Premessa
La grammatica storica studia le trasformazioni verificatesi nel passaggio dal latino
all’italiano. Esamina questi aspetti sotto il profilo fonetico, morfologico e sintattico.
L’esame dei mutamenti fonetici si svolge solitamente considerando dapprima i
fenomeni del vocalismo e poi i fenomeni del consonantismo.
Da un certo momento in poi nel latino parlato le vocali lunghe cominciarono a essere
pronunciate come chiuse e le vocali brevi come aperte (con i medesimi esempi di
pagina 3 vedi pagina 5 della slide). E questo perché, quando il latino si diffuse in
Africa e in Europa, si sovrappose a lingue che non possedevano l’opposizione tra
vocali brevi e vocali lunghe. Così il senso della quantità cominciò a perdersi. Per
l’Africa, abbiamo la testimonianza di sant’Agostino, il quale avvertiva che lì non si
era in grado di distinguere tra brevi e lunghe per cui, ad esempio, si confondeva la o
breve di ŎS (‘osso’) e la o lunga di ŌS (‘bocca’). Motivo per cui fu indotto a far
ricorso, per essere compreso senza equivoci, alla forma popolare OSSUM.
Ora la perdita della quantità rappresentò uno sconvolgimento fortissimo nel sistema
vocalico del latino; dal latino volgare questa caratteristica si riversò in tutte le lingue
romanze. La quantità si trasformò in timbro. Per il diverso destino delle vocali
toniche nel passaggio dal latino all’italiano vedi le pagine 6, 7 e 8 della slide (gli
esempi sono all’accusativo perché, come si vedrà meglio più avanti, i sostantivi e gli
aggettivi italiani derivano dai nomi e dagli aggettivi latini in caso accusativo; del
sistema dei casi si parlerà nelle lezioni dedicate alla morfologia).
A pagina 9 della slide trovate uno schema riassuntivo del vocalismo tonico dal latino
all’italiano.
Riprendiamo ora quanto detto in principio sulla distinzione tra sillaba libera o aperta
e sillaba chiusa o implicata. Si è già visto cosa differenzia l’una dall’altra. E la
differenza tra le due spiegata prima, torna utile adesso. Perché?
Perché, nel passaggio dal latino all’italiano, Ě tonica latina e Ŏ tonica latina, in
sillaba libera o aperta hanno prodotto, rispettivamente, il dittongo jè [јɛ] e il dittongo
uò [wɔ]; in sillaba implicata o chiusa si sono trasformate, rispettivamente, in e aperta
[ɛ] e in o aperta [ɔ], secondo lo schema che segue:
Ě (in sillaba libera) > jè [јɛ] Ě (in sillaba implicata) > è [ɛ]
Ŏ (in sillaba libera) > uò [wɔ] Ŏ (in sillaba implicata) > ò [ɔ]
(a questo punto vi chiederete cosa diavolo siano questi segni strani presenti in [јɛ] e
[wɔ]; sono le due semiconsonanti dell’italiano: lo «iod» (trascrizione fonetica [ј]) e il
«vau» (trascrizione fonetica [w] ). Iod e vau sono, in sostanza, una i e una u non
accentate e seguite da un’altra vocale, come succede per la i di ieri e per la u di uomo;
si articolano come [i] e [u], ma hanno una durata più breve. Da qui l’impressione che
siano un suono ‘a metà’ tra le vocali e le consonanti).
Ma torniamo agli esiti in volgare di Ě e Ŏ tonica latina a seconda della loro presenza
in sillaba libera (o aperta) o in sillaba chiusa (o implicata). Con degli esempi:
invece dalle basi latine PĚRDO e CŎRPUS, in cui la Ě e la Ŏ toniche erano in sillaba
implicata, in italiano si sono avuti perdo e corpo, con e aperta [ɛ] e o aperta [ɔ], senza
che si sia prodotto dittongo.
Allora, ad essere precisi, il vocalismo tonico dell’italiano presenta due trasformazioni
in più rispetto a quello presentato nello schema alla pagina 9 della slide (che è
piuttosto, sperando di non confondervi le idee, il vocalismo tonico latino volgare).
Queste due trasformazioni in più, che – sia ben chiaro - non fanno salire il numero
delle vocali italiane da sette a nove trattandosi di due esiti diversi di due vocali e non
di due vocali distinte, riguardano dunque la Ě e la Ŏ toniche. Uno schema riassuntivo
del quadro finale del vocalismo tonico nel transito dal latino all’italiano lo trovate
(con alcune semplificazioni) a pagina 17 della slide.
3. Vocalismo atono
Fin qui abbiamo parlato, molto in generale, di vocalismo tonico, quello che riguarda
le vocali toniche cioè accentate. In italiano abbiamo però anche le vocali atone, cioè
non accentate. Sono solo cinque: [a], [e], [i], [o], [u]; non si hanno le due vocali
aperte [ɛ] e [ɔ].
Anche le vocali atone subirono delle trasformazioni, ma furono in parte diverse da
quelle che investirono le vocali toniche. In particolare, il vocalismo atono del latino
volgare non conosce vocali aperte: Ě e Ŏ atone hanno dato é e ó (chiuse), come le
rispettive lunghe e come Ĭ e Ŭ. Il vocalismo atono dell’italiano coincide con quello
del latino volgare (senza quella fase di passaggio latino > latino volgare > italiano che
invece tocca il vocalismo tonico e che potete verificare confrontando lo schema a
pagina 9 con quello a pagina 17 della slide).
Per uno schematico riassunto del vocalismo atono vedi pagina 10 della slide.
4. L’accento
A questo punto una domanda potrebbe, o dovrebbe, sorgere in voi: ma le parole latine
avevano l’accento?
Sì, avevano un accento di tipo musicale, consistente in un innalzamento della voce.
La posizione dell’accento, all’interno di una parola, era determinata dalla durata o
quantità della penultima sillaba: se la penultima sillaba era lunga, l’accento veniva a
trovarsi proprio su questa; se invece era breve, l’accento veniva a trovarsi sulla
sillaba che la precedeva, la terzultima. Ovviamente, questa legge della penultima
sillaba valeva per le parole che avevano almeno tre sillabe; sulle parole bisillabiche
l’accento si trovava sempre e comunque sulla penultima sillaba, breve o lunga che
fosse.
Ecco alcuni rapidi esempi, così distinti: