamente con la lettera 〈g〉 seguita dalle vocali e, i, oppure col digramma 〈gi〉 seguito dalle vocali a, o, u;
non compare mai a fine parola o prima di altra consonante, a differenza di altre lingue. ‘’pf’’ (eventualmente
unito da un legamento) (affricata labiodentale sorda, es. ‘’pferd’’ cavallo in tedesco). ‘’ʦ’’ (affricata alveolare
sorda, es. azione) ‘’ʣ’’ (affricata alveolare sonora, es. azoto). Ci sono poche coppie di parole in italiano che sono
distinte unicamente per mezzo di ‘’ʦ’’ - ‘’ʣ’’, es. /'rattsa/ (specie, genere) /'raddza/ (pesce), l’opposizione ‘’ʦ’’ -
‘’ʣ’’ ha quindi un ‘’basso rendimento funzionale’’. In generale, in posizione intervocalica vale la stessa regola
dell’opposizione ‘’s’’ – ‘’z’’. Molto spesso tra l’affricata e la fricativa ci può essere una variazione di ordine
‘’diatopico’’ (nel caso dell’italiano, regionale): ([d ͡ʒ] → [ʒ] es. ‘’cugina’’ in italiano vs ‘’cugina’’ in toscano); ([t͡ʃ] →
[ʃ] es. ‘’cucina’’ in italiano vs ‘’cucina’’ in toscano)

Una mora (plurale more o morae) è un'unità di suono usata in fonologia, che determina la quantità di una
sillaba. Una sillaba contenente una mora è detta monomoraica (es. fato), una con due more è detta bimoraica
(es. fatto).

Vocalismo italiano (a 7 vocali)

Vocalismo siciliano
Il sistema vocalico della lingua siciliana e di tutti i dialetti italiani meridionali estremi (al di sotto della linea
immaginaria che collega Brindisi a Taranto, es. Sicilia, Calabria centro-meridionale, Salento e Cilento in
Campania) è formato, da un punto di vista fonologico, da cinque fonemi /a, ɛ, i, ɔ, u/ (/ɛ, ɔ/ vengono dette
anche "e/o aperta"). Molti parlanti fanno scendere la ‘’i’’ nella pronuncia e spesso chi non è di quelle regioni
percepisce una ‘’e’’. Il vocalismo siciliano non presenta vocali medio-alte (semichiuse). Secondo un’ipotesi
avanzata nei primi anni ‘80 dal linguista Franco Fanciullo, tutto l’Italo-romanzo (dove si parla l’italiano ed i suoi
dialetti), aveva grossomodo lo stesso vocalismo a 7 vocali. Anche la regione siciliana e quelle al di sotto della
linea immaginaria sopracitata fino all’epoca bizantina (VI sec. d.C.) avevano un vocalismo a 7 vocali. In seguito
però arrivò in epoca medievale, una seconda ondata di greci, il cui greco aveva solo 5 vocali. Fino all’arrivo dei
normanni in Sicilia, il greco era la varietà dominante in questi territori, motivo per cui il vocalismo a 7 vocali (in
Italia e in gran parte delle lingue romanze occidentali) è diventato a 5 vocali come quello del greco bizantino.

Le leggi di Grimm: Gran parte delle lingue europee appartiene ad un’unica grande famiglia detta
‘’indoeuropeo’’. All’interno dell’indoeuropeo vi è il gruppo germanico che comprende per esempio inglese e
tedesco. Tutte le lingue germaniche si dividono in 3 rami: ramo settentrionale (es. svedese, norvegese,
islandese), occidentale (es. inglese, tedesco ecc..) ed orientale (oggi estinto). Queste lingue, in fase preistorica
(prima della divisione in 3 rami), hanno subìto un profondo mutamento rispetto alle consonanti che noi
ricostruiamo per l’indoeuropeo (di cui non abbiamo testimonianze scritte, ma bisogna rifarsi per forza alle
lingue documentate del passato e del presente). Il filologo tedesco Jacob Grimm scoprì che rispetto ai foni
dell’indoeuropeo (che noi ricostruiamo), tutte le consonanti germaniche occlusive, presentano una rotazione di
un grado (leggi di Grimm o prima rotazione consonantica). 1) (Perdita dell’aspirazione); oltre alle occlusive
sorde e sonore, può esistere nelle consonanti di questo tipo un altro coefficiente, può succedere che quando si
pronuncia una sonora, seguita da una vocale, il tempo di attivazione della sonorità (il tempo che si impiega a
pronunciare la vocale dopo la consonante) è un po’ più lungo rispetto alla pronuncia normale (la vocale è
pronunciata con un minimo di ritardo e ciò causa un’aspirazione, fenomeno chiamato ‘’vot’’ voice onset time, il
tempo di attacco della sonorità). Le lingue indiane moderne del nord (lingue indoeuropee) presentano ‘’vot’’
nel loro sistema fonetico e probabilmente lo presentava anche l’indoeuropeo ricostruito. Sulla base della
comparazione in particolare tra greco antico ed indiano antico, sappiamo con quasi assoluta certezza che
l’indoeuropeo aveva questi foni (le sonore aspirate). Nel passaggio dall’indoeuropeo alle lingue germaniche
antiche, le occlusive sonore con ‘’vot’’, ricostruite nell’indoeuropeo con aspirata, hanno perso l’aspirata (es. b h >
b – dh > d – gh > g). 2) (Passaggio nelle occlusive da sonore a sorde); le ‘’b’’, ‘’d’’ e ‘’g’’ indoeuropee ricostruite
diventano ‘’p’’, ‘’t’’ e ‘’k’’, ovvero da sonore passano a sorde. 3) (Perdita del modo di articolazione, passaggio da
occlusive a fricative); ‘’p’’ indoeuropea diventa ‘’f’’ in germanico, un’occlusiva sorda diventa fricativa sorda; ‘’t’’
diventa ‘’þ’’ (thorn, ovvero il fono ‘’th’’ ‘’θ’’), occlusiva sorda diventa fricativa sorda; ‘’k’’ (occlusiva sorda)
diventa o ‘’x’’ (fricativa sorda) oppure ‘’h’’ (fricativa sorda). In sintesi, le occlusive sonore aspirate diventano
occlusive sonore semplici (1), le occlusive sonore semplici diventano occlusive sorde (2), le occlusive sorde
diventano fricative sorde (3). Questa legge entrò in crisi quando si scoprirono le prime eccezioni (spiegate poi
dalla legge di Verner).

Il tedesco si divide in due varietà: alto e basso tedesco, il primo si parla al sud, il secondo al nord. Alto e basso si
riferiscono infatti al livello del mare, la parte nord della Germania è pianeggiante, di conseguenza tutte le lingue
parlate al nord sono di dialetto basso tedesco ‘’plattdeutsch’’, invece l’alto tedesco si parla nella zona sud,
quella montuosa ‘’althochdeutsch’’, divenuta poi lingua ufficiale della Germania. Tutte le lingue germaniche in
fase proto-storica hanno avuto un cambiamento nell’accento secondo una regola (di ‘’accento proto-sillabico’’):
a prescindere dalla posizione in cui l’accento si trovava in indoeuropeo, il germanico ha arretrato l’accento sulla
prima sillaba (almeno nella fase iniziale), per questo il germanico non è fedele all’accento originario
indoeuropeo.

Legge di Verner (1877): Il latino ‘’frater’’ diventa in gotico antico ‘’broþar’’ (viene quindi seguita la legge di
Grimm dove un’occlusiva sorda diventa fricativa sorda) mentre il latino ‘’pater’’ diventa in gotico antico ‘’faðar’’
(fa da eccezione alla legge di Grimm in quanto l’occlusiva sorda qua diventa fricativa sonora e non sorda). Il
linguista danese Verner (rifacendosi alla terza legge di Grimm) riuscì a capire la ragione di questa eccezione e
disse che quando un accento originario (indoeuropeo) non cadeva sulla sillaba precedente, l’occlusiva sorda
invece di diventare fricativa sorda, diventava fricativa sonora. Questa apparente differenza dipende quindi dalla
posizione dell’accento (è quindi una legge sensibile all’accento). In indoeuropeo sulla base della testimonianza
del sanscrito ‘’pitàr’’, l’accento non cadeva sulla sillaba precedente e dunque questa parola non subisce la legge
di Grimm, ma la legge di Verner (se invece l’accento cade sulla sillaba precedente si applica la legge di Grimm).
Se confrontiamo il parallelo tra l’italiano ‘’stella’’ e l’inglese ‘’star’’, alla ‘’t’’ di ‘’stella’’ dovrebbe corrispondere
‘’θ’’ (fricativa dentale sorda), costituisce quindi un’eccezione. In questo caso ‘’t’’ è preceduta da una ‘’s’’ e
quest’ultima molto spesso blocca il processo fonetico, arrestandolo. Quindi davanti alla ‘’s’’, quella ‘’t’’ non è
diventata fricativa.

La seconda rotazione consonantica: Una volta che tutte le lingue germaniche nella fase preistorica (prima della
divisione in 3 rami), hanno partecipato alla prima rotazione consonantica, una parte del tedesco (riguarda solo
l’alto tedesco, divenuto poi standard probabilmente tra V e VI sec. d.C.) ha partecipato ad una seconda
rotazione consonantica. Questo spiega delle differenze nel consonantismo nelle occlusive tra tedesco ed
inglese; molto spesso alla fricativa o all’occlusiva dell’inglese, corrisponde un’affricata del tedesco. Es. inglese
‘’tide’’ (marea) diventa ‘’zeit’’ (tempo) in tedesco. Questa differenza dipende dalla seconda rotazione
consonantica. Le occlusive hanno avuto esiti/evoluzioni diversi/e da zona a zona: l’area in cui la ‘’p’’ è catturata
dalla seconda rotazione consonantica, non coincide con l’area della ‘’t’’ e neanche con quella della ‘’k’’. L’esatto
punto in cui avviene questa rotazione non è una vera e propria linea ben delineata, ma una sorta di ventaglio
che coincide con il Reno ed i suoi affluenti, detto ‘’ventaglio renano’’, con un’area approssimativa che arriva a
200km di distanza e che divide alto e basso tedesco. Es. la seconda rotazione consonantica coinvolge le parole
che hanno la lettera ‘’p’’ e poi a 200km di distanza le parole che presentano ‘’t’’ o ‘’k’’. Il confine meridionale
riguarda gli sviluppi della ‘’p’’, quello settentrionale riguarda gli esiti della ‘’k’’. Mentre la prima rotazione
consonantica era piuttosto uniforme, questo secondo tipo di fenomeno non è un mutamento unitario, ma
irregolare (non riguarda tutte le parole in blocco, ma solo alcune e colpisce di più alcuni foni e meno altri).

Lenizione: La lenizione è una forma di mutazione delle consonanti. Significa ‘’ammorbidimento’’ o


‘’indebolimento’’, e si riferisce al cambio da una consonante considerata dura ad una considerata morbida. Il
contrario della lenizione è la ‘’fortizione’’. La lenizione romanza presenta 4 fasi (partendo dal latino): occlusiva
sorda > occlusiva sonora > fricativa sonora > dileguo zero (‘’Ø’’). L’energia/forza articolatoria è sempre maggiore
nella fase precedente, mentre le fasi successive presentano una maggiore debolezza di pronuncia. Il processo
può ripetersi fino ad un totale di 4 fasi. I dialetti settentrionali presentano lenizione (l’italiano standard non ha
lenizione perché deriva dal fiorentino). Si pensa che le parole lenite come ‘’avere’’ (dal lat. ‘’habere’’), usate in
italiano standard, siano quindi dei settentrionalismi. Es. lat. ‘’cuppam’’ > fr. ‘’cuve’’ (passaggio da occlusiva
bilabiale sorda a fricativa labiodentale sonora. Es. lat. ‘’patella’’ > fr. ‘’paelle’’ (passaggio da occlusiva alveolare
sorda a dileguo zero ‘’Ø’’, per un totale di 4 fasi).

Dissimilazione: L’italiano ‘’veleno’’ deriva dal latino ‘’venenum’’. Le due ‘’n’’ di venenum hanno subito un
mutamento per cui la prima è diventata ‘’l’’ (due foni che erano identici es. ‘’AA’’, sono diventati alla fine del
processo ‘’BA’’, uno diverso dall’altro, una dissimilazione, in questo caso regressiva perché va da destra verso
sinistra). Il latino ‘’arborem’’ diventa in italiano ‘’albero’’, due foni uguali alla fine di questo processo diventano
diversi, dissimilazione regressiva a distanza (a cambiare è il primo dei due foni). Lat. ‘’peregrinus’’ diventa in
italiano ‘’pellegrino’’, dove RR diventa LR (dissimilazione regressiva a distanza).

Assimilazione: In molti dialetti dell’alto meridione (es. Abruzzo, parte della Campania, Lucania ecc..), nei nessi
‘’nt’’ ed ‘’mp’’ le occlusive si sonorizzano, es. ‘’pronto’’ in area abruzzese diventa ‘’prondo’’, la sorda diventa
sonora a causa della ‘’n’’ che è sonora: il primo fono, sonoro ha influenzato il secondo facendolo passare da
sordo a sonoro, è quindi un’assimilazione parziale (riguarda un solo fono) progressiva (il primo fono che
influenza il secondo). In molti dialetti meridionali, ‘’mb’’ ed ‘’nd’’ diventano rispettivamente ‘’mm’’ ed ‘’nn’’, es.
dal lat. ‘’plumbum’’ vi è il siciliano ‘’chiummu’’ (assimilazione progressiva totale a contatto). Oppure l’italiano
‘’andare’’ diventa ‘’annare/annari’’ (assimilazione progressiva totale a contatto). Lat. ‘’lactem’’ e ‘’noctem’’
diventano in italiano ‘’latte’’ e ‘’notte’’ (assimilazione regressiva totale a contatto).

Betacismo: Il betacismo designa l'uso del grafema <b> in luogo di <v> (o <u>), e in generale una
intercambiabilità di tali lettere, rilevabile nella tarda latinità, in particolare durante il passaggio dal latino alle
lingue romanze. Il fenomeno non è solo grafico ma è indice di una confusione tra due suoni che in latino
classico erano ben distinti.

Gli esempi più antichi di betacismo risalgono già alle scritte di Pompei (‘’baliat’’ per lat. class. ‘’valeat’’, ‘’berus’’
per ‘’verus’’), nel I secolo d.C., e tracce del fenomeno sono presenti un po' dovunque nelle lingue romanze.
Benché il betacismo abbia lasciato poche tracce in Italia, secondo molti studiosi, tra cui Giuliano Bonfante e
Benvenuto Terracini, la sua origine andrebbe posta proprio in Italia, come conseguenza della convivenza di
forme latine con <v> accanto a forme "italiche" con <b> (ad esempio umbro ‘’benus’’ = lat. ‘’veneris’’ "sarai/sia
venuto").

In Italia il fenomeno è tuttora presente all'interno di parola dopo r: ‘’corvo’’/’’corbo’’, ‘’nervo’’/’’nerbo’’, (con)
‘’servare’’/’’serbare’’, ecc. ma non all'inizio di parola. Al principio di parola il betacismo è invece regolare in
sardo e in corso. Analoga situazione nel fr. ‘’corbeau’’ ("corvo"), ‘’courber’’ ("(in)curvare"), ecc. All'inizio di
parola solo in casi sporadici come in ‘’brebis’’ ("pecora"), da lat. ‘’vervex’’. Oggigiorno la lingua in cui si è
verificata una fusione completa tra i due suoni in un unico fonema, con realizzazione occlusiva (b-) all'inizio di
parola è lo spagnolo. A giudicare dalle iscrizioni che si possiedono, oltre che nella penisola iberica, il fenomeno
dovette conoscere una certa ampiezza anche in territorio africano. In dacoromanzo (romeno) si hanno casi di
betacismo (rum. ‘’bătrîn’’ dal lat. ‘’veteranus’’) accanto ad esiti con v- (‘’viespe’’ da ‘’uespa’’).

Rotacismo: il rotacismo è una modificazione fonetica consistente nella trasformazione di una consonante di
classe rotica. In genere si tratta del mutamento di una consonante alveolare sonora (/z/, /d/, /l/, oppure /n/) in
r ([r]): il caso più frequente è da [z] a [r]. Esempi di rotacismo: it. ‘’caduta’’/’’madonna’’ > napolet.
‘’caruta’’/’’maronna’’

La parola rotacismo deriva dalla lettera greca aspirata ‘’rho’’. Questo fenomeno è particolarmente consistente
nella storia della lingua latina, è documentato nel dialetto milanese in alcuni dialetti del ligure, del sardo, del
corso, del napoletano e del siciliano (in particolare nella zona dei Monti Iblei, Sicilia sud-orientale), nel dialetto
reggino e in alcune lingue germaniche antiche. Nel dialetto romanesco e in alcune zone della Toscana è
riscontrabile il rotacismo di ‘’l’’ davanti a consonante.

Origine della fonologia: All’interno della facoltà del linguaggio che unisce una componente cognitiva
(cerebrale), astratta ad una componente fisica (i foni sono la parte più concreta). Nei primi del ‘900, in
particolare una scuola linguistica che aveva interessi letterari ed in secondo luogo linguistici, scoprì di questi
foni, una natura astratta. Questa scuola era formata soprattutto da studiosi russi che si raccolsero attorno al
circolo linguistico-letterario di Mosca. Siccome avevano interessi in particolare verso poeti dell’avanguardia
russa, erano osteggiati dal regime bolscevico, emigrarono in Cecoslovacchia e fondarono a Praga il circolo
linguistico di Praga (tra gli esponenti vi fu il linguista e scrittore russo Roman Jakobson, fondatore insieme al
linguista russo Nicolaj Trubeckoj della fonologia). Nella fonologia i foni non sono più considerati nella loro
natura materiale ma nella loro componente astratta.

Foni e fonemi, coppie minime e tratti distintivi: Oltre alla classificazione dei foni di un sistema linguistico,
bisogna classificare i fonemi (quei foni che hanno un valore distintivo o demarcativo nella lingua). Distintivi sono
quei foni che permettono di formare coppie di parole che si distinguono per il loro significato proprio per la
presenza di un fono/tratto rispetto ad un altro (es. ‘’pasta/basta’’ in cui cambiando l’ordine dei due foni,
otteniamo due parole di significato diverso, la sonorità è fonologica in italiano standard). Il fonema è dotato di
valore distintivo, permette di distinguere due parole che altrimenti sarebbero identiche. La prova delle coppie
minime permette di vedere se un fono è anche un fonema. Anche /'rattsa/ (specie, genere) /'raddza/ (pesce),
l’opposizione con valore fonologico ‘’ʦ’’ - ‘’ʣ’’ costituisce una coppia minima. Foni di questo tipo formano un
numero di coppie minime molto basso, quindi hanno un ‘’basso indice funzionale’’, ovvero un valore distintivo
veramente minimo, perché il numero di parole che permettono di differenziare è bassissimo. Nel caso delle
occlusive e delle fricative, il numero delle coppie minime è molto alto. La posizione dell’accento (es.
‘’àncora/ancòra’’) e la quantità/lunghezza consonantica (es ‘’faro/farro’’) permettono in italiano (i tratti
distintivi variano da lingua a lingua) di formare coppie minime. La differenza tra vocali medio-alte e medio-
basse è fonologica in italiano standard (es. ‘’pɛsca’’/’’pesca’’). La lunghezza vocalica in italiano non è fonologica
(non forma coppie minime) mentre in inglese, tedesco e latino sì (‘’palus’’ tradotto sia come ‘’palo’’ che come
‘’palude’’). In inglese la lunghezza vocalica è fonologica (non dipende dall’accento come in italiano), l’inglese fa
coppie minime opponendo una parola che ha la vocale breve, ad una che ha la vocale lunga.

Allofoni, varianti libere e combinatorie: Quando parliamo, la nostra realizzazione fonetica non è mai uguale a
se stessa, a ciò si unisce la differenza tra i vari parlanti (variazioni individuali) e la differenza tra i vari dialetti
regionali (differenze diatopiche). Un fono può essere realizzato in una moltitudine di varianti (dette ‘’varianti
libere’’). Se col fonema si distingue il significato (es. ‘’pollo/bollo’’), nelle varianti (come l’uso non necessario
della ‘’r’’ moscia, o il ‘’seseo’’) non ci sono differenze di significato. Se una variante è combinatoria, dipende dal
contesto fonico in cui si trova (es. varianti della ‘’n’’ che in italiano dipendono dal fono che segue, la nasale
prende il luogo di articolazione della consonante che segue, non è una variazione individuale e non forma
coppie minime). Distribuzione complementare (varianti combinatorie): dove c’è un fono, non può starcene un
altro (es. se il contesto è velare, il fono è velare).

Tratti demarcativi: Un tratto demarcativo (o delimitativo) segna il limite tra due unità (morfemi, sillabe,
sintagmi, parole). Sono foni o tratti che segnano un confine di sillaba o di parola; foni obbligati a comparire solo
in certe posizioni/punti e non ovunque. Es. il colpo di glottide in tedesco o in ceco ‘’[ʔ]’’ che precede le sillabe
incomincianti per vocale, specie quelle accentate (il colpo di glottide segna quindi il confine sillabico). Es. /l/ in
veneziano (detta anche ‘’l’’ evanescente, rappresenta il confine di parola): si mantiene solo in posizione finale,
ma scompare in tutte le altre posizioni: es. /sol invernal/ (‘’l’’ finale di parola) /beo/ (bello, ‘’l’’ non finale di
parola).

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