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Fonetica sperimentale II – Lorenzo Filipponio

Lezione 1 23/11/2020

Ci concentreremo su dati fonologici dell’Italia settentrionale.

Prova finale è uno scritto attraverso moodle a risposta aperta e farla il venerdì successivo.

Parole non trattate in isolamento ma all’interno di frasi di senso compiuto. Compromesso tra le tipiche
forzature di laboratorio e il parlato vero spontaneo.

Dove si scende nello spettro sotto i 50 dB sono sicuramente consonanti sorde, probabilmente occlusive.

Linea gialla sullo spettro è l’intensità

Linea blu segna il vibrare delle corde vocali, quindi fondamentalmente una vocale.

Formati: elemento linguistico o affisso che viene aggiunto alla parte radicale di una parola, formando un
tema verbale o nominale.

Analizziamo noi l’oca di Vidiciatico : 209 millisecondi x vocale tonica

109 millisecondi per consonante postonica

Fase di risoluzione di una consonante da cercare es: /pa/ quasi inesistente; /ta/ poca; /ca/ un po’ di più.

Vocali toniche posteriori hanno sempre le due formanti vicine tra di loro

/Oca/ in bolognese /o/ -> vocale posteriore medioalta (breve)

a vid /ϲ/ -> vocale posteriore mediobassa (lunga)

per Rholfs alla base della spiegazione del passaggio da /ϲ/ in italiano a /o/ bolognese c’è una dittongazione
*/uo/ precedente che ha portato dalla vocale aperta alla vocale chiusa. In realtà non è così. Si è avuto
semplicemente un innalzamento.

ə = formanti dello schema sono equidistanti sullo spettrogramma; cioè le onde non sono condizionate quindi
lo spettro è molto omogeneo.

Il peso fonologico è dato quindi dalle vocali e non dalle consonanti:

il rapporto è 2:1 tra vocale tonica e consonante postonica quando la vocale è lunga, 1:1 quando la vocale è
breve. La vocale è quindi il parametro sintagmatico più importante da un punto di vista fonologico.
Lezione 2 24/11/2020

Geminazione delle consonanti in postonia rende questa lunghezza fonologica distintiva trasparente anche da
un punto di vista fonetico.

Si può decretare l’esistenza di lunghezza fonologica distintiva anche in varietà che in postonia mantengono
delle consonanti più o meno geminate.

A prescindere dalla lunghezza assoluta delle vocali toniche e delle consonanti postoniche quello che poi conta
sulla catena sintagmatica è anche il rapporto di quantità che si viene a creare fra le prime e le seconde che è
un parametro importante perché ci permette di oltrepassare i problemi che si creano dalla velocità d’eloquio
del parlante.

Oggi vediamo un’altra coppia di parole in c’è opposizione di quantità vocalica:

/nipoti/ /fette/ -> In postonia oggi abbiamo un’occlusiva dentale.

/bolle/ /pali/ -> con in postonia una sonorante.

Partiamo con lo spettrogramma da fetta:

vocali si riconoscono;

occlusiva con una fase di risoluzione piuttosto lunga cui corrisponde sull’oscillogramma un mezzo
sconquasso.

Labiodentale sorda: sullo spettrogramma si vede un segnale abbastanza debole e piuttosto diffuso,
aperiodico. Si vede segnale periodico se è sonora, non se è sorda. Macchie grigie e distribuite in modo
abbastanza eguale sullo spettro, le sibilanti di vedono in alto, dai 2000 Hz in su.

60:51 rapporto tra vocale tonica e consonante postonica. Quindi praticamente 1:1.

Consonanti sonanti/sonoranti sono [ l ] e [ m ].

Secondo parlante per fetta (Monte di badi)

Il rapporto sintagmatico tra vocale tonica e consonante postonica è di grande aiuto per dirimere le questioni
perché qui la velocità d’eloquio è più tranquillo del primo.

114:109 rapporto tra vocale tonica e consonante postonica. Quindi praticamente 1:1.

Questo vuol dire che la [e] tonica di fetta è breve.

Terzo esempio per fetta

Caratteristica di interesse dialettologica; siamo a Bologna città.

99:97 Anche qui il rapporto tra la vocale tonica e consonante postonica è pari a 1:1.

Ma qui l’informatore non dice “fetta” dice “fatta”, quindi abbiamo una depalatalizzazione della e che si riduce
ad a.

Le vocali hanno delle fasi centrali stabili, le fasi laterali invece hanno delle transizioni.

Vocali quindi sono fonologicamente brevi e andando dalla montagna verso il piano tendono ad aprirsi:
1. [‘fet:a]
2. [‘fɛt:a]
3. [‘fat:a]

Tendenza all’abbassamento delle vocali brevi, cui tra l’altro corrisponde una tendenza all’innalzamento delle
vocali lunghe è la stessa tipica traiettoria che hanno le vocali nell’inglese nelle vowel shift ma è anche la tipica
traiettoria che hanno le vocali toniche del gallo-romanzo, in particolare il francese nel passaggio da langue
d’oil al francese contemporaneo. Le vocali lunghe di solito o si innalzano o dittongano.

Vediamo le vocali toniche lunghe seguite da una occlusiva dentale: “nipote”

parlante di Montacuto; nipote = ‘nvod’

sincope della vocale

pretonica, che crea anche una sorta di prostesi per cui da nipote si arriva a “anvodo” ma qui la vocale che
precede la parola si è mangiata anche la a di “anvodo”. Continuamente sonoro. Dobbiamo cercare il confine
tra ostruente sonora e vocale tonica. Essendo il parlante donna, questo ritmo verticale che si intuisce nella
configurazione spettrografica è più fitto. Questo ritmo verticale è in funzione della frequenza fondamentale,
cioè quella determinata dalla vibrazione delle corde vocali. E data la conformazione, proprio anatomica, delle
corde vocali femminili rispetto a quelle maschili, che sono un po’ più piccole, la frequenza fondamentale è
più alta e questo si riflette anche nelle maglie verticali un pochino più fitte nello spettrogramma. E questo è
un trucco per cercare di capire al volo se abbiamo a che fare con un informatore o con una informatrice.

Quando si alternano suoni sordi e suoni sonori la segmentazione è molto più semplice. Quando abbiamo solo
suoni sonori è ancora peggio, c’è una specie di mare di sonoranti e vocali.

135:56 rapporto è 2:1 che ci fa capire che la vocale è lunga.

secondo esempio per nipote da Monte di badi

Di solito la posizione prepausale si riconosce per il declino progressivo dell’intonazione (righetta blu verso il
basso) perché questa posizione porta a dei meccanismi di allungamento che influiscono moltissimo sul dato.

Qui non c’è la sincope della pretonica “nivode”.

Qui l’oscillogramma è molto fitto sia perché la lunghezza di questo segnale è superiore al secondo e poi anche
perché la frequenza fondamentale di questa informatrice è particolarmente alta (vocina) che si riflette anche
sulle caratteristiche dello spettrogramma. Le consonanti dentali sono acute e ci sono transizione verso l’alto
e infatti la formante si impenna che prelude alla dentale che segue, poi fase di occlusione/di risoluzione. 239
millisecondi, quindi rapporto > 2:1.

Di fronte a una velocità di eloquio elevata fare distinzione è più complesso.

Terzo esempio per nipote (Bologna città)

Le vocali brevi tendono ad abbassarsi. Vediamo ora le vocali lunghe. La o lunga di nipote è etimologica

“Nvaud” > dittongo discendente dalla lunghezza abbastanza spropositata

Dal punto di vista fonologico di nuovo il rapporto sintagmatico ci dà un rapporto di circa 2:1.
Vedremo poi degli spettrogrammi con dei proparossitoni che si evolvono in un certo modo:

Bologna vs Badi (frazione di Castel di Casio)

Badi “palo”

Questa o postonica crea questa specie di gracchiamento. Sempre rapporto 2:1, quindi quella a è lunga

Bologna “palo” > “pɛl”

Anche qui rapporto 2:1 ma con lunghezze molto più dilatate.

La a tonica lunga si palatalizza. Se vediamo le formanti vediamo delle formanti molto stabili, con la tipica
configurazione con F1 630 e F2 1730 = situazione canonica per una vocale anteriore medio bassa. Vocali
posteriori hanno le prime due formanti ravvicinate e l’unica differenza è che andando da [ o ] verso [ u ] le
due formanti tendono ad abbassarsi nello spettro, [ a ] ha le due formanti ravvicinate ma sono piuttosto tra
800-1200/1300. Mentre andando verso la [ i ] cioè verso le vocali anteriori, la prima e la seconda formante
cominciano a divergere, quindi [ ɛ ] ha 600-1600/1700 Hz; [ e ] 500-1900; [ i ] ha una F1 molto bassa, simile a
quella di [ u ], ma ha una F2 altissima perché è la vocale più alta di tutte.

F1 Indice dell’apertura dell’angolo intramascellare mentre F2 è un indice di anteriorità. Quindi la F2 più bassa
ce l’ha la [ u ], F2 più alta ce l’ha la [ i ].

Cfr. Uguzzoni 2010 p. 130.

Vediamo la distinzione tra [pepa] e [pe:pa]

Analisi che si incentra su parole bisillabiche si riscontrano differenze trascurabili tra consonante postonica e
vocale breve, e consonante postonica e vocale lunga. Mentre si riscontra una differenza importante se si
analizza il rapporto tra le vocali. Vediamo il rapporto: vocale tonica di [pe:pa] 151 millisecondi; vocale tonica
di [pɛpa] è lunga 61 millisecondi.

- [pe:pa] qui abbiamo una consonante postonica che è lunga come la vocale tonica. Rapporto 1:1.
Come è possibile? Un fattore di disturbo è il fatto che la consonante in postonia è la [p] che in questi
dialetti in postonia mantiene una forza intrinseca particolare che fa sì che il risultato sia di questo
tipo. Se ci fosse un’altra consonante postonica non sarebbe così tragica questa situazione. In
particolare l’occlusiva bilabiale sorda (e in generale le bilabiali) è intrinsecamente molto forte in
queste varietà.
- Ma il presupposto da cui si parte è che qui non si confronta la vocale tonica con la consonante
postonica, ma si fa un confronto paradigmatico tra una vocale tonica e l’altra da una parte e tra una
consonante postonica e l’altra, dall’altra. Che è un confronto legittimo solo se lo si accompagna anche
da un confronto sintagmatico.

Cfr. Loporcaro 2006

Si occupa di durata consonantica nel dialetto di Lizzano. Lunghezza vocalica distintiva qui, e non
consonantica. Pp. 513-514.

La degeminazione consonantica è assolutamente completa e completata in protonia (es. donnina > donina;
gallina > galina, ecc.), mentre in postonia c’è ancora un rapporto tra la durata della vocale tonica e la durata
della vocale postonica. Così da avere qualche difficoltà a decidere cosa è fonologico e cosa è allofonico.

Se c’è degeminazione protonica generalizzata questo è già un indizio che delle due è la vocale quella che
comanda e la consonante quella che si adatta. Però c’è un metodo per uscire da queste peste:
prendiamo degli ossitoni che terminano con una vocale tonica e se in quella posizione dove non c’è nessun
condizionamento che segue, perché la parola finisce con quella vocale, ho opposizione di quantità allora sono
sicurissimo che a essere fonologicamente dirimente è la quantità vocalica e non quella consonantica.

[kan’ta] (cantato) 45 ms vs

[kan’ta:] (cantate) 134 ms

Ragionamento di nuovo di carattere paradigmatico, ma è interessante perché in questa posizione dove non
c’è condizionamento della consonante che segue, si vede che c’è una differenza fonetica stabilmente
manifestata dai parlanti anche in posizione interna di frase.

Perché Loporcaro et alii hanno trovato quantità consonantica allofonica? Cioè hanno trovato che dopo le
vocali fonologicamente brevi toniche ci sono consonanti allofonicamente lunghe. Perché hanno chiesto le
parole in lista, si sono fatti ripetere in dialetto la parola che cercavano. Questo è esattamente l’effetto
prepausale. Si genera un meccanismo prosodico per cui tutte le parole bersaglio sono in posizione
prepausale, la quale crea un allungamento che è maggiore quanto vicino il segmento è alla fine
dell’enunciato. Quindi la [ a ] di ‘fetta’ si allunga più della [ e ] di ‘fetta’ perché è più vicina alla fine. Quindi un
tratto così diventa palesemente allofonico perché la prepausalità lo esalta.

Lunghezza distintiva della vocale è un tratto se presente ancora periferico. È entrato in virtù di un fenomeno
fonetico, ma non ha aggredito tutto il sistema. Il comportamento delle consonanti postoniche di sambuca è
molto più toscano rispetto al lizzanese.
Lezione 3 25/11/2020

differenze tra lingue che tendono a smantellare il loro vocalismo atono in nome di uno accentuale;

accento tonico vs. accento melodico

meccanismo di intensità cui vogliamo far corrispondere uno smantellamento del vocalismo atono possiamo
vederlo attraverso parole che abbiano a disposizione un po’ di materiale atono. Lo vediamo con le
proparossitone, che hanno due sillabe a destra dell’accento.

Es. 1 Dal punto di vista del vocalismo atono qui in questo esempio “il latte tiepido” ci troviamo perfettamente.

Es. 2 Informatore di Vidiciatico: qui abbiamo perso la postonica intermedia alta, la I di /tevido/.

Castel di Valico: qui la e tonica è aperta e non chiusa

Castello di Serravalle: la e diventa a

La p è abbastanza particolare perché viene sempre realizzata con intensità notevole e questo vale sia per /p/
che per /m/. Presenza di /m/ in postonia causa la brevità fonologica della vocale tonica precedente. P in
postonia può solo essere il risultato di una degeminazione di quella p e quindi la vocale tonica precedente la
p deve essere per forza breve.

Nei dialetti settentrionali (per es. bolognese) c’è opposizioni tra vite (vi:d) e vita (vetta)

Perché /tevido/ si comporta in maniera diversa da tavola < /tevla/

Tevd = forza consonantica sale, vedi come esempio muta cum liquida, pr che è attacco di

Tevl = forza consonantica scende

In termini di strutture sillabile determina che vd è l’attacco di una sillaba, vl potrebbe essere la coda di una
sillaba

Proparossitoni intercettati dall’allungamento della vocale ?????

Vipera eccezione alla regola delle proparossitone perché c’è una occlusiva

Non vale neanche quando vocale postonica è una succedanea della o breve, e breve latine.

E breve latina > dittongo ascendente ie > e medioalta latina

Se guardo comportamento muta cum liquida che segue vocale tonica di solito l sparisce. Ma eccez: questi
nessi rinforzati quando vocale tonica che precede è un dittongo ascendente

Sfuggono alla riduzione fonologica della voc atona i parossitoni che

Vedere la differenza tra vocali tese e vocali rilassate

A livello cronologico avviene prima la sincope e poi l’apocope


Lezione 4 26/11/2020 pt. 1

Osservando il comportamento dei proparossitoni etimologici abbiamo visto che ci sono due cose significative:

1. C’è una progressiva riduzione del vocalismo atono: prima la sincope e poi l’apocope. Segno che
probabilmente va messo in relazione con l’accento dinamico o intensivo.
2. Salvo un’eccezione (vipera) la vocale tonica dei proparossitoni anche quando in sillaba aperta, quindi
originariamente lunga, poi viene riaccorciata, e questo accade quando i proparossitoni sono ancora
tali, cioè quando le vocali atone non sono ancora cadute.

Le eccezioni sono determinate da un criterio:

che la sequenza di consonanti che segue la vocale tonica, a prescindere dalle consonanti atone che ci stanno
in mezzo, possa fungere da attacco di una sillaba e però una volta assunto questo criterio come via di fuga
all’accorciamento della vocale tonica, ci sono due eccezioni:

1. Che la vocale tonica sia in partenza rilassata e che poi si evolva in un dittongo ascendente
2. Che la consonante che segue sia un’occlusiva. Avere delle occlusive lì vorrebbe dire avere delle
geminate che si sono scempiate.

Perché proprio una occlusiva postonica viene attratta dalla vocale tonica con la conseguenza che la vocale
tonica poi nel proparossitono diventi breve?

Vale questo per le lingue che hanno un accento dinamico/intensivo.

L’innalzamento della vocale tonica quindi comprime tutto. E in questa compressione, un fenomeno che
accade di frequente è che la vocale tonica che si abbrevia attragga a sé la consonante postonica. Si capisce
perché un nesso sillabico che può essere un attacco sillabico non viene attratto così bene: proprio perché è
un attacco sillabico. Però l’occlusiva per sua natura, per la sua articolazione, è troppo veloce e viene
fisicamente attratta come un magnete dalla vocale tonica.

Ci troviamo allora nella situazione in cui sembra l’occlusiva postonica anche quando è breve si comporti come
una geminata dell’italiano standard, cioè ci verrebbe da mettere il confine sillabico dentro questa occlusiva.
Cfr. Martinet 1966 sul close contact

Se prendiamo il tedesco come esempio e prendiamo una coppia minima che si considera fonologicamente
tale per la lunghezza della vocale.

“Affitto” Miete

“metà” mitte > si sente un legame tra la vocale tonica e la consonante postonica che rende anche
intuitivamente molto difficile una scansione sillabica del tipo: mi – tte, ma piuttosto avremo una scansione
del tipo miţ – te, con una fase di tenuta della consonante postonica. È una impressione, che può essere
confermata da due modalità di analisi:

1. Fonetica -> andare a cercare se ci sono dei parametri fonetici che in qualche modo sostengono questa
impressione.

3. Fonologica -> avanzata da Martinet. Se io prendo il tedesco e considero di nuovo gli ossitoni in sillaba
libera, osservo che in tedesco non esistono parole terminanti con vocale accentata in cui la vocale
sia breve. Wieh [fi:] = bestiame; Kuh [ku:] = mucca. Vuol dire che siamo nell’ambito in cui non
essendoci una consonante postonica, non ci sono condizionamenti sulla vocale tonica. Tanto più in
varietà delle lingue romanze in cui il confine di parola è un confine forte. Vuol dire che le sillabe
toniche devono avere un certo peso, e questo peso si manifesta o con la lunghezza della vocale (conta
due more) o col fatto che quando vocale tonica è breve si mangia un pezzettino della consonante
postonica a prescindere che questa sia breve, è ininfluente. Anche da un punto di vista tipologico è
l’esatto contrario dell’italiano su base toscana perché invece i nostri ossitoni in sillaba libera sono
brevi. Interessante perché siccome questi tratti fonologici sono profondamente ancorati nella
competenza del parlante.

Situazione che possiamo mettere in relazione con i dialetti italo-romanzi settentrionali del tipo di Lizzano in
Belvedere e con la sua opposizione tra [kan’ta] e [kan’ta:]. Perché anche in posizione interna di frase questi
ossitoni mantengono la loro opposizione vocalica, cioè la loro realizzazione ha una effettiva distinzione di
quantità vocalica.

Di contro ha dialetti ancora più conservativi come quelli appenninici, tipo Sambuca Pistoiese, in cui questa
realizzazione di vocale lunga tonica finale sia soltanto in posizione prepausale. Distinzione che non viene
attuata in posizione interna di frase, che si può spiegare in termini dinamici come effetto di periferia del
sistema (tratto marginale del sistema che non ha sfondato, non ha aggredito l’intero sistema e non viene
realizzato sistematicamente dal parlante ma ha creato una sorta di cellula). Per esempio in latino la quantità
consonantica come opposizione distintiva è un tratto periferico rispetto alla quantità vocalica che è una
opposizione distintiva fondamentale, capillare.

Il concetto di close contact viene spiegato così fonologicamente. Si può spiegare anche foneticamente?
Abbiamo dei parametri che ci fanno vedere qualcosa sullo spettrogramma? Si.

Cfr. Uguzzoni 2006

Tentativo di fare un riassunto di tutte le ricerche su questo argomento sull’intensità e sul concetto di close
contact fatte in ambiente germanico. Lingue che offrono materiale: inglese e tedesco. L’articolo cerca dei
parametri acustici individuabili della categoria intensità che non si trova mai: si percepisce che qualcosa c’è
ma poi nello spettrogramma è difficilissimo trovare una pezza d’appoggio. Quello che la Uguzzoni definisce
essere “correlato acustico e percettivo robusto” dell’accento lessicale è la modalità in cui l’energia è
distribuita sullo spettro. Maggiore energia distribuita sullo spettro vuol dire che tutte le formanti
risulterebbero piuttosto scure, non soltanto quelle più basse (F1 e F2), ma anche quelle più alte dovrebbero
essere più nere. Sembra allora che in presenza di una certa tipologia di accento (dinamico/intensivo), il primo
dato che salta agli occhi è che c’è questa maggiore distribuzione di energia. Maggiore non solo in termini di
dB ma proprio in termini di spazio spettrale occupato.

Il parametro è il seguente: bisogna misurare prendendo per esempio il famoso centroide, cioè il punto di
stabilità maggiore delle formanti, che è il punto in cui di solito si misura il timbro della vocale, e bisogna fare
due operazioni: 1. Calcolare la differenza tra l’intensità della prima armonica (multipli della frequenza
fondamentale) e l’intensità della seconda formante (armoniche su cui si addensa l’energia); nonché la
differenza tra la prima armonica e la terza formante. Misurando questi valori io ricavo dei parametri che
sembrano dare con una certa robustezza e stabilità una differenza tra vocali con un accento lessicale
particolarmente forte e intenso e vocali che invece non ce l’hanno.

Energia non egualmente suddivisa sullo spettro, tende ad addensarsi in alto e in basso si disperde e in questo
caso a quanto risulta dalle analisi di Uguzzoni abbiamo in questi casi una energia maggiore. Una volta
introdotti questi parametri poi si mostrano le ricerche fatte in varie arie su varie lingue in cui questi parametri
usati sembrano dare risultati coerenti. Andiamo al focus sulla distinzione abrupt cut/smooth cut ovvero sia
close contact/open contact.

Differenza di intensità tra la prima armonica e la terza formante, differenza presa in un istante t.

Y= decibel, X= hertz
Differenza di energia tra H1-A3 in un momento t sullo spettrogramma rende le formanti molto nere.

Nel close contact c’è una maggiore energia che in qualche modo ha questo effetto di calamita e attrae a sé
anche la consonante che segue e che (tornando ai nostri proparossitoni) è più forte se la consonante
seguente è un’occlusiva. In posizione finale sempre vocali lunghe.

Non si può dire che il tedesco è una lingua a quantità vocalica distintiva, ma è una lingua a taglio sillabico.
Cioè il tratto distintivo non è la quantità vocalica, ma il taglio sillabico. Si oppongono tagli bruschi a tagli lisci.
La Uguzzoni ha ipotizzato che i dialetti come il frignanese possano essere considerati a taglio sillabico.

Cfr. Between Phonology and Typology:

se uno analizza tutte le consonanti postoniche dell’area bolognese più vicina alla città si accorge che il
rapporto tra vocale tonica e consonante postonica è 2:1 nelle vocali lunghe e 1:1 nelle vocali brevi. Ma ci si
accorge anche che sia nei monosillabi che nei bisillabi le consonanti che seguono la vocale breve sono
allofonicamente un po’ più lunghette sia di quelle che seguono le vocali lunghe sia delle vocali che precedono,
cioè non rapporto 1:1 preciso, ma 1:1,3 circa. Queste consonanti cioè sembra non siano del tutto
degeminate.

Nel frignanese, che pure sembra avere il taglio sillabico, i bisillabi hanno un rapporto perfettamente 1:1 e le
consonanti che seguono vocali toniche brevi sono esattamente uguali a consonanti che seguono vocali
toniche lunghe. In bolognese invece si avvertono tracce allofoniche di forse consonanti non degeminate
completamente?

Se analizziamo i dialetti liguri occidentali (es. Portorino e Genova) che sono anch’essi a quantità vocalica
distintiva sia nei parossitoni che negli ossitoni (non quelli della Liguria orientale), vediamo analizzando le
vocali toniche e le consonanti postoniche che Genova ha una situazione simile a quella del frignanese, a Porto
Maurizio, come a Bologna, se la consonante segue una vocale breve, allora è un po’ più lunga. Vediamo di
capire se questo accenno di geminazione allofonica bolognese e questo accenno di geminazione allofonica
portorina sono dovuti allo stesso motivo, e se lo è, qual è?

Vedi figura 1 e confronta con figura 2

C’è ovviamente più differenza confrontando tra loro le vocali che non confrontando le consonanti, il che ci
conferma che si tratta di una distinzione di quantità vocalica e non di una distinzione di quantità
consonantica. Con questa analisi fatta tra VeV e tra CeC stiamo procedendo in senso paradigmatico e non
sintagmatico. Comunque in entrambi i casi le consonanti che seguono vocali brevi sono un tantino più
lunghette, che vuol dire che c’è significatività in base alla tipologia di vocale che precede.

Confronto con tabella 7

Parametri analizzati:

1. Distanza assoluta (ms) dal picco dell’intensità a quello alla fine della vocale: quanti ms passano dal
picco alla fine della vocale. È dirimente in caso di vocale lunga, perché in caso di vocale breve c’è
poco spazio. Se la vocale è lunga il picco è all’inizio;
2. Distanza relativa tra il picco e l’offset, il punto finale della vocale. La distanza relativa in questo
modo ci dà informazioni anche sulla durata della vocale. Vocali brevi fonologicamente e vocali lunghe
fonologicamente possono essere comunque realizzate con lunghezze diverse. È comunque la
consonante che inficia sulla durata della vocale. Quindi se ho la misura relativa è meglio perché se è
vero che nella vocale breve ho una forma ad arco e ho un picco più o meno verso metà della vocale,
questo valore relativo dovrebbe essere sempre lo stesso nelle vocali brevi a prescindere dalla
lunghezza effettiva della vocale
3. Velocità relativa: misura valida perché tiene conto di due punti, quindi fa un calcolo. Velocità media
tra il picco di intensità misurata in decibel e il valore dell’intensità all’uscita della vocale. Vuol dire
andare a misurare quanto precipita l’intensità dal picco alla fine della vocale sia in termini di tempo,
sia in termini di crollo o discesa nel numero dei decibel. Quindi questa velocità relativa sarà
particolarmente bassa se la mia vocale non era particolarmente alta come picco e poi scende piano
piano e invece sarà particolarmente alta se io ho un picco particolarmente alto che va giù in fretta. È
come se fosse un segno della ripidezza con cui va giù l’intensità alla fine della vocale.

Cosa se ne deduce: (grafico 5) guardiamo la distanza assoluta dal picco all’uscita della vocale. È un bel dato
perché tre su quattro mediane sono uguali, una no, quella diversa è quella delle vocali lunghe del bolognese.
Vuol dire che in queste il picco si trova abbastanza all’inizio, quindi ci sono poi più ms per arrivare alla fine
della vocale. Quindi la distanza picco – offset è maggiore. Nelle vocali lunghe portorine questo picco è più in
là. Per questo la distanza assoluta media dal picco alla fine della vocale a Porto Maurizio è identica (come
mediana) tra vocale lunga e vocale breve.

Cioè se noi abbiamo una mediana di 100ms breve in portorino il picco è dopo 40 ms e quindi i restanti 60 va
giù. Se abbiamo una vocale di 200 ms lunga vuol dire che il picco è a 140 ms e nei restanti 60 va giù, cioè il
picco va più in là. Nelle vocali lunghe del bolognese invece, vedendo che la distanza è maggiore, vuol dire che
il picco della lunga viene prima. Questo conferma quello che abbiamo visto spettrograficamente. La distanza
relativa (grafico 6) dovrebbe quindi darci il dato rovesciato. Se in portorino il picco della vocale lunga è
spostato in avanti, vuol dire che la distanza relativa nelle vocali lunghe del portorino è più ridotta.

Osserviamo ora il grafico della velocità relativa (grafico 7): ci si dovrebbe aspettare che la velocità relativa sia
abbastanza bassa nelle vocali lunghe del bolognese perché il picco è lontano e invece alta nelle brevi del
bolognese. Se la differenza di decibel tra il picco e l’uscita è maggiore, vuol dire che lo scalino dell’intensità è
più alto, che la botta è più forte. Cioè se io trovo una velocità relativa maggiore, a parità per esempio di
lunghezza della vocale, posso sospettare che ci sia anche un fattore determinato dal fatto che le vocali
toniche sono realizzate con più intensità, quindi con una maggiore oscillazione del valore dei decibel, rispetto
ad altre vocali toniche. Il grafico indica che più si va in basso (verso -0,4) più è alta la velocità relativa.

Abbiamo due variabili da considerare.

La velocità relativa delle lunghe bolognesi e delle lunghe portorine è praticamente uguale. Eppure ci
saremmo aspettati una velocità relativa maggiore per le lunghe bolognesi e allora perché sono uguali? Perché
evidentemente la distanza in decibel tra il picco e l’uscita è più alta in bolognese che in portorino. E questa
maggiore energia compensa il fatto che il picco in bolognese si trova prima.

BO
picco

intensità PM
picco

Immaginiamo una specie di piano inclinato dell’intensità che scende dal picco a all’uscita della vocale. Indizi:
c’è differenza sta nella posizione del picco ma anche di valore (non assoluto) dell’intensità ma misurato sulla
differenza tra picco e uscita, e la differenza di questo si vede sulle vocali brevi. Perché, le vocali brevi che in
virtù del meno spazio partono dallo stesso punto, da un punto molto più simile di picco, rispetto alle vocali
lunghe del bolognese, al portorino e ci fanno vedere però delle mediane di velocità relativa diverse. Quindi
questo vorrà dire che quella del bolognese è alla stessa altezza ma casca giù sulla stessa diagonale ma da più
in alto.

Grafico 8: I dati di Porto Maurizio hanno una oscillazione tra picco e uscita inferiore, perciò sono più in basso.
E questo vuol dire che l’energia mediamente impiegata è inferiore. Mentre i due picchi di bologna hanno una
oscillazione maggiore, quindi l’energia (valore relativo considerando il rapporto tra picco e uscita) è
mediamente maggiore.

Guardando la posizione del picco, le brevi di Bo e di Pm sono più o meno allo stesso punto; con la differenza
che il Bo è più in alto. Per quanto riguarda le lunghe il picco del bolognese è rappresentato prima (in termini
di tempo) del picco del portorino e parte da più in alto. Sembra che ci siano due diversi schemi di intensità e
in più sembra che l’accento del bolognese sia più vicino alle caratteristiche dell’accento dinamico e quello del
portorino no (perché c’è meno energia). Troviamo la conferma del fatto che i picchi delle vocali lunghe del
bolognese si manifestano nella prima parte della vocale, mentre i picchi delle vocali lunghe del portorino i
manifestano piuttosto dopo la metà del tracciato in lunghezza della vocale. Dato fondamentale: che le vocali
rilassate sottoposte a pressione accentuale sviluppano dittonghi ascendenti, che però spesso
fonologicamente hanno ancora manifestazioni più da vocale breve che da vocale lunga.

Se io ho una vocale lunga che ha sistematicamente una realizzazione dell’intensità con un picco all’inizio, non
trovo assolutamente strano che l’esito di questa vocale lunga nel medio-lungo termine sia un dittongo
discendente. La controprova è che in portorino di questi dittonghi non se ne vede nemmeno una traccia.

BO e PM hanno due schemi di intensità (quindi accentuali) diversi. Resta però aperta una questione: questa
parvenza di geminazione allofonica delle consonanti a che cosa la si deve in un dialetto e nell’altro? E come
si comporta il resto della struttura di parola in questi due dialetti? -> controprova che questa geminazione
allofonica delle consonanti si celano traiettorie psicologiche completamente diverse.
Lezione 5 26/11/2020 pt. 2

Parliamo di ritmo e classificazione del ritmo.

Vediamo gli spettrogrammi di nipote e fetta.

Il non sapere dove tirare la riga di demarcazione tra vocale e consonante è la rappresentazione spettrografica
dell’ambisillabicità -> abrupt cut/close contact.

Pike dice che la sensazione che gli dà l’inglese americano è quella di una lingua in cui ci sia equidistanza tra
le prominenze accentuali a prescindere dal numero di sillabe che c’è tra una prominenza e l’altra. Es. termini
che terminano il -ility (molto veloce), rispetti ai bei monosillaboni es. see (molto trascinata). Questa
equidistanza degli accenti a prescindere dal numero delle sillabe che ci sta dentro viene definita da Pike
“stressed time” e quindi si genera quasi per “modellogenesi”, l’opposto varietà del in cui le “syllabed time”
sono tutte lunghe uguali.

Questa prima classificazione viene ripresa una ventina d’anni dopo da Abercrombie che ridefinisce la stessa
cosa in termini di isocronia accentuale e isocronia sillabica. Questa terminologia in buona parte della
letteratura si è abbastanza consolidata. Ammesso che l’isocronismo accentuale esista, la domanda è se esista
l’isocronia sillabica. Abbiamo lingue in cui le sillabe sono sempre lunghe tutte uguali? Diciamo che abbiamo
lingue che si avvicinano di più a un modello e lingue che si avvicinano di più a un altro. Infatti, bisogna
considerare questo come un continuum di lingue che vada da un polo a un altro.

Esempio di isocronia accentuale: inglese.

Esempio di isocronia sillabica: giapponese, spagnolo (più dell’italiano, perché le vocali toniche sono più
lunghe delle vocali atone).

Come funzionano i modelli di analisi fonetica che partono da questa base teorica dell’isocronia sillabica e
accentuale: all’inizio ipotesi di Pike; poi esperimenti fonetici degli anni ’70 che causa carenza tecnica di
strumenti ha dato risultati che hanno gettato nella frustrazione gli studiosi; negli anni ’80 è saltata fuori l’idea
che i parametri fossero fonologici e non fonetici; fine anni ’90 altra ondata di indagine fonetica: si riparte.

Tra il ‘99 e il 2000 vengono elaborati modelli che progressivamente si migliorano e che troviamo riassunti nel
Mairano-Romano 2010.

Parametri:

1. ΔC = delta sta per deviazione standard -> parametro che aumenta più è la dispersione dei dati
all’interno di una media. Se abbiamo 5x5 la media è 5 e deviazione 0; se abbiamo 3 4 5 6 7, la media
è sempre 5, la deviazione standard oscilla tra 3 e 7. Deviazione standard è un parametro che ci dice
quanto sono dispersi i dati. Se io misuro tutte le lunghezze consonantiche, faccio la media e vedo che
una deviazione standard molto alta vuol dire che io ho gruppi consonantici complessi. (si misurano
intervalli)
2. ΔV = intervalli vocalici.
3. Percentuale di V = si misura su una catena di parlato. Percentuale degli intervalli vocalici sul totale
della stringa analizzata che si presume essere più alta in lingue che hanno tante vocali atone. Ci
aspettiamo che una lingua a isocronia accentuale abbia un ΔC e un ΔV elevato perché c’è maggiore
oscillazione e una %V più ridotta rispetto a una lingua a isocronia sillabica.

una isocronia accentuale oltre a immaginare una certa regolarità/cadenza dell’accento, avendo un effetto
fisarmonica al suo interno, cioè gli accenti cadono con regolarità a prescindere dal numero di sillabe che
intercorrono tra un accento e l’altro, prevede ovviamente che ci siano forti riduzioni del vocalismo atono.
Cioè in questo ambito classificatorio per esempio una varietà come il bolognese sarebbe una varietà
ascrivibile senza dubbio all’isocronia accentuale.

Figura8

Ci immaginiamo una concentrazione di percentuale vocalica nelle lingue a isocronia sillabica e una maggiore
concentrazione maggiore di percentuale di consonanti nelle lingue a isocronia accentuale.

In giapponese esistono delle vocai insonorizzate e a seconda di come le si voglia interpretare, da un punto di
vista fonologico sono ancora vocali, da un punto di vista fonetico sono fondamentalmente delle consonanti.
Se io le considero foneticamente come consonante ho degli intervalli CCC che fonologicamente sarebbero
CVC, differenza che si manifesta chiaramente nel grafico.

44.
Lezione 6 27/11/2020

Rapporto tra prominenze accentuali e sillabe atone

Nell’apocope c’è un indice timbrico, per cui cadono per prime /e/ e /o/ poi /i/ e /a/ per ultima.

/i/ rifunzionalizzata da un punto di vista fonologico per es. nei dialetti emiliani.

Comportamento di ossitoni in sillaba libera = da guardare questo aspetto per capire se una lingua è a taglio
sillabico.

Unica vocale che tende ad allungarsi sempre in ossitona in sillaba libera è /a/.

/Prat/

Apocope avvenuta prima della palatalizzazione di a

Cfr. articolo Filipponio, Garassino, Dipino.

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