Strik Lievers
CAP. 1 – IL LINGUAGGIO VERBALE
La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua. “Secondo una definizione
corrente, la linguistica è lo studio scientifico delle lingue e del linguaggio.”
Il dato osservabile per il linguista non è il linguaggio, ma sono le singole lingue, attraverso i
loro prodotti (testi orali o scritti) e i giudizi che i parlanti danno su essi.
La linguistica non è lo studio delle lingue. Al linguista paradossalmente affascinano di più gli
errori, perché attraverso essi si osservano le variazioni della lingua. L’errore diventa regola
quando cambia la reazione che suscita nei parlanti.
Diventa disciplina autonoma solo nel 1861 (1° cattedra di Letteratura orientale e linguistica,
università di Berlino), ma la storia della riflessione linguistica ha radici più antiche. (limitandoci
all’occidente):
-Grecia (VI sec. a.C.), nasce come una riflessione filosofica sul rapporto tra realtà e linguaggio
(se viene rappresentata fedelmente, i motivi per cui le cose si chiamano così). L’opera più
antica di linguistica è il dialogo “Cratilo” di Platone, dove i protagonisti si interrogano se il
rapporto tra le parole e le cose sia naturale o convenzionale (Cratilo naturalista -Ermogene
convenzionalista Socrate arbitro).
“ERMOGENE: …non per natura già predisposto per ciascun oggetto è il nome – nessun nome
per nessun oggetto – bensì per legge e per uso di coloro che così usano e chiamano” (tesi
sostenuta oggi)
-Dante, “De vulgari eloquentia” (inizio ‘300, quasi sconosciuto fino al ‘500). Una delle principali
questioni è quale sia la lingua originaria: Dante sostiene che sia l’ebraico e che le varie lingue
siano il risultato della confusione biblica (Torre di Babele). Classifica le varie lingue parlate in
Italia, notando delle variazioni anche nelle singole città. Il suo scopo è quello di descrivere il
volgare illustre (cioè quello letterario).
-rinascimento ed età moderna: la distinzione degli stati porta all’affermazione delle lingue
volgari. Le scoperte geografiche portano ad una diversità linguistica più ampia (grazie ai
missionari)
-XIX sec.: sulla base delle descrizioni delle varie lingue si trovano delle somiglianze tra
lingue diverse + grazie alla conquista dell’India si diffonde il sanscrito. + Sir William Jones
(magistrato inglese trasferitosi a Calcutta) nel 1786 tiene una conferenza alla Asiatic Society,
dove osserva le affinità tra latino, greco, sanscrito e lingue germaniche (gotico). Per ipotizzare
una parentela tra queste lingue, le somiglianze semantiche devono essere di tipo sistematico.
L’antenato comune è una lingua di cui non abbiamo attestazione e che è stata ricostruita
appunto grazie alle somiglianze semantiche.
“Tutte le lingue storico-naturali sono espressione di quello che viene chiamato linguaggio
verbale umano. Il linguaggio verbale è una facoltà innata dell’homo sapiens ed è uno (e il più
raffinato, complesso e duttile) degli strumenti, dei modi e dei sistemi di comunicazione che
questi abbia a disposizione.”
-lingue storico-naturali= lingue nate spontaneamente lungo il corso della civiltà umana e usate
dagli esseri umani ora o nel passato. “da un lato sono apprese in modo naturale e spontaneo,
dall’altro sono il prodotto di un’evoluzione attraverso il tempo e sono strettamente legate alla
comunità linguistica che le usa” (comprende anche le lingue non riconosciute da uno Stato)
“[...] le lingue sono codici (un termine equivalente a sistemi di segni, ma molto più comodo
nell’uso), cioè sistemi di corrispondenze tra l’ordine dell’espressione e l’ordine del
contenuto, destinati alla trasmissione di informazione tra un emittente e un ricevente
attraverso la produzione e la diffusione di messaggi”.
Che cos’è un segno? Un segno, detto in maniera molto generica, è qualcosa che sta per
qualcos’altro e serve per comunicare questo qualcos’altro.
‘Segno’ è quindi l’unità fondamentale della comunicazione. La disciplina che studia i segni
(linguistici e non) è la semiotica (o semiologia). Esistono diversi tipi di segni, che si possono
classificare in base a: -il tipo di rapporto tra espressione e contenuto, -la presenza o assenza
di intenzionalità comunicativa.
Biplanaritàà I segni linguistici, come tutti i segni, sono costituiti dall’unione inscindibile di
significato (piano del contenuto) e significante (piano dell’espressione).
In altre parole, il significante o espressione è ogni modificazione fisica a cui sia associabile un
significato, un certo stato concettuale o mentale: quest’ultimo è il contenuto.
Codice=sistema di segni. Le lingue sono dei codici, dei sistemi di segni linguistici.
Arbitrarietàà non c’è alcun legame naturalmente motivato, connesso alla natura o
all’essenza delle cose, derivabile per osservazione empirica o per via di ragionamento logico,
fra il significante e il significato di un segno. I segni linguistici sono quindi puramente arbitrari
(e convenzionali).
Se i segni linguistici non fossero arbitrari, le parole delle diverse lingue dovrebbero essere
tutte molto simili: le cose, cioè, dovrebbero chiamarsi più o meno allo stesso modo in tutte le
lingue. Allo stesso modo, se i segni linguistici non fossero arbitrari, parole simili nelle diverse
lingue dovrebbero designare cose o concetti simili.
Triangolo semiotico
• Rapporto tra segno e referenteànon c’è alcun legame naturale e concreto fra un
elemento della realtà esterna e il segno a cui questo è eventualmente associato (es. tra il
segno gatto e l’animale in questione)
• Rapporto tra significante e significato (es. tra il significante gatto e il significato ‘felino
domestico’)
• Rapporto tra forma (struttura) e sostanza (l’insieme di tutti i possibili concetti) del
significatoàogni lingua ritaglia in un modo che le è proprio (ed eventualmente, anzi
spesso, diverso da quello delle altre lingue) un certo spazio di significato (e dà quindi una
data ‘forma’ ad una data ‘sostanza’ semantica) distinguendo e rendendo pertinenti una o
più realtà
§ Rapporto tra forma e sostanza del significanteàogni lingua organizza secondo propri
criteri la scelta dei suoni pertinenti, distinguendo in una certa maniera, eventualmente
diversa da altre lingue, le entità rilevanti della materia fonica. Il significante dei segni
linguistici è primariamente di carattere fonico-acustico, costituito cioè da onde sonore
che viaggiano nell’aria: queste rappresentano la sostanza su cui ogni lingua effettua le
sue pertinentizzazioni. Un esempio di identica sostanza fonica organizzata in maniera
diversa in diverse lingue può essere dato dalla quantità o durata delle vocali. Laddove
l’italiano ha per esempio una sola a, senza distinzione di lunghezza, il tedesco o il latino
distinguono due suoni diversi con carattere distintivo.
Limitazioni arbitrarietà
“[…] a ben vedere, una lingua nella quale il principio di arbitrarietà assoluta vigesse senza
alcun contrappeso difficilmente potrebbe funzionare. In una lingua del genere, le parole
sarebbero prive di qualsiasi collegamento tra di loro. I parlanti dovrebbero impararle e
ricordarle una per una, senza alcuna possibilità di raggrupparle secondo somiglianze di
suono e di senso: non ci sarebbe modo di collegare benzinaio con benzina, linguista con
lingua, ventotto con venti, leggono con leggo e così via”
Ideofoni e onomatopee sono solo eccezioni parziali in quanto: cambiano da lingua a lingua
(nonostante il referente rimanga identico), i suoni usati nelle onomatopee di una lingua sono
gli stessi usati per formare parole in quella lingua, in alcuni casi solo parte della parola è
onomatopeica (es: tintinnare).
In conclusione, nonostante esistano eccezioni, per lo meno parziali, al principio
dell’arbitrarietà totale della lingua, esse non sono così cruciali da mettere veramente in crisi
lo statuto dell’arbitrarietà come una delle proprietà più importanti del linguaggio verbale
umano.
Approccio cognitivo e funzionalista: nega l’autonomia strutturale interna dei sistemi linguistici
e vede la loro strutturazione come l’estrinsecazione per gli scopi della comunicazione di
proprietà e attitudini già presenti nell’homo sapiens.
2° articolazione: unità più piccole (fonemi) che non sono più portatrici di significato
autonomo e che combinandosi insieme in successione danno luogo alle entità di prima
articolazione. Es: g, a, t, t, o.
Si noti che unità minime di prima e di seconda articolazione possono coincidere nella loro
forma (come s- in sforna).
La doppia articolazione consente alla lingua una grande economicità di funzionamento: con
un numero limitato di unità di seconda articolazione si può costruire un numero grandissimo
(teoricamente illimitato) di unità dotate di significato.
È di conseguenza anche molto importante nella strutturazione della lingua il principio della
combinatorietà: la lingua funziona, fondamentalmente, combinando unità minori, possedute
in un inventario limitato, prive di significato proprio, per formare un numero indefinito di unità
maggiori (segni).
Trasponibilità di mezzoàil significante dei segni linguistici può essere trasmesso o
realizzato sia attraverso il canale fonico-acustico sia attraverso quello grafico-visivo. Il
carattere orale è tuttavia prioritario rispetto a quello visivo: il canale fonico-acustico (o vocale
-uditivo) appare per varie ragioni il canale primario, talché si dice anche che una delle priorità
del linguaggio verbale umano è la fonicità. Priorità dell’orale secondo diversi punti di vista:
-antropologicoàtutte le lingue che hanno una forma e un uso scritti sonno (o sono state)
anche parlate, mentre non tutte le lingue parlate hanno anche una forma e un uso scritti (per
diversi fattori storico-sociali). La lingua parlata è impiegata in una gamma più ampia e
differenziata di usi e funzioni che non la lingua scritta;
-filogenetico (relativo alla specie umana)ànella storia della nostra specie, la scrittura si è
sviluppata molto tempo dopo il parlare. Le prime attestazioni di una forma scritta di lingua
risalgono non più di cinque millenni prima di Cristo (scritture pittografiche), e quelle di un
sistema di scrittura vero e proprio a circa il 3500 a.C. (scrittura cuneiforme dei Sumeri). La
scrittura alfabetica, quella che darà luogo al nostro alfabeto attuale, nasce probabilmente
sotto forma di scrittura consonantica che non registra le vocali attorno al 1300 a.C..
Le origini del linguaggio sono molto più antiche: è ipotizzabile infatti che qualche forma
embrionale di comunicazione orale con segni linguistici fosse già presente nell’Homo habilis
e poi nell’Homo erectus (e quindi a partire da più di due milioni di anni fa).
b) Può essere utilizzato in concomitanza con molte altre prestazioni fisiche e intellettive
N.B. la realizzazione parlata e quella scritta dei segni linguistici non sono puramente diretta
realizzazione l’una dell’altra.
Linearitààil significante viene prodotto, si realizza e si sviluppa in successione nel tempo e/o
nello spazio. Successione lineare tale che non possiamo decodificare il segno, capire
completamente il messaggio se non dopo che siano stati attualizzati l’uno dopo l’altro tutti gli
elementi che lo costituiscono.
Discretezzaàla differenza fra gli elementi, le unità della lingua, è assoluta, non quantitativa
o relativa: in altre parole, le unità della lingua non costituiscono una materia continua, senza
limiti netti al proprio interno, ma c’è un confine preciso fra un elemento e un altro, che sono
distinti e ben separabili l’uno dall’altro.
Complessità sintatticaàimportanza sia dell’ordine degli elementi sia delle relazioni tra
elementi non contigui. Es: Luca ha picchiato Marco vs Marco ha picchiato Luca
Lo schema di Jakobson identifica sei (classi di) funzioni della lingua. L’instaurarsi della
comunicazione implica a ben vedere la presenza di almeno sei fattori, e a ciascuno di essi può
essere collegata una funzione.
• Funzione emotivaàmessaggio linguistico volto specificamente ad esprimere sensazioni
del parlante (Non ne posso più!; Che bella sorpresa!)
• Funzione metalinguisticaàmessaggio linguistico volto a specificare aspetti del codice o
a calibrare messaggi sul codice (Gianni è il soggetto della frase ‘Gianni corre’. In coscienza
ci vuole la i.)
• Funzione referenzialeàmessaggio linguistico volto a fornire informazioni sulla realtà
esterna (Esistono piante carnivore. La lontra è un mammifero carnivoro.)
• Funzione conativaàmessaggio linguistico volto a far agire in qualche modo il ricevente,
ottenendo da lui un certo comportamento (Passami il sale! Chiudi la porta!)
• Funzione fàticaàmessaggio linguistico volto a verificare e sottolineare il canale di
comunicazione e/o il contatto fisico o psicologico fra i parlanti (Pronto? Ciao, Gianni!)
• Funzione poeticaàmessaggio linguistico volto ad esplicitare, mettere in rilievo e sfruttare
le potenzialità insite nel messaggio e i caratteri interni del significante e del significato
(Ambarabbà ciccì coccò; la gloria di Colui che tutto move / per l’universo penetra e
risplende / in una parte più e meno altrove, Dante, Paradiso)
Ogni messaggio realizza in linea di principio tutte e sei le funzioni contemporaneamente; una
delle funzioni è però di norma chiaramente predominante, ed è quella che qualifica
funzionalmente il messaggio come realizzazione specifica di una delle sei funzioni.
Indipendenza del linguaggio dagli stimoliàconsiste nel fatto che i segni linguistici
rimandano a, e presuppongono, una elaborazione concettuale della realtà esterna, e non
semplicemente stati dell’emittente, che inducano necessariamente ad emettere messaggi. In
questo senso, si può dire che la lingua è indipendente dalla situazione immediata e dai suoi
stimoli: gli aspetti esterni della situazione, e le nostre reazioni interne ad essi, non sono causa
né necessaria né sufficiente dell’emissione di un determinato messaggio. (molto importante
nella differenza tra linguaggio umano e i sistemi di comunicazione animali)
c. le incassature: es. il cavallo che corre senza fantino sta vincendo il palio;
d. la ricorsività, che, combinata con la discontinuità dei rapporti sintattici, conferisce alle
e. la presenza di parti del messaggio che dànno informazioni sulla sua struttura sintattica
strutture linguistiche un particolare carattere di complessità interna;
f. la possibilità di discontinuità nella strutturazione sintattica. Le costruzioni ammesse
dalla (come, per esempio, le congiunzioni coordinanti e subordinanti);
lingua possono ammettere, o richiedere, che elementi o parti strettamente unite dal
punto di vista semantico e sintattico non siano linearmente adiacenti (tedesco, latino)
Tutti questi fattori, ed altri ancora, concorrono nel conferire ai segni linguistici una complessità
sintattica, almeno potenziale, molto alta.
1. adeguato volume del cervello, quantità delle circonvoluzioni della corteccia cerebrale,
quantità e plasticità dei collegamenti interneuronaliàpossibile la memorizzazione,
l’elaborazione e la processazione del linguaggio
2. conformazione del canale fonatorio cosiddetta ‘a due canne’ (connessa con la stazione
eretta), con un angolo, un cambiamento di direzione, fra una ‘canna’, il cavo orale, e l’altra,
la laringe, e con un’ampia cavità intermedia (la faringe, che fa da cassa di risonanza)
unitamente alla funzionalità delle corde vocali, sviluppatasi durante l’evoluzione,
consente le sottili distinzioni articolatorie e sfumature nella produzione fonica necessarie
per la comunicazione orale
Negli ultimi 25 anni del secolo scorso sono stati compiuti svariati esperimenti di
insegnamento di (elementi di) sistemi di comunicazione strutturati sul modello del linguaggio
verbale umano ai primati più vicini all’uomo nell’evoluzione genetica (gorilla e soprattutto
scimpanzé). Si è cercato di far apprendere sperimentalmente la cosiddetta lingua dei segni,
basata su gesti e atteggiamenti del viso e degli arti invece che sul canale vocale, che
permetteva anche di sfruttare al meglio le notevoli capacità mimetiche dei primati. Ma i
risultati sembrano scarsi e tutto sommato, dal punto di vista linguistico, deludenti. Nei casi
migliori, gli scimpanzé arrivano a maneggiare un centinaio o poco più di segni e a formare
un repertorio limitato di combinazioni di tre o quattro segni con struttura molto semplice; e
sempre solo in risposta a specifici stimoli situazionali (il loro comportamento sarebbe quindi
privo di vera intenzionalità comunicativa).
Noam Chomsky, il più noto linguista contemporaneo, sostiene che il linguaggio è una
capacità innata ed esclusiva della specie umana. Tale prospettiva appare confortata dagli
studi recenti sui rapporti fra biologia e linguistica. La neurolinguistica sperimentale ha
dimostrato come nell’esecuzione di compiti verbali concernenti la morfologia e la sintassi
vengano attivate aree specifiche della corteccia cerebrale. È noto da tempo che, nella
localizzazione delle diverse funzioni principalmente nell’uno o nell’altro emisfero cerebrale
(‘laterizzazione’), particolarmente coinvolta quanto all’elaborazione del linguaggio è l’’area di
Broca’ (lobo frontale nell’emisfero sinistro). I caratteri salienti del linguaggio verbale non sono
semplicemente frutto di adattamenti, nel senso biologico del termine, ma rappresentano una
exaptation (‘transadattamento’, ‘preadattamento’), termine con cui si indica un processo nel
quale un elemento assume una funzione non acquisita mediante la selezione naturale, diversa
da quella che l’elemento svolgeva precedentemente.
Definizione di lingua
“La lingua è ‘(a) un codice (b) che organizza un sistema di segni (c) dal significante
primariamente fonico-acustico, (d) fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello e (e)
doppiamente articolati, (f) capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile, (g) posseduti
come conoscenza interiorizzata che permette di produrre infinite frasi a partire da un numero
finito di elementi’.”
Sono lingue che sfruttano la modalità visivo-gestuale. Sono lingue storico-culturali (nate in
modo spontaneo come risposta ai bisogni comunicativi del bambino). Non c’è una lingua dei
segni, ma tante lingue dei segnià lingua dei segni italiana (LIS, in cui vi sono anche delle
varietà dialettali), francese (LSF), americana (ASL), cinese (CSL), ecc.
Caratteristiche: -sistemi di segni costituiti da significato e significante (visivo-gestuale); -il
rapporto tra significante e significato è fondamentalmente arbitrario (segni diversi in lingue
diverse), anche se ci sono segni con componenti iconiche.
Che cosa NON sono: “La presenza di precise regole morfologiche e sintattiche è uno degli
elementi più importanti e distintivi delle lingue dei segni rispetto a forme di comunicazione
gestuali (sistemi di gesti oppure pantomime) che lingue non sono”.
I singoli segni si combinano tra loro per formare unità maggiori, come le frasi, in base a
precise regole grammaticali, non necessariamente coincidenti con quelle della lingua vocale
a cui corrispondono.
“Il fenomeno linguistico presenta eternamente due facce che si corrispondono e delle quali
l’una non vale che in virtù dell’altra”
1° dicotomia: significante/significato
“La lingua è […] paragonabile a un foglio di carta: il pensiero è il recto ed il suono è il verso;
non si può ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo anche il verso; similmente nella
lingua, non si potrebbe isolare né il suono dal pensiero né il pensiero dal suono; non vi si
potrebbe giungere che per un’astrazione il cui risultato sarebbe fare della psicologia pura o
della fonologia pura”
2° dicotomia: sincronia/diacronia
Le lingue cambiano nel tempo, perché i segni linguistici sono arbitrari (e non naturali).
Sincronia e diacronia sono i termini che si impiegano per indicare due diverse condizioni con
le quali si può guardare alle lingue e ai fatti linguistici in relazione all’asse del tempo. Qualsiasi
dato e fenomeno linguistico si può quindi analizzare da due prospettive:
• diacroniaàanalisi del mutamento linguistico attraverso il tempo. Fare per es. l’etimologia
di una parola, cioè trovare la parola normalmente di un’altra lingua precedentemente
esistente da cui essa deriva, e cercare di ricostruirne la storia e spiegare le modifiche
eventualmente avvenute nel significante e nel significato, è un’operazione tipicamente di
linguistica diacronica.
• Sincroniaàanalisi di uno stato di lingua, senza tener conto del fattore tempo. Descrivere
il significato che hanno oggi le parole in italiano, o studiare com’è la struttura sintattica
delle frasi semplici in una lingua, sono invece operazioni tipicamente di linguistica
sincronica.
Un qualunque elemento della lingua in un certo momento è quello che è sia in virtù delle
relazioni che intrattiene con gli altri elementi del sistema linguistico (visuale sincronica) sia in
virtù della sua storia precedente che lo ha portato alla condizione attuale (visuale diacronica).
C’è quindi un rimando continuo fra sincronia e diacronia. Non esiste di fatto la sincronia
assoluta, giacché la lingua, come tutti gli altri fatti di cultura, è almeno in parte costantemente
in movimento lungo l’asse del tempo. La distinzione fra la considerazione diacronica –
esaminare lo sviluppo nel tempo – e la considerazione sincronica – descrivere le cose così
come si presentano agli occhi dell’osservatore in un dato momento, prescindendo
dall’evoluzione che le ha portate a presentarsi così – è comunque uno dei fondamenti
metodologici principali con cui ci si accosta alla lingua. Solo l’astrazione concessa dalla
visuale sincronica permette infatti di vedere come funziona il sistema linguistico e di
descrivere e unità che lo costituiscono. La linguistica sincronica spiega com’è fatta e come
funziona la lingua, il sistema linguistico; la linguistica diacronica spiega perché le forme di una
determinata lingua sono fatte così.
3° dicotomia: langue/parole
Alcuni linguisti pongono una terza entità intermedia fra langue e parole: la norma, che
costituirebbe una sorta di filo tra l’uno e l’altro, specificando quali sono le possibilità del
sistema che vengono attualizzate nell’uso dei parlanti di una lingua in un certo momento
storico. La lingua come sistema si manifesta nell’esperienza fattuale sotto forma di atti di
parole. In linea di principio, ciò che interessa al linguista è la langue (il sistema, la
competenza): per studiare e ‘svelare’ la langue il linguista deve però partire dalla parole, che
gli fornisce i dati osservabili da cui eventualmente ricavare, servendosi anche
dell’introspezione e dell’intuizione del parlante circa la propria lingua, le leggi del sistema.
4° dicotomia: paradigmatico/sintagmatico
Occorre aggiungere che vi sono sottolivelli secondari di analisi della lingua: la grafematica
(che riguarda i modi in cui la realtà fonica è tradotta nella scrittura) e la pragmatica (che
riguarda l’effettivo uso delle parole, l’organizzazione dei testi in situazione).
FONETICA
La fonetica (< greco phôné ‘voce, suono’) studia i suoni della lingua analizzandoli dal punto
di vista fisico, concreto. N.B.: “Suono” può riferirsi al cigolio di una porta, al nitrire di un
cavallo, ecc. Anche l’uomo può produrre suoni di diverso tipo, ma non tutti sono suoni
linguistici.
La fonetica si suddistingue in tre campi principali, a seconda del punto di vista con cui si
guarda ai suoni del linguaggio: - la ‘fonetica articolatoria’ (la + antica), che studia il modo in
cui i suoni linguistici sono prodotti dall’apparato fonatorio del parlante (organi coinvolti nella
produzione); - la ‘fonetica acustica’ studia la natura fisica dei suoni linguistici e il modo in cui
si diffondono attraverso l’aria (onde sonore) [uno strumento di rappresentazione usato in
fonetica acustica è lo spettrogramma]; -la ‘fonetica uditiva’ (o ‘percettiva’) studia il modo in cui
i suoni linguistici sono percepiti dall’apparato uditivo umano (organi coinvolti nella
percezione).
Fonetica articolatoria
SUONI SORDI: assenza del meccanismo laringeo (le corde vocali non vibrano) (F di
filo)
SUONI SONORI: presenza del meccanismo laringeo (le corde vocali vibrano) (A di
Anna)
Il numero di cicli di chiusura e apertura della rima vocale che caratterizza l’onda sonora
emessa ne costituisce la cosiddetta ‘frequenza fondamentale’, un parametro acustico
misurato in Hertz (Hz) che corrisponde a quella che è chiamata ‘l’altezza’ dei suoni.
Il flusso dell’aria passa poi nella faringe, e da questa nella cavità boccale (o orale). Nella parte
superiore della faringe, la parte posteriore del palato (o ‘velo’), da cui pende l’ugola, può a
questo punto lasciare aperto oppure chiudere, spostandosi all’indietro, il passaggio che
mette in comunicazione la faringe con la cavità nasale. Se è abbassato, il flusso d’aria può
fuoriuscire sia dalla bocca, sia dal naso. Se è alzato, blocca il flusso d’aria e può uscire
solamente dalla bocca.
SUONI ORALI: velo abbassato (F) SUONI NASALI: velo innalzato (M)
Nella cavità orale, svolgono una funzione importante nella fonazione alcuni organi mobili o
fissi:
ORGANI MOBILI
1. linguaàin cui si distinguono una ‘radice’ (parte posteriore della lingua), un ‘dorso’ (parte
centrale) e un ‘apice’ (la punta della lingua, che assieme alla ‘lamina’ costituisce la parte
anteriore della lingua, detta nel suo insieme ‘corona’)
2. labbra
3. velo palatino (o palato molle): si sposta fino a toccare la parete posteriore ORGANI FISSI
4. Denti
5. Alveoliàla zona immediatamente retrostante ai denti (cioè le gengive posteriori)
6. Palatoduro
Hanno funzioni paralinguistiche → non fanno parte del sistema linguistico [es: negazione in
siciliano, Xhosa (Bantu)] Bloccano il cavo orale, accostandosi e distaccandosi molto
rapidamente. Nel momento del distacco, l’aria viene aspirata dalla bocca.
Scrivere i foni
Grafemaà unità minima di un sistema di scrittura. I grafemi si indicano fra < > (parentesi
uncinate). Es.: <a> e <t> sono grafemi (lettere) dell’alfabeto italiano l rapporto fra foni e
grafemi spesso non è biunivoco:
• un fono → combinazione di più grafemi es. <sci> (3 grafemi, 2 foni), <meglio> (6 grafemi,
4 foni);
Classificare i foni
• Vocalià Il flusso d’aria fuoriesce senza trovare ostacoli. Sono generalmente sonore (in
italiano sempre sonore)
• ConsonantiàIl flusso d’aria trova ostacoli nel tratto vocale (per esempio il contatto fra due
articolatori). Possono essere sorde o sonore
VOCALI
Presenza del meccanismo laringeo. Il flusso d’aria non incontra ostacoli nel cavo orale. Le
diverse vocali sono caratterizzate dalle diverse conformazioni che assume la cavità orale a
seconda delle posizioni che prendono gli organi mobili, e in particolare la lingua, al
passaggio dell’aria proveniente dalla glottide. Parametri per la descrizione delle vocali:
‣ (Nasalizzazione:
→ vocali orali e nasali)
am[ɔ]r[ɛ], m[ɔ]t[ɔ]
CONSONANTI
Il flusso d’aria incontra un ostacolo (totale o parziale). Il meccanismo laringeo può essere o
non essere presente. Parametri per la descrizione delle consonanti:
articolatorio.
In base al punto di articolazione distinguiamo: (partendo dal tratto terminale del canale)
‣ Sorde
‣
Sonore
N.B.:
• Nasali, vibranti e laterali sono sempre sonore
• Occlusive, fricative e affricate possono essere sorde o sonore
Occlusive
-Bilabiali: [p]àocclusiva bilabiale sorda <pane, aprire, pollo>; [b]àocclusiva bilabiale sonora
<barca, abito, bocca>
-Velari: [k]àocclusiva velare sorda <cane, tacco>; [g]àocclusiva velare sonora <gatto, ago>.
Fricative
Il flusso d’aria è parzialmente bloccato, l’aria fuoriesce da uno stretto passaggio fra gli organi
articolatori provocando un rumore di frizione.
-Alveolari (o dentali): [s]Æfricativa alveolare sorda <sacco, asso, sano>; [z]Æfricativa alveolare
sonora <sbaglio, asino>
-Postalveolari (o palatali): [ʃ] fricativa postalveolare sorda <sciare, ascia>; [ʒ] (non c’è
nell’italiano standard)àfricativa postalveolare sonora <garage>.
Affricate
Per convenzione, le affricate lunghe o doppie si trascrivono ripetendo il solo simbolo della
fase occlusiva: pazzoà[‘pattʃo] e non [‘patʃtʃo].
Nasali
Occlusione nella cavità orale e abbassamento del velo palatino: l’aria fuoriesce dal naso.
Laterali
Approssimanti
Simili alle vocali perché il flusso d’aria non è ostacolato (gli organi fonatori sono solo
accostati), ma hanno durata ridotta e occupano una posizione diversa nella sillaba. Fra le
approssimanti vi sono suoni di fatto assai vicini alle vocali, di cui condividono la localizzazione
articolatoria, e che vengono appunto chiamati ‘semivocali, o anche ‘semiconsonanti’. (anche
se le semivocali sono più vicine alle fricative delle semiconsonanti). A differenza delle vocali,
le semivocali non possono costituire apice di sillaba, e assieme alla vocale a cui sono sempre
contigue nella catena fonica costituiscono un dittongo (o trittongo, se più di una).
Sillabaàabbiamo una nozione intuitiva di che cosa sia. La sillaba è costituita da un centro di
intensità sonora, detto nucleo, intorno al quale si possono raccogliere uno o più foni.
Nucleoà• è l’unico elemento necessario • in italiano può essere costituito esclusivamente da
un elemento vocalico (ma cfr. inglese rhythm, croato Krk) • può essere preceduto e/o seguito
da consonanti o approssimanti.
Ogni sillaba è formata da almeno una, e non più di una, vocale (o consonante) che possa fare
da apice e da un certo numero – da zero a qualche unità – di consonanti (o approssimanti).
Una vocale da sola può pertanto costituire una sillaba. Il nucleo è il centro sonoro della sillaba:
in italiano è costituito sempre da una vocale (che è per forza sonora), mentre in altre lingue
può essere costituito da consonanti (dipende dal loro grado di sonorità).
In una sillaba la parte che eventualmente precede la vocale è detta ‘attacco’, la vocale stessa
è il nucleo e la parte che eventualmente segue la vocale è detta ‘coda’.
Vi sono in ogni lingua strutture sillabiche canoniche preferenziali. In italiano, come in molte
lingue, la struttura sillabica canonica è (utilizzando i simboli V per ‘vocale’, C per ‘consonante’)
CV. L’identificazione dei confini sillabici si effettua in base a vari criteri fonetici e fonologici;
un criterio pratico per l’italiano, per es., è che due consonanti contigue all’interno di una
parola sono assegnate entrambe alla sillaba che ha come nucleo la vocale seguente (e quindi
sono membri della stessa sillaba), se tale combinazione compare anche in inizio di parola
(ma-gro come gre-co), mentre se questo non si dà sono assegnate la prima alla sillaba
precedente e la seconda alla seguente (tan-to, perché nessuna parola italiana inizia con il
nesso consonantico -nt). Se analizziamo le consonanti doppie o lunghe dell’italiano come
ripetizione dello stesso fonema, esse chiudono la sillaba che le precede, in quanto
analogamente il primo membro viene assegnato alla sillaba precedente e il secondo alla
sillaba seguente (gat-to). In italiano, inoltre, le vocali della sillaba che reca l’accento sono
sempre lunghe se la sillaba è aperta ([‘ma:no], ma-no, contro [‘mando], man-do). esempi:
<colore> [ko.lo.re]àIn IPA i confini di sillaba sono indicati con un punto [.]
La successione nella catena parlata di sillabe atone e sillabe toniche, cioè il susseguirsi
alternato di elementi forti e deboli, connesso con fenomeni di durata, dà luogo al
ritmo. Ogni lingua ha un proprio ritmo particolare. Da questo punto di vista, l’italiano
è una lingua fondamentalmente a ‘isocronismo sillabico’, vale a dire che in una parola
viene assegnata durata analoga alle sillabe atone; mentre l’inglese è una lingua
fondamentalmente a isocronismo accentuale, vale a dire che, per mantenere costante
la distanza fra gli accenti
(cioè, gli intervalli fra le sillabe toniche), viene assegnata durata via via minore alle sillabe
atone quanto più queste sono numerose.
- Tonoàaltezza musicale relativa con cui viene pronunciata una sillaba. Altezza (in inglese
pitch): dipende dalla tensione delle corde vocali e della laringe, e quindi dalla velocità e
frequenza delle vibrazioni delle corde vocali.
In molte lingue, dette appunto ‘lingue tonali’ o ‘lingue a toni’, il tono può avere valore
distintivo pertinente a livello di parola, cioè può distinguere da solo parole diverse per il
resto foneticamente del tutto eguali. Es.: in cinese mandarino [ma] può essere pronunciata
con toni diversi, per es. mā o mǎ
§ Intonazioneàandamento melodico con cui è pronunciato un gruppo tonale o
gruppo ritmico
(cioè la parte di una sequenza o catena parlata pronunciata con una sola emissione di voce),
o un intero enunciato. L’intonazione è in sostanza una sequenza di toni che conferisce
all’emissione fonica nel suo complesso una certa curva melodica: sarà per es. ascendente
un’intonazione in cui l’ultima o (una fra) le ultime sillabe dell’enunciato sono di tono più alto.
In italiano, per esempio, il contorno intonativo degli enunciati è in molti casi l’elemento
principale a fornire l’informazione cruciale che distingue il valore di un enunciato: [‘vjɛ:ne]
pronunciato con curva intonativa ascendente è una domanda (=viene?); pronunciato con
contorno intonativo costante, senza grandi modificazioni dell’altezza, ha un valore definibile
come ‘sospensivo’ e caratterizza le affermazioni ‘neutre’, è tipico cioè degli enunciati
dichiarativi (=viene); pronunciato con intonazione discendente ha valore grosso modo
esclamativo e caratterizza le affermazioni decise (=viene!). Nell’ortografia, una parte della
punteggiatura (come si vede dagli esempi: punto interrogativo, punto esclamativo, puntini)
ha giustappunto la funzione di rendere, approssimativamente, i principali tipi intonativi (così
come altre parti della punteggiatura, come il punto fermo, servono a segnalare, oltre a
partizioni del testo, anche l’andamento ritmico della catena parlata).
-Lunghezzaàdurata relativa di realizzazione foni (e sillabe). Brevità o lunghezza dei foni sono
nozioni relative, perché sono definite in termini del confronto fra segmenti della catena parlata.
In IPA la (maggiore) lunghezza si indica con [ː] dopo il fono. N.B.: In italiano le vocali toniche in
sillaba aperta non finale di parola sono sempre lunghe.
Es: [ˈka:za], ma: [kaˈzet.ta]; [ˈpɔ:zo], ma [ˈpɔs.so]; [ˈpe:ro], ma [peˈrɔ]
Trascrizione fonetica
Convenzioni di trascrizione:
• L’accento è indicato soltanto sulle parole plurisillabiche, con un apice posto prima della
sillaba su cui esso cade; es. cane ['kaːne], cantante [kan'tante].
• La lunghezza vocalica viene notata con due punti [ː] posti dopo il simbolo del fono, es.
[‘kaːza].
• Le consonanti affricate ‘doppie’ si possono rendere in due modi: o con due punti posti dopo
il simbolo della parte occlusiva, es. [‘patːso]; o ripetendo il solo simbolo della parte
occlusiva, cioè il primo simbolo del digramma, es. pazzo ['pattso].
• Le affricate alveolari (dentali) [ts], [dz], la fricativa palatale ([ʃ]), la nasale palatale ([ɲ]) e la
laterale palatale ([ʎ]), sono in italiano standard sempre lunghe (o doppie) se si trovano in
posizione intervocalica (cioè fra due vocali) (es. aglio ['aʎʎo]).
FONOLOGIA
Mentre la fonetica studia le caratteristiche fisiche dei suoni linguistici, la fonologia si occupa
della funzione linguistica dei suoni, considerati come elementi di un sistema linguistico
(italiano, russo, ecc.). Possiamo quindi dire che la fonetica lavora a livello astratto, mentre la
fonologia lavora a livello concreto. Nella gamma di foni materialmente producibili, le diverse
lingue ne pertinentizzano un certo numero assegnando loro un valore distintivo: quando i
suoni hanno (in una data lingua) valore distintivo, cioè si oppongono sistematicamente ad
altri foni nel distinguere e formare le parole di quella lingua, si dice che funzionano da
‘fonemi’. I foni sono le unità minime della fonetica, mentre i fonemi sono le unità minime della
fonologia.
Si considerino le seguenti trascrizioni fonetiche: [ˈraːna] e [ˈʀaːna]Æ[r] e [ʀ] sono due foni
distinti ... ma nel sistema linguistico dell’italiano non stabiliscono una opposizione distintiva:
non sono in grado, opponendosi tra loro, di distinguere tra elementi diversi del lessico.
Si considerino le seguenti trascrizioni fonetiche: [ˈraːna] e [ˈtaːna]Æ[r] e [t] sono due foni
distinti e permettono di distinguere parole diverse ([ˈraːna] e [ˈtaːna] si distinguono non solo
per il significante, ma anche per il significato)Æ/r/ e /t/ sono due fonemi dell’italiano.
Fonemaàclasse astratta di foni, dotata di valore distintivo, cioè tale da opporre una parola
ad un’altra in una data lingua. (unità minima di seconda articolazione del sistema linguistico)
N.B. in trascrizione fonematica si impiegano per convenzione le barre oblique (/…/) invece
delle parentesi quadre ([…]).
Prova di commutazioneàse sostituendo un solo fono in una parola di una lingua ottengo
un’altra parola della stessa lingua, allora c’è un’opposizione fra due fonemi (i due foni sono
realizzazioni di due diversi fonemi)
Coppia minimaàdue parole che si distinguono per un solo fonema nella stessa posizione.
Per dimostrare che un fono è fonema in una data lingua, bisogna quindi trovare in quella
lingua delle coppie minime (almeno una, in linea di principio), che lo oppongano a un altro
fonema.
Es.: [ˈraːna] e [ˈtaːna] costituiscono una coppia minima ➝ /r/ /t/ sono due distinti fonemi
dell’italiano
Un fonema (livello astratto) può essere realizzato concretamente da più varianti, dette allofoni,
prive di valore distintivo.
Gli allofoni di un fonema che siano condizionati dal contesto fonotattico in cui occorrono, e
quindi prevedibili, si dicono ‘variazioni combinatorie’.
Distribuzione di [n], [ŋ] e [ɱ]:
- [n]→ tra due vocali [ˈpaːne], inizio di parola [ˈnoːme], coda di sillaba prima di occlusiva
alveolare [ˈmando] [ˈponte], fine di parola [ˈkon]
Valori distintivi:
/ˈpa.pa/ ̴ /paˈpa/
In francese l’accento ha funzione distintiva? No, perché è una lingua ad accento fisso →
L’accento ha funzione demarcativa: segnala i confini di parola. x Il tono può, in alcune lingue,
avere funzione distintiva (lingue tonali). Es.: cinese mandarino:
x La lunghezza può avere valore distintivo mā‘mamma’/
má ‘canapa’ / mǎ‘cavallo’ / mà ‘insultare’.
- Lunghezza vocalicaà in italiano non ha valore distintivo:
sono lunghe le vocali toniche in sillaba aperta non finale di parola (es.: [ˈvaːno] vs [ˈvanto])
/ˈpani/ ~ /ˈpanːi/
/ˈpɔro/ ~ /ˈpɔrːo/
Ma cfr. per es. tedesco Stadt /ʃtat/ ‘città’ ~ Staat /ʃtaːt/ ’stato’
Non tutte le lingue hanno gli stessi fonemi, né tutte hanno lo stesso numero di fonemi. Gli
inventari fonematici delle diverse lingue del mondo sono costituiti in genere da alcune decine
di fonemi. L’italiano standard ha 30 fonemi, o 28 secondo alcuni autori, che non considerano
a sé le approssimanti; si arriva peraltro a 45 se calcoliamo come fonemi a sé le consonanti
lunghe. L’inventario fonematico dell’italiano è connesso con numerosi problemi: ci limitiamo
qui ad accennare ad alcuni livelli che più sono rilevanti ai fini di un’adeguata trascrizione
fonetica. Ovviamente, per trascrivere foneticamente occorre basarsi sul modo in cui la parola
è pronunciata, e non sul modo in cui essa è scritta; sulla fonia, e non sulla grafia. Si noti anche
che uno stesso simbolo può indicare due cose ben diverse nell’alfabeto italiano e in IPA.
In genere, ci sono nella pronuncia dell’italiano molte differenze regionali. L’opposizione fra
vocali medio-alte e medio-basse, che si effettua peraltro solo in posizione tonica, cioè quando
le rispettive vocali sono in sillaba accentata, è tipica della varietà toscano-romana di italiano,
ma è ignota, o ha distribuzione diversa e molto più ristretta in altre varietà regionali di italiano.
Infine, un fenomeno da menzionare è il cosiddetto ‘raddoppiamento (fono)sintattico’, che
consiste nell’allungamento (pronuncia come geminata) della consonante iniziale di una
parola quando questa sia preceduta da una delle parole di una serie che appunto provoca il
fenomeno (si tratta di tutte le parole con l’accento sull’ultima sillaba, di molti monosillabi e di
alcuni bisillabi). Anche il raddoppiamento sintattico è molto variabile regionalmente: nella
pronuncia del Settentrione di solito non avviene, o, in certi casi, può avvenire dopo parole
che nello standard non provocano il fenomeno.
SISTEMI DI SCRITTURA
Grafema: unità minima di un sistema di scrittura→ livello astratto
Allografi: realizzazioni alternative di un grafema→ livello
concreto grafema “sigma” in grecoÆσ nelle altre posizioni; ς in
fine di parola grafema “bi” in italiano B B b b b B B b I sistemi di
scrittura non sono puri.
‣Consonantici (abjad)
Es.: fenicio, arabo, ebraico
‣Alfasillabici (abugida)
Es.: etiopico, devanāgarī (es. per sanscrito, hindi)
‣Alfabeti
Es.: oggi in Europa: greco, latino, cirillico
Es.: coreano (han’gŭl), sistema creato durante il regno del re Sejong (1418–50)
La forma dei grafemi riproduce dei tratti dei foni.
CAP. 3: MORFOLOGIA
La morfologia si occupa della forma e della struttura delle parole. Le unità di analisi della
morfologia sono le parole e i morfemi.
Che cos’è una parola? La nozione di parola è fondamentale nella tradizione linguistica
occidentale, ma è particolarmente difficile da definire: esistono varie definizioni, a diversi
livelli di analisi linguistica. Una possibile definizione di parola (grafematica) è sequenza di
grafemi delimitata da spazi bianchi. Tale definizione funziona per l’italiano, ma non per lingue
che non hanno sistemi di scrittura o lingue con sistemi di scrittura che non prevedono spazi
bianchi (come i logogrammi cinesi o la scriptio continua delle lingue classiche).
Parola fonologicaàuna parola è una sequenza di parlato che si comporta come un’unità
fonologica, e che si raggruppa intorno ad un solo accento principale. In una lingua con
accento fisso sulla sillaba finale, come il francese, la presenza dell’accento segnalerà la fine di
una parola e l’inizio di un’altra; in una lingua con accento fisso sulla sillaba iniziale, come lo
svedese, la presenza dell’accento segnalerà l’inizio di una nuova parola e la fine di quella
precedente.
In italiano: caposalaà1 parola dal punto di vista grafematico, 2 parole dal punto di vista
fonologico; la ranaà2 parole dal punto di vista grafematico, 1 parola dal punto di vista
fonologico
• coesione interna: (1) una parola non può essere interrotta da altro materiale linguistico
Es: ferro → *fterro (2) l’ordine dei morfemi all’interno della parola è fisso Es: *oferr
• mobilità: una parola può spostarsi all’interno di una frase, in base alle regole di una
data lingua Es: La Torre Eiffel è di ferro / È di ferro, la Torre Eiffel
• enuciabilità in isolamento: una parola può costituire un enunciato da sola Es: Di che
cosa è fatta la Torre Eiffel? Ferro
Es.: Nomi: avvocato del diavolo, letto a castello, cavallo di battaglia, … gratta e vinci, botta e
risposta (→ binomi coordinati) Verbi: fare fuori, buttare lì (una risposta), … (→ verbi
sintagmatici) Aggettivi: fuori luogo, su misura, … Avverbi: più o meno, a rotta di collo, …
Preposizioni: di fronte a, nell’arco di, …
Presentano diversi gradi di coesione semantica e sintattica, per es.: • un letto a castello è un
(tipo di) letto ma un cavallo di battaglia non è un cavallo • *un cavallo purosangue di battaglia;
*ho comprato un gratta e sempre vinci; fa sempre fuori tutti i dolci (ma *fa tutti i dolci fuori).
vicina, che contengano presumibilmente uno per uno i morfemi che vogliamo individuare.
Tale procedimento viene tecnicamente chiamato prova di commutazione.
Allomorfoàciascuna delle forme diverse in cui si può presentare uno stesso morfema, che
sia suscettibile di comparire sotto forme parzialmente diverse. Il criterio in base a cui
possiamo dire che si tratti dello stesso morfema (e quindi stabilirne gli allomorfi) è che
l’elemento individuato abbia sempre lo stesso significato e si trovi nella medesima posizione
nella struttura della parola. [gli allomorfi sono in distribuzione complementare]
Es.: (inglese) morfema plurale -s → allomorfi: [s] cats [z] dogs [ɪz] horses
TIPI DI MORFEMI
Due tipi di classificazioni: classificazione funzionale, in base alla funzione svolta, al tipo di
valore che i morfemi recano nel contribuire al significato delle parole; classificazione
posizionale, basata sulla posizione che i morfemi assumono all’interno della parola e sul
modo in cui essi contribuiscono alla sua struttura.
Nella classificazione funzionale, la prima distinzione da fare è tra morfemi ‘lessicali’ (che fanno
riferimento alla realtà esterna) e morfemi ‘grammaticali’ (che recano un significato o un valore
interno al sistema e alla struttura della lingua, previsto dalla grammatica). I morfemi lessicali
stanno nel lessico, nel vocabolario, di una lingua, e costituiscono una classe aperta,
continuamente arricchibile di nuovi elementi in maniera non prescindibile; mentre i morfemi
grammaticali stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, non suscettibile ad
accogliere nuove entità.
-Morfemi legati: devono necessariamente combinarsi con almeno un altro morfema Es.:
bell-a, incredi-bi-le, medic-o
In italiano:
• Morfemi lessicali:
• Morfemi grammaticali:
Cfr. l’inglese:
• parole tendenzialmente formate da morfemi lessicali liberi (cat, happy) a cui si possono
aggiungere morfemi flessivi grammaticali legati (cat-s, happy-ness)
La derivazione agisce prima della flessione: prima costruiamo parole, a cui applichiamo le
dovute flessioni.
Gli affissi sono classificati in base alla posizione rispetto alla radice: Prefissi prima della
radice es: ri-fare, dis-fare
chiamano ‘desinenze’
• Infissiàinseriti all’interno della radice Es.: (latino) rup-i vs ru-m-p-o (consonante nasale
che nei verbi del latino contrassegna il tema del presente – e dell’imperfetto- rispetto a
quello degli altri tempi)
In italiano ci sono interfissi (o antesuffissi): fra la radice e un suffisso (alterativo) Es: piant-
ic- in-a (cfr. piant-a, piant-in-a), sass-ol-in-o (cfr. sass-o, sass-in-o)
• Circonfissiàormati da due parti (morfemi discontinui), una prima e una dopo la radice
Es.: (tedesco) affisso discontinuo ge-t per il participio passato machen (‘fare’)→ ge-
mach-t (‘fatto’)
• Transfissi-àsi inseriscono “a pettine” nella radice Es.: arabo (e lingue semitiche in
generale) radici consonantiche discontinue + transfissi vocalici
Morfemi vuotiàdotati di significante
ma apparentemente non di
significato. Vocale tematica: segnala la
coniugazione di appartenenza del verbo. Radice +
vocale tematica = tema verbale
(es.: ama-, teme-, dormi-)
Altri esempi: birr-o-tec-a, sass-ol-in-
o, chiar-a-mente.
-amalgamaàmorfema cumulativo dato dalla fusione di due morfemi in maniera tale che nel
morfema risultante non è più possibile distinguere i due morfemi all’origine della funzione.
Es: preposizione articolata francese au = à + le
SCOMPOSIZIONE IN MORFEMI
Provare a fare dei tagli nella parola, poi verificare che siano giusti a livello di significato e
valore (sostituendo il resto della parola con altri morfemi in modo che il morfema preso in
questione abbia lo stesso valore/significato). Nella scomposizione, l’asterisco # indica il
confine tra le parole e il trattino – indica il confine tra i morfemi.
→ scomposizione della parola dentale: #dent-al-e#
dent-: morfema lessicale legato, radice del nome
dente
-al-: morfema derivazionale, suffisso ‘relativo a x’
N.B.: potremmo ipotizzare un altro ‘taglio’: mart-ell(o), e fare confronto con paes-ell(o), asin-
ell(o) / Mart-e, ma: 1) -ell(o) in martello non ha significato diminutivo, e 2) mart- in martello
non ha lo stesso significato che ha in Marte, né riusciamo ad attribuirgli altri significati.
• #im-mangi-a-bil-e#:
im-: morfema derivazionale, prefisso, ‘non X’ (allomorfo di in-) -
mangi-: morfema lessicale legato, radice del V mangiare
-a-: morfema vuoto, vocale tematica (prima coniugazione)
• #pericol-os-o#:
pericol-: morfema lessicale legato, radice del N pericolo
Parole sempliciàmorfema
lessicale (+ morfema flessivo)
Parole derivatàmorfema
lessicale + 1 (o più) morfemi
derivazionali
Parole composteà2
morfemi lessicali
Derivazione
I morfemi derivazionali mutano il significato della base cui si applicano, aggiungendo nuova
informazione rilevante, integrandolo, modificando la classe di appartenenza della parola e la
sua funzione semantica, o sfumandone il senso.
Derivazioneàprocesso che forma parole nuove tramite l’aggiunta di affissi a parole esistenti
o a morfemi lessicali
Famiglia di paroleàè formata da tutte le parole derivata da una stessa radice lessicale
Suffissazioneà suffissi sono normalmente portatori di una classe lessicale (V, N, ecc.)→la
suffissazione può cambiare la classe lessicale della base. N.B. Non sono legati ad una specifica
classe lessicale i suffissi alterativi.
Sono abbastanza frequenti in italiano i casi di parole che contengono più affissi.
Gli affissi derivazionali possono normalmente essere applicati a tipi specifici di basi lessicali,
es.: tavol-o → tavol-in-o, ma:
• *tavol-mente
-mente può avere
come base Agg
(veloce →
velocemente) ma non
N
• *ritavolo
ri- può avere come
base V (fare → rifare)
ma non N
AffissoidiÆValore lessicale, ma
non sono normalmente parole
in italiano: lo erano in greco
o latino → detti anche costituenti
neoclassici. Possono combinarsi
con morfemi lessicali
dell’italiano (es.:
bioarchitettura) oppure con altri affisoidi (es.: biologia, morfologia, psicologia,
antropologia) → detti anche composti neoclassici
• bassorilievo
[basso]AGG [rilievo]N → [bassorilievo]N categoria lessicale: un
bassorilievo è un N, come rilievo e diversamente da basso significato: un
bassorilievo è un (tipo di) rilievo (e non un basso) tratti flessivi: bassorilievo
è singolare e maschile, come basso e come rilievo
→ la testa del composto è rilievo
[mangiare]V / [mangiare]N
[lavorare]V / [lavoro]N
[calmo]Agg / [calmare]V
Unità lessicali bimembriàil rapporto tra le due parole costitutive giustapposte non ha
raggiunto il grado di fusione tipico delle vere parole composte e i due elementi vengono
rappresentati separatamente nello scritto. Es: nave scuola, scuola guida, parola chiave, ufficio
concorsi, sedia elettrica.
Sigle o acronimiàformate generalmente dalle lettere iniziali delle parole piene che
costituiscono un’unità plurilessemetica (anche con carattere di nome proprio), la cui
pronuncia compitata è promossa a parola autonoma.
Flessione
‣ “Si dice che un lessema è variabile […] quando può presentarsi in diverse forme flesse che
esprimono diversi valori delle categorie grammaticali obbligatoriamente espresse da quel
lessema”.
La forma di citazione è quella che rappresenta l’esponente generale della parola e che è
riportata nei dizionari. Es.: (italiano)Æverbi: infinito (es.: correre), aggettivi: maschile singolare
(es.: bello); (latino)Æverbi: prima pers. sing. presente indicativo (es.: ămo)
Categorie grammaticali
CAP. 4: SINTASSI
La ‘sintassi’ (dal greco syntaxis, da syn “insieme” e tassein “ordinare, disporre”) è il livello di
analisi che si occupa della struttura delle frasi: l’oggetto di studio della sintassi è come si
combinano fra loro le parole e come sono organizzate in frasi. La frase è quindi il costrutto
che fa da unità di misura per la sintassi.
La frase è l’entità linguistica che normalmente funziona come un’unità comunicativa, cioè che
costituisce un messaggio o blocco comunicativo autosufficiente nella comunicazione verbale,
nel discorso. Una frase è identificata dal contenere una predicazione, cioè, all’incirca,
un’affermazione riguardo a qualcosa, l’attribuzione di una qualità o un modo d’essere o
d’agire a un’entità; o, in termini più tecnici, l’assegnazione di una proprietà a una variabile o
di una relazione fra più variabili.
Poiché normalmente il valore di predicare qualcosa è affidato ai verbi, in genere ogni verbo
autonomo coincide con una frase; vi possono però essere frasi senza verbo, dette ‘frasi
nominali’ (per es. buona questa torta), che funzionano da messaggi autosufficienti e
contengono pur sempre una predicazione.
Le frasi e i sintagmi hanno non solo una struttura lineare, ma anche una struttura gerarchica.
Il principio generale impiegato per l’analisi delle frasi è basato sulla scomposizione o
segmentazione. A livello elementare, è molto usato un tipo di analisi che rappresenta le
concatenazioni, e in parte le dipendenze, fra gli elementi della frase, scomponendola in pezzi
via via più piccoli, che sono i ‘costituenti’ della frase.
• i costituenti di ogni livello sono detti costituenti immediati del livello immediatamente
superiore
Il metodo di rappresentazione più diffuso per l’analisi di una frase nei suoi costituenti è quello
dei diagrammi ad albero: un grafo
costituito da nodi da cui si dipartono rami;
ogni nodo rappresenta un sottolivello di
analisi della sintassi, e reca il simbolo della
categoria a cui appartiene il costituente di
quel sottolivello. Ogni nodo, col relativo
simbolo di categoria, ‘domina’ i nodi delle
ramificazioni che si dipartono da esso. LA
RAMIFICAZIONE È BINARIA.
La ‘distribuzione’, vale a dire l’insieme dei contesti in cui gli elementi possono comparire nelle
frasi, è un criterio importante per distinguere diverse classi di elementi rilevanti per la sintassi.
I determinanti sono quindi tutti gli elementi, parole funzionali, che (in italiano e altre lingue)
occorrono davanti a un nome e svolgono la funzione di determinare il referente da esso
indicato.
SINTAGMI
Scissioneàun gruppo di parole rappresenta un sintagma se può essere separato dal resto
della proposizione costruendo una struttura chiamata frase scissa; si tratta per certi versi di un
caso specifico del criterio di mobilità.
I sottocostituenti dei vari tipi di sintagmi, cioè degli elementi che possono attaccarsi alla testa,
e che quindi dipendono da questa, possono dar luogo, come si è accennato, a sintagmi anche
assai complessi, dotati di una strutturazione interna a vari sottolivelli.
Un requisito fondamentale
per la corretta
rappresentazione della
struttura delle frasi con un
diagramma ad albero è che,
rispettando la
successione lineare dei
costituenti, sia dato conto
degli effettivi rapporti
sintattici esistenti fra essi: ogni
costituente deve comparirvi al
rango gerarchico in
cui interviene a
contribuire al valore generale
della frase. Particolare attenzione richiedono a questo proposito i sintagmi
preposizionali, il cui contributo al senso della frase può porsi a livelli diversi e che quindi
possono/devono essere agganciati all’opportuno nodo, anche indipendentemente dalla
semplice successione lineare: un SPrep che segua un SN, per es., non necessariamente deve
essere attaccato al nodo SN.
Il principio generale retrostante alle corrette rappresentazioni sintagmatiche è che, in un
albero, ogni elemento che sta sul ramo di destra di un nodo modifica (o va messo in relazione
diretta con) l’elemento che sta alla sua sinistra sotto allo stesso nodo (agganciato alla stessa
ramificazione: cioè il costituente fratello)
costituente fratello).
Il modo in cui i diversi costituenti si combinano nel dare luogo alle frasi è governato da principi
piuttosto complessi, che interagiscono fra di loro nel determinare, a seconda del significato
del messaggio da trasmettere e del contesto pragmatico in cui esso viene trasmesso, l’ordine
in cui si susseguono gli elementi e la gerarchia dei loro rapporti, e a conferire alle frasi la
struttura sintattica di superficie con cui queste ci appaiono. Occorre quindi distinguere tre
classi di principi, riconducibili a piani diversi che intervengono nel determinare il
funzionamento della sintassi.
La prima fondamentale classe di principi è interna alla sintassi stessa, dipende dalle reggenze
del verbo: si tratta delle ‘funzioni sintattiche’. Esse riguardano il ruolo che i sintagmi
assumono nella struttura sintattica delle frasi, in cui, essenzialmente, i sintagmi nominali
possono valere da soggetto o (complemento) oggetto, i sintagmi preposizionali possono
valere da oggetto indiretti o da complemento, i sintagmi verbali possono valere da predicato.
Una definizione rigorosa delle diverse funzioni sintattiche non è facile da dare. Soggetto
(tradizionalmente definito come ‘chi fa l’azione’), predicato verbale (tradizionalmente
definito come ‘l’azione’) e oggetto (o complemento oggetto; tradizionalmente definito come
‘chi subisce l’azione’) sono comunque le tre funzioni sintattiche fondamentali. A queste si
aggiungono numerosi complementi, di cui la grammatica tradizionale fornisce una lunga
lista individuandoli e definendoli in genere sulla base del loro valore semantico:
specificazione, termine, mezzo o strumento, modo o maniera, argomento, tempo, stato in
luogo e vari altri complementi di luogo, secondo termine di paragone, eccetera.
Struttura argomentale
Queste frasi sono agrammaticali perché il predicato (mette nella frase 1, dà nella frase 2)
richiede più argomenti di quelli che sono effettivamente presenti.
Ogni predicato, o, in primo luogo, ogni verbo stabilisce il numero e la natura degli argomenti
che esso richiede, rappresentati linguisticamente dai sintagmi nominali (o preposizionali) che
li designano: ha quindi una certa struttura argomentale.
nessun argomentoÆverbi
zerovalenti; un argomentoÆverbi
monovalenti; due argomentiÆverbi
bivalenti; tre argomentiÆverbi
trivalenti.
Sulla base della struttura argomentale, il soggetto si potrebbe definire come la prima valenza
di ogni verbo (tranne quelli metereologici). La seconda valenza coincide con la funzione
sintattica di (complemento) oggetto, nel caso normale dei verbi cosiddetti transitivi; può
tuttavia consistere in un complemento di luogo, un ‘complemento predicativo’ del soggetto
o dell’oggetto, o in altri complementi ancora.
In una frase, oltre ai costituenti che
rendono le funzioni sintattiche previste
dalla struttura argomentale, si possono
trovare anche costituenti che realizzano
altri argomenti, detti ‘circostanziali’. Non
essendo direttamente implicati dal
significato del verbo, non fanno parte
delle funzioni sintattiche fondamentali,
ma svolgono comunque una funzione
semantica importante. I circostanziali, o
aggiunti, rispetto agli argomenti,
godono di una certa libertà di posizione.
Frasi complesse
Spesso le frasi non vengono realizzate come unità isolate, ma si combinano in sequenze
strutturate anche lunghe, frasi complesse o ‘periodi’. Vi sono principi che regolano il modo in
cui il sistema linguistico organizza le combinazioni di frasi, e parole deputate a esprimere i
rapporti tra le frasi. È fondamentale a questo proposito la distinzione classica, nell’analisi del
periodo, fra coordinazione e subordinazione. La coordinazione si ha quando diverse
proposizioni vengono accostate l’una all’altra senza che si ponga tra esse un rapporto di
dipendenza (sono tutte allo stesso livello gerarchico), mentre si ha subordinazione quando
vi è un rapporto di dipendenza tra le proposizioni, in quanto una si presenta come
gerarchicamente inferiore ad un’altra (la ‘proposizione principale’) e la presuppone. Gli
elementi che eventualmente realizzano i rapporti di coordinazione o
subordinazione tra le frasi sono spesso chiamati ‘connettivi’ o ‘connettori’. La coordinazione
è realizzata con congiunzioni coordinanti come e, o, ma, ecc., o anche attraverso la semplice
giustapposizione di proposizioni. La subordinazione è realizzata con congiunzioni
subordinanti come che, perché, quando, mentre, benché, affinché, ecc., o mediante modi
verbali non finiti (l’infinito preceduto o no da preposizione). Le subordinate si dicono
‘esplicite’ quando il loro verbo è di modo finito, e ‘implicite’ quando il loro verbo è all’infinito,
al gerundio o al participio.
Le frasi subordinate si possono distinguere in tre principali categorie a seconda del modo
strutturale in cui si agganciano alla frase principale:
- Avverbialiàsono frasi subordinate che modificano l’intera frase da cui dipendono (es. esco,
benché piova). Sono avverbiali le subordinate causali, temporali, concessive, ipotetiche, finali.
L’Italia è già un caso esemplare di questo problema. Quante lingue sono parlate in Italia? Per
Ethnologue: 34.
• Italiano
• “Lingue minoritarie” (legge del 15 dicembre 1999, n. 482): francese (Valle d’Aosta), tedesco
(Alto Adige), sloveno, sardo, friulano…
Dal punto di vista linguistico, quindi, i dialetti sono lingue tanto quanto l’italiano, lo svedese,
il cinese, il sardo…
→ criterio sociale, culturale, politico (cfr. per es. il caso di serbo e croato vs inglese
britannico e americano)
Bisogna ricordare che in Italia vengono anche parlate le lingue delle comunità di recente
immigrazione.
Pidgin e creoli: lingue nate come conseguenza del contatto linguistico; nascono
dall’incontro e mescolanza in situazioni particolari di lingue per lo più tra loro assai diverse e
distanti, e sviluppatesi secondo loro tratti peculiari di ristrutturazione; pertanto, spesso difficili
da collocare con precisione in una famiglia linguistica, anche se di solito vengono assegnate
alla famiglia della lingua che ha loro fornito la maggior parte dei materiali lessicali (detta
‘lingua lessicalizzatrice’). “nascono dall’addizione di più lingue in situazioni di contatto
“estremo”, ossia come unico possibile strumento di comunicazione tra gruppi umani privi di
lingue comuni (ad esempio in ambito coloniale)”
Pidgin: • usati principalmente nei
contesti in cui i due gruppi devono
interagire • lingua non nativa per
tutti quelli che la parlano
Delle migliaia di lingue esistenti, soltanto alcune decine possono essere considerate ‘grandi’
lingue, con un numero sostanzioso di parlanti e appoggiate a una tradizione culturale di
ampio prestigio.
Occorre tener conto che il dato demografico, il numero dei parlanti, è solo uno dei criteri coi
quali giudicare dell’importanza delle lingue: sono altrettanto, e forse più, rilevanti anche
criteri come: il numero di paesi e nazioni in cui una lingua è lingua ufficiale o è comunque
parlata; l’impiego della lingua nei rapporti internazionali, nella scienza, nella tecnica, nel
commercio, ecc.; l’importanza politica e il peso economico dei paesi dove la lingua è parlata;
la tradizione letteraria e culturale e il relativo prestigio di cui gode la lingua; l’insegnamento
della lingua nella scuola come lingua straniera. Inoltre, dal punto di vista demografico ha
molto peso anche il numero dei parlanti non nativi, che parlano una certa lingua come lingua
seconda o straniera.
Classificazione tipologica
Le lingue sono suddivise in tipi, in base alle loro caratteristiche strutturaliàTipo linguistico:
riunisce lingue che condividono una data caratteristica strutturale (ai diversi livelli di analisi:
morfologico, sintattico, …) → prospettiva sincronica
• Non necessariamente lingue vicine dal punto di vista tipologico sono vicine anche dal
punto di vista genealogico
• Non necessariamente lingue vicine dal punto di vista genealogico sono vicine anche
dal punto di vista tipologico
• “ogni lingua appartiene a una sola famiglia, ma non a un unico tipo linguistico: i
raggruppamenti in tipi, infatti, variano a seconda del livello che si prende in considerazione.”
• “Inoltre, non è detto che le singole lingue si lascino incasellare esattamente in un tipo
e, spesso, abbiamo tipi devianti, ovvero lingue che ascriviamo a un tipo ma che, in realtà,
presentano caratteristiche incoerenti per quel tipo”.
Classificazione areale
Classificazione areale: raggruppa lingue parlate in aree geografiche contigue e che, pur non
essendo (strettamente) imparentate, hanno sviluppato caratteristiche strutturali simili come
conseguenza del contatto fra le comunità linguistiche.
L’analisi delle somiglianze tra le lingue parlate in una stessa area, dovute proprio alla vicinanza
“fisica” e al conseguente contatto reciproco di diversi gruppi di parlanti, costituisce l’oggetto
di studio della cosiddetta tipologia areale. L’insieme dei tratti linguistici che si sono imposti
in una data regione geografica a seguito di una profonda contaminazione interlinguistica
costituisce un “tipo areale”. Per poter asserire che le somiglianze in questione hanno una
motivazione di natura areale è indispensabile escludere che esse siano dovute a tendenze
tipologiche generali o a familiarità genetica. Questa considerazione ha due implicazioni
metodologiche significative. Innanzitutto, per poter individuare, in ambito linguistico,
eventuali tracce di contatto areale, è indispensabile operare una comparazione più ampia tra
le situazioni osservate nell’area in esame e le tendenze tipologiche prevalenti nelle lingue del
mondo. In secondo luogo, l’individuazione di fenomeni “sospetti”, che inducano cioè a
ipotizzare un contatto areale, richiede necessariamente un approfondimento di natura
diacronica.
Le regioni geografiche in cui i tipi areali si concretizzano maggiormente, cioè le regioni in cui
le lingue sviluppano tratti comuni per il fatto di essere fisicamente contigue, vengono definite
aree linguistiche. Riassumendo quanto detto sopra, possiamo affermare che un’area
linguistica, altrimenti detta lega linguistica o Sprachbund, deve caratterizzarsi per la presenza
di più lingue parlate nel medesimo contesto geografico, ma non immediatamente
imparentate (se fossero direttamente imparentate le somiglianze potrebbero essere la
conseguenza di una comune eredità) e di tratti linguistici da esse condivisi. È bene
sottolineare però che tali premesse rappresentano una condizione necessaria, ma non
sufficiente, per poter postulare l’esistenza di un’area linguistica. In altre parole, il verificarsi
delle tre situazioni menzionate in precedenza non determina immediatamente l’esistenza di
un’area linguistica.
Per poter essere tale, un’area linguistica deve aver assistito, nel corso della propria storia, a
movimenti di popoli di vaste proporzioni e alla conseguente creazione di aree bilingui o
addirittura plurilingui, che di fatto costituiscono l’humus per la propagazione, tramite il
contatto, di tratti linguistici. Quindi, un’area linguistica deve essere prima di tutto un’area
culturale e storica. Ma non è detto che un’area storico-culturale si trasformi automaticamente
in un’area linguistica.
Esempio: Lega linguistica (Sprachbund) balcanica
I Balcani presentano una stratificazione etnica certamente senza pari in Europa, conseguenza
di una serie di ripetute ondate migratorie, che hanno più volte stravolto l’assetto complessivo
della regione. Di fatto, essi nel corso dei secoli sono divenuti il limes naturale tra Occidente e
Oriente, due mondi non solo opposti, ma spesso contrapposti per scelte politiche, culturali,
religiose e anche linguistiche. L’area balcanica è il territorio europeo in cui si concentra il
maggior numero di lingue appartenenti a gruppi linguistici diversi: oltre al neogreco e
all’albanese, due lingue isolata (prive cioè di lingue “sorelle”, pur nell’ambito della famiglia
indoeuropea), va annotata la presenza di lingue slave meridionali (il serbo, il croato, lo
sloveno, il bulgaro e il macedone), di una lingua romanza (il rumeno), di una lingua altaica (il
turco) e, che se in una posizione più defilata, di una lingua uralica (l’ungherese). Tra i tratti
essenziali della lega linguistica balcanica, solitamente indicati come “balcanismi”, possono
essere indicati i seguenti:
Dal punto di vista geografico, sono assenti barriere davvero invalicabili e l’assenza di mari
interni ha favorito lo sviluppo di una rete viaria capillare e, soprattutto, costantemente
frequentata. Dal punto di vista storico, vi sono ampie attestazioni dei rapporti, continui anche
se non necessariamente pacifici, tra i popoli che sono alternati sul suo territorio. Inoltre, a
partire dall’espansione di Roma e passando per le conquiste di Carlo Magno, non sono
mancati, in Europa, i propositi di internazionalizzazione o, diremmo oggi, di globalizzazione
delle dinamiche culturali, anche attraverso tentativi di uniformazione linguistica. Sono stati
individuati, con buona attendibilità, alcuni tratti che paiono caratterizzare in modo quasi
esclusivo alcune lingue d’Europa e il cui insieme, che di fatto costituisce il tipo linguistico
europeo, è noto come Standard Average European. Alcuni dei tratti sono: ordine SVO, ‘avere’
e ‘essere’ come ausiliari, somiglianze lessicali, …
Una mappatura dei tratti, però, mostra come la loro diffusione in ambito europeo sia tutt’altro
che omogenea. Vi sono infatti lingue in cui la quasi totalità dei tratti si realizza (ad esempio il
tedesco e il francese), altre in cui solo un numero esiguo di essi ha un effettivo riscontro
empirico (ad esempio il basco e il turco) e altre ancora che potremmo collocare in posizione
intermedia, come l’italiano. Dal punto di vista linguistico, dunque, sembrano esserci lingue
pienamente europee, lingue parzialmente europee e lingue che hanno un profilo
decisamente distante da quello che caratterizza lo Standard Average European. A ben
vedere, le lingue che realizzano il maggior numero di tratti del
SAE si collocano nella zona centrale del vecchio continente, approssimativamente, alla
regione renana, e questo ha indotto gli studiosi a definire le zone interessate alla
propagazione di tali tratti come “area linguistica di Carlo Magno”.
È bene ribadire che, anche in condizioni particolarmente propizie, non è detto che un’area
storicoculturale si trasformi automaticamente in un’area linguistica: è questo il caso del
Mediterraneo e del Baltico, che non possono essere considerati aree linguistiche, in quanto,
nonostante gli svariati fenomeni di contatto in queste zone, ciascuno di essi coinvolge solo
una piccola porzione delle lingue esaminate.
LE LINGUE D’EUROPA
Lingue indoeuropee:
Lingue germaniche
•occidentali: inglese,
tedesco, nederlandese, yiddish…
•settentrionali: danese,
svedese, norvegese, islandese, ...
Lingue uraliche
Le lingue sono suddivise in tipi, in base alle loro caratteristiche strutturaliàTipo linguistico:
combinazione di proprietà strutturali logicamente indipendenti le une dalle altre, ma
reciprocamente collegate (ai diversi livelli di analisi: morfologico, sintattico, …). Se un tipo è
un insieme di più proprietà reciprocamente indipendenti, ciascuna di queste proprietà
risulterà pertinente qualora permetta di prevedere la presenza delle altre proprietà del tipo.
Due lingue della stessa famiglia potranno essere collocate in tipi diversi e due lingue di
famiglie diverse nello stesso tipo. I tipi, come si diceva, devono avere valore predittivo; essi
devono, cioè consentire di prevedere la natura degli elementi che vengono collocati in essi.
Quindi, affermare che una lingua fa parte di un tipo significa prevedere quali caratteristiche
avrà, senza aver indagato a fondo la sua grammatica. È bene notare però che una lingua può
esibire segmenti della sua struttura imprevisti rispetto alla natura del tipo cui afferisce.
L’assegnazione di una entità reale ad un tipo avviene infatti in base alla tendenza prevalente,
che difficilmente però è categorica. La tipologia linguistica deve farsi carico di esplicitare non
tanto – o meglio, non solo – l’insieme delle proprietà che fanno parte del tipo, quanto
piuttosto il principio soggiacente che le pone in relazione.
TIPOLOGIA MORFOLOGICA
La tipologia morfologica individua diversi tipi sulla base della struttura delle parole delle
lingue Criteri di classificazione:
• complessità interna delle parole (numero di morfemi per parola) àindice di sintesi
• maggiore o minore facilità con cui è possibile definire i confini di morfema àindice di
fusione
Lingue isolanti
• Massimamente analitiche
→ Parole tendenzialmente monomorfemiche e invariabili (e ogni morfema in genere esprime
solo un significato)
• Confini fra morfemi facilmente individuabili (dato che ogni parola è composta da un solo
morfema, i morfemi non si combinano mai tra loro e dunque non esistono confini tra
morfemi, ma solo confini tra parole)
Lingue agglutinanti
Lingue introflessive
‣ lingue flessive-fusive caratterizzate del fatto che i morfemi non sono disposti in ordine lineare
• Massimamente sintetiche
→ Parole con struttura estremamente complessa (molti morfemi)
Es.: Inglese: ?
ÆOrdine relativo di soggetto (S), verbo (V) e oggetto (O) nella frase
indipendente dichiarativa
s GN
vs Po
Dunque, rispetto all’ordine dei costituenti nei sintagmi verbale, nominale e adposizionale la
variazione interlinguistica è decisamente circoscritta e tutt’altro che caotica.
• Sintagma nominale
the little girl
La tipologia linguistica non può e non vuole essere una teoria generale del linguaggio, ma
evidentemente può contribuire in modo decisivo – e di fatto contribuisce – alla formulazione
di una teoria linguistica generale. Una teoria del linguaggio ambisce a capire come funzioni
il linguaggio, inteso come capacità cognitiva, e come esso si realizzi nelle lingue storico-
naturali.
CAP. 7: MUTAMENTO E VARIAZIONE DELLE LINGUE
Le lingue cambiano nel tempo
‘Per cui osiamo affermare che se ora rinascessero i Pavesi dei tempi più antichi, parlerebbero
una lingua distinta e diversa da quella dei Pavesi di oggi. E quanto diciamo non dovrà destare
maggior meraviglia che il fatto di accorgersi che un giovane è divenuto adulto senza averne
prima notata la crescita: perché i movimenti che avvengono a poco a poco non riusciamo
minimamente a valutarli, e quanto più il mutamento di una data realtà richiede tempi lunghi,
tanto più la riteniamo stabile’.
Una lingua non è un blocco uniforme, uguale in ogni circostanza, immutabile, ma si presenta
sotto forme diverse, mostra sempre un rilevante ammontare di possibilità e modi diversi di
realizzazione delle unità del sistema, di usi differenti. Tale differenziazione che si manifesta in
ogni lingua è anzitutto visibile lungo l’asse del tempo, nella diacronia. Ogni lingua conosce
cambiamenti nel suo lessico e nelle sue strutture in relazione al passare del tempo e alle
modificazioni che parallelamente avvengono nella storia della cultura e della società.
Cambiamenti locali multipli in parti diverse del sistema possono sommarsi e ingrandire via via
le differenze fra uno stato di lingua e l’altro, al punto tale che ad un certo momento, quando
uno stato di lingua risulti così cambiato rispetto ai precedenti da non essere più riconoscibile
dai parlanti come ‘quella lingua’, si è in presenza di una nuova lingua. Uno dei criteri per
stabilire che si tratti di un’altra lingua è la mancanza di comprensibilità che entro un certo
lasso di tempo si viene a creare fra il vecchio stato di lingua e quello nuovo. Quando ciò
avviene, si può dire che è nata una nuova lingua, un nuovo sistema linguistico diverso dal
precedente che ne è il ‘genitore’. Questo, per esempio, è il caso dell’italiano e delle altre
lingue romanze che sono nate dal latino per una somma di mutamenti. “Si può dire, in buona
sostanza, che l’italiano è il latino adoperato oggi in Italia, così come il portoghese, lo spagnolo
e il francese sono i latini adoperati oggi in Portogallo, in Spagna e in Francia.”
Il meccanismo dei mutamenti segue spesso una trafila che inizia con un’innovazione (un
nuovo elemento che viene, in dipendenza da vari fattori, a essere introdotto nell’uso
linguistico dei parlanti) e prosegue con una fase in cui l’innovazione si diffonde e l’elemento
innovante coesiste nel sistema con l’elemento preesistente, se questo c’era; l’innovazione può
essere accettata dalla comunità parlante ed avere successo fino a soppiantare totalmente
l’elemento ‘vecchio’ preesistente e a diventare un nuovo elemento costitutivo del sistema
linguistico.
Una lingua muore quando non ha più parlanti e nell’uso di una comunità viene sostituita
totalmente da un’altra lingua. Spesso la lingua che si estingue lascia tracce sulla lingua che le
subentra, nella fonetica, nella morfosintassi, nel lessico: si tratta di fenomeni di ‘sostrato’.
Fattori interni del mutamento linguistico sono sia le tendenze del sistema a regolarizzare,
acquistare coerenza e simmetria, ottimizzare le strutture, sia le operazioni inconsce del
parlante volte a semplificare, sia nella produzione (maggior facilità articolatoria), sia nella
ricezione (chiarezza e agio della decodificazione, salienza percettiva), le strutture della lingua.
L’economia del sistema e l’agevolezza di processazione da parte del parlante si ritrovano in
molti dei fenomeni concreti del mutamento linguistico.
Es.: lat. octo, lacte(m), factu(m) > it. otto, latte, fatto
lat. aptu(m), scrīptu(m) > it. atto, scritto
Assimilazione: “due foni articolatoriamente diversi nel corpo della parola tendono a diventare
simili o uguali mediante l’acquisizione da parte di uno dei foni di uno o più tratti comuni con
l’altro fono” → economia articolatoria
• Con mezzi della lingua stessa: Es: triennalista, tronista, firmacopie, apericena…
Redipuglia < friulano Redipulie < sloveno Sredipolje (‘in mezzo alla pianura’)
Golfo degli Aranci < sardo Gulfu de li ranci (‘golfo dei granchi’)
linkare, taggare, … [i prestiti quasi sempre subiscono un adattamento nella fonetica, e non
raramente nella morfologia e nel significato, diventando così pienamente ‘integrati’ nella
lingua che li accoglie]
calchi strutturaliàsi parla di ‘calchi’ quando ciò che passa da una lingua a un’altra non è una
parola o espressione nei suoi aspetti formali, ma il suo significato, o la sua struttura interna,
resi con mezzi propri della lingua ricevente; per es.:
Mutamento semantico
Leggi fonetiche: si intendono i mutamenti fonetici regolari che nell’evoluzione delle lingue
toccano intere serie di parole, nelle quali un fono si trasforma sistematicamente in un altro
fono.
• “se, in una data lingua, a diventa b nel contesto X, allora ogni a che si trovi
nel contesto X deve passare a b ineccepibilmente, ovvero senza eccezioni”
Mutamento morfologico
→ Ma per analogia con la 1 sg. del presente: amav-a > it. amav-o
-Es.: lat. mente: abl. di mens (‘mente, disposizione di spirito’) > it. -mente
sed obstinata mente perfer, obdura (Catullo, carme VIII, v. 11)
‘ma con animo saldo, tu resisti, tieni duro’ lat sincera mente ‘con
sincera disposizione di spirito’ > it. sinceramente lat. clara mente
‘con mente chiara’ > it. Chiaramente
-Es.: lat. mica: ‘briciola’ > it.: particella negativa
-Es.: lat. [habēre + part. pass.] > avere come ausiliare
lat. habeo litteras scriptas ‘ho (possiedo) lettere
scritte’
> it. ho (ausiliare) scritto delle lettere → “riduzione” semantica
lat. volg. cantare habeo (> *cantàr ào > cantarào > cantarò) > it. canter-ò → “riduzione”
(erosione) fonetica
Mutamento sintattico
Quindi: il mutamento non è caotico, ma sembra seguire strategie tanto diffuse da apparire
universali; per es., se è vero che non esistono lingue che conoscano la codifica morfologica
del duale ma non quella del plurale […] è certo che una lingua provvista di tre numeri, se ne
cancellerà uno, cancellerà il duale ma non il plurale, il che, per es., è proprio ciò che è
accaduto nella storia del greco antico.