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LEZIONE DEL 4 MARZO 2020

Premessa
La grammatica storica studia le trasformazioni verificatesi nel passaggio dal latino
all’italiano. Esamina questi aspetti sotto il profilo fonetico, morfologico e sintattico.
L’esame dei mutamenti fonetici si svolge solitamente considerando dapprima i
fenomeni del vocalismo e poi i fenomeni del consonantismo.

1. Vocali latine e vocali italiane

Un’informazione preliminare che potrà apparire banale e scontata nella sua


elementarità ma che è comunque meglio dare: in italiano le vocali sono cinque come
lettere (a, e, i, o, u) ma sette come suoni: e ed o possono essere aperte o chiuse.
L’esito chiuso si indica con [e] e [o], l’esito aperto con [ɛ] e [ɔ]. Per distinguere
graficamente questi suoni (aperto e chiuso) si usa l’accento fonico, che può essere
grave / ˋ/ o acuto / ʹ /. Anche se è spesso il contesto che permette di distinguere i
cosiddetti omografi (parole scritte uguali), si possono fare alcuni esempi:
suono aperto = accento grave pèsca = il frutto bòtte = percosse
suono chiuso = accento acuto pésca = il pescare bótte = recipiente.
Per farvi un’idea della pronuncia delle vocali più ‘problematiche’ e, soprattutto, per
avere spiegato a voce il cosiddetto triangolo vocalico (che comunque trovate già nel
file, precedentemente messo a vostra disposizione, intitolato “Foni e fonemi
dell’italiano”) potete ascoltarvi il breve video di cui vi allego qui sotto il link:
https://youtu.be/Ro58wUOQieI

Un’altra informazione preliminare ma meno scontata è la distinzione tra sillaba


libera o aperta e sillaba chiusa o implicata. La sillaba libera o aperta si ha quando
termina per vocale, come la sillaba te di te-so. La sillaba chiusa o implicata si ha
quando termina per consonante, come la sillaba ter di ter-so. La distinzione tornerà
utile per vedere il destino delle vocali nel passaggio dal latino al volgare.

2. Vocalismo tonico dal latino al latino volgare e all’italiano


Il latino aveva dieci vocali. Vedi pagina 2 della slide
Si distinguevano per la diversa durata o quantità della pronuncia: una vocale poteva
essere breve o lunga, cioè pronunciata in un tempo più breve o più lungo. La breve è
indicata dal segno ̆ sopra di essa, la lunga dal segno ̄ sopra di essa. Vedi esempi a
pagina 3 della slide.
Anche l’italiano conosce l’opposizione fra vocali breve e vocali lunghe. Una
qualunque vocale, seguita da una consonante semplice, è lunga; la stessa vocale,
seguita da una consonante doppia, è breve. Esempi a pagina 4 della slide.

Da un certo momento in poi nel latino parlato le vocali lunghe cominciarono a essere
pronunciate come chiuse e le vocali brevi come aperte (con i medesimi esempi di
pagina 3 vedi pagina 5 della slide). E questo perché, quando il latino si diffuse in
Africa e in Europa, si sovrappose a lingue che non possedevano l’opposizione tra
vocali brevi e vocali lunghe. Così il senso della quantità cominciò a perdersi. Per
l’Africa, abbiamo la testimonianza di sant’Agostino, il quale avvertiva che lì non si
era in grado di distinguere tra brevi e lunghe per cui, ad esempio, si confondeva la o
breve di ŎS (‘osso’) e la o lunga di ŌS (‘bocca’). Motivo per cui fu indotto a far
ricorso, per essere compreso senza equivoci, alla forma popolare OSSUM.
Ora la perdita della quantità rappresentò uno sconvolgimento fortissimo nel sistema
vocalico del latino; dal latino volgare questa caratteristica si riversò in tutte le lingue
romanze. La quantità si trasformò in timbro. Per il diverso destino delle vocali
toniche nel passaggio dal latino all’italiano vedi le pagine 6, 7 e 8 della slide (gli
esempi sono all’accusativo perché, come si vedrà meglio più avanti, i sostantivi e gli
aggettivi italiani derivano dai nomi e dagli aggettivi latini in caso accusativo; del
sistema dei casi si parlerà nelle lezioni dedicate alla morfologia).
A pagina 9 della slide trovate uno schema riassuntivo del vocalismo tonico dal latino
all’italiano.

Riprendiamo ora quanto detto in principio sulla distinzione tra sillaba libera o aperta
e sillaba chiusa o implicata. Si è già visto cosa differenzia l’una dall’altra. E la
differenza tra le due spiegata prima, torna utile adesso. Perché?
Perché, nel passaggio dal latino all’italiano, Ě tonica latina e Ŏ tonica latina, in
sillaba libera o aperta hanno prodotto, rispettivamente, il dittongo jè [јɛ] e il dittongo
uò [wɔ]; in sillaba implicata o chiusa si sono trasformate, rispettivamente, in e aperta
[ɛ] e in o aperta [ɔ], secondo lo schema che segue:

Ě (in sillaba libera) > jè [јɛ] Ě (in sillaba implicata) > è [ɛ]
Ŏ (in sillaba libera) > uò [wɔ] Ŏ (in sillaba implicata) > ò [ɔ]

(a questo punto vi chiederete cosa diavolo siano questi segni strani presenti in [јɛ] e
[wɔ]; sono le due semiconsonanti dell’italiano: lo «iod» (trascrizione fonetica [ј]) e il
«vau» (trascrizione fonetica [w] ). Iod e vau sono, in sostanza, una i e una u non
accentate e seguite da un’altra vocale, come succede per la i di ieri e per la u di uomo;
si articolano come [i] e [u], ma hanno una durata più breve. Da qui l’impressione che
siano un suono ‘a metà’ tra le vocali e le consonanti).
Ma torniamo agli esiti in volgare di Ě e Ŏ tonica latina a seconda della loro presenza
in sillaba libera (o aperta) o in sillaba chiusa (o implicata). Con degli esempi:

dalle basi latine PĚDE(M) e BŎNU(M), in cui la Ě e la Ŏ toniche erano in sillaba


libera, in italiano si sono avuti piede e buono, coi dittonghi appunto [јɛ] e [wɔ];

invece dalle basi latine PĚRDO e CŎRPUS, in cui la Ě e la Ŏ toniche erano in sillaba
implicata, in italiano si sono avuti perdo e corpo, con e aperta [ɛ] e o aperta [ɔ], senza
che si sia prodotto dittongo.
Allora, ad essere precisi, il vocalismo tonico dell’italiano presenta due trasformazioni
in più rispetto a quello presentato nello schema alla pagina 9 della slide (che è
piuttosto, sperando di non confondervi le idee, il vocalismo tonico latino volgare).
Queste due trasformazioni in più, che – sia ben chiaro - non fanno salire il numero
delle vocali italiane da sette a nove trattandosi di due esiti diversi di due vocali e non
di due vocali distinte, riguardano dunque la Ě e la Ŏ toniche. Uno schema riassuntivo
del quadro finale del vocalismo tonico nel transito dal latino all’italiano lo trovate
(con alcune semplificazioni) a pagina 17 della slide.

3. Vocalismo atono
Fin qui abbiamo parlato, molto in generale, di vocalismo tonico, quello che riguarda
le vocali toniche cioè accentate. In italiano abbiamo però anche le vocali atone, cioè
non accentate. Sono solo cinque: [a], [e], [i], [o], [u]; non si hanno le due vocali
aperte [ɛ] e [ɔ].
Anche le vocali atone subirono delle trasformazioni, ma furono in parte diverse da
quelle che investirono le vocali toniche. In particolare, il vocalismo atono del latino
volgare non conosce vocali aperte: Ě e Ŏ atone hanno dato é e ó (chiuse), come le
rispettive lunghe e come Ĭ e Ŭ. Il vocalismo atono dell’italiano coincide con quello
del latino volgare (senza quella fase di passaggio latino > latino volgare > italiano che
invece tocca il vocalismo tonico e che potete verificare confrontando lo schema a
pagina 9 con quello a pagina 17 della slide).
Per uno schematico riassunto del vocalismo atono vedi pagina 10 della slide.

4. L’accento
A questo punto una domanda potrebbe, o dovrebbe, sorgere in voi: ma le parole latine
avevano l’accento?
Sì, avevano un accento di tipo musicale, consistente in un innalzamento della voce.
La posizione dell’accento, all’interno di una parola, era determinata dalla durata o
quantità della penultima sillaba: se la penultima sillaba era lunga, l’accento veniva a
trovarsi proprio su questa; se invece era breve, l’accento veniva a trovarsi sulla
sillaba che la precedeva, la terzultima. Ovviamente, questa legge della penultima
sillaba valeva per le parole che avevano almeno tre sillabe; sulle parole bisillabiche
l’accento si trovava sempre e comunque sulla penultima sillaba, breve o lunga che
fosse.
Ecco alcuni rapidi esempi, così distinti:

Parole di più di due sillabe

con penultima sillaba lunga:


NATŪRA l’accento cade sulla penultima: natùra
PUDĪCUS l’accento cade sulla penultima: pudìcus

con penultima sillaba breve:


PORTĬCUS l’accento cade sulla terzultima: pòrticus
PERICŬLUM l’accento cade sulla terzultima: perìculum

Parole di due sillabe:


PĚDEM l’accento cade sulla penultima: pèdem
HŌRA l’accento cade sulla penultima: óra
(come vedete, lunga o breve che sia la penultima, l’accento cade su di essa).

Quando le vocali persero la quantità, l’accento divenne intensivo. Intensivo è il tipo


di accento che si ha nelle parole italiane e che consiste in una particolare forza
articolatoria che si concentra sulla sillaba accentata: ad esempio in ‘cancello’ ognuno
può sperimentare come la massima forza articolatoria si concentri sulla sillaba di cui
fa parte la vocale accentata, indicata in neretto.
Nel passaggio latino > italiano, è cambiata la natura, ma non la posizione
dell’accento. In generale le parole italiane hanno mantenuto l’accento che avevano le
parole latine di provenienza.
Questo per soddisfare una qualche vostra eventuale curiosità sulla questione.

Per oggi, finisco qui.


Domani tratteremo di due argomenti:
- monottongamento di AU, AE, OE
- dittongamento toscano
(e così esauriremo i temi riassunti negli schemi della slide allegata oggi);

e forse di un terzo, un po’ più complesso:


- la regola del dittongo mobile.

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