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[ʧi sarapˈpjɔdʤa pɛr zvaˈrjaːti ˈʤɔrni] - Ci sarà pioggia per svariati giorni

La z in ‘svariati’ per assimilazione regressiva da ‘ʤ’ di ‘giorni’

[liŋkoeˈrɛntsa ˈnɔn ˈɛlla ˈtuːa miʎˈʎɔːre kwaliˈta] - L’incoerenza non è la tua migliore qualità
Tua non è dittongo discendente ma iato. Due sillabe distinte
‘ʎ’ laterale palatale che raddoppia perché intervocalica

Nelle lingue semitiche, come l’arabo, l’aramaico etc. la morfologia è introflessiva. Nelle lingue
indoeuropee non esiste tendenzialmente questa tipologia, tranne in due casi: una è un processo delle
lingue indoeuropee di fase antica chiamata Apofonia, e l’altro è la metafonesi.
Nelle lingue germaniche antiche, il plurale di un nome si formava aggiungendo la desinenza ‘-i’. se il
singolare di ospite è ‘Gast’, il plurale diventava ‘Gasti’.
Gast ‘ospite’ Gasti ‘ospiti’
Gast gästi [gɛsti]
Gast gäste [gɛstǝ]
A questo punto, la ‘-i’, vocale anteriore alta, assimila a distanza la vocale radicale (la vocale della radice
colpita dall’accento) ‘-a-’, che prenderà il tratto della ‘-i’, come l’anteriorità, diventando ‘ɛ’. Questa ‘ɛ’
si scrive tradizionalmente in tedesco come una ‘a’ con i due punti sopra (mutamento di suono). Questo
processo, foneticamente, si chiama metafonesi o metafonia.
[assimilazione regressiva a distanza innescata dalla ‘i’]

Dopo che la ‘-i’ ha metafonizzato la ‘-a’, nel passaggio al medio-tedesco e al tedesco moderno, si
indebolisce e diventa uno ‘-ǝ-’, che è una vocale debolmente pronunciata.
Possiamo quindi stabilire un fenomeno di cronologia relativa; quindi, non quando è avvenuto il
fenomeno, ma quale dei due fenomeni, tra metafonesi e centralizzazione (passaggio da ‘i’ a ‘ǝ’), viene
prima dell’altro. Vediamo quindi che la metafonesi è il passaggio primario, seguito successivamente,
con l’evoluzione della lingua, dalla centralizzazione della ‘i’. Se la centralizzazione fosse avvenuta come
passaggio primario la metafonesi non sarebbe stata possibile, in quanto innescata dalla ‘i’ e non dalla
‘ǝ’. L’opposizione Gast > gästi [gɛsti], nel tedesco moderno diventa Gast > gäste [gɛstǝ].

Nel tedesco antico, o alto tedesco, l’opposizione tra singolare e plurale si formava come in italiano,
quindi con una morfologia concatenativa-flessiva (morfo lessicale + desinenza).
Nel tedesco moderno l’opposizione è invece tra Gast > gäste [gɛstǝ], diversi morfologicamente,
distinguibili col cambiamento della vocale radicale, che si trova dentro la parola (in questo caso la ‘a’).
Vediamo quindi che mentre nel tedesco antico l’opposizione si faceva con la vocale finale, nel tedesco
moderno la si trova nella vocale radicale. Questo ci ricorda una tipologia intro-flessiva, come l’arabo.
La metafonia, quando ha effetti morfologici, produce una tipologia introflessiva (perché l’unico modo
per distinguere il singolare dal plurale, come in questo caso, è la vocale interna. Non c’è distinzione
diretta tra morfo lessicale e morfo grammaticale. Morfologia non concatenativa). Questo viene quindi
chiamato morfo metafonetico.

Questa metafonesi ha un grosso impatto nella grammatica dei dialetti romanzi, in particolare quelli
centro-meridionali. È un processo che coinvolge tutte le parole che in latino avevano non solo la ‘i’
finale ma anche la ‘u’ finale. Gran parte dei dialetti meridionali, soprattutto alto-meridionali (campani,
abruzzesi, molisani), dove queste ‘i’ e ‘u’ finali hanno prodotto uno ‘ǝ’, come in tedesco moderno. Per
sapere se c’è stata metafonia devo conoscere la base latina; solo nella base latina sono conservate le
desinenze originarie.

*SĬMPLĬCI > proto-rom. *SÉMPLICI > *SIMPLICI > símprəčə pl. ‘semplici’
Se partiamo dal plurale dell’aggettivo “semplice”, ovvero ‘simplici’, la ‘i’ nel protoromanzo diventa ‘e’.
Nei dialetti alto-meridionali vediamo che la ‘i’ metafonizza la vocale radicale (‘e’) che si alza nel
trapezio, e diventa una ‘i’. la ‘i’ finale, dove aver metafonizzato, diventa ‘ǝ’. (inoltre, usuale nei dialetti
campani che PL diventa ‘PR’).

*DOMĬNĬCU > proto-rom. *DOMÉNICU > *DOMINICU > mínəkə masch. ‘Domenico’

La forma latino ‘dominicu’ diventa nel protoromanzo ‘domenicu’; a questo punto la ‘u’ metafonizza la
e, che diventa ‘i’, e la ‘u’ successivamente diventa ‘ǝ’.
SŌRĬCE sór(ə)čə ‘topo’ súr(ə)čə ‘topi’
Prendendo come esempio la parola topo, vediamo che nel latino, essendoci la ‘e’ finale non si
metafonizza. Partendo invece dal napoletano, al plurale troviamo la desinenza ‘i’, che quindi va a
metafonizzare la vocale radicale (‘o’), che elevandosi diventa ‘u’. la ‘i’ successivamente si centralizza
diventando ‘ǝ’.

Latino Esito al sing. Esito al pl.

FĬLĬCE féləčə ‘felce’ fíləčə ‘felci’

AURĬFĬCE aréfəčə ‘orefice’ arífəčə ‘orefici’

SĬMPLĬCE sémprəčə‘semplice’ símprəčə ‘semplici’

CĬCĔRE čéčərə ‘cece’ číčərə ‘ceci’

PĒNSĬLE pésələ ‘molle, soffice’ písələ ‘molli, soffici’

SŌRĬCE sór(ə)čə ‘topo’ súr(ə)čə ‘topi’

JŬVENE ggóvənə ‘giovane’ ggúvənə ‘giovani’

*NĬGRU nívərə ‘nero’ névərə ‘neri’

Questo meccanismo distingue chiaramente maschile e femminile.

Latino Esito al maschile Esito al femminile

DOMĬNĬCU mínəkə ‘Domenico’ ménəka ‘Domenica’

TŬRBĬDU trúvələ ‘torbido’ tróvələ ‘torbida’

Nei dialetti italo-romanzi meridionali esistono due tipi di metafonie:


- la prima è la cosiddetta metafonia Napoletana, perché ha avuto il suo centro di irradiazione a Napoli;
città che ha avuto una particolare capacità di espansione dei fenomeni, soprattutto quando il centro
propulsore si è spostato, soprattutto a partire dall’età angioina, a Napoli.
La metafonia napoletana prevede due sviluppi: le vocali medio-alte si chiudono, mentre le vocali
medio-basse si dittongano. Questo è un tratto distintivo del dialetto meridionale a metafonesi
napoletana.
Napoletano
Forme NON
Forme metafonetiche
metafonetiche
[ˈbbɔːnə] ‘buona’ [ˈbbwoːnə] ‘buono’
[ˈpεːrə] ‘piede’ [pjeːrə] ‘piedi’
[ˈvεrmə] ‘verme’ [vjermə] ‘vermi’
[nəˈpoːtə] ‘nipote’ [nəˈpuːtə] ‘nipote’
[ˈmeːsə] ‘mese’ [ˈmiːsə] ‘mesi’
- Il secondo tipo è la cosiddetta metafonia Sabina, tipica, ma non esclusiva, dell’area del basso Lazio,
al confine con la Campania, in particolare la provincia di Frosinone. Esistono tuttavia casi di metafonia
sabina sparsi in tutta l’area meridionale. La differenza con la metafonesi napoletana sta nel fatto che
in quest’ultima le vocali medio-basse dittongano, mentre in quella Sabina si alzano, diventano medio-
alte [ε] > [e]; [ɔ] > [o].
Vocalismo NON Vocalismo
metafonetico metafonetico
Dialetto di Servigliano
[ˈmɔːre] = egli muore [ˈmoːri] = tu muori
[ˈpεːde] = piedi [ˈpeːdi] ‘piede’
Sardo logudorese
[ˈmɔrta] = ‘morta’ [ˈmortu] = ‘morto’
[ˈbεːnε] = ‘bene’ [ˈbeːni] = tu vieni
[ˈbεlla] = ‘bella’ [ˈbellu] ‘bello’
Gli effetti della metafonesi, cioè la morfo-metafonia, distinguono in generale il singolare dal plurale, il
maschile dal femminile e la seconda dalla terza persona singolare del presente indicativo. I dialetti che
hanno questa metafonia hanno questi tre risultati.
Vediamo che nella terza persona, nel dialetto di Servigliano, la ‘o’ del latino da una medio-bassa; nella
seconda persona invece la ‘i’ finale metafonizza, facendola diventare medio-alta. Se fosse metafonia
napoletana sarebbe muori, perché le medio-basse diventano dittongo, mentre nella metafonesi
sabina diventano medio-alte.

Sul rapporto tra metafonesi sabina e metafonesi napoletana c’è stato un enorme dibattito;
sostanzialmente sostenuto da tre ipotesi:
• La prima dice che non esiste nessun rapporto tra metafonesi sabina e metafonesi napoletana,
quindi due metafonesi avvenute in punti diversi dell’italo-romanzo meridionale senza alcun
rapporto genealogico tra di loro.
• La seconda è stata quella più accreditata per moltissimo tempo, ovvero quella secondo cui la
metafonesi napoletana precedesse quella sabina, sostenuta dal fatto che la metafonesi sabina
è sostanzialmente isolata, concentrata solo in alcuni punti sporadici. Tuttavia, per la norma
delle aree isolate, queste risultano talvolta essere le più conservative. Il fatto che troviamo
un fenomeno sparso, del tutto isolato rispetto al complesso dei dialetti che presentano invece
metafonesi napoletana, non è un fatto marginale; le aree isolate tendono infatti a conservare
arcaismi.
• Nel 2008 a Messina, uno dei più grandi linguisti romanzi, Marcello Barbato, ha proposto la
terza ipotesi, dove sostiene che la metafonesi sabina precede cronologicamente quella
napoletana, che sarebbe invece uno sviluppo più recente.
Difatti la metafonesi, come fenomeno di assimilazione, ha molto più senso se la si applica al
tipo sabino rispetto a quello napoletano. La metafonesi, essendo un’assimilazione regressiva
che parte dalla ‘i’ e la ‘u’, rispettivamente anteriore e posteriore alte, quella sabina sembra
essere l’assimilazione più consona.
Ci sono due argomenti a favore di quest’ultima ipotesi:
a) la metafonesi sabina è recessiva (compare in aree isolate e conservative, come il Salento)
b) se la metafonesi è un fenomeno di assimilazione regressiva, il tipo sabino è più “naturale” del tipo
napoletano: infatti alla fine del processo le vocali toniche colpite dalla metafonia, nel tipo sabino,
diventano “simili” a -I, -U finali.

Come processo fonologico, quindi, la metafonesi sabina risulta più “normale” rispetto a quella
napoletana. Quest’ultima potrebbe essere vista come un processo per iperdifferenziare quelle vocali.
Non molti anni fa un fonologo ha scoperto la presenza di metafonesi sabina nella parte più estrema
del sud del Salento, intorno a Santa Maria di Leuca. Evidentemente ci sono dei punti molto isolati che
l’hanno conservata.
Nei dialetti che hanno metafonesi sabina, il dittongo sembra innescato dalla posizione in cui la parola
si trova all’interno della frase. Quando la parola si trova internamente alla frase, in alcuni dialetti
questo dittongo metafonetico non c’è. Riemerge invece nella posizione finale di frase, che esalta alcuni
fenomeni fonetici. Per esempio, c’è un dialetto dove questa alternanza è stata molto studiata, dove
troviamo un’alternanza tra dittongo e vocali semplici, in base alla posizione in cui si trova la parola.
I morfemi grammaticali non si limita ai morfi flessivi. Esistono un altro tipo di morfi grammaticali che
hanno un ruolo molto importante in processi morfologici, come la derivazione. Tutte le lingue del
mondo possono formare nomi da altri nomi, aggettivi da nomi, verbi da nomi etc. questo processo si
chiama derivazione e si avvale di alcuni morfi grammaticali dedicati a questa azione; dedicati quindi
alla formazione di derivati. Se da ‘tavolo’ realizzo ‘tavolino’ sto compiendo un processo di derivazione
per mezzo di alcuni morfi che sono dedicati a questa funzione. Questi morfi prendono quindi il nome
di morfi derivativi, e costituiscono una macrocategoria, che è quella degli affissi. Quando si parla di
affisso ci si riferisce quindi esclusivamente ad un morfo grammaticale che serve a formare derivati.
Questi si classificano in base alla posizione rispetto alla parola; se si trovano prima del morfema
lessicale sono prefissi (esperto > inesperto). La prefissazione in italiano, e in gran parte delle lingue
europee, non può mutare classi di appartenenza. Se sviluppo un derivato partendo da un aggettivo,
posso ottenere solo un altro aggettivo. Lo stesso vale per nomi o verbi. I suffissi si trovano invece dopo
il morfema lessicale (barba > barbone). In questo caso la classe di appartenenza può mutare (spegnere
> spegnimento). Nel complesso degli affissi l’italiano ha sostanzialmente questi due tipi, molte lingue
del mondo, come le lingue indoeuropee, hanno anche degli infissi, che vanno dentro la base. Le lingue
indoeuropee antiche avevano, per esempio, una nasale che era un infisso utilizzato per formare un
tipo di presente. (rup- > rump-)
Berruto (nel manuale) afferma che tendenzialmente in italiano non ci sono gli infissi, tranne alcuni
casi, come per esempio ‘cuoricino’. ‘cuor-’ morfema lessicale, ‘-ino’ diminutivo, quindi suffisso, ‘ic’ si
può considerare infisso. Sarebbe tuttavia più corretto analizzare ‘ic’ al pari di ‘-in-’, in quanto non c’è
un limite di suffissi. (l’infisso vero e proprio solitamente va ad interrompere la costruzione di base del
morfo lessicale in quanto si va a porre in mezzo). (Cuor+ic+in+o)
I circonfissi sono affissi che contemporaneamente alla base si mette sia il prefisso che il suffisso. (Es.
formazione del participio passato tedesco). L’ultima categoria di affissi è invece quella dei transfissi,
che si immettono “a pettine” nella base, come nel caso delle vocali delle lingue semitiche.

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