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Vocali
Velari(o posteriori)
Media (o centrale)
Le sette vocali del triangolo costituiscono il vocalismo tonico dell'italiano; fuori
dall'accento le
Luogo di Articolazione
Alveolari
Alveopala tali
Palatali
Velari
Affricate
Semiconsonanti
ts dz tʃ dʒ fv szʃ
r lʎ
Costrittive Orali
/j/ (palatale), /w/ (velare) → sono foni che si impostano come le vocali /i/ e /u/
ma hanno una
Ī Ĭ Ē Ĕ ĀĂ Ŏ Ō Ŭ Ū ieaou
Semivocali
Quando l'incontro di due vocali non dà luogo al dittongo si produce uno iato.
Si parla di sineresi quando due vocali in iato vengono realizzate da una sola
unità sillabica, come se fossero un dittongo.
Si parla invece di dieresi quando un dittongo viene scisso nelle sue componenti
e conta come due sillabe.
Fonetica sintattica
Per fonetica sintattica (o fonosintassi) si intende l'insieme dei fenomeni che si
producono nella catena parlata, tra una parola e l'altra.
I quattro principali fenomeni sono: il raddoppiamento fonosintattico, la
prostesi, l'elisione e l'apocope.
Raddoppiamento fonosintattico:
Assimilazione regressiva all'interno di frase, si spiega facendo ricorso a
condizioni caratteristiche del latino tardo.
Nell'incontro di due consonanti all'interno di parola, non tollerato o non più
tollerato, una delle due, generalmente la seconda si è assimilata l'altra, dando
luogo ad una consonante intensa; la stessa assimilazione si è prodotta
all'interno di frase (AD ME > a me [a m'me])
Il raddoppiamento da parola a parola avviene nei seguenti casi: dopo un
monosillabo forte, dopo un polisillabo ossitono.
Prostesi:
Fenomeno per il quale una parola assume in posizione iniziale un elemento
non etimologico. Interessa l'italiano contemporaneo (anche se oggi in forte
regresso) la prostesi di I davanti a S complicata in parole precedute da un'altra
parola con terminazione consonantica (scritto → per
iscritto).
Elisione:
Perdita, fonetica e grafica, della vocale finale atona di una parola davanti alla
vocale iniziale della parola seguente; nella scrittura va obbligatoriamente
indicata con l'apostrofo (una ora → un'ora).
Apocope:
Caduta di un elemento fonico in fine di parola. In italiano vi sono apocopi
sillabiche (grande → gran) e apocopi vocaliche (filo di ferro → fil di ferro). In
entrambi i casi non avviene di norma davanti a pausa .Perché si possa avere
apocope vocalica devono essere soddisfatte due condizioni: la vocale colpita
deve essere sempre una vocale atona, diversa da A (la I e la E non si apocopano
quando contrassegnano un plurale); la consonante che precede la vocale finale
deve essere una liquida (L, R) o una nasale (N, M)
Alfabeto e grafemi
I grafemi che costituiscono l'alfabeto italiano sono 21; ad essi vanno aggiunte
le altre cinque lettere straniere.
I grafemi polivalenti sono quei simboli che, a seconda del contesto, possono
avere valore fonematico diverso: E, O, I, U, C, G, S, Z. I grafemi I e U si possono
considerare tali in quanto rappresentano sia le vocali e le semivocali che le
semiconsonanti /j/ e /w/.
Polivalenti:
E → /e/ - /ɛ/ (chiusa o aperta)
O → /o/ - /ᴐ/ (chiusa o aperta)
C → /k/ - /t ʃ/ (velare o palatale) G → /g/ - /d ʒ/ (velare o palatale) S → /s/ - /z/
(sorda o sonora)
Z → /ts/ - /dz/ (sorda o sonora)
N,n O,o P,p Q,q R,r S,s T,t U,u V,v W,w X,x Y,y Z, z
GL (+ i) → /ʎ/ (costrittiva palatale sonora)
SC (+ i, e) → /ʃ/ (costrittiva alveopalatale sonora)
CI (+ a, o, u) → / t ʃ/ (affricata palatale sorda)
GI (+ a, o, u) → /d ʒ/ (affricata palatale sonora)
SCI (+ a, o, u) → /ʃ/ (costrittiva alveopalatale sonora) GLI (+ a, e, o, u) → /ʃ/
(costrittiva alveopalatale sonora)
Sillaba e accento
L'accento grafico deve essere segnato sui polisillabi tronchi, sui monosillabi che
rischierebbero di confondersi con omografi e su monosillabi con due grafemi
vocalici.
Maiuscole
L'ortografia italiana prevede l'obbligo della maiuscola in due casi fondamentali:
per segnare l'avvio di un periodo e con i nomi propri.
L'uso della maiuscola è comunque legato a fattori stilistici.
Correntemente la maiuscola iniziale si trova e le recano:
Nei nomi di persona, nei soprannomi, negli appellativi antonomastici, nei nomi
di animali, nei nomi di cosa o concetti astratti personificati; nei nomi di luoghi
geografici, reali o immaginari; i nomi di corpi celesti; i nomi di feste; i nomi dei
secoli; i titoli di un libro, di un'opera artistica o musicale e simili; le lettere che
costituiscono una sigla; i sostantivi derivati da un nome geografico o comunque
designanti gli abitati di un certo territorio; i nomi dei punti cardinali quando
indicano un'area geografica; nomi che designano nozioni astratte e organismi
pubblici, in contrapposizione ad omografi relativi a dati particolari o concreti.
Per sottolineare il rispetto che si manifesta per una persona è d'uso scrivere
con la maiuscola non solo gli eventuali appellativi ma anche i pronomi
personali e allocutivi e gli aggettivi possessivi relativi l destinatario.
Punteggiatura
Punto:
Serve per identificare una pausa forte, che conclude un periodo o anche una
singola frase.
Punto interrogativo e punto esclamativo:
Contrassegnano l'interrogazione diretta e l'esclamazione, imponendo al lettore
la caratteristica intonazione discente- ascendente (interrogazione) o
ascendente- discendente (esclamazione).
Virgola:
Segno di uso più largo, vario e articolato. Indica fondamentalmente una pausa
breve e, di norma, non va usata all'interno di blocchi unitari; in particolare: tra
soggetto e predicato, tra predicato e oggetto, tra aggettivo e sostantivo.
Punto e virgola:
Indica una pausa più forte della semplice virgola, ricorre per separare due
proposizioni coordinate complesse, nelle enumerazioni delle unità complesse e
in luogo della virgola quando questa può ingenerare equivoco.
Due punti:
I due punti non assolvono che occasionalmente il compito di semplice
scansione del periodo. La specifica funzione è quella di illustrare, chiarire,
argomentare quanto affermato in precedenza. Si distinguono quindi la
funzione sintattico- argomentativa, quando indicano la conseguenza logica di
un fatto, l'effetto prodotto da una causa; la funzione sintattico- descrittiva, se
esplicitano i particolari di un insieme o enumerando le singole componenti di
quell'insieme, o rilevandone i tratti salienti; la funzione appositiva, se
presentano una frase con valore di apposizione della frase precedente; la
funzione segmentatrice, se servono a introdurre un discorso diretto.
Puntini di sospensione:
Si indicano per indicare sospensione, reticenza e allusività; sono comunemente
posposti ma possono essere anche anteposti. Nelle citazioni servono per
indicare un'omissione volontaria.
Virgolette:
Servono per riportare una parola o un discorso altrui, o per contrassegnare
l'uso particolare di una qualsiasi espressione.
In tipografia i distingue tra virgolette basse ( << >> ), alte (“ “) e apici (' ').
Trattino:
Ha nella stampa due lunghezze diverse.
Il trattino più lungo può essere usato per introdurre un discorso diretto; il
trattino breve si trova per indicare l'a capo e per sottolineare il legame
esistente tra due membri di un composto che non presenti una stabile
univerbazione.
Asterisco e sbarretta:
L'asterisco può indicare un'omissione volontaria e in linguistica contrassegna
convenzionalmente forme non attestate, ma riconosciute dagli studiosi,
oppure forme ed espressioni inaccettabili grammaticalmente o
semanticamente.
La sbarretta contrassegna un “e/o”. Tradizionalmente sostituisce il capoverso
nelle citazioni di poesia, quando non si ha voglia di andare ogni volta a capo.
Apostrofo:
Può essere utilizzato come segno dell'elisione, dichiarandone la legittimità in
fin di rigo, e per segnalare l'apocope postvocalica.
L'analisi delle forme della frase, dall'elemento più complesso fino ai più
elementari, prende il nome di analisi in costituenti immediati.
Soggetto
Predicato
Vero e proprio nucleo della frase, il predicato è nella sua definizione
tradizionale “ciò che si afferma a proposito del soggetto”. È quasi sempre
espresso da un verbo.
I tipi fondamentali sono due, predicato nominale e predicato verbale.
Il predicato nominale è costituito dall'unione di una forma del verbo essere con
un sostantivo o un aggettivo. Il sostantivo o aggettivo si definisce nome del
predicato, mentre la forma del verbo essere prende il nome di copula. Il nome
del predicato può anche definirsi parte nominale. Le frasi con predicato
nominale anno in prevalenza la funzione di attribuire una certa qualità o stato
ad un soggetto.
Si può distinguere fra oggetto esterno, in sé esistente, e oggetto che scaturisce
da un'azione attualizzata dal predicato.
Le nozioni di complemento oggetto e verbo transitivo sono indissolubilmente
legate; vi è però qualche costrutto in cui anche un verbo intransitivo può
reggere un complemento oggetto:
1 → quando il complemento diretto si forma dalla stessa radice del verbo
2 → quando la base semantica del complemento diretto coincide con quella
del predicato.
Complemento predicativo
Il complemento predicativo consiste in un nome o aggettivo che, riferendosi al
soggetto o al complemento oggetto, serve a determinare e completare il
significato del verbo.
Attributo
Elemento aggettivale che qualifica e determina un nome, da cui dipende
sintatticamente. Può essere espresso da un qualunque aggettivo, o anche da
un participio usato come aggettivo.
Apposizione
L'apposizione è un nome ce si colloca accanto ad un altro nome, per meglio
descriverlo e determinarlo.
Complementi indiretti
Capitolo 4 : “L'articolo”
L'articolo è una parte del discorso che si associa al nome, con cui concorda in
genere e numero, per qualificarlo in vario modo (articolo determinativo).
L'articolo determinativo può combinarsi con una preposizione semplice, dando
luogo a una preposizione articolata.
Oltre che con i nomi comuni, l'articolo si impiega con i nomi propri,
obbligatoriamente o facoltativamente, e con qualunque altra parte del
discorso che viene sostantivata.
Nel primo caso “il” indica la classe e “un” indica il singolo individuo che ne
faccia parte. Nel secondo caso “il” si riferisce a qualcosa di noto o che si da per
noto al nostro interlocutore; “un”, invece, introduce un dato nuovo, inatteso.
DETERMINATIVO
PLURALE i, gli
PREPOSIZIONE
ARTICOLI
IL LO LA L' I GLI LE
SINGOLARE
PLURALE
Capitolo 5 : “L'aggettivo”
C'è una fondamentale differenza tra le due classi dei qualificativi e dei
determinativi: gli aggettivi qualificativi costituiscono una lista aperta, mentre i
determinativi appartengono ad una lista chiusa.
Gli aggettivi di relazione (o relazionali) possono essere considerati una
particolare sottocategoria degli aggettivi qualificativi: essi sono aggettivi
denominali che hanno la proprietà di esprimere una relazione stabile con il
nome da cui derivano, riproponendone i contenuti semantici in una categoria
diversa.
L'aggettivo qualificativo
La flessione grammaticale dell'aggettivo qualificativo ricalca, in modo più
semplice e meno articolato, quella del nome. Si dividono in tre classi, in
relazione alle desinenze di cui sono composte:
SINGOLARE
-o -i -a -e -e -i
-a -i -e
PLURALE
Le grandi affinità di forme e impieghi esistente tra aggettivi e nome fa sì che le
due categorie spesso assumano l'una le funzioni dell'altra.
L'uso del nome come aggettivo è meno comune e comporta quasi sempre un
processo di sostituzione tra le due categorie, non di ellissi nel contesto della
frase.
Comparativo di uguaglianza.
Il comparativo di uguaglianza non comporta alcuna forma di alterazione
dell'aggettivo, ma semplicemente la messa a confronto di qualità possedute in
egual misura da entrambi i termni della comparazione. Il secondo termine è
introdotto dagli avverbi “quanto” e “come”.
Alcuni aggettivi formano il superlativo non col suffisso -issimo, ma con i suffissi
-errimo e -entissimo. Si tratta di un uso colto, che ricalca direttamente il
modello latino.
Alcuni aggettivi formano, sul modello dei corrispondenti aggettivi latini, i gradi
comparativo di maggioranza e superlativo da una radice diversa del grado
positivo. Accanto a questa forma di comparazione, che si definisce organica,
essi conoscono anche le forme regolari di comparativo con “più” e di
superlativo in -issimo.
Capitolo 6 : “Numerali”
Cardinali
Indicano una quantità numerica precisa e sono invariabili, oltre che nel
numero, anche nel genere.
Ordinali
Indicano l'ordine occupato in serie numerica.
Frazionari
Moltiplicativi
Indicano un valore due o più volte superiore a un altro.
Per indicare due o più persone o cose esistono forme parallele rispetto ai
numerali cardinali. A seconda del suffisso il numerativo rimanda a un certo
ambito settoriale:
-ina affisso a un numerale ordinale forma termine della verificazione, che
designano strofe composte da un dato numero di versi;
1. 1° PERSONA
2. 2° PERSONA
3. 3° PERSONA
4. 4° PERSONA
5. 5° PERSONA
6. 6° PERSONA
RIFLESSIVO SING&PLUR
io io me me tu tu te te
MASCHILE mi
ti
gli, lo
ci
vi loro, gli, li si
FEMMINILE mi
ti
le, la
ci
vi
loro, gli, le si
Pronomi allocutivi
Le forme dei pronomi personali tonici e atoni insieme con aggettivi possessivi
possono costituire un sistema pronominale autonomo, fornendoci il mezzo
grammaticale per rivolgerci a un interlocutore, reale o immaginario.
MASCHILE mio, miei tuoi, tuoi suo, suoi nostro, nostri vostro, vostri loro
FEMMINILE mia, mie tua, tue sua, sue nostra, nostre vostra, vostre loro
Il termine possessivo si attaglia in verità solo a una piccola parte dei valori che
queste forme possono esprimere; indicano anche: l'organo, la facoltà sensitiva
o intellettuale di un certo individuo; genericamente, la relazione che si intuisce
con qualsiasi aspetto della realtà; una consuetudine, un'azione abituale.
AGGETTIVI E PRONOMI
SINGOLARE
PLURALE
PRONOMI
SINGOLARE
PLURALE
MASCHILE
questi / / / quegli / / / costui costei costoro costoro
FEMMINILE
MASCHILE
FEMMINILE
SINGOLARE
PLURALE
MASCHILE FEMMINILE / /
//////
MASCHILE
qualche
qualcuno
qualcheduno
alcuna / certa
PRON AGG/PRON AGG/PRON AGG/PRON AGG/PRON AGG/PRON
PRON AGG
//
comprendendo
AGG AGG AGG PRON PRON PRON PRON PRON/AGG PRON/AGG PRON/AGG
AGG
PRON PRON/AGG
SINGOLARE
PLURALE
MASCHILE FEMMINILE / /
/ / tutti tutte
AGGETTIVI E PRONOMI
SINGOLARE
PLURALE
Pronomi relativi
PLURALE
MASCHILE FEMMINILE che che
chi chi
AGG/PRON quale quale quali quali AGG/PRON quanto quanta quanti quante
Preposizioni proprie
Di → preposizione di uso più comune, in quanto la raggiera di relazioni che
essa è in grado di stabilire tra due parole (o gruppi di parole) è amplissima.
Relazioni di specificazione e determinazione semantica: Specificazione in senso
proprio; denominazione; argomento; materia; abbondanza o privazione;
specificazione di quantità sia numericamente misurabile sia indefinita, per
indicare misure e quantità, età, prezzo; causa; limitazione; partitivo; paragone
di maggioranza e di minoranza; fine, destinazione, effetto, in particolare nelle
locuzioni essere, riuscire, servire di.
Accezioni in cui non si riconduce alla relazione determinato- determinatore:
valori locativi (moto da luogo, per luogo in cordinazione con “in”, moto a
luogo); origine e provenienza; modo e maniera; determinazioni di tempo;
mezzo e strumento; mescolanza; complementi di agente e di causa efficiente;
costrutti predicativi.
Negli studi più recenti, le congiunzioni tendono a confluire nella categoria dei
“connettivi”, cioè in quelle parole che, indipendentemente dalla categoria
grammaticale di provenienza, svolgono funzione di raccordo tra le varie parti
del testo, contribuendo alla pianificazione sintattica del discorso.
Segnali discorsivi
I segnali discorsivi sono quegli elementi che hanno la funzione di organizzare la
presentazione del testo comunicativo secondo certi criteri dimensionali e
logico- narrativi.
I segnali discorsivi:
1 → quando siano seguiti o preceduti da un testo, hanno valore demarcativo le
formule di saluto e di congedo;
2 → le formule che vengono definite “riempitivi”, come gli avverbi “allora”,
“insomma”, “bene”, “ecco”, “già”, le congiunzioni “dunque”, “comunque” ecc,
trovano impiego perlopiù come funzione demarcativa.
3 → le congiunzioni possono considerarsi una classe particolare di connettivi
testuali.
Capitolo 10 : “L'interiezione”
Interiezioni primarie
Le interiezioni primarie possono presentare varie peculiarità grafiche (o
fonetiche) che le pongono al di fuori o ai margini del sistema linguistico di
appartenenza, quasi tutte sono voci espressive, di formazione indigena:
Urrah,ahi, bah, beh, boh, deh, eh, ehi, ehm, ih, mah, marsch, neh, o, oh, ohi,
pst, puah, sciò, sst, to', uff, uh, uhm, veh.
Interiezioni secondarie
Le interiezioni secondarie costituiscono una classe aperta: sono pressoché
infinite le espressioni che, in un certo contesto, sono utilizzabili come
interiezioni.
Molte di esse hanno funzione conativa, agiscono cioè sul destinatario del
messaggio, rivolgendogli un ordine, un'esortazione, una preghiera, o anche
esprimendo apprezzamento o biasimo.
Altre espressioni interiettive sono usate con valore fatico, per attivare il canale
comunicativo.
Saluti
Un particolare tipo idi interiezione è costituito dalle forme di saluto:
Addio, arrivederci, buondì, buongiorno e buonasera, buonanotte, ciao,
nuovamente, salute, salve.
Onomatopee
Si considerano tradizionalmente affini alle interiezioni le onomatopee (o
fonosillabi), ossia quelle sequenze foniche che tendono a riprodurre o evocare
un suono. In realtà tra le due serie di forme non mancano le differenze: le
interiezioni sono solo in piccola parte condizionate da spinte immitative e
hanno normalmente valore di esclamazione, mentre le onomatopee si
trasformano spesso in parti del discorso autonome.
Un'altra possibile partizione che interessa la totalità dei verbi è quella tra i
verbi predicativi, che esprimono un senso compiuto, e i verbi copulativi, i quali,
a somiglianza del verbo essere adoperato come copula, hanno un contenuto
semantico generico e servono a collegare il soggetto a un nome o a un
aggettivo.
Tradizionalmente tra i verbi copulativi si distinguono: verbi effettivi (intransitivi
che esprimono uno stato, un'apparenza, una trasformazione), verbi appellativi,
verbi elettivi e verbi estimativi.
I modi veri e propri sono quelli considerati finiti: l'indicativo, che presenta un
fatto nella sua realtà; il congiuntivo, che esprime un certo grado di
allontanamento dalla realtà o dalla costatazione obiettiva di qualcosa,
contrassegnando un'azione o un processo in quanto desiderato, temuto,
voluto, supposto; il condizionale, che implica l'idea di un qualche
condizionamento, perlopiù indipendente dalla volontà del soggetto e che può
essere reale o virtuale; l'imperativo, che comporta l'intento di agire
sull'interlocutore attraverso un ordine, un'esortazione, una preghiera. Il
termine di modi verbali è esteso anche a tre forme nominali del verbo, detti
modi indefiniti: l'infinito, il participio, il gerundio.
In realtà queste tre forme non esprimono di per sé alcuna modalità dell'azione,
ma assumono il valore di modo del corrispondente verbo finito.
La diatesi → esprime il rapporto del verbo con soggetto e oggetto. Può essere
attiva, quando il soggetto coincide con l'agente dell'azione; passiva, quando
l'agente non è il soggetto; riflessiva, quando soggetto e oggetto coincidono. La
diatesi passiva e riflessiva possono aversi solo con verbi transitivi.
Verbi ausiliari
Nella categoria di ausiliari possiamo comprendere tutte quei verbi che, accanto
a un loro uso e significato autonomo, svolgono funzione vicaria nei confronti di
qualsiasi altro verbo, individuando una determinazione morfologica (ausiliari
propriamente detti), un particolare valore semantico (servili), o un dato
elemento aspettuale (fraseologici).
Gli ausiliari propriamente detti sono essenzialmente i verbi essere e avere, che
consentono la formazione dei tempi composti con valore di passato
rispettivamente: a) per la maggioranza dei verbi transitivi, per quasi tutti i verbi
impersonali, per tutti quelli riflessivi e intransitivi pronominali; b) per tutti i
verbi transitivi e per un certo numero di intransitivi.
atoni, come proclitici prima del vero servile o come enclitici dopo l'infinito.
La coniugazione
Il sistema verbale italiano ordina le sue varie componenti in base alle categorie
di modo, tempo, persona e diatesi.
È consuetudine raggruppare i verbi italiani in tre coniugazioni sulla base della
terminazione dell'infinito: -are (1° coniugazione), -ere (2° coniugazione), -ire (3°
coniugazione).
Verbi difettivi:
Di alcuni verbi, perlopiù impersonali, si adoperano soltanto poche voci: quelle
mancanti sono cadute in disuso oppure non sono mai esistite. Alla “difettività”
morfologica si associano quasi sempre restrizioni lessicali o stilistiche: gran
parte di questi verbi sono arcaici, altri sono limitati ad alcune espressioni
cristallizzate.
Verbi sovrabbondanti:
Alcuni verbi corradicali seguono due coniugazioni diverse. Possono essere
distinti in due gruppi, a seconda che il significato muti col cambiamento di
coniugazione o rimanga lo stesso.
Verbi irregolari:
Si dicono irregolari i verbi che deflettono in modo più o meno spiccato dal
modello di coniugazione cui appartengono. Nel loro insieme i tipi fondamentali
di irregolarità si riducono a due: Suppletivismo, vale a dire concorrenza di più
radici nel corso della coniugazione;
Tempo indicativo
Imperfetto:
È il tipico tempo aspettuale: segnala infatti un'azione incompiuta nel passato; o
meglio, un'azione passata le cui coordinate restano inespresse. Si distinguono:
Imperfetto descrittivo → tipico per l'appunto delle descrizioni, è forse la specie
di imperfetto in cui si colgono meglio i valori aspettuali di incompiutezza e di
duratività.
Imperfetto iterativo → sottolinea il carattere abituale, ripetuto di un'azione; è
spesso accompagnato da un avverbio o da un'espressione temporale.
Imperfetto narrativo (o storico, o cronistico) → assume connotai perfettivi.
Imperfetto conativo → ha la funzione di enunciare fatti rimasti a livello di
progettazione, di desiderio, di rischio di accadimento, oppure appena
enunciati.
Imperfetto di modestia → non indica un'azione di tempo passato, ma si
adopera per esprimere un desiderio presente con tono garbato di apparente
rinuncia.
Imperfetto irreale → indica l'ipotetica conseguenza di un fatto che non ha
avuto luogo.
Imperfetto onirico e ludico → caratteristici dei resoconti dei sogni e delle
finzioni messe in atto nei giochi infantili.
Imperfetto prospettivo → si adopera in concorrenza col condizionale
composto, per indicare il futuro nel passato, sia in proposizioni completive sia
in proposizioni indipendenti.
Congiuntivo
Condizionale
Due sono i tempi del condizionale: presente e passato. A differenza del
congiuntivo, il condizionale ha largo impiego anche nelle frasi semplici.
Imperativo
L'imperativo ha solo il tempo presente. Alcuni grammatici classificano come
imperativo anche il futuro iussivo.
Infinito
Delle forme nominali del verbo, l'infinito (che ammette due tempi, presente e
passato), è quella di più incerta collocazione tra nome e verbo. L'infinito
compare in un numero limitato di frasi semplici. Nelle proposizioni subordinate
l'infinito figura in numerosi costrutti impliciti.
Participio
Il participio presenta due tempi: presente e passato.
Il participio presente è raramente adoperato con funzione verbale, a differenza
di quello che accadeva nell'italiano antico. Frequente invece l'uso verbale del
participio passato che si ha con i tempi composti di qualsiasi verbo.
Gerundio
Il gerundio è un modo verbale di funzioni larghissime e non sempre definibili
con precisione. È strettamente connesso a un verbo finito, sia che i due verbi
costituiscano due frasi distinte, sia che diano luogo ad una sola struttura
verbale.
Il gerundio ha due tempi: presente e passato. Se il gerundio passato
rappresenta un'azione anteriore rispetto alla sovraordinata, il gerundio
presente può indicare contemporaneità, anteriorità o anche posteriorità
rispetto alla sovraordinata.
Capitolo 12 : “L'avverbio”
Composti: sono quelli formati da due o più elementi diversi. Perché si possano
definire composti è necessario che, perlomeno virtualmente, si avverta il senso
dell'aggregazione di elementi distinti.
Derivati: si definiscono tali gli avverbi che si ottengono da altre forme
mediante un suffisso. I due suffissi oggi in uno in italiano sono -mente e -oni.
Locuzioni avverbiali: sono unità costituite da due o più parole disposte in serie
fissa, equivalenti ad avverbio. Si tratta di una categoria dilatabile quasi
all'infinito e dai confini non sempre netti.
Tipi di avverbio
Gli avverbi sono essenzialmente dei modificatori del significato, perciò è del
significato che ci si può servire quale criterio per riconoscerli e classificarli.
Una frase semplice può, ovviamente, non esaurirsi in sé stessa, ma fungere da
nucleo di una frase complessa e svilupparsi in una o più subordinate; in tal caso
si parla propriamente di proposizione principale (o reggente o sovraordinata).
A seconda del tipo di messaggio che viene espresso, le frasi semplici vengono
distinte in: enunciative, interrogative, esclamative, volitive (e ottative).
Frasi enunciative
Dette anche dichiarative, consistono in un'asserzione, in una costatazione, in
una descrizione e si costituiscono generalmente con l'indicativo; non
comportano necessariamente un reazione da parte dell'interlocutore.
In alcuni casi una frase enunciativa contiene un'ordine o una preghiera.
Frasi interrogative
Contengono una domanda e, graficamente, terminano col punto interrogativo.
A seconda del rapporto che si stabilisce tra le varie componenti della frase le
interrogative si distinguono in:
Totali (o connessionali), quando la domanda verte tra soggetto e predicato;
Parziali (o nucleari), quando il legame soggetto- predicato non è messo in
discussione, ma si sollecita un'informazione particolare su un altro elemento
della frase.
Frasi esclamative
Coordinazione
In base al tipo di collegamento che si stabilisce tra due o più proposizioni
coordinate si distingue tra coordinazione copulativa, avversativa e sostitutiva,
disgiuntiva, conclusiva, esplicativa.
Subordinazione
L' apodosi può essere indipendente oppure essere a sua volta una proposizione
indipendente. La protasi logica di un periodo ipotetico può essere rappresenta
da una proposizione non condizionale; talvolta può non essere espressa
formalmente, ma ricavata dal contesto.
A seconda del modo presente nell'apodosi e nella protasi, il periodo ipotetico è
stato tradizionalmente distinto in reale (indicativo), possibile (congiuntivo nella
protasi e condizionale nell'apodosi), irreale (stessi modi della precedente ma
palesemente irrealizzabile) o misto (contaminazione di modi reali e possibili-
irreali).
Proposizioni relative: svolgono nel periodo una funzione analoga alla funzione
dell'attributo o dell'apposizione nella frase semplice, predicando una certa
qualità di un elemento della sovraordinata, detto antecedente. L'antecedente
è rappresentato nella relativa da un pronome o congiunzioni relativi e consiste
in un nome, in un pronome o in un'intera frase.
Tipi di discorso
Innovazione endogena
Nell'ambito di innovazione linguistica endogena si possono distinguere i
seguenti procedimenti:
Nello studio della formazione delle parole si deve tener conto di due fattori: la
motivazione del procedimento formativo e la sua trasparenza: il fatto che sia
possibile un certo rapporto tra due parole non basta per innescare un processo
di derivazione. Per trasparenza s'intende l'analizzabilità da parte del parlante di
un qualsiasi derivato o composto, cioè la possibilità, anche di fronte a una
parola nuova, di individuarne i componenti.
Tuttavia in molti casi l'evidenza del processo formativo non è sufficiente per
risalire al significato, che deve essere acquisito autonomamente.