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ELISIONE , APOSTROFO, TRONCAMENTO e APOCOPE

ELISIONE

Fenomeno linguistico consistente nella scomparsa di vocale finale davanti


a vocale iniziale di parola seguente per evitare che si formi iato. In italiano,
dove è segnata con l’apostrofo, è normale negli articoli lo, la, una davanti
a vocale e nelle preposizioni articolate composte con lo, la; è antico o
letterario nell’articolo le e nelle preposizioni articolate composte con le. È
inoltre frequente in alcune congiunzioni e in alcuni aggettivi, pronomi,
avverbi, preposizioni. Non è obbligatoria in senso assoluto in nessuna di
queste parole, ma è più frequente con alcune (questo, quello, di, si, ci,
pronome o avverbio, davanti a vocale palatale), molto meno con altre
(pronomi personali).

Per la caduta di vocale finale che avvenga non solo davanti a vocale ma
anche davanti a consonante ➔ troncamento.

Nella scrittura del greco antico, l’e. è la soppressione di una vocale breve
finale di una parola davanti alla vocale iniziale della parola seguente; è
indicata dall’apostrofo; nella pronuncia doveva esserci piuttosto la fusione
delle due vocali, cioè la sinalefe. In latino l’e., che nella scrittura non è
indicata, avviene nella pronuncia mediante la soppressione della vocale
finale di una parola cui segua una parola con vocale iniziale.

L’elisione è la soppressione (dal latino elisionem ‘ferita’) della vocale alla


fine di una parola davanti alla vocale iniziale della parola successiva

l’amore (anziché lo amore)

L’elisione è segnalata nello scritto tramite l’➔apostrofo.


Si ricorre all’elisione con diversi tipi di parole.

• Con gli ➔articoli:

– l’elisione è obbligatoria quando l’articolo singolare maschile lo è seguito


da una parola che comincia per vocale

*lo amico ▶ l’amico

*lo inizio ▶ l’inizio

*lo esercizio ▶ l’esercizio

– l’elisione è normale ma facoltativa quando gli articoli singolari


femminili la e una sono seguiti da una parola che comincia per vocale

la amica ▶ l’amica

la esposizione ▶ l’esposizione

una amica ▶ un’amica

una esposizione ▶ un’esposizione

– l’elisione è possibile, anche se ormai rara e da evitare per via del gusto
arcaizzante che caratterizza queste scelte, con gli articoli plurali gli davanti
a parola che inizia per i (gl’indigeni) e con le davanti a una parola che
comincia con una qualsiasi vocale (l’eliche).

• Con le ➔preposizioni articolate

*dello occhio ▶ dell’occhio

*nello atrio ▶ nell’atrio


• Con la preposizione di

d’altro canto

la proposta ha un qualcosa d’avvincente

• Con i ➔pronomi personali atoni lo, la, mi, ti, ci, si, vi, ne, ve

la ho visto ▶ l’ho vista

lo ho cercato ▶ l’ho cercato

si arrende ▶ s’arrende

• Negli aggettivi ➔numerali cardinali e ordinali

cento anni ▶ cent’anni

la sest’ultima volta

• Con questo, quello, alcuna, quanto

questo avvenimento ▶ quest’avvenimento

quanto altro ▶ quant’altro

• Con po’ (poco)

un po’ di pane

ne voglio un po’

Inoltre, in alcuni casi la caduta di una vocale per elisione porta all’unione
di due forme in un’unica parola:

– con il prefisso ri- davanti a parola che inizia per a


ravvedersi (ri + avvedersi)

– nella composizione di alcune parole (base + suffisso)

elegantone (elegante + one, con elisione della -e finale della base).

VEDI ANCHE troncamento

TRONCAMENTO

In linguistica, lo stesso che apocope, ossia caduta di uno o più fonemi in


fine di parola.

In grammatica italiana, caduta di vocale (o di sillaba) finale che avvenga


tanto davanti a vocale quanto davanti a consonante (per es., il t.
di uno in un, così in un altro come in un gatto), intendendosi invece
per elisione una caduta di vocale (non di sillaba) finale che
avvenga solo davanti ad altra vocale (per es., l’elisione dell’-
a di una in un’altra, ma non in una gatta). Il t. in italiano può consistere
nella caduta di una vocale o di una sillaba finale. La vocale o la sillaba che
cade può essere preceduta da una consonante o da una vocale. Si può avere
t. in consonante, purché concorrano queste condizioni: a) che la parola
contenga due o più vocali; b) che la parola termini in -e, -i, -o (delle parole
in -a si troncano solo il sost. suora davanti a nome di persona, e
l’avv. ora e i suoi
composti allora, ancora, finora, ognora, sinora, talora); c) che la vocale
finale sia preceduta da l, ll, n, nn, r, o anche (ma è raro) da rr o da m (in
espressioni come Tor di Quinto, andiam via). Se la consonante è doppia
(ll, nn, rr), in caso di t. davanti ad altra consonante si scempia (per
es., caval donato), mentre davanti a vocale la parola non si tronca (per
es., fanno amare); soltanto i quattro aggettivi bello, grande, quello, santo
hanno una forma troncata, in uso davanti a consonante, diversa da quella
con semplice elisione, in uso davanti a vocale. In poesia si fa un ampio uso
del t., anche quando la parola troncata non si appoggi né per il senso né per
l’accento a quella che segue (per es., Piacemi al men ch’e’ miei sospir sian
quali Spera ‘l Tevero e l’Arno E ‘l Po, Petrarca). Nei casi in cui secondo
l’uso normale il t. è teoricamente possibile, non per questo è obbligatorio
farlo, salvo in certi incontri e soprattutto in certe locuzioni più o meno fisse
(per es., bel bambino, quel castello, signor Giulio, buon diavolo; ragion
per cui, mal di cuore ecc.); altre volte, il t. è facoltativo (per es., siam
partiti, son poveri, han fatto), e si trova applicato più spesso
nella lingua antica che in quella di oggi, più spesso nella lingua parlata che
in quella scritta. Il t. in consonante non è mai segnato con l’apostrofo,
salvo in casi rarissimi come ver’ o ver (poet. per verso) e com’ (poet. o ant.
per come). Il t. in vocale si può avere in questi casi: a) quando
un dittongo discendente finale di parola perde, in posizione proclitica, la
vocale debole (per es., a’, co’, da’, de’, ne’, pe’, su’, tra’,
per ai, coi, dai, dei, nei, pei, sui, tra i; be’, que’, per bei, quei; e’, i’,
per ei, io; da’, fa’, sta’, va’ per dai, fai, stai, vai); b) quando un bisillabo
proclitico perde la seconda sillaba e rimane con la prima terminante in
vocale (per es. gua’, po’, to’, vo’ per guata, poco, togli, voglio). Come si
vede dagli esempi, il t. in vocale è segnato quasi sempre con l’apostrofo.

La parola tronca in grammatica è quella che ha l’accento sulla sillaba


finale (per es., in it., venerdì, virtù, caffè); per estensione, verso t., il verso
che termina con parola tronca.

In matematica, metodo per approssimare un numero reale, consistente nel


trascurare le cifre decimali che compaiono dopo un posto prefissato: per
es., approssimando per troncamento π=3,14159 ... a meno di un millesimo,
si ottiene 3,141 (mentre per arrotondamento si ottiene 3,142).
APOCOPE
Caduta di una vocale finale e in generale di uno o più fonemi al termine di
una parola (dir per dire, son per sono, gran per grande).
Apocope
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In linguistica, l'apocope, detta anche troncamento, indica la caduta di un fono o di
una sillaba nella parte finale di parola.
Il fenomeno può essere sia l'esito finale di un processo di trasformazione della parola nel
corso dei secoli, che si attesta, in questo caso, sotto una nuova forma d'uso corrente
(città(de) e libertà(de)), dove il "troncamento" è permanente e del tutto indipendente dal
contesto fonologico circostante, sia l'effetto di un'esigenza eufonica che porta alla
soppressione della parte finale della parola per evitare incontri o fenomeni fonetici, come
la rima, avvertiti talvolta come cacofonici.
Benché quest'ultimo caso assomigli molto al fenomeno dell'elisione, anch'esso di natura
eufonica, l'apocope si differenzia per la capacità della parola "tronca" di conservare e
comunicare il suo significato, anche se pronunciata isolatamente [1], cioè in assenza di un
contesto frasale; la distinzione tra i due fenomeni ha importanti conseguenze ortografiche,
poiché l'elisione è sempre accompagnata dall'apostrofo, mentre il troncamento solo in pochi
casi.

Indice

 1L'apocope nell'italiano
o 1.1Apocope vocalica ed elisione
o 1.2Troncamenti con apostrofo
 1.2.1Forme letterarie
 1.2.2Errori comuni
 2Esempi di apocope in arabo, cinese e yoruba
 3Nota
 4Bibliografia
 5Voci correlate
 6Altri progetti
 7Collegamenti esterni

L'apocope nell'italiano[modifica | modifica wikitesto]


Nell'italiano moderno esistono diverse ossitone, originate dal troncamento di vecchie
forme parossitone per effetto di un'aplologia; è il caso di parole di derivazione latina come:
città(de), libertà(de), virtù(te), tutte parole che col tempo hanno perso la sillaba finale "-de" o
"-te"[2], e che oggi vengono considerate vere e proprie forme "piene" e non "tronche", come
invece erano considerate in passato, quando ancora si avvertiva la loro derivazione dalle
forme allora avvertite come piene. Dette forme oggi resistono soltanto come varianti letterarie
o poetiche, ma sono obsolete nell'uso quotidiano [3].
Parallela alla presenza di parole del cui processo di troncamento non si ha ormai più
coscienza, esistono forme attuali di parole apocopate il cui status di forma "tronca" è invece
avvertito del parlante, in opposizione alla forma intera del vocabolo originario che viene
sentito come "pieno". È questo il caso di parole come fior(e), man(o), bel(lo), il cui uso è
spesso guidato nella lingua da esigenze eufoniche, ma anche in vere e proprie locuzioni fisse
che si sono nel tempo consolidate:

 il fior fiore della società


 uomo mano che
Frequente è la presenza delle forme tronche, infatti, quando si ha la ripetizione della stessa
parola (come nell'esempio di sopra), o anche quando si ha la vicinanza di parole col
medesimo suffisso: nei verbi con la stessa desinenza, se espressi all'infinito, si assiste
spesso alla caduta dell'ultima vocale; l'effetto che sovente si cerca di evitare in questi casi è
la presenza di una rima, che viene considerata stilisticamente sconveniente nella prosa, se
non motivata da specifiche esigenze di richiamo dell'attenzione del lettore o da necessità
espressive.
L'apocope nell'italiano è possibile solo a determinate condizioni:

1. Lasciando una forma "tronca" che finisca per vocale (Fra(te), po(co), a mo(do) di)
oppure con una consonante che faccia tipicamente parte della coda sillabica nella
lingua italiana:-l, -n, -r, raramente -m (si tratta di lettere che normalmente possono
trovarsi dentro una parola prima di un'altra consonante, anche senza raddoppiamento
consonantico).
2. La parola che segue non deve cominciare per s impura, z, x, gn, ps.
Apocope vocalica ed elisione[modifica | modifica wikitesto]
L'apocope vocalica può facilmente essere confusa con l'elisione. Tuttavia vi sono due precise
motivazioni per non confondere i due fenomeni:

1. L'apocope non richiede mai la presenza dell'apostrofo (tranne un numero limitato di


casi facilmente rintracciabile nei dizionari), l'elisione sempre; inoltre, in quei casi in cui
l'apostrofo indica un'apocope esso deve essere graficamente separato dalla parola
che segue da uno spazio grafico; nell'elisione, invece, la parola che segue è attaccata
all'apostrofo.
2. L'apocope può avvenire anche davanti a consonante, mentre l'elisione avviene
soltanto davanti a una vocale. Pertanto, una parola apocopata può essere usata in
qualsiasi contesto fonetico, mentre una parola elisa è sempre seguita da parole
inizianti per vocale.
Tuttavia vi sono eccezioni e casistiche in cui rintracciare tale confine non è così agevole,
specie se vi è un comportamento grammaticale della parola particolarmente complesso, e
non è infrequente in alcuni casi anche incappare in dubbi interpretativi. Si pensi, per esempio,
al caso di un autista o un'autista: nel primo caso il conducente è un uomo, nel secondo una
donna.

 Uno e i suoi derivati (alcuno, ciascuno) e buono si troncano in un e buon davanti a parole


di genere maschile, mentre si elidono in un' e buon' davanti a parole di genere femminile,
che incominciano per vocale; in questo caso la presenza dell'apostrofo può essere
distintiva per capire il genere del soggetto indicato.
 Tale non si elide e così pure, solitamente, quale; essi si troncano in qual e tal.
Nondimeno, vedi più sotto per il caso di qual è o qual'è.
 Quello, bello e altre parole in -ello (es. castello) davanti alle parole maschili che iniziano
per consonante si troncano in -el; davanti invece a parole, sia femminili che maschili, che
iniziano per vocale si elidono in -ell' (es. bell' e quell').
 Grande e santo davanti a sostantivi maschili (grande anche davanti a quelle femminili,
es. in gran parte) che iniziano per consonante si troncano in gran e san; davanti invece a
nomi, sia femminili che maschili, che iniziano per vocale si elidono in grand' e sant'.
Troncamenti con apostrofo[modifica | modifica wikitesto]
Nell'evoluzione grafematica della lingua italiana dell'ultimo secolo, si è attestata la regola
grammaticale per cui di norma l'apocope non va mai segnalata con l'apostrofo, tranne nei
casi di apocope sillabica in cui si verifichino entrambe le seguenti condizioni:

1. la forma tronca risulta uscente in vocale;


2. la vocale finale non richiede il raddoppiamento fonosintattico con la parola seguente[4]
Quest'ultima parte sull'apostrofo non sarebbe comunque strettamente normativa, come
invece avviene per l'elisione, e non mancano infatti eccezioni, né pareri discordanti fra i
principali linguisti e grammatici italiani contemporanei.
In italiano l'apostrofo è sempre usato in:

 po' per poco
 e a mo' di per modo
Fatti salvi i casi più rari riportati sotto, si tratta degli unici due casi di apocope in cui tutti i
grammatici concordano nell'obbligatorietà dell'apostrofo; tuttavia non vi sarebbero reali
necessità linguistiche in quanto non esistono nella lingua italiana altre parole omografe in
grado di generare eventualmente confusione: le parole po e mo infatti non esistono se non
come sigle o abbreviazioni[5], e l'unica occorrenza omografa di senso compiuto di Po indica
chiaramente il suo statuto di nome proprio dalla maiuscola.
Più che un troncamento, ca', presente nella toponomastica e nei nomi dei palazzi storici
dell'Italia settentrionale, è una trascrizione scorretta di cà, cioè casa nelle lingue gallo-
italiche e veneta: l'apostrofo impropriamente sostituisce l'accento che dovrebbe sormontare la
A maiuscola.
Nel contesto famigliare, invece, sono diffusi i troncamenti degli appellativi
famigliari: ma' (mamma), pa' (papà), zi' (zio), che solitamente hanno un uso solo orale, ma
che, se devono essere scritti, vengono riportati con l'apostrofo e non con l'accento. Diffuso
nell'uso colloquiale è anche il regionalismo toscano mi' in luogo dell'aggettivo
possessivo mio/mia miei/mie, usato sempre però solo in posizione proclitica.
L'apostrofo è invece talvolta usato sulle forme verbali dell'imperativo, alla seconda persona
singolare, dei verbi: andare, dare, dire, fare, stare, per distinguerli da una forma, altrimenti
omografa, dell'indicativo presente, che però si rifà alla terza e non alla seconda persona
singolare.
va' per vai eventualmente confondibile con (egli) va
da' per dai eventualmente confondibile con (egli) dà
di' per dici (imperativo) eventualmente confondibile con dì (giorno)
fa' per fai eventualmente confondibile con (egli) fa
sta' per stai eventualmente confondibile con (egli) sta
Su questo uso dell'apostrofo non vi è unanime consenso tra i linguisti [6],
tranne, ovviamente, nei casi di possibile ambiguità che generalmente
vengono fugati dal contesto. Unici casi più a rischio di confusione sono per
il verbo dare e fare:

 nel verbo dare per l'indicativo dà sopperisce di fatto già la presenza


dell'accento grafico, tuttavia l'imperativo apocopato, senza apostrofo,
potrebbe essere confuso con da preposizione;
 per il verbo dire l'imperativo ammette entrambe le forme dì e di', tuttavia
la prima è confondibile con dì indicante giorno, e l'imperativo
apocopato, senza apostrofo, sarebbe facilmente confondibile
con di preposizione.
Altri casi di ammissibilità dell'apostrofo nell'apocope sono
le interiezioni derivate da troncamento di parole, specialmente
in imperativi alla seconda persona; il significato era già fissato nell'uso
interiettivo:

 be' per bene usato nel significato di «bene/ebbene»


 te' per t(i) eni!
 to' per togli! inteso nell'antico significato di «prendi!»
 marsc' (/marʃ/) (più che altro un tentativo di scrivere con ortografia
italiana il francese marche da cui deriva)[7] o marc' (/marʧ/)
per marcia! tipico nella forma «avanti marsc'!»
 va' per varda! forma arcaica di «guarda!»
 ve' per vedi! usato sempre nel significato di «guarda!»
Di tali apocopi, però, è frequente trovare forme derivate con l'aggiunta
dell'acca: beh, teh, toh, march, vah, veh, forme che spesso vengono usate
in contesti in cui tali interiezioni hanno perso nell'uso comune la loro
sostituibilità con le forme originarie. In queste forme l'acca si incontra talora
prima della vocale (bhe, mha ecc.): questo uso è considerato errato[8]. Da
notare inoltre la forma vabbè, usata al pari di va be' e va beh[8].
Forme letterarie[modifica | modifica wikitesto]
In ambito letterario erano presenti forme tronche, ormai desuete, di quasi
tutte preposizioni articolate al maschile plurale, derivate dalla fusione con
l'articolo "i":
da' (dai); a' (ai); de' (dei); ne' (nei); co' (coi); su' (sui); pe' (pei); fra'[9] (frai).
Su tale solco possiamo anche riportare le forme
di quei e bei: que' e be'.
Antiche forme letterarie che invece potrebbero portare alcuni problemi
interpretativi invece sono:
 e' come troncamento di due pronomi: la parola eo (che vuol dire
«io» dal latino ego) prima persona; ei dà egli terza persona
singolare.[10]
 i' per io
 me' con diversi significati:
- meglio
«Ond'io per lo tuo me' penso e discerno / che tu mi segui»
( Dante Inf. I , 112-113 )
«Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono»
( Dante Inf. II , 36 )
- meo poeticamente mio
«quando l'augel pia, allor disïa - 'l me<' cor drudo avere -»
(Cavalcanti, Rime "In un boschetto trova' pasturella", 13-14)
- mezzo nel senso di «la metà»
«e così andando s'avvenne per me' la cesta sotto la quale era il
giovinetto»
(Boccaccio Dec. V, 10)

 po' per poi[11]
 pro' per prode
«io so che voi siete divenuto un pro' cavaliere»
(Boccaccio, Dec. II.10)
Errori comuni[modifica | modifica wikitesto]
In alcuni casi di monosillabi tronchi viene talvolta fatta
confusione tra l'accento grafico e l'apostrofo, dando così
origine a forme diffuse che generalmente non sono
accettate; le principali sono:

 pò (grafia corretta: po') "poco"


 a mò di (grafia corretta: a mo' di)
 fe' (grafia corretta: fé) "fede"[6]
 pie' (grafia corretta: piè) "piede"[6]
La grafia qual'è (per qual è) è considerata errata dalla
maggior parte delle fonti sulla base del fatto che quale non
richiede l'elisione, in quanto esiste la forma apocopata qual;
non mancano però i pareri contrari, che fanno notare come
detta forma qual sia antiquata o rara. Unanime è invece il
consenso sulla non accettabilità di tal'è (per tal è).[12][13]

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