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A questo punto bisognerebbe fare un discorso sui due tipi di labiovelare sorda:
primaria e secondaria.
Molto velocemente: quella primaria esisteva già in latino; quella secondaria invece
no, e si è prodotta nel passaggio dal latino volgare all’italiano.
A proposito della labiovelare sorda primaria. La labiovelare sorda che s’incontra in
parole come quale o quando è primaria perché presente nelle basi latine da cui
derivano (QUALE(M), QUANDO).
A proposito della labiovelare sorda secondaria. La labiovelare sorda che s’incontra in
parole come cuore o qui è secondaria perché non esisteva nel latino classico, ma si è
formata nel passaggio latino volgare > italiano: cuore deriva dal latino volgare
*CŎRE, qui deriva dal latino tardo (ĔC)CŬ(M) (H)ĬC.
Vediamo ora quale trattamento ha subito la labiovelare primaria sorda [kw] nel
passaggio all’italiano. Si distinguono due esiti:
1) se seguita da una A si conserva o si rafforza:
- in posizione iniziale si conserva soltanto: ad esempio QUALE(M) > quale /ˈkwale/
- in posizione intervocalica si conserva e si rafforza: AQUA(M) > acqua /ˈakkwa/
(il rafforzamento della componente velare lo potete vedere dal raddoppiarsi della k
nella resa fonetica del termine);
2) se seguita da una vocale diversa da A, perde la componente labiale [w] e si riduce
alla velare semplice [k]: nelle basi latine, ad esempio, QUĬD o QUARĔRE la
labiovelare primaria si è ridotta a velare semplice, dando luogo alle forme che e
chiedere. La trascrizione fonetica di quest’ultima parola /ˈkjɛdere/ lo fa capire bene in
quanto, come potete vedere, manca il segno di ‘vau’, indice di componente labiale.
Passiamo ora alla labiovelare secondaria. Essa si mantiene intatta quale che sia la
vocale che la segue: [kw] secondaria presente ad esempio nella già citata forma qui (a
cui potremmo aggiungere questo e quello), pur essendo seguita da vocale diversa da
A, non si è ridotta a velare, producendo chi (e chesto e chello), ma si è conservata. Il
fatto è assai istruttivo sia per la storia dell’italiano sia per la differenza tra
quest’ultimo e i dialetti. Quanto appena detto vale per il fiorentino, e quindi per
l’italiano. In altre zone dialettali la labiovelare secondaria si è ridotta a velare
semplice. Pensate a voci meridionali come chesta per ‘questa’ e chilli per ‘quelli’; o
in certe zone del Nord a chi per ‘qui’.
Sin qui abbiamo parlato della labiovelare sorda [kw]. E la labiovelare sonora [gw]?
Nel latino classico era solo interna (mentre quella sorda poteva cadere sia in principio
che dentro la parola). Due esempi:
ANGUILLA
LINGUA
Come potete vedere la labiovelare sonora interna si mantiene quale che sia la vocale
seguente. In ANGUILLA (ed equivalente italiano) [gw] è seguita da I; in LINGUA
(ed equivalente italiano) [gw] è seguita da A.
Eppure tante parole italiane iniziano con labiovelare sonora. Quanto è avvenuto in tal
caso consente – come prima per la differenza tra fiorentino e dialetti - di dare
un’occhiata al di fuori dei ristretti confini della fonetica e di spiare da quest’angolo
l’evolversi della lingua nel confronto con i fatti storici e più ampiamente culturali. Le
parole italiane che iniziano con labiovelare sonora non sono d’origine latina, ma
germanica: è il caso di guardare, guerra, guida che provengono dalle basi
germaniche wardōn, *werra, *wida.
(Un liofilizzato di quanto detto in questo paragrafo è alle pagine 8 e 9 del Power
Point).
Sui cosiddetti latinismi, perché la nozione vi sia chiara e non crei confusioni
pensando che poi in fondo l’italiano continua il latino (e allora perché parlare di
latinismi?) vi allego la voce della Grammatica italiana Treccani dedicata appunto ai
latinismi invitandovi a prestare particolare attenzione ai latinismi, come esempio o
esprimere, adattati alla nostra lingua.
Sull’argomento trattato qui, nel paragrafo 7, potete infine vedere le pagine 10-13 del
Power Point ‘Consonantismo-1’ (sono le ultime).
8. Sonorizzazione
La sonorizzazione è il processo di indebolimento articolatorio per cui una consonante
sorda si trasforma nella sonora corrispondente:
[p] > [b]
[k] > [g]
[t] > [d]
Per essere precisi bisogna dividere il nostro discorso in due parti e trattare
distintamente ciò che è avvenuto in Toscana (e poi nell’italiano) e ciò che è avvenuto
in altre lingue romanze e in alcuni dialetti.
[p]
1) parole in cui la labiale P si è conservata sorda:
APE(M) > ape
CAPĬLLŬ(M) > capello
2) parole in cui la labiale P si è sonorizzata e poi spirantizzata:
RĪPA(M) > riva (il processo è stato questo: ripa > riba > riva)
[k]
1) parole in cui la velare K si è conservata sorda:
AMĪCŬ(M) > amico
DĪCO > dico
FŎCŬ(M) > fuoco
2) parole in cui la velare K si è sonorizzata:
LACŬ(M) > lago
SPĪCA(M) > spiga
[t]
1) parole in cui la dentale T si è conservata sorda:
MARĪTŬ(M) > marito
MERCĀTŬ(M) > mercato
2) parole in cui la dentale T si è sonorizzata:
MATRE(M) > madre
STRATA(M) > strada
Vediamo ora cosa è successo in tutta l’area romanza occidentale, compresa l’Italia
settentrionale. Qui le occlusive sorde latine P, C (seguita da A, O, U), T, in posizione
intervocalica e interconsonantica (cioè tra vocale e R), si sono trasformate nelle
sonore corrispondenti: [b], [g], [d].
Per la labiale in particolare, alla sonorizzazione ha fatto seguito la spirantizzazione in
[v] (qui si rimanda al paragrafo 7 sulla B latina).
Facciamo alcuni esempi da lingue e dialetti dell’area nord-occidentale:
CAPĬLLŬ(M), CAPĬLLI > spagn. e port. cabello, franc. cheveau, ligure cavèli,
lombardo cavèi, veneziano cavéi
AMĪCŬ(M) > spagn. port. lig. amigo
RŎTA(M) > lombardo röda, veneziano roda, spagn. rueda.
Anche questo piccolo esempio tratto dagli antroponimi, ci dice che il fenomeno della
sonorizzazione in Toscana non fu generale. Si ritiene che non sia stata una tendenza
spontanea ma un fenomeno importato. Lo dimostra il fatto che i toponimi di centri
piccoli o piccolissimi presentano, in posizione intervocalica, non l’occlusiva sonora,
ma la sorda: Catignano, Paterno, Prato.
Fu quindi un fenomeno d’importazione. Ma che origine ebbe?
Si è pensato a una pronuncia sonorizzata dell’occlusiva sorda determinatasi in
Toscana per moda, ad imitazione della pronuncia settentrionale. Favorita dai tanti
commercianti, artigiani, imprenditori che, nei primi secoli del Medioevo, scesero in
Toscana. Dove la pronuncia con la sonora intervocalica fu sentita come più elegante
(ogni epoca ha le sue mode, anche linguistiche; in base alle quali un termine o una
pronuncia – come verifichiamo anche oggi – sono giudicati più ‘trendy’ appunto di
altri). Significativo è che il tasso più alto di pronunce con sonora si ebbe nelle
province occidentali della Toscana, attraverso le quali scorrevano le vie di
comunicazione con l’Italia del Nord. A Pisa e a Lucca si registrano forme con la
sonora come cavestro, duga, oga, pogo, regare, sconosciute ai fiorentini, che in
questi casi hanno capestro, duca, oca, poco, recare.