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Grammatica italiana Capitolo 1 : “Fonologia e grafematica”

Foni → suoni articolati, studiati dalla fonetica, /.../


Fonemi → foni che hanno capacità distintiva, studiati dalla fonologia, [...]
Coppia minima: coppia di parole i cui membri si distinguono solo per la
presenza di un determinato fonema (es pezzo-pazzo)
Segno paragrafematici: insieme dei segni che servono a completare quel che
viene indicato per mezzo dei grafemi (punteggiatura, accenti, apostrofi...) che
trovano espressione scritta senza rappresentare un fono.

Vocali

Velari(o posteriori)

Media (o centrale)
Le sette vocali del triangolo costituiscono il vocalismo tonico dell'italiano; fuori
dall'accento le

Luogo di Articolazione

Bilabiali Labiodent ali

Alveolari

Alveopala tali

Palatali

Velari

Affricate

Semiconsonanti

ts dz tʃ dʒ fv szʃ

r lʎ

Costrittive Orali
/j/ (palatale), /w/ (velare) → sono foni che si impostano come le vocali /i/ e /u/
ma hanno una

Ī Ĭ Ē Ĕ ĀĂ Ŏ Ō Ŭ Ū ieaou

durata più breve; danno l'impressione di un suono intermedio tra la vocale e la


consonante. A differenza di /i/ e /u/ le semiconsonanti non sono mai
articolabili da sole ma presuppongono una vocale tonica o atona seguente,
diversa da quella omorganica, e con la quale formano un dittongo.

Semivocali

/i/ e /u/ quando seguono un elemento vocalico tonico o atono.

Dittongo & iato e correlati


I gruppi costituiti da vocale preceduta da semiconsonante o seguita da
semivocale prendono il nome di dittonghi.
Possono essere ascendenti (la sonorità aumenta→ semiconsonante + vocale) o
discendenti (l'intensità del suono diminuisce → vocale + semivocale).
Si possono formare trittonghi con l'incontro di semiconsonante+ vocale+
semivocale o due semiconsonanti+ vocale.

I dittonghi /jɛ/ e /wᴐ/ si dicono dittonghi mobili perché tendono a ridursi, in


posizione atona alla sola vocale: /jɛ/ > /e/ /wᴐ/ > /o/
Questa riduzione riguarda le voci di un paradigma verbale, gli alterati di una
base dittongata e altre forme corradicali di verbi che hanno il dittongo in sede
tonica.

Quando l'incontro di due vocali non dà luogo al dittongo si produce uno iato.

Si parla di sineresi quando due vocali in iato vengono realizzate da una sola
unità sillabica, come se fossero un dittongo.
Si parla invece di dieresi quando un dittongo viene scisso nelle sue componenti
e conta come due sillabe.

Fonetica sintattica
Per fonetica sintattica (o fonosintassi) si intende l'insieme dei fenomeni che si
producono nella catena parlata, tra una parola e l'altra.
I quattro principali fenomeni sono: il raddoppiamento fonosintattico, la
prostesi, l'elisione e l'apocope.

Raddoppiamento fonosintattico:
Assimilazione regressiva all'interno di frase, si spiega facendo ricorso a
condizioni caratteristiche del latino tardo.
Nell'incontro di due consonanti all'interno di parola, non tollerato o non più
tollerato, una delle due, generalmente la seconda si è assimilata l'altra, dando
luogo ad una consonante intensa; la stessa assimilazione si è prodotta
all'interno di frase (AD ME > a me [a m'me])
Il raddoppiamento da parola a parola avviene nei seguenti casi: dopo un
monosillabo forte, dopo un polisillabo ossitono.

Prostesi:
Fenomeno per il quale una parola assume in posizione iniziale un elemento
non etimologico. Interessa l'italiano contemporaneo (anche se oggi in forte
regresso) la prostesi di I davanti a S complicata in parole precedute da un'altra
parola con terminazione consonantica (scritto → per

iscritto).

Elisione:
Perdita, fonetica e grafica, della vocale finale atona di una parola davanti alla
vocale iniziale della parola seguente; nella scrittura va obbligatoriamente
indicata con l'apostrofo (una ora → un'ora).

Apocope:
Caduta di un elemento fonico in fine di parola. In italiano vi sono apocopi
sillabiche (grande → gran) e apocopi vocaliche (filo di ferro → fil di ferro). In
entrambi i casi non avviene di norma davanti a pausa .Perché si possa avere
apocope vocalica devono essere soddisfatte due condizioni: la vocale colpita
deve essere sempre una vocale atona, diversa da A (la I e la E non si apocopano
quando contrassegnano un plurale); la consonante che precede la vocale finale
deve essere una liquida (L, R) o una nasale (N, M)

Alfabeto e grafemi
I grafemi che costituiscono l'alfabeto italiano sono 21; ad essi vanno aggiunte
le altre cinque lettere straniere.

In italiano 11 lettere hanno valore univoco, ovvero designano un solo fonema:


A, B, D, F, L, M, N, P, R, T, V.
Per i restanti 10 si distingue tra grafemi polivalenti, grafemi diacritici, e
grafema funzionalmente sovrabbondante.

I grafemi polivalenti sono quei simboli che, a seconda del contesto, possono
avere valore fonematico diverso: E, O, I, U, C, G, S, Z. I grafemi I e U si possono
considerare tali in quanto rappresentano sia le vocali e le semivocali che le
semiconsonanti /j/ e /w/.

I grafemi diacritici sono segni che non corrispondono ad


un'entità fonetica ma servono, combinandosi ad altre lettere, ad
esprimere un suono non rappresentabile con un solo fonema. Il gruppo di due
grafemi che indicano un fonema si dice digramma; il gruppo di tre, trigramma.

Col nome di grafema sovrabbondante ci si riferisce a Q, che è un semplice


doppione di C come primo elemento di un nesso labiovelare sordo.

Polivalenti:
E → /e/ - /ɛ/ (chiusa o aperta)
O → /o/ - /ᴐ/ (chiusa o aperta)
C → /k/ - /t ʃ/ (velare o palatale) G → /g/ - /d ʒ/ (velare o palatale) S → /s/ - /z/
(sorda o sonora)
Z → /ts/ - /dz/ (sorda o sonora)

Diacritici, digrammi e trigrammi:


H → la sua funzione principale è quella di indicare il pronuncia velare di C e G
davanti a I e E GN (+ a, e, i, o, u) → /ɲ/ (occlusiva nasale palatale sonora)

A,a B,b C,c D,d E,e F, f G,g H,h I, i


J, j K,k L, l M, m

N,n O,o P,p Q,q R,r S,s T,t U,u V,v W,w X,x Y,y Z, z
GL (+ i) → /ʎ/ (costrittiva palatale sonora)
SC (+ i, e) → /ʃ/ (costrittiva alveopalatale sonora)
CI (+ a, o, u) → / t ʃ/ (affricata palatale sorda)
GI (+ a, o, u) → /d ʒ/ (affricata palatale sonora)
SCI (+ a, o, u) → /ʃ/ (costrittiva alveopalatale sonora) GLI (+ a, e, o, u) → /ʃ/
(costrittiva alveopalatale sonora)

Sillaba e accento

Sillaba: fonema o insieme di fonemi che costituiscono un gruppo stabile o


ricorrente nella catena parlata.
Una sillaba può essere libera (uscente in vocale) o implicata (uscente in
consonante)

Con il termine di accento espiratorio (o dinamico) si indica il rilievo assunto


nella catena parlata da una sillaba rispetto alle altre, attraverso un generale
accrescimento della forza espiratoria, peraltro non ancora chiarito nei suoi
meccanismi fisiologici.

L'accento grafico deve essere segnato sui polisillabi tronchi, sui monosillabi che
rischierebbero di confondersi con omografi e su monosillabi con due grafemi
vocalici.

In una parola polisillabica all'accento che cade su una determinata sillaba si


contrappongono sillabe dotate di una forza espiratoria che le fa emergere dal
contesto, pur senza pareggiarle all'accento primario. Si parla così di accento
secondario.
L'accento secondario riguarda i trisillabi (solo se ossitoni) e le parole di cinque
o più sillabe. Normalmente tra accento principale e secondario intercorrono
una o due sillabe atone.

Vi sono nella lingua italiana fenomeni di arretramento dell'accento (sistole) o


di avanzamento (diastole).

Maiuscole
L'ortografia italiana prevede l'obbligo della maiuscola in due casi fondamentali:
per segnare l'avvio di un periodo e con i nomi propri.
L'uso della maiuscola è comunque legato a fattori stilistici.
Correntemente la maiuscola iniziale si trova e le recano:
Nei nomi di persona, nei soprannomi, negli appellativi antonomastici, nei nomi
di animali, nei nomi di cosa o concetti astratti personificati; nei nomi di luoghi
geografici, reali o immaginari; i nomi di corpi celesti; i nomi di feste; i nomi dei
secoli; i titoli di un libro, di un'opera artistica o musicale e simili; le lettere che
costituiscono una sigla; i sostantivi derivati da un nome geografico o comunque
designanti gli abitati di un certo territorio; i nomi dei punti cardinali quando
indicano un'area geografica; nomi che designano nozioni astratte e organismi
pubblici, in contrapposizione ad omografi relativi a dati particolari o concreti.
Per sottolineare il rispetto che si manifesta per una persona è d'uso scrivere
con la maiuscola non solo gli eventuali appellativi ma anche i pronomi
personali e allocutivi e gli aggettivi possessivi relativi l destinatario.

Accento sulle parole:


ultima sillaba → tronca/ ossitona
penultima sillaba → piana/ parossitona terzultima sillaba →
sdrucciola/proparossitona

Punteggiatura

Col termine di punteggiatura si indica l'insieme di segni non alfabetici,


funzionali alla scansione di un testo scritto e all'individuazione dell'unità
sintattico-semantiche in esso contenute.

Le funzioni della punteggiatura sono quattro:


Funzione segmentatrice → la funzione principale, consiste nel segmentare un
testo distanziando gruppi di componenti di esso.
Funzione sintattica → può esplicitare il rapporto sintattico, la gerarchia che
sussiste tra due proposizioni o tra due elementi della medesima proposizione.
Funzione emotivo- intonativa → caratteristica, ma non esclusiva, del punto
interrogativo, del punto esclamativo e dei puntini di sospensione, suggerisce
l'intonazione della frase.
Funzione di commento (o metalinguistica) → quando si compie un qualsiasi
intervento esterno al testo.

Punto:
Serve per identificare una pausa forte, che conclude un periodo o anche una
singola frase.
Punto interrogativo e punto esclamativo:
Contrassegnano l'interrogazione diretta e l'esclamazione, imponendo al lettore
la caratteristica intonazione discente- ascendente (interrogazione) o
ascendente- discendente (esclamazione).

Virgola:
Segno di uso più largo, vario e articolato. Indica fondamentalmente una pausa
breve e, di norma, non va usata all'interno di blocchi unitari; in particolare: tra
soggetto e predicato, tra predicato e oggetto, tra aggettivo e sostantivo.

Punto e virgola:
Indica una pausa più forte della semplice virgola, ricorre per separare due
proposizioni coordinate complesse, nelle enumerazioni delle unità complesse e
in luogo della virgola quando questa può ingenerare equivoco.

Due punti:
I due punti non assolvono che occasionalmente il compito di semplice
scansione del periodo. La specifica funzione è quella di illustrare, chiarire,
argomentare quanto affermato in precedenza. Si distinguono quindi la
funzione sintattico- argomentativa, quando indicano la conseguenza logica di
un fatto, l'effetto prodotto da una causa; la funzione sintattico- descrittiva, se
esplicitano i particolari di un insieme o enumerando le singole componenti di
quell'insieme, o rilevandone i tratti salienti; la funzione appositiva, se
presentano una frase con valore di apposizione della frase precedente; la
funzione segmentatrice, se servono a introdurre un discorso diretto.

Puntini di sospensione:
Si indicano per indicare sospensione, reticenza e allusività; sono comunemente
posposti ma possono essere anche anteposti. Nelle citazioni servono per
indicare un'omissione volontaria.

Virgolette:
Servono per riportare una parola o un discorso altrui, o per contrassegnare
l'uso particolare di una qualsiasi espressione.
In tipografia i distingue tra virgolette basse ( << >> ), alte (“ “) e apici (' ').

Trattino:
Ha nella stampa due lunghezze diverse.
Il trattino più lungo può essere usato per introdurre un discorso diretto; il
trattino breve si trova per indicare l'a capo e per sottolineare il legame
esistente tra due membri di un composto che non presenti una stabile
univerbazione.

Parentesi tonde e quadre:


Le parentesi tonde servono soprattutto a introdurre un inciso; le parentesi
quadre sono di uso più occasionale.

Asterisco e sbarretta:
L'asterisco può indicare un'omissione volontaria e in linguistica contrassegna
convenzionalmente forme non attestate, ma riconosciute dagli studiosi,
oppure forme ed espressioni inaccettabili grammaticalmente o
semanticamente.
La sbarretta contrassegna un “e/o”. Tradizionalmente sostituisce il capoverso
nelle citazioni di poesia, quando non si ha voglia di andare ogni volta a capo.

Apostrofo:
Può essere utilizzato come segno dell'elisione, dichiarandone la legittimità in
fin di rigo, e per segnalare l'apocope postvocalica.

Capitolo 2 : “ Analisi logica e analisi grammaticale”

L'analisi logica è il procedimento con cui si individuano le categorie sintattiche


che costituiscono una frase: soggetto, predicato, complementi ( oggetto,
predicativo, indiretto), attributo e apposizione.

L'analisi grammaticale ha il compito di individuare e descrivere le categorie


grammaticali (o parti del discorso) cui appartengono le parole presenti nella
frase; alcune di queste sono dotate di flessioni: si dicono variabili l'articolo, il
nome, l'aggettivo, il pronome e il verbo; si definiscono invariabili l'avverbio, la
preposizione, la congiunzione e l'interiezione.

La frase, o proposizione, è l'unità minima di comunicazione dotata di senso


compiuto; si considera dotata di senso compiuto una frase in cui si trovi
almeno un predicato nella forma di un verbo di modo finito, che può essere
accompagnato, quando la frase non sia impersonale, da un soggetto.
Appartengono a questo tipo tutte le frasi in cui il soggetto è espresso da un
nome o da un pronome ed il predicato è espresso da un verbo predicativo
(predicato verbale) o dal verbo essere in unione con una parte nominale
(predicato nominale).
Quando in un'unità comunicativa troviamo più predicati, si ha una frase
complessa, o periodo.

L'analisi del periodo, o sintassi del periodo, è il procedimento che consente di


individuare i rapporti che si stabiliscono tra le proposizioni di una frase
complessa.

Quando il soggetto o il predicato non sono espressi, ma sono facilmente


intuibili dal contesto, si ha una frase ellittica.

La frase nominale è una proposizione in cui categorie grammaticali diverse dal


verbo prendono la sua funzione, assolvendo sintatticamente al compito del
predicato; queste frasi si situano in una dimensione di atemporalità assoluta e
hanno una funzione assertivo- descrittiva.
Si definisce monorema una frase costituita da una sola parola.

Si dice sintagma il raggruppamento delle parole in unità sintattiche per la


struttura frasale. Si parla di sintagma nominale in riferimento ad un nucleo
sintattico incentrato su un nome, di sintagma verbale se l'asse portante è un
verbo.

L'analisi delle forme della frase, dall'elemento più complesso fino ai più
elementari, prende il nome di analisi in costituenti immediati.

Soggetto

È l'elemento della frase cui si riferisce il predicato. Può indicare


nelle frasi con verbo attivo → chi o che cosa compie l'azione espressa dal
predicato
nelle frasi con verbo passivo o riflessivo → chi o che cosa subisce l'azione
espressa dal predicato nelle frasi con predicato nominale → a chi o a che cosa
è attribuita una qualità o stato.

Importante è la distinzione tra soggetto grammaticale e soggetto logico.


Il primo è il soggetto formale della frase, cioè l'elemento sintattico di
riferimento al predicato, mentre il secondo è l'agente reale dell'azione. I due
possono coincidere o essere diversi.
Il soggetto è comunemente posposto nelle espressioni ottative e volitive e in
frasi esclamative; nelle interrogative dirette spesso entrambe le successioni
sono possibili; l'inversione è normale quando un discorso è seguito da verbo
dichiarativo con soggetto che indica il locutore.

Predicato
Vero e proprio nucleo della frase, il predicato è nella sua definizione
tradizionale “ciò che si afferma a proposito del soggetto”. È quasi sempre
espresso da un verbo.
I tipi fondamentali sono due, predicato nominale e predicato verbale.

Il predicato nominale è costituito dall'unione di una forma del verbo essere con
un sostantivo o un aggettivo. Il sostantivo o aggettivo si definisce nome del
predicato, mentre la forma del verbo essere prende il nome di copula. Il nome
del predicato può anche definirsi parte nominale. Le frasi con predicato
nominale anno in prevalenza la funzione di attribuire una certa qualità o stato
ad un soggetto.

Il predicato verbale è formato da un verbo predicativo, ossia da qualunque


verbo dotato di un proprio senso compiuto che possa essere adoperato senza
l'ausilio di un complemento predicativo. Il predicato verbale ha in prevalenza la
funzione di esprimere l'azione compiuta o subita dal soggetto.

Un particolare tipo di predicato, che potremmo dire intermedio tra predicato


verbale e predicato nominale, è quello che si forma con i verbi effettivi e
numerosi verbi appellativi, elettivi, estimativi, ecc, cioè con tutti quei verbi,
detti copulativi, che necessitano di un complemento predicativo per vere senso
compiuto.

Complemento oggetto o diretto

Il complemento oggetto o diretto è l'elemento della frase su cui ricade l'azione


espressa dal predicato, con un legame sintattico diretto.

Si può distinguere fra oggetto esterno, in sé esistente, e oggetto che scaturisce
da un'azione attualizzata dal predicato.
Le nozioni di complemento oggetto e verbo transitivo sono indissolubilmente
legate; vi è però qualche costrutto in cui anche un verbo intransitivo può
reggere un complemento oggetto:
1 → quando il complemento diretto si forma dalla stessa radice del verbo
2 → quando la base semantica del complemento diretto coincide con quella
del predicato.

Caratteristica dell'Italia meridionale è il complemento oggetto retto dalla


preposizione “a”.

L'anteposizione del complemento oggetto rispetto al soggetto e al predicato,


talvolta con il soggetto in posizione finale, è una delle più comuni
caratteristiche di enfasi stilistica della lingua letteraria, in particolare nella
poesia antica e moderna.

Complemento predicativo
Il complemento predicativo consiste in un nome o aggettivo che, riferendosi al
soggetto o al complemento oggetto, serve a determinare e completare il
significato del verbo.

Il complemento predicativo del soggetto appare


1 → con i verbi copulativi o aventi funzione copulativa
2 → con numerosi verbi appellativi, estimativi, elettivi, di forma passiva, ecc.

Attributo
Elemento aggettivale che qualifica e determina un nome, da cui dipende
sintatticamente. Può essere espresso da un qualunque aggettivo, o anche da
un participio usato come aggettivo.

L'attributo può dipendere sintatticamente dal soggetto, da un qualsiasi


complemento e anche da nome del predicato.

Tratto distintivo dell'attributo rispetto al complemento predicativo e al nome


del predicato è la sua dipendenza sintattica da un nome.

Apposizione
L'apposizione è un nome ce si colloca accanto ad un altro nome, per meglio
descriverlo e determinarlo.

Al pari dell'attributo, cui è funzionalmente simile, l'apposizione può dipendere


sintatticamente sia dal soggetto, sia da un qualsiasi complemento.
Il nome in apposizione può reggere svariati attributi e complementi, formando
un sintagma appositivo complesso che può raggiungere anche una notevole
estensione.

Complementi indiretti

I complementi indiretti (o obliqui) sono complementi che, nella maggioranza


dei casi, si costituiscono con una reggenza preposizionale. Permettono di
determinare il significato della frase secondo i parametri del tempo, dello
spazio, del modo di svolgimento dell'azione, ecc.
Alcuni complementi indiretti possono non essere retti da preposizione.

La nozione di indiretto non andrà dunque riferita solo all'esistenza di un


legame sintattico preposizionale, ma anche e soprattutto al fatto che l'azione
espressa dal predicato non ricade direttamente sul complemento.

Tra le partizioni tradizionali dell'analisi logica, ed in particolare dei


complementi indiretti, si avverte l'insufficienza di fondamenti e di limiti
operativi, sia per i criteri semantici che per quelli formali.

Complemento d'agente → indica il soggetto logico dell'azione nelle frasi con


predicato espresso da un verbo passivo.
Complemento di causa efficiente → indica il soggetto logico dell'azione nelle
frasi con predicato espresso da un verbo passivo, quando è rappresentato da
un'entità non animata.

Complemento di termine → entità animata o inanimata su cui termina l'azione.


Complemento di specificazione → fornisce una determinazione aggiuntiva al
nome da cui dipende.

Complementi di luogo → esprimono i parametri dello spazio: un luogo viene


trattato come punto di riferimento nel quale si trova (stato in luogo), verso il
quale ci si dirige (moto a luogo), da cui ci si allontana (moto da luogo), o
attraverso cui ci si muove (moto per luogo).

Complementi di tempo → esprimono i parametri del tempo: secondo l'aspetto


della durata (tempo continuato) oppure della puntualità (tempo determinato).
Complemento di mezzo → indica l'entità per mezzo della quale avviene
un'azione. Complemento di causa → indica la causa per cui avviene un'azione.
Complemento di modo o di maniera → esprime la modalità di svolgimento di
un'azione.

Complemento di compagnia → indica la persona o le persone insieme alle quali


si svolge un'azione. Complemento di unione → indica la relazione di compagnia
quando essa riguarda non un essere animato ma una cosa.

Complemento d'argomento → esplicita l'argomento di un atto comunicativo.


Complemento di quantità → serve a specificare una quantità o misura.

Complemento vocativo (o di vocazione) → è costituito da un nome (di persona,


animale o cosa), a cui il parlante rivolge direttamente il discorso.

Complemento esclamativo → affine al vocativo, include tutte le interiezioni, ed


esclamazioni varie,

insulti, imprecazioni ecc.

Capitolo 3 : “Il nome”

Il nome, o sostantivo, è una parola che ha la funzione di indicare persone,


animali, cose, concetti, fenomeni. È formalmente contraddistinto da una
propria flessione grammaticale, che comprende la distinzione singolare/plurale
(numero) e quella maschile/femminile (genere).
Tradizionalmente i nomi vengono distinti in varie classi:

Si definiscono nomi propri (di persona o antroponimi, di luogo o toponimi, di


fiumi o idronimi) quelli che identificano uno specifico individuo all'interno di
una categoria o di una specie. Sono nomi comuni quando si riferiscono a tutti i
membri di una stessa categoria o specie.
Si dicono collettivi quei nomi che designano un gruppo di individui.

Una seconda possibile distinzione è quella di nomi concreti e nomi astratti.


I primi si riferiscono a tutte le entità direttamente percepibili dai sensi, i
secondi a concetti che sono raffigurabili solo in astratto dalla mente.
L'autonomia del nome dalle altre categorie grammaticali appare saldamente
garantita sul piano morfologico; tuttavia, qualunque parola che non sia un
nome può assumere, senza modificare la sua forma, funzione nominale; in
questo caso si parla di uso sostantivato.

Capitolo 4 : “L'articolo”

L'articolo è una parte del discorso che si associa al nome, con cui concorda in
genere e numero, per qualificarlo in vario modo (articolo determinativo).
L'articolo determinativo può combinarsi con una preposizione semplice, dando
luogo a una preposizione articolata.

Oltre che con i nomi comuni, l'articolo si impiega con i nomi propri,
obbligatoriamente o facoltativamente, e con qualunque altra parte del
discorso che viene sostantivata.

La differenza tra articolo determinativo e indeterminativo non consiste nel


fatto ce il primo designa in modo specifico e individuale e il secondo in modo
generico.
L'uso dell'una o dell'altra serie di articoli è legato a due meccanismi
fondamentali: l'opposizione classe/ membro e l'opposizione noto/ nuovo.

Nel primo caso “il” indica la classe e “un” indica il singolo individuo che ne
faccia parte. Nel secondo caso “il” si riferisce a qualcosa di noto o che si da per
noto al nostro interlocutore; “un”, invece, introduce un dato nuovo, inatteso.

DETERMINATIVO

INDETERMINATIVO MASCHILE FEMMINILE un, uno una, un'

MSCHILE SINGOLARE il, lo, l'

PLURALE i, gli

FEMMINILE la, l'


le

Dall'incontro tra una preposizione ed un articolo determinativo può risultare


una forma sintetica, la preposizione articolata.

PREPOSIZIONE
ARTICOLI
IL LO LA L' I GLI LE

SINGOLARE

PLURALE

A al DI del DA dal IN nel SU sul

Capitolo 5 : “L'aggettivo”

allo dello dallo nello sullo

alla della dalla nella sulla

all' ai dell' dei dall' dai nell' nei sull' sui

agli degli dagli negli sugli

alle delle dalle nelle sulle

L'aggettivo è una parola che serve a modificare semanticamente il nome o


l'altra parte del discorso con cui ha un rapporto di dipendenza sintattica e,
nella maggior parte dei casi, di concordanza grammaticale.

Le affinità tra nome e aggettivo non si limitano alla flessione grammaticale:


spesso il nome può essere usato come aggettivo o l'aggettivo può sostantivarsi.

Gli aggettivi si suddividono tradizionalmente in due gruppi, quello degli


aggettivi qualificativi e quello degli aggettivi determinativi.

I primi esprimono una qualità particolare del nome a cui si uniscono.


Gli aggettivi determinativi (o indicativi) servono invece a precisare il nome in
rapporto alle nozioni di appartenenza, consistenza numerica, qualità indefinita,
posizione nello spazio rispetto agli interlocutori ecc. Possono distinguersi in:
possessivi, numerali (cardinali o ordinali), dimostrativi, indefiniti, interrogativi.

C'è una fondamentale differenza tra le due classi dei qualificativi e dei
determinativi: gli aggettivi qualificativi costituiscono una lista aperta, mentre i
determinativi appartengono ad una lista chiusa.
Gli aggettivi di relazione (o relazionali) possono essere considerati una
particolare sottocategoria degli aggettivi qualificativi: essi sono aggettivi
denominali che hanno la proprietà di esprimere una relazione stabile con il
nome da cui derivano, riproponendone i contenuti semantici in una categoria
diversa.

L'aggettivo qualificativo
La flessione grammaticale dell'aggettivo qualificativo ricalca, in modo più
semplice e meno articolato, quella del nome. Si dividono in tre classi, in
relazione alle desinenze di cui sono composte:

SINGOLARE
-o -i -a -e -e -i

-a -i -e

PLURALE

1° CLASSE 2° CLASSE 3° CLASSE

MASCHILE FEMMINILE MASCHILE FEMMINILE MASCHILE FEMMINILE

Quando l'aggettivo assume una forte indipendenza sintattica, esso può


esercitare la funzione di predicato principale, talvolta anche con l'omissione
del nome cui si riferisce.

Generalmente la posizione non marcata dell'aggettivo qualificativo è dopo il


nome cui si riferisce.

Quando un aggettivo qualificativo precede il nome, esso indica, di solito, una


maggiore soggettività di giudizio in chi parla o scrive, una particolare enfasi
emotiva o ricercatezza stilistica.
A seconda che precedano o seguano il nome, molti aggettivi qualificativi
possono assumere una funzione descrittiva o una funzione restrittiva.

Nell'italiano contemporaneo l'aggettivo di relazione di norma pospone il nome


cui si riferisce.

Nello studiare i rapporti sintattici fra aggettivi di relazione (AR) e aggettivo


qualificativo semplice (AQ), Brinker fornisce un elenco delle possibili
combinazioni fra i due tipi: NOME+ AR+ AR, NOME+ AR+ AQ; non sono possibili
invece NOME+ AQ+ AR e NOME+ AQ+ AQ.
L'aggettivo e il nome

Le grandi affinità di forme e impieghi esistente tra aggettivi e nome fa sì che le
due categorie spesso assumano l'una le funzioni dell'altra.

L'uso del nome come aggettivo è meno comune e comporta quasi sempre un
processo di sostituzione tra le due categorie, non di ellissi nel contesto della
frase.

La sostantivazione dell'aggettivo è invece assai più frequente.


Si può parlare propriamente di aggettivo sostantivato (o nominalizzato)
quando il rapporto semantico tra la normale funzione attributiva e l'uso
sostantivato dell'aggettivo è ancora ben vivo, trasparente e motivato.
L'aggettivo sostantivato maschile può sostituire un nome astratto.
In molti usi sostantivati dell'aggettivo si ravvisa facilmente un'ellissi del nome,
spesso per evitarne la ripetizione.
Molto comune è l'uso sostantivato degli aggettivi al plurale, con cui ci si
riferisce di solito ad un'intera categoria di essere animati.

L'aggettivo sostantivato può regolarmente reggere un comune aggettivo


qualificativo, sia nell'ordine AGG.QUAL+ AGG.SOST. sia in quello AGG.SOST.+
AGG.QUAL. .

I gradi dell'aggettivo e la comparazione

Il grado comparativo dell'aggettivo serve a mettere in relazione due termini,


secondo l'intensità di una qualità posseduta da entrambi, nella stessa misura
oppure in misure diverse.
I gradi di comparativo di maggioranza e di minoranza sono i due gradi per
mezzo dei quali esprimiamo la relazione di non-uguaglianza tra i due termini.

Comparativo di maggioranza e comparativo di minoranza.


Si formano aggiungendo rispettivamente gli avverbi “più” e “meno”
all'aggettivo qualificativo. Il secondo termine di paragone può essere
introdotto dalla preposizione “di” o dalla congiunzione “che”.

Comparativo di uguaglianza.
Il comparativo di uguaglianza non comporta alcuna forma di alterazione
dell'aggettivo, ma semplicemente la messa a confronto di qualità possedute in
egual misura da entrambi i termni della comparazione. Il secondo termine è
introdotto dagli avverbi “quanto” e “come”.

Il grado superlativo esprime il massimo livello possibile di intensificazione della


qualità posseduta, in relazione ad altre grandezze, persone, cose (superlativo
relativo), oppure in senso assoluto (superlativo assoluto).

Alcuni aggettivi formano il superlativo non col suffisso -issimo, ma con i suffissi
-errimo e -entissimo. Si tratta di un uso colto, che ricalca direttamente il
modello latino.

Alcuni aggettivi formano, sul modello dei corrispondenti aggettivi latini, i gradi
comparativo di maggioranza e superlativo da una radice diversa del grado
positivo. Accanto a questa forma di comparazione, che si definisce organica,
essi conoscono anche le forme regolari di comparativo con “più” e di
superlativo in -issimo.

Capitolo 6 : “Numerali”

La categoria dei numerali è grammaticalmente eterogenea: può comprendere


infatti aggettivi, sostantivi o anche pronomi.

Cardinali
Indicano una quantità numerica precisa e sono invariabili, oltre che nel
numero, anche nel genere.

Per quanto riguarda la posizione, il cardinale con funzione di aggettivo precede


di solito il sostantivo cui si riferisce. Si pospone nell'uso matematico,
burocratico o commerciale. Il sostantivo è al plurale anche quando il numerale
è “1”, secondo un uso già attestato nei secoli scorsi.

Ordinali
Indicano l'ordine occupato in serie numerica.

L'ordinale è sempre anteposto al nome. Si pospone in pochi casi: con nomi di


papi, re o simili; quando si voglia sottolineare una sequenza numerica.

L'uso degli ordinali concorre con i cardinali in diversi casi:


Per indicare i secoli dall'XI in poi;
Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale, ma il cardinale per i
giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal nome del mese;
Si oscilla tra i due per indicare i capitoli o parti di un'opera e, più in generale,
una serie di successione.

Frazionari

Indicano la parte di un tutto.

Moltiplicativi
Indicano un valore due o più volte superiore a un altro.

I numerali di questo tipo formano due serie di aggettivi o aggettivi sostantivati,


entrambe limitate a poche unità.

Sostantivi e aggettivi numerativi


Derivano dai numerali cardinali e ordinali, attraverso vari suffissi e con diversi
significati.

Per indicare due o più persone o cose esistono forme parallele rispetto ai
numerali cardinali. A seconda del suffisso il numerativo rimanda a un certo
ambito settoriale:
-ina affisso a un numerale ordinale forma termine della verificazione, che
designano strofe composte da un dato numero di versi;

-ario affisso a un numerale distributivo latino indica il verso composto da un


certo numero di sillabe;
-enne, -ennio, -ennale affissi a numerali cardinali indicano l'età di un individuo,
un periodo di tempo, un anniversario;

-etto affisso a un ordinale forma termini musicali.

Capitolo 7 : “Pronomi e aggettivi pronominali”

Secondo l'etimologia del termine, il pronome è un elemento che fa le veci di un


sostantivo, rappresentandolo negli stessi valori grammaticali di genere e
numero.

La categoria dei pronomi, per quanto eterogenea, ha dei tratti inconfondibili


che la contrassegnano rispetto ai sostantivi e agli aggettivi:
1 → sostantivi e aggettivi costituiscono in tutte le lingue vive una “classe
aperta”, una serie illimitata; i pronomi invece formano una “classe chiusa” con
un numero ristretto di elementi e con ovvie corrispondenze.

2 → sostantivi e aggettivi sono “parole piene”, possono essere indicate in un


dizionario mediante una definizione sostitutiva; i pronomi, come le altre
“parole grammaticali” devono essere designate attraverso una definizione
metalinguistica o attraverso un altro pronome corrispondente.

Pronomi personali TONICI

1. 1°  PERSONA
2. 2°  PERSONA
3. 3°  PERSONA
4. 4°  PERSONA
5. 5°  PERSONA
6. 6°  PERSONA

RIFLESSIVO SING&PLUR

SOGGETTO COMPLEMENTO MASCHILE FEMMINILE MASCHILE FEMMINILE

io io me me tu tu te te

egli, lui, esso noi


voi
essi, loro

ella, lei, essa noi


voi esse, loro

lui, esso noi voi essi, loro sé

lei, essa noi voi esse, loro sé

A differenza di molte altre lingue europee, in italiano l'uso del pronome


personale è generalmente facoltativo.

Tutti i pronomi personali possono essere rafforzati mediante “stesso”.


ATONI
1° PERSONA
2° PERSONA
3° PERSONA
4° PERSONA
5° PERSONA
6° PERSONA RIFLESSIVO SING&PLUR

MASCHILE mi
ti
gli, lo
ci
vi loro, gli, li si

FEMMINILE mi
ti
le, la
ci
vi
loro, gli, le si

Le forme atone si possono usare solo per il complemento di termine e il


complemento oggetto, o con i verbi intransitivi pronominali.

Rispetto alle corrispondenti forme toniche, l'impiego delle atone non è


indifferente.

I pronomi atoni possono variamente combinarsi tra loro. Le combinazioni più


usuali sono: Pronome atono personale in funzione di complemento di termine,
di dativo etico o di componente di un verbo intransitivo pronominale + LO, LA,
LI, LE .
Pronome atono personale in funzione di complemento oggetto + CI .
Pronome atono personale in funzione di complemento oggetto o di termine +
SI impersonale o passivante.

Nell'italiano moderno i pronomi atoni hanno normalmente collocazione


proclitica.
Sono invece enclitici, formando un'unica parola con la voce precedente,
quando si uniscono con l'avverbio ecco e in altri cinque casi:
1 → Con un imperativo affermativo.
2 → Con un infinito, che in tal caso presenta obbligatoriamente apocope
vocalica e, se termina i

-rre, la riduzione ad una sola r.


3 → Con un gerundio, presente o passato.
4 → Con un participio passato, in funzione di una proposizione subordinata. 5
→ Con un participio presente (quasi soltanto col riflessivo SI).

Pronomi allocutivi

Le forme dei pronomi personali tonici e atoni insieme con aggettivi possessivi
possono costituire un sistema pronominale autonomo, fornendoci il mezzo
grammaticale per rivolgerci a un interlocutore, reale o immaginario.

Pronomi allocutivi sono innanzitutto i pronomi che potremmo chiamare


naturali, perché espressamente riferiti a uno o più destinatari.
I pronomi allocutivi reverenziali correnti sono “ella” e “lei” per il singolare e
“loro”/”voi” per il plurale. Fino a pochi decenni fa si usava anche il “voi” in
riferimento a una sola persona.

Aggettivi e pronomi possessivi


I possessivi sono forme parallele e complementari rispetto ai pronomi
personali: indicano la persona a cui appartiene qualcosa o qualcuno.

1° PERSONA 2° PERSONA 3° PERSONA 4° PERSONA 5° PERSONA 6° PERSONA

MASCHILE mio, miei tuoi, tuoi suo, suoi nostro, nostri vostro, vostri loro

FEMMINILE mia, mie tua, tue sua, sue nostra, nostre vostra, vostre loro

Il termine possessivo si attaglia in verità solo a una piccola parte dei valori che
queste forme possono esprimere; indicano anche: l'organo, la facoltà sensitiva
o intellettuale di un certo individuo; genericamente, la relazione che si intuisce
con qualsiasi aspetto della realtà; una consuetudine, un'azione abituale.

In italiano l'aggettivo possessivo può collocarsi prima e dopo il nome.; tuttavia,


l'anteposizione e la posposizione non sono indifferenti.
A parte il caso di alcune formule cristallizzate, in genere il possessivo dopo il
nome rappresenta la scelta sintatticamente marcata.

Aggettivi e pronomi dimostrativi


I dimostrativi sono gli elementi usati per indicare qualcuno o qualcosa facendo
riferimento a tre coordinate: lo spazio, il tempo, oppure un astratto rapporto di
vicinanza o lontananza che si stabilisce con i concetti presenti nel discorso.

AGGETTIVI E PRONOMI

SINGOLARE

PLURALE

MASCHILE questi codesti quelli, quegli, quei

MASCHILE questo codesto quello, quel

FEMMINILE questa codesta quella

FEMMINILE queste codeste quelle

PRONOMI

SINGOLARE

PLURALE

MASCHILE
questi / / / quegli / / / costui costei costoro costoro

colui colei coloro coloro ciò / / /

Questo, codesto e quello designano un oggetto da tre diversi punti di vista:


“questo” indica vicinanza a chi parla, “codesto” vicinanza a chi ascolta, “quello”
lontananza da entrambi. Naturalmente si tratta di uno spazio non
precisamente misurabile, non solo per quanto riguarda concetti astratti, ma
anche in situazioni molto concrete.

Accanto alla funzione di indicare qualcosa nello spazio reale o figurato


(funzione deittica), i pronomi dimostrativi servono per richiamare qualcuno o
qualcosa di cui si sia parlato in precedenza (funzione anaforica) o per
anticipare ciò di cui si dirà in seguito (funzione cataforica).

Aggettivi e pronomi indefiniti


Gli indefiniti rappresentano senza dubbio la categoria pronominale più
consistente e articolata. Possono essere definiti in quattro gruppi: singolativi,
collettivi, negativi e quantitativi.

1 → Singolativi: si riferiscono ad una singola persona o cosa non precisata o


non precisabile

FEMMINILE

MASCHILE

FEMMINILE

SINGOLARE

PLURALE
MASCHILE FEMMINILE / /

//////

/ / alcuni alcune / / certi certe

AGG PRON PRON PRON

MASCHILE

qualche

qualcuno

qualcheduno

qualcosa, qualche cosa, che

FEMMINILE qualche qualcuna qualcheduna /

PRON uno una

AGG/PRON PRON AGG

alcuno alcunché certo

alcuna / certa
PRON AGG/PRON AGG/PRON AGG/PRON AGG/PRON AGG/PRON

PRON AGG

//

/ / tale tale taluno taluna quale quale altro altra

altri, altrui / altrui altrui

certi certuni tali taluni quali altri


/ altrui

certe certune tali talune quali altre


/ altrui

2 → Collettivi: indicano l'insieme, il totale, sia pure non determinato come


quantità,

comprendendo

AGG AGG AGG PRON PRON PRON PRON PRON/AGG PRON/AGG PRON/AGG
AGG

PRON PRON/AGG

effettivamente tutte le singole unità di un determinato ambito concettuale.

SINGOLARE

PLURALE
MASCHILE FEMMINILE / /

/ / tutti tutte

MASCHILE qualunque qualsiasi qualsivoglia chiunque chicchessia checchessia


checché ciascuno ciascheduno cadauno ogni ognuno tutto

FEMMINILE qualunque qualsiasi qualsivoglia chiunque chicchessia /


/ ciascuna ciascheduna cadauna ogni ognuna tutta
3 → Negativi: sono le forme che negano, escludono del tutto un certo dato.
MASCHILE

FEMMINILE nessuna veruna

AGG/PRON AGG/PRON PRON PRON

nessuno veruno niente nulla

4 → Quantitativi: esprimono una quantità generica, apprezzabile nello spazio,


nel tempo, o valutabile solo astrattamente.

AGGETTIVI E PRONOMI

SINGOLARE

PLURALE

MASCHILE poco alquanto parecchio molto troppo tanto altrettanto

Pronomi relativi

FEMMINILE poca alquanta parecchia molta troppa tanta altrettanta

MASCHILE pochi alquanti parecchi molti troppi tanti altrettanti

FEMMINILE poche alquante parecchie molte troppe tante altrettante

Il pronome relativo ha la funzione di mettere in relazione una proposizione


reggente con una subordinata, richiamando un termine già espresso.

Di norma, il pronome relativo deve avere come antecedente un nome


determinato; talvolta l'antecedente è un nome non articolato, che equivale
però concettualmente a un'espressione determinata.

Per quanto riguarda i rapporti tra antecedente e pronome relativo va rilevato


che:
1 → Se in prosa o nella lingua parlata l'antecedente è separato dal relativo, si
ha in genere ripetizione dell'antecedente stesso prima del pronome;
2 → Quando un pronome relativo condivide con l'antecedente solo l'ambito
semantico, l'antecedente grammaticale, inespresso nella sovraordinata, deve
essere obbligatoriamente presente prima del relativo stesso.
3 → Invece che all'antecedente puntuale, il pronome relativo può richiamarsi a
un sinonimo.
4 → Nell'italiano dei secoli scorsi l'antecedente “tutto quello (che)” poteva
ridursi a “tutto (che)”.

Che: è il pronome relativo più corrente e usuale; è invariabile.


Cui: si usa come complemento indiretto, sempre preceduto da preposizione; è
invariabile. Il quale: variabile per genere e numero, fa le veci dei due pronomi
precedenti.

Aggettivi e pronomi interrogativi e esclamativi


Servono per rivolgere un'interrogazione, diretta o indiretta, o per esprimere
un'esclamazione nell'ambito di tre categorie (qualità, quantità, identità).

AGG PRON PRON

SINGOLARE MASCHILE FEMMINILE

che che chi chi

che, che cosa, cosa

PLURALE
MASCHILE FEMMINILE che che

chi chi

AGG/PRON quale quale quali quali AGG/PRON quanto quanta quanti quante

Capitolo 8 : “La preposizione”

La preposizione è una parte del discorso invariabile che serve a esprimere e


determinare i rapporti sintattici tra le varie componenti della frase. È un
elemento che ha funzione razionale, e dunque il suo significato si può cogliere
solo in ragione: del tipo di reggenza che si determina nell'incontro
componente+ preposizione+ componente; dei significati delle singole parole
che si collegano attraverso la preposizione.

La preposizione va di norma unita al suo aggiunto.


Una sola preposizione regge abitualmente più aggiunti in successione.

Le preposizioni si dividono tra preposizioni proprie e preposizioni improprie: le


prime non si impiegano pressoché mai per altre funzioni sintattiche e
grammaticali, mentre le seconde sono elementi del lessico che possono
assumere, a seconda del contesto sintattico, anche altre funzioni. A questi due
raggruppamenti si aggiunge quello delle locuzioni preposizionali, che possono
essere costituite sia da due preposizioni, sia da un sostantivo con una o più
preposizioni.

Preposizioni proprie
Di → preposizione di uso più comune, in quanto la raggiera di relazioni che
essa è in grado di stabilire tra due parole (o gruppi di parole) è amplissima.
Relazioni di specificazione e determinazione semantica: Specificazione in senso
proprio; denominazione; argomento; materia; abbondanza o privazione;
specificazione di quantità sia numericamente misurabile sia indefinita, per
indicare misure e quantità, età, prezzo; causa; limitazione; partitivo; paragone
di maggioranza e di minoranza; fine, destinazione, effetto, in particolare nelle
locuzioni essere, riuscire, servire di.
Accezioni in cui non si riconduce alla relazione determinato- determinatore:
valori locativi (moto da luogo, per luogo in cordinazione con “in”, moto a
luogo); origine e provenienza; modo e maniera; determinazioni di tempo;
mezzo e strumento; mescolanza; complementi di agente e di causa efficiente;
costrutti predicativi.

A → un primo gruppo di relazioni con la preposizione coincide con le funzioni


dell'antico dativo latino, ed esprime il rapporto di destinazione del punto o
della linea di arrivo di un'azione:complemento di termine; moto verso luogo;
fine:
Un altro gruppo di relazioni indica condizione di stasi: stato in luogo; età
determinata; tempo determinato;.

Vi sono altre relazioni semantiche: modo e maniera; strumentale; nella


designazione di qualità o caratteristiche particolari; valore distributivo;
limitazione nelle locuzioni di modestia, in usi colloquiali, nelle indicazioni di
qualità fisiche e morali; prezzo e misura.

Da → Vi sono diversi valori per la preposizione. In alcuni casi si ha una funzione


che generalmente potremmo definire di allontanamento- provenienza: moto
da luogo; origine; agente e causa

efficiente; causa; determinazione di tempo, per indicare il momento da cui ha


inizio un'azione; dissomiglianza e differenza.
Si riconosce un valore destinativo- vincolativo: stima e prezzo; costrutti in cui
“da” significa “che si addice a”; costrutti finali.
Infine vi sono complementi e relazioni caratterizzanti: qualità; modo;
limitazione, per indicare menomazioni fisiche; per indicare la condizione e l'età
in cui si trova un individuo; valori locativi di cui moto per e attraverso luogo,
moto a luogo, stato i luogo.

In → nella preposizione riconosciamo un primo nucleo semantico di


“inclusione stativa” che trova espressione per indicare: stato in luogo;
complementi retti da verbi come credere, confidare, sperare, ecc;
complemento predicativo; tempo determinato; materia; limitazione;
strumento, per indicare il mezzo, il veicolo; modo; stima; quantità.

Un secondo nucleo semantico indica “moto o trasformazione nel tempo e nello


spazio”: tempo continuato, per definire lo spazio di tempo entro il quale si
svolge un evento; moto a luogo; moto in luogo; trasformazione, mutamento di
condizione, di stato fisico; valore finale e di vantaggio.

Con → la relazione semantica che la preposizione stabilisce tra due


componenti della frase è quella di “aggiunta”: complemento di compagnia ed
unione; per indicare corrispondenza, coincidenza; per formare il complemento
di relazione; modo, per indicare atteggiamento col corpo, disposizione d'animo
ecc; mezzo e strumento; causa; espressioni concessive, perlopiù in unione con
gli aggettivi “tanto”, “tutto”, ecc.

Su → un primo consistente nucleo di valori semantici realizzati dalla


preposizione è quello ce esprime “posizione superiore”: relazioni e
complemento di stato in luogo; moto a luogo; argomento; relazioni e
complemento di modo; con valore distributivo, in particolare nelle indicazioni
di rapporti numerici, percentuali ecc.

Per → la principale funzione è quella di introdurre il tramite attraverso cui si


svolge l'azione, in accezione locativa, strumentale, modale ecc: moto per
luogo; mezzo e strumento; causa; prezzo; sostituzione e scambio, in particolare
con i verbi che indicano comprensione; limitazione. Un secondo gruppo di
significati fa capo ad un valore semantico destinativo- finale:: moto a luogo;
fine; vantaggio o svantaggio; valore distributivo; valore temporale come tempo
determinato, tempo continuato; valore predicativo.

Tra/fra → l'idea espressa dalle due preposizioni è quella di posizione


intermedia tra due o più punti di riferimento. Quando entrambi i termini di
relazione sono esplicitati, la preposizione si adopera una volta sola e i due
termini vengono collegati dalla congiunzione “e”. Sono identiche per significato
e funzioni: valori locativi come stato in luogo, moto per luogo, complemento di
distanza; valori temporali per indicare l'intervallo di tempo compreso tra due
momenti e per indicare il termine di tempo entro cui un evento si verificherà;
partitivo; compagnia e reciprocità; per indicare il complesso di cause che
contribuiscono a produrre un effetto; con valore predicativo.

Preposizioni improprie e locuzioni preposizionali

Un gruppo consistente di preposizioni improprie è costituito da parole che nel


loro valore primario sono avverbi, adoperati in funzione preposizionale.

Numerose locuzioni improprie esprimono nei tratti semantici primari un valore


locativo: contro; davanti/dietro; dentro/fuori; lungo; oltre; sotto/sopra; verso;
vicino.

Ulteriori preposizioni improprie sono: mediante; secondo; senza.

Capitolo 9 : “Congiunzioni e segnali discorsivi”

La congiunzione è una parte del discorso invariabile che serve a collegare


sintatticamente due o più parole (o gruppi di parole) di una frase, oppure due o
più frasi di un periodo.

In ragione del tipo di collegamento che determinano, si distinguono:


1 → congiunzioni coordinative, che stabiliscono un rapporto di equivalenza
logico-sintattica tra frasi o parti di frasi;
2 → congiunzioni subordinative, ce collegano frasi non equivalenti
sintatticamente, ponendole in un rapporto di dipendenza.

Sotto il rispetto formale, le congiunzioni possono essere: semplici, cioè formate


da una sola parola; oppure composte, ovvero formate da due o più parole
unite, ma perlopiù facilmente analizzabili come elementi distinti.
A questi due raggruppamenti si aggiungono e locuzioni congiuntive, vale a dire
sintagmi complessi le cui componenti sono avvertite come nettamente
distinte, e mantengono o possono mantenere una scrizione separata.

Negli studi più recenti, le congiunzioni tendono a confluire nella categoria dei
“connettivi”, cioè in quelle parole che, indipendentemente dalla categoria
grammaticale di provenienza, svolgono funzione di raccordo tra le varie parti
del testo, contribuendo alla pianificazione sintattica del discorso.

Segnali discorsivi
I segnali discorsivi sono quegli elementi che hanno la funzione di organizzare la
presentazione del testo comunicativo secondo certi criteri dimensionali e
logico- narrativi.

Il concetto di testo come “forma comunicativa (orale o scritta) che deve


soddisfare determinate proprietà formali e logiche” è stato elaborato in anni
recenti dalla linguistica testuale, che si propone di studiare e definire le priorità
generali dell'attività linguistica analizzandone i prodotti orali o scritti, e di
elaborare una tipologia testuale generale, che dia conto della grande varietà di
forme comunicative possibili.

Tra le proprietà fondamentali che un testo possiede ricordiamo la “coesione”,


cioè il rispetto delle relazioni formali tra le varie parti del discorso: e la
“coerenza”, vale a dire l'insieme dei procedimenti logici e semantici che
consentono di produrre un senso continuo e accettabile per mezzo di testi. La
coerenza è il primo e irrinunciabile requisito che un testo deve possedere.

L'individuazione e l'analisi dei vari tipi di segnali discorsivi da parte degli


studiosi è tutt'ora in fase di elaborazione, e di conseguenza anche la
terminologia impiegata per descriverli non è uniforme.

I segnali discorsivi svolgono due funzioni: quella di segnali di delimitazione (o


demarcativi), e quella di connettivi.

I segnali discorsivi:
1 → quando siano seguiti o preceduti da un testo, hanno valore demarcativo le
formule di saluto e di congedo;
2 → le formule che vengono definite “riempitivi”, come gli avverbi “allora”,
“insomma”, “bene”, “ecco”, “già”, le congiunzioni “dunque”, “comunque” ecc,
trovano impiego perlopiù come funzione demarcativa.
3 → le congiunzioni possono considerarsi una classe particolare di connettivi
testuali.

Capitolo 10 : “L'interiezione”

L'interiezione o esclamazione è una parola invariabile che esprime una


reazione improvvisa o manifesta u ordine, una preghiera, un saluto un
richiamo. Graficamente è spesso seguita da un punto esclamativo o da un
punto interrogativo.

Si distinguono le interiezioni primarie, che hanno sempre e soltanto valore


interiettivo, e le interiezioni secondarie, parti del discorso autonome che
possono essere usate con questa funzione e che possono, se aggettivi o verbi,
modificarsi a seconda del genere e del numero.
Una caratteristica comune di tutte le interiezioni consiste nella capacità di
realizzare il significato di una frase intera.

Interiezioni primarie
Le interiezioni primarie possono presentare varie peculiarità grafiche (o
fonetiche) che le pongono al di fuori o ai margini del sistema linguistico di
appartenenza, quasi tutte sono voci espressive, di formazione indigena:
Urrah,ahi, bah, beh, boh, deh, eh, ehi, ehm, ih, mah, marsch, neh, o, oh, ohi,
pst, puah, sciò, sst, to', uff, uh, uhm, veh.

Interiezioni secondarie
Le interiezioni secondarie costituiscono una classe aperta: sono pressoché
infinite le espressioni che, in un certo contesto, sono utilizzabili come
interiezioni.
Molte di esse hanno funzione conativa, agiscono cioè sul destinatario del
messaggio, rivolgendogli un ordine, un'esortazione, una preghiera, o anche
esprimendo apprezzamento o biasimo.
Altre espressioni interiettive sono usate con valore fatico, per attivare il canale
comunicativo.

Saluti
Un particolare tipo idi interiezione è costituito dalle forme di saluto:
Addio, arrivederci, buondì, buongiorno e buonasera, buonanotte, ciao,
nuovamente, salute, salve.

Onomatopee
Si considerano tradizionalmente affini alle interiezioni le onomatopee (o
fonosillabi), ossia quelle sequenze foniche che tendono a riprodurre o evocare
un suono. In realtà tra le due serie di forme non mancano le differenze: le
interiezioni sono solo in piccola parte condizionate da spinte immitative e
hanno normalmente valore di esclamazione, mentre le onomatopee si
trasformano spesso in parti del discorso autonome.

Capitolo 11 : “Il verbo”

Il verbo è una parola variabile indicante: a) un'azione che il soggetto compie o


subisce; b) l'esistenza o lo stato del soggetto.
Si comportano come verbi anche alcune locuzioni comprendenti un nome,
generalmente non articolato, o un aggettivo.

Una distinzione tradizionale distingue i verbi in transitivi, che ammettono un


complemento oggetto, e intransitivi, che non ammettono un complemento
oggetto.
Qualunque verbo transitivo può essere usato assolutamente, cioè senza
complemento oggetto ma non perde questa sua natura transitiva.

In molti verbi intransitivi l'azione passa sul complemento di termine.


Anche un verbo intransitivo può reggere un complemento diretto, il
complemento dell'oggetto interno.
In molti casi un verbo si usa alternativamente come transitivo o intransitivo a
seconda del significato o del contesto.
Piuttosto numerosi in questa serie i verbi parasintetici che transitivamente
indicano mettere qualche persona o cosa in uno stato o in un luogo;
intransitivamente, entrare in quel medesimo stato o luogo.

Un'altra possibile partizione che interessa la totalità dei verbi è quella tra i
verbi predicativi, che esprimono un senso compiuto, e i verbi copulativi, i quali,
a somiglianza del verbo essere adoperato come copula, hanno un contenuto
semantico generico e servono a collegare il soggetto a un nome o a un
aggettivo.
Tradizionalmente tra i verbi copulativi si distinguono: verbi effettivi (intransitivi
che esprimono uno stato, un'apparenza, una trasformazione), verbi appellativi,
verbi elettivi e verbi estimativi.

Elementi costitutivi del verbo


Sono elementi costitutivi del verbo: il modo, il tempo, la persona, la diatesi e
l'aspetto verbale.

Il modo → indica il tipo di comunicazione che il parlante instaura col suo


interlocutore o l'atteggiamento ce il parlante assume verso la sua stessa
comunicazione.

I modi veri e propri sono quelli considerati finiti: l'indicativo, che presenta un
fatto nella sua realtà; il congiuntivo, che esprime un certo grado di
allontanamento dalla realtà o dalla costatazione obiettiva di qualcosa,
contrassegnando un'azione o un processo in quanto desiderato, temuto,
voluto, supposto; il condizionale, che implica l'idea di un qualche
condizionamento, perlopiù indipendente dalla volontà del soggetto e che può
essere reale o virtuale; l'imperativo, che comporta l'intento di agire
sull'interlocutore attraverso un ordine, un'esortazione, una preghiera. Il
termine di modi verbali è esteso anche a tre forme nominali del verbo, detti
modi indefiniti: l'infinito, il participio, il gerundio.

In realtà queste tre forme non esprimono di per sé alcuna modalità dell'azione,
ma assumono il valore di modo del corrispondente verbo finito.

Il tempo → qualifica l'azione in riferimento all'asse cronologico, o


assolutamente o relativamente a un certo dato di riferimento; in questo
secondo caso il tempo esprime la relazione tra due frasi di un periodo,
segnalando il rapporto di contemporaneità o di non contemporaneità.

I tempi verbali si distinguono in semplici, se sono costituiti da una singola


forma, o composti, se risultano di u verbo ausiliare e del participio passato.

La persona → individuabile solo nei modi finiti, attualizza un certo valore


verbale in relazione al parlante (io), all'interlocutore (tu), a una terza persona
(egli, ella), a una pluralità che comprenda il parlante (noi) o l'interlocutore (voi)
oppure che li escluda (essi, esse).

La diatesi → esprime il rapporto del verbo con soggetto e oggetto. Può essere
attiva, quando il soggetto coincide con l'agente dell'azione; passiva, quando
l'agente non è il soggetto; riflessiva, quando soggetto e oggetto coincidono. La
diatesi passiva e riflessiva possono aversi solo con verbi transitivi.

La modalità fondamentale per esprimere il passivo è il ricorso all'ausiliare


essere coniugato nel modo, tempo e persona proprio alla corrispondente
forma attiva e accompagnato dal participio passato. Altre espressioni della
diatesi passiva sono: il “si” passivante, l'uso di “venire” o l'uso di “andare”.

Definendo la diatesi riflessiva si tratta dei verbi pronominali. Al tipo in cui


soggetto e oggetto coincidono si riserva generalmente il nome di “riflessivo
diretto”. Altre specie di verbi pronominali: 1 → “Riflessivi reciproci”. Esprimono
un'azione che due o più soggetti al tempo stesso compiono e scambievolmente
subiscono.
2 → “Riflessivi indiretti”. L'azione verbale non si riflette direttamente sul
soggetto, ma si svolge comunque a suo beneficio, nel suo interesse o per sua
iniziativa; il pronome atono non rappresenta in questo caso un complemento
oggetto bensì un complemento indiretto.
3 → “Intransitivi pronominali”. Si tratta di verbi in cui il pronome atono non ha
valore riflessivo, né diretto né indiretto né reciproco, ma rappresenta una
semplice componente formale del verbo, obbligatoria o facoltativa.

L'aspetto → la nozione di aspetto verbale è alquanto controversa. Si può


affermare che l'aspetto contrassegna l'atto verbale secondo la prospettiva della
durata, della momentaneità, della ripetitività, dell'inizio o della conclusione di
un processo, della compiutezza o della incompiutezza dell'azione.

Verbi ausiliari

Nella categoria di ausiliari possiamo comprendere tutte quei verbi che, accanto
a un loro uso e significato autonomo, svolgono funzione vicaria nei confronti di
qualsiasi altro verbo, individuando una determinazione morfologica (ausiliari
propriamente detti), un particolare valore semantico (servili), o un dato
elemento aspettuale (fraseologici).

Gli ausiliari propriamente detti sono essenzialmente i verbi essere e avere, che
consentono la formazione dei tempi composti con valore di passato
rispettivamente: a) per la maggioranza dei verbi transitivi, per quasi tutti i verbi
impersonali, per tutti quelli riflessivi e intransitivi pronominali; b) per tutti i
verbi transitivi e per un certo numero di intransitivi.

I verbi servili (o modali) costituiscono una categoria piuttosto controversa e


discussa, giacché non c'è accordo tra gli studiosi né sulle unità che
compongono il gruppo né sulle loro specifiche caratteristiche funzionali. I tratti
che accomunano questi verbi sono: a) la reggenza diretta di un infinito; b)
l'identità di soggetti tra verbo servile e infinito; c) la collocazione mobile dei
pronomi

atoni, come proclitici prima del vero servile o come enclitici dopo l'infinito.

Detti anche ausiliari di tempo o aspettuali, i verbi fraseologici segnalano, in


unione con un altro verbo di modo indefinito, un particolare aspetto
dell'azione: l'imminenza di un'azione; l'inizio di un'azione; lo svolgimento di
un'azione; la continuità di un'azione; la conclusione di un'azione.

La coniugazione

Il sistema verbale italiano ordina le sue varie componenti in base alle categorie
di modo, tempo, persona e diatesi.
È consuetudine raggruppare i verbi italiani in tre coniugazioni sulla base della
terminazione dell'infinito: -are (1° coniugazione), -ere (2° coniugazione), -ire (3°
coniugazione).

In un verbo possiamo riconoscere:


1 → La radice, ossia l'elemento che reca l'informazione semantica.
2 → La vocale tematica, che individua nell'infinito le tre coniugazioni.
3 → La desinenza, ossia l'affisso che esprime le caratteristiche di modo, tempo
e persona.

Le forme accentate sulla radice si dicono “rizotoniche”, quelle accentate sulla


desinenza “rizoatone”.

Delle tre coniugazioni italiane, l'unica attualmente produttiva è la prima:


significa che qualunque verbo di nuova coniazione è autonomamente inserito
in questa classe.
Verbi impersonali, difettivi, sovrabbondanti e irregolari
Verbi impersonali:
Si dicono impersonali quei verbi che non rimandano ad una persona
determinata e che si adoperano nei modi indefiniti o nella 3° persona dei modi
finiti.
Per esprimere l'impersonalità si può ricorrere ad altre modalità:
Pronome atono “si” con un verbo intransitivo, transitivo attivo o passivo;
3° persona di un verbo in diatesi passiva;
Pronome indefinito come soggetto generico;
2° o 6° persona di un verbo.

Verbi difettivi:
Di alcuni verbi, perlopiù impersonali, si adoperano soltanto poche voci: quelle
mancanti sono cadute in disuso oppure non sono mai esistite. Alla “difettività”
morfologica si associano quasi sempre restrizioni lessicali o stilistiche: gran
parte di questi verbi sono arcaici, altri sono limitati ad alcune espressioni
cristallizzate.

Verbi sovrabbondanti:
Alcuni verbi corradicali seguono due coniugazioni diverse. Possono essere
distinti in due gruppi, a seconda che il significato muti col cambiamento di
coniugazione o rimanga lo stesso.

Verbi irregolari:
Si dicono irregolari i verbi che deflettono in modo più o meno spiccato dal
modello di coniugazione cui appartengono. Nel loro insieme i tipi fondamentali
di irregolarità si riducono a due: Suppletivismo, vale a dire concorrenza di più
radici nel corso della coniugazione;

Alterazioni desinenziali, ossia presenza di desinenze imprevedibili nell'ambito


del paradigma.

Tempo indicativo

Tradizionalmente definito come l modo della realtà e dell'obiettività, è il modo


fondamentale delle frasi semplici ed è molto frequente anche nelle
subordinate.
Presente:
Tempo che situa un'azione in prospettiva di simultaneità. Si distingue tra:
Presente iterativo (o abituale) → esprime un'azione che, benché colta nel suo
svolgimento attuale, è presentata come abituale ed è idealmente riferita anche
al passato o al futuro.
Presente acronico → affine al precedente, qualifica una situazione come “fuori
dal tempo”, in quanto ad essa viene attribuita validità perenne, applicabilità
universale.
Presente in luogo del futuro (o pro futuro)→ modalità molto frequente nella
lingua colloquiale, nella quale la nozione di futuro è spesso affidata ad
elementi esterni al verbo.
Presente storico → può considerarsi l'inverso del presente pro futuro e
consiste nell'uso del presente per fatti collocati nel passato.

Imperfetto:
È il tipico tempo aspettuale: segnala infatti un'azione incompiuta nel passato; o
meglio, un'azione passata le cui coordinate restano inespresse. Si distinguono:
Imperfetto descrittivo → tipico per l'appunto delle descrizioni, è forse la specie
di imperfetto in cui si colgono meglio i valori aspettuali di incompiutezza e di
duratività.
Imperfetto iterativo → sottolinea il carattere abituale, ripetuto di un'azione; è
spesso accompagnato da un avverbio o da un'espressione temporale.
Imperfetto narrativo (o storico, o cronistico) → assume connotai perfettivi.
Imperfetto conativo → ha la funzione di enunciare fatti rimasti a livello di
progettazione, di desiderio, di rischio di accadimento, oppure appena
enunciati.
Imperfetto di modestia → non indica un'azione di tempo passato, ma si
adopera per esprimere un desiderio presente con tono garbato di apparente
rinuncia.
Imperfetto irreale → indica l'ipotetica conseguenza di un fatto che non ha
avuto luogo.
Imperfetto onirico e ludico → caratteristici dei resoconti dei sogni e delle
finzioni messe in atto nei giochi infantili.
Imperfetto prospettivo → si adopera in concorrenza col condizionale
composto, per indicare il futuro nel passato, sia in proposizioni completive sia
in proposizioni indipendenti.

Passato remoto e passato prossimo:


Il passato remoto indica un'azione sempre collocata in un momento anteriore
rispetto a chi parla o priva di legami, obiettivi o psicologici, col presente.
Il passato prossimo qualifica invece un'azione che è relativa al passato ma non
è necessariamente anteriore al momento dell'enunciazione o in cui emerge la
rilevanza attuale del processo.

Trapassato prossimo e trapassato remoto:


Il passato prossimo indica fondamentalmente un'azione anteriore rispetto a un
punto di osservazione già collocato nel passato.
Il trapassato remoto ha valore temporale analogo al trapassato prossimo e
oggi non si incontra che nelle proposizioni temporali.

Futuro semplice e futuro anteriore:

Il futuro semplice è il tempo che serve a collocare l'azione in un momento


successivo rispetto a quello dell'enunciazione. Si distingue:
Futuro attenuativo → rappresenta una modalità in un certo modo speculare
all'imperfetto di modestia, attraverso cui l'evento viene idealisticamente
dislocato nel futuro del locutore, come a voler frapporre una distanza
psicologica tra l'enunciazione e la realizzazione di un fatto.

Futuro retrospettivo → in un contesto al passato, indica la posteriorità di un


evento rispetto a un altro.

Congiuntivo

Il congiuntivo dispone di quattro tempi: presente, passato, imperfetto e


trapassato. È un modo caratteristico soprattutto delle subordinate e il tempo è,
se non strettamente vincolato, legato comunque al tempo della reggente.

Condizionale
Due sono i tempi del condizionale: presente e passato. A differenza del
congiuntivo, il condizionale ha largo impiego anche nelle frasi semplici.

Imperativo
L'imperativo ha solo il tempo presente. Alcuni grammatici classificano come
imperativo anche il futuro iussivo.

Infinito
Delle forme nominali del verbo, l'infinito (che ammette due tempi, presente e
passato), è quella di più incerta collocazione tra nome e verbo. L'infinito
compare in un numero limitato di frasi semplici. Nelle proposizioni subordinate
l'infinito figura in numerosi costrutti impliciti.

Participio
Il participio presenta due tempi: presente e passato.
Il participio presente è raramente adoperato con funzione verbale, a differenza
di quello che accadeva nell'italiano antico. Frequente invece l'uso verbale del
participio passato che si ha con i tempi composti di qualsiasi verbo.

Gerundio
Il gerundio è un modo verbale di funzioni larghissime e non sempre definibili
con precisione. È strettamente connesso a un verbo finito, sia che i due verbi
costituiscano due frasi distinte, sia che diano luogo ad una sola struttura
verbale.
Il gerundio ha due tempi: presente e passato. Se il gerundio passato
rappresenta un'azione anteriore rispetto alla sovraordinata, il gerundio
presente può indicare contemporaneità, anteriorità o anche posteriorità
rispetto alla sovraordinata.

Capitolo 12 : “L'avverbio”

L'avverbio è una parte del discorso invariabile che serve a modificare,


graduare, specificare, determinare il significato della frase.

L'avverbio (determinatore) si trova di solito vicino alla parola o al gruppo di


parole cui si riferisce

(determinato). Formazione dell'avverbio

È possibile distinguere tra avverbi semplici, composti, derivati e locuzioni


avverbiali.

Semplici: rientrano in questa categoria tutte le forme non suddivisibili in unità


minori né analizzabili in una parte lessicale e una suffissale.

Composti: sono quelli formati da due o più elementi diversi. Perché si possano
definire composti è necessario che, perlomeno virtualmente, si avverta il senso
dell'aggregazione di elementi distinti.
Derivati: si definiscono tali gli avverbi che si ottengono da altre forme
mediante un suffisso. I due suffissi oggi in uno in italiano sono -mente e -oni.

Locuzioni avverbiali: sono unità costituite da due o più parole disposte in serie
fissa, equivalenti ad avverbio. Si tratta di una categoria dilatabile quasi
all'infinito e dai confini non sempre netti.

Tipi di avverbio
Gli avverbi sono essenzialmente dei modificatori del significato, perciò è del
significato che ci si può servire quale criterio per riconoscerli e classificarli.

1 → Avverbi qualificativi: specificano la modalità di svolgimento di un'azione, e


per questo si chiamano anche avverbi di modo.

2 → Avverbi di tempo: determinano il tempo di svolgimento di un'azione.

3 → Avverbi di luogo: specificano il luogo di un'azione, la collocazione di un


oggetto nello spazio, la distanza di un oggetto dagli interlocutori.

4 → Avverbi di quantità: definiscono una quantità senza misurarla con tutta


esattezza, ma con riguardo essenzialmente all'abbondanza o scarsità di essa.
Alla base di questa opposizione sta spesso, implicitamente, il concetto di
“adeguatezza”.

5 → Avverbi di giudizio, di affermazione, di negazione: affermando o negando,


presentando come probabile o improbabile un evento, gli avverbi di giudizio
trasmettono un'informazione sull'atteggiamento del parlante in merito a
quanto sta comunicando.

6 → Avverbi interrogativi e esclamativi: gli avverbi interrogativi introducono


una frase interrogativa diretta. Distinguiamo avverbi interrogativi di luogo, di
tempo, qualificativi, di misura e di causa. Molti avverbi interrogativi figurano
anche in una frase esclamativa; così gli avverbi di luogo, i qualificativi e di
misura.

7 → Avverbi presentativi: si riducono in sostanza al solo “ecco”; questo viene


adoperato per annunciare, mostrare, indicare, presentare un evento.

Capitolo 13: “Sintassi della proposizione”


Le frasi semplici sono autonome (o indipendenti), in quanto non dipendono da
altre proposizioni ma danno vita, da sole, a un messaggio di senso compiuto.

Una frase semplice può, ovviamente, non esaurirsi in sé stessa, ma fungere da
nucleo di una frase complessa e svilupparsi in una o più subordinate; in tal caso
si parla propriamente di proposizione principale (o reggente o sovraordinata).

A seconda del tipo di messaggio che viene espresso, le frasi semplici vengono
distinte in: enunciative, interrogative, esclamative, volitive (e ottative).

Frasi enunciative
Dette anche dichiarative, consistono in un'asserzione, in una costatazione, in
una descrizione e si costituiscono generalmente con l'indicativo; non
comportano necessariamente un reazione da parte dell'interlocutore.
In alcuni casi una frase enunciativa contiene un'ordine o una preghiera.

Frasi interrogative
Contengono una domanda e, graficamente, terminano col punto interrogativo.

A seconda del rapporto che si stabilisce tra le varie componenti della frase le
interrogative si distinguono in:
Totali (o connessionali), quando la domanda verte tra soggetto e predicato;
Parziali (o nucleari), quando il legame soggetto- predicato non è messo in
discussione, ma si sollecita un'informazione particolare su un altro elemento
della frase.

Un particolare tipo di interrogativa è quella “alternativa” (o disgiuntiva), con la


quale si prospettano due possibilità di scelta.

In base al carattere dell'interrogazione possiamo distinguere:


1 → Interrogative reali. Costituiscono il tipo fondamentale e si hanno ogni volta
che si domadi qualcosa che non sappiamo e che ci interessa conoscere.
2 → Interrogative retoriche. Sono frasi che non presuppongono una reale
mancanza di informazione, ma che richiedono enfaticamente all'interlocutore
un assenso o un diniego già implicito nella domanda.
3 → Interrogative diffratte. Interrogative totali che deviano il loro corso e
dissimulano il contenuto reale della richiesta per ragioni di cortesia. Non ci si
aspetta per risposta un semplice assenso ma l'esecuzione dell'azione richiesta.
4 → Interrogative fatiche (o di cortesia). Strettamente apparentate alle
interrogative retoriche, didascaliche e narrative, consistono in formule che
ricorrono all'apertura del dialogo, per avviare in qualche modo la
conversazione, specie in situazioni formali.
Le interrogative possono assumere il modo indicativo; condizionale,
soprattutto nell'interrogativa che coincide con l'apodosi di un periodo
ipotetico; congiuntivo, per domande dubitative; infinito; in frasi dubitative.

Frasi esclamative

Qualunque frase enunciativa può diventare esclamativa quando l'asserzione sia


contrassegnata da un sentimento particolare.

Oltre che con l'indicativo, le frasi esclamative si costituiscono con: imperativo,


quando è adoperato per esprimere un augurio o un'imprecazione;; infinito, per
esprimere un'ampia gamma di sfumature semantiche, dalla riflessione
nostalgica all'ira violenta; congiuntivo, in frasi con generico valore elativo.

Frasi volitive e ottative


Frasi in cui il parlante mira a modificare una situazione esistente, attraverso
un'ordine, un consiglio, un'esortazione o un'invocazione (frasi volitive, dette
anche esortative o iussive), oppure esprimendo un desiderio (frasi ottative o
desiderative).

Vengono adoperati: imperativo, congiuntivo, condizionale, indicativo e infinito.

Capitolo 14 : “Sintassi del periodo”

La sintassi del periodo studia i rapporti che si stabiliscono tra le varie


proposizioni di una struttura comunicativa orale o scritta.

Si possono distinguere diversi tipi di relazione:


1 → Coordinazione (o paratassi). Le proposizioni, collegate mediante
congiunzione coordinativa, mantengono la propria autonomia sintattica e
semantica, ossia individuano ciascuna una frase grammaticalmente compiuta e
dotata di senso.
2 → Subordinazione (o ipotassi). E proposizioni, collegate mediante
congiunzione subordinativa, sono in rapporto gerarchico.
3 → Giustapposizione (o asindeto). Le proposizioni sono accostate senza alcun
legame formale. Si tratta di un costrutto molto frequente, sia nel parlato
corrente, sia nella prosa d'arte, in particolare in quella novecentesca.
4 → Paraipotassi. Fenomeno di coordinazione di una sovraordinata a una
precedente sua sovraordinata, di solito avverbiale o principale.

Anacoluto: ci si riferisce alla frattura di una sequenza sintattica, a


un'irregolarità nella costruzione di una frase, a un cambio di progetto che
interviene nel corso della strutturazione del discorso

Coordinazione
In base al tipo di collegamento che si stabilisce tra due o più proposizioni
coordinate si distingue tra coordinazione copulativa, avversativa e sostitutiva,
disgiuntiva, conclusiva, esplicativa.

Coordinazione copulativa: presuppone due proposizioni semanticamente


omologhe che sommano il loro contenuto, affermativo o negativo. Può essere
indicato come [A+B].

Coordinazione avversativa e sostitutiva: tra due proposizioni o tra due membri


frastici coordinati

può sussistere contrapposizione: parziale, quando il secondo elemento


introduca un contrasto, un dato inatteso rispetto al primo, ma in modo che i
due termini coesistano mantenendo ciascuno la sua validità (coordinazione
avversativa, [A però B]); o totale, quando il secondo elemento neghi, annulli in
primo, sostituendosi ad esso (coordinazione sostitutiva, [non A bensì B]).

Coordinazione disgiuntiva: si parla di coordinazione disgiuntiva (o alternativa)


quando tra i due elementi esiste un rapporto di esclusione reciproca. Può
essere indicato come [A o B]

Coordinazione conclusiva: si ha quando la proposizione coordinata si presenta


come una deduzione logica o anche come una sintesi conclusiva di ciò che è
stato detto in precedenza. Può essere indicato come [A quindi B].

Coordinazione esplicativa: la coordinazione esplicativa (o dichiarativa)


introduce una frase o un membro frastico che spieghi, precisi, riformuli ciò che
è stato affermato in precedenza. Può essere indicato come [A cioè B].
In alcuni casi l'elemento che introduce una coordinazione ha un corrispettivo
precedente: si dice allora che le due frasi o i due elementi coordinati sono
marcati da “nessi correlativi”.

Subordinazione

Una proposizione subordinata si caratterizza per la mancanza di autonomia,


ossia per la necessità di dipendere da una proposizione reggente, che può
essere una frase semplice o, a sua volta, rinviare a un'altra proposizione.

Le subordinate si dicono esplicite se contengono un verbo di modo finito,


implicite se contengono un verbo di modo indefinito.

Proposizioni completive: proposizioni che svolgono, nel periodo, la funzione di


complemento oggetto o di soggetto. Si parla dunque di preposizioni oggettive
o soggettive.
In base al tipo di reggenza le oggettive possono essere distinte in tre gruppi, a
seconda che siano rette da un verbo, da un sostantivo o da un aggettivo. La
prima è la più comune.

Proposizioni dichiarative: di natura affine alle completive, le preposizioni


dichiarative consentono di precisare o di illustrare un elemento della
sovraordinata.

Proposizioni interrogative indirette: esplicitano un dubbio, una domanda, un


quesito contenuti nella sovraordinata. Può dipendere da un verbo della
sovraordinata ma anche da un sostantivo o da un aggettivo. In tutti i casi
l'elemento reggente indica un'operazione dell'intelletto o una percezione.

Proposizioni causali: indicano la causa, il movente, la ragione che determina il


fatto espresso dalla reggente.

Proposizioni finali: indicano il fine, lo scopo, l'intenzione verso i quali si orienta


la proposizione reggente.

Proposizioni consecutive: indicano la conseguenza dell'azione o del fatto


contenuto nella reggente. Rispetto alle finali, manca l'elemento di volontarietà,
di intenzionalità caratteristico di quelle.
Talvolta il rapporto consecutivo è risolto in una giustapposizione che dal punto
di vista logico svolge funzione di consecutiva precedente la sovraordinata, ove
si trova l'antecedente.

Proposizioni di adeguatezza: proposizione affine alla consecutiva in cui la


conseguenza non è realizzata, ma collegata a un certo rapporto di intensità.

Proposizioni ipotetiche: dette anche condizionali, indicano l'ipotesi, la


condizione da cui dipende o potrebbe dipendere ciò che viene espresso nella
reggente.
L'insieme della sovraordinata e della subordinata prende il nome di periodo
ipotetico e le due proposizioni sono designate individualmente come apodosi e
protasi.

L' apodosi può essere indipendente oppure essere a sua volta una proposizione
indipendente. La protasi logica di un periodo ipotetico può essere rappresenta
da una proposizione non condizionale; talvolta può non essere espressa
formalmente, ma ricavata dal contesto.
A seconda del modo presente nell'apodosi e nella protasi, il periodo ipotetico è
stato tradizionalmente distinto in reale (indicativo), possibile (congiuntivo nella
protasi e condizionale nell'apodosi), irreale (stessi modi della precedente ma
palesemente irrealizzabile) o misto (contaminazione di modi reali e possibili-
irreali).

Proposizioni concessive: indicano il mancato verificarsi dell'effetto che


dovrebbe o potrebbe conseguire a una determinata causa, reale o supposta;
introduce, in sostanza, un elemento inatteso, una frattura logica rispetto a un
dato rapporto di causa- effetto che avrebbe più naturale espressione in una
preposizione causale. I rapporto concessivo appartiene a un livello più
complesso e astratto di quello al quale si situano gli altri legami di
subordinazione.

Proposizioni temporali: precisano quale relazione di tempo sussista con la


preposizione reggente, che può indicare un'azione contemporanea a quella
della subordinata, anteriore o posteriore.

Proposizioni avversative: indicano un dato o una circostanza che contrasta con


la preposizione reggente. Formalmente le avversative presentano una certa
affinità con le temporali, con le quali hanno in comune le principali
congiunzioni introduttive del costrutto esplicito, oltre alla libertà di
collocazione rispetto alla reggente.

Proposizioni comparative: introducono un paragone rispetto alla preposizione


reggente. Conviene distinguere tra comparazione di analogia (reale o
ipotetica), quando si istituisce un rapporto di somiglianza, e comparazione di
grado, se si stabilisce una relazione quantitativa.

Proposizioni modali: indicano il modo di svolgimento di un'azione; hanno


grande libertà di collocazione all'interno del periodo.

Proposizioni aggiuntive: indicano quelle proposizioni che aggiungono una


circostanza accessoria al contenuto della sovraordinata.

Proposizioni esclusive: introducono un'esclusione rispetto alla reggente,


sottolineando il mancato verificarsi di una circostanza.

Proposizioni eccettuative : introducono una restrizione, un condizionamento


rispetto alla reggente, avvicinandosi di volta in volta a una coordinata
avversativa.

Proposizioni limitative: esprimono una limitazione rispetto alla reggente,


sottoponendola a un

particolare punto di vista o indicandone uno specifico ambito di validità.

Proposizioni relative: svolgono nel periodo una funzione analoga alla funzione
dell'attributo o dell'apposizione nella frase semplice, predicando una certa
qualità di un elemento della sovraordinata, detto antecedente. L'antecedente
è rappresentato nella relativa da un pronome o congiunzioni relativi e consiste
in un nome, in un pronome o in un'intera frase.

Le relative possono distinguersi in limitative (o restrittive, o determinative, o


attributive) e in esplicative (o aggiuntive, o appositive).
Le prime introducono una determinazione indispensabile per individuare il
significato dell'antecedente che, senza la relativa, resterebbe sospeso; la
relativa esplicativa, invece, fornisce una predicazione aggiuntiva, non
necessaria alla compiutezza semantica dell'antecedente.
Proposizioni incidentali: dette anche parentetiche, consistono in frasi perlopiù
molto brevi inserite in forma di inciso all'interno di un'altra frase, oppure a
conclusione di essa.

Proposizioni nominale: si definisce tale una qualunque frase priva di predicato


verbale. Quando in un periodo complesso si ha forte prevalenza delle frasi
nominali sulle frasi verbali e queste ultime tendono a ridursi a costrutti
giustappositivi e coordinativi o subordinazioni elementari, parliamo di stile
nominale.

Tipi di discorso

Nel riferire il pensiero altrui possiamo ricorrere a tre fondamentali strutture


linguistiche:
1 → Discorso diretto. È la riproduzione fedele di quel che è, è stato o sarà detto
da altri o dallo stesso interlocutore.
2 → Discorso indiretto. È la parafrasi del contenuto di un discorso senza
riguardo allo stile e alla forma della supposta enunciazione originale.
3 → Discorso indiretto libero. Caratteristico soprattutto della posa narrativa
novecentesca, consiste in un resoconto indiretto, privo però di servitù
sintattiche e contenente una serie di modalità proprie del discorso diretto.

Capitolo 15 : “La formazione delle parole”

Il lessico di una lingua si arricchisce di continuo in due modi:


1) attingendo parole di provenienza straniera;
2) creando nuove parole da una base lessicale già esistente secondo modelli
formativi ben determinabili.
Il primo meccanismo, che rappresenta il rinnovamento “esogeno” di una
lingua, interessa la lessicologia; il secondo, fonte “endogena” di innovazione
linguistica, si colloca a metà fra lessico e grammatica.

Innovazione endogena
Nell'ambito di innovazione linguistica endogena si possono distinguere i
seguenti procedimenti:

Suffissazione → consiste nel modificare una base mediante un affisso che


segua la base stessa.

Alterazione → è una particolare forma di suffissazione con la quale il significato


della parola di base non muta nella sua sostanza, ma soltanto per alcuni
particolari aspetti.
È importante distinguere tra alterati vivi (sempre riconducibili alla base di
partenza ad opera dei parlanti), lessicalizzati (forme che, pur essendo in origine
degli alterati, hanno assunto successivamente un significato del tutto
autonomo rispetto alla base) e apparenti (formati mediante un suffisso che
non ha valore alterativo ma genericamente razionale).

Prefissazione → procedimento speculare alla suffissazione, poiché l'affisso


precede la base modificata.

Sviluppo di formazioni parasintetiche → parole che utilizzano


contemporaneamente il meccanismo della prefissazione e della suffissazione
partendo da una base nominale o aggettivale.

Composizione → combinazione di due o più parole distinte che danno vita a


una parola nuova.
Ai margini della composizione si collocano due particolari tipi di formazione: i
conglomerati e gli acronimi. I primi sono spezzoni di frasi che hanno finito con
l'essere trattate come una sola parola. Gli acronimi sono quelle formazioni
ottenute dalla giustapposizione di parti staccate di parole, unite in modo
spesso imprevedibile.

Nello studio della formazione delle parole si deve tener conto di due fattori: la
motivazione del procedimento formativo e la sua trasparenza: il fatto che sia
possibile un certo rapporto tra due parole non basta per innescare un processo
di derivazione. Per trasparenza s'intende l'analizzabilità da parte del parlante di
un qualsiasi derivato o composto, cioè la possibilità, anche di fronte a una
parola nuova, di individuarne i componenti.

Tuttavia in molti casi l'evidenza del processo formativo non è sufficiente per
risalire al significato, che deve essere acquisito autonomamente.

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