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QUADERNI

della Libera Università «Maria SS. Assunta»


LUMSA Roma

-
28.

L'ARCHETIPO DELL'AMORE
FRA GLI UOMINI
Deus carztas est: riflessione a più voci
sull'Enciclica di Benedetto XVI

A cura di
GIUSEPPE DALLA TORRE

EDIZIONI STUDIUM
Lettera Enciclica del Sommo Pontefice Benedetto XVI
Deus caritas est
Copyright © 2005 by Libreria Editrice Vaticana

Copyright © 2007 by Edizioni Studium - Roma


978-88-382-4019-5

www.edizionistudium.it
Il. AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA"·
PROBLEMA ETIMOLOGICO
di PAOLO MARTINO

Una questione semantica si pone all'avvio del magistero di papa Be-


nedetto XVI; la sua prima Enciclica 1 spiega agli uomini del terzo millen-
nio incipiente chi è Dio: Dio è amore, 6 0EÒç àyanri Ècr'tt v, Deus caritas
est, secondo il dettato della prima lettera di Giovanni (1 Gv 4, 16). Ma
che significa amore, caritas, àyanri? La prima parte dell'Enciclica, la se-
zione "speculativa" dedicata ai vari sensi dell'amore, esordisce con l'af-
fermazione che «ci ostacola innanzitutto un problema di linguaggio». In-
fatti «il termine amore è oggi diventato una delle parole più usate ed an-
che abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti» (§ 2).
Le parole per "amore", in tutte le moderne lingue di cultura, insistono in
un «vasto campo semantico» e presentano una «molteplicità di significa-
ti». Il Papa si chiede se i «diversi, anzi opposti significati della parola
amore>> sottintendano una qualche unità profonda o se invece debbano
restare slegati, l'uno accanto all'altro (§ 7). Viene così evocato uno dei
problemi più sentiti nella linguistica teorica contemporanea, affaticata a
cercare, nel mare magnum delle varietà linguistiche e delle polisemie, le
possibili "invarianti semantiche" delle nozioni formalizzate linguistica-
mente. La linguistica cognitiva ha provato a tracciare mappe degli uni-
versali semantici, nozioni presenti in tutte le lingue, da considerarsi ma-
teria prima di ogni elaborazione concettuale.

1
Lettera enciclica Deus caritas est, del Sommo Pontefice Benedetto XVI ai vescovi, ai
presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sul!'amore cristiano, Li-
breria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005.
32 PAOLO MARTINO

1. Una nozione difficile

Il problema della natura dell'amore si è fatto oggi troppo complesso,


coinvolgendo teologia, filosofia, etica, psicologia, sociologia, neuroscien -
ze in un dibattito interdisciplinare difficilmente sintetizzabile e produ-
cendo una letteratura scientifica che è impossibile dominare. La diffi-
coltà nasce anzitutto proprio da problemi di linguaggio. Convincimento
prevalente nella linguistica cognitiva è che la mente è condizionata dal
fatto di trovarsi inserita in un corpo che le permette determinate perce-
zioni sensoriali. In base a un principio acclarato da tempo negli studi dei
meccanismi della categorizzazione, la mente formalizza nozioni astratte
partendo dal concreto. Sul piano linguistico, a una connessione sistema-
tica ("mapping") tra due domini cognitivi corrisponderebbe un'analoga
mappatura tra due campi semantici. Secondo la teoria della metafora di
George Lakoff e Mark Johnson 2 , la categorizzazione avviene per associa-
zione tra oggetti mentali che si trovano in relazione gli uni con gli altri
per effetto di miti o credenze, e la corporeità condizionerebbe ogni pro-
cesso di categorizzazione. Possiamo parafrasare l'assunto di fondo di
questa teoria dicendo che noi "pensiamo con il corpo", alla cui tirannia
soggiacerebbero persino le forme grammaticali, che pure sono dotate di
un significato più astratto di quello lessicale. L'abbinamento metaforico,
per esempio, tra bene-alto e male-basso, un tipico universale cognitivo,
dimostrerebbe che ogni significazione è condizionata dalla conformazio-
ne del corpo umano a stazione eretta; l'abbinamento metaforico scaturi-
sce dalla maggiore importanza data alla testa in quanto sede del pensiero
e della vista. La significazione sarebbe dunque sempre "motivata" e le fa-
coltà linguistica e cognitiva sarebbero complementari. Per il cognitivi-
smo, che si colloca così agli antipodi della concezione saussuriana della
lingua che va studiata "in se stessa e per se stessa", un significato ha sem-
pre una controparte concettuale, e il concetto si formalizza partendo da-
gli archetipi della dimensione corporea: ogni esperienza umana sarebbe
pertanto in rapporto con il soggetto che la vive e disvelerebbe un nodo
simbolico tra corpo ed esperienza (embodiment). In altri termini, gli uo-
mini non hanno accesso a come il mondo è in sé, e la loro conoscenza, a
partire già dalle sensazioni, è sempre "incorporata" (embodied), ossia
mediata dal corpo e dalle sue capacità percettive.

2
Lakoff &Johnson, 1980; Lakoff, 1987
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 33
In questa linea di ricerca s'inserisce la nota teoria del Natural Seman-
tic Metalanguage (NSM) di Anna Wierzbicka 3 , che postula un set di cir-
ca 60 "universal human concepts" alla base di ogni processo cognitivo
umano, concetti basici, innati e non bisognosi di essere spiegati in quan-
to "self-explanatory primitives" Tra i 60 predicati "primitivi" capaci di
spiegare ogni altra nozione sono inclusi 6 "predicati mentali" che, in lin-
gua inglese, sono espressi dalle rubriche THINK, KNOW, WANT,
FEEL, SEE, HEAR. Com'è evidente, i "semantic primitives" postulati
dai cognitivisti sono tutti nozioni fisiche o comunque connesse con la fi-
sicità e con le coordinate spazio-temporali, in un'ottica totalmente antro-
pocentrica 4 La ricerca di universali nel campo della spiritualità e dei
sentimenti postula che anch'essi siano sviluppi metaforici di esperienze
fisiche archetipiche 5 Per il dominio delle "emozioni", ad esempio, En-
field e Wierzbicka (2002, pp. 1-25) esibiscono dati interlinguistici che
mostrerebbero l'espressione delle emozioni riferita sempre a un locus im-
maginato nel corpo fisico (fegato, cuore, viscere, testa, ecc.)
Queste teorie sottendono a volte una visione evoluzionistica troppo
meccanicistica dei processi cognitivi, che postula una sorta di coevolu-
zione di cervello e linguaggio in cui la mente funzionerebbe quasi come
un software e il cervello come un hardware La loro applicazione alla se-
mantica porta ad escludere fenomeni di creatività individuale e di "di-
scontinuità" che sono invece ben rilevabili nelle vicende storiche delle
singole tradizioni linguistico-culturali, forse la natura non /acit saltus, ma
non va confusa con la cultura, la quale non si trasmette per via genetica.
Se anche gli aspetti non fisici della persona («non-bodily aspects of a per-
son») sono espressi di norma linguisticamente con parole («psychocollo-
cations» o «PSl-words») tratte dal dominio corporeo mediante i mecca-
nismi metaforici, non per questo la mente va identificata tout court con
l'attività cerebrale e l'anima con la mente che pensa, come fanno attive
correnti di "ecologia della mente" che partono dalla convinzione "anti-

3 Wierzbicka, 1972; 1992; 1996; 1994; 2002; Goddard, 1998.


4 «In natural language, meaning consists in human interpretation of the world. It is
subjective, it is anthropocentric, it reflects predominant cultura! concems and culture-
specific modes of socia! interaction as much as any objective features of the world 'as
such'» (Wierzbicka, 1988, p. 2).
5 Cfr. Myhill, John, 1997. What Is Universal and What Is Language-Specific in
Emotion Words?· Evidence from Biblica! Hebrew. «Pragmatics and Cognition», 5/1, pp.
77-127; Wierzbicka, Anna. 1999. Emotions Across Languages and Cultures: Diversity and
universals (1999), Cambridge University Press.
34 PAOLO MARTINO

psicologica" che la coscienza sia un fatto di neurochimica. Al determini-


smo linguistico di matrice whorfiana (la struttura della lingua condiziona
il pensiero) si è venuta a contrapporre una sorta di determinismo psico-
logico dei cognitivisti (la mente dell'uomo funziona in base a meccanismi
universali e la struttura della mente condiziona la lingua), al quale non si
sottrae neppure l'interessante teoria della natura "poetica" della mente,
sostenuta dallo psicologo Raymond Gibbs (1994), che insiste sulla natu-
- ra metaforica del linguaggio normale. In ogni caso la creatività dell'indi-
viduo, la cui performance "poetica" si manifesta, imprevedibile e irripe-
tibile, al livello della parola, viene sempre sacrificata a meccanismi pre-
sunti universali che lo sovrastano.
Anche se sembra un dato universale che le religioni esprimono i loro
valori con un linguaggio umano e corporeo (il mito, ad esempio, è basato
sempre su una concezione simbolica antropomorfica della divinità e del
cosmo; il discorso metaforico delle parabole ricorre a situazioni materia-
li per spiegare lo spirituale), non può dirsi scontato che l'uomo sia inca-
pace di elevarsi al di sopra di tale tirannia della fisicità e di elaborare o di
recepire concetti indipendenti da essa. Posto che la metafora sia un mec-
canismo fondamentale della mente e non un marginale tropo letterario,
appare del tutto arbitrario assegnare alla mente e alla lingua modalità di
funzionamento inesorabilmente "universali", eludendo, ad esempio, l' e-
mergere di metafore "culturali"
Lo stesso termine greco agape, che da due millenni designa l'amore
cristiano, può essere stato coniato, come si vedrà avanti, ricorrendo a una
metafora "fisica", ma non risulta chiaro in quale dei sei "predicati menta-
li" universali potrebbe essere adeguatamente inquadrato a livello cogniti-
vo, prescindendo dalla sua storicità. Il termine ebr. 'ahab, reso nel greco
della LXX con Ùycrnaw, esprime un tipo speciale, inedito, di amore: l'a-
more di Dio per l'uomo (Ùyam1 ewu) 6, un concetto che appare per la
prima volta nella singolare esperienza dell'antico Israele, che lo assume a
modello dell'Alleanza e di un nuovo amore interpersonale espresso dal
massimo dei comandamenti, lo shama, sintesi della Legge, da cui discen-
de la "regola d'oro" (Mt 7, 12; Le 6,31) che riassume i Comandamenti e
si esprime in una splendida sintesi nell'inno paolino all'agape (1 Cor 13 ).

6 Cfr. Zorell, 1990, p. 5: «aptissimum igitur vocabulum fuit, quod a s. librorum auc-

toribus ad exprimendum eum amorem adhiberetur sola nobis revelatione notum, quo
Deus amat et quo homines rationibus fide apprehensis et Deum et sese mutuo inter se
complecti jubentur>>.
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 35
Intento dichiarato dell'Enciclica di Benedetto XVI è riproporre la
concezione cristiana dell'amore trasmessa dalla tradizione e dal magiste-
ro cattolico: l'amore, come agape-caritas, fin dalla sua ricezione nel Van-
gelo, si è posto come una novità assoluta, una "rivelazione", nel senso
che non sembra ereditato da sistemi simbolici di precedenti fasi culturali
o elaborato cognitivamente da un qualche "primitivo semantico" Anzi,
nella sua forma eroica (l'"amore al nemico" e la "non resistenza al ma-
le"), tale atteggiamento dello spirito, insegnato per la prima volta agli ini-
zi del primo millennio della nostra era da Gesù di Nazareth sulla collina
presso il lago di Tiberiade, appare contrario alla stessa natura umana 7
Esso si pone come una novità assoluta 8 Epperò tale nozione nuova è sta-
ta designata nel greco veterotestamentario con un termine preesistente:
agape La novità non risiede infatti nel significante, ma nel significato; al-
.
1o stesso mo do, 1a 1mgua deli"' uomo nuovo " e' una "lingua nuova " (1a
yÀwcrcra Kmvn di Mc 16, 18) perché formalizza, con il suo apparato morfo-
sintattico e lessicale vecchio, un sistema di valori nuovo 9
Sorge a questo punto un duplice quesito: a) a quale primitivo seman-
tico andrebbe rapportata, nella griglia cognitivista, la nozione cristiana di
agape? b) è possibile delineare una storia etimologica del termine greco
che spieghi in modo soddisfacente la sua assunzione alla designazione di

7 Wierzbicka Anna, 2001, nell'articolo What Did Jesus Mean? Explaining the Ser-

mon on the Mount and the Parables in simple and universal human concepts, si impegna a
riportare la "parola rivelata" nell'alveo della sua griglia di concetti umani universali ela-
borata nel contesto della teoria del Natural Semantic Metalanguage (NSM). A p. 10 la
studiosa polacca sostiene che ogni discorso scientifico sugli esseri umani ("humans") ha
valore esplicativo solo se può suscitare domande che nascono sulla base dei «people's
fundamental conceptual models», modelli che non possono essere ridotti a nient'altro.
Le sue ricerche semantiche, condotte sull'inglese e su altre lingue, l'hanno portata a con-
cludere che la gente ("the ordinary people") concepisce un individuo umano come qual-
cuno che può pensare, sentire, desiderare, e sapere qualcosa ("think, feel, want, and
know something"); e che può pertanto dire e fare cose. L'universalità delle parole che
esprimono precisamente questi concetti (e.g., not "believe" but "think"; not "intention"
or "volition" but "want"; not "emotion", "sensation" or "experience" but "feel") ci con-
sentono di asserire che questi concetti universali (THINK, KNOW, FEEL, WANT, SAY, and oo)
rappresentano aspetti differenti e irriducibili di un "folk model" universale.
8 In questo senso l'agape non solo è incompatibile con il principio mors tua, vita mea

che sintetizza la dottrina evoluzionistica nella sua versione classica, ma è altresì irriducibi-
le al semplice amore "altruistico" che si ritroverebbe in tutte le religioni, come sostiene
John Templeton, Agape Love: A Tradition Found in Eight World Religions, Templeton
Foundation Press, Philadelphia & London 1999.
9 Tra i segni che dovevano accompagnare coloro che credevano in Cristo, l' evangeli-

sta Marco (16, 17) menziona il dono di parlare in "lingue nuove" (y).wcrcrmç ÀaÀ~crou­
crtv Katva'iç).
36 PAOLO MARTINO

- un valore etico-religioso così speciale? Se la nozione cristiana di agape


può essere stata sussunta con un procedimento metaforico (questo sì
universale) da altra nozione preesistente mediante l'applicazione del
principio dell'analogia, che sta alla base delle creazioni metaforiche ope-
ranti in tutte le lingue naturali (e la spiegazione di questo processo è par-
te dell'indagine etimologica, su cui vedi avanti), su quale base considera-
re tale nozione nel suo momento genetico come soggiacente a un univer-
sale semantico e non specifica di una determinata esperienza religiosa 10
come quella giudaico-cristiana? Per la visione giudaico-cristiana, codifi-
cata nella Bibbia, i nomi, che variano secondo le lingue, sono assegnati
alle cose da Adamo, mentre il linguaggio, o, se si vuole, la cognizione -
sia essa innata o innatizzata nel corso dell'ominazione - è facoltà univer-
sale di origine divina, fornita agli uomini dal Logos creatore. Tra le verità
faticosamente conquistate dall'uomo ci sono anche verità "rivelate", che
è come dire - per adoperare i termini della Wierzbicka e mantenendoci
in un'ottica antropologica - nozioni "culture-specific", apparse in un
tempo e in un luogo determinati, e magari irradiati poi interculturalmen-
te e interlinguisticamente.
Sul piano linguistico, il quesito si pone dunque correttamente in ter-
mini storici. come è nato il termine agape e quale ne era l'ambito seman-
tico primitivo? Se infatti il concetto cristiano di "amore" e i suoi imme-
diati precedenti ebraici sono stati abbondantemente studiati, il momento
genetico di tale valore, connesso - com'è intuitivo - con l'etimologia del-
la stessa parola agape, rimane ancora avvolto nell'ombra.
Si sa che le lingue naturali, sistemi in continua riorganizzazione, sono
attrezzate a fare spazio alle nuove nozioni, assegnando ad esse nomi nuo-
vi in base a strategie diverse. Di regola esse si avvalgono tanto di proces-
si "endogeni" (derivazione e composizione) quanto di "esogeni" (ad es.
interferenze da altre lingue). Nelle lingue flessive la formazione delle pa-
role avviene tramite procedimenti essenzialmente derivativi; meno fre-
quente è il ricorso alla composizione. In genere, nelle lingue si coniano di

10 Infatti, uno dei postulati affermati dalla Wierzbicka è «if one wants to explain
meanings across languages and cultures one has to rely on shared, that is, universal con-
cepts, and not on concepts which are culture-specific. Universal human concepts consti-
tute the bedrock of human understanding, ~d to explain meanings across languages and
cultures we need to rely on that bedrock». E una prospettiva metodologica che ignora lo
spessore storico e quindi l'etimologia. Infatti, la sua analisi del termine inglese love pren-
de in considerazione varianti semantiche sincroniche come "romantic love, parental love,
brotherly love and so on" (Wierzbicka, 1996, p. 242).
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 37
continuo parole nuove, ma niente si crea ex nihilo. Assai frequente è il ri-
corso alle metasemie, cioè al riciclaggio di termini esistenti che vengono
all'uopo rimotivati, cioè "risemantizzati" (sono i fenomeni noti della me-
tafora, della metonimia, della sineddoche, ecc.), ma a volte le parole
"nuove" portano con sé il loro materiale ereditario.

2. Il problema etimologico

'Ayann è parola greca antica, con una storia semantica ormai acclarata
grazie alla mole immensa di studi che le sono stati dedicati. Eppure, se al-
1'origine della sua ricca polisemia attuale va individuata la singolare espe-
rienza culturale e religiosa del popolo d'Israele, prima, e dei cristiani poi,
molti lati oscuri permangono in merito ai sensi che essa assume nel greco
antico, prima della traduzione dei LXX. Oscura rimane poi l'origine del-
la parola, che è obiettivo ultimo della ricerca etimologica. Si noti di pas-
sata che anche altri due termini greci per "amore" (i:pwç e <ptÀ(a) sono di
etimologia oscura.
Le ricostruzioni etimologiche proposte finora in chiave indoeuropea
per gr. agdpe sono insoddisfacenti, in definitiva infondate. Il sostantivo è
comunemente giudicato formazione secondaria, derivata dal verbo
agapdo, voce fortemente indiziata di non essere indoeuropea, essendo tra
l'altro limitata al solo greco. Ciò equivale a dire che la parola, attestata
già nei poemi omerici, si è formata molto probabilmente in epoche prei-
storiche o al più tardi nell'ambito del greco protostorico e che il prestito
da una cultura contigua - nel contesto del Mediterraneo orientale del se-
condo millennio - è possibile. Strettamente solidale con l'ideologia in-
doeuropea preistorica è invece la voce latina amare, sia che rimandi a una
forma popolare espressiva da connettere con termini parentali (amita,
amma), sia che - come sembrerebbe più plausibile in forza delle corri-
spondenze vediche (dmz-ti) e greche (oµvuµt) - postuli nella sua fase ge-
netica le nozioni del "prendere", "ghermire", tipiche di una società pri-
mitiva di cacciatori e raccoglitori, poi applicate in campo giuridico: "te-
nere fermo (un giuramento)" (LIV 267) D'altra parte, anche la radice
germanica i<leuba- (da cui discendono le voci ingl. love, ted. Liebe, ecc.) e
la slava antica ljulm (russo ljubitz~ ecc.) rimandano a una forma preistori-
ca comune i<leubh- "desiderare, pretendere" e a un archetipo semantico
caratterizzato da un atteggiamento captativo, assai più esplicito nell'esito
sanscrito lubyati, "essere avido" e nel lat. libido, "desiderio sensuale"
38 PAOLO MARTINO

A questo archetipo semantico del desiderio e dell'aggressività sem-


brerebbe sottrarsi invece il gr. philzà, "amore di amicizia" (dilectio), che
comporta, già in fase pre-cristiana, l'affezione tra pari; ma è termine di
etimo oscuro, privo com'è anch'esso di connessioni genetiche all'infuori
del greco. Non del tutto sicuro è il rimando a un valore "relazionale",
connesso con la nozione dell'ospitalità, non del "possesso", come ha so-
stenuto E. Benveniste 11
Nostro proposito è anzitutto ispezionare le fasi più antiche della com-
plessa vicenda lessicale e culturale della voce greca àycrnaw, mediante
una valutazione delle ipotesi etimologiche finora avanzate, alla ricerca
delle basi cognitive da cui è potuta scaturire la semantica della nostra vo-
ce. Se è vero che tutte le parole di una lingua costituiscono precipitati di
cultura, forme di valori noetici o etici o logici, nessuna nozione come l'a-
more dovrebbe trovare in tutte le lingue una sicura ratifica lessicale e un
nucleo semantico primitivo o invariante semantica dovrebbe sottendere
le varie rappresentazioni lessicali della nozione a livello interlinguistico.
L'Enciclica di Benedetto XVI sull'amore disegna sinteticamente il
quadro onomasiologico del concetto nella cultura greca ellenistica nel
momento in cui questa ha accolto il messaggio cristiano. L'agape si diffe-
renzia così nettamente dall'eros, l'"amore mondano", "amore possessi-
vo" (amor concupiscentiae), ebbrezza che produce beatitudine e pazzia
divina, che può degradare l'uomo o elevarlo a una nuova nobiltà. Que-
st'ultimo termine, che esprime il desiderio captativo e appare in antichis-
sime concezioni magico-religiose come un dio tiranno, si trova solo due
volte nell' AT e mai nel NT. In realtà, come sottolinea l'Enciclica, la no-
zione di agape è talmente pregnante che eros e agape - amore ascendente
(«che cerca Dio») e amore discendente («che trasmette il dono ricevu-
to») - «non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro», in
quanto il primo, con la sua carnalità, si fa metafora efficace del secondo,
come mostra l'è01tÀayxvicren, misericordia motus est, del samaritano e
del padre del figliuol prodigo (Le 10, 33; 15, 20); il verbo greco, che col-
lega la commozione con le "viscere" (01tÀanva), conferma la teoria del-
1' embodiment.
Negli scritti neotestamentari l'agape esprime una «nuova visione del-
l'amore» ("amore oblativo", amor benevolentiae), che è la concezione bi-
blica, espressa nel Cantico dei Cantici. Qui, osserva Benedetto XVI, i due
tipi di amore, l'eros e l'agape, appaiono integrati in una sintesi; vi è usato

11 Benveniste, 1969; Landfester, 1966.


AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 39
dapprima il termine ebr. dodim, «un plurale che esprime l'amore ancora
insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata»; poi questa parola
viene sostituita, nel testo ebraico, da ahabà, che nella tradizione greca
dell'Antico Testamento - precisa il Pontefice - «è resa col termine di si-
mile suono agape»(§ 4). Fatto del tutto inedito, nell'Enciclica papale vie-
ne ventilata una etimologia della voce greca, che Benedetto XVI collega
con un termine ebraico («somiglia all'ebraico ehab»). L'Encielica accen-
na qui - pur senza prendere posizione - a una ipotesi etimologica che,
seppure non presa in considerazione dai principali repertori etimologici
del greco, merita la massima attenzione.
Vagape nel senso cristiano è la più efficace delle teofanie, perché
«nessuno ha mai visto Dio», secondo la prima lettera di Giacomo, ma lo
si può percepire proprio nell'amore. Questo amore - precisa il Pontefice
- è «esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione
nel dono di sé». La rappresentazione più calzante è il patto tra l'uomo e
la donna nel matrimonio, patto ipostatizzato nel racconto di Adamo ed
Eva, figura del Patto Dio-Umanità che fonda la storia della salvezza.
È noto che nelle prime Chiese cristiane il termine agape subisce una
risemantizzazione, acquisendo una serie di accezioni che sono diffusa-
mente analizzate da C. Spicq nei tre volumi della sua vasta monografia
(Spicq, 1953) e in moltissimi altri studi 12 L'amore cristiano si manifesta
nella sinassi liturgica, ha la sua massima espressione sacramentale nel-
l'eucaristia ed è simbolizzato nel pasto fraterno.
Anche se il termine àyam1 è diffuso a partire dai LXX e dal NT, è
però documentato come componente di nome femminile in un'iscrizione
tessalica del VI sec. a. C. 13 , e pertanto è sicuramente precristiano, come
dimostra peraltro la forma verbale àymmçw che si trova già in Omero, il
che esclude l'ipotesi del prestito dall'ebraico biblico. S'impone perciò
una ispezione degli usi del termine nel greco precristiano.
Rispetto ai concorrenti èpiiv e qni\dv, il verbo àymmw è piuttosto
emarginato nel greco antico, e solo nelle fasi medievale e moderna si è
collocato al centro del campo semantico dell'amore 14 E. Stauffer (1965,
p. 97) scrive: «L'etimologia è sconosciuta e il significato è piuttosto blan-

12 Vedi bibliografia.
13
Cfr. «Supplementum Epigraphicum Graecum», 19, 1963, p. 422.
14
Tale espansione semantica a scapito di epwç e cptÀlU si sarebbe compiuta nella
koinè già all'epoca in cui fu composto il NT, secondo C. C. Tarelli, àyann, in «TheJour-
nal ofTheological Studies», 1950, pp. 64-67
40 PAOLO MARTINO

do e vago». In Od. 21, 289 Ùyanaçw ha infatti il senso di "contentarsi,


essere appagato", che si ritroverà poi in Suida: Ùyanav· ÙpKEi'cr0m 'ttvt
KaÌ µnoÈv nÀÉov Èmçn'tti'v. Altri contesti omerici rivelano però un cam-
po semantico più complesso, non limitato al significato ristretto dell'"ac-
cogliere con benevolenza". in Od. 23, 214 Ùyanncra è riferito all'abbrac-
cio tra Penelope e Odisseo, mentre Ùyann'toç in Od. 2, 365 ha il valore di
"diletto" Tale presunta "vaghezza" semantica si ritroverebbe anche nel-
la letteratura postmerica, nei più tardi, ma pur sempre precristiani, deri-
vati Ùyanncriç (da Aristotele), Ùyanncrµ6ç (Menandro), Ùyannµa (età
imperiale), con cui si esprime un sentimento di predilezione per persone
e perfino per cose. Ciò ha indotto il Rosén, nel suo studio I.: hébreu et ses
rapports avec le monde classique (1979, p. 31), a negare che la vasta se-
mantica che il termine esibisce nei LXX (amore fisico, amore fraterno,
amore del prossimo, simpatia, favore, predilezione, amore di Dio) possa
essere uno sviluppo normale del termine greco antico. Siccome non
prende in considerazione la possibilità di un semitismo preomerico, con-
clude che tale semantica è un'audace innovazione dei traduttori che,
sfruttando l'assonanza, hanno reso 'ahab, "amare" con Ùyanaw e hanno
coniato Ùyann sulla scorta del sostantivo astratto 'ahaba, "amore" Ne
sarebbe riprova il fatto che la Bibbia greca conserva anche esempi del si-
gnificato antico "favorire" laddove Ùyanciw traduce ebr. ben. Conclude
lo studioso che Ùyann non è un termine cristiano, ma il risultato dell'el-
lenizzazione di un concetto ebraico, «un amalgame lexical hébréo-grec».
Ma ad un'attenta considerazione già la voce verbale greca mostra di
possedere nelle attestazioni più antiche la varietà di sensi che si ritroverà
nelle fonti più tarde con maggior dovizia, mascherata dall'inserimento in
un sistema che annovera Èpaw per le specializzazioni sessuali e <ptÀ.Éw per
le affettive. La dilatazione semantica, cui accennano anche Lifshitz e
Schilby (1968, p. 371), si è compiuta dunque in epoca predocumentaria.
Resta il problema dell'individuazione del nucleo semantico di partenza.

3 Formazione interna al greco?

Nel 1892 il Prellwitz pensò a un composto di naoµm "acquistare",


"avere, possedere" (< i.-e. -i-pa- I ''pa- "pascere") con un prefisso rafforza-
tivo Ùya-, grado apofonico zero di µÉya, effettivamente utilizzato nella
fase più antica del greco per formare composti come Ùya-KÀEnç "di
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 41

grande fama"' cfr. anche la forma awerbiale ayav "molto"' forse accusa-
tivo di un nome scomparso. L'ipotesi, basata su suggestivi ma incerti pa-
ralleli omerici e a. indiani, presuppone un archetipo semantico "guarda-
re con interesse" (il Prellwitz ricostruisce la base -:'pa- anche per àmmço-
µat "salutare con affetto, abbracciare"), ma fu decisamente respinta con
buone ragioni dal Brugmann (1894, p. 30), dal Fick (1894, p. 231) e dal
Lagercrantz (1897, p. 383 ), che rilevano l'impossibilità- sul duplice piano
formale e semantico - di collegare il verbo greco ali' a.i. pa- "proteggere",
lat. pasco. Anche Émile Boisacq (1923, p. 6) parla di «étym. obscure». In
teoria, come rilevava Hj. Frisk (GEW, I, p. 7), un nucleo semantico prima-
rio "accogliere con ospitalità" ("gastlich aufnehmen") potrebbe essersi
evoluto nei vari sensi di "amare" ("gern haben'', "lieben"); ma tale vicen-
da, teoricamente possibile, è stata ricostruita dal Benveniste, con maggiore
verosimiglianza, per <ptÀÉw; l'etimo resta perciò oscuro (F risk: «dunkel»).
Il collegamento con àya- di ayaµat "ammirare, compiacersi"' invero assai
labile, non spiega né il significato né la forma e soprattutto non rende con-
to della singolare evoluzione successiva. Si tratta evidentemente di una eti-
mologia di stampo neogrammaticale, costruita a tavolino 15
Con scarso successo Renato Arena, nell'ambito del suo studio sulle for-
mazioni greche in -açw, propose di considerare àymt-açw come un amplia-
mento in labiale della radice *gem- "(mit beiden Handen) greifen, fassen"
(cfr. Pokorny, IEW, p. 368), cui è stato riportato anche il termine yaµoç
"matrimonio" (Arena, 1966, pp. 153-154). L'improbabile formazione-rf1-gftl-
p- è giustamente dichiarata «phantastic» da Szemerényi (1971, p. 650).
Analogamente, Pierre Chantraine, nel suo dizionario etimologico, ri-
tiene di poter assegnare ad àya7taçw e àya7taw, di cui àya1tn è dichiara-
to «dérivé inverse», un senso primario di "accueillir avec affection", ma
l'etimologia resta «inconnue» e «un rapprochement avec àya- n'est pas
satisfaisant pour le sens et ne rend pas compte du 1t.» (DELG, p. 7).
Più recentemente George-Jean Pinault, nel suo studio sugli antece-
denti indoeuropei delle nozioni di "grandezza" ed "eccesso'', ritorna sul-
l'ipotetico composto i.-e. *àya-mì- "proteggere fortemente", con un ri-
ferimento alle citate forme sanscrite 16 che abbiamo visto assai debole: la

15 Su naoµm cfr. anche Martinez-Fernandez, 2000.


16 Pinault, 1993, pp. 199-216. Alquanto incerto è anche il ricorso alla famiglia lessi-
cale di gr. ȵnaçoµm "preoccuparsi di", cfr. il composto JCa-t-Eµnaçw "afferrare, abbrac-
ciare", di cui già Lagercrantz, 1897, pp. 392 ss. tentò una incerta etimologia (aus *eµnw
zu µaitÉnv "greifen"); cfr. Frisk, GEW I, p. 505 («formal unmoglich»).
42 PAOLO MARTINO

voce, da collocarsi nel "lessico fondamentale", è troppo isolata nel pano-


rama indoeuropeo.

4. Prestito semitico

L'isolamento della famiglia lessicale nel greco e la mancanza di un eti-


mo indoeuropeo orientano decisamente verso l'ipotesi dell'interferenza
alloglotta. E la prima indiziata di un prestito lessicale 17 nel greco proto-
storico è l'area linguistica semitica. In effetti, una derivazione semitica
del termine è stata prospettata da più studiosi, ma è rimasta sempre pro-
blematica per motivi essenzialmente fonetici.
Il termine non è neppure discusso nei repertori dei semitismi sicuri o
ipotetici attribuiti alle lingue classiche 18 · le voci greche e latine di cui si è
presa in considerazione l'origine semitica antica sono in genere denomi-
nazioni di realia, oggetti di scambio e termini commerciali riportati a re-
moti contatti intrecciati in Asia Minore, nell'Egeo, nel Vicino Oriente
(Siria, Libano, Egitto), specialmente all'epoca micenea e della talassocra-
zia fenicia e punica nel Mediterraneo: nomi di piante, minerali, vasi, in-
dumenti, derrate varie, voci di lessici speciali della navigazione, dell' ar-
chitettura, dell'intermediazione (Épµrivi::mnç, àppa~ffiv, Xl'tmv, arbiter,
~pa~i::uç), ecc. 19 Non si deve dimenticare che tali correnti di scambio
greco-semitiche, che hanno veicolato tra il II e il I millennio a. C. nel
mondo greco la scrittura alfabetica e gli stessi nomi delle lettere, non fu-
rono né superficiali né episodiche.
Va detto però che l'impressionante somiglianza semantica di gr.
àyanri con il quasi omofono ebr. 'ahaba "amore" non è sfuggita ai lessi-
cografi fin dal sec. XVIII, che parlano di assonanza. Anche Bolelli (1950,
p. 132) nota che la struttura fonetica della voce ebraica pare richiamare
«sia pure fortuitamente» quella della voce greca~
Un collegamento della voce greca con l'ebraica è stato richiamato più
di recente dal Ruijgh che, nella sua recensione del Dictionnaire étymolo-
gique dello Chantraine, ne parla come di una influenza tardiva della voce

17 In realtà, un'antica solidarietà lessicale greco-semitica si potrebbe ascrivere a suc-

cedanei di quel comune sostrato camito-semitico e indoeuropeo di cui tanto si è discusso


e si discute, ma che non appare ancora delineato sicuramente.
18 Miiller, 1877; Muss-Arnolt, 1892; Lewy, 1895; Mayer, 1960; Masson, 1967;
Astour, 1967
19
Cfr. Martino, 1986; 1987; 1988; 1995.
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 43
ebraica nell'uso cristiano, per via di un'innovazione dei traduttori che
avevano bisogno di un termine che esprimesse la vasta gamma di sensi
della voce ebraica: «Il est possible que l'influence de l'hébreu 'ahaba
"amour" ait joué un ròle dans la création du terme chrétien àyaJtn: noter
la rassemblance phonétique entre les deux mots» (1970, p. 306), ipotesi
condivisa, come si è detto, dal Rosén. Ma già un ventennio prima Ceresa-
Gastaldo (1953, p. 347) aveva sostenuto che il termine àyaJtn non fu una
creazione dei LXX, «una specie di calco» dovuto alla somiglianza foneti-
ca con la forma ebraica, giacché esso preesisteva, con la sua vasta seman-
tica, e quindi va spiegato come un termine proprio della KOt vn popolare,
un'innovazione linguistica.
A una parentela genetica dei due termini ha pensato dapprima Saul
Levin, lasciando però problematica la direzione del prestito (1971, p.
283 ). Successivamente lo studioso si decide per l'imprestito dal semitico
al greco: «cXY<X1t- has no IE cognates, and a Semitic source is all the more
likely because àya1t- carries the same nuance as in Hebrew· love in the
sense of cherishing ... » (1995, p. 223); in Levin (2002, p. 377), àya1tn è
dichiarato «another Greek borrowing from Northwest Semitic».
Va detto ora che, a fronte della stretta corrispondenza semantica, le dif-
ficoltà di ordine formale, più volte evocate, sono piuttosto apparenti. La
vocalizzazione [a] della consonante iniziale è del tutto regolare; la corri-
spondenza di sem. lhl con gr. lgl è plausibile: intanto potrebbe spiegarsi
all'interno del semitico come esito di un overlap tra l [g] e ;i [h], usuale in
varie lingue semitiche antiche. Vari indizi, fra cui la fortuna della nostra ra-
dice in aramaico e arabo, orientano verso l'ambiente amorreo in cui è ac-
certato lo scambio tra le fricative faringali sorda /41 e sonora l'I e le spiran-
ti velari sorda /bi e sonora lgl (ghayn) ('in aramaico, cananaico ed etiopi-
co). Inoltre, l'asserito incrocio tra le due radici 'hb e 'gb, che si sarebbe ve-
rificato nella protostoria semitica (vedi avanti), potrebbe giustificare ancor
meglio il trattamento greco.
La resa della terza consonante sem. !bi con la sorda gr. lpl non pone
difficoltà insuperabili per una fase predocumentaria del greco in cui, co-
me attesta tra l'altro il materiale miceneo, l'occlusiva labiale sonora è
problematica. Inoltre, lo scambio tra le labiali sorda e sonora è un fatto
accertato per l'amorreo e segnatamente per l'ugaritico (Garr, 1986;
Grabbe, 1979; Voigt, 1991).
Levin (1995, p. 281) colloca l'imprestito nel II millennio, in un tempo
precedente all'assunzione della maggior parte dei termini commerciali
come ~ucrcroç "bisso" (cfr. fen. h ebr., aram. bii~), àppa~wv "garanzia"
44 PAOLO MARTINO

(cfr. fen. 'rbn, ebr. 'eriibon), e rimanda alle più remote attività commer-
ciali fenicie nel Mediterraneo 20 , verosimilmente in epoca micenea: «lt is
possible, but by no means certain, that the Greek [p] in ciymt- is there
because no [b] - no voiced labial plosive -was available in Greek at the
time of the borrowing». In effetti all'epoca della lineare B (1400-1200 a.
C.) le labiovelari indoeuropee non si erano ancora labializzate, e comun-
que un'alternanza tenue-media è piuttosto frequente nelle isoglosse di
origine "mediterranea" 21 e nel trattamento di altri imprestiti, come gr.
ucmwnoç "issopo"' ebr. 'ezobh 22 .
L'ipotesi dell'origine semitica è accolta infine da un grande indoeuro-
peista, Oswald Szemerényi, nel 1971, in una recensione al «DELG» di
Pierre Chantraine (Szemerényi, 1971, p. 650), e poi in altri due studi del
1974 23 · il verbo greco «is borrowed from a Semitic word seen in Hebrew
'iihab "love, be delighted by", noun 'ahabii "the love"».
Il problema etimologico si sposta a questo punto in ambito semitico,
dove la radice 'hb è conosciuta solo nell'area di NO: ebraico e ugaritico
('hb, 'hbt "amore")
La radice 'hb, che nell'ebraico dell' AT ha flessione stativa e valore
transitivo, come sostantivo verbale ('ahabii "amore") ha potuto acquisire
anche il singolare valore di "amore di Dio (per gli uomini)" 24 Ma la sto-
ria etimologica di sem. 'hb rimanda, a quanto si ricava da una vetusta tra-
dizione lessicografica, alla forma più naturale e primitiva di amore: la
pulsione sessuale.
Nell'AT la radice ricorre 251 volte, almeno una trentina col senso di
"amore erotico" Anche per via di questo senso particolare, tale radice,
priva di una sicura etimologia (Quell 1965, p. 61, n. 14), è stata collegata
ipoteticamente - in base alla presunzione di un'origine onomatopeica -
ad altre due radici presenti nell'AT 25 : 'gb "desiderare sensualmente" (cfr.
Gesenius, s.v. 'iigabh) e qbb "amare", attestata in aramaico, in arabo, e -
sia pure sporadicamente - nell' AT (Deut 33, 3), con raddoppiamento in-
tensivo della seconda consonante in una radice bisillabica 26 Soprattutto

20
Sulla questione vedi Martino, 1986.
21
Cfr. sem. brd, gr. napòaA.tç: Mayer, 1962, p. 241.
22
Cfr. Lewy, 1895, p. 38; Astour, 1967, p. 130.
23 Szemerényi, 1974, pp. 144-157; 1974a, pp. 101-109.
24
Cfr. Ziegler, 1930, p. 13 ss., Bergman-Haldar-Wallis, 1973, coll. 105-128.
25
Ger 4, 30; Ez. 23, 5. 7 9. 12. 16. 20; Ez 16, 37. Determinata come hbl, la radice ac-
quisì valore negativo "inganno, nullità", come appare nella letteratura sapienziale.
26
Cohen, 1970 (lOb, s.v. 'HB) ipotizza un ampliamento: «Sans doute rac. à élargisse-
ments sur la base biconsonantique laryngale +labiale>>, con rimando a IfBB, HWY, 'WY, 'HB.
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 45
la connessione con 'gb riveste per noi grande importanza, intanto per la
regolarità della corrispondenza fonetica tra ebr. l e gr. y, come rilevano
Cohen e Wallfield (1985), inoltre il nesso genetico con la radice che
esprime la visceralità (esplicitamente presente anche in gr. crrc"A.ayr.;vov
"viscere, cuore, compassione") dell'attrazione sessuale può orientare la
ricerca etimologica.
La lessicografia ebraica postula alle origini della formazione verbale
'f?bb una base bilitterale protosemitica di natura onomatopeica hb "soffia-
re, respirare con forza, bramare" (Thomas, 1939), come per altri casi in
cui un comportamento fisico ("respirare", "ansimare", ecc.) viene assun-
to per l'espressione di moti dell'animo (Wolff, 1961, p. 42) L'archetipo
semantico del termine sembra dunque chiaramente ristretto al rapporto
d'amore primario tra uomini: l'amore in senso sessuale tra maschio e
femmina. Non a caso il nome verbale astratto 'ahabii "amore" designa
l'amata del Cantico dei Cantici~ le cui carezze sono "più inebrianti del vi-
no" Questo uso "erotico" si trova in tutta la letteratura sapienziale.
La trafila postulata da Cohen-Wallfield (1985, p. 101), che considera
le forme greca epica àyarcaco e ebr. biblica 'iigabh come riflessi di un pro-
tosemitico *'agaba irradiato dai Fenici, appare accettabile ('ayin in posi-
zione iniziale appare come zero in altri prestiti greci).
La mancanza di attestazioni in fenicio-punico non desta meraviglia,
data la lacunosità della documentazione, ma un part. pu. f. mhbt "amata"
è in un'iscrizione neopunica da Cherchel (Algeria); cfr. Jenni (1978, p.
53).
Un ulteriore indizio dell'attitudine della nostra radice a irradiarsi in-
terlinguisticamente è dato dalle tracce che essa avrebbe lasciato anche in
area anatolica, stando a Fronzaroli (1956, p. 37), il quale considera ace.
bubu e itt. pupu "amato" tra i fenomeni di "convergenza" nell'ambito
della lega linguistica microasiatica, in cui si sarebbero verificati molti im-
prestiti dal semitico all'ittita. Invece Mayer (1960, p. 83) ipotizza un im-
prestito dalla forma abbreviata accadica di babubu "amato", part. passi-
vo di qbb "amare"

5. La meta/ora del fremito

Dunque nella preistoria del nostro lessema potrebbe aver agito l'in-
crocio tra le radici 'gb "desiderare sensualmente" e qbb "ardere d'amo-
re", come conclude Winton Thomas nel suo lavoro etimologico: «The
46 PAOLO MARTINO

word 'hb then belongs to that category of words in which the ideas of
breathing and emotion, in this case desire, are combined» (1939, pp. 57
64), con rimando a una lunga e autorevole tradizione di studi. La metafo-
ra farebbe riferimento all'ansimare dell'animale eccitato dalla pulsione
sessuale, come notava già nel 1748 Albert Schultens nel suo Commenta-
rio ai Proverbi: «thema 'hb amare, diligere, vim istam secundariam induit
a primaria spirandi, anhelandique; prout anhelare aliquid est vehemen-
tius petere, ed adamare» (1, 22), dove si prospetta, in definitiva, la natu-
ra onomatopeica della parola, sostenuta tra gli altri anche da Wiinsche
(1865, p. 55)
Anche l'amore "viscerale" della madre per il figlio o di Dio per l'uma-
nità ben si è potuto esprimere linguisticamente mediante un'ardita me-
tafora che rimanda a emozioni fisiche: àycrnàv = cr1tÀayxviçmem (cfr.
Hohne, 1882); allo stesso modo, da sem. rqm "utero" discende l'agg.
_"compassionevole" (Fronzaroli, 1964, p. 47) Lungo questa linea, agape
ha potuto sviluppare i suoi significati metaforici muovendo dalla nozione
primitiva di impulso erotico, per giungere alla visione cristiana della gra-
tuità (gratia). Si tratta, beninteso, di strategie espressive che non sotten-
dono necessariamente processi psicologici deterministici come è nella
teoria freudiana che vede nell'amore cristiano la sublimazione della libi-
do inibita.

6. La metafora del patto

Da questa base il significato di 'hb sviluppa vari altri sensi metaforici,


come l'amore "viscerale" dei genitori per i figli e, infine, quello di Dio
per Israele (amore paterno e amore sponsale) Da qui il termine si rende
poi disponibile, nella terminologia giuridica, per esprimere l'adesione
sincera ai contratti e, infine, laffetto per il prossimo e per le cose.
Il campo semantico dei rapporti interpersonali, giuridici e commer-
ciali, mostra strette relazioni con i campi dei sentimenti e dei valori reli-
giosi: i secondi vengono espressi ricorrendo ai primi, il che dovrebbe ri-
dimensionare l'osservazione di Mayer (1960, p. 335) che l'assenza, in
questi imprestiti semitici antichi, di categorie semantiche riguardanti la
vita spirituale e religiosa indurrebbe a postulare rapporti inizialmente li-
mitati alla sfera commerciale.
Va segnalato, a tal proposito, che l'amore dell'uomo per Dio - nella
teologia deuteronomica - non ricalcherebbe tanto la metafora "sponsa-
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 47
le", quanto quella del "patto" (baerit) come risposta, nella fedeltà e nel-
l'ubbidienza, all'Alleanza, formalizzata nella prescrizione dello shama'
(Dt 6, 4) e nella regola d'oro "amerai il prossimo come te stesso" di Lev
19, 18, ripresa da Gesù.
Suggestiva appare, a tal proposito, la prospettiva ermeneutica sugge-
rita dalla tesi di Moran (1963), che ritiene il verbo 'hb derivato dal voca-
bolario della diplomazia dell'antico Oriente, dove esso in effetti assume
il senso fondamentale di "osservare sincera lealtà verso il partner dell'al-
leanza" 27
Si è detto che la voce, preminentemente semitica di NO, potrebbe esse-
re passata precocemente al greco, forse già in fase micenea (ma probabil-
mente non lo sapremo mai), più verosimilmente agli inizi del primo millen-
nio a. C., in tempi di talassocrazia fenicia, nell'ambito degli scambi contrat-
tuali. A tal proposito si veda lo sviluppo giuridico delle nozioni di "patto"
(gr. ùta9TJKTJ, lat. testamentum) e di "fede" (gr. 1ttcrnç, lat. fides). L'epos
omerico documenta, infatti, già il verbo con questa griglia semantica.
Il "patto" con valore giuridico, com'è la transazione commerciale, è as-
similato simbolicamente al patto tra amanti e poi al Patto tra Dio e l'uma-
nità. La nozione del contrarre una relazione di fedeltà e reciproco rispetto
era fondamentale nelle relazioni internazionali e tale nozione ben si presta-
va ad esprimere un'analoga relazione sul piano interpersonale. La funzione
fondamentale dell' amore-caritas è ben individuato da Agostino nel De doc-
trina christiana: <<homines invicem nodo unitatis astringere» 28

7. Otri vecchi per vino nuovo

Dunque l'ostacolo di ordine semantico all'ipotesi del semitismo è appa-


rente: il lessico delle religioni, comprese l'ebraica e la cristiana, attinge am-
piamente metafore al lessico pagano, risemantizzando i termini 29 Le paro-

27
Vedi inoltre Brown, 2001, p. 298, che confronta l'uso di agapdi5 in Od. 16,17 ("co-
me un padre con suo figlio"), con quello di 'HB in 2 Sam 19, 6-7· «Perhaps the word (ex-
ceptionally, for a verb) moved between cultures precisely in the context of the vassal-
treaty (III. 18)».
28
August. de doctr. Christ., Pro!., 6: «Deinde ipsa caritas, quae sibi homines invicem
nodo unitatis astringit, non haberet aditum refundendorum et quasi miscendorum sibi-
met animorum, si homines per homines nihil discerent».
29
Un tentativo di disegnare la storia delle successive risemantizzazioni del lessico
dell'amore nel greco classico è Spicq, 1953.
48 PAOLO MARTINO

le come diceva Agostino (Conf 1, 14, 26) - sono "vasi" eletti e prezio-
si, vasi il cui contenuto si può modificare, deteriorare o impreziosire; può
anche essere completamente svuotato e sostituito. Si è detto che non è
necessario (raramente succede) che per l'espressione di nozioni nuove sia
coniata una parola ex novo; il normale procedimento della rimotivazione,
vale a dire il riciclaggio di materiali lessicali preesistenti, si riscontra nei
lessici di tutte le religioni. L'aureo precetto evangelico di Mt 9, 17 «Non
si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino
si versa e gli otri van perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così
l'uno e gli altri si conservano», precetto di ordine etico, non si applica
dunque alla lingua.
Il percorso semantico che si può ricostruire con una certa verosimi-
glianza per la vetusta radice semitica concorda perciò con la nota tenden-
za della categorizzazione umana "dal concreto all'astratto"
a) dal fremito all'amore erotico;
b) dall'amore erotico all'amore oblativo;
e) dall'amore oblativo all'amore al nemico (agape)

Il passaggio b) è sicuro anche per il traducente latino di gr. agape: ciiri-


tas, che è stato connesso etimologicamente con got. hors "adultero", a.
nord. hor "fornicazione", lett. kars "cupido, ghiotto'', ecc., tutti amplia-
menti in -r- di una radice *kii- "bramare" che si trova in a. ind. kiimas
"desiderio, amore", lit. kamaros "lascivia", ecc. Il quadro interpretativo
non si modifica di molto anche se si ammette l'altra ipotesi che, chiaman-
do in causa il gioco apofonico, collega ciirus con careo "sentire la man-
canza di" (Bolelli, 1950). Ma già prima della sua assunzione nel lessico
cristiano, il termine latino aveva già avviato, come notò Bolelli, il natura-
le processo di evoluzione, e già «nel latino precristiano in ciiritas si trova-
vano tutte le condizioni perché il vocabolo fosse assunto per rendere il
concetto fondamentale di amore per Dio e per il prossimo che è al centro
di tutta l'etica cristiana» (1950, p. 131), un «concetto particolare per il
quale la terminologia greca dell'amore, pur così ricca e varia (epwç, <ptÀ.ta,
crwpyn), non aveva l'equivalente».
Si conferma con ciò la linea interpretativa della semantica cognitiva,
cui accennavamo, che si può riassumere nella metafora, discussa da Croft
(1993), L'AMORE È UNO STATO CORPOREO, anche se - in prospettiva storica
va precisata l'improbabilità dell'evoluzione naturale ("teoria della conti-
nuità") la creatività insopprimibile dei parlanti, da un lato, e la comples-
sità del contatto interculturale, dall'altro, comportano nella storicità lin-
AGAPE, UNA PAROLA "RIVELATA" 49
guistica fatti di discontinuità. In definitiva, il mapping dei domini cogni-
tivi connessi con la dimensione etica è ancora tutto da disegnare; anche
se l' agapan - in quanto metafora - può essere rubricato, in base alla teo-
ria del NSM, come espressione metaforica rientrante nell'universale se-
mantico del WANT, esso -in quanto valore morale e religioso 30 - non può
essere spiegato senza la rivelazione del Sermone della montagna, punto
di arrivo di una lunga elaborazione della cultura ebraica come espressa
nei testi biblici e soprattutto nel Cantico dei Cantici, ma al tempo stesso
creazione nuova proposta dalla predicazione di Gesù, il quale, quando
ha adoperato il termine 'iihab, ha adottato una metafora forte; essa può
essere inquadrata a fatica nell'apparato metodologico cognitivista, che si-
gnificativamente non contempla tra i suoi sessanta "semantic primes" l'a-
more come gratia, donazione gratuita usque ad sanguinis effusionem, tan-
to meno l'amore al nemico (Ùymta't"E wÙç ÈX0pouç uµwv); ché, se si tro-
va a stento l'eroe disposto a immolarsi per uno che conta o per un valore
eccelso, è assai difficile trovare chi sia disposto a dare la vita per chi non
vale e per il nemico (Mt 5, 44) L'autoannientamento (kenosis) di Dio e la
non resistenza al male, lo «spaventoso paradosso» stigmatizzato da Frie-
drich Nietzsche nella Genealogia delle morali come reazione vendicativa
(Ressentiment) dei deboli che, non potendosi vendicare, perdonano
creando una nuova morale, sono novità che difficilmente si possono spie-
gare in sede di antropologia culturale come tappe di una continuità. Non
a caso Nietzsche ricorreva all'etimologia per «svelare l'inganno della lin-
gua di coloro che si sono arrogati il diritto di creare valori, di coniare no-
mi per i valori».
Va detto poi che spesso le teorie moderne riformulano, in verità, spie-
gazioni ben note fin dall'antichità. Ancora una volta nihil navi sub sole
Non sfuggirà una certa ambivalenza dell'approccio funzionalista: il "fun-
zionalismo", metodologia esplicativa del comportamento e della cogni-
zione umana basata sul quadro teorico della biologia evoluzionistica, na-
sce da una concezione "teleologica" del linguaggio, considerato come
strumento e, al tempo stesso, come attività che ha una finalità generale, la
comunicazione, e varie finalità specifiche (funzioni) derivate da essa. Se il
cambiamento linguistico è interpretato in termini teleologici, allora la
nozione di causa non può essere separata da quella di fine; ne consegue
una reintroduzione della motivazione e l'eliminazione della arbitrarietà.

3°Cfr. Ferguson, 1958, pp. 227-243; Outka, 1972.


50 PAOLO MARTINO

Diremo allora che la funzione del termine agape è rendere comprensi-


bile l'ineffabile ricorrendo a strategie semantiche perspicue all'essere
umano. Si spiega l'attenzione che la Functional Grammar attribuisce alla
semantica e alla pragmatica; e non mancano tentativi di applicazione di
tali teorie all'universo di valori espresso dalla Bibbia (Kroeze, 1996).
Il cognitivismo, nel rilevare che i significati delle parole sono struttu-
re dipendenti da meccanismi "creativi" di concettualizzazione dell'espe-
rienza, è spesso irrimediabilmente sincronicistico, privilegia la prospetti-
va del "parlante" attuale, utente e al contempo creatore della lingua, ma
trascura il bagaglio storico che ciascuna parola porta con sé. Qui la ricer-
ca etimologica potrebbe essere utilizzata con profitto. Indubbiamente
una parola assume valori ogni volta differenti secondo la funzione che es-
sa è chiamata a disimpegnare. Non solo il linguaggio religioso, ma il lin-
guaggio tout court è simbolico e il landscape nel quale si ambientano i
concetti è essenzialmente umano e varia col variare dei tempi e delle cul-
ture antropologiche. Nell'Occidente plasmato dall'esperienza del razio-
nalismo positivista e materialista, sembrerebbe invece ormai avanzato, se
non compiuto, il processo che Fawcett (1970) definiva "The Erosion of
Symbolism in Western Thought", che si configura come un fenomeno
macroscopico ripercorrente a ritroso il fenomeno della cristianizzazione
delle lingue e delle culture, compiuto nei primi secoli dell'Era Volgare.
In questo contesto, in cui antropologia, psicologia e psichiatria hanno
avocato a sé una competenza quasi esclusiva nello studio dei valori reli-
giosi 31 , anche la nozione cristiana di agape, dopo aver acquisito in am-
biente giudaico-cristiano un valore speciale difficilmente spiegabile in
termini di psicologia cognitiva e di antropologia culturale, è stata costret-
ta a designare un simbolo riduttivo, ancorché forte: il pasto fraterno. La
lunghissima vicenda semantica che la parola agape ha attraversato nei
millenni ne risulta irrimediabilmente opacizzata.

31 È la prospettiva di riviste come <<Joumal of Religion and Health», che si propone

di esplorare «the most contemporary modes of religious thought with particular empha-
sis on their relevance to current medica! and psychological research ... using an eclectic
approach to the study of human values, health, and emotional welfare ... ».
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