Sei sulla pagina 1di 22

Linguistica italiana

Fonetica e fonologia
L’italiano standard possiede un sistema fonetico con un numero relativamente
limitato di foni vocalici (sette) e un consonantismo abbastanza ricco. La pronuncia
dell’italiano standard è fondata sul sistema fonetico fiorentino, fra le lingue romanze
l’italiano è quella più conservativa rispetto al latino.
La fonetica tratta i foni, questi in particolare, sono il segmento minimo in cui può
essere suddivisa la parola nella sua forma orale. È fondamentale quindi avere
presente la differenza tra fono e lettera, che invece è il segmento minimo in cui può
essere suddivisa la parola nella sua forma scritta. Per ragioni storiche però in molti
casi la corrispondenza tra foni e lettere non è sempre la stessa, infatti ci sono casi in
cui diversi foni sono scritte con la stessa lettera o viceversa. (primo caso: gelato-
gatto; secondo caso kayak-quadro). Per indicare il suono della parola si usano delle
parentesi quadre e la rappresentazione del suono reale dei suoni è detta trascrizione
fonetica.
Per classificare i suoni la fonetica considera queste variabili:
 Flusso d’aria: sorgente e direzione
 Pliche vocali: suoni sordi e sonori
 Palato molle: suoni nasali e suoni orali
 Modo di articolazione
 Luogo di articolazione (luogo di costrizione)
 Posizione delle labbra
Vocali e consonanti
La descrizione dei foni si basa sulla loro articolazione, la maniera con cui il nostro
apparato fonatorio li produce, eseguendo particolari movimenti con gli organi
articolatori. Bisogna a questo punto concentrarsi su due grandi classi di foni: le
vocali e le consonanti.
Le vocali sono prodotte con la vibrazione delle pliche vocali all’interno della laringe.
Esse sono suoni articolati senza chiusura o costrizione (l’aria esce liberamente,
attraverso la bocca o il naso). Si classificano in base:
 Alla posizione verticale della lingua (innalzamento);
 Alla posizione orizzontale della lingua: palato, prevelo, velo del palato;
 All’arrotondamento delle labbra;
 Alla posizione del palato molle: vocali orali o nasali.
Sistema vocalico
Nell’analizzare le vocali, bisogna fare una distinzione tra il sistema delle vocali atone
e toniche. Una vocale è tonica se su di essa cade l’accento di parola, mentre il resto
delle parole sono definite atone. In sillaba tonica l’italiano standard presenta un
vocalismo formato da 7 elementi, ossia un sistema eptavocalico, che viene
rappresentato in forma triangolare. Le vocali italiane infine, sono tutte vocali orali,
nessuna presenta nasalizzazione.

Anteriori Centrale Posteriori


Alte i u
Medio-alte e o
Medio-basse Ɛ ɔ
Bassa a
Lo schema è costruito tenendo conto della posizione della lingua durante
l’articolazione di ciascuna vocale. I termini alte, medio-alte, medio-basse e basse
fanno riferimento ai movimenti verticali della lingua, mentre i termini anteriori,
centrale e posteriori fanno riferimento a quelli orizzontali. Oltre alla posizione della
lingua le vocali si differenziano anche per la posizione delle labbra, che assumono
due diversi atteggiamenti:
 Le vocali anteriori i e Ɛ, e la vocale centrale a sono realizzate mantenendo le
labbra in posizione distesa e sono “vocali non labializzate” o “aprochèile”,
invece ɔ o u, sono labializzate o “prochèile”.
 Le vocali in italiano sono tutte orali, nessuna presenza di nasalizzazione.
In sillaba atona, il sistema vocali si riduce a solo 5 elementi, in questo caso si parlerà
solo di vocali medie. Le vocali sono allungate in sillaba aperta accentata interna
alla parola (alla fine dell’intonazione):
 pane [ˈpa: ne]
 casa [ˈkasa] vs. cassa [ˈkas:a] vs casetta [kaˈset:a]
Anteriori Centrale Posteriori
Alte i u
Medie e o
Bassa a
Le consonanti
Le consonanti prevedono qualche tipo di ostacolo, che può essere o un’interruzione o
una perturbazione del passaggio dell’aria espiratoria, che potrà defluire verso
l’esterno solo dopo averlo superato.
Le consonanti si dividono in sonore e sorde a seconda che ci sia o meno la vibrazione
delle pliche vocali, inoltre si classificano in base:
 Al modo di articolazione (quale tipo di ostacolo viene a formarsi)
 Al luogo di articolazione (quale punto dell’apparato fonatorio viene coinvolto)
 Alla sonorità (se è presente o meno la vibrazione)
Luoghi di articolazione
 bilabiale o labiale: avvicinamento e contatto tra le labbra: babà, papà.
 labiodentale: il labbro inferiore si muove verso i denti superiori: finto, vento.
 dentale o alveolare (dento-alveolare): l’apice della lingua si muove verso
l’interno degli incisivi o verso gli alveoli; per la distinzione si pensi a da
(alveolare o dentale occlusiva sonora) e the inglese (alveolare o dentale
fricativa sonora). Si noti che t e d sono piuttosto dentali
 palatale o post-alveolare o prepalatale: la lingua si accosta alla parte del
palato che sta dietro gli alveoli: oggi [ˈɔʤʤi]; il dorso della lingua si alza
verso il palato duro: campagna /kamˈpaɲɲa/.
 velare: il dorso della lingua verso il palato molle, il velo palatino: campagna
[kamˈpaɲɲa].
 retroflesso: la punta della lingua è portata all’indietro e la parte sotto la punta
tocca gli alveoli o la parte superiore del palato (ad es. nella pronuncia siciliana
di nostro, tre).
 uvulare: il dorso della lingua raggiunge l’ugola (si pensi alla fricativa sonora
francese di PaRis).
 faringale: la parte posteriore del dorso della lingua si avvicina alla parete
posteriore della faringe (si pensi a ‘ayn in arabo).
 laringale: le pliche della glottide possono restringersi e produrre la frizione
dell’aria: la prima consonante, la fricativa sorda, dell’inglese home.
Modi di articolazione nell’apparato fonatorio
Il modo di articolazione considera il tipo di ostacolo, ottenuto grazie agli organi
mobili, che si crea al passaggio dell’aria:
 occlusivo: si produce una brevissima occlusione del tratto fonatorio, seguita
dall’improvvisa riapertura del canale (un’esplosione);
 fricativo: gli organi articolatori si avvicinano ma lasciano spazio al
passaggio dell’aria (c’è un soffio);
 affricato: anche qui c’è una fase di occlusione seguita però da una
separazione meno brusca: occlusione + frizione (perciò ha un simbolo
doppio);
 nasale: il velo del palato resta abbassato e fa passare l’aria nelle cavità
nasali (effetto di nasalità);
 laterale: occlusione + passaggio secondario ai lati della cavità orale;
 vibrante: brevissima occlusione + breve e debole esplosione e diversi cicli
di occlusione ed esplosione che si susseguono rapidissimamente;
 approssimante: gli organi si avvicinano ma si lascia uno spazio un po’ più
ampio senza produrre rumore di frizione: ieri.
Foni e fonemi
 Fono: il suono concreto (realizzazioni individuali)
 Fonema: il suono che in una lingua ha valore distintivo (la classe dei suoni)
Coppie minime
Coppie di parole che si differenziano per un solo elemento fonico:
 pari ['pa:ri] vs. Bari ['ba:ri]
 tino ['ti:no] vs. Dino [‘di:no]
 cola ['ko:la] vs. gola ['go:la]
 razza ['rats:a] vs. razza ['rad:za]
 cielo ['ʧɛ:lo] vs. gelo ['ʤɛ:lo]
 lama ['la:ma] vs. lana ['la:na] vs. lagna ['laɲ:a]
 para ['pa:ra] vs. pala ['pa:la] vs. paglia ["paʎ:a]
I suoni dell’italiano: le vocali
In italiano la durata delle vocali dipende dal contesto fonetico.
Non sono allungate le vocali finali di parola:
 città [ʧi't:a]
 caffè [kafˈfɛ]
 perché [perˈke]
 finì [fiˈni]
 però [peˈrɔ]
 virtù [virˈtu]
 bordeaux [borˈdo]
In alcune parole la vocale è articolata due volte:
 cooperazione [kooperaʦˈʦjone]
 lineetta [lineˈetta]
La durata dei suoni
In quanto fenomeni acustici tutti i foni sono ovviamente dotati di una durata
maggiore o minore. In parte però la durata può essere un elemento determinante per
la trasmissione del significato e per l’acquisizione di una pronuncia esatta. In italiano
standard la lunghezza delle vocali è regolata da un meccanismo automatico che rende
lunghe tutte le vocali toniche cioè accentate che si trovino in una sillaba aperta ossia
termina per vocale. Quando invece la sillaba accentata è una sillaba chiusa ossia
terminante in consonante la vocale rimane breve. Fanno eccezione le sillabe toniche
finali di parola che sono sempre brevi come ad esempio papà. Per quanto riguarda la
lunghezza delle consonanti questa assume un valore distintivo e produce
numerosissime esempi di quelle che di solito vengono definite coppie minime ossia
coppie di parole che si differenziano per un solo elemento fonico. Quasi tutte le
Consonanti italiane presentano una forma breve solitamente rappresentato nella grafia
da un carattere singolo, e una forma lunga, rappresentata da un doppio carattere.
Tuttavia misurazione accurate della loro effettiva durata hanno dimostrato che le
lunghe non durano esattamente il doppio delle brevi ma soltanto circa una volta e
mezzo. Alcune consonanti vanno pronunciate sempre lunghe all’interno della parola
anche se l’ortografia non lo segnala. È il caso delle affricate dentali sorda e sonora
[ts] the [dz], Poi è il caso della fricativa palatale [∫], della nasale palatale [ɲ] e della
laterale palatale [ʎ]. Nella trascrizione si indica una durata maggiore con i due punti
[:] (croni), soprattutto per le vocali; per le consonanti si tende a raddoppiare il
simbolo: [tt]; nelle affricate, che hanno un doppio simbolo, l’allungamento si segnala
solo per l’elemento occlusivo: [tts]; per esempio:
 giustizia = [ʤusˈtiʦʦja] o [ʤusˈtitʦja]
Geminate
Per indicare le consonanti doppie si usa il temine geminate (geminazione
consonantica): distingue meglio un suono consonantico lungo da un suono
riarticolato, come ad es. [p] nella frase francese ne coupe pas [kup ˈpa]
L’italiano ha 15 consonanti geminate, che possono occorrere in posizione
intervocalica:
 callo [ˈkallo] vs calo [ˈkalo]
 fatto [ˈfatto] vs fato [ˈfato]
 caccio [ˈkatʧo] vs cacio [ˈkaʧo].
Possono occorrere prima delle approssimanti, che in analisi più sottili della tradizione
italiana sono distinti in semiconsonanti, se occorrono prima di vocale (piede, questo),
e semivocali se occorrono dopo una vocale (noi, feudo):
 occhiali [oˈk:ja:li] o [okˈkjali]
 assieme [aˈs:jɛ:me] o [asˈsjɛme]
 commuovere [koˈm:wɔ:vere] o [komˈmwɔvere]
 annientare [an:jenˈta:re] o [annjɛnˈtare]
 arruolare [ar:woˈla:re] o [arrwɔˈlare]
/ *ɲ *ʎ *ʃ *ʦ *ʣ / in posizione intervocalica hanno di norma durata doppia nel
contesto intervocalico (sono consonanti rafforzate o geminate intrinseche):
 bagno [ˈbaɲɲo]
 aglio [ˈaʎʎo]
 ascia [ˈaʃʃa]
 organizza-zione [orɡaniʣʣaʦˈʦjone]

Sono diverse dalle geminate distintive (coppie submimine per la diversa durata della
vocale):
 rupe vs ruppe
 note vs notte
 cacio vs caccio
 pala vs palla
Le geminate intrinseche possono trovarsi all’inizio della parola. Nel parlato reale
vengono a trovarsi in posizione intervocalica: uno sciocco = [unoˈʃʃɔkko]
Le geminate intrinseche non sono in opposizione alle rispettive consonanti scempie,
che possono trovarsi in posizione iniziale o postconsonantica:
sciare, gnocchi, gli, zio, zero, conscio
Coppie minime
sogno vs sonno
aglio vs allo
paglia vs palla
Fenomeni di coarticolazione
Nella catena parlata, di una parola o di sequenze di parole effettivamente pronunciate
da un parlante, i foni sono condizionati dai foni precedenti o successivi.
Per indicare questo condizionamento, che agisce anche tra parole diverse, si parla di
coarticolazione.
La coarticolazione può avere effetti diversi; può dar luogo:
- a una velarizzazione: in casa [iŋ ka sa], nuoto con voi [coɱ voi];
- a una labializzazione : un po’ [um’pɔ];
- ad assimilazioni, che si hanno quando un fono diventa simile o identico a un altro
fono adiacente:
assimilazione progressiva: un suono si assimila parzialmente o totalmente al suono
precedente (che lo assimila): quanno < quando
assimilazione regressiva: il suono si assimila parzialmente o totalmente al suono
che segue (che lo assimila): l’assimilazione regressiva di sonorità colpisce la fricativa
dentale quando è seguita da una consonante. Quando una fricativa dentale è seguita
da un’altra consonante ne acquisisce il tratto di sonorità e quindi:
- La fricativa dentale sorda [s] davanti a consonanti sorde come [p, k, t, f]
- La fricativa dentale sonora [z] davanti al consonanti sono amore come [b, d, g,
v, dƷ, m, n, n, l, r].
La regola non si applica alle sequenze formate da:
Fricativa alveolare e approssimante [j, w] dove la fricativa resta sorda nonostante la
sonorità del fono consonantico seguente.
Es. -> un po [um’pɔ] , lat. factum > it. Fatto
Un’assimilazione regressiva di luogo di articolazione colpisce le consonanti nasali
quando sono seguite da un’altra consonante. Quando una nasale è seguita da un’altra
consonante, ne assimila il luogo di articolazione. Di conseguenza se una nasale è
seguita da :
- Bilabiale [p, b] anche essa è sempre bilabiale [m];
- Dentale [t, d, s, l, r] è dentale.
- Labiodentale [f, v] o da una velare [k, g]: nel primo caso gli italofoni
l’articolano sempre come una nasale labiodentale nel secondo si pronuncia
come una nasale velare.
Quest’ultima regola di assimilazione regressiva si applica non soltanto all’interno
della parola, ma anche tra parole ossia in tutti quei casi in cui una parola termina per
consonante nasale e la parola successiva inizia per consonante. Si ha quindi:
- Una nasale bilabiale [m] in un bacio;
- Una labiodentale [m] in con Fabio;
- Una dentale [n] in buon Dio;
- Una velare [ɳ] in un gatto.
Allofoni
[ŋ] non è un fonema dell’italiano ma un allofono: è la variante del fonema /n/
(variante contestuale o combinatoria)
 Non ha funzione distintiva
 La sua presenza è condizionata dal contesto fonetico (dai suoni adiacenti).
 È in distribuzione complementare con [n]: dove compare uno non compare
l’altro
 Nella sequenza a_che non è possibile la commutazione
/s/ e /z/: fonemi o allofoni?
Insieme a ʃ sono dette anche sibilanti
Coppie minime: fu/s/o ‘arnese per filare’ vs. fu[z]o participio di fondere; pre[s]ente
‘presentire’ vs. pre[z]ente
Al Nord in posizione intervocalica abbiamo soltanto [z] tranne nei composti come
stasera, risentire, asociale o parole interpretate come tali: presidente, risolvere ecc.
Nelle varietà centro meridionali si trova normalmente [s] anche in posizione
intervocalica e la tendenza in alcuni parlanti a sostituirla con la sonora.
Negli altri contesi sono allofoni: a inizio di parola davanti a vocale, a fine di parola e
dopo le sonoranti [n] [r] [l] si ha [s]
Davanti a consonante si assimila in sonorità alla consonante seguente:
svelto [zˈvɛlto]
smemorato [zmemoˈrato]
Dittonghi, trittonghi, iato
Dittongo: sequenza di suoni formata da due vocali che appartengono alla stessa
sillaba (tautosillabici), come /ai/, /au/, /oi/, /eu/ nel parole mai, aula, poi, euro.
Non sono dittonghi le sequenze in cui l’accento cade sulla seconda vocale, come /aˈu/
della parola paura, che ha tre sillabe [pa.ˈu.ra]).
Sono dittonghi anche le sequenze [ja], [je], [wo] di fiato, piede, cuoco, in cui la
abbiamo una consonante approssimante [j] e [w] (nella tradizione italiana detta anche
semiconsonante) seguita da una vocale.
[ja], [jɛ], [je], [jɔ], [jo] [ju], [wa], [wɛ], [we], [wi], [wɔ], [wo] sono dittonghi
ascendenti (nella pronuncia la sonorità cresce).
[ai], [ɛj], [ej], [ɔj], [oj] [uj], [au], [ɛu], [eu] sono discendenti, perché formati prima da
un elemento forte [a, o, e], poi da uno debole (la sonorità decresce; nella tradizione
italiana il secondo elemento del dittongo per queste sequenze è detto anche
semivocale: nelle trascrizioni fonetiche strette si indica ricorrendo a segni diacritici
previsti dell’alfabeto fonetico internazionale o, per semplificare, sempre a [j] e [w]).

Trittongi: sequenze di tre suoni tautosillabici.


In italiano, approssimante + vocale + semivocale: miei, suoi [ˈmjɛj] [ˈswɔj] o
approssimante + approssimante + vocale: quiete, [ˈkwjɛte] o seguiamo [seˈɡwjamo]
(tonico), colloquio [kolˈlɔkwjo], reliquia [reˈlikwja] (atono).
Ma la trascrizione fonetica più precisa di forme come quiete, seguiamo, continuiamo
è [ˈkɥjεːte], [seˈgɥjaːmo], [kontiˈnɥjaːmo]: l’approssimante palatale [j] palatalizza la
labiovelare [w] che diventa labiopalatale ([w] > [ɥ], per coarticolazione anticipatoria:
fenomeno di assimilazione parziale, Marotta 2011).
Iato: (lat. hiatus «apertura») sequenza di vocali eterosillabiche: ae, ao, oe, oa, in
maestro, poeta, baule). Si hanno vocali in iato
- Nelle parole che hanno sequenze vocaliche con i o u accentate: paura, io, tua,
zio ecc.;
- In alcuni nomi che hanno la sequenza [l] + vocali o [ri] + vocali: Luigi, Friuli,
Trieste ecc.
- Nelle parole composte, in cui la sequenza vocalica è il risultato dell’unione di
due parole, come semiaperto.
Neutralizzazione delle vocali medie in atonia
/e/ /o/ e /ɛ/ /ɔ/:
aff/ɛ/tto aff/e/ttuoso
n/ɔ/tte n/o/tturno
La neutralizzazione va a vantaggio del timbro chiuso. La regola è l’innalzamento
delle vocali medio-basse in posizione atona.
Fonologia di Praga
arcifonema: insieme delle proprietà distintive che sono comuni ai due fonemi,
perdita dell’opposizione fonologica. L’arcifonema avrebbe solo i tratti che
accomunano le vocali medie -> Si rappresenta con una lettera maiuscola /E/ /O/
Il rafforzamento sintattico
Tale fenomeno consiste nella pronuncia allungata della consonante iniziale di una
parola quando questa è preceduta da determinate forme perlopiù monosillabiche,
oppure da parole tronche. L’esistenza di questo fenomeno risulta immediatamente
evidente in tutti quei casi in cui due parole si sono fuse in una sola parola
(univerbazione). La parola che risulta da questo tipo di processo viene appunto scritta
con una consonante doppia ad esempio appena. Ci sono due tipi di raddoppiamento,
quello che si produce dopo alcuni monosillabi e quello che si produce dopo
qualunque polisillabo tronco.
È un fenomeno dell’italiano standard
È un fenomeno di sandhi esterno al confine di parola (fenomeno fonotattico)
Si applica alle consonanti iniziali di parola in particolari contesti, quando non
interviene una pausa:
tre case [ ̩tre ˈkkase]
parlò bene [parˈlɔ ˈ bbɛne]
Nell’italiano contemporaneo, il rafforzamento sintattico si verifica essenzialmente in
due contesti:
- dopo una parola accentata sull’ultima sillaba (compresi i monosillabi
tonici):
andrò [p]iano, farà [tt]utto,
mangerò [tː]utto, va [fː]orte, re [lː]atino, tre [kː]ani
- dopo alcune parole monosillabiche (per es., e, o, ho, è, se) o bisillabiche
(come, dove, sopra, qualche):
io e [tː]e, ho [fː]ame.
Il rafforzamento che si ha dopo alcuni monosillabi e alcune parole piane (parossitone)
è un residuo dell'assimilazione in sandhi di una consonante finale etimologica
- ad me > [a 'm:e], ad vos > [a 'v: oi] ([d] + [m] = [mm] e [d] + [v] = [vv])
Assimilazioni consonantiche regressive nel passaggio dal latino al fiorentino:
nox, noctem (acc.) > notte
somnus > somnum (acc.) > sonno
Gran parte dei monosillabi forti continua basi latine che uscivano in consonante:
a < ad
che < quĭd
da < dē ab
qui < ĕccum hīc
tre < tres
Il rafforzamento dopo altre parole, per esempio blu, do, ho, me, se, sto e tu si produce
per analogia.
Il rafforzamento non si verifica solo
- se la parola seguente comincia con /s/ o /z/ + cons. non approssimante: es. ha
sbagliato
- se la parola seguente è separata da una pausa: lo dirò / domani
Il rafforzamento non è prodotto dai monosillabi deboli di, ne, ci, dagli articoli, dai
pronomi mi, ti, si, gli, le, ci, vi (si noti che in si [ʃ:]eglieva la fricativa palatale
intervocalica iniziale è intensa perché lo è sempre quando si trova in posizione
intervocalica (geminata intrinseca)
Il rafforzamento sintattico non è di norma registrato nella scrittura, a meno che una
parola non sia il risultato di un’univerbazione:
cosiddetto, chissà, sennò, soprattutto…
La sillaba
È un’unità prosodica (un dominio prosodico) costituita da uno o più foni agglomerati
intorno a un picco di intensità (Albano Leoni, Maturi 1995).
È quindi un’unità intermedia tra il fono e la parola.
La sillaba comincia con un minimo di intensità e finisce prima del minimo
successivo. La sillabazione ortografica è diversa dall’analisi prosodica della sillaba
‹po-sto› vs /pos.to/: al minimo di apertura si arriva con l’occlusiva dentale [t]; [s] fa
parte della sillaba /pos-/).
La sillaba ha un nucleo: un picco massimo di apertura del tratto fonatorio
Il nucleo ha sempre un elemento vocalico o un dittongo
La sillaba ha una testa:
- può essere vuota: /a.ˈmo.re/;
- può contenere un elemento consonantico: /ˈme.la/
- può contenere due o tre elementi consonantici: / ˈstra.da/.
ha una coda:
- può essere vuota: /ta.vo.lo/ (sillaba aperta);
- può finire con una consonante: /an.ˈda.re/ , /ˈgat.to/ (sillaba chiusa).
- Nelle trascrizioni fonetiche il confine tra due sillabe è indicato con il segno
diacritico IPA del punto sul rigo [.]: bacio [ˈba.ʧo], amore [a.ˈmo.re], arte
[ˈar.te], volta [ˈvɔl.ta].
- La coda delle sillabe italiana è spesso costituita dalle consonanti sonore [l, r, m,
n] o dalla consonante [s]. Nella prima sillaba di [an.ˈda.re], per esempio, la
coda è [n]. Si ha una coda in consonante anche nelle parole che presentano una
consonante intensa, come [ˈɡat.to]: la prima parte della consonante rafforzata
appartiene alla prima sillaba.
- Il nucleo e la coda formano la rima della sillaba. Alcune parole, tuttavia,
presentano sillabe senza coda e senza testa. La parola amore, per esempio, ha
una prima sillaba formata dalla sola vocale [a], che è anche il nucleo della
sillaba senza testa (si dice che è una sillaba nuda); poi ha due sillabe, [mo] e
[re], che non hanno coda ma hanno come testa [m], [r] e come nucleo [o] e [e].
Le consonanti geminate intrinseche, quelle che tra due vocali sono pronunciate
sempre intense: [dz], [ts], [ʃ], [ɲ], [ʎ], formano la coda della sillaba precedente e la
testa della sillaba successiva: azione [aʦ.ˈʦjo.ne], figlio [ˈfiʎ.ʎo], sogno [ˈsoɲ.ɲo]
Tipi sillabici dell’italiano
I sei tipi di sillaba più frequenti (C = consonante; V = vocale):
CV: /pa.ne/
CVC: /par.te/
V: /o.ra/
VC: /an.ke/
CCV: /trɛ.no/
CSV: /pjɛde/
In italiano le sillabe aperte più frequenti di quelle chiuse e le sillabe complesse sono
rare.

L’accento
L’ ACCENTO: è la prominenza di una sillaba sulle altre per :
• intensità: la forza articolatoria con la quale si produce una sillaba (maggior
volume sonoro)
• altezza: l’acutezza della voce (toni più lati, come le note musicali)
• durata: la lunghezza della vocale
L’accento nella trascrizione fonetica si indica tramite un apice (ʹ) posto prima
della sillaba tonica.
L’accento non deve essere confuso con l’accento grafico che è un simbolo, il quale in
italiano è impiegato per indicare nella grafia la posizione dell’accento fonico nelle
parole ossitone tipo città, o per altri scopi come per esempio indicare con l’accento
grave la vocale aperta medio bassa e con quella acuta per indicare la vocale chiusa
medio-alta. In Italiano l’accento è tipicamente libero e potrebbe cadere sull’ultima
sillaba quindi la parola sarà tronca, sulla penultima e la parola sarà piana o più
tecnicamente, sulla terzultima allora sarà sdrucciola o più tecnicamente e più
raramente sulla quart’ultima che sarà bisdrucciola o addirittura sulla quintultima
soltanto in parole composte o nomi composti con pronomi clitici esempio fabbrica-
fabbricamelo. Conseguentemente in italiano l’accento interviene a differenziare
parole diverse a seconda della sua posizione.
In italiano una
sillaba atona = vocale breve;
sillaba tonica non finale = vocale lunga;
sillaba tonica non finale chiusa = vocale breve;
sillaba tonica finale = vocale breve.
• L’accento può essere secondario: rompiscatole (si osserva bene nei nomi
composti)
Per ritmo si intende la successione di sillabe atone e toniche.
isocronia sillabica (uguale durata di sillabe con lo stesso ruolo).

I segni paragrafematici
- segni di punteggiatura
- accento grafico: acuto, grave, circonflesso
- apostrofo
- asterisco
- barre verticali e obliqua | /
- maiuscola
- forme del carattere tipografico: tondo, corsivo e grassetto e maiuscoletto
Grave o acuto: *finchè finché, perché, caffè, tè ecc.
Distintivo per omografi: là, la
Accento circonflesso (non più in uso, ma si trova ancora negli studi o nei saggi di
argomento filologico e letterario)
Accento su è e é maiuscola: È, -É (non E’)
Accento: omografi
da dà
di dì
a là
li lì
ne né
se sé
si sì
te tè
che ché
ma non sù (avverbio) e sempre do per il verbo (ma comincia a notarsi la forma dò).

Accento grafico
Per disambiguare:
Posizione:
- àmbito / ambìto
- séguito /seguìto
- sùbito / subìto
Timbro della vocale in sillaba tonica:
- còlto / cólto
- vòlto / vólto
Apostrofo
- Indica l’elisione: l’ho detto, l’albero
- Segnala alcuni troncamenti (apocope): po’ (non *pò), be’. mo’, va’, fa, sta’,
di’.
- Ma note a piè di pagina
- Segnala la soppressione delle prime cifre di un secolo o di un anno: il ’900, il
’68.
E poi:
- Quest’uomo, quest’ultimo…
- Bell’amico, grand’uomo, sant’Erasmo…
- Trent’anni, terz’ultimo
- C’è, c’èravamo, ce n’è,
- Dov’è, com’era, quand’ero…
- D’accordo, d’epoca

La pronuncia standard: i punti deboli


Non si rispetta la distinzione tra
- [e] vs [ε], [o] vs [ɔ] (vocali e e o chiuse e aperte)
- [s] vs [z]
- [ʦ] e [ʣ]
«Pronuncia toscana in bocca romana»
Si è p\arlato, quindi, di pronuncia «tradizionale», «moderna» (es. lèttera, léttera)
«accettabile», «tollerata» (sógno, sògno).
A Firenze, Roma, Napoli e in altre aree del Centro e del Sud non si rispetta la
pronuncia di [ʧ] intervocalica.
- Le due affricate in contesto intervocalico e in alcuni dialetti e varietà regionali
hanno subito una deaffricazione: ʤ > ʒ (entro XI sec.); ʧ > ʃ (XIV sec.)
- Quando il fiorentino diventa la base dell’italiano in posizione intervocalica
aveva ormai già soltanto ʃ e ʒ
- Il sistema fonologico standard non ha accolto questo tratto: la grafia
nascondeva la pronuncia (arancio = bacio).
Abbiamo dunque in questi contesti dei fonemi artificiali, influenzati dalla grafia.
Pronunce regionali
La quasi totalità degli italofoni, di qualunque livello di istruzione e di qualunque
area del paese, ha una pronuncia che consente di identificare la provenienza a colpo
sicuro. Ciò vuol dire che la pronuncia reale dell'italiano si discosta per un elemento
o per un altro da quella descritta dalla norma dello standard*. Nella maggior parte
dei parlanti italofoni si osserva un vocalismo eptavocalico esattamente come quello
dello standard, ma spesso la pronuncia delle vocali medio-alte e medio-basse [e ε, o
ɔ] non coincide con quella prevista dalla norma. Per esempio, nell'italiano di Milano
e di diverse altre parti del Nord Italia le vocali delle parole tre e piedi, che nello
standard sono pronunciate [tre] e [pjedi], risultano invertite, con una realizzazione
ſtrɛ] e [pjedi]. Analogamente nell'italiano di Napoli e di altre zone del Sud si ha
[vɛrde] e [prendere], vs. [verde] e [prɛndere] della norma. È quindi evidente che in
queste pronunce regionali, come in quasi tutte le altre, le vocali medio-alte e medio-
basse esistono comunque, ma la loro distribuzione nelle singole parole è difforme
rispetto alla norma. Altri italiani regionali, invece, non condividono il sistema
standard a sette vocali, ma hanno un vocalismo pentavocalico, cioè a cinque vocali,
anche in sillaba tonica, perdendo così tutte le distinzioni come quelle tra [vɛnti] e
[venti], tra [bɔtte] e [botte] e così via. È il caso dell'italiano parlato in Sicilia,
Sardegna, Calabria, Salento, come anche di quello di Torino e parte del Piemonte.
In alcune regioni anche la vocale (a) in sillaba tonica si può presentare modificata,
con una pronuncia leggermente più avanzata, che corrisponde al simbolo [æ],
particolarmente diffusa in Emilia Romagna e in Puglia, o più arretrata, che viene
trascritta con il simbolo [a], tipica di molte zone della Campania. Per quanto
riguarda le consonanti, tra le deviazioni più diffuse nelle pronunce regionali
dell'italiano rispetto alla norma dello standard vi sono quelle che riguardano la
lunghezza, e in particolare:

1. Fenomeni di “scempiamento” nelle varietà settentrionali:


 Assenza di raddoppiamento fonosintattico: nelle regioni settentrionali non
viene applicata la regola del raddoppiamento fonosintattico, per cui sono
comuni pronunce regionali del tipo [a lui], [se parli], [va pjano], in luogo di [a
llui], [se pparli], [va ppjano) ‘a lui', 'se parli', ‘va piano' della norma standard;
 Scempiamento delle palatali: sempre in area settentrionale è frequente anche
lo scempiamento, ossia la pronuncia breve, di alcune tra le consonanti che in
italiano sono invece sempre lunghe, come le palatali [∫ ɲ ʎ], con realizzazioni
del tipo [pe∫e], [soɲo], [paʎa) per [pe∫∫e], [soɲɲo], [paʎʎa] pesce', 'sogno',
'paglia”;
2. Fenomeni di raddoppiamento nelle varietà centro-meridionali: nelle varietà
centrali e meridionali, invece, la norma del raddoppiamento fonosintattico è
comunemente applicata; inoltre, le palatali [∫ ɲ ʎ] sono abitualmente
pronunciate lunghe secondo la norma. D'altro canto, alcuni foni consonantici
tendono a essere pronunciati sistematicamente lunghi anche laddove la norma
prevede delle consonanti brevi. È il caso, in particolare, dell’occlusiva
bilabiale sonora [b] e dell’affricata palatale sonora [dz], che in un
vastissimo territorio che va dalle Marche meridionali fino alla Sicilia sono
pronunciate, nei diversi italiani regionali, sempre lunghe quando si trovano
tra due vocali, come in [fabbjo] e [luiddzi] in luogo di [fabjo] e [luidzi]
‘Fabio' e 'Luigi'.
Tra i fenomeni più interessanti e diffusi di realizzazione regionale delle consonanti
vi sono variazioni nella sonorità delle fricative dentali:
 Generalizzazione di sorda o di sonora: in italiano standard (come pure nella
maggior parte delle pronunce regionali toscane) sono presenti, tra due vocali,
sia la consonante [s], fricativa dentale sorda, sia la [z], fricativa dentale
sonora, in parole come casa e rosa, rispettivamente [kasa] e [rɔza].
Diversamente da questo modello, nelle regioni settentrionali viene invece
generalizzata la sonora, e quindi si troverà [kaza] e [rɔza], e in quelle centro-
meridionali, all'opposto, si trova sempre la sorda, e si ascolterà dunque [kasa]
e [rɔsa];
 Fenomeni di fricativizzazione in Toscana: tra le principali caratteristiche della
pronuncia toscana dell'italiano vi è la realizzazione fricativa [∫, Ʒ] delle
affricate [t∫, dƷ] in posizione intervocalica, come in [di∫e] per [dit∫e] ‘dice' o
in [luiƷi] per [luidƷi] ‘Luigi'. Per la sola sorda [t∫], lo stesso accade anche in
gran parte delle altre regioni centro-meridionali, che invece “raddoppiano” la
sonora [dƷ]. Tipico della Toscana è anche il fenomeno della resa fricativa
delle occlusive sorde tra due vocali in particolare della [k], in casi come
‘dico', pronunciato [diho] anziché [diko];
 Pronuncia affricata della fricativa alveolare dopo nasale: nell’area centro-
meridionale è molto frequente il passaggio [ns] > [nts], e cioè la so-
pronuncia affricata della fricativa alveolare dopo nasale:
come in [intsomma] per [insomma]. Lo stesso può accadere dopo [l] e [r], sia
pure con minore frequenza e in un'area meno ampia: per esempio,
(faltso).
Nuove tendenze nella pronuncia In Italia in quasi tutti i contesti viene di fatto
esibita dai parlanti e tollerata dagli ascoltatori una pronuncia in maggiore o minor
misura difforme da quella standard. Ciò si osserva non solamente, nelle situazioni
informali di conversazione (registro basso), ma anche nell'uso dell'italiano da parte
dei mass media, in primis da parte della televisione (registro medio), e perfino in
situazioni più formali come, per esempio, dibattiti parlamentari, convegni
scientifici, prolusioni accademiche (registro alto). Il grado di accettazione delle
pronunce non standard, sia di quelle degli altri parlanti , sia della propria, è
probabilmente cresciuto negli ultimi decenni. Un particolare fattore di riflessione,
riguarda il fatto che i media utilizzano prevalentemente alcune varietà regionali a
discapito di altre. La televisione pubblica (così come la radio e il cinema) ha sempre
avuto i suoi studi a Roma, città da cui provengono anche molti giornalisti e tecnici
della RAI, mentre altri vi risiedono pur essendo originari di altre regioni. Anche
questi ultimi, a causa della residenza romana e dell'ambiente lavorativo formato in
gran parte da romani, acquisiscono in notevole misura tratti di pronuncia
tipicamente locali.
Tutto ciò finisce per creare nel pubblico dei telespettatori – che coincide con
la quasi totalità della popolazione italiana – abitudine e assuefazione ad alcune
specifiche caratteristiche della pronuncia centro-italiana, che sono presenti nella
lingua della televisione ma anche di altri media, e che per tali vie diventano
potenziali candidate a entrare in una futura nuova norma della lingua, legittimata e
amplificata dall'autorevolezza del mezzo. Tra le più diffuse, già descritte tra i tratti
regionali centro-italiani, segnaliamo:
 L'allungamento di [b] e di [dz] intervocaliche, come in [libbja] ed [eddƷitto]
'Libia' ed 'Egitto';
 La fricativizzazione di [t∫] intervocalica, come in (o∫ɛano pa∫ifiko] 'Oceano
Pacifico';
 L'affricazione di [s] dopo nasale, come in [pentsilvania] ‘Pennsylvania'.
Un altro tratto estremamente diffuso nella pronuncia reale dell'italiano di quasi tutte
le regioni, anche se non è previsto dalla norma, è l'inserimento della vocale centrale
(ə) in alcuni contesti. Questa vocale centrale [ə], detta tecnicamente anche schwa,
viene inserita da moltissimi parlanti in gruppi consonantici complessi, come, per
esempio, nella parola etnico, pronunciata [Ɛttǝniko].
Fonologia e grafia dell’italiano: fenomeni generali
 L’elisione è la perdita – fonetica e grafica – della vocale atona di una parola
davanti alla vocale iniziale della parola seguente: un’ora, senz’altro,
d’accordo.
 Il troncamento (apòcope) è la caduta di un elemento fonico (vocale,
consonante o sillaba) in fine di parola (non si verifica mai davanti a una pausa
e, seppur possibile, mai in parole d’ambito tecnico o scientifico
- Apocope sillabica: grande > gran, bel e san, fra Diavolo, Gianfranco, Val di
Chiana, Mondragone, mo’, po’, di’, fa’, sta’, va
- Apocope vocalica (della vocale atona diversa da a – tranne in ora – e
preceduta da l, r, m, n): pan di Spagna, buon giorno, signor Giuseppe
Nota: nell’italiano regionale campano e in genere meridionale (Puglia, Calabria,
Sicilia) è tipica la mancata apocope negli appellativi professore e dottore; ad es. nelle
formule iniziale di e-mail e lettere quando sono seguiti dal cognome: Gentile
Professore Caruso, le scrivo per…
- È ancora possibile la forma elisa dell’articolo maschile plurale davanti a i:
gl’italiani
- L’elisione dell’articolo femminile plurale non è più in uso: *l’altre (le altre)
- Le forme con elisione si sono cristallizzate nelle espressioni d’accordo,
d’estate, al giorno d’oggi, uomo d’affari, quarto d’ora, d’oro, commissione
d’esame, olio d’oliva ecc.
- Errori comuni negli scritti degli studenti con il dimostrativo: *quest’ultimi,
*quest’ultime
La pròstesi è l’inserimento di un elemento non etimologico all’inizio di una parola:
Ma in Ispagna son già mille e tre (Lorenzo Da Ponte, libretto del Don Giovanni di
Mozart). La i prostetica davanti al nesso s + consonante è di uso raro. Sopravvive
nella formula per iscritto. Oggi non si sentono o si leggono quasi mai le forme in
Isvizzera, per isbaglio…
L’epèntesi è l’inserimento di un elemento non etimologico all’interno di una parola.
Es. - ĬSMUS > esmo > esimo
Oggi non è più produttiva nella formazione di nuove parole ma si nota in alcune
pronunce, dove la vocale inserita evita la pronuncia di un nesso consonantico
difficile: pissicologo
L’epìtesi consiste nello sviluppo di una vocale di appoggio nei monosillabi ossitoni:
Es. bare per bar, resorte per resort, o sine, none.
Nota: la d eufonica: le forme ad, ed vengono oggi limitate agli incontri tra le stesse
vocali:
Ad andare, Marco ed Emilio (ma Marco ha dato a Emilio). La forma od è ormai
pressoché scomparsa.
Dubbi frequenti sulle parole dotte:
mimesi, ossimoro, sclerosi
L’accentazione di norma va spiegata con l’etimologia, ovvero con l’accento che
avevano i termini greci o latini che sono la base di alcune parole dotte. A volte c’è
coincidenza, a volta no, perché le regole dell’accento nelle due lingue classiche
differiscono.
mímesis (greco), mimēsis (latino): mímesi (pronuncia alla greca), mimèsi (pronuncia
alla latina).
Gli accenti sulle penultime sillabe di forme come cadùco o istìgo corrispondono alle
posizioni che avevano gli accenti musicali nelle basi etimologiche latine delle due
parole: cădūcus e instīgo.
Nel latino vigeva la «legge della penultima»: l’accento cadeva sulla penultima sillaba
della parola quando questa sillaba era lunga, ovvero quando finiva in consonante o
con una vocale lunga, come appunto in cădūcus e instīgo. Se la penultima sillaba era
breve, l’accento andava invece sulla terzultima sillaba (in parole di almeno tre
sillabe): legĕre > lèggere.
In genere le parole italiane hanno conservato gli accenti delle loro radici latine.
Ma su alcune parole gli accenti erano già cambiati nel corso della storia del latino.
réněgo > reněgo del latino tardo volgare, da cui abbiamo avuto rinnégo nel fiorentino
che poi è diventato italiano. Nella parole di trafila dotta, come caduco o pudico,
l’accento è spesso instabile e oscilla tra quello che riflette la posizione nella base
latina e un altro accento innovativo. Talvolta ha prevalso l’innovazione, che si è
imposta definitivamente. È il caso delle voci verbali collàboro, èvito o ìrrito, le cui
radici latine hanno tutte l’accento sulla penultima sillaba lunga, mentre le forme oggi
ormali sono tutte sdrucciole. In altri casi, le due forme, come spesso accade nella
storia di una lingua, continuano a convivere, sia pur marcate su diversi registri: uno
più alto, tradizionale o aulico, un altro più colloquiale o meno consigliabile:
infervoro e valuto.

Potrebbero piacerti anche