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2. Se una occlusiva sorda è preceduta dalla sibilante /s/ non ha luogo la rotazione consonantica
3. Nel caso di combinazioni di una occlusiva sorda con /t/, solo la prima subirà la rotazione
1. Le occlusive sorde ie. danno esito di fricative sonore (e non sorde, dunque) in germ. se:
a) si trovano all'interno di una parola in ambito sonoro e
b) l'accento ie. non cadeva sulla sillaba precedente.
2. Nel medesimo contesto la sibilante sorda dell'indoeuropeo /s/, che normalmente in germanico si
conserva immutata, viene sonorizzata in /z/.
/s/ *sed- *set- sittan sitan lat. sedere
Cfr il ted. ziehen, zog, gezogen "tirare"; erkiesen, erkor, erkoren "scegliere", o ing. was, were
IE. GERM.
occl. sorda */p/ -------------- /f/ fric. sorda
(nelle condizioni dettate dalla legge di Verner)
occl. sonora asp. */bh/ ------------ /b-/ fric. sonora
(in posizione iniziale e dopo nasale)
/b/ occl. sonora
Le liquide e nasali in funzione consonantica (*l, *r, *m, *n) e sonantica (*?l, *r? , *m,
? *n)
?
Peculiarità di questi fonemi (come peraltro anche delle semivocali /j/ e /w/) è che possono assumere
in alcune lingue, secondo le esigenze contestuali, funzione sia consonantica, sia vocalica, cfr. ingl. little [0lit?l],
nel qual caso vengono generalmente definite "sonanti".
Anche per l'indoeuropeo viene assegnata alle L/N questa duplice funzione, distinguendo:
a) funzione consonantica, p.es. #L/N-; #C-L/N-e; C-e-L/N-C; e-L/N-e
b) funzione vocalica, generalmente C-L/N-C
2. Nel germanico, come in altri rami dell'ie., le liquide e le nasali perdono la proprietà di svolgere la
funzione di sonanti e quindi dove in precedenza svolgevano tale funzione sviluppano una vocale di appoggio.
La vocale di appoggio nel germanico è regolarmente /u/, a differenza per esempio del latino dove la vocale di
appoggio è /e/.
1
*gansus] ricostruibile per il gotico sulla base dello spagnolo ganso
C. Le vocali
i u 6i u6 ai, --, --
e -- -- e6 o6 au, --, eu
a --
le vocali brevi e lo shewà: notare che a) ie. */o/ --> germ. /a/; b) ie. */c/ --> germ. /a/
le vocali lunghe: notare che a) ie. */a6/ --> germ. /o6/; b) ie. */e6/ --> germ. /e61/; gmc. /e61/ --> got. /e6/, ma -->
gmc. sett. e occ. /a6/
*su6i nos *sw6i na(n) swein svín sw6i n sw6i n su6i nus
*dhe6- *de61- -de6þs dáð dæ
6d ta6t fa6cio
*bhrá6ter *bro6þar bro6þar bróðir bro6þor bruoder fra6ter
*bhlo6- *blo6- blo6ma blo6me blo6ma bluoma flo6s
*mu6s *mu6s mu6s mús mu6s mu6s mu6s
i dittonghi
a) ie. */oi/ e */ou/ --> /ai/ e /au/ (notare parallelo a sviluppo di /o/)
b) ie. */ei/ --> /6i /; confluisce nel sistema delle vocali lunghe
42) 6e 1 e 6e 2: una particolarità del germanico consiste nella presenza di due fonemi /e6/ distinti:
e61, di origine indoeuropea, nel germanico occ. e sett. ha esito di /a:/ (cfr. supra)
e62, di origine dibattuta, si incontra: a) in alcune parole isolate, b) in alcuni prestiti dal latino, c) in una
classe particolare dei verbi forti (la VII). Nel germ. occ. e sett. rimane /e6/, e poi in aat. subisce un processo di
dittongazione (cfr. infra)
2. Fenomeni di armonia vocalica hanno luogo lungo a più riprese nel corso dello sviluppo delle lingue
germaniche. Qui prenderemo in esame quei fenomeni che possono essere ricondotti al germanico.
a) innalzamento di /e/ --> /i/ davanti a vocale alta
b) abbassamento di /i/ --> /e/ davanti a vocale non alta
c) abbassamento di /u/ e sviluppo di un allofono [o] davanti a vocale non alta (germ. sett. e occ.).
L'abbassamento di /u/ è importante perché nel momento in cui nel germanico si indeboliscono le sillabe non
accentate, e quindi vengono meno i fattori che lo determinano, abbiamo nuovmente un fonema /o/.
d) la regolarità degli esiti dei fenomeni di armonia vocalica indicati viene in parte offuscata da
processi di livellamento analogico. Tali processi sono generalmente più frequenti in ags. che in aat.
2
Così regolarmente 2/3 sg. Pres. Ind. verbi forti delle classi III-V: helpan, hilpst; stelan, stilst.
3
Cfr. anche ted. Berg - Gebirge (aat. gebirgi), Recht - Gericht (girichti), gebe - gibst, gibt.
4
Regolarmente nel part. pret. verbi forti II-IV: coren, holpen, stolen
DAL GERMANICO ALL’INGLESE ANTICO
Consonanti
Quadro generale
1. Sonorizzazione: le fricative sorde /f, þ, s/ subiscono un processo di sonorizzazione (--> [v, ð, z])
quando si trovano in ambito sonoro e non sono geminate. L'allofono sonoro di /f/, cioè [v] (labiodentale) è
leggermente distinto dall'allofono fricativo di /b/, cioè [ß] (bilabiale), ma i due si fondono, con conseguente
confusione delle grafie. Questi problemi non sorgono nel caso delle velari (non c'è più la /x/), né nel caso delle
dentali (abbiamo visto che /d/ non mantiene l'allofono fricativo)
2. Desonorizzazione: gli allofoni fricativi sonori bilabiale/labiodentale e velare subiscono un processo di
desonorizzazione in posizione finale (--> [f, x]).
3. Riassumendo abbiamo:
4. Sorprende che [x] e [h] siano allofoni di /x/, e [q] e [g] allofoni di /q/ perché: a) solo nelle velari
rimarrebbe un contrasto tra fricativa sonora e sorda; b) solo nelle velari mancherebbe una occlusiva sonora; c)
la distribuzione di [q] mediana è identica a quella di [ß/v] e [ð].
5. Probabile dunque che, rianalizzando il sistema, [q] in posizione iniziale sia da considerare un allofono
di un fonema difettivo /g/, mentre [q] in posizione mediana sia da considerare un allofono di /x/,
simmetricamente rispetto alle serie dentale e labiale.
*/a6/ del gmc. occ.; sviluppo dei dittonghi */eu/, */au/, */ai/
1. la */a6/, quando seguita da nasale viene arretrata a /o6/. Questo sviluppo deve avere avuto luogo prima
della perdita della nasale davanti a fricativa nel gruppo Ingevone (vedi sopra p. 5 par. 34). Altrove */a6/ viene
anteriorizzata a /æ/,
6 uno sviluppo da ricollegare alla monottongazione di */ai/ (vedi sotto).
2. Nel processo di monottongazione di */ai/ --> /a6/ si riscontra la perdita del secondo elemento e
conseguente allungamento compensatorio del primo. Questa nuova /a6/ doveva essere arretrata rispetto alla /æ 6/
(simbolo fonetico Y), e le due vocali rimangono distinte. Ne risulta un sistema delle vocali lunghe con due
vocali basse: /æ/
6 e /Y6/.
3. Per comprendere lo sviluppo di */au/ dobbiamo tenere conto del cosiddetto primo frontamento (*/a/ --
> /æ/, vedi paragrafo seguente)
4. Il primo frontamento coinvolge anche il primo elemento del dittongo */au/ che quindi --> */æu/
5. Infine sia */æu/ che */eu/ subiscono un processo di armonizzazione per cui il secondo elemento del
dittongo rimane una vocale posteriore, ma viene assimilato al primo. Quindi l'elemento -u di */eu/ diventa una
vocale media posteriore -o, e nel caso di */æu/ una vocale posteriore bassa -Y.
6. Cronologia relativa: gmc. */ai/ --> /a6/ prima che /a/ --> /æ/ perché altrimenti */ai/ sarebbe divenuto
***/æi/ e sarebbe poi molto improbabile spiegare uno sviluppo ***/æi/ --> /a6/. Che il primo elemento di */ai/
sarebbe stato coinvolto dallo sviluppo /a/ -->/æ/ ci viene dimostrato dallo sviluppo di */au/ --> /ea/ che, come
abbiamo visto, presuppone uno stadio intermedio */æu/ dove il primo elemento è stato per l'appunto coinvolto
nel fenomeno del primo frontamento.
7. Schema: */ai/ --> /Y6/ <a>
*/au/ --> */æu/ --> /æY/ <ea>
*/eu/ --> /eo/ <eo>
Frattura (Breaking).
1. Le vocali anteriori, sia lunghe che brevi, subiscono un processo di dittongazione quando sono seguite
da: 1) l+C, 2) r+C, 3) /x/, per cui in questi contesti si avrà */i/ --> <io>; */e/ --> <eo>; */æ/ --> <ea>.
2. Nei contesti sopraindicati la /l/ e la /r/, quando seguite a consonante, venivano prsumibilmente
velarizzate; si sviluppa quindi una vocale di transizione (glide) tra la vocale anteriore e la consonante velare.
3. Notare che non si ha frattura quando il gruppo l+C = /ll/ <-- */lj/ (geminazione gmc. occ.)
4. Gli esiti della frattura di vocali lunghe si fondono con i dittonghi sviluppati dal Gmc., ma non con gli
esiti della frattura di vocali brevi. Il numero di dittonghi presenti nel sistema fonologico dell'anglosassone in
conseguenza della frattura presenta secondo alcuni grammatici dei problemi dal punto di vista tipologico.
[5. Il quadro dato finora vale per il Sassone occidentale. Nei dialetti anglici alcuni dei contesti appena
sopra menzionati non danno adito a frattura ma a "retrazione" della /a/, e precisamente:
a) l+C (Mercico e Northumbrico), e.g. *ald --> *æld --> Angl. ald
b) r+C (solo Northumbrico), r+C, e.g. *arm --> *ærm --> arm]
Dittongazione palatale
1. La palatalizzazione delle consonanti velari /k, g, sk/ (vedi sopra) sembrerebbe aver avuto un effetto
sulle vocali anteriori accentate che le seguono, le stesse che precedentemente ne avevano causato la
palatalizzazione.
2. Questo "effetto" viene (o verrebbe) indicato dalle digrafie:
1. <ea> <-- */æ/, cioè la stessa grafia che per l'esito della frattura di /æ/
2. <ie> <-- */e/, cioè una nuova digrafia.
3. Il caso di */æ/ --> <ea> apparirà sorprendente: una palatale precedente sembrerebbe portare allo
stesso risultato di un gruppo consonantico velare seguente!
4. Secondo la tesi tradizionale i dittonghi sviluppatisi rispettivamente per frattura e per dittongazione
palatale di */æ/ non erano molto differenti e venivano pertanto indicati, mettendo da parte sottili distinzioni
fonetiche, con la medesima digrafia per evitare l'introduzione di una ulteriore digrafia (Kuhn e Quirk).
Secondo una tesi alternativa e altrettanto plausibile, il primo elemento delle digrafie <ea> e <ie> sarebbe da
considerarsi escusivamente come un segno diacritico, come ad esempio in italiano "ciao" (R. Lass e J.
Anderson, Old English Phonology, Cambridge Studies in Linguistics 14, Cambridge 1975, pp. 279-282).
Schema: i y <---------- u
e <---------- ø <---------- o
æ <---------- Y
1) Monottongazione di */ai/ --> /a6/: Preterito singolare dei verbi forti I: ridan, ra6d
2) Primo frontamento */a/ --> /æ/: Preterito singolare dei verbi forti IV e V: stæl, sæt
3) */au/ --> /e6a/: Preterito singolare verbi forti II: bead, ceas
4) Nasalizzazione della /a/ --> /Y/: Preterito singolare verbi forti III con nasale: bindan, band
5) Frattura: a) Presente verbi forti III: steorfan, ma helpan, bindan etc. b) Preterito verbi forti III: stearf,
healp (cfr. band). c) Gruppo di verbi forti appartenenti a I, II, V e VI con /-Vx-/: wreon, fleon, seon. d) Verbi
deboli 1 con radice terminante in /-l/ e preterito sincopato: syllan, sealde 'dare'. e) Temi nominali in wa- e wo6-
(il dittongo viene introdotto analogicamente nel nom./acc. singolare dalle forme dei casi obliqui dove la
frattura regolare davanti a /rw/.
5) Ripristino della /a/: a) Temi nominali maschili e neutri in a- hanno /æ/ nel singolare e /a/ nel plurale:
dæg, dagas. Si ha comunque una certa tendenza ad estendere (o mantenere?) analogicamente la /æ/ al plurale,
specialmente quando seguita da una geminata: p.es. hættas 'cappelli'. b) Negli aggettivi della stessa
declinazione, e nelle forme femminili degli stessi aggettivi, si assiste ad un processo di riorganizzazione
analogica per cui: 1) /æ/ regolare in sillabe chiuse e 2) /a/ regolare in sillabe aperte (p.es. hwæt ('attivo', masc.
nom. sg.); hwate (masc. nom. pl.). Ma /æ/ può anche essere estesa alle sillabe aperte (p.es. hræd 'veloce',
hrædum; stræc, stræcum). c) Temi nominali femminili in o6- (faru 'viaggio'): ci aspetteremmo fonologicamente
/æ/ nel singolare (eccetto al nom. sing.) e al nom./acc. e gen. pl. le cui terminazioni sono -e, -ena. Ma /a/ viene
estesa analogicamente dal nom.sing. a tutte le forme con regolarità, per cui acc. sing. fare etc. d) Temi
femminili deboli (-n) dovrebbero avere /æ/ al nom.sing. e /a/ nel resto. /a/ viene estesa analogicamente al
nominativo, faþe (zia). Notare che qui prevale la /a/ mentre nei temi maschili forti abbiamo visto una tendenza
ad estendere analogicamente la /æ/. e) Nei verbi forti VI si dovrebbe avere l'alternanza /a - æ/ a seonda delle
desinenze ma: 1) in WS /a/ generalizzata al presente e più tardi soggetta a i-Umlaut in 2, 3 sing. (fare, færþ). 2)
In EWS variazione /a - æ/ nel participio (-faren, færen) ma in LWS /a/ generalizzata. 3) In Anglico e
specialmente in Nhb succede il contrario: færo 'io vado'.
6) i-Umlaut: a) Distingue i temi in ja- e jo6 dai corrisponenti temi in a- e o6-; b) temi in i-: dovrebbero
presentare forme mutate in tutto il paradigma, ma non raramente trasferiti ai paradigmi dei temi in a- e o6- per
cui si hanno forme senza mutazione: gasta (gen. pl.). [Notare la tendenza opposta al tedesco]; c) I nomi
maschili atematici dovrebbero presentare la mutazione nel dat.sing. e nel nom./acc. pl. (mann, menn dat.sg.,
n/a pl.) I nomi atematici femminili dovrebbero ugualmente presentare forme mutate per il gen. e dat. sing. e il
nom./acc. plurale (bo6c, be6c). La mutazione viene spesso eliminata analogicamente. [discorsi analoghi per i
temi nd- (freond), e temi in r-: il dativo fæder comunemente, non feder]. d) Solo un gruppo molto ristretto di
aggettivi ad alta frequenza presenta forme mutate al comaparativo e superlativo (lang, eald) Per il resto non si
tratta necessariamente di livellamento analogico in quanto anche in altre lingue germaniche si trovano riflessi
di suffissi senza i, per esempio got. -iza, -ôza. e) Verbi forti: nel 2 e 3 sing. pres. indic., nel preterito
congiuntivo ci si aspetterebbe storicamente la mutazione, ma specialmente nel caso del preterito congiuntivo
viene livellata analogicamente; uniche forme sono il congiuntivo di alcuni preteriti presenti, per esempio
scyle/scule. f) Verbi deboli 1, 2, 3 g) Inoltre molti casi in cui la mutazione distingue o dovrebbe distinguere
forme collegate derivazionalmente. Per esempio 1) parole con i suffissi -iht, -in (--> -en), ing, isc non
presentano mutazione in linea di massima, e con il suffisso -incel mai. Livellamento analogico o formazioni
posteriori? 2) -nes(s), -nis(s) derivano da *-nassi, *-nissi, *-nussi e quindi presentano mutazione solo a volte;
in generale non si ha in LWS, occasionalmente in EWS; regolarmente in Anglico. 3) i suffissi -el, -en, -er, se
da Gmc */il, in, ir/, presentano mutazione regolarmente.
DECLINAZIONE NOMINALE - AGGETTIVO FORTE E DEBOLE
I principali sviluppi nelle sillabe non accentate: tendenza generale ad abbreviare una vocale lunga,
semplificare un dittongo, perdere una vocale breve o un segmento consonantico finale. Probabile relazione
causale tra l'accento radicale e questi fenomeni di indebolimento nelle lingue germaniche (ma in altre lingue,
come l'ungherese, l'accento iniziale non comporta fenomeni analoghi).
La Regola della High Vowel Deletion (ags.): lo sviluppo di */7i, u7 / in sillabe non accentate dipende
dal peso della sillaba accentata precedente. Se questa è pesante */7i, u7 / si perdono, se è leggera rimangono e in
questo caso */7i/ > /e/. In circostanze analoghe ha luogo la sincope di vocali in sillaba mediana non accentata (e
in questo caso vale anche per le vocali non alte): *ða6ði (F6)> dæd (deed);* wurmi (F6)> wyrm (worm); *wini
(F7 ) > wine (amico); *flo6ðu (F6) >flo6d; *xanðu (F6) > hand; *sunu (F7 ) > sunu; *xæ
6 u6r-i-ðæ (F6) > hierde; *nær-i-
ðæ (F7 ) >nerede.
Anglosassone
-n -a (F7 ) (F6) -o6 -i
nom. sg. nama stan dæg sco6h metod engel giefu mann
gen. naman stanes dæges sco6s metodes engles giefe mannes
dat. naman stane dæge sco6 metode engle giefe menn
acc naman stan dæg sco6h metod engel giefe mann
nom./acc. pl. naman stanas dagas sco6s metodas englas giefa, -e menn
gen. namena stana daga sco6na engla giefa, -ena manna
dat. namun stanum dagum sco6m englum giefum mannum
Note: 1. dæg - dagas per il ripristino della a vedi par. 623; 2. sco6s etc.: forme contratte dovute alla
lenizione e perdita della fricativa velare in posizione intervocalica (<*scoes < *scohes; vedi par. 611); la forma
sco6na presenta la desinenza dei temi in -n.
Differenziazione all'interno delle singole declinazioni dovuta all'HVD: 1. la desinenza del nom. pl.
neutro dei temi in -a è -u: p.es. scip (n.sg.) scip-u (n.pl., F7 ), ma word (n.sg.) word (n.pl., F6); 2. nom. sg. temi in
-o6: (n.sg., F7 ) giefa, -e (n.pl.), ma la6r (n.sg., F6) la6ra, -e (n. pl.); 3. nom. sg. dei temi in -u: sunu (n.sg., F7 ) suna
(n.pl.), ma hand (n.sg., F6) handa (n. pl.). Anche metod e engel (<*angilus) si differenziano per il peso della
sillaba radicale (sincope se sillaba precedente pesante).
La desinenza del plurale in inglese deriva dalla generalizzazione della desinenza del nom./acc. pl. dei
temi in -a (stanas).
Antico alto tedesco
-a -i -es
aat. ted. aat. ted. aat. ted. gr. lat.
nom./acc. sg. tag Tag gast Gast lamb Lamm genos genus
gen. tages Tages gastes Gast(e)s lembires, -es Lammes genous < *genesos generis
dat. tage Tage gaste Gast(e) lembire, -e Lamme genei < *genesei generi
str. tagu gastiu, -u
Note: 1. I temi in *-es: le desinenze -ires (gen. sg.), -ire (dat. sg.) si trovano solo nei documenti più
antichi ed in alcuni toponimi (p.es. Kelbirisbach ca. 1030) ma presto vengono sostituite analogicamente dalle
desinenze dei temi in -a, per cui si hanno regolarmente le forme lambes, lambe. Il suffisso tematico -ir- (<*-es)
viene reinterpretato come desinenza del plurale. In aat. solo circa mezza dozzina di nomi appartengono a
questa declinazione ma durante lo stesso periodo aat. una ventina di temi in -a neutri passano a questa
declinazione, e nel tedesco moderno il numero è ulteriormente, e notevolmente, aumentato (circa un
centinaio): p.es. Blatt - Blätter (foglia), Bad - Bäder (bagno), Dach - Dächer (tetto), Haus - Häuser (casa),
Dorf - Dörfer (villaggio), Buch - Bücher (libro) etc. etc. 2. Estensione analogica dell'Umlaut: la maggior
parte dei temi in -a passano nel plurale alla declinazione dei temi in -i. I temi in -a e in -i vengono declinati
allo stesso modo nel singolare già nel periodo preistorico. Dopo l'indebolimento delle desinenze del plurale a -
e, -en in mat. la sola distinzione tra loro è la presenza o meno dell'Umlaut nel plurale. I temi in -a iniziano ad
essere declinati come temi in -i nel plurale già nel mat. Alcuni esempi: Artz - Ärtze, Baum - Bäume, Gang -
Gänge, Hals - Hälse, Traum - Träume, Hof - Höfe (ma cfr. Königshofen), Wolf - Wölfe, Stuhl - Stühle.
L'aggettivo: in indoeuropeo gli aggettivi non si distinguono formalmente dai nomi: la maggior parte
presenta una forma con tema in -o (per il masc. e il neut.) e una con tema in -a6 (per il fem.). Vi erano inoltre
alcuni aggettivi con tema in -i. Nelle lingue germaniche la categoria dell'aggettivo diventa indipendente da
quella del nome e sviluppa due declinazioni, la declinazione forte che risulta da una combinazione della
declinazione dei temi in -a e in -o6 da una parte e del pronome dimostrativo dall'altra, e la declinazione debole
che corrisponde generalmente alla declinazione dei temi in -n: p.es. ags. trum 'solido'.
La sintassi che regola l'uso di una o l'altra declinazione è complessa e varia nel dettaglio da lingua a
lingua. In linea di massima la decl. forte viene utilizzata quando a) l'aggettivo è in funzione predicativa (p.es.
ða wurdon hi dreorige = allora divennero tristi) o b) non si desidera specificare e particolarizzare il nome
modificato (ðær sint swiðe micle meras fersce = la sono grandi laghi di acqua dolce), in pratica quindi quando
non è preceduto da un dimostratitvo. La decl. debole è la forma specificante e particolarizzante, per cui viene
usata a) regolarmente con i dimostrativi (p.es. se foresprecena here =l'esercito sopramenzionato; under ðam
cealdan wætere ond þam wætan=sotto all'acqua fredda e bagnata) e b) quando l'aggettivo viene usato come
sostantivo (p.es. ðam adligan = al malato).
IL VERBO - INTRODUZIONE
Considerazioni generali sul sistema verbale:
a) Rispetto all'Indoeuropeo riduzione dei tempi e dei modi: sincretismo del congiuntivo e ottativo;
scomparsa del medio e del duale (salvo qualche traccia in gotico).
b) Scomparsa o riduzione degli elementi, p.es. *þank-i-ð-on = io pensai (cfr. amabam) > I thought: si
conserva solo il suffisso dentale.
c) appiattimento della morfologia, p.es. desinenze pl. 3 in aat, 2 ted.; una sola in ags. e ant. sass.
d) Passaggio da forme sintetiche a forme analitiche.
e) Graduale arricchimento della coniugazione verbale attraverso introduzione di formazioni
perifrastiche
Categorie: a) verbi forti, caratterizzati dallla alternanza apofonica della vocale radicale; b) verbi
deboli: radice invariata; per la formazione del preterito si aggiunge un suffisso in dentale; c) preterito-presenti:
preteriti forti che esprimono uno stato presente conseguente da una azione passata; formano il preterito debole.
Il verbo debole: dal punto di vista morfologico questi sono formazioni concatenative (vedi sopra) e
rappresentano la categoria produttiva del verbo, nel senso che nuovi verbi vengono generalmente formati
secondo questo modello e non quello dei verbi forti (ma cfr. schreiben).
Per la formazione del preterito e del participio preterito viene utilizzato un suffisso gmc. *-ð- (> ags. -
d-, aat. -t-). Questo suffisso rappresenta una innovazione del germanico e la sua origine non è stata finora
chiarita del tutto.
Come per il nome, anche per i verbi deboli possiamo distinguere diverse classi in base al suffisso
tematico: per il germanico possiamo ricostruire quattro classi ciascuna caratterizzata da un suffisso tematico
(riconducibile all'indoeuropeo) specifico. La quarta classe è presente solo in gotico e in norreno; in antico alto
tedesco abbiamo tre classi (1., 2., 3.) e in antico inglese due classi principali (1., 2.), oltre alla terza a cui
appartengono però solo quattro verbi (habban 'avere', secgan 'dire', libban 'vivere', hycgan 'pensare').
Le quattro classi del germanico sono:
1. *-ja- In questa classe troviamo verbi causativi derivati da radici verbali: ad esempio dalla radice *set- (cfr.
*set-ja-n(an) > ags. sittan, aat. sizzen, verbo forte) il verbo debole *sat-ja-n(an)> ags. settan, aat. sezzen
(quindi il causativo costruito sull'indoeuropeo grado-o, gmc. grado-a; notare anche effetti della metafonia da -i
e della geminazione consonantica). Troviamo inoltre verbi fattitivi derivati da aggettivi: ad esempio
dall'aggettivo *hail-az 'sano' abbiamo il verbo *hail-ja-n(an) > ags. hælan;
6 aat. heilen 'guarire'.
2. *o6 Da radici verbali o nominali formazioni con significato intensivo o iterativo: cfr. il verbo forte
*hwerf-an(an) > ags. hweorfan 'gettare' e il verbo debole *hwar-b-o6-n(an) > ags. hwearfian 'girare'
3. *6e Da radici verbali o nominali formazioni con significato durativo o stativo: cfr. l'aggettivo *arms-
'povero, miserabile' e il verbo aat. ir-b-arme6n 'avere pietà', got. arman 'essere miserabile'
[Alla 4. classe, suffisso *-no6-, appartengono formazioni con significato intransitivo e incoativo: cfr. l'aggettivo
*fullaz 'pieno' e il verbo *full-na-n(an) > got. fullnan, aisl. fullna 'riempirsi']
Va comunque detto che queste distinzioni semantiche tra le quattro classi sono già piuttosto opache
nel germanico, e nelle lingue storiche non hanno praticamente più valore. I casi in cui una distinzione
semantica viene ancora mantenuta sono piuttosto rari, p.es. aat. steinen 'adornare con pietre' ma steinon
'lapidare'; liuben 'rendere caro' ma liubon 'amare'. Si osservano al contrario numerose doppiette con lo stesso
significato, p.es. aat. felsken, falskon 'falsificare'; ruzen, ruzon 'russare'. Inoltre vi sono frequentemente
passaggi di un verbo da una classe all'altra.
I Verbi forti contratti in antico inglese: per la lenizione e scomparsa della fricativa velare sorda del gmc. */x/
in ags un gruppo di verbi forti presenta il medesimo fenomeno al presente e al preterito singolare: p.es.
I. *wr§han > *wreohan > wreon 'coprire' (wreon, wrah, wrigon, wrigen)
V. *sehan > *seohan > seon 'vedere' (seon, seah, sawon, sewen)
VI. *slahan > *slæhan > *sleahan > slean
I riflessi della legge di Verner: nel paradigma verbale dei verbi forti ci aspetteremmo l'esito di una
fricativa sorda al presente e preterito singolare e di una fricativa sonora al preterito plurale e participio pret.
Frequentemente questa alternanza viene cancellata da processi di livellamento analogico, ma p.es.:
I. liþan laþ lidon liden (andare)
leon lah ligon ligen (to lend)
II. ceosan ceas curon coren (to choose)
fleon fleah flugon flogen (flee)
V. cweþan cwæþ cwædon
6 cweden
genesan genæs genæson
6 genesen (sopravvivere)
VI slean sloh slogon slagen (colpire)
lean loh/log logon lagen (biasimare)
VERBI - PARADIGMI ED ESEMPI
VERBI FORTI
I. classe: CVYC-
Ia: § ei i i
r§tan reit ritum giritan (cavalcare)
r§san reis rirum giriran (cadere)
sn§dan sneid snitum gisnitan (tagliare)
Ib: § ‘ i i
z§han z‘h zigum gizigan (accusare)
§ ~ i i
gr§pan gr~p gripon gripen
sn§ðan sn~ð snidon sniden (tagliare)
Nota: l'abbassamento di /u/ a /o/ nel participio preterito è dovuto a un processo di armonia vocalica
riconducibile al germanico (< gmc. *budanans)
Antico alto tedesco: Differenziazione dovuta allo sviluppo di gmc. */eu/ e di gmc. */au/
IIa (radici terminanti in labiale o velare, eccetto per germ. */x/):
eo, io (ma Obd. iu) au, ou u o
liogan (obd. liugan) loug lugum gilogan
klioban (obd. chliuban) kloub klubum gikloban (dividere)
IIb (radici terminanti in dentale o germ. */x/; nessuna differenza tra franc. e Obd.):
eo, io Ç u o
biotan bÇ t butum gibotan (offrire)
giozan gÇ z guzzum gigozzan (giessen)
siodan sÇd sutum gisotan
kiosan kÇ s kurum gikoran (scegliere)
ziohan zÇh zugum gizogan (tirare) [22
eo ea u o
beodan bead budon boden (comandare)
ceowan ceaw cuwon cowen (chew)
ceosan ceas curon coren
Nota: Assegnamo alla seconda classe anche un numero di verbi che al presente presenta un vocalismo
anomalo
ags. lãcan leac lucon locen (to lock)
dãfan deaf dufon dofen
Una possibile spiegazione per il vocalismo del presente di questi verbi è che abbia avuto luogo un processo
analogico per cui sulla base dell'alternanza § - i nei verbi della prima classe si sia sviluppata una alternanza ã -
u nei verbi in questione della seconda classe.
III.a: CVNC-
Pres. Pret.sg. Pret.pl. Part.Pret.
IE eNC oNC NC NC
Gmc iNC aNC uNC uNC
Nota: nel participio preterito l'abbassamento di /u/ è neutralizzato dal gruppo -NC seguente. Sempre a causa
del gruppo -NC si ha l'innalzamento di */e/ a /i/ nel presente). Per lo sviluppo di */a/ seguita da N in
anglosassone).
Anglosassone i a/o u u
bindan band/bond bundon bunden
singan sang sungon sungen
III.b: CVLC-
Pres. Pret.sg. Pret.pl. Part.Pret.
IE eLC oLC LC LC
Gmc. eLC aLC uLC uLC
Anglosassone: Differenziazione dovuta agli esiti della frattura. Notare anche gli esiti dovuti alla dittongazione
palatale.
eo/e, ie ea u o
weorpan wearp wurpon worpen [23
helpan healp/halp hulpon holpen
gieldan geald guldon golden (pagare)
Nota: Il grado apofonico del preterito plurale rappresenta una innovazione, e probabilmente è stato esteso
analogicamente dalla quinta classe.
Anglosassone: e, i, ie æ, a/o, ea æ,
6 ~/Ç, ea o, u
beran bær bæron
6 boren (portare)
niman nam/nom n~mun/nÇmon numen
scieran scearan scearan scoren
V. classe: CVC-
Nota: I gradi apofonici del preterito plurale e del participio preterito potrebbero riflettere alternanze già
esistenti in indoeuropeo, ma la questione è dibattuta e complessa. In ogni modo è chiaro che il grado zero nel
caso di radici di questa forma avrebbe presentato notevoli difficoltà di realizzazione.
Anglosassone e, ie æ, ea æ,
6 ea e, ie
cweþan cwæþ cwæ6 don cweden
giefan geaf geaf giefen
Nota: L'origine di questa alternanza è controversa. Notare in ogni modo che a differenza delle classi precedenti
nella sesta classe non si ha alternanza vocalica tra il singolare e il plurale del preterito.
VII. classe:
I verbi appartenenti a questa classe presentano in gotico reduplicazione e talvolta assenza di apofonia:
Come nel caso della sesta classe anche qui si riscontrano due e non quatttro gradi apofonici
Preterito
1.sg. fremede nerede hierde
2. fremedest neredest hierdest
3. fremede nerede hierde
1., 2., 3. pl. fremedon neredon hierdon
Cfr. aat. zellu (pres.), zelita, zalta (pret.); neriu (pres.), nerita (pret.); hÇru (pres.), hÇrta (pret.)
Seconda classe e la terza classe In antico alto tedesco la 2. classe è caratterizzata da una -Ç- e la 3.
classe da una -‘-. In antico inglese il preterito della 2. classe è caratterizzato dalla -o- (<*-Ç-) ma al presente le
cose sono un po' più complicate: sembrerebbe che i verbi della 2. classe in ags. siano stati rimodellati
analogicamente sulla base della 1. classe e che quindi dove i verbi della 1. classe presentavano l'elemento -j-
(cioè 1.sg. e 1-2-3.pl. del presente, altrove si vocalizza) il suffisso *-Ç- della 2. classe sia stato rimodellato a *-
Çj-. Da qui poi, attraverso regolare contrazione e indebolimento delle vocali in sillabe atone si arriverebbe alle
forme attestate.
aat. 3. classe aat. 2. classe ags. 2. classe
Presente
1.sg. hab‘m salbÇm lufie <*-oj-
2. hab‘s salbÇs lufast <*-o-
3. hab‘t salbÇt lufaþ <*-o-
1.pl. hab‘mes salbÇmes lufiaþ <*-oj-
2. hab‘t salbÇt "
3. . hab‘nt salbÇnt "
Preterito
1.sg. hab‘ta salbÇta lufode <*-o-
2. hab‘tos salbÇtos lufodest "
3. hab‘ta salbÇta lufode "
1.pl. hab‘tum salbÇtum lufodon "
2. hab‘tut salbÇtut "
3. hab‘tun salbÇtun "
I VERBI PRETERITO-PRESENTI
Alcuni esempi; notare il grado apofonico del presente plurale della IV. classe.
Pret.
1.sg. wissa wiste scolta sceolde konda cu6ðe dorfta þorfte
wista
2. wistest sceoldest cu6ðest
3. wiste sceolde cu6ðe
1.pl. wiston sceoldon cu6ðon
LE ALTERNANZE MORFOFONEMICHE
Premessa: Fonema e allofono. Se possiamo commutare due suoni senza cambiamenti di significato
abbiamo due suoni fisicamente diversi ma con la stessa funzione, cioè allofoni del medesimo fonema (p.es.
cara, caRa). Attraverso la prova di commutazione identifichiamo i fonemi (p.es. cara - tara, ergo /c/, /t/). Gli
allofoni sono rappresentazioni fisiche di un fonema che invece è una entità astratta. Si possono trovare in
variazione libera, o alternativamente la loro distribuzione può essere determinata da fattori di ambiente
sintagmatico; quando l'occorrenza di un determinato allofono piuttosto che un altro è resa necessaria dal
contesto fonico si parla di varianti contestuali o in distribuzione complementare. Nel momento in cui il
contesto fonico viene meno l'allofono in questione può o venire meno anch'esso o, non trovandosi più in
distribuzione complementare con gli altri allofoni dello stesso fonema, acquisire valore di fonema.
Fasi evolutive di una alternanza morfofonemica: possiamo distinguere tre fasi, e cioè
1) sg. *fÇt pl. *fÇt-iz (sg. e pl. distinti grazie alla desinenza ie. *-es > gmc. *-iz)
2) *fÇt *fø6t-iz (sviluppo di un allofono [ø] del fonema /o/)
3) fÇt fø6t (perdita della desinenza, sviluppo del fonema /ø6/)
Nella terza fase la perdita della -i- della desinenza fa sì che è [Ç] e [ø6] non siano più in distribuzione
complementare e che si presenti dunque un contrasto minimo Ç - ø6. Quindi /ø6/ acquisice valore di fonema, ma
contemporaneamente acquisisce anche la funzione di indicare la distinzione morfologica tra singolare e
plurale, per cui si arriva ad avere una alternanza morfofonemica. Affinché l'alternanza /Ç/ - /ø6/ acquisisca
valore di marca morfologica non è necessario che le desinenze scompaiano del tutto. Sarà piuttosto utile
individuare sviluppi successivi che riflettano tale reinterpretazione da parte dei parlanti (o, nel nostro caso,
scriventi). La misura in cui una particolare alternanza vocalica (o consonantica) acquisisca valore morfologico
andrà considerata di volta in volta: indice di una alternanza morfofonemica che si rispetti sono fenomeni di
rimodellamento analogico basati su di essa, quali sono p.es. stati presi in esame nella discussione della
morfologia nominale in aat. Nelle lingue germaniche dove le desinenze tendono a perdere importanza, se non
a scomparire del tutto, la tendenza a sviluppare questo tipo di alternanze in morfofonemiche è evidentemente
maggore che altrove.
Le alternanze morfofonemiche principali delle lingue germaniche sono l'apofonia e gli esiti della
Legge di Verner, che caratterizzano i verbi forti, e la metafonia da -i, che si incontra inter alia nel plurale (p.es.
fÇt - f‘t), nel comparativo e superlativo (p.es. alt - älter etc.), nella morfologia derivazionale (p.es. i verbi
deboli della 1. classe come trymman (<*trum-jan), bl‘dan (<*blÇd-jan) etc. etc. etc.