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Linguistica generale C lezione 1

Il linguaggio verbale è una forma di comunicazione umana. La comunicazione umana


naturale è l’insieme delle forme di comunicazione sviluppatesi naturalmente nel
tempo in ogni comunità umana. Nella comunicazione naturale sono incluse
moltissime forme di comunicazione che passano dai diversi canali sensoriali, in
particolare vista e udito per gli esseri umani. Si posa anche su modalità diverse:
attraverso il canale visivo comunichiamo in vari modi (mimica, gestualità,
postura…), e attraverso il canale acustico attraverso il quale passano i suoni verbali e
quelli non verbali. La modalità verbale è la comunicazione naturale umana che passa
attraverso il canale acustico e si basa sulle parole (dal latino verba= parola). La
linguistica si specializza nella comunicazione verbale umana.
La comunicazione intenzionale è tutto il comportamento che un umano adotta come
intenzione di comunicare coi suoi simili.
Il linguaggio verbale è sia il sistema di comunicazione delle parole, sia la capacità
tipicamente umana di formare un sistema linguistico. Il cervello umano ha delle aree
cerebrali dedicate alla facoltà di linguaggio, assieme all’apparato fonatorio
specializzato, che permette di emettere suoni ed elaborarli (laringe, corde vocali,
faringe, lingua, cavità orale e cavità nasale). Le alte vie respiratorie si sono nel corso
dell’evoluzione sviluppate ed ampliate.
Le lingue sono realizzazioni concrete che nel corso della storia si sono date delle
facoltà di linguaggio, che ha prodotto delle lingue storico-naturali. Nella linguistica
non si fa distinzione tra lingua e dialetto, il che ha un taglio sociolinguistico. Le
lingue che sono esistite nel mondo sono più di 7000: esiste dunque un’enorme varietà
di manifestazioni del linguaggio  Alla linguistica interessa sia la varietà che l’unità
delle lingue; la linguistica studia dunque il linguaggio verbale umano e le lingue
storico – naturali.
Con famiglia linguistica si intende un insieme di lingue di cui è possibile ricostruire
origini comuni. Una famiglia linguistica si forma con una popolazione che per
successivi allontanamenti ha iniziato processi di cambiamento della lingua. Per lo
studio di tale categoria si usano documenti storici (come si fa, ad esempio, per le
lingue romanze), oppure attraverso una comparazione delle loro somiglianze nel
lessico fondamentale (ad esempio, con le lingue di famiglia indoeuropea). Le lingue
isolate sono invece quelle che non sembrano avere dei legami con altre lingue
conosciute. In Europa la maggior parte delle lingue appartiene alla famiglia
indoeuropea, ma anche l’Asia meridionale fino all’India. In Asia Settentrionale, le
lingue uraliche. Nell’Asia Centro Orientale, le lingue altaiche (turco, e forse il
giapponese). In estremo Oriente, le lingue sino-tibetane (cinese e dialetti). Nell’India
meridionale, le lingue dravidiche… (immagine)
La famiglia indoeuropea si suddivide in altri sottogruppi (lingue romanze, lingue
germaniche, lingue elleniche, lingue celtiche, albanese, armeno, hindi, lingue Indo-
Iraniane…)

Lezione 2 (Proprietà semiotiche)

Quando una persona pronuncia una parola, la sequenza di suoni di quella parola è
associata ad un significato. Un segno è proprio questo: un significato che è associato
stabilmente a quello che nella teoria semiotica si chiama significante. Il significante è
la sequenza di suoni, il significato è l’immagine che associamo a quella parola. Il
segno è un’entità biplanare, in quanto ha una componente materiale, percepibile con i
sensi (significante), ma è anche stabilmente collegato ad un significato (concettuale,
immateriale). Il segno serve per trasmettere messaggi e può essere associatato ad un
referente nella realtà (triangolo semiotico: significato; significante; referente). Con
segno si intende qualsiasi associazione di significato e significante e ce ne sono
diversi tipi, che si possono distinguere in modi diversi:
- Non intenzionale (orme sulla sabbia), chiamato anche indice o sintomo
- Intenzionale, che si suddivide in segnale (motivato naturalmente), icona
(motivato analogicamente, su una base di somiglianza, ad es. una freccia per
indicare una direzione) e simbolo (motivato culturalmente;
arbitrario/convenzionale, ad es. il rosso del semaforo)
Le lingue sono quindi dei sistemi di segni; questi sistemi si chiamano codici (il
semaforo ha un sistema di segni, come la segnaletica stradale). Nei codici i diversi
possibili significati sono distribuiti tra i diversi significanti. La possibilità di
comunicare tra gli umani è molto legata alla conoscenza dei codici.
Proprietà dei segni linguistici:
- Arbitrarietà: il legame tra significato e significante e tra referente e segno è
arbitrario, senza motivazione necessaria. Questo tratto vale anche
nell’organizzazione dei segni in un codice

- Convenzionalità: il più forte vincolo all’arbitrarietà è la presenza di una


convenzione socialmente rispettata
- Trasponibilità: uno stesso sistema di significati può esprimersi in diversi
sistemi di significanti. È una conseguenza dell’arbitrarietà del legame tra
significato e significante. Per le lingue storico-naturali, la più importante
operazione di trasposizione è la scrittura

- Produttività e combinatorietà (onnipotenza potenziale)


 La produttivita è la possibilità di costruire nuovi segni in numero
potenzialmente illimitato, lavorando creativamente sulla base di un numero
limitato di segni e regole per combinarli
 La combinatorietà è la caratteristica dei segni di un codice di combinarsi tra
loro per formare significati complessi e di dipendere dagli altri segni per la
definizione del proprio significato. Questa proprietà si manifesta nella doppia
articolazione, cioè i due livelli di cui sono costituiti i codici verbali (prima
articolazione: segni, dotati di significati e significanti, come morfemi, parole e
frasi; seconda articolazione: unità distintive, dotate di solo significante, come i
fonemi)
Lezione 3 (Lingue e scritture)

La scrittura è un sistema di segni linguistici secondari e deriva dal sistema orale


(non è la stessa cosa della lingua, anche se sono storicamente associati l’uno
all’altro; per il principio di trasponibilità, una lingua esiste a prescindere dal
sistema di scrittura). Alcune lingue hanno sviluppato secondariamente questo
sistema di segni basato sul canale grafico; l’italiano si scrive usando l’alfabeto
latino. Ci sono diversi tipi di scritture:
- Logografiche: il segno grafico rimanda al significato del segno linguistico
(cinese mandarino, antico egizio, sumerico)
- Fonografiche: il segno grafico rimanda al significante del segno linguistico
(arabo, russo, farsi, albanese, punjabi, vietnamita…)
La storia linguistica e quella delle scritture possono andare in concomitanza; ad
esempio nell’area in cui si parlano lingue slave, è abbastanza omogenea anche se per
alcune si usano due diversi tipi di scrittura: alfabeto latino (croato) e alfabeto cirillico
(serbo). Alcune lingue, come il cinese e il giapponese, si servono di una
combinazione di usi fonografici e logografici.
Lezione 4 (Fonetica – Vocali e consonanti)

Il canale fonatorio è l’insieme di organi interni usato per parlare. Si compone di:
diaframma, polmoni, trachea, laringe, faringe, cavità orale e cavità nasale. Il flusso
d’aria produce suoni quando è ostacolato. Il suono è prodotto dall’aria al suo
passaggio attraverso il canale respiratorio (o fonatorio). I suoni si producono con
espirazione (suoni egressivi) o inspirazione (suoni ingressivi), usati in minoranza.
Le vocali sono suoni che si producono attraverso la glottide, dove si trovano le corde
vocali ed è dato esclusivamente dalla vibrazione ritmica regolare delle corde vocali;
le vocali nasali (in francese) sono date dall’uscita dell’aria sia dalla bocca che dal
naso. I suoni vocalici diversi sono prodotti dalla posizione delle labbra (vocali
arrotondate/non arrotondate), dal contributo della cavità nasale (vocali orali/nasali) e
dalla posizione della lingua (vocali alte/medie/basse; vocali
anteriori/centrali/posteriori)  Trapezio vocalico Le consonanti si producono sempre
restringendo il canale fonatorio, al contrario delle vocali. Il restringimento o la
chiusura si può produrre con: labbra, denti, lingua, palato… Le consonanti si
descrivono per: luogo di articolazione (glottide, faringe, ugola, velo, palato, alveoli,
denti, labbra), modo di articolazione (restringimento, occlusione, altri), contributo
delle corde vocali (sonore, sorde) e contributo della cavità nasale (nasali, orali).
Lezione 5 (L’alfabeto fonetico)

Nei sistemi di scrittura di tipo fonografico (in particolare, alfabetico), c’è una
rappresentazione del suono, ma le regole ortografiche dei singoli sistemi di scrittura
non hanno una rappresentazione perfetta di quei suoni. Non c’è quindi una
corrispondenza biunivoca tra lettere e suoni nei sistemi ortografici. L’alfabeto
fonetico internazionale (IPA) è lo strumento tecnico di standard per la trascrizione dei
suoni.
Lezione 6 (Fenomeni soprasegmentali)

I fenomeni soprasegmentali sono fenomeni che si realizzano a livello fonetico avendo


un’estensione maggiore del singolo fono. I fenomeni fonotattici sono legati alla
combinazione di foni in sequenza:
- Adattamento articolatorio di un fono a quelli circostanti (ad es., realizzazione
della consonante nasale alveolare in italiano come intaglio; ancora; anfora, o
anche esiti nella grafia di parole con prefisso in- negativo)
- In italiano una vocale alta seguita (e a volte anche quando è preceduta) da altra
vocale si riduce a approssimante (i + vocale  j; u + vocale  w)
La sillaba è un’unita fonetica superiore al singolo suono; è un’unità di suoni formata
da: un nucleo, e può essere preceduta da attacco e seguita da coda. Un nucleo sonoro
è frequentemente formato soltanto da una o più vocali. Le sillabe chiuse sono quelle
il cui nucleo ha sia attacco che coda oppure solo la coda; le sillabe aperte, invece,
sono precedute da un attacco oppure sono formate dal solo nucleo.
- Durata o lunghezza: tempo impiegato per realizzare un suono. In italiano la
variazione di durata riguarda sia i suoni vocalici che quelli consonantici (topo
[‘to:po]; toppo [‘top:o]).
- Struttura sillabica e durata vocalica: la struttura della sillaba ha un effetto sulla
lunghezza vocalica, infatti in molte lingue le vocali delle sillabe aperte (senza
coda) tendono ad essere più lunghe.
- Sillaba e mora: in alcune lingue, come il giapponese (ogni segno corrisponde a
una mora nell’hiragana e nel katakana), la durata della sillaba è particolarmente
importante; si considera così la mora, unità ritmica della sillaba (una sillaba è
composta da una o più more; una mora è composta da uno o più foni)
- Accento tonico (o di intensità): aumento di volume nella realizzazione di una
sillaba rispetto a quelle circostanti.
- Accento tonico e durata vocalica: le vocali tendono ad essere più lunghe,
specie in sillaba aperta e in penultima posizione. Se accentata, una vocale resta
vocale (non diventa approssimante) neppure vicino ad altra vocale
- Parole prive di accento tonico: vengono chiamate parole atone o clitiche in
quanto si appoggiano alle parole precedenti seguenti (ad es., in italiano: articoli
determinativi, preposizioni, ausiliari, negazione, alcuni pronomi personali)
Il significante delle lingue verbali è principalmente fonico e le unità minime del
secondo livello di articolazione sono i foni e i fonemi. I foni sono raggruppati in
sillabe, a loro volta radunate in parole foniche, dotate ciascuna di un accento.
Lezione 7 (Fonemi e allofoni)

Valore distintivo di una coppia di suoni: una sola differenza nel tratto di sonorità può
creare una distinzione tra due parole (coppie minime: carte/carte, basta/pasta,
gusto/giusto), ma non vale sempre. Le coppie minime sono coppie di parole diverse
che si distinguono per un solo fono. Si possono distinguere foni, fonemi e allofoni. Il
fono è un suono presente nel repertorio fonetico di una lingua; il fonema è un fono
che in una lingua specifica ha valore distintivo, ovvero funzionale a distinguere le
parole, il valore fonematico di un fono si può stabilire con prove di commutazione,
cioè se due foni distinguono almeno una coppia sono fonemi; gli allofoni sono foni
che non hanno valore distintivo, ma sono varianti di un fonema  ci sono varianti
libere (legate alle idiosincrasie di un parlante/gruppo di parlanti) e varianti
combinatorie (legato a un certo intorno fonetico). Il rendimento di un’opposizione
fonematica è la frequenza con cui tale opposizione distingue coppie minime (ad
esempio in italiano il rendimento tra /a/ e /e/ è molto alto perché distingue molte
coppie); ciò riguarda sia le vocali che le consonanti. /I/ /u/ e /a/ sono dei fonemi
dell’italiano, ma le due vocali intermedie (sia alte che inferiori) costituiscono in
varianti allofoniche dello stesso fonema (unità distintiva in una lingua). Il valore
fonematico non è una proprietà assoluta di un fono, ma vale all’interno di un sistema
linguistico.; lingue diverse sfruttano in modo diverso le stesse opposizioni.
La durata di un certo fono ha un valore fonematico:
- Lunghezza delle consonanti ha valore fonematico in italiano (palina vs.
pallina)
- Lunghezza delle vocali ha valore fonematico in tedesco (Stadt vs. Staat), in
latino e in giapponese
- Lunghezza di vocali e consonanti hanno entrambe valore fonematico in
finlandese
Anche l’accento tonico ha valore fonematico, ad esempio in italiano e in inglese,
mentre in francese no.
Un altro fenomeno soprasegmentale è l’accento tonale, ovvero la variazione di
frequenza acustica tra le sillabe di una parola (frequenza alta = suono acuto,
frequenza bassa = suono grave). Le lingue tonali sono quelle in cui la variazione di
tono ha statuto fonematico, come il cinese.
Inoltre, l’intonazione è la variazione di frequenza tra le sillabe di una frase; è diversa
dal tono su base funzionale. Molte/tutte le lingue distinguono frasi con funzioni
diverse (“Va bene”: asserzione; “Va bene?”: domanda).
Lezione 7 (Morfologia)
Fonetica e fonologia si occupano del secondo livello di articolazione delle lingue. La
morfologia, invece, si occupa del primo livello di articolazione, ovvero le lingue
verbali in quanto sistemi di segni dotati di significato e significante. Per il primo
livello si individuano delle unità che portano significato e significante: parole,
sintagmi e frasi. La sotto-unità delle parole sono i morfemi, che porta il significato e
il significante. I morfemi sono appunto l’unità minima di prima articolazione, dotata
di significato e significante; sono individuabili con prove di commutazione, tramite
comparazione di coppie di parole che variano per un solo morfema. (immagine!!) I
morfemi possono essere:
- Lessicali (costituiscono il nucleo delle parole, fanno riferimento a elementi
della realtà e sono la base del lessico di una lingua)
- Grammaticali (si applicano a morfemi lessicali per definirne la funzione nella
frase) e si dividono al loro volta in: derivativi (formano nuove parole) e flessivi
(assegnano alle parole valori rispetto alle categorie grammaticale della lingua)
Lezione 7 (Omonimia, allomorfia e cumulo di morfemi)

Sono casi particolari nell’associazione significato-significante di un morfema.


L’omonimia è l’esistenza di due espressioni linguistiche con uguale significante ma
diverso significato; i morfemi omonimi hanno questo valore, ma non è applicato a un
oggetto con estensione di parola, bensì estensione di morfema:
- Tra i morfemi lessicali: contare = calcolare e contessa = titolo nobiliare
- Tra i morfemi grammaticali: bello = m. sing e parlo = 1 sing.; immigrare =
dall’esterno all’interno e impossibilie = negazione
L’allomorfia è affine all’allofonia (che è la stessa cosa, ma avviene a livello dei
suoni), cioè morfi di diverso significante che esprimono lo stesso significato, sono
quindi varianti dello stesso morfema:
- Tra i morfemi lessicali: “conservare in mano”  ten-: tenuto, tenere, tenendo;
tien-: tieni; teng-: tengo
- Tra i morfemi grammaticali: “infinito presente”  are-: parlare, cantare; ere:
cadere, temere; ire: punire, partire
L’allomorfia esiste a causa di:
- Classi flessive (verbali: infinito presente; aggettivali: maschile singolare)
- Esito di percorsi diacronici
- Adattamenti fonetici
I morfemi cumulativi sono dei morfemi accumulati, cioè su un unico significante si
accumulano più valori. I diversi morfemi sono distinguibili sul piano del significato,
ma non ulteriormente segmentabili sul piano del significante (es. morfema di genere e
numero in italiano è sempre cumulativo: rossa  femm. sing; rosse  femm. pl.)
Lezione 8 (Distribuzione dei morfemi)

Classificazione distribuzionale: i morfemi possono essere liberi e semiliberi (parole


semiautonome) o legati (a un altro morfema). I morfemi legati sono detti anche affissi
e possono organizzarsi all’interno di una parola in diversi modi. I morfemi si
susseguono uno dopo l’altro in una morfologia concatenativa; si distinguono in
suffissi e prefissi, che si attaccano ai morfemi lessicali.
Ci sono, però, anche morfemi discontinui, come i circonfissi, cioè morfemi composti
di due parti, che circondano il morfema lessicale (come in tedesco o in tagalog). La
morfologia discontinua si ritrova nelle lingue afroasiatiche con i transfissi, cioè
morfemi che si inseriscono gli uni negli altri ‘a pettine’.
La morfologia sostitutiva, invece, è l’alternanza di forme diverse del morfema
lessicale in corrispondenza di valori diversi della flessione, usata ad esempio in
italiano e in inglese.
L’ultima modalità di distribuzione dei morfemi è quella sottrattiva, in cui in valore
morfemico è espresso dalla cancellazione di una parte del morfema radicale, presente
ad esempio in francese.
Lezione 9 (Flessione)

La flessione consente di modificare parzialmente il significato delle parole rispetto a


determinate categorie grammaticali. L’italiano è una lingua flessiva e alcuni esempi
di flessione sono: verbi, nomi, aggettivi, articoli e pronomi. La flessione è una
procedura di modificazione di una parola mediante sostituzione o aggiunta di
morfemi grammaticali, che sono organizzati in categorie, le quali esprimono ciascuna
una funzione: in italiano ci sono categorie di genere, numero, tempo-aspetto-modo,
persona, caso. Ogni categoria possiede due o più valori. L’insieme di tutte le forme di
una parola che esprimono i diversi valori previsti per le varie categorie, si chiama
paradigma delle forme di una parola. In italiano i morfemi di genere e numero sono
cumulativi. Ci sono diverse categorie flessive:
- Numero: ha caratteristica distribuzionale e hanno flessione di numero nomi,
aggettivi, articoli e varie classi di pronomi. Questa categoria esprime quantità e
in italiano ha due valori, cioè singolare e plurale; altre lingue presentano anche
il duale, triale e paucale
- Tempo-aspetto-modo: in italiano sono parzialmente cumulativi e fusi
- Persona: ha caratteristica funzionale (I/II/III sing e plur) e riguarda verbi,
pronomi personali, aggettivi/pronomi possessivi.
Lezione 9 (Flessione – allomorfia, fusione e cumulo di morfemi)

Ilcumulo di morfemi, due o più categorie morfemiche sono espresse


contemporaneamente sullo stesso materiale fonico.
Più raro in italiano, il fenomeno di morfi e morfemi zero, per cui uno dei valori di una
categoria non è espresso da materiale fonico (numero dei nomi inglese o in sigiltun),
oppure se nessuno dei valori di una categoria è espresso da materiale fonico, anche se
la categoria è espressa.
Lezione 10 (Flessione contestuale e inerente)

L’assegnazione di valori ad una categoria flessiva avviene su base lessicale per


quanto riguarda la categoria del genere. Per quanto riguarda la categoria numerale
l’assegnazione avviene, invece, su base referenziale (triangolo semiotico). Il motivo
per cui si assegnano categorie di numero e di genere ad aggettivi e determinativi è
che si accordano alla parola su base contestuale (sintattica). Anche per quanto
riguarda i verbi, si effettuano queste scelte: tempo-modo-aspetto sono assegnati in
base referenziale.
Le categorie flessive possono essere di tipo inerente (assegnate su base lessicale o
referenziale) o contestuale (assegnate su base sintattica). Genere e numero possono
essere assegnati su base referenziale. La categoria di caso segnala il ruolo sintattico di
un costituente nella frase (io guardo te; tu guardi me  io: soggetto, me: oggetto…).
Questa categoria non è particolarmente diffusa in italiano: l’unica classe di parole che
ha flessione di caso sono i pronomi personali. I pronomi personali, quindi, sono un
concentrato di categorie flessive (genere, numero, persona e caso) e sono parole
semilibere. Il caso è frequente nelle lingue del mondo su alcuni pronomi personali e
sono più rare le lingue che hanno questa categoria diffusa in altre classi di parole,
come ad esempio il tedesco (nomi, aggettivi, pronomi, articoli) e il latino (nomi,
aggettivi, pronomi). Il tedesco ha 4 valori (nominativo, genitivo, accusativo, dativo) e
il latino anche vocativo, dativo e ablativo. L’accordo nel sintagma è il valore di una
categoria flessiva in una parola che condiziona il valore della stessa categoria in altre
parole. L’accordo nella frase è lo stesso fenomeno e il soggetto assegna (1^/2^/3^
s/pl) al verbo e l’oggetto al participio passato.
Lezione 11 (Derivazione)

La derivazione è un procedimento di formazione di nuove parole a partire da parole


esistenti attraverso procedimenti regolari di aggiunta di morfemi quali suffissi,
prefissi, transfissi e circonfissi. I morfemi derivativi hanno due funzioni:
- possono produrre parole derivate di diversa categoria sintattica rispetto alla
base: solitamente morfemi specializzati per categoria sintattica, cioè suffissi
verbali (deaggettivali), suffissi aggettivali (denominali e deverbali), suffissi
avverbiali (deaggettivali) e suffissi nominali (deverbali e deaggettivali)
- possono modificare il significato della base, mantenendo la categoria sintattica,
con minor specializzazione per la categoria sintattica della base
Per quanto riguarda le caratteristiche distribuzionali, hanno la ricorsività, secondo la
quale una regola può essere (ri)applicata al suo risultato un numero illimitato di volt e
consente una grande produttività di parole nuove. In italiano, in quanto alla posizione
della parola, i morfemi derivativi si trovano più vicini ai morfemi lessicali, al
contrario dei morfemi flessivi e il motivo è probabilmente psico-linguistico e
cognitivo.
Lezione 11 (Derivazione in italiano)

In italiano, lingua dalla morfologia prevalentemente concatenativa, i morfemi


derivazionali sono principalmente suffissi e prefissi. La derivazione attraverso
suffissi è molto frequente e può cambiare la categoria sintattica della frase. Inoltre,
come la derivazione, è un percorso ricorsivo: può essere applicato su parole già
suffissate. La prefissazione, invece di solito non cambia la categoria sintattica della
base. Il processo ricorsivo su una parola già prefissata è raro.
La lingua italiana ha tantissimi fenomeni di allomorfia, dovuta a varie cause:
dipendente da diversi modelli flessivi (es. suffisso avverbiale deaggettivale e suffisso
aggettivale deverbale) o dovuta a fenomeni fonetici (es. prefisso negativo) ed
evolutivi (es. suffisso nominale deverbale).
Sono molto diffusi anche i fenomeni di omonimia (es. “in” come negazione e “in”
come “avvicinamento, dentro”. Un fenomeno meno frequente in italiano (ad es.
lavorare  lavoro; telefono  telefonare) è la derivazione zero/conversione, cioè la
derivazione di diversa classe grammaticale senza morfema derivativo esplicito (cioè
con morfema zero); succede spesso in inglese.
Un meccanismo tipico dell’italiano è la parasintesi, cioè un fenomeno di derivazione
attraverso applicazione simultanea di più morfemi derivativi. In italiano i verbi
parasintetici si producono con prefissazione + conversione (es. bello  abbellire;
linea  allineare). Nei verbi parasintetici, il contributo semantico del prefisso è
molto variabile, così come la sua natura sintattica originaria.
La lingua italiana è tra le lingue romanze che più mettono in evidenza la derivazione
alterativa derivazione alterativa, ed è l’uso di morfemi (suffissi valutativi o alterativi).
Un morfema valutativo o alterativo non cambia la categoria sintattica della base, ma
aggiunge tratti valutativi (diminuzione/accrescimento; apprezzamento/disprezzo) e
spesso danno luogo a specializzazione semantica (ad es. sigaro  sigaretta).
Lezione 12 (Alberi morfemici)

La trascrizione morfematica rappresenta la segmentazione in morfemi e il valore di


ogni morfema. Ciascun morfema scomposto è accompagnato dalla sua glossa, cioè la
rappresentazione del suo significato. Gli alberi morfemici, invece rappresentano la
segmentazione in morfemi, ma anche il percorso derivativo e la struttura morfologica
della parola. (SLIDES!!)
Lezione 13 (Tipologia morfologica delle lingue nel mondo)
I due tratti caratterizzanti della struttura di parola sono la complessità morfologica
(indice di sintesi) e segmentabilità e isolabilità dei morfemi (indice di fusione.
L’indice di sintesi indica il numero di morfemi per parola (es. mai (parola
monomorfematica)  indice 1/1 = 1; uom-o  indice 2/1 = 4; um-an-izz-are 
indice 4/1 = 4). L’indice di fusione riguarda quanto sono individuabili e isolabili i
morfemi (es. parl- av- amo  ‘parlare’ impf.ind 1pl; parl- ammo  ‘parlare prm.ind
1pl; siamo  ‘essere’ pr.ind. 1pl). Questi due parametri possono essere
usati per descrivere le lingue nel mondo. Si distinguono:
- lingue isolanti, che hanno basso indice di sintesi e quindi anche di fusione
- lingue fusive/flessive, con sintesi di indice intermedio ma con indice di fusione
più alto
- lingue agglutinanti, con sintesi di indice intermedio ma con basso indice di
fusione
- lingue polisintetiche, con alto indice di sintesi e relativamente alto indice di
fusione
Le lingue agglutinanti hanno indice di sintesi tendente a 2 o superiore. Le parole
quindi tendono a contenere più morfemi. Hanno basso indice di fusione, con
struttura morfologica trasparente. La morfologia è concatenativa, con scarsi
fenomeni di fusione tra morfemi e rari morfemi cumulativi, omofono o allomorfi.
Sono lingue agglutinanti giapponese, turco e swahili.
Le lingue flessive o fusive hanno un indice di fusione tendente a 2 o superiore;
ogni parola tende a contenere più morfemi (uno lessicale e uno o più
grammaticali). Al contrario delle lingue agglutinanti, hanno un alto indice di
fusione, con struttura morfologica poco trasparente, con morfologia (anche) non
concatenativa, i morfemi sono fusi tra loro e c’è la presenza di morfemi
cumulativi, omofoni e allomorfi. Esempi di lingue tendenti al tipo fusivo sono
arabo e latino.
Le lingue isolanti hanno indice vicino a 1. La parola tende a coincidere con il
morfema e spesso hanno parole monosillabiche (coincidenza
parola/morfema/sillaba), conseguenza del fatto che non hanno tanti morfemi; sono
rari o inesistenti morfemi flessivi e derivativi. I valori propri delle categorie
flessive e dei rapporti di derivazione sono espressi attraverso morfemi lessicali.
Una lingua tendente al tipo isolante è il cinese. L’inglese è un tipo particolare di
lingua di tipo isolante; ne ha alcuni tratti, come l’espressione di categorie verbali
(tempo, modo e persona del verbo). Al contrario delle altre lingue, la formazione
di parole è data dalla derivazione, quindi da questo punto di vista tende più al tipo
fusivo.
Le lingue polisintetiche hanno indice di sintesi molto alto: ogni parola contiene
più morfemi, sia lessicali che grammaticali. Inoltre, anche l’indice di fusione è
relativamente alto, con struttura morfologica poco trasparente; i morfemi sono fusi
tra loro e c’è la presenza di morfemi cumulativi, omofoni e allomorfi e morfologia
(anche) non concatenativa. Esempi sono koryak (paleosiberiana), tupinamba (tupi-
guaranì) e alcune espressioni dell’inglese.
Lezione 14 (Sintassi; sintagma)

La morfologia si occupa dell’organizzazione delle parole e le unità minime sono il


morfema e quella massima, la parola; riguarda come sono fatte le parole e come i
morfemi si combinano in parole. La sintassi, invece, si occupa dell’organizzazione
delle frasi e l’unità d’analisi minima è il sintagma, quella massima la frase; riguarda
come sono fatte le frasi e come i morfemi e le parole si organizzano in sintagmi e
frasi. I fenomeni linguistici che fanno riferimento alla sintassi sono:
- Vincoli dell’ordine delle parole: mobilità
- Vincoli sull’ordine delle parole: interrompibilità
- Vincoli di forma delle parole: accordo
- Vincoli di forma delle parole: reggenza
- Confini sintattici e intonativi
Un sintagma rappresenta un gruppo/sequenza di parole che funziona in una frase
come unità, dimostrato dai vincoli su posizione, forma. La frase è la massima unità
all’interno della quale vigono relazioni di tipo sintattico. Sono entrambi dotati di
struttura gerarchica (testa e elementi dipendenti), struttura ricorsiva (sia un sintagma
che una frase possono contenere dei sintagmi e delle frasi rispettivamente) e sono
scomponibili per ramificazioni binarie. Ci sono diversi tipi di sintagma a seconda
della testa che li sostituisce:
- Sintagma nominale (SN)
- Sintagma verbale (SV)
- Sintagma preposizionale (SP)
- Sintagma aggettivale (SAgg)
- Sintagma avverbiale (SAvv)
Lezione 15 (Sintassi – Frase)

La struttura di una frase può essere intesa su due piani diversi. Sul piano del rapporto
di predicazione, la struttura minima di una frase è data dal fatto che esiste un rapporto
di predicazione tra soggetto e predicato. Il secondo modello prevede come struttura
minima della frase il verbo al centro, ma non inserito in un rapporto di predicazione
con un altro elemento, bensì un verbo che prevede delle valenze ed è la struttura
portante e minima. Entrambe le prospettive hanno un verbo come elemento fondante.
La differenza fondamentale è che il primo modello ignora le caratteristiche specifiche
del singolo verbo e vede sempre questa struttura, mentre il secondo parte dalle
caratteristiche individuali del verbo per svilupparsi.
La frase come rappresentazione di un evento vede il verbo come portatore dell’evento
e i sintagmi ad esso legati portano in scena i partecipanti dell’evento. I sintagmi
possono essere descritti:
- Dal punto di vista formale  come valenze, o argomenti o ruoli
valenziali/sintattici del verbo
- Dal punto di vista semantico  come attanti, o ruoli semantici/attanziali del
verbo
Ogni verbo ha un suo schema valenziale; parte della sintassi della frase è quindi data
dalle caratteristiche del verbo. Il soggetto è la prima valenza del verbo, è un sintagma
nominale, si accorda col verbo in tutte le lingue che prevedono un verbo flesso,
assume un caso dedicato (nominativo) e ha una posizione dedicata nella frase (in
italiano è quella preverbale, con una certa flessibilità; in inglese è fisso), L’oggetto è
la seconda valenza del verbo, è un sintagma nominale, assume un caso dedicato
(accusativo), ha una posizione dedicata nella frase (di solito si colloca dopo il verbo
in italiano; SVO) e con verbi di forma passiva assume caratteristiche del soggetto; in
alcune lingue come lo swahili il verbo prende anche una marca di classificatore che si
accorda con l’oggetto.
Nella frase come rapporto di predicazione, ci sono delle regole di riscrittura:
- F…
- SN + SV (Gianni dorme)
- SV + SN (Arriva Gianni)
Negli alberi sintattici, la frase si può scomporre in sintagma nominale e sintagma
verbale e viceversa. Un sintagma nominale ha una testa nominale, quello verbale ha
una testa verbale, ma ognuno può essere piò o meno modificato.
La struttura sintattica della frase può essere rappresentata nella sua ricorsività. Negli
alberi sintattici il nome del nodo descrive la classe di parole cui appartiene la testa del
sintagma (nome, verbo…). La funzione sintattica del sintagma (il suo essere soggetto,
oggetto, modificatore di frase/sintagma…) è rappresentata dalle relazioni tra nodi,
cioè dai rapporti di dipendenza). Inoltre, l’ordine sequenziale dei costituenti è
vincolato dai rapporti di dipendenza. Ad esempio, i costituenti dipendenti di un
sintagma si spostano “tutti insieme”.
Lezione 16 (Alberi sintattici -SN SP)

Ci sono diverse regole di riscrittura delle frasi:


- F  SN + SV (Una frase può essere riscrivibile come sintagma nominale più
sintagma verbale); ordinabile anche nel verso opposto  SV + SN
- F  SN + SV; SV + SN (costituenti necessari di F; relazione di accordo SN -
SV)
- F  SAvv + F; F + SAvv (con i prossimi due, sono i possibili modificatori di
F)
- F  SP + F; F + SP
- F  SN + F; F + SN
Nel sintagma nominale le regole sono:
- SN  N (quindi un sintagma nominale può essere costituito anche solo dalla
sua testa)
- SN  Quant + SN (con i Det sono i possibili introduttori di SN e non se ne
può avere più di uno con un solo sintagma)
- SN  Det + SN
- SN  Poss + SN:-; SN + Poss (con i SAgg sono i possibili modificatori di SN)
- SN  SAgg + SN; SN + SAgg
- SN  SN + SP (con le F sono i possibili dipendenti di SN)
- SN  SN + SP
Il sintagma preposizionale ha una sola regola:
- SP  Prep + SN
Il sintagma verbale ha le seguenti regole:
- SV  V (solo testa SV)
- SV  Aux + SV (con i Mod sono i possibili introduttori di SV)
- SV  Mod + SV
- SV  SV +SAvv; SAvv + SV (possibili modificatori di SV)
- SV  SV + SN (Con i prossimi tre, sono i possibili sintagmi dipendenti da
SV)
- SV  SV + SP
- SV  SV + SAgg
- SV  SV + F
Può esserci più di un sintagma dipendente dal verbo ed è anzi alquanto ricorrente.
Le frasi subordinate sono quelle che dipendono da altri sintagmi o frasi e le regole di
scrittura sono le stesse delle altre frasi con un’aggiunta:
- Fsub  comp + F

Lezione 17 (Tipologia sintattica: ordine testa-dipendenza)


I sostituenti maggiori della frase sono: SNsogg, SN ogg, V. Sono possibili diversi
ordini:
- SVO: ordine di base, perfettamente accettabile
- ??SOV; accettabile, con i seguenti, solo con intonazione e punteggiatura
particolari
- ???VSO
- ?VOS
- ???OSV
- ??OVS
L’ordine di base dei costituenti maggiori nelle lingue del mondo non è del tutto
uniforme nei sei diversi ordini possibili  SOV quasi 50%: latino, ungherese, turco,
giapponese, coreano, hindi bengali  SVO circa 45%: lingue indeuropee in EU,
finlandese, ebraico moderno, vietnamita, swahili  VSO, piccola percentuale:
gaelico, gallese, arabo, ebraico classico. Gli altri modelli sono esigui. Non si può
attribuire una semplice ragione storica a questo ordine nel mondo. I due ordini
maggiori, SOV e SVO condividono una struttura sintattica che prevede una
preferenza del sintagma nominale per collocarsi in prima posizione ed essere seguito
da quello verbale.
Per l’ordine nome – adposizione, nelle preposizioni italiane l’ordine è: SP  prep +
SN (es. dopo un anno). In italiano c’è solo un caso di posposizione: SP  SN + posp
(es. un anno fa). In altre lingue, le costruzioni sono diverse, ad esempio in fij: SP 
prep + SN e in lezgi: sp  sn + posp. Nelle lingue del mondo posposizioni e
preposizioni sono quasi uguali in termini di diffusione.
Per quanto riguarda la correlazione tra ordini dei costituenti maggiori e tipo di
adposizioni, se una lingua ha ordine OV, tende ad avere posposizioni; se una lingua
ha ordine VO, tende ad avere preposizioni (come l’italiano). Esistono principi di
ordinamento dei costituenti che dimostrano l’ordine testa – dipendenza:
- Tipo 1: VO e proposizioni; SV  SN + SN; SP  prep + SN
- Tipo 2: OV e posposizioni; SV  SN + SV; SP  SN + prep
C’è una tendenza comune nel primo tipo a collocare la testa in posizione iniziale,
prima degli elementi dipendenti; nel secondo tipo è il contrario, cioè la testa si pone
alla fine. Una regola di riscrittura individua sempre un elemento testa e un elemento
dipendente. In italiano:
- SV  SV + SN/ SV +SAvv/SV + SP.
- SN  SN + SAgg/SN + SP
- SP  Prep + SN
In italiano la testa del sintagma tende a ricorrere in posizione iniziale (ma non
sempre). La testa di un sintagma tende a ricorrere nella stessa posizione, in quasi tutte
le lingue del mondo. Si possono individuare due tipi di lingue, a seconda delle loro
tendenze:
- Lingue VO, con testa iniziale e ordine SP  Prep + N; SN  N + Agg; SN 
N + SPgen; SN  N + Frel
- Lingue OV, con testa finale e ordine invertito SP  N + Post; SN  Agg + N;
SN  SPgen + N SN  Frel + N
Lezione 18 (Attanti e valenze)

Alla base della nozione di valenza e attante c’è l’idea che ogni frase a nodo verbale
possa essere vista come la rappresentazione di un evento, che è portato in scena dal
verbo. Questa rappresentazione, in termini formali, viene chiamata valenza, o
argomenti, o ruoli valenziali/sintattici del verbo. Per il loro valore semantico,
vengono definiti attanti, o ruoli semantici/attanziali del verbo. Con schema valenziale
o struttura argomentale del verbo, si intende la descrizione delle caratteristiche
formali dei sintagmi che un verbo richiede. Ci sono due valenze con caratteristiche
speciali:
- SN soggetto: in molte lingue governa l’accordo col verbo, assume un caso
dedicato (nominativo) e ha una posizione dedicata
- SN oggetto : in molte lingue assume un caso dedicato (accusativo), ha una
posizione dedicata (in italiano post-verbale) e nelle lingue con costruzione
passiva assume caratteristiche del soggetto. Date queste caratteristiche, si parla
di verbi transitivi (verbi bivalenti che reggono come valenza un SN oggetto, ad
es. arrivare)
Un verbo può avere più schemi valenziali. Gli schemi valenziali non variano solo per
numero, ma anche per tipo.
Gli schemi attanziali, invece, prestano attenzione al valore semantico che gli elementi
dipendenti dal verbo hanno. Ci sono diversi possibili ruoli attanziali, da quello che ha
più controllo sull’evento a quello che ne ha di meno:
- Agente: entità che provoca la causa dell’evento descritto dal verbo
- Esperiente: entità che percepisce gli effetti dell’evento
- Beneficiario: entità nell’interesse della quale si verifica l’evento
- Strumento: entità mediante cui si realizza l’evento
- Paziente: entità passivamente interessata dall’evento
Nello schema valenziale sono importanti le caratteristiche formali dei sintagmi che un
verbo richiede e i ruoli sintattici, mentre per lo schema attanziale si dà importanza ai
ruoli semantici dei partecipanti. Possono esserci più schemi sia attanziali che
valenziali per un solo verbo.
Ci sono diverse tendenze nell’associazione di ruoli semantici e sintattici:
- Agente V Paziente
- Agente V Beneficiario
- Beneficiario V Paziente
- Esperiente V Paziente
- Strumento V Esperiente (eccezione alla tendenza)
- Strumento V Paziente
- Agente V Paziente Strumento
L’attante con maggior grado di controllo sull’evento descritto dal verbo tende ad
assumere il ruolo sintattico di soggetto; non si ha un’associazione stabile tra una
valenza e un ruolo sintattico, ma esistono tendenze di associazione.
La costruzione passiva è una costruzione sintattica che consente di porre a soggetto
un ruolo attanziale con basso grado di controllo e che perciò nella costruzione attiva
occupa la valenza di oggetto.

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