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Glottologia e linguistica prof.

Strik Lievers
CAP. 1 – IL LINGUAGGIO VERBALE
La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua. “Secondo una definizione
corrente, la linguistica è lo studio scientifico delle lingue e del linguaggio.”

‣ -scientifico= in senso “debole”, si basa quindi sull’osservazione dei fatti, ma


astenendosi dai giudizi di tipo estetico o morale.
‣ -linguaggio= facoltà innata di comunicare (prerequisito delle lingue)
‣ -lingua= una delle possibili realizzazioni del linguaggio
LINGUAGGIO LINGUA
Congenito? sì no
Apprendibile? no sì
Cancellabile? no sì
Universale? sì (facoltà di no
imparare una lingua)
Mutevole? no sì
Il linguaggio ci accomuna, le lingue ci distinguono.

Il dato osservabile per il linguista non è il linguaggio, ma sono le singole lingue, attraverso i
loro prodotti (testi orali o scritti) e i giudizi che i parlanti danno su essi.

La linguistica non è lo studio delle lingue. Al linguista paradossalmente affascinano di più gli
errori, perché attraverso essi si osservano le variazioni della lingua. L’errore diventa regola
quando cambia la reazione che suscita nei parlanti.

Branche della linguistica:

§ linguistica generale (teorica/sincronica/descrittiva), che si occupa di che cosa sono,


come sono fatte e come funzionano le lingue;
§ linguistica storica (o glottologia), che si occupa dell’evoluzione delle lingue nel tempo
e dei rapporti fra le lingue e fra lingua e cultura;
§ linguistica tipologica, studia in modo sistematico la variazione linguistica (comparando
lingue diverse);
§ sociolinguistica, studia le relazioni tra lingua e società;
§ linguistica computazionale, studia i metodi computazionali per il trattamento delle
lingue (traduttori automatici, a metà tra l’informatica);
§ psicolinguistica, studia i comportamenti verbali in ambito psicologico;
§ neurolinguistica, studia i rapporti tra linguaggio e strutture cerebrali (es. afasie);
§ etnolinguistica, studia la lingua nel contesto antropologico (come espressione di una
cultura).

La linguistica non è materia di insegnamento scolastico, anche se nel percorso vengono


spesso affrontate delle questioni linguistiche.
Storia della linguistica

Diventa disciplina autonoma solo nel 1861 (1° cattedra di Letteratura orientale e linguistica,
università di Berlino), ma la storia della riflessione linguistica ha radici più antiche. (limitandoci
all’occidente):

-Grecia (VI sec. a.C.), nasce come una riflessione filosofica sul rapporto tra realtà e linguaggio
(se viene rappresentata fedelmente, i motivi per cui le cose si chiamano così). L’opera più
antica di linguistica è il dialogo “Cratilo” di Platone, dove i protagonisti si interrogano se il
rapporto tra le parole e le cose sia naturale o convenzionale (Cratilo naturalista -Ermogene
convenzionalista Socrate arbitro).

“ERMOGENE: …non per natura già predisposto per ciascun oggetto è il nome – nessun nome
per nessun oggetto – bensì per legge e per uso di coloro che così usano e chiamano” (tesi
sostenuta oggi)

Aristotele (convenzionalista) non dedica opere specifiche a questioni linguistiche ma fa molti


riferimenti in diverse opere. Sostiene per la prima volta che le parole non siano tutte uguali
ma che possano essere classificate in base alle loro caratteristiche. Fa quindi la prima
classificazione delle parole in parti del discorso, che viene poi ripresa dai grammatici latini,
così come la studiamo oggi (es. Prisciano divide il discorso in 8 parti e fa la distinzione tra
verbi transitivi e intransitivi).

-Dante, “De vulgari eloquentia” (inizio ‘300, quasi sconosciuto fino al ‘500). Una delle principali
questioni è quale sia la lingua originaria: Dante sostiene che sia l’ebraico e che le varie lingue
siano il risultato della confusione biblica (Torre di Babele). Classifica le varie lingue parlate in
Italia, notando delle variazioni anche nelle singole città. Il suo scopo è quello di descrivere il
volgare illustre (cioè quello letterario).

-rinascimento ed età moderna: la distinzione degli stati porta all’affermazione delle lingue
volgari. Le scoperte geografiche portano ad una diversità linguistica più ampia (grazie ai
missionari)

-XIX sec.: sulla base delle descrizioni delle varie lingue si trovano delle somiglianze tra
lingue diverse + grazie alla conquista dell’India si diffonde il sanscrito. + Sir William Jones
(magistrato inglese trasferitosi a Calcutta) nel 1786 tiene una conferenza alla Asiatic Society,
dove osserva le affinità tra latino, greco, sanscrito e lingue germaniche (gotico). Per ipotizzare
una parentela tra queste lingue, le somiglianze semantiche devono essere di tipo sistematico.
L’antenato comune è una lingua di cui non abbiamo attestazione e che è stata ricostruita
appunto grazie alle somiglianze semantiche.

-Ferdinand de Saussure (1857-1913): viene da una tradizione di studi di lingue antiche e


comparate. Pubblica poco ma un testo molto importante è la sua tesi di laura sulla linguistica
storica. Si interroga sui fondamenti storici e comparativi della linguistica, rendendosi conto
della mancanza di principii generali. Tiene un corso di linguistica generale, i cui appunti sono
stati raccolti e pubblicati dopo la sua morte come 1° manuale di linguistica generale
(traduzione di Tullio de Mauro)
A che cosa serve il linguaggio?

“Tutte le lingue storico-naturali sono espressione di quello che viene chiamato linguaggio
verbale umano. Il linguaggio verbale è una facoltà innata dell’homo sapiens ed è uno (e il più
raffinato, complesso e duttile) degli strumenti, dei modi e dei sistemi di comunicazione che
questi abbia a disposizione.”

-lingue storico-naturali= lingue nate spontaneamente lungo il corso della civiltà umana e usate
dagli esseri umani ora o nel passato. “da un lato sono apprese in modo naturale e spontaneo,
dall’altro sono il prodotto di un’evoluzione attraverso il tempo e sono strettamente legate alla
comunità linguistica che le usa” (comprende anche le lingue non riconosciute da uno Stato)

-comunicazione (dal latino communis), inteso con il modello di Roman Jakobson.

In ogni evento comunicativo c’è un mittente e almeno un ricevente.

Il codice deve essere condiviso dai partecipanti dell’evento comunicativo. Il codice è un


insieme di conoscenze che permette di attribuire un significato a ciò che succede o, più
precisamente, l’insieme di corrispondenze, fissatesi per convenzione, fra qualcosa (‘insieme
manifestante’) e qualcos’altro (‘insieme manifestato’) che fornisce le regole di interpretazione
dei segni. Tutti i sistemi di comunicazione sono dei codici. Da questo punto di vista, i segni
linguistici costituiscono il codice lingua.

Che cosa sono le lingue?

“[...] le lingue sono codici (un termine equivalente a sistemi di segni, ma molto più comodo
nell’uso), cioè sistemi di corrispondenze tra l’ordine dell’espressione e l’ordine del
contenuto, destinati alla trasmissione di informazione tra un emittente e un ricevente
attraverso la produzione e la diffusione di messaggi”.
Che cos’è un segno? Un segno, detto in maniera molto generica, è qualcosa che sta per
qualcos’altro e serve per comunicare questo qualcos’altro.

Qualcosa= espressione, percepibile attraverso i sensi (es. un suono, un’immagine);


qualcos’altro= contenuto (mentale) che possiamo afferrare grazie all’espressione.

‘Segno’ è quindi l’unità fondamentale della comunicazione. La disciplina che studia i segni
(linguistici e non) è la semiotica (o semiologia). Esistono diversi tipi di segni, che si possono
classificare in base a: -il tipo di rapporto tra espressione e contenuto, -la presenza o assenza
di intenzionalità comunicativa.

Classificazione dei segni:

‣ INDICE: rapporto contenuto/espressioneà motivazione naturale (causale); segni non


intenzionali Es: starnuto= avere il raffreddore, nuvole scure= sta per piovere, tracce
sulla neve= è passato un animale
‣ SEGNALE: motivati naturalmente; usati intenzionalmente Es: sbadiglio= sono
annoiato, latrati di allarme di scimmie= pericolo
‣ ICONA: motivati analogicamente (somiglianza); intenzionali Basati sulla similarità di
forma o struttura, riproducono proprietà dell’oggetto designato Es: disegni, emoticon,
simboli per indicare uomo/donna, carte geografiche e mappe
‣ SIMBOLO: motivati culturalmente; intenzionali Es: colore nero/bianco= lutto, rosso
del semaforo= fermarsi, colomba con ramoscello d’ulivo= pace, bandiere, alzarsi (in
Europa)/sedersi (in Giappone) davanti a un superiore= rispetto,
blu=maschio/rosa=femmina
‣ SEGNO (IN SENSO STRETTO): non motivati (arbitrari, totalmente immotivati, basati
su mera convenzione); intenzionali
Es: segni linguistici, molti segnali stradali (altri sono icone; altri, simboli),
comunicazione gestuale, suono al telefono di una linea occupata.

Andando dall’indice al segno, la motivazione che collega il contenuto all’espressione diventa


via via sempre più convenzionale, quindi aumenta anche la specificità culturale dei segni in
senso lato: mentre gli indici sono per definizione di valore universale, i simboli e ancor più i
segni in senso stretto sono dipendenti da ogni singola tradizione culturale.

Le proprietà dei segni linguistici

Biplanaritàà I segni linguistici, come tutti i segni, sono costituiti dall’unione inscindibile di
significato (piano del contenuto) e significante (piano dell’espressione).

Significante (o espressione) =è la parte o faccia o piano fisicamente percepibile del segno,


quello che cade sotto i nostri sensi (il ‘qualcosa’ che sta per qualcos’altro).

Significato (o contenuto) =è la parte o faccia o piano non materialmente percepibile,


l’informazione veicolata dalla faccia percepibile (il ‘qualcos’altro’).

In altre parole, il significante o espressione è ogni modificazione fisica a cui sia associabile un
significato, un certo stato concettuale o mentale: quest’ultimo è il contenuto.
Codice=sistema di segni. Le lingue sono dei codici, dei sistemi di segni linguistici.

Arbitrarietàà non c’è alcun legame naturalmente motivato, connesso alla natura o
all’essenza delle cose, derivabile per osservazione empirica o per via di ragionamento logico,
fra il significante e il significato di un segno. I segni linguistici sono quindi puramente arbitrari
(e convenzionali).

Se i segni linguistici non fossero arbitrari, le parole delle diverse lingue dovrebbero essere
tutte molto simili: le cose, cioè, dovrebbero chiamarsi più o meno allo stesso modo in tutte le
lingue. Allo stesso modo, se i segni linguistici non fossero arbitrari, parole simili nelle diverse
lingue dovrebbero designare cose o concetti simili.

Triangolo semiotico

Ai tre vertici abbiamo le tre entità in gioco: un significante, attraverso la mediazione di un


significato con cui è associato e che esso veicola (e assieme al quale forma il segno), si riferisce
a un elemento della realtà esterna, extralinguistica, un referente. La linea di base del triangolo
è tratteggiata, al contrario dei due lati, perché il rapporto tra significante e referente non è
diretto, ma è mediato dal significato.

I quattro tipi di arbitrarietà della lingua

• Rapporto tra segno e referenteànon c’è alcun legame naturale e concreto fra un
elemento della realtà esterna e il segno a cui questo è eventualmente associato (es. tra il
segno gatto e l’animale in questione)
• Rapporto tra significante e significato (es. tra il significante gatto e il significato ‘felino
domestico’)
• Rapporto tra forma (struttura) e sostanza (l’insieme di tutti i possibili concetti) del
significatoàogni lingua ritaglia in un modo che le è proprio (ed eventualmente, anzi
spesso, diverso da quello delle altre lingue) un certo spazio di significato (e dà quindi una
data ‘forma’ ad una data ‘sostanza’ semantica) distinguendo e rendendo pertinenti una o

più realtà

§ Rapporto tra forma e sostanza del significanteàogni lingua organizza secondo propri
criteri la scelta dei suoni pertinenti, distinguendo in una certa maniera, eventualmente
diversa da altre lingue, le entità rilevanti della materia fonica. Il significante dei segni
linguistici è primariamente di carattere fonico-acustico, costituito cioè da onde sonore
che viaggiano nell’aria: queste rappresentano la sostanza su cui ogni lingua effettua le
sue pertinentizzazioni. Un esempio di identica sostanza fonica organizzata in maniera
diversa in diverse lingue può essere dato dalla quantità o durata delle vocali. Laddove
l’italiano ha per esempio una sola a, senza distinzione di lunghezza, il tedesco o il latino
distinguono due suoni diversi con carattere distintivo.

Limitazioni arbitrarietà

“[…] a ben vedere, una lingua nella quale il principio di arbitrarietà assoluta vigesse senza
alcun contrappeso difficilmente potrebbe funzionare. In una lingua del genere, le parole
sarebbero prive di qualsiasi collegamento tra di loro. I parlanti dovrebbero impararle e
ricordarle una per una, senza alcuna possibilità di raggrupparle secondo somiglianze di
suono e di senso: non ci sarebbe modo di collegare benzinaio con benzina, linguista con
lingua, ventotto con venti, leggono con leggo e così via”

§ Arbitrarietà relativaà esistenza di alcune strutture linguistiche che presentano un


certo grado di motivazione (parole composte e derivate) es: lavapiatti, apribottiglie,
giornale-giornalistagiornalaio
§ Principio di iconismoà per esempio, la formazione del plurale attraverso l’aggiunta di
materiale fonico alla forma del singolare è un dispositivo molto diffuso nelle lingue (+
coseà+ materiale) es: child/children, Kind/Kinder. Tuttavia, non è una regola
generalizzabile, basti pensare all’italiano, che ha un plurale formato con alternanza di
desinenze, e, per esempio, il dialetto lombardo, che ha casi di plurali formati mediante
sottrazione di materiale (dòna ‘donna’/don ‘donne’)
§ Fonosimbolismo à in alcuni casi sembra che i suoni delle lingue siano naturalmente
associati a certi significati. Il suono [i], per es., vocale chiusa e fonicamente ‘piccola’,
sarebbe connesso con ‘cose’ piccole (piccolo, fine, minimo, little). Tuttavia, esistono
numerosi controesempi, come big.
“Eccezioni” all’arbitrarietà
§ Ideofoniàparole che evocano, con il loro suono, caratteristiche sensoriali (suono,
colore, movimento…) del referente. Spesso usati nei fumetti: boom/bum “grande
fragore”, zac “taglio netto”, gluglu “trangugiare acqua”. (dubbio che abbiano lo statuto
di effettive parole)
§ Onomatopeeàideofoni che con il loro suono evocano, ‘imitano’, caratteristiche
sonore del referente. Hanno una motivazione analogica, presentano quindi un aspetto
iconico.

Ideofoni e onomatopee sono solo eccezioni parziali in quanto: cambiano da lingua a lingua
(nonostante il referente rimanga identico), i suoni usati nelle onomatopee di una lingua sono
gli stessi usati per formare parole in quella lingua, in alcuni casi solo parte della parola è
onomatopeica (es: tintinnare).
In conclusione, nonostante esistano eccezioni, per lo meno parziali, al principio
dell’arbitrarietà totale della lingua, esse non sono così cruciali da mettere veramente in crisi
lo statuto dell’arbitrarietà come una delle proprietà più importanti del linguaggio verbale
umano.

Approccio cognitivo e funzionalista: nega l’autonomia strutturale interna dei sistemi linguistici
e vede la loro strutturazione come l’estrinsecazione per gli scopi della comunicazione di
proprietà e attitudini già presenti nell’homo sapiens.

Doppia articolazioneàconsiste nel fatto che il significante di un segno linguistico è articolato


(scomponibile) a due livelli nettamente diversi

1° articolazione: il significante è organizzato e scomponibile in unità (morfemi) che sono


ancora portatrici di significato e che vengono riutilizzate (con lo stesso significato) per formare
altri segni. es: gattoà gatt-i, gatt-e, gatt-ino + top-o, bell-o, cucchiai-o.

Ogni segno linguistico, di qualunque estensione e in qualunque lingua, è in linea di principio


analizzabile, scomponibile in unità minime di prima articolazione.

2° articolazione: unità più piccole (fonemi) che non sono più portatrici di significato
autonomo e che combinandosi insieme in successione danno luogo alle entità di prima
articolazione. Es: g, a, t, t, o.

Si noti che unità minime di prima e di seconda articolazione possono coincidere nella loro
forma (come s- in sforna).

La doppia articolazione consente alla lingua una grande economicità di funzionamento: con
un numero limitato di unità di seconda articolazione si può costruire un numero grandissimo
(teoricamente illimitato) di unità dotate di significato.

È di conseguenza anche molto importante nella strutturazione della lingua il principio della
combinatorietà: la lingua funziona, fondamentalmente, combinando unità minori, possedute
in un inventario limitato, prive di significato proprio, per formare un numero indefinito di unità
maggiori (segni).
Trasponibilità di mezzoàil significante dei segni linguistici può essere trasmesso o
realizzato sia attraverso il canale fonico-acustico sia attraverso quello grafico-visivo. Il
carattere orale è tuttavia prioritario rispetto a quello visivo: il canale fonico-acustico (o vocale
-uditivo) appare per varie ragioni il canale primario, talché si dice anche che una delle priorità
del linguaggio verbale umano è la fonicità. Priorità dell’orale secondo diversi punti di vista:

-antropologicoàtutte le lingue che hanno una forma e un uso scritti sonno (o sono state)
anche parlate, mentre non tutte le lingue parlate hanno anche una forma e un uso scritti (per
diversi fattori storico-sociali). La lingua parlata è impiegata in una gamma più ampia e
differenziata di usi e funzioni che non la lingua scritta;

-ontogenetico (relativo al singolo individuo)àogni individuo umano impara prima, al


momento della socializzazione primaria, e per via naturale, spontanea (senza bisogno di
addestramento specifico), a parlare, e solo in un secondo tempo, e attraverso addestramento
guidato specifico, a scrivere;

-filogenetico (relativo alla specie umana)ànella storia della nostra specie, la scrittura si è
sviluppata molto tempo dopo il parlare. Le prime attestazioni di una forma scritta di lingua
risalgono non più di cinque millenni prima di Cristo (scritture pittografiche), e quelle di un
sistema di scrittura vero e proprio a circa il 3500 a.C. (scrittura cuneiforme dei Sumeri). La
scrittura alfabetica, quella che darà luogo al nostro alfabeto attuale, nasce probabilmente
sotto forma di scrittura consonantica che non registra le vocali attorno al 1300 a.C..

Le origini del linguaggio sono molto più antiche: è ipotizzabile infatti che qualche forma
embrionale di comunicazione orale con segni linguistici fosse già presente nell’Homo habilis
e poi nell’Homo erectus (e quindi a partire da più di due milioni di anni fa).

Vantaggi dell’oralità nel linguaggio:

a) Purché vi sia presenza di aria, può essere utilizzato in qualunque circostanza


ambientale, e consente la trasmissione anche in presenza di ostacoli fra emittente e
ricevente e a (relativa) distanza

b) Può essere utilizzato in concomitanza con molte altre prestazioni fisiche e intellettive

c) Permette la localizzazione della fonte di emittenza del messaggio

d) La ricezione è contemporanea alla produzione del messaggio

e) L’esecuzione parlata è più rapida di quella scritta

f) Il messaggio può essere trasmesso simultaneamente a un gruppo di destinatari diversi


e può essere colto da ogni direzione

g) Il messaggio è evanescente, non permane a ingombrare il canale ma lascia subito


libero il passaggio ad altri messaggi (anche uno svantaggio)

h) L’energia specifica richiesta è molto ridotta, il parlare è concomitante con la


respirazione e ne può essere considerato entro certi termini un sottoprodotto
specializzato.
Nelle società moderne, tuttavia, lo scritto ha una priorità sociale: avere una forma scritta è un
requisito indispensabile per una lingua evoluta; lo scritto ha maggiore importanza, prestigio
e utilità sociale e culturale; è lo strumento di fissazione e trasmissione del corpo legale, della
tradizione culturale e letteraria e del sapere scientifico; è il veicolo fondamentale
dell’istruzione scolastica; ha validità giuridica, eccetera.

N.B. la realizzazione parlata e quella scritta dei segni linguistici non sono puramente diretta
realizzazione l’una dell’altra.

Linearitààil significante viene prodotto, si realizza e si sviluppa in successione nel tempo e/o
nello spazio. Successione lineare tale che non possiamo decodificare il segno, capire
completamente il messaggio se non dopo che siano stati attualizzati l’uno dopo l’altro tutti gli
elementi che lo costituiscono.

Discretezzaàla differenza fra gli elementi, le unità della lingua, è assoluta, non quantitativa
o relativa: in altre parole, le unità della lingua non costituiscono una materia continua, senza
limiti netti al proprio interno, ma c’è un confine preciso fra un elemento e un altro, che sono
distinti e ben separabili l’uno dall’altro.

Complessità sintatticaàimportanza sia dell’ordine degli elementi sia delle relazioni tra
elementi non contigui. Es: Luca ha picchiato Marco vs Marco ha picchiato Luca

Dipendenza dalla strutturaàHo visto un uomo col cannocchiale (due interpretazioni


possibili)

Onnipotenza semanticaàcon la lingua è possibile dare un’espressione a qualsiasi


contenuto, per lo meno nel senso che un messaggio formulato in qualunque altro codice o
sistema di segni sarebbe sempre traducibile in lingua, ma non (ovviamente) viceversa.

Plurifunzionalitààla lingua permette di adempiere a una lista molto ampia (teoricamente


illimitata) di funzioni diverse. Per esempio: l’esprimere il pensiero (dando una forma esterna
a contenuti mentali); il trasmettere le informazioni; l’instaurare, mantenere, regolare, ecc.
attività e rapporti sociali; il manifestare, esternare i propri sentimenti e stati d’animo; il
risolvere problemi; il creare mondi possibili; eccetera.

Lo schema di Jakobson identifica sei (classi di) funzioni della lingua. L’instaurarsi della
comunicazione implica a ben vedere la presenza di almeno sei fattori, e a ciascuno di essi può
essere collegata una funzione.
• Funzione emotivaàmessaggio linguistico volto specificamente ad esprimere sensazioni
del parlante (Non ne posso più!; Che bella sorpresa!)
• Funzione metalinguisticaàmessaggio linguistico volto a specificare aspetti del codice o
a calibrare messaggi sul codice (Gianni è il soggetto della frase ‘Gianni corre’. In coscienza
ci vuole la i.)
• Funzione referenzialeàmessaggio linguistico volto a fornire informazioni sulla realtà
esterna (Esistono piante carnivore. La lontra è un mammifero carnivoro.)
• Funzione conativaàmessaggio linguistico volto a far agire in qualche modo il ricevente,
ottenendo da lui un certo comportamento (Passami il sale! Chiudi la porta!)
• Funzione fàticaàmessaggio linguistico volto a verificare e sottolineare il canale di
comunicazione e/o il contatto fisico o psicologico fra i parlanti (Pronto? Ciao, Gianni!)
• Funzione poeticaàmessaggio linguistico volto ad esplicitare, mettere in rilievo e sfruttare
le potenzialità insite nel messaggio e i caratteri interni del significante e del significato
(Ambarabbà ciccì coccò; la gloria di Colui che tutto move / per l’universo penetra e
risplende / in una parte più e meno altrove, Dante, Paradiso)

Ogni messaggio realizza in linea di principio tutte e sei le funzioni contemporaneamente; una
delle funzioni è però di norma chiaramente predominante, ed è quella che qualifica
funzionalmente il messaggio come realizzazione specifica di una delle sei funzioni.

Riflessivitàà(rifacendosi alla funzione metalinguistica) con la lingua si può parlare della


lingua stessa, o, come si usa dire con terminologia più tecnica, la lingua si può usare come
metalingua.

Produttivitààcon la lingua da un lato è possibile produrre messaggi sempre nuovi, in quanto


combinano in una nuova maniera significanti e significati, e dall’altro è possibile associare
messaggi già usati a situazioni nuove, non prodottesi prima. È resa possibile dalla doppia
articolazione. La produttività o apertura del sistema linguistico prende più precisamente la
forma di quella che è stata chiamata creatività regolare, vale a dire una produttività infinita
basata su un numero limitato di princìpi e regole in genere dalla forma semplice applicabili
ricorsivamente.

Ricorsivitàà uno stesso procedimento è riapplicabile teoricamente un numero illimitato di


volte, se sono date le condizioni strutturali in cui questo si applica. Es: da una parola posso
ricavarne un’altra mediante l’aggiunta di un suffisso, e questa regola di suffissazione è
ricorsiva (atto, attuale, attualizzare, attualizzabile, attualizzabilità). L’applicazione della
ricorsività è in teoria illimitata: il limite, che fa sì che di fatto non si costruiscano parole o frasi
al di là di un certo grado di lunghezza e complessità, sta nell’utente, e non nel sistema
linguistico.

Distanziamentoàsi intende la possibilità, insita inerentemente nella lingua, di poter


formulare messaggi relativi a cose lontane, distanti nel tempo, nello spazio o in entrambi dal
momento e dal luogo in cui si svolge l’interazione comunicativa o viene prodotto il
messaggio. (molto importante nella differenza tra linguaggio umano e i sistemi di
comunicazione animali)

Indipendenza del linguaggio dagli stimoliàconsiste nel fatto che i segni linguistici
rimandano a, e presuppongono, una elaborazione concettuale della realtà esterna, e non
semplicemente stati dell’emittente, che inducano necessariamente ad emettere messaggi. In
questo senso, si può dire che la lingua è indipendente dalla situazione immediata e dai suoi
stimoli: gli aspetti esterni della situazione, e le nostre reazioni interne ad essi, non sono causa
né necessaria né sufficiente dell’emissione di un determinato messaggio. (molto importante
nella differenza tra linguaggio umano e i sistemi di comunicazione animali)

Trasmissibilità culturaleàDal punto di vista antropologico, ogni lingua è trasmessa per


tradizione all’interno di una società e cultura, come uno dei fatti costitutivi della cultura.
Quindi la lingua non è trasmessa attraverso informazioni genetiche, ereditarie. Ogni essere
umano impara e conosce almeno una lingua, quella della comunità sociale in cui è nato e ha
avuto la socializzazione primaria; e può apprenderne, sempre per trasmissione culturale,
un’altra o più altre. Però il linguaggio verbale umano non è un fatto unicamente culturale.
Infatti, il linguaggio è composto sia da una componente culturale-ambientale (che specifica
quale lingua impariamo e parliamo), sia da una componente innata, che fornisce la ‘facoltà
del linguaggio’, cioè la predisposizione a comunicare mediante una lingua e le strutture
portanti del linguaggio verbale. L’interazione fra componente naturale, innata, e componente
culturale, appresa, fa sì che abbia un ruolo particolare nel processo di
acquisizione/apprendimento della lingua non solo la prima infanzia, ma anche il periodo della
cosiddetta prepubertà linguistica (detto ‘periodo critico’). Se entro l’età di 11-12 anni un
essere umano non è stato esposto a stimoli linguistici provenienti dall’ambiente culturale in
cui vive, lo sviluppo della lingua è in pratica bloccato; d’altra parte, entro tale età
l’apprendimento di una lingua avviene in maniera sorprendentemente rapida e agevole.

Complessità sintatticaàconsiste nel fatto che i messaggi linguistici, a differenza dei


messaggi in altri codici naturali, possono presentare un alto grado di elaborazione strutturale,
con una ricca gerarchia di rapporti di concatenazione e funzionali fra gli elementi disposti
linearmente. La disposizione reciproca in un segno linguistico degli elementi che lo
costituiscono non è mai indifferente; e i rapporti fra gli elementi o parti del segno dànno
luogo a una fitta plurima, percepibile nella sintassi del linguaggio. Fra gli aspetti che hanno
rilevanza nella trama sintattica vi sono:

a. l’ordine degli elementi contigui, le posizioni lineari in cui essi si combinano;

b. le relazioni strutturali e le dipendenze che vigono fra elementi non contigui. In


generale, i rapporti gerarchici fra gli elementi che costituiscono una frase
rappresentano una ‘seconda’ trama della strutturazione sintattica, che si sovrappone
alla successione lineare ed è
indipendente da essa;

c. le incassature: es. il cavallo che corre senza fantino sta vincendo il palio;

d. la ricorsività, che, combinata con la discontinuità dei rapporti sintattici, conferisce alle
e. la presenza di parti del messaggio che dànno informazioni sulla sua struttura sintattica
strutture linguistiche un particolare carattere di complessità interna;
f. la possibilità di discontinuità nella strutturazione sintattica. Le costruzioni ammesse
dalla (come, per esempio, le congiunzioni coordinanti e subordinanti);
lingua possono ammettere, o richiedere, che elementi o parti strettamente unite dal
punto di vista semantico e sintattico non siano linearmente adiacenti (tedesco, latino)

Tutti questi fattori, ed altri ancora, concorrono nel conferire ai segni linguistici una complessità
sintattica, almeno potenziale, molto alta.

Equivocitààla lingua è un codice tipicamente equivoco. È equivoco un codice che pone


corrispondenze plurivoche fra gli elementi di una lista e quelli della lista associata. La lingua
pone anzi corrispondenze doppiamente plurivoche fra la lista dei significanti e la lista dei
significati. A un unico significante possono corrispondere più significati (fenomeno della
omonimia e polisemia). A un significato possono corrispondere più significanti (fenomeno
della sinonimia). Contrariamente a quello che potrebbe sembrare in una chiave
esclusivamente logico-formale, l’equivocità non costituisce un difetto o uno svantaggio
dell’organizzazione del sistema linguistico, bensì rappresenta un vantaggio: intimamente
connessa con l’onnipotenza semantica e la produttività, l’equivocità del codice lingua
contribuisce a consentire l’eccezionale flessibilità dello strumento linguistico e la sua
adattabilità ad esprimere contenuti ed esperienze nuove. D’altra parte, i possibili problemi
derivanti dall’equivocità sono di solito immediatamente disambiguati dal contesto, che
interviene sistematicamente nell’interpretazione dei messaggi.

Lingua solo umana?

È opportuno chiedersi se un sistema di comunicazione organizzato come la lingua sia proprio


e caratteristico soltanto degli esseri umani oppure non rappresenti altro che la manifestazione
presso gli uomini di modalità comunicative diffuse in maniere quantitativamente diverse
presso tutti gli esseri animati. È prevalente la considerazione che la facoltà verbale, di
esprimersi attraverso sistemi comunicativi come le lingue, sia specie-specifica dell’uomo e sia
maturata come tale, quantitativamente e qualitativamente, nel corso dell’evoluzione. In
particolare, solo l’uomo possiede le precondizioni anatomiche e neurofisiologiche necessarie
per l’elaborazione mentale e fisica del linguaggio verbale, vale a dire:

1. adeguato volume del cervello, quantità delle circonvoluzioni della corteccia cerebrale,
quantità e plasticità dei collegamenti interneuronaliàpossibile la memorizzazione,
l’elaborazione e la processazione del linguaggio
2. conformazione del canale fonatorio cosiddetta ‘a due canne’ (connessa con la stazione
eretta), con un angolo, un cambiamento di direzione, fra una ‘canna’, il cavo orale, e l’altra,
la laringe, e con un’ampia cavità intermedia (la faringe, che fa da cassa di risonanza)
unitamente alla funzionalità delle corde vocali, sviluppatasi durante l’evoluzione,
consente le sottili distinzioni articolatorie e sfumature nella produzione fonica necessarie
per la comunicazione orale

L’etologia, la zoologia, la psicologia animale e soprattutto la ‘zoosemiotica’ (che si occupa


appunto della comunicazione animale) hanno accumulato una vasta serie di studi e osservazioni
sui sistemi e modi di comunicazione utilizzati da diverse specie animali, sia sui gradini più bassi
che su quelli più alti della scala evolutiva, dalla comunicazione chimica (mediante feromoni)
presso le formiche alle danze delle api ai richiami e canti degli uccelli agli allarmi e richiami vocali
di varie specie di mammiferi alle tecniche di comunicazione di balene e delfini: ma in nessuno si
sono riscontrate nemmeno lontanamente o anche solo una gran parte delle proprietà che
ritroviamo nella lingua.

Negli ultimi 25 anni del secolo scorso sono stati compiuti svariati esperimenti di
insegnamento di (elementi di) sistemi di comunicazione strutturati sul modello del linguaggio
verbale umano ai primati più vicini all’uomo nell’evoluzione genetica (gorilla e soprattutto
scimpanzé). Si è cercato di far apprendere sperimentalmente la cosiddetta lingua dei segni,
basata su gesti e atteggiamenti del viso e degli arti invece che sul canale vocale, che
permetteva anche di sfruttare al meglio le notevoli capacità mimetiche dei primati. Ma i
risultati sembrano scarsi e tutto sommato, dal punto di vista linguistico, deludenti. Nei casi
migliori, gli scimpanzé arrivano a maneggiare un centinaio o poco più di segni e a formare
un repertorio limitato di combinazioni di tre o quattro segni con struttura molto semplice; e
sempre solo in risposta a specifici stimoli situazionali (il loro comportamento sarebbe quindi
privo di vera intenzionalità comunicativa).

Noam Chomsky, il più noto linguista contemporaneo, sostiene che il linguaggio è una
capacità innata ed esclusiva della specie umana. Tale prospettiva appare confortata dagli
studi recenti sui rapporti fra biologia e linguistica. La neurolinguistica sperimentale ha
dimostrato come nell’esecuzione di compiti verbali concernenti la morfologia e la sintassi
vengano attivate aree specifiche della corteccia cerebrale. È noto da tempo che, nella
localizzazione delle diverse funzioni principalmente nell’uno o nell’altro emisfero cerebrale
(‘laterizzazione’), particolarmente coinvolta quanto all’elaborazione del linguaggio è l’’area di
Broca’ (lobo frontale nell’emisfero sinistro). I caratteri salienti del linguaggio verbale non sono
semplicemente frutto di adattamenti, nel senso biologico del termine, ma rappresentano una
exaptation (‘transadattamento’, ‘preadattamento’), termine con cui si indica un processo nel
quale un elemento assume una funzione non acquisita mediante la selezione naturale, diversa
da quella che l’elemento svolgeva precedentemente.

Definizione di lingua

“La lingua è ‘(a) un codice (b) che organizza un sistema di segni (c) dal significante
primariamente fonico-acustico, (d) fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello e (e)
doppiamente articolati, (f) capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile, (g) posseduti
come conoscenza interiorizzata che permette di produrre infinite frasi a partire da un numero
finito di elementi’.”

cà e quando il canale fonico-acustico non è disponibile (sordità)? Il bambino sordo ha la


capacità di imparare una lingua e di produrre i suoni, ma non ad apprendere il linguaggio
tramite l’udito: rischia quindi di avere il linguaggio atrofizzato. “La facoltà del linguaggio che
caratterizza la specie umana può manifestarsi […] anche attraverso la vista e il corpo”

Lingue dei segni

Sono lingue che sfruttano la modalità visivo-gestuale. Sono lingue storico-culturali (nate in
modo spontaneo come risposta ai bisogni comunicativi del bambino). Non c’è una lingua dei
segni, ma tante lingue dei segnià lingua dei segni italiana (LIS, in cui vi sono anche delle
varietà dialettali), francese (LSF), americana (ASL), cinese (CSL), ecc.
Caratteristiche: -sistemi di segni costituiti da significato e significante (visivo-gestuale); -il
rapporto tra significante e significato è fondamentalmente arbitrario (segni diversi in lingue
diverse), anche se ci sono segni con componenti iconiche.

Che cosa NON sono: “La presenza di precise regole morfologiche e sintattiche è uno degli
elementi più importanti e distintivi delle lingue dei segni rispetto a forme di comunicazione
gestuali (sistemi di gesti oppure pantomime) che lingue non sono”.

I singoli segni si combinano tra loro per formare unità maggiori, come le frasi, in base a
precise regole grammaticali, non necessariamente coincidenti con quelle della lingua vocale
a cui corrispondono.

“Dicotomie saussuriane” e principi generali della linguistica

“Il fenomeno linguistico presenta eternamente due facce che si corrispondono e delle quali
l’una non vale che in virtù dell’altra”

1° dicotomia: significante/significato

“La lingua è […] paragonabile a un foglio di carta: il pensiero è il recto ed il suono è il verso;
non si può ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo anche il verso; similmente nella
lingua, non si potrebbe isolare né il suono dal pensiero né il pensiero dal suono; non vi si
potrebbe giungere che per un’astrazione il cui risultato sarebbe fare della psicologia pura o
della fonologia pura”

2° dicotomia: sincronia/diacronia
Le lingue cambiano nel tempo, perché i segni linguistici sono arbitrari (e non naturali).
Sincronia e diacronia sono i termini che si impiegano per indicare due diverse condizioni con
le quali si può guardare alle lingue e ai fatti linguistici in relazione all’asse del tempo. Qualsiasi
dato e fenomeno linguistico si può quindi analizzare da due prospettive:

• diacroniaàanalisi del mutamento linguistico attraverso il tempo. Fare per es. l’etimologia
di una parola, cioè trovare la parola normalmente di un’altra lingua precedentemente
esistente da cui essa deriva, e cercare di ricostruirne la storia e spiegare le modifiche
eventualmente avvenute nel significante e nel significato, è un’operazione tipicamente di
linguistica diacronica.
• Sincroniaàanalisi di uno stato di lingua, senza tener conto del fattore tempo. Descrivere
il significato che hanno oggi le parole in italiano, o studiare com’è la struttura sintattica
delle frasi semplici in una lingua, sono invece operazioni tipicamente di linguistica
sincronica.

Un qualunque elemento della lingua in un certo momento è quello che è sia in virtù delle
relazioni che intrattiene con gli altri elementi del sistema linguistico (visuale sincronica) sia in
virtù della sua storia precedente che lo ha portato alla condizione attuale (visuale diacronica).
C’è quindi un rimando continuo fra sincronia e diacronia. Non esiste di fatto la sincronia
assoluta, giacché la lingua, come tutti gli altri fatti di cultura, è almeno in parte costantemente
in movimento lungo l’asse del tempo. La distinzione fra la considerazione diacronica –
esaminare lo sviluppo nel tempo – e la considerazione sincronica – descrivere le cose così
come si presentano agli occhi dell’osservatore in un dato momento, prescindendo
dall’evoluzione che le ha portate a presentarsi così – è comunque uno dei fondamenti
metodologici principali con cui ci si accosta alla lingua. Solo l’astrazione concessa dalla
visuale sincronica permette infatti di vedere come funziona il sistema linguistico e di
descrivere e unità che lo costituiscono. La linguistica sincronica spiega com’è fatta e come
funziona la lingua, il sistema linguistico; la linguistica diacronica spiega perché le forme di una
determinata lingua sono fatte così.

3° dicotomia: langue/parole

Distinzione fra sistema astratto e realizzazione concreta. 4 terminologie principali: la coppia


oppositiva langue e parole di Ferdinand de Saussure; l’opposizione fra sistema e uso di Louis
Hjelmslev (anni ’40); l’opposizione fra codice e messaggio di Roman Jakobson; e
l’opposizione fra competenza ed esecuzione di Noam Chomsky. Col primo termine di tutte le
coppie si intende all’incirca l’insieme di conoscenze mentali, di regole interiorizzate insite nel
codice lingua, che costituiscono la nostra capacità di produrre messaggi in una certa lingua
e sono possedute in egual misura come sapere astratto, e in genere inconscio, da tutti i
membri di una comunità linguistica idealmente omogenea. Col secondo termine si intende
invece l’atto linguistico individuale, vale a dire la realizzazione concreta, in ogni determinata
occasione specifica, di un messaggio verbale in una certa lingua. La distinzione fra langue e
parole in F. de Saussure:
• Langue: ‘astratto’, ‘sociale’ e ‘stabile, costante’
• Parole: ‘concreto’, ‘individuale’ e ‘mutevole’ “... è un tesoro depositato dalla pratica della
parole nei soggetti appartenenti a una stessa comunità, un sistema grammaticale
esistente virtualmente in ciascun cervello, o, più esattamente, nel cervello di un insieme
di individui, dato che la langue non è completa in nessun singolo individuo, ma esiste
perfettamente soltanto nella massa” (Saussure, F.. de. Corso di linguistica generale, op.
cit. p. 23)

Alcuni linguisti pongono una terza entità intermedia fra langue e parole: la norma, che
costituirebbe una sorta di filo tra l’uno e l’altro, specificando quali sono le possibilità del
sistema che vengono attualizzate nell’uso dei parlanti di una lingua in un certo momento
storico. La lingua come sistema si manifesta nell’esperienza fattuale sotto forma di atti di
parole. In linea di principio, ciò che interessa al linguista è la langue (il sistema, la
competenza): per studiare e ‘svelare’ la langue il linguista deve però partire dalla parole, che
gli fornisce i dati osservabili da cui eventualmente ricavare, servendosi anche
dell’introspezione e dell’intuizione del parlante circa la propria lingua, le leggi del sistema.

4° dicotomia: paradigmatico/sintagmatico

Ogni attuazione di un elemento del sistema di


segni in una certa posizione del messaggio implica
una scelta in un paradigma (o insieme) di elementi
selezionabili in quella posizione:
l’elemento che compare effettivamente
esclude tutti gli altri elementi che pur potrebbero
comparire in quella posizione, e coi quali quel dato
elemento ha appunto, allora, rapporti sull’asse
paradigmatico (detto quindi anche ‘asse delle
scelte’, o in absentia).

D’altra parte, contemporaneamente, l’attuazione di quell’elemento in una certa posizione


implica la presa in conto degli elementi che compaiono nelle posizioni precedenti e
susseguenti dello stesso messaggio, coi quali quel dato elemento ha appunto rapporti
sull’asse sintagmatico (detto quindi anche ‘asse delle combinazioni’ o in praesentia), e coi
quali quindi deve sussistere una coerenza sintagmatica, lungo lo sviluppo lineare del
messaggio.

Dimensione paradigmatica e dimensione sintagmatica costituiscono dunque la duplice


prospettiva secondo cui funzionano le strutture, le combinazioni di segni linguistici, e
secondo cui vanno viste. La prima fornisce per così dire i serbatoi da cui attingere le singole
unità linguistiche, la seconda assicura che le combinazioni di unità siano formate in base alle
restrizioni adeguate per ogni lingua. L’organizzazione secondo i due principi dell’asse
paradigmatico e dell’asse sintagmatico è molto importante in quanto dà luogo alla diversa
distribuzione degli elementi della lingua, permettendo di riconoscere classi di elementi che
condividono le stesse proprietà distribuzionali in opposizione a quelli che hanno
distribuzione diversa.
Livelli di analisi

• Fonetica e fonologiaàsuoni linguistici (2° articolazione)


• Morfologiaà struttura interna delle parole (1° articolazione)
• Sintassiàanalisi di come le parole si combinano a formare le frasi (1° articolazione)
• Semanticaàsignificato delle parole/frasi

I primi tre livelli sono relativi al significante, la semantica si riferisce al significato.

Occorre aggiungere che vi sono sottolivelli secondari di analisi della lingua: la grafematica
(che riguarda i modi in cui la realtà fonica è tradotta nella scrittura) e la pragmatica (che
riguarda l’effettivo uso delle parole, l’organizzazione dei testi in situazione).

CAP. 2: FONETICA E FONOLOGIA


Le lingue naturali hanno un’espressione fonico-acustica: sono prodotte dall’apparato
fonatorio di un parlante e recepite dall’apparato uditivo di un ascoltatore. FONETICAàlivello
concreto; FONOLOGIAàlivello astratto. Si occupano in particolare del significante delle
lingue vocali.

FONETICA

La fonetica (< greco phôné ‘voce, suono’) studia i suoni della lingua analizzandoli dal punto
di vista fisico, concreto. N.B.: “Suono” può riferirsi al cigolio di una porta, al nitrire di un
cavallo, ecc. Anche l’uomo può produrre suoni di diverso tipo, ma non tutti sono suoni
linguistici.

FonoàQualsiasi suono del linguaggio articolato (prodotto dall’apparato fonatorio umano), in


quanto entità fisica; è il segmento minimo che possiamo individuare nella catena fonica
(livello concreto).

La fonetica si suddistingue in tre campi principali, a seconda del punto di vista con cui si
guarda ai suoni del linguaggio: - la ‘fonetica articolatoria’ (la + antica), che studia il modo in
cui i suoni linguistici sono prodotti dall’apparato fonatorio del parlante (organi coinvolti nella
produzione); - la ‘fonetica acustica’ studia la natura fisica dei suoni linguistici e il modo in cui
si diffondono attraverso l’aria (onde sonore) [uno strumento di rappresentazione usato in
fonetica acustica è lo spettrogramma]; -la ‘fonetica uditiva’ (o ‘percettiva’) studia il modo in cui
i suoni linguistici sono percepiti dall’apparato uditivo umano (organi coinvolti nella
percezione).

Fonetica articolatoria

Si occupa della produzione dei suoni linguistici da parte dell’apparato fonatorioÆanalisi


dell’apparato fonatorio dal punto di vista anatomico, per capire in che modo è in grado di
produrre i suoni del linguaggio. È importante notare che nessuno degli organi coinvolti nella
fonazione svolge solamente quel ruolo.
I foni dell’italiano sono sostanzialmente
polmonari e sono prodotti con un flusso d’aria
egressivo: i vari organi articolatori si spostano
modificando il flusso d’aria e producendo i
diversi suoni linguistici. L’aria muovendo fai
polmoni attraverso i bronchi e la trachea
raggiunge la laringe (in corrispondenza del
cosiddetto ‘pomo d’Adamo’). Nella laringe,
dove ha inizio il ‘tratto vocale’, l’aria incontra
le corde vocali (o ‘pliche laringee’; la parte
della laringe dove stanno le corde vocali è
detta ‘glottide’). Quest’ultime sono due
pieghe della mucosa laringea (governate da
muscoli attaccati alle cartilagini della
glottide), che durante la normale respirazione
silente restano separate e rilassate, mentre
nella fonazione (=produzione dei suoni del
linguaggio) possono contrarsi e tendersi
avvicinandosi o accostandosi l’una all’altra, e
riducendo o bloccando in tal modo il passaggio dell’aria. Lo spazio fra le corde vocali (detto
‘rima vocale’) in cui passa l’aria, può quindi risultare completamente libero, parzialmente
libero o completamente ostruito. Cicli rapidissimi di chiusure e aperture della rima vocale,
provocati dalla pressione dell’aria che proviene dai polmoni attraverso la trachea,
costituiscono le cosiddette ‘vibrazioni’ delle corde vocali. A tale insieme di fenomeni si dà il
nome di ‘meccanismo laringeo’. Il meccanismo laringeo rappresenta il momento
fondamentale della produzione dei suoni del linguaggio, in quanto dà luogo alla voce nelle
sue diverse manifestazioni. In particolare:

SUONI SORDI: assenza del meccanismo laringeo (le corde vocali non vibrano) (F di
filo)
SUONI SONORI: presenza del meccanismo laringeo (le corde vocali vibrano) (A di
Anna)
Il numero di cicli di chiusura e apertura della rima vocale che caratterizza l’onda sonora
emessa ne costituisce la cosiddetta ‘frequenza fondamentale’, un parametro acustico
misurato in Hertz (Hz) che corrisponde a quella che è chiamata ‘l’altezza’ dei suoni.

Il flusso dell’aria passa poi nella faringe, e da questa nella cavità boccale (o orale). Nella parte
superiore della faringe, la parte posteriore del palato (o ‘velo’), da cui pende l’ugola, può a
questo punto lasciare aperto oppure chiudere, spostandosi all’indietro, il passaggio che
mette in comunicazione la faringe con la cavità nasale. Se è abbassato, il flusso d’aria può
fuoriuscire sia dalla bocca, sia dal naso. Se è alzato, blocca il flusso d’aria e può uscire
solamente dalla bocca.
SUONI ORALI: velo abbassato (F) SUONI NASALI: velo innalzato (M)
Nella cavità orale, svolgono una funzione importante nella fonazione alcuni organi mobili o
fissi:
ORGANI MOBILI

1. linguaàin cui si distinguono una ‘radice’ (parte posteriore della lingua), un ‘dorso’ (parte
centrale) e un ‘apice’ (la punta della lingua, che assieme alla ‘lamina’ costituisce la parte
anteriore della lingua, detta nel suo insieme ‘corona’)
2. labbra
3. velo palatino (o palato molle): si sposta fino a toccare la parete posteriore ORGANI FISSI
4. Denti
5. Alveoliàla zona immediatamente retrostante ai denti (cioè le gengive posteriori)
6. Palatoduro

ESEMPIO DI FONI NON POLMONARI: CLICKS

Hanno funzioni paralinguistiche → non fanno parte del sistema linguistico [es: negazione in
siciliano, Xhosa (Bantu)] Bloccano il cavo orale, accostandosi e distaccandosi molto
rapidamente. Nel momento del distacco, l’aria viene aspirata dalla bocca.

Scrivere i foni

Grafemaà unità minima di un sistema di scrittura. I grafemi si indicano fra < > (parentesi
uncinate). Es.: <a> e <t> sono grafemi (lettere) dell’alfabeto italiano l rapporto fra foni e
grafemi spesso non è biunivoco:
• un fono → combinazione di più grafemi es. <sci> (3 grafemi, 2 foni), <meglio> (6 grafemi,
4 foni);

• un fono → grafemi diversi es. <carta>, <che>, <quindi>;


• un grafema → foni diversi es. <casa>, <ciabatta>; <botte> (due significati diversi in base al
fono);

• un grafema → nessun fono es. <hanno>, <chi>.


L’ortografia italiana si può comunque descrivere abbastanza fedelmente ‘fonografica’: siamo
abituati ad associare a ogni suono, per rappresentarlo, una singola lettera; e quindi siamo
abituati a leggere e pronunciare ‘come si scrive’. Mentre la grafia dell’italiano è quindi
nell’insieme non troppo lontana dalla realtà fonica (e così quella del tedesco), quella del
francese e dell’inglese ne sono spesso assai distanti. Per es., inglese:

• un fono → combinazione di più grafemi es. <watch> <bread>;


• un fono → grafemi diversi es. <shop>, <mission>, <chef>; • un grafema → foni diversi es.
<see>, <easy> / <art>, <want>;
• un grafema → nessun fono es. <knife>.
Il rapporto fra foni e grafemi spesso non è biunivoco… a maggior ragione se confrontiamo
lingue diverse, per es.:

• italiano <ascia>, francese <cher>, inglese <shop>, <mission>


• italiano <Jacopo>, francese <Jean>, inglese <John>, spagnolo <Juan>
Per ovviare alle incongruenze delle grafie tradizionali ed avere uno strumento di
rappresentazione grafica dei suoni del linguaggio, valido per tutte le lingue, che riproduca
scientificamente la realtà fonica, i linguisti hanno gli alfabeti fonetici, in cui la corrispondenza
tra suoni e grafemi è tendenzialmente biunivoca. La trascrizione fonetica è molto usata nei
dizionari, specialmente quelli bilingue, per trascrivere lingue che non hanno un sistema di
scrittura e, in generale, per trascrivere il parlato. N.B.:

• non c’è un alfabeto fonetico, ce ne sono tanti


• le trascrizioni possono essere (più o meno) larghe o strette (dettagliate)

• trascrizione è diverso da traslitterazione (es.: ᇸ gǒu è traslitterazione)


Il più diffuso e importante dei sistemi usati per la
trascrizione fonetica è l’Alfabeto
Fonetico
Internazionale, indicato solitamente con la sigla IPA.
L’International Phonetic Association nasce nel 1886
a Parigi. L’alfabeto IPA (1888) è stato rivisto più volte,
fino alla versione attuale (2020)

L’IPA permette di riprodurre qualunque suono di


qualunque lingua (e quindi, acquisita la definizione
articolatoria del fono rappresentato, di pronunciare
parole anche di lingue che non conosciamo)

N.B.: Le trascrizioni IPA sono sempre racchiuse fra


parentesi quadre: [ ]

L’accento nella trascrizione IPA è indicato con un


apice (‘) posto prima della sillaba su cui esso cade.
Vocali e consonanti lunghe sono indicate da due
punti triangolari (:) posti dopo il simbolo fonetico.

Classificare i foni

In base in base al modo di articolazione, distinguiamo:

• Vocalià Il flusso d’aria fuoriesce senza trovare ostacoli. Sono generalmente sonore (in
italiano sempre sonore)
• ConsonantiàIl flusso d’aria trova ostacoli nel tratto vocale (per esempio il contatto fra due
articolatori). Possono essere sorde o sonore
VOCALI

Presenza del meccanismo laringeo. Il flusso d’aria non incontra ostacoli nel cavo orale. Le
diverse vocali sono caratterizzate dalle diverse conformazioni che assume la cavità orale a
seconda delle posizioni che prendono gli organi mobili, e in particolare la lingua, al
passaggio dell’aria proveniente dalla glottide. Parametri per la descrizione delle vocali:

‣ Grado di avanzamento o arretramento della lingua nel cavo


orale

→ vocali anteriori (o palatali), centrali, posteriori (o velari).

‣ Grado di innalzamento o abbassamento della lingua nel cavo


orale

→ vocali alte (o chiuse), medio-alte (o semichiuse), medio-


basse (o semiaperte), basse (o basse). La posizione in cui
vengono articolate le vocali secondo il duplice asse orizzontale
e verticale può essere rappresentata da uno schema, detto per
la sua forma ‘trapezio vocalico’.

‣ Arrotondamento o meno delle labbra


→ vocali arrotondate (o ‘labializzate’, prodotte con le labbra protruse, cioè sporte in avanti a
dare luogo a una specie di rotondità) e non arrotondate (o ‘non labializzate’, prodotte senza
protrusione e arrotondamento).

Normalmente le vocali anteriori tendono ad essere non arrotondate, mentre le vocali


posteriori tendono ad essere arrotondate.

‣ (Nasalizzazione:
→ vocali orali e nasali)

Quando due vocali appaiono in coppia (es.: [i] e


[y]), quella a sinistra è una vocale non arrotondata,
quello a destra è una vocale arrotondata. Le vocali
nasali si indicano con un tilde sopra la
corrispondente vocale orale.

Nell’alfabeto italiano ci sono 5 grafemi per le vocali:


<a>, <e>, <i>, <o>, <u>

... ma nell’italiano standard di sono 7 foni vocalici.


‣ [i]àvocale alta, anteriore, non arrotondata: <ali, vita, istrice, vino>
‣ [e]àvocale medio-alta, anteriore, non arrotondata: <pane, pera, Elisa, meno>
‣ [ɛ]àvocale medio bassa, anteriore, non arrotondata: <è, bello, Ercole, bene>
‣ [a]àvocale bassa, centrale, non arrotondata: <arco, ballo, arte>
‣ [u]àvocale alta, posteriore, arrotondata: <giù, tuta, uso, muro>
‣ [o]àvocale medio-alta, posteriore, arrotondata: <palo, pollo, ordine, bocca>
‣ [ɔ]àvocale medio-bassa, posteriore, arrotondata: <però, polo, oca, uomo>

Nelle varietà regionali e nei dialetti possiamo trovare:

‣ Vocali che non abbiamo descritto


Per es.: in milanese c’è la vocale alta anteriore arrotondata [y]

Lü l'è l prim che a laürà l'è mort

‣ Sistemi con un minor numero di vocali


Per esempio, nell’italiano regionale di Sicilia ci sono (tendenzialmente) solo 5 foni vocalici: [a,
ɛ, ɔ, u, i]

am[ɔ]r[ɛ], m[ɔ]t[ɔ]

CONSONANTI

Il flusso d’aria incontra un ostacolo (totale o parziale). Il meccanismo laringeo può essere o
non essere presente. Parametri per la descrizione delle consonanti:

‣ Modo di articolazione: modo in cui il flusso d’aria è ostacolato

‣ Luogo di articolazione: descrive il punto dell’apparato fonatorio in cui si trova l’ostacolo, e


gli organi che lo creano

‣ Presenza / assenza del meccanismo laringeo (sonore / sorde)

In base al modo in cui il flusso d’aria è ostacolato distinguiamo:


• Occlusive (in ingl. ‘stop’, ‘plosive’)àil contatto di parti di organi articolatori provoca
un’occlusione o blocco momentaneo ma totale al passaggio dell’aria
• Fricative (‘fricative’)àblocco parziale, cioè restringimento della cavità in cui passa il flusso
d’aria senza vero contatto e senza quindi che si crei un momento di blocco
• Affricate (‘affricate’)àsuoni la cui articolazione inizia come un’occlusiva (con una
rapidissima occlusione del canale) e termina come una fricativa (l’occlusione appena
iniziata si trasforma in un restringimento del canale)
• Nasali (‘nasal’)àvi è passaggio dell’aria anche attraverso la cavità nasale
• Laterali (‘lateral’)àl’aria passa solo ai due lati della lingua (o attraverso uno solo di essi)
• Vibranti (‘trill’)àsi hanno rapidi contatti intermittenti tra la lingua e un altro organo

articolatorio.

In base all’energia articolatoria (tensione muscolare) con le quali vengono prodotte, le


consonanti possono essere più o meno ‘forti’: in generale, le occlusive sono più forti delle
fricative, le sorde sono più forti delle sonore. Un altro parametro, che può riguardare le
occlusive e le affricate davanti a una vocale, è la presenza di ‘aspirazione’, vale a dire di un
intervallo di tempo tra il rilascio dell’occlusione o della tenuta della consonante e l’inizio della
vibrazione delle corde vocali caratteristica delle vocali, che produce una specie di soffio
laringaleàconsonanti aspirate

In base al punto di articolazione distinguiamo: (partendo dal tratto terminale del canale)

§ Bilabiali (in ingl. ‘bilabial’)àprodotte dalle labbra o tra le labbra

• Labiodentali (‘labiodental’)àprodotte fra l’arcata dentaria superiore e il labbro inferiore


• Dentali (‘dental’)àprodotte a livello dei denti (comprendono anche le ‘alveolari’
(‘alveolar’), prodotte dalla lingua contro o vicino agli alveoli)
• Postalveolari (‘postalveolar’)àprodotte nella zona fra gli alveoli e il palato duro
• Palatali (‘palatal’)àprodotte dalla lingua contro o vicino al palato duro
• Velari (‘velar’)àprodotte dalla lingua contro o vicino al velo
• Uvulari (‘uvular’)àprodotte dalla lingua contro o vicino all’ugola
• Faringali (‘pharyngeal’)àprodotte fra la base della radice della lingua e la parte
posteriore della faringe
• Glottidali/laringali (‘glottal’)-àprodotte direttamente nella glottide, a livello delle corde
vocali

In base alla presenza o assenza del meccanismo laringeo distinguiamo:

‣ Sorde

Sonore
N.B.:
• Nasali, vibranti e laterali sono sempre sonore
• Occlusive, fricative e affricate possono essere sorde o sonore
Occlusive

-Bilabiali: [p]àocclusiva bilabiale sorda <pane, aprire, pollo>; [b]àocclusiva bilabiale sonora
<barca, abito, bocca>

-Alveolari (o dentali): [t]àocclusiva alveolare sorda <tana, atto, topo>; [d]àocclusiva


alveolare sonora <dubbio, edera, dito>

-Velari: [k]àocclusiva velare sorda <cane, tacco>; [g]àocclusiva velare sonora <gatto, ago>.

Fricative

Il flusso d’aria è parzialmente bloccato, l’aria fuoriesce da uno stretto passaggio fra gli organi
articolatori provocando un rumore di frizione.

-Labiodentali: [f]àfricativa labiodentale sorda <fare, afa, filo>; [v]àfricativa labiodentale


sonora <vero, avere, vino>

-Alveolari (o dentali): [s]Æfricativa alveolare sorda <sacco, asso, sano>; [z]Æfricativa alveolare
sonora <sbaglio, asino>

-Postalveolari (o palatali): [ʃ] fricativa postalveolare sorda <sciare, ascia>; [ʒ] (non c’è
nell’italiano standard)àfricativa postalveolare sonora <garage>.

Affricate

Fase occlusiva a cui segue una fase fricativa.

-Alveolari: [ts]àaffricata alveolare sorda <zio (toscano), azione, pazzo>; [dz]àaffricata


alveolare sonora <zero, zanzara, zona>

-Postalveolari (o palatali): [tʃ]àaffricata postalveolari sorda <certo,


accendere, cibo>; [dʒ]àaffricata postalveolari sonora <gemma, agire, gelo>

Per convenzione, le affricate lunghe o doppie si trascrivono ripetendo il solo simbolo della
fase occlusiva: pazzoà[‘pattʃo] e non [‘patʃtʃo].

Nasali

Occlusione nella cavità orale e abbassamento del velo palatino: l’aria fuoriesce dal naso.

-Bilabiale: [m]ànasale bilabiale <mare, amico, mano>

-Labiodentale: [ɱ]ànasale labiodentale <anfora, invece, invito>

-Alveolare (dentale): [n]ànasale alveolare <naso, animale, nave>

-Palatale: [ɲ]ànasale palatale <gnomo, agnello, gnocco>

-Velare: [ŋ]ànasale velare <ancora, ingrato, fango>

Tutte le nasali sono sonore.


Vibranti

Occlusione intermittente, che lascia uscire l’aria a intervalli.

-Alveolare (o dentale): [r]à(poli)vibrante alveolare <ramo, arma, riva>

-Uvulare: [ʀ]à(poli)vibrante uvulare

Tutte le vibranti sono sonore.

Laterali

La lingua è accostata al palato, l’aria fuoriesce dai lati della lingua.

-Alveolare (o dentale): [l]àlaterale alveolare <lana, oliva>

-Palatale: [ʎ]àlaterale palatale <gli, aglio>

Tutte le laterali sono sonore.

Approssimanti

Simili alle vocali perché il flusso d’aria non è ostacolato (gli organi fonatori sono solo
accostati), ma hanno durata ridotta e occupano una posizione diversa nella sillaba. Fra le
approssimanti vi sono suoni di fatto assai vicini alle vocali, di cui condividono la localizzazione
articolatoria, e che vengono appunto chiamati ‘semivocali, o anche ‘semiconsonanti’. (anche
se le semivocali sono più vicine alle fricative delle semiconsonanti). A differenza delle vocali,
le semivocali non possono costituire apice di sillaba, e assieme alla vocale a cui sono sempre
contigue nella catena fonica costituiscono un dittongo (o trittongo, se più di una).

-Labiovelare: [w]àapprossimante labiovelare <uomo, fuoco>

-Palatale: [j]àapprossimante palatale <ieri, fiero, piano>

Sillabe e fatti soprasegmentali

Sillabaàabbiamo una nozione intuitiva di che cosa sia. La sillaba è costituita da un centro di
intensità sonora, detto nucleo, intorno al quale si possono raccogliere uno o più foni.
Nucleoà• è l’unico elemento necessario • in italiano può essere costituito esclusivamente da
un elemento vocalico (ma cfr. inglese rhythm, croato Krk) • può essere preceduto e/o seguito
da consonanti o approssimanti.

Ogni sillaba è formata da almeno una, e non più di una, vocale (o consonante) che possa fare
da apice e da un certo numero – da zero a qualche unità – di consonanti (o approssimanti).
Una vocale da sola può pertanto costituire una sillaba. Il nucleo è il centro sonoro della sillaba:
in italiano è costituito sempre da una vocale (che è per forza sonora), mentre in altre lingue
può essere costituito da consonanti (dipende dal loro grado di sonorità).

Struttura della sillaba:

In una sillaba la parte che eventualmente precede la vocale è detta ‘attacco’, la vocale stessa
è il nucleo e la parte che eventualmente segue la vocale è detta ‘coda’.

La sillaba è detta ‘chiusa’ se ha una coda,


mentre è detta ‘aperta’ se non presenta una
coda.

Nucleo e coda costituiscono la ‘rima’. La rima


determina il ‘peso’ della sillaba. È detta
‘pesante’ una sillaba che abbia una coda (cioè
termini con
una consonante) o che abbia come nucleo
una vocale lunga; negli altri casi (cioè quando
sono senza coda e la vocale del nucleo non è lunga) le sillabe sono dette ‘leggere’.

Vi sono in ogni lingua strutture sillabiche canoniche preferenziali. In italiano, come in molte
lingue, la struttura sillabica canonica è (utilizzando i simboli V per ‘vocale’, C per ‘consonante’)
CV. L’identificazione dei confini sillabici si effettua in base a vari criteri fonetici e fonologici;
un criterio pratico per l’italiano, per es., è che due consonanti contigue all’interno di una
parola sono assegnate entrambe alla sillaba che ha come nucleo la vocale seguente (e quindi
sono membri della stessa sillaba), se tale combinazione compare anche in inizio di parola
(ma-gro come gre-co), mentre se questo non si dà sono assegnate la prima alla sillaba
precedente e la seconda alla seguente (tan-to, perché nessuna parola italiana inizia con il
nesso consonantico -nt). Se analizziamo le consonanti doppie o lunghe dell’italiano come
ripetizione dello stesso fonema, esse chiudono la sillaba che le precede, in quanto
analogamente il primo membro viene assegnato alla sillaba precedente e il secondo alla
sillaba seguente (gat-to). In italiano, inoltre, le vocali della sillaba che reca l’accento sono
sempre lunghe se la sillaba è aperta ([‘ma:no], ma-no, contro [‘mando], man-do). esempi:
<colore> [ko.lo.re]àIn IPA i confini di sillaba sono indicati con un punto [.]

<strega> [stre.ga]; <uno> [u.no]; <panchina> [paŋ.ki.na]

Dittongoàcombinazione di una vocale e un’approssimante in una stessa sillaba; la vocale


costituisce sempre, ovviamente, l’apice sillabico.
• Dittongo ascendente= approssimante (semiconsonante) + vocale Le semiconsonanti
sono trascritte [j] e [w]
Es. fuoco [fwɔ.ko], fiero [fje.ro]
• Dittongo discendente= vocale + approssimante (semivocale) Le semivocali sono
trascritte anche come [i]̯ e [u̯]
Es. flauto [flau̯.to], direi [di.rɛi]̯ (oppure: [flaw.to], [di.rɛj])

Iatoàsuccessione di due vocali appartenenti a sillabe diverse


Es. aereo [a.ɛ.re.o], tuo [tu.o]
Trittongoà combinazioni di due semivocali e una vocale
Es. aiuola [a.jwɔ.la] (analizzabile peraltro anche come [aj.wɔ.la], con due dittonghi)

FATTI SOPRASEGMENTALI (O PROSODICI)àinsieme di fenomeni fonetici e fonologici


rilevanti che riguardano non i singoli segmenti, bensì la catena parlata nella sua successione
lineare, i rapporti tra foni che si susseguono, e che hanno dunque la sillaba e la successione
di sillabe come contesto basilare di azione. Si chiamano fatti ‘soprasegmentali’ perché
agiscono al di sopra del singolo segmento minimo, riguardando relazioni sull’asse
sintagmatico – o ‘prosodici’ – perché concernono nel complesso all’aspetto melodico della
catena parlata e ne determinano l’andamento ritmico.

§ Accentoàè la particolare forza o intensità di pronuncia di una sillaba (e in primo luogo


quindi della vocale che fa da apice sillabico) relativamente ad altre sillabe, che fa sì
che tendenzialmente in ogni parola plurisillabica, o in ogni gruppo di parole prodotto
con un’unica emissione di voce (gruppo tonale), una sillaba (detta ‘sillaba tonica’)
presenti una prominenza fonica rispetto alle altre (dette ‘sillabe atone’). (intensità:
volume, durata, altezza). Attenzione: l’accento è una proprietà della sillaba e non va
confuso con l’accento grafico, un simbolo diacritico che in italiano è impiegato per
indicare nella grafia la posizione dell’accento fonico nelle parole ossitone (parole con
l’accento sulla vocale dell’ultima sillaba). Inoltre, l’accento grafico serve anche a
indicare la differenza tra monosillabi omofoni, per differenziare termini altrimenti
omografi ma non omofoni, o per indicare la differenza di timbro delle vocali
intermedie, con le quali l’accento grave può essere impiegato per indicare la vocale
aperta o medio-bassa, e quello acuto per indicare la vocale chiusa o medio-alta.
La posizione dell’accento, cioè la posizione della sillaba, all’interno di una parola, su
cui cade l’accento, può essere libera o fissa. Esempi di lingue ad accento fisso sono il
francese (accento sempre sull’ultima sillaba) e lo svedese (accento sempre sulla prima
sillaba). L’italiano è invece una lingua ad accento libero (o mobile), e, in base alla sua
posizione, distinguiamo parole:
• tronche (o ossitone)àaccento sull’ultima sillaba, es.: però
• piane (o parossitone)àaccento sulla penultima, es.: cane
• sdrucciole (o proparossitone)à accento sulla terzultima, es.: tattica
• bisdrucciole (o anteproparossitone)àaccento sulla quartultima, es: lìtigano
-clitici=parole che non hanno un accento proprio e si “appoggiano” quindi a un’altra
parola
(articoli, pronomi personali atoni) es. fabbricamelo
Nella trascrizione IPA l’accento si indica con un apice [‘] prima della sillaba accentata.

La successione nella catena parlata di sillabe atone e sillabe toniche, cioè il susseguirsi
alternato di elementi forti e deboli, connesso con fenomeni di durata, dà luogo al
ritmo. Ogni lingua ha un proprio ritmo particolare. Da questo punto di vista, l’italiano
è una lingua fondamentalmente a ‘isocronismo sillabico’, vale a dire che in una parola
viene assegnata durata analoga alle sillabe atone; mentre l’inglese è una lingua
fondamentalmente a isocronismo accentuale, vale a dire che, per mantenere costante
la distanza fra gli accenti
(cioè, gli intervalli fra le sillabe toniche), viene assegnata durata via via minore alle sillabe
atone quanto più queste sono numerose.
- Tonoàaltezza musicale relativa con cui viene pronunciata una sillaba. Altezza (in inglese
pitch): dipende dalla tensione delle corde vocali e della laringe, e quindi dalla velocità e
frequenza delle vibrazioni delle corde vocali.
In molte lingue, dette appunto ‘lingue tonali’ o ‘lingue a toni’, il tono può avere valore
distintivo pertinente a livello di parola, cioè può distinguere da solo parole diverse per il
resto foneticamente del tutto eguali. Es.: in cinese mandarino [ma] può essere pronunciata
con toni diversi, per es. mā o mǎ
§ Intonazioneàandamento melodico con cui è pronunciato un gruppo tonale o
gruppo ritmico
(cioè la parte di una sequenza o catena parlata pronunciata con una sola emissione di voce),
o un intero enunciato. L’intonazione è in sostanza una sequenza di toni che conferisce
all’emissione fonica nel suo complesso una certa curva melodica: sarà per es. ascendente
un’intonazione in cui l’ultima o (una fra) le ultime sillabe dell’enunciato sono di tono più alto.
In italiano, per esempio, il contorno intonativo degli enunciati è in molti casi l’elemento
principale a fornire l’informazione cruciale che distingue il valore di un enunciato: [‘vjɛ:ne]
pronunciato con curva intonativa ascendente è una domanda (=viene?); pronunciato con
contorno intonativo costante, senza grandi modificazioni dell’altezza, ha un valore definibile
come ‘sospensivo’ e caratterizza le affermazioni ‘neutre’, è tipico cioè degli enunciati
dichiarativi (=viene); pronunciato con intonazione discendente ha valore grosso modo
esclamativo e caratterizza le affermazioni decise (=viene!). Nell’ortografia, una parte della
punteggiatura (come si vede dagli esempi: punto interrogativo, punto esclamativo, puntini)
ha giustappunto la funzione di rendere, approssimativamente, i principali tipi intonativi (così
come altre parti della punteggiatura, come il punto fermo, servono a segnalare, oltre a
partizioni del testo, anche l’andamento ritmico della catena parlata).

-Lunghezzaàdurata relativa di realizzazione foni (e sillabe). Brevità o lunghezza dei foni sono
nozioni relative, perché sono definite in termini del confronto fra segmenti della catena parlata.
In IPA la (maggiore) lunghezza si indica con [ː] dopo il fono. N.B.: In italiano le vocali toniche in
sillaba aperta non finale di parola sono sempre lunghe.
Es: [ˈka:za], ma: [kaˈzet.ta]; [ˈpɔ:zo], ma [ˈpɔs.so]; [ˈpe:ro], ma [peˈrɔ]

Trascrizione fonetica

Convenzioni di trascrizione:

• La trascrizione fonetica si pone convenzionalmente fra parentesi quadre [ ]


• In IPA non si adottano le convenzioni ortografiche o interpuntive in uso nella scrittura: non
si utilizzano maiuscole, apostrofi, virgole, punti fermi, punti esclamativi, ecc. es. Roma
['roma] (non ['Roma]).

• L’accento è indicato soltanto sulle parole plurisillabiche, con un apice posto prima della
sillaba su cui esso cade; es. cane ['kaːne], cantante [kan'tante].

• La lunghezza vocalica viene notata con due punti [ː] posti dopo il simbolo del fono, es.
[‘kaːza].

• La lunghezza consonantica (consonanti ‘doppie’ o ‘geminate’) si può rendere in due modi:


o con due punti posti dopo il simbolo, es. ['bokːa], o raddoppiando il simbolo
corrispondente, es. bocca ['bokka].

• Le consonanti affricate ‘doppie’ si possono rendere in due modi: o con due punti posti dopo
il simbolo della parte occlusiva, es. [‘patːso]; o ripetendo il solo simbolo della parte
occlusiva, cioè il primo simbolo del digramma, es. pazzo ['pattso].

• Quando la vocale tonica è preceduta da consonanti ‘doppie’, l’accento si può rendere in


due modi: o con un apice posto tra il primo e il secondo simbolo consonantico, nel caso di
notazioni del genere di [kk] o [tts], es. boccone [bok'koːne], tazzina [tat'tsiːna]; o con un apice
posto prima del simbolo consonantico che è seguito da due punti, nel caso di notazioni del
tipo di [k:] o [tːs], es. [bo'kːoːne], [ta'tːsiːna].

• Le affricate alveolari (dentali) [ts], [dz], la fricativa palatale ([ʃ]), la nasale palatale ([ɲ]) e la
laterale palatale ([ʎ]), sono in italiano standard sempre lunghe (o doppie) se si trovano in
posizione intervocalica (cioè fra due vocali) (es. aglio ['aʎʎo]).

FONOLOGIA

Mentre la fonetica studia le caratteristiche fisiche dei suoni linguistici, la fonologia si occupa
della funzione linguistica dei suoni, considerati come elementi di un sistema linguistico
(italiano, russo, ecc.). Possiamo quindi dire che la fonetica lavora a livello astratto, mentre la
fonologia lavora a livello concreto. Nella gamma di foni materialmente producibili, le diverse
lingue ne pertinentizzano un certo numero assegnando loro un valore distintivo: quando i
suoni hanno (in una data lingua) valore distintivo, cioè si oppongono sistematicamente ad
altri foni nel distinguere e formare le parole di quella lingua, si dice che funzionano da
‘fonemi’. I foni sono le unità minime della fonetica, mentre i fonemi sono le unità minime della
fonologia.

Si considerino le seguenti trascrizioni fonetiche: [ˈraːna] e [ˈʀaːna]Æ[r] e [ʀ] sono due foni
distinti ... ma nel sistema linguistico dell’italiano non stabiliscono una opposizione distintiva:
non sono in grado, opponendosi tra loro, di distinguere tra elementi diversi del lessico.
Si considerino le seguenti trascrizioni fonetiche: [ˈraːna] e [ˈtaːna]Æ[r] e [t] sono due foni
distinti e permettono di distinguere parole diverse ([ˈraːna] e [ˈtaːna] si distinguono non solo
per il significante, ma anche per il significato)Æ/r/ e /t/ sono due fonemi dell’italiano.

Fonemaàclasse astratta di foni, dotata di valore distintivo, cioè tale da opporre una parola
ad un’altra in una data lingua. (unità minima di seconda articolazione del sistema linguistico)

N.B. in trascrizione fonematica si impiegano per convenzione le barre oblique (/…/) invece
delle parentesi quadre ([…]).

Per individuare i fonemi di una lingua:

Prova di commutazioneàse sostituendo un solo fono in una parola di una lingua ottengo
un’altra parola della stessa lingua, allora c’è un’opposizione fra due fonemi (i due foni sono
realizzazioni di due diversi fonemi)

Coppia minimaàdue parole che si distinguono per un solo fonema nella stessa posizione.
Per dimostrare che un fono è fonema in una data lingua, bisogna quindi trovare in quella
lingua delle coppie minime (almeno una, in linea di principio), che lo oppongano a un altro
fonema.

Es.: [ˈraːna] e [ˈtaːna] costituiscono una coppia minima ➝ /r/ /t/ sono due distinti fonemi
dell’italiano

Attenzione: vocali e consonanti non sono in opposizione fra di loro (opposizione


sintagmatica).

Un fonema (livello astratto) può essere realizzato concretamente da più varianti, dette allofoni,
prive di valore distintivo.

Gli allofoni di un fonema che siano condizionati dal contesto fonotattico in cui occorrono, e
quindi prevedibili, si dicono ‘variazioni combinatorie’.
Distribuzione di [n], [ŋ] e [ɱ]:

- [n]→ tra due vocali [ˈpaːne], inizio di parola [ˈnoːme], coda di sillaba prima di occlusiva
alveolare [ˈmando] [ˈponte], fine di parola [ˈkon]

- [ŋ] → fine di sillaba, solo davanti a cons. velare [ˈpaŋka], [ˈaŋgolo]

- [ɱ] →fine di sillaba, solo davanti a cons. labiodentale [ˈeɱfazi] [iɱˈveːtʃe]

Mai negli stessi contesti (distribuzione complementare)

→ non danno luogo a coppie minime

→ allofoni in variazione complementare di uno stesso fonema

Valori distintivi:

‣ L’accento può, in alcune lingue, avere funzione distintiva (contrastiva). In italiano


l’accento ha funzione distintiva (contrastiva):
/ˈprin.tʃi.pi/ ̴ /prinˈtʃi.pi/

/ˈpa.pa/ ̴ /paˈpa/

/ˈka.pi.to/ ̴ /kaˈpi.to/ ̴ /ka.piˈto/

In francese l’accento ha funzione distintiva? No, perché è una lingua ad accento fisso →
L’accento ha funzione demarcativa: segnala i confini di parola. x Il tono può, in alcune lingue,
avere funzione distintiva (lingue tonali). Es.: cinese mandarino:
x La lunghezza può avere valore distintivo mā‘mamma’/
má ‘canapa’ / mǎ‘cavallo’ / mà ‘insultare’.
- Lunghezza vocalicaà in italiano non ha valore distintivo:
sono lunghe le vocali toniche in sillaba aperta non finale di parola (es.: [ˈvaːno] vs [ˈvanto])

- Lunghezza consonanticaà in italiano ha valore distintivo:

/ˈpani/ ~ /ˈpanːi/
/ˈpɔro/ ~ /ˈpɔrːo/
Ma cfr. per es. tedesco Stadt /ʃtat/ ‘città’ ~ Staat /ʃtaːt/ ’stato’

Trascrizione fonetica vs fonematica

Trascrizione fonematicaàriporta solo le caratteristiche dotate di valore distintivo

• trascrizione fonetica: [ˈaɱfora] • trascrizione fonematica /ˈanfora/


• trascrizione fonetica: [ˈaŋkora] • trascrizione fonematica /ˈankora/
• trascrizione fonetica: [ˈkaːne] • trascrizione fonematica /ˈkane/
I fonemi dell’italiano

Non tutte le lingue hanno gli stessi fonemi, né tutte hanno lo stesso numero di fonemi. Gli
inventari fonematici delle diverse lingue del mondo sono costituiti in genere da alcune decine
di fonemi. L’italiano standard ha 30 fonemi, o 28 secondo alcuni autori, che non considerano
a sé le approssimanti; si arriva peraltro a 45 se calcoliamo come fonemi a sé le consonanti
lunghe. L’inventario fonematico dell’italiano è connesso con numerosi problemi: ci limitiamo
qui ad accennare ad alcuni livelli che più sono rilevanti ai fini di un’adeguata trascrizione
fonetica. Ovviamente, per trascrivere foneticamente occorre basarsi sul modo in cui la parola
è pronunciata, e non sul modo in cui essa è scritta; sulla fonia, e non sulla grafia. Si noti anche
che uno stesso simbolo può indicare due cose ben diverse nell’alfabeto italiano e in IPA.

In genere, ci sono nella pronuncia dell’italiano molte differenze regionali. L’opposizione fra
vocali medio-alte e medio-basse, che si effettua peraltro solo in posizione tonica, cioè quando
le rispettive vocali sono in sillaba accentata, è tipica della varietà toscano-romana di italiano,
ma è ignota, o ha distribuzione diversa e molto più ristretta in altre varietà regionali di italiano.
Infine, un fenomeno da menzionare è il cosiddetto ‘raddoppiamento (fono)sintattico’, che
consiste nell’allungamento (pronuncia come geminata) della consonante iniziale di una
parola quando questa sia preceduta da una delle parole di una serie che appunto provoca il
fenomeno (si tratta di tutte le parole con l’accento sull’ultima sillaba, di molti monosillabi e di
alcuni bisillabi). Anche il raddoppiamento sintattico è molto variabile regionalmente: nella
pronuncia del Settentrione di solito non avviene, o, in certi casi, può avvenire dopo parole
che nello standard non provocano il fenomeno.

SISTEMI DI SCRITTURA
Grafema: unità minima di un sistema di scrittura→ livello astratto
Allografi: realizzazioni alternative di un grafema→ livello
concreto grafema “sigma” in grecoÆσ nelle altre posizioni; ς in
fine di parola grafema “bi” in italiano B B b b b B B b I sistemi di
scrittura non sono puri.

Semasiografieànon legate a un sistema linguistico, fissano graficamente concetti


(discussione se siano sistemi di scrittura o meno), non legata a una lingua, es: disegni nelle
istruzioni per montare i mobili
Glottografieàlegate a un sistema linguistico, fissano graficamente le lingue

(1) Sistemi logografici: fissano graficamente significato e significante; un grafema → un


segno

linguistico (significato + significante) Es.: cinese mandarino

(2) Sistemi fonografici: fissano graficamente il significante

- Sillabici: un grafema → una sillaba


Es.: Cherokee Es.: Giapponese, sistema misto:
kanji→ logografico (caratteri cinesi)
katakana→ sillabico hiragana→
sillabico
romaji→ alfabetico (alfabeto latino)

- Segmentali: un grafema → un fono/fonema

‣Consonantici (abjad)
Es.: fenicio, arabo, ebraico
‣Alfasillabici (abugida)
Es.: etiopico, devanāgarī (es. per sanscrito, hindi)
‣Alfabeti
Es.: oggi in Europa: greco, latino, cirillico

- Per tratti: un grafema → un tratto distintivo (in linea di massima!)

Es.: coreano (han’gŭl), sistema creato durante il regno del re Sejong (1418–50)
La forma dei grafemi riproduce dei tratti dei foni.

CAP. 3: MORFOLOGIA
La morfologia si occupa della forma e della struttura delle parole. Le unità di analisi della
morfologia sono le parole e i morfemi.

Che cos’è una parola? La nozione di parola è fondamentale nella tradizione linguistica
occidentale, ma è particolarmente difficile da definire: esistono varie definizioni, a diversi
livelli di analisi linguistica. Una possibile definizione di parola (grafematica) è sequenza di
grafemi delimitata da spazi bianchi. Tale definizione funziona per l’italiano, ma non per lingue
che non hanno sistemi di scrittura o lingue con sistemi di scrittura che non prevedono spazi
bianchi (come i logogrammi cinesi o la scriptio continua delle lingue classiche).

Parola fonologicaàuna parola è una sequenza di parlato che si comporta come un’unità
fonologica, e che si raggruppa intorno ad un solo accento principale. In una lingua con
accento fisso sulla sillaba finale, come il francese, la presenza dell’accento segnalerà la fine di
una parola e l’inizio di un’altra; in una lingua con accento fisso sulla sillaba iniziale, come lo
svedese, la presenza dell’accento segnalerà l’inizio di una nuova parola e la fine di quella
precedente.

In italiano: caposalaà1 parola dal punto di vista grafematico, 2 parole dal punto di vista
fonologico; la ranaà2 parole dal punto di vista grafematico, 1 parola dal punto di vista
fonologico

Parola morfosintatticaàUna parola è un elemento linguistico caratterizzato da:

• coesione interna: (1) una parola non può essere interrotta da altro materiale linguistico
Es: ferro → *fterro (2) l’ordine dei morfemi all’interno della parola è fisso Es: *oferr
• mobilità: una parola può spostarsi all’interno di una frase, in base alle regole di una
data lingua Es: La Torre Eiffel è di ferro / È di ferro, la Torre Eiffel

• enuciabilità in isolamento: una parola può costituire un enunciato da sola Es: Di che
cosa è fatta la Torre Eiffel? Ferro

(Parole) polirematiche (o polilessematiche)àelementi lessicali formati da più di una parola,


che hanno una particolare coesione strutturale e semantica interna e possono appartenere a
varie categorie lessicali.

Es.: Nomi: avvocato del diavolo, letto a castello, cavallo di battaglia, … gratta e vinci, botta e
risposta (→ binomi coordinati) Verbi: fare fuori, buttare lì (una risposta), … (→ verbi
sintagmatici) Aggettivi: fuori luogo, su misura, … Avverbi: più o meno, a rotta di collo, …
Preposizioni: di fronte a, nell’arco di, …

Presentano diversi gradi di coesione semantica e sintattica, per es.: • un letto a castello è un
(tipo di) letto ma un cavallo di battaglia non è un cavallo • *un cavallo purosangue di battaglia;
*ho comprato un gratta e sempre vinci; fa sempre fuori tutti i dolci (ma *fa tutti i dolci fuori).

Che cos’è, quindi, una


parola? “we do not have a
good answer to the
question of how to define
the notion of word in a
clear and consistent
wayӮdiverse definizioni a
seconda della
prospettiva/livello di
analisi; ci sono parole più o
meno “tipiche”
Se la nozione di parola è una nozione intuitivamente semplice ma di difficile definizione, la
nozione di morfema è, al contrario, intuitivamente meno evidente ma di più semplice
definizione.

Morfemaàunità linguistica minima dotata di significato. È l’unità minima di prima


articolazione (significante + significato)

Occorre badare che la semplice presenza di parti di


significanti identiche nelle parole non vuol dire che si
tratti di un(o stesso) morfema. Il morfema in causa deve
ricomparire come isolabile con lo stesso significato, con
lo stesso apporto al significato globale della parola che
lo contiene. Un procedimento pratico per scomporre
una parola in morfemi è il seguente. Data la parola, la si
confronta via via con parole simili, dalla forma molto

vicina, che contengano presumibilmente uno per uno i morfemi che vogliamo individuare.
Tale procedimento viene tecnicamente chiamato prova di commutazione.

Il morfema è l’unità pertinente a livello


di sistema; il morfo è un morfema
inteso come forma, dal punto di vista
del significante, prima e indipendente
della
sua analisi funzionale e strutturale. [realizzazione concreta di un morfema]

Allomorfoàciascuna delle forme diverse in cui si può presentare uno stesso morfema, che
sia suscettibile di comparire sotto forme parzialmente diverse. Il criterio in base a cui
possiamo dire che si tratti dello stesso morfema (e quindi stabilirne gli allomorfi) è che
l’elemento individuato abbia sempre lo stesso significato e si trovi nella medesima posizione
nella struttura della parola. [gli allomorfi sono in distribuzione complementare]

Es.: (inglese) morfema plurale -s → allomorfi: [s] cats [z] dogs [ɪz] horses

Le cause dei fenomeni di allomorfia sono solitamente da cercare nella diacronia.

Suppletivismoàcasi in cui un morfema lessicale in certe parole derivate viene sostituito da


un morfema (e quindi rappresentato da un morfo) dalla forma totalmente diversa (e spesso
di differente origine etimologica) ma ovviamente con lo stesso significato: per esempio, nel
nome ‘acqua’ e nell’aggettivo ‘idrico’ troviamo che il morfema lessicale per “acqua” si
manifesta in due forme completamente diverse, acqu- e idr-, l’una proveniente dal latino e
l’altra dal greco.

TIPI DI MORFEMI

Due tipi di classificazioni: classificazione funzionale, in base alla funzione svolta, al tipo di
valore che i morfemi recano nel contribuire al significato delle parole; classificazione
posizionale, basata sulla posizione che i morfemi assumono all’interno della parola e sul
modo in cui essi contribuiscono alla sua struttura.

Nella classificazione funzionale, la prima distinzione da fare è tra morfemi ‘lessicali’ (che fanno
riferimento alla realtà esterna) e morfemi ‘grammaticali’ (che recano un significato o un valore
interno al sistema e alla struttura della lingua, previsto dalla grammatica). I morfemi lessicali
stanno nel lessico, nel vocabolario, di una lingua, e costituiscono una classe aperta,
continuamente arricchibile di nuovi elementi in maniera non prescindibile; mentre i morfemi
grammaticali stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, non suscettibile ad
accogliere nuove entità.

-Parole funzionali/‘vuote’àarticoli, pronomi personali, congiunzioni, preposizioni Es.: di, il,


ma •classe chiusa • spesso monomorfemiche (ma non sempre, es: un-a) [difficilmente si
possono definire morfemi grammaticali a pieno titolo]

-Parole ‘contenuto’/‘piene’àverbi, nomi, aggettivi, avverbi, si riferiscono a entità e eventi,


concreti o astratti Es.: gatto, democrazia, bello •classe aperta •spesso plurimorfemiche (ma
non sempre, es: città) • contengono un morfema lessicale (radice)

-Morfemi liberi: possono occorrere da soli Es.: volentieri, città, bar

-Morfemi legati: devono necessariamente combinarsi con almeno un altro morfema Es.:
bell-a, incredi-bi-le, medic-o

In italiano:

• Morfemi lessicali:

‣liberi: città, bar, volentieri → parole invariabili

‣legati: medic-, corr-

• Morfemi grammaticali:

‣legati: -o (maschile, singolare), -e (terza persona, presente, …)

Cfr. l’inglese:

• parole tendenzialmente formate da morfemi lessicali liberi (cat, happy) a cui si possono
aggiungere morfemi flessivi grammaticali legati (cat-s, happy-ness)

• alcuni morfemi grammaticali sono liberi: will (futuro)


I morfemi grammaticali possono essere:
• flessivi (o flessioni)àPermettono di ottenere forme diverse di una stessa parola.
Segnalano valori grammaticali (come numero, genere, tempo, ecc.) senza alterare in altro
modo il significato del morfema lessicale con cui si combinano. Es.: medico, corre ‣la
flessione, quando disponibile, è obbligatoria (*medic)

• derivazionaliàPermettono di ottenere parole nuove a partire da parole esistenti.


Es.: bellezza, rifare, baretto ‣la derivazione non è obbligatoria (inseguire/inseguimento;
mentire/*mentimento)

La derivazione agisce prima della flessione: prima costruiamo parole, a cui applichiamo le
dovute flessioni.

Tipi posizionali di morfemi

Radiciàmorfemi lessicali contenuti nelle parole


‘piene’. Costituisce la ‘testa’ della parola e fa da
perno nella sua costruzione

Affissiàmorfemi grammaticali (flessivi o


derivazionali) legati, che si combinano con una radice nella formazione delle parole

Gli affissi sono classificati in base alla posizione rispetto alla radice: Prefissi prima della
radice es: ri-fare, dis-fare

• Suffissiàdopo la radice es: capac-ità, bell-ezz-a. In italiano i suffissi con valore


flessionale si

chiamano ‘desinenze’

• Infissiàinseriti all’interno della radice Es.: (latino) rup-i vs ru-m-p-o (consonante nasale
che nei verbi del latino contrassegna il tema del presente – e dell’imperfetto- rispetto a
quello degli altri tempi)
In italiano ci sono interfissi (o antesuffissi): fra la radice e un suffisso (alterativo) Es: piant-
ic- in-a (cfr. piant-a, piant-in-a), sass-ol-in-o (cfr. sass-o, sass-in-o)
• Circonfissiàormati da due parti (morfemi discontinui), una prima e una dopo la radice
Es.: (tedesco) affisso discontinuo ge-t per il participio passato machen (‘fare’)→ ge-
mach-t (‘fatto’)
• Transfissi-àsi inseriscono “a pettine” nella radice Es.: arabo (e lingue semitiche in
generale) radici consonantiche discontinue + transfissi vocalici
Morfemi vuotiàdotati di significante
ma apparentemente non di
significato. Vocale tematica: segnala la
coniugazione di appartenenza del verbo. Radice +
vocale tematica = tema verbale
(es.: ama-, teme-, dormi-)
Altri esempi: birr-o-tec-a, sass-ol-in-
o, chiar-a-mente.

Morfemi sostitutiviàsi manifestano con la sostituzione di un fono ad un altro fono.


Consistono in mutamenti fonici della radice e quindi sono praticamente inseparabili da essa.

Morfema zeroà(più correttamente ‘morfo zero’) introdotto laddove una distinzione


obbligatoriamente marcata nella grammatica di una certa lingua viene eccezionalmente a
non essere rappresentata in alcun modo nel significante. Es: plurali invariabili nelle lingue che
abbiano normalmente la marcatura nel numero, come ingl. sheep SG/sheep PL. In italiano
non è corretto parlare di morfema zero in quanto il plurale non è aggiuntivo, cioè non è dato
da un morfo che si aggiunga alla forma del singolare, ma è fato dall’alternanza delle
desinenze.

Morfemi soprasegmentaliàun determinato valore morfologico si manifesta attraverso un


tratto soprasegmentale come l(a posizione dell)’accento o il tono

Morfemi cumulativiàmorfemi grammaticali che recano contemporaneamente più di un


significato o valore: così, per esempio, nella forma di parola italiana buone {e} vale insieme
“femminile” e “plurale”

-morfomaàè stato introdotto per spiegare la regolarità strutturale astratta di paradigmi,


declinazioni e simili

-amalgamaàmorfema cumulativo dato dalla fusione di due morfemi in maniera tale che nel
morfema risultante non è più possibile distinguere i due morfemi all’origine della funzione.
Es: preposizione articolata francese au = à + le

SCOMPOSIZIONE IN MORFEMI

Provare a fare dei tagli nella parola, poi verificare che siano giusti a livello di significato e
valore (sostituendo il resto della parola con altri morfemi in modo che il morfema preso in
questione abbia lo stesso valore/significato). Nella scomposizione, l’asterisco # indica il
confine tra le parole e il trattino – indica il confine tra i morfemi.
→ scomposizione della parola dentale: #dent-al-e#
dent-: morfema lessicale legato, radice del nome
dente
-al-: morfema derivazionale, suffisso ‘relativo a x’

-e: morfema flessivo, ‘numero singolare’

→ scomposizione della parola altezza: #alt-ezz-a#


alt-: morfema lessicale legato, radice dell’Agg alto
-ezz-: morfema derivazionale, suffisso ‘proprietà di essere x(Agg)’
-a: morfema flessivo, ‘femminile, singolare’

→ scomposizione della parola martello: #martell-o#


martell-: morfema lessicale legato, radice del nome
martello -o: morfema flessivo, ‘maschile, singolare’

N.B.: potremmo ipotizzare un altro ‘taglio’: mart-ell(o), e fare confronto con paes-ell(o), asin-
ell(o) / Mart-e, ma: 1) -ell(o) in martello non ha significato diminutivo, e 2) mart- in martello
non ha lo stesso significato che ha in Marte, né riusciamo ad attribuirgli altri significati.

• #in-capac-e#: in-: morfema derivazionale, prefisso,


‘non X’
-capac- morfema lessicale legato, radice dell’Agg capace

-e: morfema flessivo, ‘numero singolare’

• #im-mangi-a-bil-e#:
im-: morfema derivazionale, prefisso, ‘non X’ (allomorfo di in-) -
mangi-: morfema lessicale legato, radice del V mangiare
-a-: morfema vuoto, vocale tematica (prima coniugazione)

-bil-: morfema derivazionale, suffisso, ‘che può essere x(verbo)-ato’

-e: morfema flessivo ‘numero singolare’

• #infant-e# (<latino infante(m) ‘che non sa parlare’)


infant: morfema lessicale legato, radice del nome
infante
-e: morfema flessivo, numero singolare

• #ansi-os-o#: ansi: morfema lessicale legato, radice


del N ansia
-os-: morfema derivazionale, suffisso, ‘caratterizzato da x(nome)’

-o: morfema flessivo, ‘numero singolare’ ‘genere maschile’

• #pericol-os-o#:
pericol-: morfema lessicale legato, radice del N pericolo

-os-: morfema derivazionale, suffisso, ‘caratterizzato da x(nome)’


-o: morfema flessivo, ‘numero singolare’ ‘genere maschile’

• #gelos-o# (<latino zelosu(m) ‘pieno di zelo’) gelos:


morfema lessicale legato, radice dell’Agg geloso
-o: morfema flessivo, ‘numero singolare’ ‘genere maschile’

FORMAZIONE DELLE PAROLE

Parole sempliciàmorfema
lessicale (+ morfema flessivo)

Parole derivatàmorfema
lessicale + 1 (o più) morfemi
derivazionali

Parole composteà2
morfemi lessicali

Derivazione

I morfemi derivazionali mutano il significato della base cui si applicano, aggiungendo nuova
informazione rilevante, integrandolo, modificando la classe di appartenenza della parola e la
sua funzione semantica, o sfumandone il senso.

Derivazioneàprocesso che forma parole nuove tramite l’aggiunta di affissi a parole esistenti
o a morfemi lessicali

Famiglia di paroleàè formata da tutte le parole derivata da una stessa radice lessicale

Prefissazione normalmente non cambia la classe


lessicale della base

Suffissazioneà suffissi sono normalmente portatori di una classe lessicale (V, N, ecc.)→la
suffissazione può cambiare la classe lessicale della base. N.B. Non sono legati ad una specifica
classe lessicale i suffissi alterativi.

Sono abbastanza frequenti in italiano i casi di parole che contengono più affissi.
Gli affissi derivazionali possono normalmente essere applicati a tipi specifici di basi lessicali,
es.: tavol-o → tavol-in-o, ma:

• *tavol-mente
-mente può avere
come base Agg
(veloce →
velocemente) ma non
N

• *ritavolo
ri- può avere come
base V (fare → rifare)
ma non N

Alcuni affissi possono


combinarsi con più tipi
di base lessicale, es.:

• -eggi-: può avere come


base N (onda → ondeggiare), Agg (caldo → caldeggiare), Avv (indietro → indietreggiare)

AffissoidiÆValore lessicale, ma
non sono normalmente parole
in italiano: lo erano in greco
o latino → detti anche costituenti
neoclassici. Possono combinarsi
con morfemi lessicali
dell’italiano (es.:
bioarchitettura) oppure con altri affisoidi (es.: biologia, morfologia, psicologia,
antropologia) → detti anche composti neoclassici

Composizione àLa composizione è un processo di formazione di parole nuove tramite la


combinazione di almeno due parole esistenti o morfemi lessicali. Es: capostazione,
dolceamaro, pellerossa, scolapasta
In italiano normalmente i morfemi lessicali sono due, in altre lingue possono essere di più.

In alcuni composti è possibile individuare un elemento, detto testa, che contribuisce


maggiormente alla formazione del significato del composto, e che ne determina la categoria
lessicale di appartenenza e i tratti flessivi → composti endocentrici

• bassorilievo
[basso]AGG [rilievo]N → [bassorilievo]N categoria lessicale: un
bassorilievo è un N, come rilievo e diversamente da basso significato: un
bassorilievo è un (tipo di) rilievo (e non un basso) tratti flessivi: bassorilievo
è singolare e maschile, come basso e come rilievo
→ la testa del composto è rilievo

Nei composti endocentrici in italiano la testa può essere:

• a sinistra (tipicamente) pescecane, capostazione, nave traghetto.


• a destra (spesso sul modello di altre lingue) terremoto, scuolabus, coronavirus
In altri composti la testa non coincide con nessuno dei costituenti → composti esocentrici

• aspirapolvere [aspira]V [polvere]N → [aspirapolvere]N categoria lessicale: un’aspirapolvere


è un N, come polvere e diversamente da aspira significato: un’aspirapolvere non è un tipo
di polvere!
→ né aspira né polvere sono testa del composto

Altri processi di formazione di parola:

ParasintesiàProcesso che permette di ottenere verbi aggiungendo simultaneamente un


prefisso e un suffisso flessivo verbale a una base di un’altra categoria. Es: ricco ➝ arricchire
(*ricchire, *arricco); tiepido ➝ intiepidire (*tiepidire, *intiepido); cenere ➝ incenerire
(*cenerire, *incenero)
Parole macedonia (o blends)ÆSono formate dall’unione di parti di altre parole esistenti (parti
che non coincidono con morfemi). Es: confederazione + artigianato ➝ Confartigianato;
polizia + ferroviaria ➝ Polfer; aperitivo + cena ➝ apericena; modulator + demodulator ➝
modem; smoke + fog ➝ smog
ConversioneàCambiamento di categoria lessicale senza l’aggiunta di affissi derivazionali.
[cellulare]Agg / [cellulare]N

[mangiare]V / [mangiare]N

[lavorare]V / [lavoro]N
[calmo]Agg / [calmare]V

Unità lessicali plurilessematicheàda non confondere con le parole composte) sono


costituite da sintagmi fissi che rappresentano un’unica entità di significato, non
corrispondente alla semplice somma dei significati delle parole componenti, comportandosi
quindi come una parola unica. Es: gatto selvatico, mettere sotto, buttare giù, partire in quarta,
usa e getta, fare il bucato.

Unità lessicali bimembriàil rapporto tra le due parole costitutive giustapposte non ha
raggiunto il grado di fusione tipico delle vere parole composte e i due elementi vengono
rappresentati separatamente nello scritto. Es: nave scuola, scuola guida, parola chiave, ufficio
concorsi, sedia elettrica.

Sigle o acronimiàformate generalmente dalle lettere iniziali delle parole piene che
costituiscono un’unità plurilessemetica (anche con carattere di nome proprio), la cui
pronuncia compitata è promossa a parola autonoma.

Flessione

I morfemi flessivi (o flessionali):

• non modificano il significato lessicale della radice, la attualizzano nel contesto di


enunciazione, specificandone la concretizzazione in quel determinato contesto;

• sono portatori di valori di categorie grammaticali obbligatorie in una data lingua.

‣ “Si dice che un lessema è variabile […] quando può presentarsi in diverse forme flesse che
esprimono diversi valori delle categorie grammaticali obbligatoriamente espresse da quel
lessema”.

La forma di citazione è quella che rappresenta l’esponente generale della parola e che è
riportata nei dizionari. Es.: (italiano)Æverbi: infinito (es.: correre), aggettivi: maschile singolare
(es.: bello); (latino)Æverbi: prima pers. sing. presente indicativo (es.: ămo)

I morfemi flessionali realizzano valori delle categorie grammaticali; più precisamente, un


determinato morfema realizza un valore di una determinata categoria grammaticale, è la
‘marca’ di quel valore. Es: bell-oÆmarca di: GENERE maschile NUMERO singolare

Categorie grammaticali

Le categorie grammaticali a loro volta pertinentizzano e danno espressione ad alcuni


significati fondamentali, più comuni e frequenti, di portata generale, che diventano categorici
per una determinata lingua e che devono obbligatoriamente essere espressi, in quanto
previsti dalla grammatica, in un messaggio in quella lingua e quindi applicarsi sulle parole
suscettibili di portarli, cioè di essere marcate con quel valore.

• Numero-àValori: diversi in lingue diverse, es.: singolare, plurale


N.B.: una lingua che non debba esprimere con marche morfologiche la categoria
numero o alcuni suoi valori può comunque realizzare queste categorie concettuali con
mezzi lessicali (es. cinese: yī gè rén ‘una persona’, sì gè rén ‘quattro persone’, hěn duō
rén ‘molte persone’)
• GenereàIn italiano può assumere solo valore maschile o femminile. Nei N il genere è
inerente, negli Agg è contestuale. Vari criteri di assegnazione del genere ai N, es.: in
base al genere naturale (bambino vs bambina), campo semantico (nomi di città: f.),
appartenenza a una certa classe flessiva (sentinella: f.). In altre lingue, o non esiste il
genere, o il genere può essere marcato per più valori, per esempio tre, maschile,
femminile e ‘neutro’ (così, per es., in tedesco e in latino. Le lingue bantu (parlate in
Africa centrale, come per es. il swahili) hanno una quindicina di prefissi diversi per
marcare diversi valori della categoria corrispondente al nostro ‘genere’, vale a dire
diverse classi di nomi differenziate su base fondamentalmente semantico-nozionale;
morfemi che sono detti ‘classificatori nominali’.

• Casoàsvolge la funzione di mettere in relazione la forma della parola con la funzione


sintattica che essa, o meglio il sintagma di cui essa fa parte, ricopre nella frase. È
presente per es. in greco, in latino, in tedesco, in russo, in turco, in hindi, in finnico, ecc.;
in italiano esistono resti di flessione casuale nel sistema dei pronomi personali, dove per
esempio ‘tu’ e ‘te’ sono distinti per essere l’uno soggetto, al caso ‘nominativo’ e l’altro
oggetto, al caso ‘accusativo’, ‘lo’ e ‘gli’ per essere l’uno accusativo e l’altro ‘dativo’, ecc.
• Reggenzaàprocesso attraverso il quale un verbo assegna il caso al suo complemento
(cioè determina in quale caso debbano declinarsi gli elementi nominali che
costituiscono i complementi del verbo)
• Gradi dell’aggettivoàin molte lingue gli aggettivi possono essere marcati per ‘grado’:
comparativo, superlativo. L’italiano affida però alla flessione soltanto l’espressione del
superlativo, mentre i comparativi di maggioranza, di minoranza, e di uguaglianza sono
realizzati con mezzi lessicali (più bello di...)
• Definitezza e possessoàin lingue come l’arabo e il turco sono marcati da morfemi

Categorie grammaticali verbali:

• Modoàesprime la ‘modalità’, cioè la maniera nella quale il parlante si pone nei


confronti del contenuto di quanto vien detto e della realtà della scena o evento
rappresentati nella frase.
• - Tempoàcolloca nel tempo assoluto e relativo (fornendovi una precisa localizzazione e
attualizzazione ‘storica’ in un preciso contesto temporale) quanto viene detto.
• - Aspettoàriguarda la maniera in cui vengono osservati e presentati in relazione al loro
svolgimento l’azione o l’evento o il processo espressi dal verbo (perfettivo vs
imperfettivo, resi in italiano da passato prossimo vs imperfetto).
• - Azionalitààriguarda il modo in cui si svolge nello sviluppo temporale l’azione o
l’evento o il processo espressi dal verbo: una distinzione importante è quella fra verbi
‘telici’ (che denotano un’azione o evento o processo dotato di un punto culminante, che
ha una fine, come ‘invecchiare’ o ‘raggiungere’) e ‘atelici’ (senza un momento finale
conclusivo: come ‘sapere’ e ‘camminare’)
• - Diatesiàesprime il rapporto in cui viene rappresentata l’azione o l’evento rispetto ai
partecipanti e in particolare rispetto al soggetto (arrivo vs passivo vs medio)
• - Personaàindica chi compie l’azione o più in generale riferisce e collega la forma
verbale al suo soggetti e si manifesta con morfemi deittici o di accordo. La marcatura di
persona implica di solito anche una marcatura di numero. Certe lingue inoltre marcano
sul verbo, almeno in alcune persone, anche il genere (come del resto fa l’italiano: sono
partito vs sono partita)

• Diatesiàesprime il rapporto in cui viene rappresentata l’azione o l’evento rispetto ai ‘sapere’


e ‘camminare’) partecipanti e in particolare rispetto al soggetto (arrivo vs passivo vs medio)
• Personaàindica chi compie l’azione o più in generale riferisce e collega la forma verbale al
suo soggetti e si manifesta con morfemi deittici o di accordo. La marcatura di persona implica
di solito anche una marcatura di numero. Certe lingue inoltre marcano sul verbo, almeno in
alcune persone, anche il genere (come del resto fa l’italiano: sono partito vs sono partita)

La marcatura di ‘accordo’ prevede che tutti gli


(o alcuni) elementi suscettibili di flessione
all’interno di un certo costrutto prendano le
marche (e i morfemi conseguenti) delle
categorie flessionali per le quali è marcato
l’elemento a cui si riferiscono o da cui
dipendono.

CAP. 4: SINTASSI
La ‘sintassi’ (dal greco syntaxis, da syn “insieme” e tassein “ordinare, disporre”) è il livello di
analisi che si occupa della struttura delle frasi: l’oggetto di studio della sintassi è come si
combinano fra loro le parole e come sono organizzate in frasi. La frase è quindi il costrutto
che fa da unità di misura per la sintassi.

La frase è l’entità linguistica che normalmente funziona come un’unità comunicativa, cioè che
costituisce un messaggio o blocco comunicativo autosufficiente nella comunicazione verbale,
nel discorso. Una frase è identificata dal contenere una predicazione, cioè, all’incirca,
un’affermazione riguardo a qualcosa, l’attribuzione di una qualità o un modo d’essere o
d’agire a un’entità; o, in termini più tecnici, l’assegnazione di una proprietà a una variabile o
di una relazione fra più variabili.
Poiché normalmente il valore di predicare qualcosa è affidato ai verbi, in genere ogni verbo
autonomo coincide con una frase; vi possono però essere frasi senza verbo, dette ‘frasi
nominali’ (per es. buona questa torta), che funzionano da messaggi autosufficienti e
contengono pur sempre una predicazione.

Le parole non si combinano in frasi per semplice giustapposizione casuale, ma secondo


rapporti e leggi strutturali a volte anche molto complessi. Con ‘frase’ si designano anche
costrutti dall’estensione più ampia e dalla composizione più complessa di una frase semplice
costituita da un’unica predicazione; questa si può allora chiamare più precisamente
‘proposizione’.

Le frasi e i sintagmi hanno non solo una struttura lineare, ma anche una struttura gerarchica.
Il principio generale impiegato per l’analisi delle frasi è basato sulla scomposizione o
segmentazione. A livello elementare, è molto usato un tipo di analisi che rappresenta le
concatenazioni, e in parte le dipendenze, fra gli elementi della frase, scomponendola in pezzi
via via più piccoli, che sono i ‘costituenti’ della frase.

Analisi in costituenti immediati:

• analizza frasi e sintagmi in costituenti gerarchicamente organizzati su più livelli, fino ad


arrivare al livello delle parole.

• i costituenti di ogni livello sono detti costituenti immediati del livello immediatamente
superiore

Il metodo di rappresentazione più diffuso per l’analisi di una frase nei suoi costituenti è quello
dei diagrammi ad albero: un grafo
costituito da nodi da cui si dipartono rami;
ogni nodo rappresenta un sottolivello di
analisi della sintassi, e reca il simbolo della
categoria a cui appartiene il costituente di
quel sottolivello. Ogni nodo, col relativo
simbolo di categoria, ‘domina’ i nodi delle
ramificazioni che si dipartono da esso. LA
RAMIFICAZIONE È BINARIA.

La ‘distribuzione’, vale a dire l’insieme dei contesti in cui gli elementi possono comparire nelle
frasi, è un criterio importante per distinguere diverse classi di elementi rilevanti per la sintassi.
I determinanti sono quindi tutti gli elementi, parole funzionali, che (in italiano e altre lingue)
occorrono davanti a un nome e svolgono la funzione di determinare il referente da esso
indicato.
SINTAGMI

Un ‘sintagma’ è definibile come la minima


combinazione di parole (costituita da almeno una
parola) che funzioni come un’unità della struttura
frasale (o, più genericamente, della sintassi). I
sintagmi sono costruiti attorno a una ‘testa’, sulla cui
base vengono classificati e da cui prendono il
nome. ‘Testa’ è la classe di parole che rappresenta
il minimo elemento che da solo possa costituire il
sintagma, funzionare da un determinato sintagma.
Se si elimina l’elemento che fa da testa e che
determina quindi il tipo di sintagma, il gruppo di
parole considerato viene a
perdere la natura di sintagma di quel tipo.
Un sintagma nominale è un sintagma costruito attorno a un nome:
N è la testa di SN. Si noti che i pronomi, PRO, possono sostituire in
tutto un nome, e quindi possono essere loro la testa di un sintagma
nominale, che necessariamente in questo caso non conterrà un N
e sarà tendenzialmente costituito dal solo PRO.

Testa di SV è V, testa di SPrep è Prep. Nel caso


del sintagma preposizionale, la
preposizione introduce, e regge, un
sintagma nominale; non condivide la proprietà
che hanno le altre teste di
sintagma di poter rappresentare da sole il sintagma: un nome funzione
da sintagma nominale, ma una preposizione da sola non funziona da
sintagma preposizionale.
Tutte le categorie lessicali di parole piene possono essere teste di sintagma. Possiamo quindi
anche avere sintagmi aggettivali (SAgg), che hanno per testa un aggettivo, e sintagmi
avverbiali (SAvv), che hanno per testa un avverbio.

Alcuni criteri per il riconoscimento dei sintagmi

Mobilitààun gruppo di parole rappresenta un sintagma se le parole che lo costituiscono si


muovono congiuntamente all’interno di una frase. Il criterio rimane valido anche quando lo
spostamento modifichi il significato della frase.

Scissioneàun gruppo di parole rappresenta un sintagma se può essere separato dal resto
della proposizione costruendo una struttura chiamata frase scissa; si tratta per certi versi di un
caso specifico del criterio di mobilità.

Enunciabilità in isolamentoàun gruppo di parole rappresenta un sintagma se da solo può


costituire un enunciato, cioè se può essere pronunciato in isolamento.

Coordinabilitààquest’ultimo criterio consento più in particolare di riconoscere quando due o


più gruppi di parole rappresentino sintagmi di uno stesso tipo. Sintagmi diversi sono dello stesso
tipo se possono essere coordinati. Si noti tuttavia che possono essere coordinati anche gruppi
di parole con funzione analoga ma di genere molto diverso, come ad es. aggettivi e frasi relative.
Specularmente, può accadere che sintagmi diversi siano di uno stesso tipo ma non per questo
coordinabili.

I sottocostituenti dei vari tipi di sintagmi, cioè degli elementi che possono attaccarsi alla testa,
e che quindi dipendono da questa, possono dar luogo, come si è accennato, a sintagmi anche
assai complessi, dotati di una strutturazione interna a vari sottolivelli.
Un requisito fondamentale
per la corretta
rappresentazione della
struttura delle frasi con un
diagramma ad albero è che,
rispettando la
successione lineare dei
costituenti, sia dato conto
degli effettivi rapporti
sintattici esistenti fra essi: ogni
costituente deve comparirvi al
rango gerarchico in
cui interviene a
contribuire al valore generale
della frase. Particolare attenzione richiedono a questo proposito i sintagmi
preposizionali, il cui contributo al senso della frase può porsi a livelli diversi e che quindi
possono/devono essere agganciati all’opportuno nodo, anche indipendentemente dalla
semplice successione lineare: un SPrep che segua un SN, per es., non necessariamente deve
essere attaccato al nodo SN.
Il principio generale retrostante alle corrette rappresentazioni sintagmatiche è che, in un
albero, ogni elemento che sta sul ramo di destra di un nodo modifica (o va messo in relazione
diretta con) l’elemento che sta alla sua sinistra sotto allo stesso nodo (agganciato alla stessa
ramificazione: cioè il costituente fratello)

costituente fratello).

Sintagmi con due interpretazioni

Di tale doppia interpretazione è possibile tener conto a livello di struttura sintagmatica,


rappresentando quindi il sintagma con due alberi diversi.
Funzioni sintattiche

Il modo in cui i diversi costituenti si combinano nel dare luogo alle frasi è governato da principi
piuttosto complessi, che interagiscono fra di loro nel determinare, a seconda del significato
del messaggio da trasmettere e del contesto pragmatico in cui esso viene trasmesso, l’ordine
in cui si susseguono gli elementi e la gerarchia dei loro rapporti, e a conferire alle frasi la
struttura sintattica di superficie con cui queste ci appaiono. Occorre quindi distinguere tre
classi di principi, riconducibili a piani diversi che intervengono nel determinare il
funzionamento della sintassi.

La prima fondamentale classe di principi è interna alla sintassi stessa, dipende dalle reggenze
del verbo: si tratta delle ‘funzioni sintattiche’. Esse riguardano il ruolo che i sintagmi
assumono nella struttura sintattica delle frasi, in cui, essenzialmente, i sintagmi nominali
possono valere da soggetto o (complemento) oggetto, i sintagmi preposizionali possono
valere da oggetto indiretti o da complemento, i sintagmi verbali possono valere da predicato.
Una definizione rigorosa delle diverse funzioni sintattiche non è facile da dare. Soggetto
(tradizionalmente definito come ‘chi fa l’azione’), predicato verbale (tradizionalmente
definito come ‘l’azione’) e oggetto (o complemento oggetto; tradizionalmente definito come
‘chi subisce l’azione’) sono comunque le tre funzioni sintattiche fondamentali. A queste si
aggiungono numerosi complementi, di cui la grammatica tradizionale fornisce una lunga
lista individuandoli e definendoli in genere sulla base del loro valore semantico:
specificazione, termine, mezzo o strumento, modo o maniera, argomento, tempo, stato in
luogo e vari altri complementi di luogo, secondo termine di paragone, eccetera.

Struttura argomentale

Le funzioni sintattiche vengono assegnate a partire da ‘strutture argomentali’, che


costituiscono l’embrione iniziale della strutturazione delle frasi e ne configurano il quadro
minimale. Quando noi dobbiamo enunciare qualcosa sotto forma di frase, è ragionevole
pensare che partiamo dalla selezione di un verbo, a cui vengono poi associati degli
‘argomenti’, che sono implicati, richiesti, dal tipo del significato del verbo. Ogni predicato,
sulla base della natura del processo che rappresenta e codifica, configura un quadro di
elementi chiamati in causa. Gli altri elementi eventualmente presenti oltre agli argomenti
sono detti aggiunti, o circostanziali.

(1) *Luca mette il libro. (2) *Marco dà.

Queste frasi sono agrammaticali perché il predicato (mette nella frase 1, dà nella frase 2)
richiede più argomenti di quelli che sono effettivamente presenti.

Ogni predicato, o, in primo luogo, ogni verbo stabilisce il numero e la natura degli argomenti
che esso richiede, rappresentati linguisticamente dai sintagmi nominali (o preposizionali) che
li designano: ha quindi una certa struttura argomentale.

nessun argomentoÆverbi
zerovalenti; un argomentoÆverbi
monovalenti; due argomentiÆverbi
bivalenti; tre argomentiÆverbi
trivalenti.

Gli argomenti costituiscono con il


verbo gli elementi nucleari essenziali delle frasi, anche quando non vengano tutte realizzate
con materiale nella struttura sintagmatica (un argomento può anche essere omessa). In questi
casi, si dice che non tutte le posizioni della struttura argomentale sono ‘saturate’.

Sulla base della struttura argomentale, il soggetto si potrebbe definire come la prima valenza
di ogni verbo (tranne quelli metereologici). La seconda valenza coincide con la funzione
sintattica di (complemento) oggetto, nel caso normale dei verbi cosiddetti transitivi; può
tuttavia consistere in un complemento di luogo, un ‘complemento predicativo’ del soggetto
o dell’oggetto, o in altri complementi ancora.
In una frase, oltre ai costituenti che
rendono le funzioni sintattiche previste
dalla struttura argomentale, si possono
trovare anche costituenti che realizzano
altri argomenti, detti ‘circostanziali’. Non
essendo direttamente implicati dal
significato del verbo, non fanno parte
delle funzioni sintattiche fondamentali,
ma svolgono comunque una funzione
semantica importante. I circostanziali, o
aggiunti, rispetto agli argomenti,
godono di una certa libertà di posizione.

Frasi complesse

Spesso le frasi non vengono realizzate come unità isolate, ma si combinano in sequenze
strutturate anche lunghe, frasi complesse o ‘periodi’. Vi sono principi che regolano il modo in
cui il sistema linguistico organizza le combinazioni di frasi, e parole deputate a esprimere i
rapporti tra le frasi. È fondamentale a questo proposito la distinzione classica, nell’analisi del
periodo, fra coordinazione e subordinazione. La coordinazione si ha quando diverse
proposizioni vengono accostate l’una all’altra senza che si ponga tra esse un rapporto di
dipendenza (sono tutte allo stesso livello gerarchico), mentre si ha subordinazione quando
vi è un rapporto di dipendenza tra le proposizioni, in quanto una si presenta come
gerarchicamente inferiore ad un’altra (la ‘proposizione principale’) e la presuppone. Gli
elementi che eventualmente realizzano i rapporti di coordinazione o
subordinazione tra le frasi sono spesso chiamati ‘connettivi’ o ‘connettori’. La coordinazione
è realizzata con congiunzioni coordinanti come e, o, ma, ecc., o anche attraverso la semplice
giustapposizione di proposizioni. La subordinazione è realizzata con congiunzioni
subordinanti come che, perché, quando, mentre, benché, affinché, ecc., o mediante modi
verbali non finiti (l’infinito preceduto o no da preposizione). Le subordinate si dicono
‘esplicite’ quando il loro verbo è di modo finito, e ‘implicite’ quando il loro verbo è all’infinito,
al gerundio o al participio.

Le frasi subordinate si possono distinguere in tre principali categorie a seconda del modo
strutturale in cui si agganciano alla frase principale:

- Avverbialiàsono frasi subordinate che modificano l’intera frase da cui dipendono (es. esco,
benché piova). Sono avverbiali le subordinate causali, temporali, concessive, ipotetiche, finali.

- Completiveàsono subordinate che sostituiscono un costituente nominale maggiore (cioè, il


soggetto o l’oggetto, o anche il predicato nominale o l’oggetto indiretto) della frase; o (meglio)
che riempiono un argomento del predicato verbale (es. sembra che faccia bel tempo). Sono tali
le subordinate soggettive e oggettive e le interrogative indirette.
- Relativeàsono frasi subordinate che modificano un costituente nominale della frase, hanno
sempre un nome (o un pronome) come testa (es. non ho più visto lo studente a cui ho dato il
libro).

CAP. 6: LE LINGUE DEL MONDO


Quante sono le lingue? Secondo Ethnologue (https://www.ethnologue.com) le lingue
attualmente parlate nel mondo sono circa 7.000. Sono state proposte stime anche molto
inferiori (circa 2000) o superiori (circa 10.000). Questo perché enumerare tutte le diverse
lingue del mondo è un compito difficile, e il computo può variare di molto a seconda dei
criteri che si adottano per stabilire che cosa conta come “lingua”. Inoltre, c’è molta difficoltà
a reperire documentazione per alcune lingue / aree del mondo e bisogna considerare la
possibile esistenza di lingue ancora mai descritte.

Come si “contano” le lingue? In base al criterio della intercomprensibilità: • A e B sono lingue


diverse se i parlanti di A e di B non si capiscono • A e B sono varietà di una stessa lingua se i
parlanti di A e B si capiscono.

L’Italia è già un caso esemplare di questo problema. Quante lingue sono parlate in Italia? Per
Ethnologue: 34.

• Italiano
• “Lingue minoritarie” (legge del 15 dicembre 1999, n. 482): francese (Valle d’Aosta), tedesco
(Alto Adige), sloveno, sardo, friulano…

• Genovese, bergamasco, napoletano, …???

Fra italiano (standard) e dialetti italiani:

• Nessuna differenza dal punto di vista linguistico-strutturale:


• Distinzione di natura socio-culturale e
funzionale (italiano: riconoscimento
sociale e politico / ambito d’uso più
ampio) → dialettologia e
sociolinguistica

N.B. Non sono dialetti dell’italiano!

Dal punto di vista linguistico, quindi, i dialetti sono lingue tanto quanto l’italiano, lo svedese,
il cinese, il sardo…

“Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina”

→ criterio sociale, culturale, politico (cfr. per es. il caso di serbo e croato vs inglese
britannico e americano)

Bisogna ricordare che in Italia vengono anche parlate le lingue delle comunità di recente
immigrazione.

Tornando ad un discorso generale:

Quante sono le lingue parlate, e dove?


Principali sistemi per classificare le lingue del mondo: • genetico-genealogico • tipologico

Nella classificazione genetico-genealogica, le lingue sono suddivise in famiglie, sul modello


dell’albero genealogico (usato per la prima volta da August Schleicher in base all’idea che “le
lingue siano organismi naturali che si evolvono nel tempo, esattamente come, secondo
Darwin, avviene per le specie animali”) usato per le relazioni di parentela umane. Una famiglia
linguistica è composta da lingue che derivano storicamente da una stessa lingua madre →
prospettiva diacronica.

Come si individuano le parentele tra le


lingue?

Per individuare rapporti di parentela fra lingue, e


dunque classificarle in famiglie, rami, ecc. si usa il
metodo storico comparativo, cioè la presenza
di corrispondenze regolari fra lingue diverse
permette di ipotizzare che tali corrispondenze
siano dovute a una comune origine.

Un metodo assai semplice, ma molto rozzo e da


usare con cautela, è quello di individuare la presenza
di analogie nel lessico fondamentale (es.: numeri da 1 a 10, parti del corpo, ecc.), da
considerare non esposti interferenze fra le lingue e quindi diagnostici per il lessico ereditario
indigeno. L’assunzione di base è che se per questi termini troviamo lo stesso o simile
significante, vorrà dire che questo rimanda a una forma originaria condivisa, e che quindi le
lingue presentano un antenato comune.
“Le famiglie linguistiche sono strettamente matriarcali: si parla di ‘lingua madre’, ‘lingue figlie’
e ‘lingue sorelle’. Tuttavia, la madre non è sempre certa, perché l’origine ultima di una
famiglia linguistica si perde nella notte dei tempi e l’unica cosa che possiamo fare è ricostruire
a tavolino una ‘protolingua’: sulla base delle somiglianze tra lingue che scopriamo sorelle
facciamo ipotesi su come deve essere stata l’antenata comune ma non documentata”

La ricostruzione linguistica (cioè la descrizione di stadi precedenti di una lingua non


documentati), la comparazione fra le lingue e il riconoscimento di parentele più o meno
strette rappresentano un compito assai complesso, che si deve avvalere di ragionamenti
basati non solo sulle somiglianze di significati, ma anche su affinità e differenze lessicali,
morfologiche e sintattiche; e deve tener conto anche delle culture che le lingue
rappresentano. Un ruolo importante nella linguistica comparata e ricostruttiva e per il
riconoscimento delle famiglie linguistiche e delle loro articolazioni interne è svolo dalle leggi
fonetiche.
FAMIGLIE LINGUISTICHE

lia indoeuropea sono usati vari


sistemi di scrittura

vicine dal punto di vista genetico-genealogico


usano lo stesso sistema di scrittura (e
viceversa: lingue non imparentate possono
usare lo stesso sistema di scrittura)
Altre famiglie linguistiche:
Il livello della ‘famiglia’ rappresenta il più alto livello di parentela ricostruibile con i mezzi della
linguistica storico-comparativa, che individua le somiglianze fra le lingue come prova della
loro comunanza di origine, ed è quindi la categoria fondamentale della classificazione delle
lingue su base genetica. All’interno di una famiglia di lingue, a seconda dei gradi più o meno
stretti di parentela, si possono riconoscere dei ‘rami’ (o sottofamiglie), che a loro volta si
possono dividere in ‘gruppi’, a seconda del grado sempre più stretto di parentela fra le
lingue.

La linguistica comparativa riconosce oggi fino a un massimo di 18 famiglie linguistiche,


raggruppamenti separati tra i quali non sono dimostrabili (almeno allo stato attuale delle
conoscenze) rapporti ulteriori di parentela a un livello più alto; più alcune lingue isolate, per
le quali non è stato possibile ricostruire rapporti di parentela con altre lingue [Es.: burushaski
(Pakistan), basco (Europa)].
Lingue pidgin e creole

Pidgin e creoli: lingue nate come conseguenza del contatto linguistico; nascono
dall’incontro e mescolanza in situazioni particolari di lingue per lo più tra loro assai diverse e
distanti, e sviluppatesi secondo loro tratti peculiari di ristrutturazione; pertanto, spesso difficili
da collocare con precisione in una famiglia linguistica, anche se di solito vengono assegnate
alla famiglia della lingua che ha loro fornito la maggior parte dei materiali lessicali (detta
‘lingua lessicalizzatrice’). “nascono dall’addizione di più lingue in situazioni di contatto
“estremo”, ossia come unico possibile strumento di comunicazione tra gruppi umani privi di
lingue comuni (ad esempio in ambito coloniale)”
Pidgin: • usati principalmente nei
contesti in cui i due gruppi devono
interagire • lingua non nativa per
tutti quelli che la parlano

Creolo: “nasce” quando un pidgin


comincia ad essere usato anche in
ambito famigliare, fino a diventare
lingua materna di una generazione.

Difficili da classificare dal punto di


vista genetico-genealogico:
• classificarle nella stessa
famiglia della
lingua che fornisce gran parte del lessico (l. lessificatrice)? • ma spesso ci sono grandi
differenze strutturali fra pidgin/creolo e lingua lessificatrice → solitamente considerate caso
a sé (Ethnologue: 16 pidgin, 93 creoli)

Delle migliaia di lingue esistenti, soltanto alcune decine possono essere considerate ‘grandi’
lingue, con un numero sostanzioso di parlanti e appoggiate a una tradizione culturale di
ampio prestigio.

Occorre tener conto che il dato demografico, il numero dei parlanti, è solo uno dei criteri coi
quali giudicare dell’importanza delle lingue: sono altrettanto, e forse più, rilevanti anche
criteri come: il numero di paesi e nazioni in cui una lingua è lingua ufficiale o è comunque
parlata; l’impiego della lingua nei rapporti internazionali, nella scienza, nella tecnica, nel
commercio, ecc.; l’importanza politica e il peso economico dei paesi dove la lingua è parlata;
la tradizione letteraria e culturale e il relativo prestigio di cui gode la lingua; l’insegnamento
della lingua nella scuola come lingua straniera. Inoltre, dal punto di vista demografico ha
molto peso anche il numero dei parlanti non nativi, che parlano una certa lingua come lingua
seconda o straniera.

Classificazione tipologica

Le lingue sono suddivise in tipi, in base alle loro caratteristiche strutturaliàTipo linguistico:
riunisce lingue che condividono una data caratteristica strutturale (ai diversi livelli di analisi:
morfologico, sintattico, …) → prospettiva sincronica

• Non necessariamente lingue vicine dal punto di vista tipologico sono vicine anche dal
punto di vista genealogico

• Non necessariamente lingue vicine dal punto di vista genealogico sono vicine anche
dal punto di vista tipologico
• “ogni lingua appartiene a una sola famiglia, ma non a un unico tipo linguistico: i
raggruppamenti in tipi, infatti, variano a seconda del livello che si prende in considerazione.”

• “Inoltre, non è detto che le singole lingue si lascino incasellare esattamente in un tipo
e, spesso, abbiamo tipi devianti, ovvero lingue che ascriviamo a un tipo ma che, in realtà,
presentano caratteristiche incoerenti per quel tipo”.

Classificazione areale

Classificazione areale: raggruppa lingue parlate in aree geografiche contigue e che, pur non
essendo (strettamente) imparentate, hanno sviluppato caratteristiche strutturali simili come
conseguenza del contatto fra le comunità linguistiche.

L’analisi delle somiglianze tra le lingue parlate in una stessa area, dovute proprio alla vicinanza
“fisica” e al conseguente contatto reciproco di diversi gruppi di parlanti, costituisce l’oggetto
di studio della cosiddetta tipologia areale. L’insieme dei tratti linguistici che si sono imposti
in una data regione geografica a seguito di una profonda contaminazione interlinguistica
costituisce un “tipo areale”. Per poter asserire che le somiglianze in questione hanno una
motivazione di natura areale è indispensabile escludere che esse siano dovute a tendenze
tipologiche generali o a familiarità genetica. Questa considerazione ha due implicazioni
metodologiche significative. Innanzitutto, per poter individuare, in ambito linguistico,
eventuali tracce di contatto areale, è indispensabile operare una comparazione più ampia tra
le situazioni osservate nell’area in esame e le tendenze tipologiche prevalenti nelle lingue del
mondo. In secondo luogo, l’individuazione di fenomeni “sospetti”, che inducano cioè a
ipotizzare un contatto areale, richiede necessariamente un approfondimento di natura
diacronica.

Le regioni geografiche in cui i tipi areali si concretizzano maggiormente, cioè le regioni in cui
le lingue sviluppano tratti comuni per il fatto di essere fisicamente contigue, vengono definite
aree linguistiche. Riassumendo quanto detto sopra, possiamo affermare che un’area
linguistica, altrimenti detta lega linguistica o Sprachbund, deve caratterizzarsi per la presenza
di più lingue parlate nel medesimo contesto geografico, ma non immediatamente
imparentate (se fossero direttamente imparentate le somiglianze potrebbero essere la
conseguenza di una comune eredità) e di tratti linguistici da esse condivisi. È bene
sottolineare però che tali premesse rappresentano una condizione necessaria, ma non
sufficiente, per poter postulare l’esistenza di un’area linguistica. In altre parole, il verificarsi
delle tre situazioni menzionate in precedenza non determina immediatamente l’esistenza di
un’area linguistica.
Per poter essere tale, un’area linguistica deve aver assistito, nel corso della propria storia, a
movimenti di popoli di vaste proporzioni e alla conseguente creazione di aree bilingui o
addirittura plurilingui, che di fatto costituiscono l’humus per la propagazione, tramite il
contatto, di tratti linguistici. Quindi, un’area linguistica deve essere prima di tutto un’area
culturale e storica. Ma non è detto che un’area storico-culturale si trasformi automaticamente
in un’area linguistica.
Esempio: Lega linguistica (Sprachbund) balcanica

I Balcani presentano una stratificazione etnica certamente senza pari in Europa, conseguenza
di una serie di ripetute ondate migratorie, che hanno più volte stravolto l’assetto complessivo
della regione. Di fatto, essi nel corso dei secoli sono divenuti il limes naturale tra Occidente e
Oriente, due mondi non solo opposti, ma spesso contrapposti per scelte politiche, culturali,
religiose e anche linguistiche. L’area balcanica è il territorio europeo in cui si concentra il
maggior numero di lingue appartenenti a gruppi linguistici diversi: oltre al neogreco e
all’albanese, due lingue isolata (prive cioè di lingue “sorelle”, pur nell’ambito della famiglia
indoeuropea), va annotata la presenza di lingue slave meridionali (il serbo, il croato, lo
sloveno, il bulgaro e il macedone), di una lingua romanza (il rumeno), di una lingua altaica (il
turco) e, che se in una posizione più defilata, di una lingua uralica (l’ungherese). Tra i tratti
essenziali della lega linguistica balcanica, solitamente indicati come “balcanismi”, possono
essere indicati i seguenti:

• Articolo determinativo posposto: alb. shok


‘compagno’ – shok-u ‘il compagno’ rom. om ‘uomo’ –
om-ul ‘l’uomo’
blg. vól ‘bue’ – vól-ăt ‘il bue’
• Sistema vocalico: /i/, /u/, /e/, /o/, /a/ • Numeri da
11 a 19: ‘numero + ‘su’ + dieci” blg. edin-na-deset, dva-
na-deset (11, 12) mac. edin-na-eset, dva-na-eset alb.
një-mbë-dhjetë, dy-mbë-dhjetë rom. un-spre-zece, doi-
spre-zece (cfr. it. undici, dodici; fr. onze, douze, ecc.)
Nelle lingue balcaniche convivono forme dovute chiaramente a un modello greco e altre che,
invece, dobbiamo ricondurre a un modello latino.

Esempio: Area di Carlo Magno (Europa centro-occidentale)

Dal punto di vista geografico, sono assenti barriere davvero invalicabili e l’assenza di mari
interni ha favorito lo sviluppo di una rete viaria capillare e, soprattutto, costantemente
frequentata. Dal punto di vista storico, vi sono ampie attestazioni dei rapporti, continui anche
se non necessariamente pacifici, tra i popoli che sono alternati sul suo territorio. Inoltre, a
partire dall’espansione di Roma e passando per le conquiste di Carlo Magno, non sono
mancati, in Europa, i propositi di internazionalizzazione o, diremmo oggi, di globalizzazione
delle dinamiche culturali, anche attraverso tentativi di uniformazione linguistica. Sono stati
individuati, con buona attendibilità, alcuni tratti che paiono caratterizzare in modo quasi
esclusivo alcune lingue d’Europa e il cui insieme, che di fatto costituisce il tipo linguistico
europeo, è noto come Standard Average European. Alcuni dei tratti sono: ordine SVO, ‘avere’
e ‘essere’ come ausiliari, somiglianze lessicali, …

Una mappatura dei tratti, però, mostra come la loro diffusione in ambito europeo sia tutt’altro
che omogenea. Vi sono infatti lingue in cui la quasi totalità dei tratti si realizza (ad esempio il
tedesco e il francese), altre in cui solo un numero esiguo di essi ha un effettivo riscontro
empirico (ad esempio il basco e il turco) e altre ancora che potremmo collocare in posizione
intermedia, come l’italiano. Dal punto di vista linguistico, dunque, sembrano esserci lingue
pienamente europee, lingue parzialmente europee e lingue che hanno un profilo
decisamente distante da quello che caratterizza lo Standard Average European. A ben
vedere, le lingue che realizzano il maggior numero di tratti del
SAE si collocano nella zona centrale del vecchio continente, approssimativamente, alla
regione renana, e questo ha indotto gli studiosi a definire le zone interessate alla
propagazione di tali tratti come “area linguistica di Carlo Magno”.

È bene ribadire che, anche in condizioni particolarmente propizie, non è detto che un’area
storicoculturale si trasformi automaticamente in un’area linguistica: è questo il caso del
Mediterraneo e del Baltico, che non possono essere considerati aree linguistiche, in quanto,
nonostante gli svariati fenomeni di contatto in queste zone, ciascuno di essi coinvolge solo
una piccola porzione delle lingue esaminate.

LE LINGUE D’EUROPA

Lingue indoeuropee:

Lingue germaniche

•occidentali: inglese,
tedesco, nederlandese, yiddish…

•settentrionali: danese,
svedese, norvegese, islandese, ...

• orientali: gotico, burgundo,


vandalo… [estinte]
Lingue slave

• occidentali: polacco, ceco, slovacco

• orientali: russo, bielorusso, ucraino


• meridionali: sloveno, serbo, croato, bulgaro, macedone
Lingue baltiche prussiano antico [estinto], lettone, lituano
Lingue celtiche

• continentali: celtiberico, gallico, galatico… [estinte]


• insulari: scozzese, irlandese, gallese, bretone…
Neogreco Albanese Armeno Lingue
indoarie: lingue romani

Lingue non indoeuropee parlate in Europa

Lingue uraliche

• ugro-finniche: ungherese, finnico, estone...


• samoiede: nenets, ostiaco,…
Lingue altaiche: turco, baschiro, tataro Lingue caucasiche: georgiano

Lingue semitiche: maltese Basco (lingua isolata)

CAP. 6.2: TIPOLOGIA LINGUISTICA (+ “Fondamenti di tipologia linguistica”)

La ‘tipologia linguistica’ si occupa essenzialmente dello studio della variazione


interlinguistica. In un approccio di natura tipologica, l’interesse dello studioso è rivolto
essenzialmente all’impianto strutturale delle lingue: le lingue vengono classificate in base ad
affinità (o divergenze) sistematiche sul piano strutturale, indipendentemente dalla famiglia
linguistica di appartenenza, sia dalla loro attestazione storica, sia, infine, dai processi evolutivi
con cui queste affinità possono essere ascritte. Va specificato che la tipologia linguistica
studia tutte le lingue che hanno visto la luce, anche quelle del passato che la storia ha poi
condotto all’estinzione. La tipologia linguistica esclude quindi la componente diacronica.

Le lingue sono suddivise in tipi, in base alle loro caratteristiche strutturaliàTipo linguistico:
combinazione di proprietà strutturali logicamente indipendenti le une dalle altre, ma
reciprocamente collegate (ai diversi livelli di analisi: morfologico, sintattico, …). Se un tipo è
un insieme di più proprietà reciprocamente indipendenti, ciascuna di queste proprietà
risulterà pertinente qualora permetta di prevedere la presenza delle altre proprietà del tipo.
Due lingue della stessa famiglia potranno essere collocate in tipi diversi e due lingue di
famiglie diverse nello stesso tipo. I tipi, come si diceva, devono avere valore predittivo; essi
devono, cioè consentire di prevedere la natura degli elementi che vengono collocati in essi.
Quindi, affermare che una lingua fa parte di un tipo significa prevedere quali caratteristiche
avrà, senza aver indagato a fondo la sua grammatica. È bene notare però che una lingua può
esibire segmenti della sua struttura imprevisti rispetto alla natura del tipo cui afferisce.
L’assegnazione di una entità reale ad un tipo avviene infatti in base alla tendenza prevalente,
che difficilmente però è categorica. La tipologia linguistica deve farsi carico di esplicitare non
tanto – o meglio, non solo – l’insieme delle proprietà che fanno parte del tipo, quanto
piuttosto il principio soggiacente che le pone in relazione.

TIPOLOGIA MORFOLOGICA

La tipologia morfologica individua diversi tipi sulla base della struttura delle parole delle
lingue Criteri di classificazione:

• complessità interna delle parole (numero di morfemi per parola) àindice di sintesi

• maggiore o minore facilità con cui è possibile definire i confini di morfema àindice di
fusione

§ tipi: isolante, agglutinante, flessivo-fusivo (e introflessivo),


polisintetico In base all’indice di sintesi, possiamo individuare
due ‘estremi’:

Lingue isolanti

• Massimamente analitiche
→ Parole tendenzialmente monomorfemiche e invariabili (e ogni morfema in genere esprime
solo un significato)

• Confini fra morfemi facilmente individuabili (dato che ogni parola è composta da un solo
morfema, i morfemi non si combinano mai tra loro e dunque non esistono confini tra
morfemi, ma solo confini tra parole)

Es.: cinese mandarino, tailandese, vietnamita, …


Nelle lingue isolanti, le
parole tendono a
essere del tutto
invariabili nella forma:
parola a differenza di quanto
avviene ad esempio in
italiano, dove la
categoria sintattica di
una può essere
modificata l’aggiunta
di suffissi
derivazionali, nelle
lingue isolanti una
stessa parola può
svolgere più funzioni
sintattiche senza
alterare la propria
configurazione
formale. I significati sono quindi
affidati al lessico o alla sintassi.

Lingue agglutinanti

• Parole con struttura complessa


→ Parole tendenzialmente composte da più morfemi

• Confini fra morfemi facilmente individuabili


Ciascun morfema realizza una sola funzione o significato (corrispondenza biunivoca tra forma
e contenuto). I morfemi tendono ad avere dei valori che in italiano vengono manifestati
attraverso il lessico (come la possessività o la causatività).

Es.: turco, giapponese, coreano, swahili, ungherese, basco, …


Lingue flessivo-fusive

• Parole con struttura complessa


→ Parole tendenzialmente composte da più morfemi (tendenzialmente da una base lessicale
semplice o derivata e da uno o più affissi flessionali)

• Confini fra morfemi difficili da individuare


Più significati e funzioni si “fondono” in uno stesso morfema→ molti morfi cumulativi

Es.: italiano, russo, latino, … [in genere le lingue indoeuropee]

Lingue introflessive

È un sottotipo di quello flessivo-fusivo

‣ lingue flessive-fusive caratterizzate del fatto che i morfemi non sono disposti in ordine lineare

→ Transfissi che si inseriscono “a pettine” nella radice (i fenomeni di flessione avvengono


dentro la radice lessicale)

Es.: lingue semitiche (arabo, ebraico, …)


Lingue polisintetiche

• Massimamente sintetiche
→ Parole con struttura estremamente complessa (molti morfemi)

• Spesso una parola è formata da più morfemi lessicali


→ una singola parola può esprimere concetti che in altri tipi linguistici necessiterebbero di
un’intera frase.

Es.: groenlandese occidentale, ciukci (Siberia), tiwi (Australia)

Eschimese siberiano (famiglia eskimo-aleutina)

Passando dal tipo linguistico isolante al tipo linguistico polisintetico vi è dunque un


progressivo complicarsi della struttura della parola: le lingue isolanti sono lingue tipicamente
analitiche (che ‘spezzano’ il contenuto da codificare e trasmettere in blocchi unitari semplici),
le lingue agglutinanti e ancor più le lingue polisintetiche sono lingue, appunto, tipicamente
sintetiche (che sintetizzano, ‘impacchettano’, assieme più blocchi di contenuto, ottenendo
entità complesse). Il tipo flessivofusivo occupa da questo punto di vista una posizione
intermedia tra l’analiticità e la sinteticità:
I tipi sono artifici teorici che filtrano la concreta realtà linguistica semplificandola
sensibilmente. Essi, dunque, non sono oggetti concretamente osservabili e non si realizzano
integralmente in alcun sistema linguistico.

Es.: Italiano: lingua flessivo-fusiva … ma ci sono anche (poche) parole monomorfemiche,


invariabili (tipiche delle isolanti), es.: città, sempre, dietro

Es.: Inglese: ?

a little dog / I will sing → isolante? boy-s / tall-er


→ agglutinante? he - she - it / swim - swam -
swum→ flessivo-fusiva?
TIPOLOGIA SINTATTICA

La tipologia sintattica individua diversi tipi in base all’ordine delle


parole nella frase

ÆOrdine relativo di soggetto (S), verbo (V) e oggetto (O) nella frase
indipendente dichiarativa

Le proprietà tipologicamente rilevanti:

• danno informazioni sulla struttura della


lingua

• permettono di suddividere le lingue in un


numero limitato tipi

Gli ordini marcati sono comunque accettabili in


termini puramene linguistici, ma non possono
essere utilizzati nello stesso contesto comunicativo.

Tipi possibili: • SOV; • SVO; • VSO; • VOS; • OVS; • OSV.


Perché SOV, SVO e VSO sono gli ordini più
frequenti?
Principio di precedenza fra i costituenti
nominali il soggetto, data la sua prominenza

Il soggetto corrisponde al tema (ciò di cui si


parla): metterlo
comunicativamente più efficace

• Principio di adiacenzaàverbo e oggetto debbono essere contigui, in ragione della loro


stretta relazione sintattico-semantica e della dipendenza diretta del secondo dal primo.
Nel sintagma nominale:

s GN

vs Po

Dunque, rispetto all’ordine dei costituenti nei sintagmi verbale, nominale e adposizionale la
variazione interlinguistica è decisamente circoscritta e tutt’altro che caotica.

Le proprietà tipologicamente rilevanti:


• danno informazioni sulla struttura della lingua
• permettono di suddividere le lingue in un numero limitato tipi

• danno informazioni su altre proprietà della lingua (es.: SOV → Po)Ægeneralizzazione


È bene ricordare che, anche in questo caso, non ci sono tipi puri: Es.: inglese

• Sintagma nominale
the little girl

• Sintagma adposizionale at school


• Sintagma verbale John eats an apple the king of Spain
John’s wife

Merita un cenno un ulteriore parametro tipologico, che coinvolge morfologia, sintassi e


semantica: l’ergatività, che riguarda l’organizzazione dei sistemi di casi che traducono in
superficie i suoli semantici del verbo. Detto in soldoni, esistono infatti delle lingue che,
contrariamente alle lingue con sistemi di caso che più comunemente conosciamo (come
latino, greco, russo, ecc.), assegnano una marcatura diversa di caso al soggetto a seconda
che esso sia soggetto di un verbo transitivo o di un verbo intransitivo. Sono lingue ergative: il
basco, le lingue caucasiche, il dyirbal e molte lingue indigene d’Australia, l’eschimese, il
ciukcio, il tongano e altre lingue austronesiane della Polinesia, eccetera.

Classificazione tipologica: “Se la classificazione genetico-genealogica è accostabile a quella


degli esseri viventi […] la classificazione tipologica ricorda, con un paragone volutamente
leggero, la classificazione che noi facciamo dei tipi di persone. Così, ad esempio, ci
aspettiamo che un professore universitario sia serio, compassato, magari pedante, che abbia
una certa proprietà di linguaggio ed, eventualmente, determinati interessi culturali; da una
stella della musica rock, invece, ci aspetteremmo un abbigliamento particolare,
comportamenti anticonformisti, una vita privata burrascosa ecc. Queste, naturalmente, sono
semplificazioni della realtà: esistono professori universitari che hanno comportamenti
anticonformisti e che non sono né seri né compassati, così come esistono rock star che hanno
una vita privata irreprensibile. In modo simile, la classificazione tipologica raggruppa le lingue
in “tipi”, ovvero “combinazioni di proprietà strutturali logicamente indipendenti le une dalla
altre, ma reciprocamente correlate”

La tipologia linguistica non può e non vuole essere una teoria generale del linguaggio, ma
evidentemente può contribuire in modo decisivo – e di fatto contribuisce – alla formulazione
di una teoria linguistica generale. Una teoria del linguaggio ambisce a capire come funzioni
il linguaggio, inteso come capacità cognitiva, e come esso si realizzi nelle lingue storico-
naturali.
CAP. 7: MUTAMENTO E VARIAZIONE DELLE LINGUE
Le lingue cambiano nel tempo

Dante Alighieri, De vulgari eloquentia I, 9


‘Ogni nostra lingua […] non può avere né durata né continuità, ma, come le altre cose che ci
sono proprie, come ad esempio i costumi e le mode, deve variare per distanza di luoghi e di
tempi’.

‘Per cui osiamo affermare che se ora rinascessero i Pavesi dei tempi più antichi, parlerebbero
una lingua distinta e diversa da quella dei Pavesi di oggi. E quanto diciamo non dovrà destare
maggior meraviglia che il fatto di accorgersi che un giovane è divenuto adulto senza averne
prima notata la crescita: perché i movimenti che avvengono a poco a poco non riusciamo
minimamente a valutarli, e quanto più il mutamento di una data realtà richiede tempi lunghi,
tanto più la riteniamo stabile’.

Una lingua non è un blocco uniforme, uguale in ogni circostanza, immutabile, ma si presenta
sotto forme diverse, mostra sempre un rilevante ammontare di possibilità e modi diversi di
realizzazione delle unità del sistema, di usi differenti. Tale differenziazione che si manifesta in
ogni lingua è anzitutto visibile lungo l’asse del tempo, nella diacronia. Ogni lingua conosce
cambiamenti nel suo lessico e nelle sue strutture in relazione al passare del tempo e alle
modificazioni che parallelamente avvengono nella storia della cultura e della società.

Cambiamenti locali multipli in parti diverse del sistema possono sommarsi e ingrandire via via
le differenze fra uno stato di lingua e l’altro, al punto tale che ad un certo momento, quando
uno stato di lingua risulti così cambiato rispetto ai precedenti da non essere più riconoscibile
dai parlanti come ‘quella lingua’, si è in presenza di una nuova lingua. Uno dei criteri per
stabilire che si tratti di un’altra lingua è la mancanza di comprensibilità che entro un certo
lasso di tempo si viene a creare fra il vecchio stato di lingua e quello nuovo. Quando ciò
avviene, si può dire che è nata una nuova lingua, un nuovo sistema linguistico diverso dal
precedente che ne è il ‘genitore’. Questo, per esempio, è il caso dell’italiano e delle altre
lingue romanze che sono nate dal latino per una somma di mutamenti. “Si può dire, in buona
sostanza, che l’italiano è il latino adoperato oggi in Italia, così come il portoghese, lo spagnolo
e il francese sono i latini adoperati oggi in Portogallo, in Spagna e in Francia.”

Il meccanismo dei mutamenti segue spesso una trafila che inizia con un’innovazione (un
nuovo elemento che viene, in dipendenza da vari fattori, a essere introdotto nell’uso
linguistico dei parlanti) e prosegue con una fase in cui l’innovazione si diffonde e l’elemento
innovante coesiste nel sistema con l’elemento preesistente, se questo c’era; l’innovazione può
essere accettata dalla comunità parlante ed avere successo fino a soppiantare totalmente
l’elemento ‘vecchio’ preesistente e a diventare un nuovo elemento costitutivo del sistema
linguistico.

Una lingua muore quando non ha più parlanti e nell’uso di una comunità viene sostituita
totalmente da un’altra lingua. Spesso la lingua che si estingue lascia tracce sulla lingua che le
subentra, nella fonetica, nella morfosintassi, nel lessico: si tratta di fenomeni di ‘sostrato’.

Fattori interni del mutamento linguistico sono sia le tendenze del sistema a regolarizzare,
acquistare coerenza e simmetria, ottimizzare le strutture, sia le operazioni inconsce del
parlante volte a semplificare, sia nella produzione (maggior facilità articolatoria), sia nella
ricezione (chiarezza e agio della decodificazione, salienza percettiva), le strutture della lingua.
L’economia del sistema e l’agevolezza di processazione da parte del parlante si ritrovano in
molti dei fenomeni concreti del mutamento linguistico.

Es.: lat. octo, lacte(m), factu(m) > it. otto, latte, fatto
lat. aptu(m), scrīptu(m) > it. atto, scritto
Assimilazione: “due foni articolatoriamente diversi nel corpo della parola tendono a diventare
simili o uguali mediante l’acquisizione da parte di uno dei foni di uno o più tratti comuni con
l’altro fono” → economia articolatoria

Fattori ‘esterni’ del mutamento linguistico: “Ogni cambiamento significativo nell’ambiente,


nell’evoluzione economica, nello sviluppo socioculturale (guerre, migrazioni, scoperte, svolte
tecnologiche, crisi, rivolgimenti politici, ecc.) può essere un fattore extralinguistico, una causa
esterna scatenante di mutamenti linguistici”. Es.: contatto linguistico

Il mutamento linguistico riguarda tutti i livelli di analisi: fonetico, fonologico, morfologico,


sintattico, lessicale. In tempi lunghi, i cambiamenti possono essere profondi e radicali.
La linguistica storica: il settore della linguistica che si occupa del mutamento è la linguistica
storica (o linguistica diacronica). La linguistica storica si sviluppa come disciplina autonoma
solo nel XIX sec. Conferenza di Sir William Jones alla Royal Asiatic Society di Calcutta (1786):
“La lingua sanscrita, quale che possa essere la sua antichità, è di meravigliosa struttura: più
perfetta del greco, più abbondante del latino, e più squisitamente raffinata di entrambe, pur
avendo con esse un’affinità maggiore – sia nelle radici dei verbi che nelle forme della
grammatica – di quel che potrebbe essersi prodotto per puro caso; un’affinità tanto grande,
che nessun filologo potrebbe esaminare queste tre lingue senza persuadersi che esse sono
derivate da una stessa fonte comune, che, probabilmente, non esiste più. Una ragione simile,
per quanto non altrettanto forte, spinge a supporre che sia il gotico che il celtico, per quanto
mescolati con un idioma molto diverso, avessero la stessa origine del sanscrito; e l’antico
persiano potrebbe essere aggiunto alla stessa famiglia”

Fenomeni del mutamento


Mutamento lessicale e semantico
Nuove parole entrano nel lessico:

• Con mezzi della lingua stessa: Es: triennalista, tronista, firmacopie, apericena…

• Paretimologia (o etimologia popolare)àla risemantizzazione di una parola mediante la


rimotivazione del suo significato, che la rende più ‘trasparente’ attraverso l’apparentamento
a una parola nota

Redipuglia < friulano Redipulie < sloveno Sredipolje (‘in mezzo alla pianura’)

Golfo degli Aranci < sardo Gulfu de li ranci (‘golfo dei granchi’)

•Rianalisiàcostituzione, da parte del parlante, di una ‘reinterpretazione’ di una parola o un


costrutto complessi, non giustificata o anche errata sul piano etimologico, spesso consistente
in una arbitraria risegmentazione, o guidata da fattori analogici e da etimologie fantasiose
ted. Hamburger (‘di Amburgo’: Hamburg-er) > ingl. ham-burger (cfr. anche cheeseburger,
fishburger, Burger King, ecc.) • Con materiale di altre lingue
prestiti lessicali, per es.:
‣da lingue germaniche: fiasco < got. *flaskō; panca < longob. panka; scranno < longob.
skranna, …. dall’arabo: algebra < al-ǧabr, albicocca < al-barqūq, carciofo < ḫaršūf …
‣hashtag, bike sharing, baby sitter…

linkare, taggare, … [i prestiti quasi sempre subiscono un adattamento nella fonetica, e non
raramente nella morfologia e nel significato, diventando così pienamente ‘integrati’ nella
lingua che li accoglie]

calchi strutturaliàsi parla di ‘calchi’ quando ciò che passa da una lingua a un’altra non è una
parola o espressione nei suoi aspetti formali, ma il suo significato, o la sua struttura interna,
resi con mezzi propri della lingua ricevente; per es.:

grattacielo < ingl. skyscraper; lasciapassare < fr. laissez-passer;


scuolabus < ingl. schoolbus; ferrovia < ted. Eisenbahn
• Perdita di parole

Es.: lat. cunctus 'tutto intero’; ōs ‘bocca’;


italiano antico maniato ‘effigiato in un ritratto’

Mutamento semantico

• Estensione di significato (o generalizzazioni) Es.: lat. domina ‘signora,


padrona di casa’ > it. donna lat. volg. adripāre ‘raggiungere la riva di un
fiume’ > it. arrivare
• Restringimento di significato (o specializzazioni) Es.: lat. dŏmus ‘casa’ > it.
duomo ‘casa del Signore’ ingl. antico mete ‘cibo’ > ingl. meat ‘carne’
• Cambiamento di aspetti connotativi e valutativi del significato Es.: ingl.
antico cniht ‘ragazzo, servo’ > knight ‘cavaliere’ greco classico agathós
‘buono, nobile’ > gr. mod. agathós ‘sciocco’
• Metafora ingl. mouse (‘topo’) > ingl. mouse (anche: del computer) lat.
caput (‘testa’) > it. capo (anche: estremità, persona al vertice..) lat. testa
(‘vaso di terracotta’) > it. testa (parte del corpo) lat. capere ‘afferrare (con le
mani)’ >it. capire (comprendere)
• Metonimiaàconsiste nel trasferimento di significato da una parola a
un’altra in base a una relazione di contiguità spaziale, temporale o causale

ingl. glass: ‘vetro’ / ‘bicchiere’ lat. sexta


(‘sesta ora’) > sp. siesta (‘sonnellino’)
→ quando due (o più significati) convivono: polisemia
Neogrammatici (Junggrammatiker), fine XIX sec.

Leggi fonetiche: si intendono i mutamenti fonetici regolari che nell’evoluzione delle lingue
toccano intere serie di parole, nelle quali un fono si trasforma sistematicamente in un altro
fono.

• descrivono corrispondenze fonetiche fra lingue diverse della stessa


famiglia, o fra fasi diverse della stessa lingua

• “se, in una data lingua, a diventa b nel contesto X, allora ogni a che si trovi
nel contesto X deve passare a b ineccepibilmente, ovvero senza eccezioni”

• Eventuali eccezioni possono essere spiegate come l’effetto di leggi


fonetiche concorrenti

A livello fonologico, fenomeni ricorrenti sono fra gli altri i seguenti:

• - Fonologizzazioneàallofoni di un fonema acquisiscono valore distintivo e diventano


fonemi autonomi
• - Defonologizzazioneàonemi perdono il loro valore distintivo e diventano allofoni di un
altro fonema
• - Perdita di fonemi.

I mutamenti fonetici-fonologici possono anche consistere in spostamenti a catena, che


coinvolgono intere serie di foni o fonemi. Fra gli esempi più noti di mutamento a catena vi sono
le cosiddette ‘rotazioni consonantiche’. La prima di queste (nota come ‘legge di Grimm’, da
Jacob Grimm (1785 1863)) riguarda il passaggio delle occlusive sorde a fricative sonore, delle
occlusive sorde a occlusive sonore e delle occlusive sonore aspirate a occlusive o fricative
sonore, e caratterizza il ramo germanico delle lingue indoeuropee rispetto agli altri rami.
(per studiare bene la legge di Grimm,
guardare le dispense della prof)

Mutamento morfologico

Nella morfologia, possono cadere categorie o distinzioni morfologiche e nascerne di nuove,


e i morfemi possono cambiare le loro regole di impiego. Principali meccanismi di mutamento
morfologico:

• Analogia: “tende a conformare gli elementi asimmetrici di un sistema a un modello


simmetrico, rendendo più simili nella loro struttura le forme che sono percepite come
morfologicamente, sintatticamente e/o semanticamente correlate”

-Es.: In base a regolare legge


fonetica: lat. nŏvus > it. nuovo lat.
nŏvissĭmus > it. novissimo
Ma per analogia con alto-altissimo, bello-bellissimo, forte-fortissimo, ecc. → novissimo >
nuovissimo

-Es.: ind. pres. 1sg: lat: amo > it. am-o


ind. impf. 1sg.: lat. amaba(m) > it. amav-
a
“colei la quale io mattamente per mia singulare donna eletta avea e la quale io assai più che
la propria vita amava” (Boccaccio, Corbaccio)

→ Ma per analogia con la 1 sg. del presente: amav-a > it. amav-o

• Grammaticalizzazione: “La grammaticalizzazione è il fenomeno per cui forme


linguistiche libere (per es., parole) perdono gradualmente l’autonomia fonologica e il
significato lessicale, fino a diventare forme legate con valore grammaticale (diventando, per
es., desinenze).”

-Es.: lat. mente: abl. di mens (‘mente, disposizione di spirito’) > it. -mente
sed obstinata mente perfer, obdura (Catullo, carme VIII, v. 11)
‘ma con animo saldo, tu resisti, tieni duro’ lat sincera mente ‘con
sincera disposizione di spirito’ > it. sinceramente lat. clara mente
‘con mente chiara’ > it. Chiaramente
-Es.: lat. mica: ‘briciola’ > it.: particella negativa
-Es.: lat. [habēre + part. pass.] > avere come ausiliare
lat. habeo litteras scriptas ‘ho (possiedo) lettere
scritte’
> it. ho (ausiliare) scritto delle lettere → “riduzione” semantica

-Es.: participio pres. durante > prep. durante durante la vacanza, ma


non duranti le vacanze → “riduzione” morfologica
-Es.: lat. volg. [infinito + habēre] ‘ho da…’ > it. desinenza di futuro

(futuro lat. classico: cantabo, legam, ecc.)

lat. volg. cantare habeo (> *cantàr ào > cantarào > cantarò) > it. canter-ò → “riduzione”
(erosione) fonetica

Mutamento sintattico

Mutamenti nell’ordine dei costituenti → mutamento tipologico

in prospettiva diacronica: lat.


pompeiano come fase di
transiz. tipologica da SOV a
SVO

Si può predire il mutamento? No, ma…


Universali linguistici: proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue (indipendentemente di
loro rapporti genetici e dagli eventuali condizionamenti reciproci) sia sotto forma di invarianti
necessariamente possedute dalle lingue in quanto tali sia sotto forma di un repertorio di
possibilità a cui le lingue si rifanno in maniera diversa l’una dall’altra. Gli universali linguistici
indicano appunto proprietà o correlazioni che si suppone distinguano ogni lingua storico-
naturale, del presente come del passato. “contribuiscono a fissare i limiti entro i quali e lingue
possono variare”.

Universali assoluti: sanciscono la presenza (o l’assenza) di una particolare proprietà in ogni


lingua storico-naturale, senza far riferimento ad alcun altro parametro e senza stabilire
correlazioni fra tratti differenti. Gli universali assoluti non lasciano alcuno spazio alla variabilità:
essi consentono di identificare un unico tipo linguistico, cui afferiscono tutte le lingue storico-
naturali del passato e del presente. Es.:

• tutte le lingue hanno vocali orali


• tutte le lingue distinguono consonanti e vocali
“forniscono, seppur indirettamente, informazioni sulla natura profonda del linguaggio
umano” Universali implicazionali: pongono in relazione due (o più) proprietà, vincolando
la presenza di una di esse alla presenza dell’altra. In altre parole, essi affermano che un
tratto linguistico può realizzarsi in una lingua storico-naturale solo se nella medesima lingua
è attestato anche un altro tratto linguistico. Es.:

• se una lingua ha preposizioni, allora ha ordine nome-genitivo se una lingua ha posposizioni,


allora ha ordine genitivo-nome
• singolare > plurale > duale > triale/paucale
(se una lingua ha il triale o paucale ha anche il duale; se ha il duale ha anche il plurale; se ha
il plurale ha anche il singolare)

Come si spiegano gli universali? Alcuni fattori importanti:

• Economiaà“ottenere il massimo risultato comunicativo con il minimo sforzo da parte del


parlante”

• Iconicitàà“tendenza a riprodurre, sul piano della struttura linguistica, le sequenze in base


a cui viene organizzata, a livello mentale, l’informazione da trasmettere”

• Motivazione comunicativaà“adeguare il sistema alle esigenze comunicative della


comunità parlante”

Quindi: il mutamento non è caotico, ma sembra seguire strategie tanto diffuse da apparire
universali; per es., se è vero che non esistono lingue che conoscano la codifica morfologica
del duale ma non quella del plurale […] è certo che una lingua provvista di tre numeri, se ne
cancellerà uno, cancellerà il duale ma non il plurale, il che, per es., è proprio ciò che è
accaduto nella storia del greco antico.

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